Corso di formazione per catechisti 2012 La proposta formativa si avvale di un lavoro in équipe di programmazione, attuazione e verifica a cura di don Angiolino Cobelli e delle rappresentanti dei catechisti delle 4 Parrocchie di Rivoli Centro. Si è scelto il modello del laboratorio: ogni serata del Corso è stata scandita in 3 fasi, ovvero la fase proiettiva, la fase di analisi e la fase di riappropriazione. La fase proiettiva ha posto i partecipanti (circa 50) in condizione di rileggere la loro esperienza, attraverso l’utilizzo di oggetti simbolici, musica, profumi, danza, lettura di brani delle Scritture, di poesie, di riflessioni d’autore. La fase di analisi o approfondimento si è svolta attraverso il lavoro di gruppo guidato, con una traccia contenente i riferimenti ai documenti della Chiesa, da collegare ai simboli e all’esperienza della fase precedente. La fase di riespressione o riappropriazione è avvenuta in modo collegiale, con una breve relazione di un segretario per ogni gruppo e una rilettura sintetica a cura di don Angiolino. La preghiera conclusiva ha permesso di raccogliere le riflessioni più spirituali e di consegnarle al Signore. Questo tipo di formazione ha consentito di curare l’essere del catechista, privilegiando l’identità e il saper essere sul saper fare. Ogni catechista ha sperimentato su di sé un modello formativo che ora può proporre ai genitori negli incontri pomeridiani o serali e, in forma semplificata e adeguata, anche ai bambini e ai ragazzi. Abbiamo ancora in programma un incontro di quasi due giorni, con invito esteso a tutti i catechisti della Pastorale battesimale e dell’Iniziazione Cristiana delle Parrocchie che hanno già aderito al Corso e, si auspica, anche delle altre dell’Unità Pastorale: Ritiro di 2 giorni sabato 9 (pomeriggio) e domenica 10 febbraio 2013 presso la Certosa di Avigliana con don Michele Roselli (direttore dell’Ufficio Catechistico Diocesano) e don Angiolino Cobelli Prima serata: Essere catechisti. La nostra identità. Specchio e orologio. Riflettere seriamente sul tempo, sullo scorrere del tempo, sul fatto che la nostra vita sia come distesa dentro al passare del tempo: in una parola sulla temporalità della nostra vita. E’ una riflessione che ci fa entrare dentro al senso della nostra vita non attraverso una porta di servizio, ma attraverso una delle porte principali. Uno specchio e un orologio vengono posti al centro del salone. Un brainstorming stimola la riflessione iniziale. Ogni tanto bisogna prendersi del tempo, come la mattina prima di uscire si dà uno sguardo allo specchio per vedere se è… tutto a posto, così ogni tanto bisogna fermarsi per riflettere su noi stessi, bisogna guardarsi allo specchio. Lo specchio non mente, ma ci rimanda esattamente l’immagine reale di noi stessi, non ci fa vedere alti se siamo bassi, giovani se siamo vecchi. Invece, a volte leggiamo un’immagine distorta di noi stessi: proiettiamo il come ci sentiamo, il come crediamo di essere e non il come siamo. Lo specchio è testimone dei cambiamenti. Se non ci fermiamo alla prima impressione, attraverso quella immagine riflessa possiamo scavare più a fondo: ci rimanda al detto “gli occhi sono lo specchio dell’anima”. E allora: “Come sta la nostra anima?”, “Come sto io, con gli altri, con me stesso, con Dio?”. La domanda sul senso del tempo coincide infatti con la domanda sul senso della vita. Molte volte si sente dire: “non pensare al domani, vivi l’oggi”. La filosofia moderna impone di vivere sempre e solo l’istante presente, senza darsi pensiero del futuro e cercando di dimenticare il passato. Una tale impostazione esistenziale, un tale "stile di vita" impedisce alla persona di vivere la propria esistenza come storia. Che cosa significa vivere la propria esistenza come storia? Partiamo da una esemplificazione molto semplice. Che cosa distingue uno scritto qualsiasi da un racconto vero e proprio? Il racconto ha una trama, cioè un susseguirsi ordinato di episodi che, collegandosi l’uno all’altro, conducono il lettore verso una conclusione che in qualche modo deriva da tutto ciò che precede. Ovvero: esiste una coerenza interiore nel racconto; questa coerenza è data da un filo conduttore; la narrazione va verso la conclusione. Dunque abbiamo individuato almeno tre elementi che costituiscono la narrazione di una storia: coerenza - sviluppo conclusione. Analogamente accade nella vita. Se la nostra vita è la somma di tanti istanti slegati fra loro, se la nostra vita manca al suo interno di un "filo conduttore"; se lo scorrere del tempo non va verso nessun fine, non ha alcuna direzione, la vita della persona è "sconclusionata". Scheda di laboratorio nei gruppi 1. Chiarire cosa si intende per formazione L’accento è posto sull’essere catechista e non tanto sul fare il catechista. “Essere significa che la persona va accompagnata nel prendere coscienza della propria personalità umana, spirituale e morale, sociale e comunitaria al fine di discernere il bene-essere e poter benefare. L’educazione deve partire dalla verità sull’uomo, dall’affermazione della sua dignità e dalla sua vocazione trascendente.” (Num.2.5 - Educare alla vita buona del Vangelo) 2. C’è bisogno di formazione? “Prima di offrire indicazioni sul modo e i metodi della formazione, è urgente ribadire la necessità, nelle nostre comunità ecclesiali, di dare più posto e più importanza alla formazione dei catechisti, troppo spesso trascurata e sottovalutata.” “Gli strumenti di lavoro non possono essere veramente efficaci se non saranno utilizzati da catechisti ben formati. Pertanto, l’adeguata formazione dei catechisti non può essere trascurata in favore dell’aggiornamento dei testi e di una migliore organizzazione della catechesi.” (Num.36 - La formazione dei catechisti) “Chi è accolto tra i catechisti e inizia il suo servizio, è consapevole dei suoi limiti e avverte la necessità di coltivare la sua formazione, mai pienamente esaurita.” (Num. 55 - Conferenza episcopale piemontese) “In primo luogo ogni catechista è chiamato a consolidare la sua vita di credente, l’appartenenza alla Chiesa e le motivazioni del suo servizio al Vangelo.” (Num. 56 - Conferenza episcopale piemontese) “La formazione permanente e progressiva dei catechisti, che svolgono il loro servizio nella comunità parrocchiale ha carattere proprio ed originale. Essa ha come finalità la crescita integrale della personalità cristiana del catechista: forma unitariamente il credente e l’educatore della fede.” (Num. 57 - Conferenza episcopale piemontese) 3. Chi e come si forma? “L’esperienza catechistica moderna conferma ancora una volta che prima sono i catechisti e poi i catechismi; anzi, prima ancora, sono le comunità ecclesiali. Infatti come non è concepibile una comunità cristiana senza una buona catechesi, così non è pensabile una buona catechesi senza la partecipazione dell’intera comunità.” (Num. 200 - Documento di base) “In particolare