Corso di formazione per catechisti 2012
La proposta formativa si avvale di un lavoro in équipe di
programmazione, attuazione e verifica a cura di don Angiolino Cobelli e delle
rappresentanti dei catechisti delle 4 Parrocchie di Rivoli Centro. Si è scelto il modello del
laboratorio: ogni serata del Corso è stata scandita in 3 fasi, ovvero la fase proiettiva, la fase
di analisi e la fase di riappropriazione.
La fase proiettiva ha posto i partecipanti (circa 50) in condizione di rileggere la loro
esperienza, attraverso l’utilizzo di oggetti simbolici, musica, profumi, danza, lettura di brani
delle Scritture, di poesie, di riflessioni d’autore.
La fase di analisi o approfondimento si è svolta attraverso il lavoro di gruppo guidato, con
una traccia contenente i riferimenti ai documenti della Chiesa, da collegare ai simboli e
all’esperienza della fase precedente.
La fase di riespressione o riappropriazione è avvenuta in modo collegiale, con una breve
relazione di un segretario per ogni gruppo e una rilettura sintetica a cura di don Angiolino.
La preghiera conclusiva ha permesso di raccogliere le riflessioni più spirituali e di
consegnarle al Signore.
Questo tipo di formazione ha consentito di curare l’essere del catechista, privilegiando
l’identità e il saper essere sul saper fare. Ogni catechista ha sperimentato su di sé un
modello formativo che ora può proporre ai genitori negli incontri pomeridiani o serali e, in
forma semplificata e adeguata, anche ai bambini e ai ragazzi.
Abbiamo ancora in programma un incontro di quasi due giorni, con invito esteso a tutti i
catechisti della Pastorale battesimale e dell’Iniziazione Cristiana delle Parrocchie che
hanno già aderito al Corso e, si auspica, anche delle altre dell’Unità Pastorale:
Ritiro di 2 giorni
sabato 9 (pomeriggio) e
domenica 10 febbraio 2013
presso la Certosa di Avigliana
con don Michele Roselli (direttore
dell’Ufficio Catechistico Diocesano)
e don Angiolino Cobelli
Prima serata: Essere catechisti.
La nostra identità.
Specchio e orologio.
Riflettere seriamente sul tempo, sullo scorrere
del tempo, sul fatto che la nostra vita sia come
distesa dentro al passare del tempo: in una
parola sulla temporalità della nostra vita. E’ una
riflessione che ci fa entrare dentro al senso della
nostra vita non attraverso una porta di servizio,
ma attraverso una delle porte principali.
Uno specchio e un orologio vengono posti al
centro del salone. Un brainstorming stimola
la riflessione iniziale.
Ogni tanto bisogna prendersi del tempo, come la
mattina prima di uscire si dà uno sguardo allo
specchio per vedere se è… tutto a posto, così
ogni tanto bisogna fermarsi per riflettere su noi
stessi, bisogna guardarsi allo specchio.
Lo specchio non mente, ma ci rimanda
esattamente l’immagine reale di noi stessi, non ci
fa vedere alti se siamo bassi, giovani se siamo
vecchi.
Invece, a volte leggiamo un’immagine distorta
di noi stessi: proiettiamo il come ci sentiamo, il
come crediamo di essere e non il come siamo.
Lo specchio è testimone dei cambiamenti.
Se non ci fermiamo alla prima impressione,
attraverso quella immagine riflessa possiamo
scavare più a fondo: ci rimanda al detto “gli occhi
sono lo specchio dell’anima”. E allora: “Come sta
la nostra anima?”, “Come sto io, con gli altri, con
me stesso, con Dio?”.
La domanda sul senso del tempo coincide infatti
con la domanda sul senso della vita.
Molte volte si sente dire: “non pensare al
domani, vivi l’oggi”. La filosofia moderna impone
di vivere sempre e solo l’istante presente, senza
darsi pensiero del futuro e cercando di
dimenticare il passato.
Una tale impostazione esistenziale, un tale "stile
di vita" impedisce alla persona di vivere la propria
esistenza come storia.
Che cosa significa vivere la propria esistenza
come storia? Partiamo da una esemplificazione
molto semplice. Che cosa distingue uno scritto
qualsiasi da un racconto vero e proprio? Il
racconto ha una trama, cioè un susseguirsi
ordinato di episodi che, collegandosi l’uno
all’altro, conducono il lettore verso una
conclusione che in qualche modo deriva da tutto
ciò che precede. Ovvero: esiste una coerenza
interiore nel racconto; questa coerenza è data da
un filo conduttore; la narrazione va verso la
conclusione. Dunque abbiamo individuato
almeno tre elementi che costituiscono la
narrazione di una storia: coerenza - sviluppo conclusione.
Analogamente accade nella vita. Se la nostra vita
è la somma di tanti istanti slegati fra loro, se la
nostra vita manca al suo interno di un "filo
conduttore"; se lo scorrere del tempo non va
verso nessun fine, non ha alcuna direzione, la vita
della persona è "sconclusionata".
Scheda di laboratorio nei gruppi
1. Chiarire cosa si intende per formazione
L’accento è posto sull’essere catechista e non tanto sul fare il catechista.
“Essere significa che la persona va accompagnata nel prendere coscienza della propria personalità
umana, spirituale e morale, sociale e comunitaria al fine di discernere il bene-essere e poter benefare. L’educazione deve partire dalla verità sull’uomo, dall’affermazione della sua dignità e dalla sua
vocazione trascendente.”
(Num.2.5 - Educare alla vita buona del Vangelo)
2. C’è bisogno di formazione?
“Prima di offrire indicazioni sul modo e i metodi della formazione, è urgente ribadire la necessità,
nelle nostre comunità ecclesiali, di dare più posto e più importanza alla formazione dei catechisti,
troppo spesso trascurata e sottovalutata.”
“Gli strumenti di lavoro non possono essere veramente efficaci se non saranno utilizzati da
catechisti ben formati. Pertanto, l’adeguata formazione dei catechisti non può essere trascurata in
favore dell’aggiornamento dei testi e di una migliore organizzazione della catechesi.”
