CAPITALE SOCIALE E CRESCITA ECONOMICA CAPITALE SOCIALE E CRESCITA ECONOMICA: LE POTENZIALITÀ DELLE DIVERSE REGIONI ITALIANE Giacomo Degli Antoni Capitale sociale: una introduzione al concetto Sebbene la locuzione “capitale sociale”, nella prospettiva in cui si intende questo concetto di seguito, sia probabilmente comparsa per la prima volta quasi un secolo fa (Hanyfan 1916)1, è solo negli ultimi venti anni che la nozione di capitale sociale si afferma e si diffonde in modo considerevole in varie scienze sociali quali la politologia, la sociologia e l’economia. I contributi che hanno dato maggiore impulso alla diffusione di questo concetto sono opera di due autori statunitensi: il sociologo James Coleman (1988 e 1990) e il politologo Robert Putnam (1993). Per quanto la letteratura su tale tema sia oggi decisamente ampia, 1 La sociologa Lydia Hanifan parla di capitale sociale riferendosi a “quegli elementi tangibili che tanto influiscono sulla vita quotidiana delle persone come l’amicizia, la benevolenza, l’empatia e le relazioni sociali che intercorrono tra individui e famiglie che compongono una unità sociale. Quando un individuo viene a contatto con altri, ed essi a loro volta hanno contatti con altri individui, si crea una rete di capitale sociale che soddisfa i bisogni sociali del singolo e che può essere una potenzialità sufficiente per la creazione di un sostanziale miglioramento delle condizioni di vita dell’intera comunità.” (Hanifan 1916, p.130, tratto da Wolcoock e Narayan 2000, nostra traduzione). 133 134 Quaderni di ricerca sull’artigianato non è possibile individuare una definizione di capitale sociale univocamente accettata. Un fattore accomuna tuttavia le diverse specificazioni che di questa nozione sono state proposte: il riferimento a una dimensione relazionale del concetto. L’elemento relazionale appare quindi il minimo comune denominatore delle definizioni presenti in letteratura2. A partire da questa considerazione, è possibile raggruppare le diverse definizioni di capitale sociale sulla base di tre principali approcci: le definizioni che vedono il capitale sociale come l’adesione da parte dei membri di una collettività ad un insieme di norme (di fiducia, reciprocità e cooperazione) condivise; quelle che intendono il capitale sociale come una caratteristica dell’individuo, la capacità di attivare e gestire relazioni interpersonali (competenze relazionali); e, infine, quelle che vedono il capitale sociale come l’insieme delle reti di relazioni di cui gli individui possono servirsi per raggiungere obiettivi individuali altrimenti non raggiungibili (o raggiungibili solo a costi superiori).3 Per quanto riguarda il concetto di capitale sociale inteso come fiducia generalizzata e norme condivise, quello di Putnam (1993) è certamente il contributo più citato. Putnam definisce il capitale sociale come “la fiducia, le norme che regolano la convivenza, le reti di associazionismo civico, elementi che migliorano l’efficienza dell’organizzazione sociale promuovendo iniziative prese di comune 2 Per un eventuale approfondimento della letteratura sul capitale sociale si veda, ad esempio, Paldam (2000); Woolcock e Narayan (2000) 3 Evidentemente questi tre approcci presentano diverse interrelazioni. Un soggetto dotato di capitale sociale in termini di competenze relazionali, ad esempio, avrà maggiori probabilità di crearsi ed essere inserito in un network di relazioni ampio su cui contare. CAPITALE SOCIALE E CRESCITA ECONOMICA accordo” (Putnam 1993, p.196). Nella stessa ottica si pone anche la Banca Mondiale, che riporta nel proprio sito web: “Per capitale sociale si intendono le istituzioni, le relazioni e le norme che modellano la qualità e la quantità delle interazioni sociali di una collettività” (World Bank 2004, nostra traduzione). Infine, altri contributi riconducibili a questo approccio sono di Fukuyama, secondo cui “il capitale sociale è una risorsa che nasce dal prevalere della fiducia nella società o in una parte di essa” e “la fiducia è l’aspettativa, che nasce all’interno di una comunità, di un comportamento prevedibile, corretto e cooperativo, basato su norme comunemente condivise, da parte dei suoi membri” (Fukuyama 1996, p.40) e di Narayan e Pritchett che definiscono il capitale sociale come “la quantità e la qualità della vita associativa e delle norme sociali collegate” (Narayan e Pritchett 