sono da valorizzare alcune esperienze essenziali: - esperienza della parola di Dio: è il fondamento e la radice della comunità.. - esperienza della celebrazione: essa si compie con diverse modalità (liturgia della Parola, della riconciliazione,…)… - esperienza di fraternità e di comunione: attraverso di essa si esperimenta la bontà e la bellezza di essere cristiani insieme … - esperienza della testimonianza nella carità e nel servizio: l’amore è il movente della missione ed è anche l’unico criterio secondo cui il cristiano agisce … “ (Num. 7 - La formazione dei catechisti) “Primo e permanente luogo di formazione resta la comunità parrocchiale. Oltre alla partecipazione alla vita ecclesiale, occorre che il futuro catechista sia preparato alla sua missione attraverso una specifica formazione finalizzata sia allo sviluppo della sua fede e vita cristiana, sia all’acquisizione di una competenza catechistica. Opportunamente il Direttorio generale per la catechesi sintetizza la formazione del catechista in tre dimensioni: - sviluppare l’essere del catechista come credente e apostolo - promuovere il sapere riferito al messaggio cristiano e al destinatario - far acquisire il saper fare poiché la catechesi è un atto di comunicazione.” (Num. 49 - Conferenza episcopale piemontese) 4. Quali sono le tue aspettative? Due Relazioni dai gruppi di lavoro: Una: Il giorno in cui ho l’incontro di catechismo, mi guardo allo specchio e dico: “Vado a raccontare una bella notizia, ma la vivo? E come?” Alcune volte lo specchio mi rimanda immagini belle, altre volte immagini da migliorare Lo specchio e l’orologio hanno una doppia vita entrambi: il tempo può essere segno di frenesia, ma mi regala un’ora di tempo con i miei ragazzi; lo specchio può rimandare immagini che non ci piacciono, ma io non sono solo quello che vedo Il tempo come esperienza del passato mi permette di migliorare, di correggermi. Il tempo ti forma e ti dà la possibilità di formarti, di prenderti del tempo per formarti. Quando vivi una determinata esperienza, porti la tua testimonianza, diventi testimone di quello che sei, di quello che vivi. Non è trasmissione di teoria, imposizione di idee, ma lavoro insieme agli altri con la propria testimonianza. Anche nell’uso di materiale, testi… sei testimone, per cui la formazione deve essere anche a livello pratico con l’esperienza e il confronto Confrontarsi con altri diventa crescita personale. L’orologio è segno di tempo che passa, di crescita continua, di modifica di sé stessi. Il tempo come misura è uguale per tutti, ma non c’è un orologio uguale all’altro; anche gli uomini sono simili, i cammini di fede sono simili, ma non uguali, alcuni sono avanti, altri indietro, altri su una strada parallela… tutti in cammino con tempi diversi Il catechista è testimone di una comunità e in una comunità. Non si può essere catechisti-battitori liberi. La comunità deve essere specchio per il catechista e il catechista specchio per la comunità. Due: Il nostro punto di partenza è stata l’affermazione che non basta “vivere nell’oggi” se perdiamo il riferimento con il nostro passato (le radici) e senza uno sguardo al futuro. È il cammino che dà senso al nostro presente, soprattutto come catechisti. Anche perché la formazione ci accompagna per tutta la vita, cambiando perché noi stessi cambiamo man mano che passa il tempo. Abbiamo condiviso alcune esperienze vissute: se faccio una lista dei motivi per cui non mi piace “fare” catechismo, riempio due pagine, ma se penso a quanto è bello “essere” catechista, questo cancella le due pagine. La domanda allora non è “che catechismo faccio”, ma “che catechista sono”? Quelli tra di noi che sono catechisti da più anni hanno condiviso l’esperienza di essere passati dal “devo dire e fare tutto e tanto nell’ora di catechismo, mannaggia quanto è corta!” al “ho un’ora di tempo per stare con i ragazzi e i genitori, per ascoltarli, per parlare con loro, per coltivare i nostri rapporti” e pazienza se non riesco a “svolgere” il programma. Esistono anche le difficoltà: la pazienza di accettare i genitori che sono preoccupati solo di quando ci sarà la prima comunione, o che chiedono di tenere anche il fratellino mentre vanno a fare la spesa… ma ci sono anche i momenti belli, ad es.: mentre i ragazzi fanno merenda, fermarsi con i genitori o i nonni e parlare con loro, partecipando alla loro vita. È bello pensare che quello che offro passa soprattutto attraverso il sorriso e uno sguardo buono, accogliente, che si fa carico dei problemi che vivono oggi le nostre famiglie, senza pregiudizi, cercando di mettermi al fianco degli altri, come compagno di cammino. ogni giorno un po’ di più, Preghiera finale Amami così come sei Figlio mio, dice il Signore conosco la tua miseria, le lotte e le sofferenze del tuo animo; perché ti ho creato per amare. Ama, e l'amore ti farà fare tutto il resto senza che nemmeno te ne accorga. Cerca, come meglio puoi, la debolezza e le malattie del tuo corpo. di riempire il presente con il tuo amore. Conosco le tue vigliaccherie, Oggi mi fermo alla porta del tuo cuore le tue cadute e i tuoi peccati, come un mendicante, ma ti dico ugualmente: dammi il tuo cuore, amami così come sei! io, il Signore, busso e attendo. Se aspetti di essere Santo Affrettati ad aprirmi per abbandonarti all'amore, Amami così come sei! non mi amerai mai. La sola cosa che potrebbe ferirmi, Amami così come sei ad ogni istante sarebbe vederti dubitare del mio amore, e qualunque sia la situazione in cui ti trovi, vederti non aver fiducia in me... nel fervore o nell’aridità, nella fedeltà o nell’infedeltà. Amami così come sei. Figlio mio, lascia che io ti ami. Io voglio il tuo cuore. certo penso di perfezionarlo, ma, nel frattempo, io ti amo così come sei! Mi auguro soltanto che tu faccia altrettanto. Ciò che mi interessa è il canto del tuo cuore, la tua buona volontà di amarmi così come sei, Se tu dovrai soffrire, io ti darò la forza necessaria; se tu dovrai lottare, io sarò accanto a te. Tu dammi il tuo cuore: in tutto ciò che vivi, e allora ti concederò di amare più di quanto possa immaginare. Mons. Lebrun Seconda serata: I catechisti sono testimoni. Boccetta di profumo e incenso bruciato nell’ambiente. Il laboratorio inizia nel silenzio e nella penombra. Bastoncini di incenso profumato bruciano al centro del salone, accanto ad una boccetta di profumo. Il profumo è in grado di aprire lo scrigno dei ricordi. Il profumo crea stimoli. Il profumo, se è buono, non è invadente, non ruba spazio, ma allo stesso tempo è in grado di arrivare dappertutto. Poesia: Profumo di fiori, di erba bagnata da poco, di terra appena umida. Profumo di aria pulita Di spazi limpidi e chiari Di cieli azzurri e profondi. Profumo di cose genuine, di prati verdeggianti al sole di una natura ancora intatta Relazione di Padre Giovanni Roncari, docente di storia della Chiesa L'incenso è uno dei tanti segni che la