(Num.36 - La formazione dei catechisti)
“Chi è accolto tra i catechisti e inizia il suo servizio, è consapevole dei suoi limiti e avverte la
necessità di coltivare la sua formazione, mai pienamente esaurita.”
(Num. 55 - Conferenza episcopale piemontese)
“In primo luogo ogni catechista è chiamato a consolidare la sua vita di credente, l’appartenenza alla
Chiesa e le motivazioni del suo servizio al Vangelo.”
(Num. 56 - Conferenza episcopale piemontese)
“La formazione permanente e progressiva dei catechisti, che svolgono il loro servizio nella comunità
parrocchiale ha carattere proprio ed originale. Essa ha come finalità la crescita integrale della
personalità cristiana del catechista: forma unitariamente il credente e l’educatore della fede.”
(Num. 57 - Conferenza episcopale piemontese)
3. Chi e come si forma?
“L’esperienza catechistica moderna conferma ancora una volta che prima sono i catechisti e poi i
catechismi; anzi, prima ancora, sono le comunità ecclesiali. Infatti come non è concepibile una
comunità cristiana senza una buona catechesi, così non è pensabile una buona catechesi senza la
partecipazione dell’intera comunità.”
(Num. 200 - Documento di base)
“In particolare sono da valorizzare alcune esperienze essenziali:
- esperienza della parola di Dio: è il fondamento e la radice della comunità..
- esperienza della celebrazione: essa si compie con diverse modalità (liturgia della Parola, della
riconciliazione,…)…
- esperienza di fraternità e di comunione: attraverso di essa si esperimenta la bontà e la bellezza di
essere cristiani insieme …
- esperienza della testimonianza nella carità e nel servizio: l’amore è il movente della missione ed è
anche l’unico criterio secondo cui il cristiano agisce … “
(Num. 7 - La formazione dei catechisti)
“Primo e permanente luogo di formazione resta la comunità parrocchiale. Oltre alla partecipazione
alla vita ecclesiale, occorre che il futuro catechista sia preparato alla sua missione attraverso una
specifica formazione finalizzata sia allo sviluppo della sua fede e vita cristiana, sia all’acquisizione di
una competenza catechistica. Opportunamente il Direttorio generale per la catechesi sintetizza la
formazione del catechista in tre dimensioni:
- sviluppare l’essere del catechista come credente e apostolo
- promuovere il sapere riferito al messaggio cristiano e al destinatario
- far acquisire il saper fare poiché la catechesi è un atto di comunicazione.”
(Num. 49 - Conferenza episcopale piemontese)
4. Quali sono le tue aspettative?
Due Relazioni dai gruppi di lavoro:
Una:
Il giorno in cui ho l’incontro di catechismo, mi guardo allo specchio e dico: “Vado a
raccontare una bella notizia, ma la vivo? E come?”
Alcune volte lo specchio mi rimanda immagini belle, altre volte immagini da migliorare
Lo specchio e l’orologio hanno una doppia vita entrambi: il tempo può essere segno di
frenesia, ma mi regala un’ora di tempo con i miei ragazzi; lo specchio può rimandare
immagini che non ci piacciono, ma io non sono solo quello che vedo
Il tempo come esperienza del passato mi permette di migliorare, di correggermi. Il tempo ti
forma e ti dà la possibilità di formarti, di prenderti del tempo per formarti.
Quando vivi una determinata esperienza, porti la tua testimonianza, diventi testimone di
quello che sei, di quello che vivi. Non è trasmissione di teoria, imposizione di idee, ma
lavoro insieme agli altri con la propria testimonianza.
Anche nell’uso di materiale, testi… sei testimone, per cui la formazione deve essere anche a
livello pratico con l’esperienza e il confronto
Confrontarsi con altri diventa crescita personale.
L’orologio è segno di tempo che passa, di crescita continua, di modifica di sé stessi.
Il tempo come misura è uguale per tutti, ma non c’è un orologio uguale all’altro; anche gli
uomini sono simili, i cammini di fede sono simili, ma non uguali, alcuni sono avanti, altri
indietro, altri su una strada parallela… tutti in cammino con tempi diversi
Il catechista è testimone di una comunità e in una comunità.
Non si può essere catechisti-battitori liberi.
La comunità deve essere specchio per il catechista e il catechista specchio per la comunità.
Due: Il nostro punto di partenza è stata l’affermazione che non basta “vivere nell’oggi” se
perdiamo il riferimento con il nostro passato (le radici) e senza uno sguardo al futuro. È il
cammino che dà senso al nostro presente, soprattutto come catechisti. Anche perché la
formazione ci accompagna per tutta la vita, cambiando perché noi stessi cambiamo man mano che
passa il tempo. Abbiamo condiviso alcune esperienze vissute: se faccio una lista dei motivi per cui
non mi piace “fare” catechismo, riempio due pagine, ma se penso a quanto è bello “essere”
catechista, questo cancella le due pagine. La domanda allora non è “che catechismo faccio”, ma
“che catechista sono”?
Quelli tra di noi che sono catechisti da più anni hanno condiviso l’esperienza di essere passati dal
“devo dire e fare tutto e tanto nell’ora di catechismo, mannaggia quanto è corta!” al “ho un’ora di
tempo per stare con i ragazzi e i genitori, per ascoltarli, per parlare con loro, per coltivare i nostri
rapporti” e pazienza se non riesco a “svolgere” il programma.
Esistono anche le difficoltà: la pazienza di accettare i genitori che sono preoccupati solo di quando
ci sarà la prima comunione, o che chiedono di tenere anche il fratellino mentre vanno a fare la
spesa… ma ci sono anche i momenti belli, ad es.: mentre i ragazzi fanno merenda, fermarsi con i
genitori o i nonni e parlare con loro, partecipando alla loro vita.