1999, p.872, nostra traduzione). Nel caso del capitale sociale inteso essenzialmente come competenza relazionale individuale, il contributo di riferimento è quello di Glaeser, Laibson e Sacerdote (2000). Essi considerano il capitale sociale come una sorta di componente del capitale umano, definendolo come le caratteristiche sociali di una persona, quali il carisma e le capacità relazionali, che essa può sfruttare per ottenere vantaggi personali attraverso le interazioni con altri. Questi autori parlano, infatti, di “capitale sociale individuale”, - definito “come l’insieme delle caratteristiche sociali delle persone, - ad esempio le competenze relazionali, il carisma e la “dimensione della rubrica,”- che rendono l’individuo capace di ottenere ritorni di mercato e non di mercato solo attraverso le interazioni con gli altri” (Glaeser, Laib- 135 136 Quaderni di ricerca sull’artigianato son e Sacerdote 2000, p.4, nostra traduzione). Infine, per quanto riguarda l’approccio al capitale sociale inteso come reti di relazioni facenti capo ai singoli individui, il principale autore di riferimento è Coleman (1988 e 1990), secondo cui il capitale sociale sarebbe riconducibile al complesso delle relazioni sociali che l’individuo può mobilitare al fine di raggiungere un proprio obiettivo. I soggetti in parte erediterebbero il capitale sociale, ad esempio in termini di legami parentali, e, in misura maggiore, lo genererebbero attivamente, tessendo delle reti di relazioni interpersonali. Secondo il sociologo statunitense, il capitale sociale è la struttura sociale intesa come risorsa utilizzabile dal soggetto per raggiungere il proprio obiettivo (Coleman 1990, p.305). Il presente studio si focalizza in particolare sul primo dei tre approcci ora descritti, concentrandosi quindi sul capitale sociale in termini di adesione, da parte dei membri di una collettività, ad un insieme di norme condivise (di fiducia, reciprocità e cooperazione) e si propone un duplice obiettivo. Innanzitutto, si intende presentare una analisi delle relazioni teoriche e delle evidenze empiriche emerse in letteratura circa gli effetti positivi che il capitale sociale può avere nel favorire la crescita economica a livello aggregato. In secondo luogo, si introduce una misura sintetica di capitale sociale, a livello regionale italiano, finalizzata a cogliere la probabilità che accordi cooperativi fra soggetti vadano a buon fine. Si individua cioè una misura aggregata del “grado di cooperazione” caratterizzante i rapporti sociali all’interno di diverse collettività. In questo modo si intendono verificare, in rife- CAPITALE SOCIALE E CRESCITA ECONOMICA rimento alla misura proposta, le diverse potenzialità di crescita economica delle regioni italiane connesse alla presenza di capitale sociale. Capitale sociale – in termini di fiducia e norme di reciprocità e cooperazione – e crescita economica Il concetto di capitale sociale ha avuto una diffusa applicazione, nel corso degli anni novanta, anche in campo economico. Tale nozione si è infatti rivelata un utile strumento al fine di esaminare il ruolo che le relazioni interpersonali possono avere nel contesto della teoria economica. In particolare, il capitale sociale è stato utilizzato quale chiave interpretativa al fine di analizzare il ruolo delle relazioni sociali nel: zpromuovere la diffusione e la creazione di conoscenza sia a livello di apprendimento individuale (Loury 1977; Bourdieu 1986; Coleman 1988) sia in ambito organizzativo (Nonaka e Takeuchi 1997; Nahapiet e Ghoshal 2002); zfavorire l’efficienza delle istituzioni (Putnam 1993; La Porta et al.1999; Knack 2002); zpromuovere lo sviluppo del sistema finanziario (Guiso Sapienza e Zingales 2004); zdeterminare la performance di un’impresa (Chiesi 2005; Sabatini 2006b); zfavorire la “qualità dello sviluppo economico” promuovendo lo sviluppo umano, la qualità dell'ambiente, e un indice composito di “qualità sociale” (Sabatini, 2006 a,c); 137 138 Quaderni di ricerca sull’artigianato zridurre il tasso di criminalità (Buonanno, Montolio e Vanin 2006); zfavorire la crescita economica a livello aggregato (Knack e Keefer 1997; Narayan e Pritchett 1999; Zak e Knack 2001); Per quanto concerne quest’ultimo aspetto, a partire dallo studio di Putnam (1993), si sono moltiplicate le analisi di carattere teorico e le verifiche empiriche finalizzate ad indagare l’impatto del capitale sociale