liturgia usa per esprimere dei messaggi, dei sentimenti, atteggiamenti spirituali. Questi segni sono tanti: immagini sacre, paramenti con i loro colori, atteggiamenti del corpo (in piedi, in ginocchio, prostrazioni..) luce (candele, cero pasquale..) olio per le unzioni (crisma, olio degli infermi, catecumeni) l’acqua, la cenere, il bacio, il segno della croce e della pace ecc.. l’elenco è lungo, ma molto interessante per penetrare il senso profondo della liturgia, che parla attraverso gestisegni-simboli. Del resto anche nella vita ordinaria, l’uomo si esprime attraverso simboli e segni per poter comunicare sia con gli altri e sia anche con se stesso. Basti pensare ai simboli della vita quotidiana, ai riti collettivi e individuali che caratterizzano la nostra società. L’incenso non è sicuramente uno dei segni più importanti della liturgia, tuttavia ha una sua storia e un suo significato. Simboleggia la preghiera e la venerazione verso Dio e anche l’onore reso alla persona ritenuta importante, in un’ atmosfera resa piacevole dal suo profumo. Nel tempio di Gerusalemme vi era l’altare dell’incenso o dei profumi, simbolo della preghiera che sale a Dio (Esodo 30). Zaccaria, il padre di Giovanni Battista «officiava davanti al Signore... gli toccò in sorte di entrare nel tempio per fare l’offerta dell’incenso» (Luca 1,8). Il profeta Isaia (60,6) annuncia che «tutti verranno da Saba, portando oro e incenso», parole che Matteo (2,11) vede compiersi nei doni offerti a Gesù bambino dai Magi. Nei salmi spesso la preghiera e la lode al Signore vengono paragonati al profumo d’incenso che sale verso l’alto: «come incenso salga a te la mia preghiera» (salmo 140) … … profumo di tenerezza. Nonostante questi significativi precedenti biblici, i primi cristiani guardarono l’incenso con un certo sospetto, perché molto legato con il culto pagano agli dei e all’imperatore. Anzi, l’offerta dell’incenso all’imperatore o ad un idolo pagano all’imperatore Traiano, intorno al 110 d.C., il primo documento non cristiano che parla dei cristiani. Al termine delle persecuzioni, l’incenso, un po’ in punta di piedi, entra nel culto cristiano mantenendo sostanzialmente i due significati presenti sia nell’Antico Testamento, sia nel mondo pagano. Un modesto esempio, ma non insignificante, di inculturazione, cioè di rilettura cristiana di un linguaggio simbolico proveniente da un mondo non cristiano. divenne il simbolo stesso dell’apostasia dalla fede cristiana. È interessante leggere, a questo proposito, la lettera di Plinio il Giovane l’assemblea come partecipante al sacerdozio regale e profetico di Cristo. Nella consacrazione dell’altare l’incenso viene bruciato sull’altare stesso, evidente richiamo all’Antico Testamento e che vuole unire in una unica realtà l’altare e la mensa. Aggiungiamo ancora un particolare: al termine della Messa viene incensato il corpo del defunto per onorarlo come consacrato dal battesimo e «dalla unzione regale del crisma» (prefazio della Messa della Cresima) Anche oggi l’incenso mantiene nella liturgia gli stessi significati: segno di venerazione e di preghiera e onore alle persone e alle cose nel momento della celebrazione. Nella santa Messa si usa durante la processione d’ingresso, per incensare l’altare all’inizio e all’offertorio, alla proclamazione del Vangelo, (venerazione verso il Maestro) alla elevazione delle Specie Consacrate (adorazione al Signore presente) ed esprimono la venerazione e la preghiera. Si incensa il celebrante come rappresentante di Cristo e tutta Infine l’incenso richiama l’atteggiamento di offerta e di sacrificio del credente verso Dio. Questo atto simbolico per essere vero e non una vuota cerimonia come spesso lamentano i profeti nell’Antico Testamento, deve essere segno di un vero spirito interiore che offre se stesso come «profumo di soave odore, un sacrificio accetto e gradito a Dio» (Fil.4,18) per poter camminare «nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore» (Ef.5,2). Scheda di laboratorio nei gruppi 1. “La fisionomia del catechista testimone” “Nell’assolvimento del loro compito, i catechisti fanno molto più che insegnare una dottrina. Sono testimoni e partecipi di un mistero, che essi stessi vivono e che comunicano agli altri con amore. Questo mistero li trascende infinitamente e tuttavia esso si compie anche attraverso la loro azione, che lo attesta, lo spiega, lo fa rivivere. Nell’adempiere la sua missione, chi fa catechesi nutre profonda umiltà e ferma fiducia. Testimone di Cristo Salvatore, ogni catechista deve sentirsi e apparire, lui pure, un salvato: uno che ha avuto non da sé, ma da Dio, la grazia della fede, e s’impegna ad accoglierla e a comprenderla in un atteggiamento di umile semplicità e di sempre nuova ricerca. Educatore dei fratelli nella fede, egli è debitore verso tutti del Vangelo che annunzia; dalla fede e dalla testimonianza di tutti, egli si lascia a sua volta educare… Il catechista si caratterizza anzitutto per la sua vocazione e il suo impegno di testimone qualificato di Cristo e di tutto il mistero di salvezza. Le doti di psicologo, di sociologo, di persuasore, di pedagogista, che egli s’impegna ad acquistare e coltivare, hanno efficacia, se sono assunte in questa dimensione. Oltre a conoscere adeguatamente il messaggio che espone, egli ne è segno visibile, mediante la sua vita. Quanti lo ascoltano, devono poter avvertire che, in certo modo, i suoi occhi hanno visto e le sue mani hanno toccato; dalla sua stessa esperienza religiosa devono ricevere luce e certezza. Una concreta coerenza di vita è necessaria al catechista per vedere la fede, prima di proclamarla; poiché solo chi opera la verità viene alla luce… La testimonianza della vita è essenziale, nel momento in cui si vuole proclamare e diffondere la fede. È questa la via per la quale la verità cristiana si fa riconoscere nella Chiesa: attraverso i cristiani in una testimonianza umana, nella quale risplende la testimonianza di Dio. La vita del catechista è una manifestazione delle invisibili realtà, alle quali egli richiama i suoi fratelli di fede.” (“Documento di base” num. 185 e 186) 2. Il testimone racconta “La prima e fondamentale competenza del catechista è la capacità di annuncio. Il catechista è chiamato a far percepire che la narrazione dei mirabilia Dei è un ambito vitale che dà unità e coerenza di senso all’esperienza e favorisce l’identità del soggetto, il quale ascoltando e comunicando ritrova se stesso e dialoga con Dio e con gli altri nel mondo… Raccontare è fare l’esperienza di essere convocati all’espressione di una parte della propria esistenza con la mediazione del racconto. In tal senso il catechista non racconta più una semplice storia, ma piuttosto l’intima storia della propria vita. Ogni racconto significativo deve partire dall’interiorità, un’interiorità che per non essere superficiale ha bisogno di preparazione, in modo da: Fare proprio il messaggio, approfondirlo, rifletterlo e rianimarlo dall’interno Scoprire cosa dice a me, su quali realtà mi orienta ed appassiona Domandarsi che cosa dire e come dire e qual è il centro di quello che si vuole comunicare Coinvolgere in modo esplicito gli interlocutori nell’esperienza narrata Abbandonare i linguaggi astratti e utilizzare quelli più simbolici ed evocativi Sentirsi in sintonia con le inquietudini e le sofferenze dell’uomo di oggi per arrivare al suo cuore” (“La formazione dei catechisti” num. 28 e 29). 