È bello pensare che quello che offro passa soprattutto attraverso il sorriso e uno sguardo buono,
accogliente, che si fa carico dei problemi che vivono oggi le nostre famiglie, senza pregiudizi,
cercando di mettermi al fianco degli altri, come compagno di cammino.
ogni giorno un po’ di più,
Preghiera finale
Amami così come sei
Figlio mio, dice il Signore
conosco la tua miseria, le lotte
e le sofferenze del tuo animo;
perché ti ho creato per amare.
Ama,
e l'amore ti farà fare tutto il resto
senza che nemmeno te ne accorga.
Cerca, come meglio puoi,
la debolezza e le malattie del tuo corpo.
di riempire il presente con il tuo amore.
Conosco le tue vigliaccherie,
Oggi mi fermo alla porta del tuo cuore
le tue cadute e i tuoi peccati,
come un mendicante,
ma ti dico ugualmente:
dammi il tuo cuore,
amami così come sei!
io, il Signore,
busso e attendo.
Se aspetti di essere Santo
Affrettati ad aprirmi
per abbandonarti all'amore,
Amami così come sei!
non mi amerai mai.
La sola cosa che potrebbe ferirmi,
Amami così come sei ad ogni istante
sarebbe vederti dubitare del mio amore,
e qualunque sia la situazione in cui ti trovi,
vederti non aver fiducia in me...
nel fervore o nell’aridità,
nella fedeltà o nell’infedeltà.
Amami così come sei.
Figlio mio, lascia che io ti ami.
Io voglio il tuo cuore.
certo penso di perfezionarlo, ma, nel frattempo,
io ti amo così come sei!
Mi auguro soltanto che tu faccia altrettanto.
Ciò che mi interessa è il canto del tuo cuore,
la tua buona volontà di amarmi così come sei,
Se tu dovrai soffrire, io ti darò la forza necessaria;
se tu dovrai lottare, io sarò accanto a te.
Tu dammi il tuo cuore:
in tutto ciò che vivi,
e allora ti concederò di amare
più di quanto possa immaginare.
Mons. Lebrun
Seconda serata: I catechisti sono
testimoni.
Boccetta di profumo e incenso
bruciato nell’ambiente.
Il laboratorio inizia nel silenzio e nella
penombra. Bastoncini di incenso profumato
bruciano al centro del salone, accanto ad
una boccetta di profumo.
Il profumo è in grado di aprire lo scrigno dei
ricordi.
Il profumo crea stimoli.
Il profumo, se è buono, non è invadente, non
ruba spazio, ma allo stesso tempo è in grado di
arrivare dappertutto.
Poesia:
Profumo di fiori,
di erba bagnata da poco,
di terra appena umida.
Profumo di aria pulita
Di spazi limpidi e chiari
Di cieli azzurri e profondi.
Profumo di cose genuine,
di prati verdeggianti al sole
di una natura ancora intatta
Relazione di Padre Giovanni Roncari,
docente di storia della Chiesa
L'incenso è uno dei tanti segni che la liturgia usa
per esprimere dei messaggi, dei sentimenti,
atteggiamenti spirituali. Questi segni sono tanti:
immagini sacre, paramenti con i loro colori,
atteggiamenti del corpo (in piedi, in ginocchio,
prostrazioni..) luce (candele, cero pasquale..) olio
per le unzioni (crisma, olio degli infermi,
catecumeni) l’acqua, la cenere, il bacio, il segno
della croce e della pace ecc.. l’elenco è lungo, ma
molto interessante per penetrare il senso
profondo della liturgia, che parla attraverso gestisegni-simboli. Del resto anche nella vita ordinaria,
l’uomo si esprime attraverso simboli e segni per
poter comunicare sia con gli altri e sia anche con
se stesso. Basti pensare ai simboli della vita
quotidiana, ai riti collettivi e individuali che
caratterizzano la nostra società.
L’incenso non è sicuramente uno dei segni più
importanti della liturgia, tuttavia ha una sua
storia e un suo significato. Simboleggia la
preghiera e la venerazione verso Dio e anche
l’onore reso alla persona ritenuta importante, in
un’ atmosfera resa piacevole dal suo profumo.
Nel tempio di Gerusalemme vi era l’altare
dell’incenso o dei profumi, simbolo della
preghiera che sale a Dio (Esodo 30). Zaccaria, il
padre di Giovanni Battista «officiava davanti al
Signore... gli toccò in sorte di entrare nel tempio
per fare l’offerta dell’incenso» (Luca 1,8).
Il profeta Isaia (60,6) annuncia che «tutti
verranno da Saba, portando oro e incenso»,
parole che Matteo (2,11) vede compiersi nei doni
offerti a Gesù bambino dai Magi. Nei salmi spesso
la preghiera e la lode al Signore vengono
paragonati al profumo d’incenso che sale verso
l’alto: «come incenso salga a te la mia preghiera»
(salmo 140)
… … profumo di tenerezza.
Nonostante questi significativi precedenti biblici, i
primi cristiani guardarono l’incenso con un certo
sospetto, perché molto legato con il culto pagano
agli dei e all’imperatore. Anzi, l’offerta
dell’incenso all’imperatore o ad un idolo pagano
all’imperatore Traiano, intorno al 110 d.C., il
primo documento non cristiano che parla dei
cristiani. Al termine delle persecuzioni, l’incenso,
un po’ in punta di piedi, entra nel culto cristiano
mantenendo sostanzialmente i due significati
presenti sia nell’Antico Testamento, sia nel
mondo pagano. Un modesto esempio, ma non
insignificante, di inculturazione, cioè di rilettura
cristiana di un linguaggio simbolico proveniente
da un mondo non cristiano.
divenne il simbolo stesso dell’apostasia dalla fede
cristiana. È interessante leggere, a questo
proposito, la lettera di Plinio il Giovane
l’assemblea come partecipante al sacerdozio
regale e profetico di Cristo. Nella consacrazione
dell’altare l’incenso viene bruciato sull’altare
stesso, evidente richiamo all’Antico Testamento e
che vuole unire in una unica realtà l’altare e la
mensa. Aggiungiamo ancora un particolare: al
termine della Messa viene incensato il corpo del
defunto per onorarlo come consacrato dal
battesimo e «dalla unzione regale del crisma»
(prefazio della Messa della Cresima)
Anche oggi l’incenso mantiene nella liturgia gli
stessi significati: segno di venerazione e di
preghiera e onore alle persone e alle cose nel
momento della celebrazione. Nella santa Messa si
usa durante la processione d’ingresso, per
incensare l’altare all’inizio e all’offertorio, alla
proclamazione del Vangelo, (venerazione verso il
Maestro) alla elevazione delle Specie Consacrate
(adorazione al Signore presente) ed esprimono la
venerazione e la preghiera. Si incensa il
celebrante come rappresentante di Cristo e tutta
Infine l’incenso richiama l’atteggiamento di
offerta e di sacrificio del credente verso Dio.