sulla crescita. A livello teorico, i canali attraverso cui la presenza di capitale sociale può incoraggiare la crescita economica sono molteplici. La presenza di fiducia e norme etiche di reciprocità e cooperazione può infatti:4 • incentivare i singoli a ricercare comportamenti cooperativi che, in determinati contesti, possono produrre output maggiori rispetto a quelli ottenibili in assenza di cooperazione;5 • promuovere la diffusione dell’informazione e la trasmissione della conoscenza all’interno delle imprese e nella collettività, favorendo così l’innovazione e la crescita del capitale umano; • ridurre i costi di transazione; • favorire gli investimenti, in quanto, in pre4 Per un approfondimento di ciascuno dei seguenti punti si rimanda in particolare a Degli Antoni (2005). 5 Si pensi in particolare al dilemma del prigioniero nel contesto della teoria dei giochi. In tale gioco, il timore del defezionamento altrui e l’assenza di cooperazione producono un risultato peggiore rispetto a quello che i due giocatori otterrebbero cooperando. CAPITALE SOCIALE E CRESCITA ECONOMICA senza di fiducia e affidabilità: - gli investitori sono più propensi a investire - le banche sono più disponibili a erogare crediti - ha maggiori probabilità di svilupparsi il mercato del credito informale. A livello empirico, il contributo che si può affermare abbia concorso in modo determinante a portare l’attenzione sul ruolo che il capitale sociale può avere nel favorire la crescita economica è quello che hanno proposto Knack e Keefer nel 1997.6 Questi autori propongono una misura sintetica di capitale sociale finalizzata a cogliere il livello di fiducia presente in diversi stati nazionali.7 Basandosi su dati tratti dal World Values Surveys, essi costruiscono un indicatore della fiducia presente nei diversi stati a partire dalle risposte relative alla domanda: “Generally speaking, would you say that most people can be trusted, or can’t be too careful in dealing with people?”.8 L’indicatore di fiducia 6 Knack e Keefer (1997) approfondiscono altri due aspetti inerenti il tema del capitale sociale che non è nostro obiettivo indagare in questo contributo. Essi in particolare propongono sia un’indagine dei possibili fattori in grado di spiegare la differenza nelle dotazioni di capitale sociale dei diversi Paesi, sia il ruolo dell’associazionismo nel favorire la crescita economica. 7 In questo primo contributo, Knack e Kefeer propongono anche un secondo indicatore di capitale sociale, denominato civic, che dovrebbe cogliere il senso civico presente nei diversi paesi. Tuttavia, sembra opportuno concentrarsi sull’indicatore di fiducia proposto da questi autori per due ragioni essenziali. Innanzitutto, esso appare quello con i principali tratti di originalità e su cui gli autori si concentrano maggiormente. In secondo luogo, nei lavori successivi proposti in parte dagli stessi autori (in particolare Zak e Knack (2001) e Knack (2003)), essi approfondiscono l’indagine ampliando il campione di riferimento e l’indicatore di senso civico non viene più considerato. 8 “Generalmente parlando, diresti che ci si può fidare 139 140 Quaderni di ricerca sull’artigianato che essi ricavano da tale quesito coincide con la percentuale di persone che, in ciascuna nazione, risponde: “most people can be trusted” (Knack e Keefer 1997, p.1256). Questo indicatore risulta significativamente correlato al tasso di crescita del PIL pro-capite nazionale. Il campione utilizzato nell’indagine è di 29 paesi. Successivamente, Zak e Knack (2001) ripropongono un’indagine empirica simile a quella di Knack e Keefer, ampliando tuttavia il campione di riferimento fino a 41 paesi. Essi utilizzano il medesimo indice di fiducia considerato da Knack e Keefer. I risultati che emergono ripropongono un positivo e significativo legame fra il livello di fiducia presente nei diversi stati e le loro performances economiche.9 Helliwell e Putnam (2000) mettono poi in relazione tre possibili indicatori di capitale sociale misurati a livello regionale italiano con il tasso di crescita del PIL pro-capite. I tre indicatori sono denominati civic community, institutional performance e citizen satisfaction.10 Questi della maggioranza delle persone, o che non si è mai troppo prudenti nel trattare con esse?” (nostra traduzione). 