3. Il testimone ha capacità relazionali “Prima di essere qualcuno/qualcuna che comunica contenuti di fede, il catechista dell’iniziazione cristiana deve essere una persona capace di creare relazioni positive e profonde. Deve essere convinto, che nel lavoro d’iniziazione, le relazioni sono decisive anche per l’accoglienza dei contenuti trasmessi. Il compito dell’evangelizzazione consiste nel contare sui dinamismi culturali attuali e nel mettersi a servizio dei contenuti della fede. La proposta catechistica va vissuta come spazio dell’incontro e per questo che il catechista: Mantiene con i ragazzi e le famiglie un rapporto che sa generare reciprocità educativa… Crea rapporti liberi e non di dipendenza con i propri destinatari e la catechesi si situa vicino alla vita dei fanciulli/ragazzi, offrendo loro la possibilità di camminare nella fede… Vive i rapporti in modo sempre nuovo e non chiude mai la possibilità di altre esperienze evitando sentimenti di estraneità ed alienazione Fa spazio alle molteplici risorse di tutti i membri della comunità, specialmente nel dialogo con i genitori e gli adulti significativi per i fanciulli/ragazzi Sa lavorare in equipe senza predominare e coinvolge gli adulti nella pastorale catechistica dei fanciulli e dei ragazzi”. ( “La formazione dei catechisti” num. 26) Due Relazioni dai gruppi di lavoro: Una: Partendo dal fatto che per essere catechista devi essere testimone, ci siamo resi conto che siamo chiamati ad essere testimoni fin dal Battesimo, nessuno escluso: essere catechista è uno dei modi per testimoniare. Ovviamente, la testimonianza non è solo quando “fai catechesi” agli altri, ma soprattutto quando vivi la vita di ogni giorno: famiglia, lavoro … Ci siamo comunicati a vicenda che oggi la testimonianza la fai più cercando di offrire stimoli per la riflessione personale, provocazioni perché ognuno possa, liberamente, farsi delle domande e cercare risposte. Vale molto di più “come” annunci che “quello” che annunci: una verità detta come una lezione imparata non ha lo stesso peso della verità che viene dal tuo cuore perché l’hai scoperta e fatta tua. È importante saper usare, con i bambini come con gli adulti, dei gesti più che delle parole: gesti che dicano accoglienza, “ti voglio bene”: i gesti parlano un linguaggio universale, anche se devono rispettare la situazione in cui vive la persona a cui mi rivolgo. Proprio perché siamo sempre in cammino e siamo sempre diversi, abbiamo bisogno di formarci continuamente, di scavare in quello che crediamo, anche attraverso le nostre difficoltà di vita. Ci siamo lasciati alcuni interrogativi: Siamo capaci di ascoltare i bimbi e i genitori? Siamo disposti a metterci in gioco? Ad ascoltarli senza catalogarli? A far trovare la porta del nostro cuore/della nostra comunità aperta? Due: Avvertiamo l’INADEGUATEZZA DI FONDO, soprattutto dopo aver letto la traccia proposta. Il catechista dovrebbe comunicare ai ragazzi un profumo, dovrebbe essere quello che fa venire l’acquolina in bocca. Non dare nozioni, ma metter la curiosità che fa scattare la scintilla … dovrebbe avere l’UMILTA’, sempre, non solo quando si fa catechismo, ma anche nella vita quotidiana (lavoro, famiglia, scuola …) … dovrebbe avere un profumo, una fragranza che lo contraddistingue (ognuno di noi ha , sceglie un suo profumo e spesso viene identificato dagli altri con quel profumo). Il cristiano, anche il catechista, deve profumare di CRISTO !!! Ogni cosa ha un profumo diverso: il profumo infatti identifica la persona. “Quanti lo ascoltano devono poter avvertire che in certo modo i suoi occhi hanno visto e le sue mani hanno toccato” nella consapevolezza che “chi è accolto tra i catechisti e inizia il suo servizio è consapevole dei suoi limiti e avverte la necessità di coltivare la sua formazione mai pienamente esaurita” . Il profumo rimbalza: spesso ci portiamo a casa il profumo del collega o del luogo dove si sta. Quando vengono fatte domande imbarazzanti e difficili, queste ci rimandano a riprendere noi stessi l’argomento per verificare se “abbiamo risposto bene”. Dobbiamo cercare di avere un linguaggio uguale alle persone: abbandonare un linguaggio astratto per usare quello + simbolico, + semplice, + vissuto. Il Vangelo va INCULTURATO, reso attuale nel vissuto di oggi. E’ parola viva scritta 2000 anni fa: il contenuto deve rimanere lo stesso, ma attualizzato. Ci si sente impacciati a trasmettere quello che sentiamo, che viviamo agli altri: bambini, genitori. Dobbiamo far amare la buona novella . “Il profumo se è buono non è invadente, non ruba spazio, ma allo stesso tempo è in grado di arrivare dappertutto”: la Parola di Gesù arriva dappertutto! Dobbiamo pensare d’essere come l’incenso, profumo che sale e si infila. Dobbiamo cercare la fessura dove far entrare il profumo che sale e penetra dove vuole, magari dove non pensiamo e magari a distanza di tempo. Dobbiamo mantenere “con i ragazzi e le famiglie un rapporto che sa generare reciprocità educativa”, dobbiamo vivere “i rapporti in modo sempre nuovo e non chiudere mai la possibilità di altre esperienze evitando sentimenti di estraneità ed alienazione”, dobbiamo fare “spazio alle molteplici risorse di tutti i membri della comunità, specialmente nel dialogo con i genitori”, essere vicini alle famiglie, capirle. È un impegno non indifferente: sentirsi comunità, un solo gruppo e non tanti gruppi diversi. LA TESTIMONIANZA FA PIU’ DELLE PAROLE: testimonianza = coerenza in modo naturale. Il profumo del catechista deve fondersi con quello dei ragazzi. Per essere testimoni dobbiamo preoccuparci di formare la nostra vita interiore e tenere sempre presente che non si è testimoni da soli: c’è bisogno del sostegno della comunità, luogo in cui si fa esperienza di fede. Preghiera finale Aiutaci a diffondere la tua fragranza O Gesù, aiutaci a diffondere la tua fragranza ovunque noi andiamo. Infondi il tuo Spirito nella nostra anima e riempila del tuo amore affinché penetri nel nostro essere in modo così completo che tutta la nostra vita possa essere soltanto fragranza e amore trasmesso tramite noi e visto in noi, e ogni anima con cui veniamo a contatto possa sentire la tua presenza nella nostra anima, e poi guardare in su e vedere non più me, ma Gesù. Resta con noi, e noi cominceremo a brillare della tua luce, a brillare per essere una luce per gli altri. La luce, o Gesù, sarà la tua, non verrà da