Questo atto simbolico per essere vero e non una
vuota cerimonia come spesso lamentano i profeti
nell’Antico Testamento, deve essere segno di un
vero spirito interiore che offre se stesso come
«profumo di soave odore, un sacrificio accetto e
gradito a Dio» (Fil.4,18) per poter camminare
«nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha
amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a
Dio in sacrificio di soave odore» (Ef.5,2).
Scheda di laboratorio nei gruppi
1. “La fisionomia del catechista testimone”
“Nell’assolvimento del loro compito, i catechisti fanno molto più che insegnare una dottrina. Sono
testimoni e partecipi di un mistero, che essi stessi vivono e che comunicano agli altri con amore.
Questo mistero li trascende infinitamente e tuttavia esso si compie anche attraverso la loro azione, che
lo attesta, lo spiega, lo fa rivivere. Nell’adempiere la sua missione, chi fa catechesi nutre profonda
umiltà e ferma fiducia.
Testimone di Cristo Salvatore, ogni catechista deve sentirsi e apparire, lui pure, un salvato: uno che ha
avuto non da sé, ma da Dio, la grazia della fede, e s’impegna ad accoglierla e a comprenderla in un
atteggiamento di umile semplicità e di sempre nuova ricerca. Educatore dei fratelli nella fede, egli è
debitore verso tutti del Vangelo che annunzia; dalla fede e dalla testimonianza di tutti, egli si lascia a
sua volta educare…
Il catechista si caratterizza anzitutto per la sua vocazione e il suo impegno di testimone qualificato di
Cristo e di tutto il mistero di salvezza. Le doti di psicologo, di sociologo, di persuasore, di pedagogista,
che egli s’impegna ad acquistare e coltivare, hanno efficacia, se sono assunte in questa dimensione.
Oltre a conoscere adeguatamente il messaggio che espone, egli ne è segno visibile, mediante la sua
vita. Quanti lo ascoltano, devono poter avvertire che, in certo modo, i suoi occhi hanno visto e le sue
mani hanno toccato; dalla sua stessa esperienza religiosa devono ricevere luce e certezza.
Una concreta coerenza di vita è necessaria al catechista per vedere la fede, prima di proclamarla;
poiché solo chi opera la verità viene alla luce…
La testimonianza della vita è essenziale, nel momento in cui si vuole proclamare e diffondere la fede. È
questa la via per la quale la verità cristiana si fa riconoscere nella Chiesa: attraverso i cristiani in una
testimonianza umana, nella quale risplende la testimonianza di Dio. La vita del catechista è una
manifestazione delle invisibili realtà, alle quali egli richiama i suoi fratelli di fede.”
(“Documento di base” num. 185 e 186)
2. Il testimone racconta
“La prima e fondamentale competenza del catechista è la capacità di annuncio. Il catechista è chiamato
a far percepire che la narrazione dei mirabilia Dei è un ambito vitale che dà unità e coerenza di senso
all’esperienza e favorisce l’identità del soggetto, il quale ascoltando e comunicando ritrova se stesso e
dialoga con Dio e con gli altri nel mondo…
Raccontare è fare l’esperienza di essere convocati all’espressione di una parte della propria esistenza
con la mediazione del racconto. In tal senso il catechista non racconta più una semplice storia, ma
piuttosto l’intima storia della propria vita.
Ogni racconto significativo deve partire dall’interiorità, un’interiorità che per non essere superficiale ha
bisogno di preparazione, in modo da:
Fare proprio il messaggio, approfondirlo, rifletterlo e rianimarlo dall’interno
Scoprire cosa dice a me, su quali realtà mi orienta ed appassiona
Domandarsi che cosa dire e come dire e qual è il centro di quello che si vuole comunicare
Coinvolgere in modo esplicito gli interlocutori nell’esperienza narrata
Abbandonare i linguaggi astratti e utilizzare quelli più simbolici ed evocativi
Sentirsi in sintonia con le inquietudini e le sofferenze dell’uomo di oggi per arrivare al suo cuore”
(“La formazione dei catechisti” num. 28 e 29).
3. Il testimone ha capacità relazionali
“Prima di essere qualcuno/qualcuna che comunica contenuti di fede, il catechista dell’iniziazione
cristiana deve essere una persona capace di creare relazioni positive e profonde. Deve essere convinto,
che nel lavoro d’iniziazione, le relazioni sono decisive anche per l’accoglienza dei contenuti trasmessi.
Il compito dell’evangelizzazione consiste nel contare sui dinamismi culturali attuali e nel mettersi a
servizio dei contenuti della fede.
La proposta catechistica va vissuta come spazio dell’incontro e per questo che il catechista:
Mantiene con i ragazzi e le famiglie un rapporto che sa generare reciprocità educativa…
Crea rapporti liberi e non di dipendenza con i propri destinatari e la catechesi si situa vicino alla vita dei
fanciulli/ragazzi, offrendo loro la possibilità di camminare nella fede…
Vive i rapporti in modo sempre nuovo e non chiude mai la possibilità di altre esperienze evitando
sentimenti di estraneità ed alienazione
Fa spazio alle molteplici risorse di tutti i membri della comunità, specialmente nel dialogo con i genitori
e gli adulti significativi per i fanciulli/ragazzi
Sa lavorare in equipe senza predominare e coinvolge gli adulti nella pastorale catechistica dei fanciulli e
dei ragazzi”.