9 Anche Zak e Knack avanzano possibili spiegazioni del diverso livello di fiducia presente nelle nazioni considerate. Essi in particolare individuano una relazione positiva fra la fiducia e: -la forza delle istituzioni formali, -il grado di omogeneità a livello sociale, riferendosi sia all’omogeneità nella distribuzione dei redditi, sia all’omogeneità etnica. 10 Il primo è un indice costruito a partire da dati riferiti a: numero di lettori di quotidiani (anno 1975), numero di associazioni sportive e culturali (1981), numero di votanti ai referendum (periodo 1974-1987) e numero di preferenze individuali indicate nelle votazioni politiche (periodo 1953-1979) che è inteso come indicatore negativo per la civic community in quanto rivelatore della presenza di legami politici clientelari. Il secondo (institutional performance) è elaborato a partire da 12 voci finalizzate a cogliere tre aspetti del funzionamento delle istituzioni: la gestione politica e amministrativa, le dichiarazioni programmatiche (la legislazione) e l’attuazione delle politiche istituzionali. L’indice di soddisfazione dei cittadini, infine, è costruito a partire da dati raccolti attraverso inchieste condotte fra il 1977 e il 1988. I due indicatori civic community e institutional per- CAPITALE SOCIALE E CRESCITA ECONOMICA tre indici vengono utilizzati come misure di capitale sociale e, in particolare, “as alternative indicators of the quality of growth-supporting institutions in the Italian regions”. Helliwell e Putnam mostrano che il capitale sociale così misurato sembra essere un elemento rilevante al fine di spiegare le differenze nei tassi di crescita del PIL pro-capite delle regioni italiane. A partire dal contributo di Putnam, che ha approfondito il concetto di capitale sociale mettendo in luce il ruolo che la fiducia, l’associazionismo civico e, più in generale, le reti di relazioni interpersonali possono avere nel produrre sviluppo socioeconomico, diversi autori hanno utilizzato la nozione di capitale sociale al fine di analizzare il ruolo delle relazioni sociali nel generare crescita economica a livello aggregato. Alla luce dei risultati emersi negli ultimi anni, di cui si è dato in parte conto in questa sezione, sembra possibile affermare che la qualità e la quantità delle relazioni sociali presenti in una determinata collettività possono contribuire a spiegarne le performance economiche. Una misura sintetica del grado di cooperazione a livello regionale italiano Come emerso nel precedente paragrafo, è interessante sottolineare come i primi e principali lavori che hanno indagato empiricamente la relazione fra crescita economica e capitale sociale hanno utilizzato, quale indicatore di tale concetto una misura del livello di fiducia presente su base nazionale. La misura di capitale sociale che si informance coincidono con quelli costruiti e utilizzati nel contributo di Putnam (1993). 141 142 Quaderni di ricerca sull’artigianato troduce di seguito, diversamente, si concentra in modo originale sulla probabilità che, all’interno di una data collettività, si realizzino effettivamente quei processi cooperativi capaci di favorire la crescita economica. La misura proposta sposta quindi l’accento dal concetto di fiducia a quello di affidabilità, la cui presenza garantisce il buon esito della cooperazione. Il concetto di fiducia implica che un soggetto (A) abbia un certo grado di confidenza rispetto al comportamento che egli si attende sarà seguito da uno o più individui (B). L’indice di capitale sociale in termini di fiducia proposto da Knack e Keefer (1997) e ripreso da Zak e Knack (2001) coglie la propensione delle persone (A) a riporre fiducia nel fatto che altri individui (B) si comporteranno in modo da non deludere le loro aspettative. L’indice che si propone in tale contributo vuole cogliere non la fiducia di A, ma l’affidabilità di B. Si intende cioè concentrarsi sull’effettiva risposta del soggetto su cui un altro individuo ripone fiducia. Se il soggetto B agisce in modo da tradire la fiducia riposta, allora il suo comportamento sarà definito opportunistico. L’idea di capitale sociale cui si fa riferimento in tal caso vuole dunque cogliere: “la probabilità di osservare, nell’ambito di una determinata collettività, comportamenti non opportunistici in risposta ad azioni di agenti che si attendono risposte non opportunistiche”. Una delle principali problematiche che si devono fronteggiare nel costruire indicatori significativi di