noi, sarà la tua luce che brillerà sugli altri attraverso noi. Lascia che ti rivolgiamo le nostre preghiere nel modo che più ami, spargendo la luce su quelli che ci circondano. Lasciaci predicare senza predicare, non con le parole, ma con l'esempio. Con la forza che attrae e l'influsso di quel che facciamo. Con la pienezza dell'amore che abbiamo per te nel nostro cuore. Amen. Madre Teresa di Calcutta Terza serata: La Chiesa è comunità profetica. Spartito musicale e flauto traverso con ascolto di un brano musicale di Chopin. Si entra nel teatro in silenzio, ascoltando Chopin. Al centro, su un leggio, uno spartito musicale e un flauto traverso. Le note: note diverse una dall’altra che insieme fanno ARMONIA, tutte importanti, tutte indispensabili Il pentagramma : il luogo dove ogni nota trova il SUO posto, un posto ben preciso che le dà la possibilità di RISUONARE, USCIRE dallo spartito e DIFFONDERSI . Il luogo dove trovarsi con le altre note per formare una melodia. Se la melodia sarà armoniosa entrerà nel cuore di chi l’ascolta. Dalla prima lettera di San Paolo apostolo ai Corinzi (1COR 12, 12-31) 12 Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. 13Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito. 14 E infatti il corpo non è formato da un membro solo, ma da molte membra. 15Se il piede dicesse: «Poiché non sono mano, non appartengo al corpo, non per questo non farebbe parte del corpo. 16E se l'orecchio dicesse: «Poiché non sono occhio, non appartengo al corpo, non per questo non farebbe parte del corpo. 17Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l'udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l'odorato? 18Ora, invece, Dio ha disposto le membra del corpo in modo distinto, come egli ha voluto. 19Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? 20Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. 21Non può l'occhio dire alla mano: «Non ho bisogno di te; oppure la testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi. 22Anzi proprio le membra del corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie; 23 e le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggiore decenza, 24mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha disposto il corpo conferendo maggiore onore a ciò che non ne ha, 25perché nel corpo non vi sia divisione, ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre. 26Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. 27 Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra. 28 Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi ci sono i miracoli, quindi il dono delle guarigioni, di assistere, di governare, di parlare varie lingue. 29Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti fanno miracoli? 30Tutti possiedono il dono delle guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le 31 interpretano? Desiderate invece intensamente i carismi più grandi. E allora, vi mostro la via più sublime. Scheda di laboratorio nei gruppi 1. La Chiesa esiste per evangelizzare “Il mandato di evangelizzare tutti gli uomini costituisce la missione essenziale della Chiesa: “Essa esiste per evangelizzare, vale a dire per predicare e insegnare, essere canale del dono di grazia, riconciliare i peccatori con Dio, perpetuare il sacrificio di Cristo nella santa Messa”. Le nostre comunità parrocchiali, nate dall’azione evangelizzatrice, partecipano della stessa missione della Chiesa. Chiamate ad evangelizzare, cominciano con l’evangelizzare sé stesse. Attraverso la predicazione, la celebrazione liturgica, la testimonianza, la parrocchia cresce come comunità cristiana, si fa annuncio di salvezza, trasmette la fede, provoca adesione e conversione al Signore.” (Conferenza episcopale piemontese n. 4 e 5) 2. Cosa significa evangelizzare? “Evangelizzare, per la Chiesa, è portare la buona novella in tutti gli strati dell’umanità e, con il suo influsso, trasformare dal di dentro, rendere nuova l’umanità stessa … La Chiesa evangelizza allorquando, in virtù della sola potenza divina del messaggio che essa proclama, cerca di convertire la coscienza personale e insieme collettiva degli uomini, l’attività nella quale essi sono impegnati, la vita e l’ambiente concreto loro propri. Strati dell’umanità che si trasformano: per la Chiesa non si tratta soltanto di predicare il Vangelo in fasce geografiche sempre più vaste o a popolazioni sempre più estese, ma anche di raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la parola di Dio e con il disegno della salvezza.” (L’evangelizzazione nel mondo contemporaneo n. 18 e 19) 3. Il contenuto dell’evangelizzazione “L’evangelizzazione conterrà sempre anche – come base, centro e insieme vertice del suo dinamismo – una chiara proclamazione che, in Gesù Cristo, figlio di Dio fatto uomo, morto e risuscitato, la salvezza è offerta ad ogni uomo, come dono di grazia e misericordia di Dio stesso.” (L’evangelizzazione nel mondo contemporaneo n. 27) “La Chiesa può affrontare il compito dell’evangelizzazione solo ponendosi, anzitutto e sempre, di fronte a Gesù Cristo, parola di Dio fatta carne. Egli è la grande sorpresa di Dio, colui che all’origine della nostra fede e che nella sua vita ci ha lasciato un esempio, affinché camminassimo sulle sue tracce. Solo il continuo e rinnovato ascolto del verbo della vita, solo la contemplazione costante del suo volto permetteranno ancora una volta alla Chiesa di comprendere chi è il Dio vivo e vero, ma anche chi è l’uomo.” (Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia n. 10) “Nella vita delle nostre comunità deve esserci un solo desiderio: che tutti conoscano Cristo, che lo scoprano per la prima volta o lo riscoprano se ne hanno perduto memoria; per fare esperienza del suo amore nella fraternità dei suoi discepoli. Una pastorale tesa unicamente alla conservazione della fede e alla cura della comunità cristiana non basta più. È necessaria una pastorale missionaria, che annunci nuovamente il Vangelo , ne sostenga la trasmissione di generazione in generazione.” (Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia n. 1) 4. Il fine dell’evangelizzazione “Con la catechesi, la Chiesa si rivolge a chi è già sul cammino della fede e gli presenta la parola di Dio in adeguata pienezza con tutta longanimità e dottrina, perché, mentre si apre alla grazia divina, maturi in lui la sapienza di Cristo. Educare al pensiero di Cristo , a vedere la storia come Lui, a giudicare la vita come Lui, a scegliere e ad amare come Lui, a sperare come insegna Lui e a vivere in Lui la comunione con il Padre e lo Spirito Santo. In una parola, nutrire e guidare la mentalità di fede: questa è la missione fondamentale di chi fa catechesi a nome della Chiesa.” (Documento di base n. 38) “Non si può più dare per scontato che si sappia chi è Gesù Cristo, che si conosca il Vangelo, che si abbia una qualche esperienza di Chiesa. Vale per fanciulli, ragazzi, giovani e adulti; vale per la nostra gente, e, ovviamente, per tanti immigrati, provenienti da altre culture e religioni. C’è bisogno di un rinnovato primo annuncio della fede … Per l’evangelizzazione è essenziale la comunicazione della fede da credente a credente, da persona a persona. Ricordare a ogni cristiano questo compito e prepararlo ad esso è oggi un dovere primario della parrocchia, in particolare educando all’ascolto della Parola di Dio, con l’assidua lettura della Bibbia nella fede della Chiesa”. (Il volto missionario delle parrocchie in un mendo che cambia n. 6) “Per questo, ci sembra importante che la comunità sia coraggiosamente aiutata a maturare una fede adulta, pensata, capace di tenere insieme i vari aspetti della vita facendo unità di tutto in Cristo. Solo così i cristiani saranno capaci di vivere nel quotidiano, nel feriale – fatto di famiglia, lavoro, studio, tempo libero – la sequela del Signore, fino a rendere conto della speranza che li abita.