( “La formazione dei catechisti” num. 26)
Due Relazioni dai gruppi di lavoro:
Una: Partendo dal fatto che per essere catechista devi essere testimone, ci siamo resi conto che
siamo chiamati ad essere testimoni fin dal Battesimo, nessuno escluso: essere catechista è uno dei
modi per testimoniare.
Ovviamente, la testimonianza non è solo quando “fai catechesi” agli altri, ma soprattutto quando
vivi la vita di ogni giorno: famiglia, lavoro …
Ci siamo comunicati a vicenda che oggi la testimonianza la fai più cercando di offrire stimoli per la
riflessione personale, provocazioni perché ognuno possa, liberamente, farsi delle domande e
cercare risposte. Vale molto di più “come” annunci che “quello” che annunci: una verità detta
come una lezione imparata non ha lo stesso peso della verità che viene dal tuo cuore perché l’hai
scoperta e fatta tua.
È importante saper usare, con i bambini come con gli adulti, dei gesti più che delle parole: gesti
che dicano accoglienza, “ti voglio bene”: i gesti parlano un linguaggio universale, anche se devono
rispettare la situazione in cui vive la persona a cui mi rivolgo. Proprio perché siamo sempre in
cammino e siamo sempre diversi, abbiamo bisogno di formarci continuamente, di scavare in
quello che crediamo, anche attraverso le nostre difficoltà di vita.
Ci siamo lasciati alcuni interrogativi:
Siamo capaci di ascoltare i bimbi e i genitori?
Siamo disposti a metterci in gioco? Ad ascoltarli senza catalogarli?
A far trovare la porta del nostro cuore/della nostra comunità aperta?
Due: Avvertiamo l’INADEGUATEZZA DI FONDO, soprattutto dopo aver letto la traccia proposta.
Il catechista dovrebbe comunicare ai ragazzi un profumo, dovrebbe essere quello che fa venire
l’acquolina in bocca. Non dare nozioni, ma metter la curiosità che fa scattare la scintilla …
dovrebbe avere l’UMILTA’, sempre, non solo quando si fa catechismo, ma anche nella vita
quotidiana (lavoro, famiglia, scuola …) … dovrebbe avere un profumo, una fragranza che lo
contraddistingue (ognuno di noi ha , sceglie un suo profumo e spesso viene identificato dagli altri
con quel profumo).
Il cristiano, anche il catechista, deve profumare di CRISTO !!!
Ogni cosa ha un profumo diverso: il profumo infatti identifica la persona. “Quanti lo ascoltano
devono poter avvertire che in certo modo i suoi occhi hanno visto e le sue mani hanno toccato”
nella consapevolezza che “chi è accolto tra i catechisti e inizia il suo servizio è consapevole dei suoi
limiti e avverte la necessità di coltivare la sua formazione mai pienamente esaurita” .
Il profumo rimbalza: spesso ci portiamo a casa il profumo del collega o del luogo dove si sta.
Quando vengono fatte domande imbarazzanti e difficili, queste ci rimandano a riprendere noi
stessi l’argomento per verificare se “abbiamo risposto bene”. Dobbiamo cercare di avere un
linguaggio uguale alle persone: abbandonare un linguaggio astratto per usare quello + simbolico,
+ semplice, + vissuto.
Il Vangelo va INCULTURATO, reso attuale nel vissuto di oggi. E’ parola viva scritta 2000 anni fa: il
contenuto deve rimanere lo stesso, ma attualizzato. Ci si sente impacciati a trasmettere quello che
sentiamo, che viviamo agli altri: bambini, genitori. Dobbiamo far amare la buona novella .
“Il profumo se è buono non è invadente, non ruba spazio, ma allo stesso tempo è in grado di
arrivare dappertutto”: la Parola di Gesù arriva dappertutto!
Dobbiamo pensare d’essere come l’incenso, profumo che sale e si infila. Dobbiamo cercare la
fessura dove far entrare il profumo che sale e penetra dove vuole, magari dove non pensiamo e
magari a distanza di tempo.
Dobbiamo mantenere “con i ragazzi e le famiglie un rapporto che sa generare reciprocità
educativa”, dobbiamo vivere “i rapporti in modo sempre nuovo e non chiudere mai la possibilità di
altre esperienze evitando sentimenti di estraneità ed alienazione”, dobbiamo fare “spazio alle
molteplici risorse di tutti i membri della comunità, specialmente nel dialogo con i genitori”, essere
vicini alle famiglie, capirle. È un impegno non indifferente: sentirsi comunità, un solo gruppo e
non tanti gruppi diversi.
LA TESTIMONIANZA FA PIU’ DELLE PAROLE: testimonianza = coerenza in modo naturale.
Il profumo del catechista deve fondersi con quello dei ragazzi.
Per essere testimoni dobbiamo preoccuparci di formare la nostra vita interiore e tenere sempre
presente che non si è testimoni da soli: c’è bisogno del sostegno della comunità, luogo in cui si fa
esperienza di fede.
Preghiera finale
Aiutaci a diffondere la tua
fragranza
O Gesù, aiutaci a diffondere la tua fragranza
ovunque noi andiamo.
Infondi il tuo Spirito nella nostra anima
e riempila del tuo amore
affinché penetri nel nostro essere
in modo così completo che tutta la nostra vita
possa essere soltanto fragranza
e amore trasmesso tramite noi e visto in noi,
e ogni anima con cui veniamo a contatto
possa sentire la tua presenza
nella nostra anima, e poi guardare in su
e vedere non più me, ma Gesù.
Resta con noi,
e noi cominceremo a brillare della tua luce,
a brillare per essere una luce per gli altri.
La luce, o Gesù, sarà la tua, non verrà da noi,
sarà la tua luce che brillerà sugli altri
attraverso noi.