capitale sociale è legata alla difficoltà di individuare variabili che possano catturare il concetto in termini quantitativi. Nel caso della definizione qui CAPITALE SOCIALE E CRESCITA ECONOMICA adottata, è ad esempio necessario individuare degli indicatori capaci di cogliere la propensione a comportarsi in modo opportunistico che caratterizza gli abitanti delle diverse collettività. Tre voci si sono considerate per costruire un indice sintetico di capitale sociale capace di cogliere la presenza di opportunismo in una comunità: 1. Il numero dei procedimenti sopravvenuti in materia di lavoro, previdenza e assistenza obbligatorie, in primo grado; 2. Il numero di protesti su cambiali ordinarie, tratte e assegni bancari riferiti a persone fisiche; 3. Il numero di persone denunciate all’autorità Giudiziaria dalle forza dell’ordine.11 I primi due indicatori sono strettamente legati al contesto economico. Il numero dei procedimenti sopravvenuti, in materia di lavoro, previdenza e assistenza obbligatorie, in primo grado, intende approssimare il grado di conflittualità fra lavoratori e datori di lavoro. Tale variabile è interpretata come un indicatore della probabilità di osservare comportamenti opportunistici nei rapporti fra lavoratori e datori di lavoro. Evidentemente, un elevato valore di tale indicatore implica la presenza di un basso livello di capitale sociale. Il numero di protesti registrati vuole misurare la probabilità che non siano rispettati accordi stipulati fra agenti economici. Un protesto denota la presenza di un comportamento opportunistico al11 Tutti gli indicatori hanno come riferimento temporale l’anno solare. Il primo è ponderato sul numero degli occupati, i restanti due sul numero degli abitanti. 143 144 Quaderni di ricerca sull’artigianato l’interno di un rapporto debitore/creditore. Si sarebbe cioè attuato, da parte del debitore, un comportamento tale da “tradire” le attese del creditore, che si aspetta il rispetto degli accordi di pagamento. Il terzo indicatore approssima aspetti più generali rappresentativi del grado di opportunismo presente in una certa collettività. Un numero elevato di persone denunciate è indicativo della probabilità che rapporti sociali instaurati con persone con le quali non si hanno relazioni stabili si risolvano in comportamenti opportunistici. Nel momento in cui si genera una denuncia significa che si sono infrante determinate norme che regolano la convivenza e sul rispetto delle quali i cittadini nutrono una sorta di fiducia generalizzata. Tutti e tre gli indicatori presentati sembrano cogliere l’attuazione di comportamenti opportunistici, o, alternativamente il grado di effettiva cooperazione in certi contesti, all’interno di una data collettività. Proprio la presenza di opportunismo (ossia l’assenza di capitale sociale) sembra essere l’unico elemento in grado di influire allo stesso tempo su tutte e tre le variabili.12 A partire dai valori assunti, a livello regionale, dagli indicatori ora introdotti, si è elaborato un indice sintetico di capitale sociale. Tale indice, sulla base delle considerazioni svolte, intende quindi approssimare il grado di affidabilità presente in una data collettività, definendo “affidabile” la risposta cooperativa di un soggetto verso un altro soggetto che ha riposto in lui un certo livello di fiducia e ha avviato un processo di coopera12 Per un approfondimento relativo ai fattori che possono influenzare i tre indicatori di capitale sociale e a una discussione approfondita circa la loro adeguatezza al fine di cogliere il concetto di capitale sociale proposto si rimanda a Degli Antoni (2006). CAPITALE SOCIALE E CRESCITA ECONOMICA zione. L’indice è stato costruito, annualmente, dal 1985 fino al 2000, per tutte le regioni italiane.13 La tabella 1 riporta i valori dell’indice in riferimento al 2000, mentre il grafico 1 riporta i valori di capitale sociale assunti dalle regioni italiane in quattro anni: il 1985, il 1990, il 1995 e il 2000. Sull’asse delle ordinate del grafico si trova il livello di capitale sociale, sulle ascisse sono riportate le regioni. A ciascuna regione corrispondono naturalmente quattro valori del capitale sociale. Nella tabella e nel grafico di seguito riportati, l’indice di capitale sociale dalle diverse regioni è stato standardizzato in modo che i valori variassero da zero a cento; inoltre i dati sono stati trattati in modo che