(cfr. I Pt, 3, 15) A questo obiettivo di maturità della fede avendo considerazione delle diverse età, cercando di fare unità tra ascolto, celebrazione ed esperienza testimoniale di fede tende il progetto catechistico delle nostre chiese.” (Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia n. 50) Due Relazioni dai gruppi di lavoro: Una: Nelle nostre comunità i gruppi tendono a divedersi e a non "suonare assieme". UNITA PASTORALE: ogni realtà parrocchiale è uno strumento con una sua melodia, ma che può suonare assieme agli altri una musica comune (la Pastorale). Serve una guida, un direttore d'orchestra, che trovi il giusto tempo, spazio, ruolo ad ogni nota. Nell'orchestra, se uno strumento STONA, non si sente... se nella comunità è così, ci si aiuta, si creano legami a lungo termine e si superano le difficoltà e i LIMITI personali, perchè ognuno di noi ha DOTI da mettere in gioco, ma anche limiti (siamo lungi dalla perfezione). La musica che suoniamo, come il PROFUMO, si farà ricordare, rimarrà di sottofondo nelle nostre vite e in quelle di chi l'ascolterà. Ogni nota ha esattamente la stessa importanza all'interno dello spartito. Due: L’Orchestra della Chiesa suona una musica bellissima se ognuno suona uno strumento e si accorda prima per essere in armonia: ognuno ha il SUO posto e tutti devono essere apprezzati. Il catechista è una NOTA che ha il suo posto sullo spartito e non si preoccupa di fare TROPPE COSE, ma di suonare bene la SUA NOTA. Il compito del catechista è di far trovare ai ragazzi e ai genitori il LORO POSTO sul pentagramma. Deve cercare di cantare “in coro” per poter coinvolgere gli altri nel “canto” missionario della Chiesa. Il catechista si deve chiedere: “dove devo stare?” Deve cantare e suonare senza sovrastare gli altri e nemmeno nascondersi per evitare di essere notato (paragone con gli orchestrali). Fare Comunità significa essenzialmente “volersi bene” e riconoscere un Direttore d’Orchestra, che è Dio, accogliere la sua chiamata con gratitudine e umiltà, rispettare e valorizzare quella degli altri. Occorre una grande collaborazione reciproca per fare “buona musica”. Ogni gruppo sceglie dal libretto dei canti “Nella casa del Padre” il canto che più rappresenta l’esperienza di ESSERE CHIESA, secondo i componenti del gruppo, e lo canta: Siamo arrivati da mille strade – Esci dalla tua terra - Andate per le strade – Chiesa di Dio ad esempio. Preghiera finale Essere Chiesa Padre, ti ringrazio di essere chiesa, di appartenere ad una comunità, alla tua chiesa. È la comunità di quanti credono in te, di quanti si radunano nel tuo nome, è la comunità di quanti vivono nella tua attesa. Mi chiami ad essere chiesa, essa è forte se spera essa è vera se ama, essa è santa se ognuno è santo. Essere chiesa è esistere per gli altri, incontrarti negli uomini, pregarti con essi, dare ragione della propria speranza. Nella chiesa è la tua parola, la parola che salva, che mi dà conforto, se abbattuto, mi rende sereno, se triste, mi fa forte, se debole, mi perdona, se ho peccato, mi dà coraggio, se ho paura. Dacci una chiesa che pensi come pensi tu, che operi come vuoi tu, che viva come hai insegnato tu, che ami come hai amato tu. Aiutami ad essere chiesa, ad avere molte cose da pensare assieme, da imparare assieme, da fare assieme. Perdona il mio modo di essere chiesa e purifica il mio modo di restare in essa Vito Morelli, Appuntamento con Dio Quarta serata: Catechisti si diventa. Scarpette e tutù da danza. Un’insegnante di danza classica mostra le scarpette da punta ed un tutù, spiega alcuni movimenti basilari, ripetuti insieme a tutti i partecipanti. Si fa esperienza della difficoltà di chi comincia, della fatica fisica e psicologica, della necessità di motivazione e di disciplina. Si termina con una “simulazione” di alcuni passi a suon di musica. Allenamento costante Orecchio per la musica Irradiare la Bellezza «Nel contesto del nostro mondo occidentale, caratterizzato da demotivazioni e stanchezze afferma il cardinal Martini - … che cosa ci può dare un colpo d’ala, un cambiamento di marcia, un orizzonte di gioia e di speranza? Non basta deplorare e denunciare le brutture del nostro mondo. Non basta neppure per la nostra epoca disincantata parlare di giustizia, di doveri, di bene comune, di programmi pastorali, di esigenze evangeliche … Bisogna irradiare la bellezza di ciò che è vero e giusto nella vita, perché solo questa bellezza rapisce veramente i cuori e li rivolge a Dio». Spesso la vita di fede è stata concepita come l’osservanza di alcuni obblighi, mentre è dono dello Spirito, rappresentato biblicamente con immagini vive: fuoco, acqua, vento, dono che gratuitamente si riceve e solo gratuitamente si offre. La Chiesa, attraverso l’arte, può rendere non solo percepibile, ma anche affascinante il mondo dell’invisibile. La bellezza, infatti, come sostiene Giovanni Paolo II: «è richiamo al trascendente. È invito a gustare la vita e a sognare il futuro. Per questo la bellezza delle cose create non può appagare, e suscita quell’arcana nostalgia di Dio che un innamorato del bello come sant’Agostino ha saputo interpretare con accenti ineguagliabili: “Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato!” ». Nell’ambito di questa ricerca del Bello con la B maiuscola, nel tentativo di rendere in qualche modo visibile la realtà futura del paradiso, la sua armonia e la sua gioia, anche la danza sacra riveste un ruolo determinante, come autentica forma di trasfigurazione dell’uomo, come apertura al trascendente, come proposta di preghiera contemplativa. Aver ben presente la coreografia Trasmettere con leggerezza il sentimento, con il gesto più che con le parole Ci viene chiesto di metterci in gioco, di “ danzare di fronte a Dio, come Davide, senza temere di vergognarsi, ma con l’attiva partecipazione dell’anima e del corpo”, di essere noi stessi LABORATORIO. La danza sacra nel mondo biblico Presso gli Ebrei la danza è una viva