Lascia che ti rivolgiamo le nostre preghiere
nel modo che più ami, spargendo la luce
su quelli che ci circondano.
Lasciaci predicare senza predicare,
non con le parole, ma con l'esempio.
Con la forza che attrae
e l'influsso di quel che facciamo.
Con la pienezza dell'amore
che abbiamo per te nel nostro cuore.
Amen.
Madre Teresa di Calcutta
Terza serata: La Chiesa è
comunità profetica.
Spartito musicale e flauto traverso
con ascolto di un brano musicale di
Chopin.
Si entra nel teatro in silenzio, ascoltando
Chopin. Al centro, su un leggio, uno spartito
musicale e un flauto traverso.
Le note: note diverse una dall’altra che insieme
fanno ARMONIA, tutte importanti, tutte
indispensabili
Il pentagramma : il luogo dove ogni nota trova il
SUO posto, un posto ben preciso che le dà la
possibilità di RISUONARE, USCIRE dallo spartito e
DIFFONDERSI .
Il luogo dove trovarsi con le altre note per
formare una melodia.
Se la melodia sarà armoniosa entrerà nel cuore di
chi l’ascolta.
Dalla prima lettera di San Paolo apostolo ai
Corinzi (1COR 12, 12-31)
12
Come infatti il corpo è uno solo e ha molte
membra, e tutte le membra del corpo, pur
essendo molte, sono un corpo solo, così
anche il Cristo. 13Infatti noi tutti siamo stati
battezzati mediante un solo Spirito in un solo
corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti
siamo stati dissetati da un solo Spirito.
14
E infatti il corpo non è formato da un
membro solo, ma da molte membra. 15Se il
piede dicesse: «Poiché non sono mano, non
appartengo al corpo, non per questo non
farebbe parte del corpo. 16E se l'orecchio
dicesse: «Poiché non sono occhio, non
appartengo al corpo, non per questo non
farebbe parte del corpo. 17Se tutto il corpo
fosse occhio, dove sarebbe l'udito? Se tutto
fosse udito, dove sarebbe l'odorato? 18Ora,
invece, Dio ha disposto le membra del corpo
in modo distinto, come egli ha voluto. 19Se
poi tutto fosse un membro solo, dove
sarebbe il corpo? 20Invece molte sono le
membra, ma uno solo è il corpo. 21Non può
l'occhio dire alla mano: «Non ho bisogno di
te; oppure la testa ai piedi: «Non ho bisogno
di voi. 22Anzi proprio le membra del corpo che
sembrano più deboli sono le più necessarie;
23
e le parti del corpo che riteniamo meno
onorevoli le circondiamo di maggiore
rispetto, e quelle indecorose sono trattate
con maggiore decenza, 24mentre quelle
decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha
disposto il corpo conferendo maggiore onore
a ciò che non ne ha, 25perché nel corpo non vi
sia divisione, ma anzi le varie membra
abbiano cura le une delle altre. 26Quindi se un
membro soffre, tutte le membra soffrono
insieme; e se un membro è onorato, tutte le
membra gioiscono con lui.
27
Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno
secondo la propria parte, sue membra.
28
Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in
primo luogo come apostoli, in secondo luogo
come profeti, in terzo luogo come maestri;
poi ci sono i miracoli, quindi il dono delle
guarigioni, di assistere, di governare, di
parlare varie lingue. 29Sono forse tutti
apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti
fanno miracoli? 30Tutti possiedono il dono
delle guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le
31
interpretano?
Desiderate
invece
intensamente i carismi più grandi. E allora, vi
mostro la via più sublime.
Scheda di laboratorio nei gruppi
1. La Chiesa esiste per evangelizzare
“Il mandato di evangelizzare tutti gli uomini costituisce la missione essenziale della Chiesa: “Essa esiste
per evangelizzare, vale a dire per predicare e insegnare, essere canale del dono di grazia, riconciliare i
peccatori con Dio, perpetuare il sacrificio di Cristo nella santa Messa”.
Le nostre comunità parrocchiali, nate dall’azione evangelizzatrice, partecipano della stessa missione
della Chiesa. Chiamate ad evangelizzare, cominciano con l’evangelizzare sé stesse. Attraverso la
predicazione, la celebrazione liturgica, la testimonianza, la parrocchia cresce come comunità cristiana,
si fa annuncio di salvezza, trasmette la fede, provoca adesione e conversione al Signore.”
(Conferenza episcopale piemontese n. 4 e 5)
2. Cosa significa evangelizzare?
“Evangelizzare, per la Chiesa, è portare la buona novella in tutti gli strati dell’umanità e, con il suo
influsso, trasformare dal di dentro, rendere nuova l’umanità stessa … La Chiesa evangelizza
allorquando, in virtù della sola potenza divina del messaggio che essa proclama, cerca di convertire la
coscienza personale e insieme collettiva degli uomini, l’attività nella quale essi sono impegnati, la vita e
l’ambiente concreto loro propri.
Strati dell’umanità che si trasformano: per la Chiesa non si tratta soltanto di predicare il Vangelo in
fasce geografiche sempre più vaste o a popolazioni sempre più estese, ma anche di raggiungere e quasi
sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse,
le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la parola
di Dio e con il disegno della salvezza.”
(L’evangelizzazione nel mondo contemporaneo n. 18 e 19)
3. Il contenuto dell’evangelizzazione
“L’evangelizzazione conterrà sempre anche – come base, centro e insieme vertice del suo dinamismo –
una chiara proclamazione che, in Gesù Cristo, figlio di Dio fatto uomo, morto e risuscitato, la salvezza è
offerta ad ogni uomo, come dono di grazia e misericordia di Dio stesso.”