a valori elevati corrisponda un grado elevato di capitale sociale ossia scarsa presenza di comportamenti opportunistici.14 13 La metodologia statistica adottata per l’elaborazione dell’indice di capitale sociale è quella delle componenti principali. Tale tecnica viene di frequente utilizzata nel caso in cui una serie di fattori siano rivelatori di un aspetto non direttamente misurabile (per un’analisi dettagliata di tale metodologia: Zani S., 2000). Essa permette infatti di estrarre, a partire dalle variabili di partenza (nel caso in esame i tre indicatori di capitale sociale), delle nuove variabili, definite componenti principali. Ciascuna di esse “spiega” una certa percentuale di varianza degli indicatori iniziali. Nel caso in cui la prima componente principale spieghi una percentuale elevata di varianza, essa può essere interpretata come una variabile capace di riassumere in sé il legame sotteso agli indicatori di partenza. La prima componente principale estratta dall’analisi applicata ai tre indicatori presentati nel testo spiega, in ciascun anno, una percentuale elevata della varianza (l’indice è stato costruito su 16 anni. In 8 casi la percentuale di varianza spiegata supera il 75%, in 4 casi è compresa tra il 70% e il 75%, in 3 casi tra il 66% e il 70% e nel solo 1991 scende al di sotto del 60%). Pertanto, la prima componente può essere considerata una variabile capace di cogliere l’elemento comune ai tre indicatori descritti che sembra essere proprio il livello di opportunismo presente nelle diverse regioni. I punteggi (cambiati di segno) che il pacchetto statistico SPSS assegna, per ogni osservazione, alla prima componente, vengono quindi qui interpretati come un indice di capitale sociale a livello regionale. 14 Per una ulteriore analisi dei dati proposti si rimanda a Degli Antoni (2004). 145 146 Quaderni di ricerca sull’artigianato Tab.1 Il capitale sociale nelle regioni italiane – 2000 1 TrentinoAlto Adige 100 11 Piemonte 68.9 2 Veneto 95.8 12 Molise 66.9 3FriuliVenezia Giulia 4 Valle d’Aosta 91.4 13 Basilicata 62.4 84.1 14 Liguria 56.9 5 Emilia Romagna 81.9 15 Abruzzo 56.6 6 Umbria 81.0 16 Sicilia 41.0 7 Marche 80.5 17 Puglia 24.5 8 Lombardia 79.1 18 Calabria 19.0 9 Sardegna 75.0 19 Lazio 10.3 10 Toscana 69.8 20 Campania 0.0 147 CAPITALE SOCIALE E CRESCITA ECONOMICA Graf.1 Il capitale sociale nelle regioni italiane dal 1985 al 2000 Tre 100 P ie V en V ao Um b Lom F ri Emi Tos 80 L ig M ar S ar M ol B as 60 S ic Laz A br C al 40 P ug C am 20 0 1985 1990 1995 2000 148 Quaderni di ricerca sull’artigianato Due considerazioni principali emergono dall’analisi della tabella e del grafico presentati. Innanzitutto sembra evidente che le regioni settentrionali presentano valori elevati di capitale sociale rispetto, in particolare, alle regioni del Sud. Nel 2000, solo Piemonte e Liguria, fra le regioni del Nord, si collocano oltre il decimo posto della classifica. Al contrario, evidentemente, le regioni del Centro e Sud occupano in generale gli ultimi posti della classifica. Una eccezione significativa è rappresentata dall’Umbria che si colloca al sesto posto. La regione che presenta il valore di capitale sociale più alto è il Trentino-Alto Adige, seguito dal Veneto; la regione con l’indice di capitale sociale minore nel 2000 è la Campania. In secondo luogo, guardando al grafico 1, è interessante sottolineare come l’evoluzione del capitale sociale nei quindici anni considerati non abbia prodotto cambiamenti radicali nelle posizioni occupate dalle regioni in termini di livello di capitale sociale. In generale, infatti, la maggior parte delle regioni ha conservato sostanzialmente la medesima posizione negli anni all’inizio e alla fine del periodo. I cambiamenti maggiori hanno riguardato le Marche, con un netto miglioramento relativo tra il 1985 e il 2000 e il Lazio con, al contrario, un palese peggioramento. Questo risultato è probabilmente determinato dalla natura socio-culturale della variabile capitale sociale introdotta e conferma alcune evidenze già riscontrate in letteratura.15 15 Diversi contributi sul capitale sociale sottolineano tale tendenza delle variabili che colgono il capitale sociale a modificarsi lentamente nel tempo (in particolare Knack e Keefer, 1997). CAPITALE SOCIALE E CRESCITA ECONOMICA Osservazioni conclusive Il presente contributo si è sviluppato lungo due principali direttrici. Dopo aver proposto