manifestazione della vitalità, dell’esultanza e della festa di un popolo, che vive i rapporti in modo naturale, in cui tutte le dimensioni umane sono perfettamente integrate: istinti, mente, cuore, spirito. Nelle feste più importanti d’Israele la danza riveste un ruolo determinante. Nella storia della Chiesa Non abbiamo documenti che attestino, nei primi secoli, la presenza della danza nelle celebrazioni liturgiche, sappiamo, però, che era utilizzata nei riti di alcune sette ed in occasione di determinate feste, in onore dei santi martiri. I Padri della Chiesa esprimono, attraverso l’immagine della danza celeste ed il ricorso al commento di alcuni brani biblici, la realtà del paradiso ed invitano i fedeli a tendere verso la loro destinazione futura, danzando nello Spirito. (1) Tra essi Ambrogio afferma che il vero cristiano può danzare di fronte a Dio, come Davide, senza temere di vergognarsi, ma con l’attiva partecipazione dell’anima e del corpo. Nell’opera dei gesuiti, e dei francescani, inoltre, la danza riveste una funzione educativa o didattica, come forma di rappresentazione della fede. Alcune nuove esperienze In India esiste una tradizione millenaria di danza sacra che in antichità era parte integrante del rituale del tempio. Attualmente nel mondo cattolico si sta cercando di conservare il patrimonio della danza sacra classica, come forma d’evangelizzazione e di recuperare l’esperienza più vivace delle danze d’origine tribale. La cultura africana considera la corporeità il luogo che consente di entrare in comunione col mondo circostante e col soprannaturale, attraverso la danza, perciò, l’africano manifesta la propria appartenenza alla comunità ed il proprio senso religioso. La danza, pertanto è entrata a far parte anche della liturgia, come compare ufficialmente dal Messale romano per le diocesi del Congo. Secondo la struttura della liturgia eucaristica la danza è ammessa al Gloria e alla presentazione dei doni. I fedeli possono, inoltre, accompagnare con movimenti ritmici anche il canto d’ingresso e quello finale. La danza meditativa La danza meditativa ideata da Gazelle all’interno della comunità dell’Arca di Lanza del Vasto e realizzata su canto gregoriano, approfondisce la dimensione sacrale delle danze popolari e, attraverso l’ascolto orante del canto gregoriano, realizza una forma totalmente nuova di danza sacra dallo stile sobrio, che consiste nell’imprimere la Parola su di sé, e nel conservare uno stato di autentica preghiera, come riposo sul canto ed abbandono fiducioso nel Signore. La sua danza meditativa rappresenta, perciò, una valida sintesi culturale tra la spiritualità del gregoriano ed il patrimonio gestuale delle danze europee e mediterranee, purificato secondo criteri universali di tecnica di danza sacra. Essa, infatti, è autenticamente danza, vale a dire movimento ritmico, secondo una sequenza musicale, non semplice espressione corporea. È arte perché corrisponde a delle leggi di stile e d’equilibrio. È popolare, cioè viva e ricca di significati esistenziali, non prettamente tecnica ed artificiale come può essere la danza classica. È sacra perché si svolge nello spazio e nel tempo sacro, in modo simbolico, e perché è concepita esclusivamente come forma di preghiera sul canto sacro. È ecclesiale perché nasce da un’autentica esperienza di fede e d’ubbidienza all’interno di una comunità con una regola ben precisa. È spirituale perché idonea ad esprimere liberamente la lode a Dio attraverso il corpo. Ed infine è liturgica perché, rispettando la spiritualità del canto gregoriano, canto proprio della Chiesa, può essere utilizzata in un contesto liturgico. Scheda di laboratorio nei gruppi 1. “Perseveranti nella formazione” “La preparazione dei futuri catechisti è responsabilità primaria della comunità cristiana ed è un dovere morale degli interessati. Anche se protratta per più anni essa è sempre incompleta. Chi è accolto tra i catechisti ed inizia il suo servizio è consapevole dei suoi limiti e avverte la necessità di coltivare la sua formazione mai pienamente esaurita. In primo luogo ogni catechista è chiamato a consolidare la sua vita di credente, l’appartenenza alla Chiesa e le motivazioni del suo servizio al Vangelo. Con risposta alla responsabilità assunta, ha il dovere di approfondire la formazione biblica - teologica, finalizzata ad una sintesi dell’annuncio che deve trasmettere. Così pure ha il compito di acquisire gli elementi essenziali delle psicologia e delle scienze sociali per meglio conoscere l’uomo nel suo contesto. Nello stesso tempo il catechista si impegna ad affinare la sua formazione pedagogica e la sua capacità educativa per rendersi sempre più idoneo a rispondere alle domande religiose, a programmare adeguato percorsi catechistici, ad attivare opportuni processi di apprendimento, ad animare il gruppo, soprattutto a trasmettere efficacemente il messaggio cristiano capace di interpellare e penetrare il modo di pensare e di sentire dei catechizzanti.” (“I catechisti collaboratori di Dio… Conferenza Episcopale piemontese” n. 55 e 56). 2. La comunità parrocchiale mezzo fondamentale per la formazione. “Nonostante le sue trasformazioni, la parrocchia resta un punto capitale di riferimento per il popolo cristiano, in modo particolare per i catechisti. La comunità parrocchiale è l’ambito ordinario dove i catechisti hanno maturato la loro vocazione ecclesiale e trovano sostegno al loro servizio catechistico, e il luogo privilegiato di crescita nella fede e di sviluppo della loro missione educativa. L’attiva partecipazione dei catechisti alla vita ecclesiale della propria parrocchia resta, pertanto, la prima e principale via di maturazione cristiana e di permanente formazione catechistica. L’educazione della fede, oltre il primato dell’azione di Dio, chiama in causa l’abilità pedagogica del catechista e la sua arte comunicativa che si acquisiscono con gradualità. Nella maturazione della capacità educativa il catechista non può esser lasciato solo. Egli deve poter trovare nella propria comunità parrocchiale opportunità ed iniziative concrete per imparare a programmare, per valutare criticamente la sua esperienza di catechesi e rivedere la propria relazione educativa, per perfezionare la sua trasmissione della parola e la capacità di animare un gruppo.” (“I catechisti collaboratori di Dio… Conferenza Episcopale piemontese” n. 58 e 61) 3. Il gruppo dei catechisti. “Il gruppo dei catechisti ha un indiscutibile valore pastorale. È una concreta e proficua esperienza ecclesiale di fraternità, di condivisione della parola di Dio, di mutuo ascolto e di reciproco sostegno spirituale ed umano. Arricchisce i catechisti e diventa esemplare nella parrocchia. Nello stesso tempo la vita di gruppo, caratterizzata da un clima di dialogo e di fraternità, aiuta a superare possibili tensioni e contrasti e favorisce un utile scambio di esperienze… Come spazio e palestra di