(L’evangelizzazione nel mondo contemporaneo n. 27)
“La Chiesa può affrontare il compito dell’evangelizzazione solo ponendosi, anzitutto e sempre, di fronte
a Gesù Cristo, parola di Dio fatta carne. Egli è la grande sorpresa di Dio, colui che all’origine della nostra
fede e che nella sua vita ci ha lasciato un esempio, affinché camminassimo sulle sue tracce. Solo il
continuo e rinnovato ascolto del verbo della vita, solo la contemplazione costante del suo volto
permetteranno ancora una volta alla Chiesa di comprendere chi è il Dio vivo e vero, ma anche chi è
l’uomo.”
(Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia n. 10)
“Nella vita delle nostre comunità deve esserci un solo desiderio: che tutti conoscano Cristo, che lo
scoprano per la prima volta o lo riscoprano se ne hanno perduto memoria; per fare esperienza del suo
amore nella fraternità dei suoi discepoli. Una pastorale tesa unicamente alla conservazione della fede e
alla cura della comunità cristiana non basta più. È necessaria una pastorale missionaria, che annunci
nuovamente il Vangelo , ne sostenga la trasmissione di generazione in generazione.”
(Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia n. 1)
4.
Il fine dell’evangelizzazione
“Con la catechesi, la Chiesa si rivolge a chi è già sul cammino della fede e gli presenta la parola di Dio in
adeguata pienezza con tutta longanimità e dottrina, perché, mentre si apre alla grazia divina, maturi in
lui la sapienza di Cristo. Educare al pensiero di Cristo , a vedere la storia come Lui, a giudicare la vita
come Lui, a scegliere e ad amare come Lui, a sperare come insegna Lui e a vivere in Lui la comunione
con il Padre e lo Spirito Santo. In una parola, nutrire e guidare la mentalità di fede: questa è la missione
fondamentale di chi fa catechesi a nome della Chiesa.”
(Documento di base n. 38)
“Non si può più dare per scontato che si sappia chi è Gesù Cristo, che si conosca il Vangelo, che si abbia
una qualche esperienza di Chiesa. Vale per fanciulli, ragazzi, giovani e adulti; vale per la nostra gente,
e, ovviamente, per tanti immigrati, provenienti da altre culture e religioni. C’è bisogno di un rinnovato
primo annuncio della fede … Per l’evangelizzazione è essenziale la comunicazione della fede da
credente a credente, da persona a persona. Ricordare a ogni cristiano questo compito e prepararlo ad
esso è oggi un dovere primario della parrocchia, in particolare educando all’ascolto della Parola di Dio,
con l’assidua lettura della Bibbia nella fede della Chiesa”.
(Il volto missionario delle parrocchie in un mendo che cambia n. 6)
“Per questo, ci sembra importante che la comunità sia coraggiosamente aiutata a maturare una fede
adulta, pensata, capace di tenere insieme i vari aspetti della vita facendo unità di tutto in Cristo. Solo
così i cristiani saranno capaci di vivere nel quotidiano, nel feriale – fatto di famiglia, lavoro, studio,
tempo libero – la sequela del Signore, fino a rendere conto della speranza che li abita.(cfr. I Pt, 3, 15) A
questo obiettivo di maturità della fede avendo considerazione delle diverse età, cercando di fare unità
tra ascolto, celebrazione ed esperienza testimoniale di fede tende il progetto catechistico delle nostre
chiese.”
(Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia n. 50)
Due Relazioni dai gruppi di lavoro:
Una: Nelle nostre comunità i gruppi tendono a divedersi e a non "suonare assieme".
UNITA PASTORALE: ogni realtà parrocchiale è uno strumento con una sua melodia, ma che può
suonare assieme agli altri una musica comune (la Pastorale).
Serve una guida, un direttore d'orchestra, che trovi il giusto tempo, spazio, ruolo ad ogni nota.
Nell'orchestra, se uno strumento STONA, non si sente... se nella comunità è così, ci si aiuta, si
creano legami a lungo termine e si superano le difficoltà e i LIMITI personali, perchè ognuno di
noi ha DOTI da mettere in gioco, ma anche limiti (siamo lungi dalla perfezione).
La musica che suoniamo, come il PROFUMO, si farà ricordare, rimarrà di sottofondo nelle nostre
vite e in quelle di chi l'ascolterà.
Ogni nota ha esattamente la stessa importanza all'interno dello spartito.
Due: L’Orchestra della Chiesa suona una musica bellissima se ognuno suona uno strumento e si
accorda prima per essere in armonia: ognuno ha il SUO posto e tutti devono essere apprezzati.
Il catechista è una NOTA che ha il suo posto sullo spartito e non si preoccupa di fare TROPPE
COSE, ma di suonare bene la SUA NOTA. Il compito del catechista è di far trovare ai ragazzi e ai
genitori il LORO POSTO sul pentagramma. Deve cercare di cantare “in coro” per poter coinvolgere
gli altri nel “canto” missionario della Chiesa.
Il catechista si deve chiedere: “dove devo stare?” Deve cantare e suonare senza sovrastare gli altri e
nemmeno nascondersi per evitare di essere notato (paragone con gli orchestrali).
Fare Comunità significa essenzialmente “volersi bene” e riconoscere un Direttore d’Orchestra, che
è Dio, accogliere la sua chiamata con gratitudine e umiltà, rispettare e valorizzare quella degli altri.
Occorre una grande collaborazione reciproca per fare “buona musica”.
Ogni gruppo sceglie dal libretto dei canti “Nella casa del Padre” il canto che più
rappresenta l’esperienza di ESSERE CHIESA, secondo i componenti del gruppo, e lo canta:
Siamo arrivati da mille strade – Esci dalla tua terra - Andate per le strade – Chiesa di Dio ad esempio.
Preghiera finale
Essere Chiesa
Padre,
ti ringrazio di essere chiesa,
di appartenere ad una comunità,
alla tua chiesa.
È la comunità
di quanti credono in te,
di quanti si radunano nel tuo nome,
è la comunità
di quanti vivono nella tua attesa.
Mi chiami ad essere chiesa,
essa è forte se spera
essa è vera se ama,
essa è santa se ognuno è santo.
Essere chiesa è
esistere per gli altri,
incontrarti negli uomini,
pregarti con essi,
dare ragione della propria speranza.