una breve rassegna dei diversi approcci al capitale sociale esistenti, ci si è concentrati sul concetto di capitale sociale in termini di norme di fiducia, reciprocità e cooperazione condivise e si è: 1. proposta una analisi dei principali risultati presenti in letteratura circa gli effetti teorici ed empirici del capitale sociale sulla crescita economica 2. introdotto un indice di capitale sociale finalizzato a misurare il grado di affidabilità presente nelle diverse regioni italiane. In particolare, l’indice di capitale sociale elaborato intende cogliere la probabilità che vadano effettivamente a buon fine accordi interpersonali basati sulla fiducia. Se, in una collettività, è elevata la tendenza degli individui a defezionare rispetto agli accordi presi, gran parte dei comportamenti cooperativi che in essa si instaurano saranno destinati a fallire. Nella teoria economica, come evidenziato nel secondo paragrafo, è oggi consolidata l’idea secondo cui, in determinate situazioni, la cooperazione sia in grado di produrre un risultato migliore rispetto a quello che i singoli otterrebbero perseguendo i propri fini particolaristici e ignorando i comportamenti altrui. L’indice elaborato consente di rilevare la tendenza dei soggetti a rispettare accordi che prevedono la cooperazione. Esso coglie dunque la probabilità che, in una comunità, si producano effettivamente comportamenti cooperativi e potenzialmente vantaggiosi per le parti. La misura di capitale sociale è stata elaborata riferendosi 149 150 Quaderni di ricerca sull’artigianato a tre indicatori in grado di segnalare la presenza di comportamenti opportunistici: a) il numero dei procedimenti sopravvenuti in materia di lavoro, previdenza e assistenza obbligatorie, in primo grado; b) il numero di protesti su cambiali ordinarie, tratte e assegni bancari riferiti a persone fisiche; c) il numero di persone denunciate all’autorità Giudiziaria dalle forza dell’ordine. Il confronto fra le regioni italiane, in termini di capitale sociale, ripropone il dualismo esistente tra il Nord e il Sud Italia. Nel Nord il livello di capitale sociale è in generale più elevato rispetto al Sud. Questo potrebbe quindi, alla luce delle relazioni esistenti tra capitale sociale e crescita economica, rappresentare un fattore in grado di favorire ulteriormente il percorso di sviluppo delle aree del Nord Italia rispetto a quelle del Sud. La differenza fra le due aree appare inoltre piuttosto stabile nel tempo. L’evoluzione del capitale sociale, nei quindici anni considerati, non ha prodotto sostanziali modifiche nelle posizioni occupate dalle varie regioni in possibili classifiche basate sul livello di capitale sociale. Intervenire al fine di incrementare il capitale sociale presente nelle diverse collettività appare particolarmente complesso. Se si accetta l’idea esposta da Putnam nel 1993, che vede il capitale sociale come il risultato di un processo di lungo periodo frutto della storia, sembra sostanzialmente impossibile individuare politiche di intervento in grado di produrre effetti nel breve periodo. Tuttavia, è possibile ipotizzare, come sottolineato dallo stesso autore, che l’abitudine a partecipare socialmente e a relazionarsi con gli altri possa creare consa- CAPITALE SOCIALE E CRESCITA ECONOMICA pevolezza circa i vantaggi della cooperazione, e di conseguenza, possa contribuire a generare nelle persone una maggiore propensione alla collaborazione. Per tale ragione, investire in politiche socio-culturali finalizzate a sostenere le occasioni di incontro e la partecipazione sociale sembra essere una strada percorribile al fine di aumentare il livello di capitale sociale nei vari contesti.16 L’indicatore elaborato si propone come un utile strumento sia per approfondire le ragioni delle differenze che hanno caratterizzato lo sviluppo delle regioni italiane, sia per valutare l’efficacia di eventuali politiche di intervento per incrementare il capitale sociale nelle diverse collettività. 16 Si veda Degli Antoni (2007) per un approfondimento sulle relazioni fra affidabilità e associazionismo. 151 152 Quaderni di ricerca sull’artigianato Bibliografia Bourdieu P. (1986), The Forms of Capital, in Richardson J. (ed.), Handbook of Theory and Research for the Sociology of Education, Wetsport, CT, Greenword Press Buonanno P., Montolio D. e Vanin P. 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