formazione, il gruppo dei catechisti ha una triplice finalità. È incontro di crescita spirituale: grazie ad una progressiva familiarità con la parola di Dio e la preghiera comune i catechisti rafforzano la loro fede ed adesione al Signore… È luogo specifico di maturazione biblica, teologica ed antropologica attraverso l’approfondimento di temi utili al loro compito ed alla loro responsabilità educativa È esperienza comunitaria di formazione nella competenza catechistica e nell’arte educativa…” (“I catechisti collaboratori di Dio… Conferenza Episcopale piemontese” n.71 e 72) 4. Il metodo del laboratorio. “I metodi possibili al servizio della formazione sono molti. Si vuole ora indicare un modo concreto di gestire la formazione dei catechisti dell’iniziazione cristiana, ma anche ciò che essi stessi sapranno attuare con i destinatari. Si tratta del modello laboratorio. I termine è entrato prepotentemente in questi ultimi anni nel linguaggio formativo. La caratteristica principale del laboratorio è quella di produrre farcendo, sperimentando, e di assumere l’esistenza e il vissuto dei partecipanti come luogo di ricerca, di analisi e di intervento.. In sede di formazione diventa qualificante l’apprendimento realizzato secondo la formula del laboratorio: non si tratta solo di modalità formativa, ma ha in se elementi importanti per realizzare cammini adeguati al cambiamento delle persone. In proposito vanno richiamate alcune acquisizioni: Il laboratorio è una bottega-scuola dove si impara facendo; invece della tradizionale aula (per l’insegnamento), si ha l’esperienza cantiere (per sperimentazione attiva) Fa parte del modello laboratorio curare la creazione di un gruppo di attuazione capace di valorizzare le motivazioni e l’orientamento in vista di un servizio che si vuole qualificato È proprio del laboratorio la ricerca e l’approccio alle esperienze più significative per riformulare proposte realizzabili Rientra anche nella strategia del laboratorio il lavoro di accompagnamento da parte dell’equipe degli operatori durate il percorso per fare interagire da subito teoria e prassi.” (“La formazione dei catechisti” n.37 e 39) Due Relazioni dai gruppi di lavoro: Una: Noi dobbiamo avere presente la coreografia e la musica che andremo a mettere in scena durante i nostri incontri di catechismo, e sentiamo la necessità di essere molto preparate. I nostri incontri maturano di volta in volta, nel senso che uno stesso argomento trattato, se riproposto dalle stesse persone, viene vissuto in modo diverso. Non sempre siamo disponibili a dare se non ci viene chiesto espressamente, mentre in alcune situazioni bisogna trovare le motivazioni a spingerci oltre. Preparare i vari incontri insieme è molto importante. Siamo un gruppo e non guardiamo solo il nostro singolo gruppetto o i nostri bambini, ma i bambini di tutte le catechiste. Due: Educare i ragazzi e noi stessi alla disciplina, al silenzio, all’ascolto (così come si fa quando si impara a ballare). Il gruppo delle catechiste è il riferimento importante per chi “insegna a ballare”. E’ essenziale fare gruppo per poi far passare le NOZIONI attraverso le EMOZIONI: la disciplina non è intesa in senso “militare” ma è impegno, serietà, coerenza. Il modello “Laboratorio” può essere applicato anche agli incontri con i genitori per evitare la similitudine con gli incontri “scolastici”. Occorre avere ben presente “la coreografia” ovvero ciò che dice la Chiesa e le Scritture (la musica) per trasmettere coerentemente il Messaggio. I ragazzi sono “di tutti”, perciò sono il PATRIMONIO che dobbiamo custodire con amore, rappresentano il futuro e la prossima Chiesa. Dovrebbe esserci un efficace collegamento tra catechesi e gruppi giovani e animatori, cosa che avviene raramente. Occorre evitare la scolarizzazione della catechesi, sganciarsi dai “tempi” scolastici, avviare al concetto di “percorso” e non “corso”. La “coreografia” va adattata ai “ballerini” in quanto diversi in età, formazione, capacità. Bisogna imparare dei propri errori, prendere consapevolezza delle necessità altrui e cercare di migliorare sempre qualcosa. E’ importante aggiornarsi e imparare ad usare i nuovi mezzi di comunicazione e nuovi metodi mantenendo intatto il Messaggio da trasmettere. Preghiera finale Il ballo dell'obbedienza (…) Io penso che tu forse ne abbia abbastanza della gente che, sempre, parla di servirti col piglio da condottiero, di conoscerti con aria da professore, di raggiungerti con regole sportive, di amarti come si ama in un matrimonio invecchiato. (…) Per essere un buon danzatore, con te come con tutti, non occorre sapere dove la danza conduce. Basta seguire, essere gioioso, essere leggero, e soprattutto non essere rigido. Non occorre chiederti spiegazioni sui passi che ti piace di segnare. Bisogna essere come un prolungamento, vivo ed agile, di te. E ricevere da te la trasmissione del ritmo che l'orchestra scandisce. Non bisogna volere avanzare a tutti i costi, ma accettare di tornare indietro, di andare di fianco. Bisogna saper fermarsi e saper scivolare invece di camminare. Ma non sarebbero che passi da stupidi se la musica non ne facesse un'armonia. Ma noi dimentichiamo la musica del tuo Spirito, e facciamo della nostra vita un esercizio di ginnastica: dimentichiamo che fra le tue braccia la vita è danza, che la tua Santa Volontà è di una inconcepibile fantasia, e che non c'è monotonia e noia se non per le anime vecchie, tappezzeria nel ballo di gioia che è il tuo amore. Signore, vieni ad invitarci. Siamo pronti a danzarti questa corsa che dobbiamo fare, questi conti, il pranzo da preparare, questa veglia in cui avremo sonno. Siamo pronti a danzarti la danza del lavoro, quella del caldo, e quella del freddo, più tardi. Se certe melodie sono spesso in minore, non ti diremo che sono tristi; Se altre ci fanno un poco ansimare, non ti diremo che sono logoranti. E se qualcuno per strada ci urta, gli sorrideremo: anche questo è danza. Signore, insegnaci il posto che tiene, nel romanzo eterno avviato fra te e noi, il ballo della nostra obbedienza. Rivelaci la grande orchestra dei tuoi disegni: in essa, quel che tu permetti dà suoni strani nella serenità di quel che tu vuoi. Insegnaci a indossare ogni giorno la nostra condizione umana come un vestito da ballo, che ci farà amare di te tutti i particolari. Come indispensabili gioielli. Facci vivere la nostra vita, non come un giuoco di scacchi dove tutto è calcolato, non come una partita dove tutto è difficile, non come un teorema che ci rompa il capo, ma come una festa senza fine dove il tuo incontro si rinnovella, come un ballo, come una danza, fra le braccia della tua grazia, nella musica che riempie l'universo d'amore. Signore, vieni ad invitarci. Madeleine Delbrel L’équipe di catechesi d’iniziazione cristiana delle 4 Parrocchie di Rivoli Centro: don Angiolino, Anna, Carlotta, Felicetta, Maria, Marilena, Paola, Raffaella, Rosa.