Nella chiesa è la tua parola,
la parola che salva,
che mi dà conforto, se abbattuto,
mi rende sereno, se triste,
mi fa forte, se debole,
mi perdona, se ho peccato,
mi dà coraggio, se ho paura.
Dacci una chiesa
che pensi come pensi tu,
che operi come vuoi tu,
che viva come hai insegnato tu,
che ami come hai amato tu.
Aiutami ad essere chiesa,
ad avere molte cose da pensare assieme,
da imparare assieme,
da fare assieme.
Perdona il mio modo di essere chiesa
e purifica il mio modo di restare in essa
Vito Morelli, Appuntamento con Dio
Quarta serata: Catechisti si
diventa.
Scarpette e tutù da danza.
Un’insegnante di danza classica mostra le
scarpette da punta ed un tutù, spiega alcuni
movimenti basilari, ripetuti insieme a tutti i
partecipanti.
Si fa esperienza della difficoltà di chi
comincia, della fatica fisica e psicologica,
della necessità di motivazione e di disciplina.
Si termina con una “simulazione” di alcuni
passi a suon di musica.
Allenamento costante
Orecchio per la musica
Irradiare la Bellezza
«Nel contesto del nostro mondo occidentale,
caratterizzato da demotivazioni e stanchezze afferma il cardinal Martini - … che cosa ci
può dare un colpo d’ala, un cambiamento di
marcia, un orizzonte di gioia e di speranza?
Non basta deplorare e denunciare le brutture
del nostro mondo. Non basta neppure per la
nostra epoca disincantata parlare di giustizia,
di doveri, di bene comune, di programmi
pastorali, di esigenze evangeliche … Bisogna
irradiare la bellezza di ciò che è vero e giusto
nella vita, perché solo questa bellezza rapisce
veramente i cuori e li rivolge a Dio».
Spesso la vita di fede è stata concepita come
l’osservanza di alcuni obblighi, mentre è dono
dello Spirito, rappresentato biblicamente con
immagini vive: fuoco, acqua, vento, dono che
gratuitamente si riceve e solo gratuitamente si
offre. La Chiesa, attraverso l’arte, può rendere
non solo percepibile, ma anche affascinante il
mondo dell’invisibile. La bellezza, infatti,
come sostiene Giovanni Paolo II: «è richiamo
al trascendente. È invito a gustare la vita e a
sognare il futuro. Per questo la bellezza delle
cose create non può appagare, e suscita
quell’arcana nostalgia di Dio che un
innamorato del bello come sant’Agostino ha
saputo interpretare con accenti ineguagliabili:
“Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e
tanto nuova, tardi ti ho amato!” ».
Nell’ambito di questa ricerca del Bello con la
B maiuscola, nel tentativo di rendere in
qualche modo visibile la realtà futura del
paradiso, la sua armonia e la sua gioia, anche
la danza sacra riveste un ruolo determinante,
come autentica forma di trasfigurazione
dell’uomo, come apertura al trascendente,
come proposta di preghiera contemplativa.
Aver ben presente la coreografia
Trasmettere con leggerezza il sentimento, con il
gesto più che con le parole
Ci viene chiesto di metterci in gioco, di “ danzare
di fronte a Dio, come Davide, senza temere di
vergognarsi, ma con l’attiva partecipazione
dell’anima e del corpo”, di essere noi stessi
LABORATORIO.
La danza sacra nel mondo biblico
Presso gli Ebrei la danza è una viva
manifestazione della vitalità, dell’esultanza e
della festa di un popolo, che vive i rapporti in
modo naturale, in cui tutte le dimensioni
umane sono perfettamente integrate: istinti,
mente, cuore, spirito. Nelle feste più
importanti d’Israele la danza riveste un ruolo
determinante.
Nella storia della Chiesa
Non abbiamo documenti che attestino, nei
primi secoli, la presenza della danza nelle
celebrazioni liturgiche, sappiamo, però, che
era utilizzata nei riti di alcune sette ed in
occasione di determinate feste, in onore dei
santi martiri.
I Padri della Chiesa esprimono, attraverso
l’immagine della danza celeste ed il ricorso al
commento di alcuni brani biblici, la realtà del
paradiso ed invitano i fedeli a tendere verso
la loro destinazione futura, danzando nello
Spirito. (1) Tra essi Ambrogio afferma che il
vero cristiano può danzare di fronte a Dio,
come Davide, senza temere di vergognarsi,
ma con l’attiva partecipazione dell’anima e
del corpo. Nell’opera dei gesuiti, e dei
francescani, inoltre, la danza riveste una
funzione educativa o didattica, come forma di
rappresentazione della fede.
Alcune nuove esperienze
In India esiste una tradizione millenaria di
danza sacra che in antichità era parte
integrante del rituale del tempio. Attualmente
nel mondo cattolico si sta cercando di
conservare il patrimonio della danza sacra
classica, come forma d’evangelizzazione e di
recuperare l’esperienza più vivace delle danze
d’origine tribale.
La cultura africana considera la corporeità il
luogo che consente di entrare in comunione
col mondo circostante e col soprannaturale,
attraverso la danza, perciò, l’africano
manifesta la propria appartenenza alla
comunità ed il proprio senso religioso. La
danza, pertanto è entrata a far parte anche
della liturgia, come compare ufficialmente dal
Messale romano per le diocesi del Congo.
Secondo la struttura della liturgia eucaristica
la danza è ammessa al Gloria e alla
presentazione dei doni. I fedeli possono,
inoltre, accompagnare con movimenti ritmici
anche il canto d’ingresso e quello finale.
La danza meditativa
La danza meditativa ideata da Gazelle
all’interno della comunità dell’Arca di Lanza
del Vasto e realizzata su canto gregoriano,
approfondisce la dimensione sacrale delle
danze popolari e, attraverso l’ascolto orante
del canto gregoriano, realizza una forma
totalmente nuova di danza sacra dallo stile
sobrio, che consiste nell’imprimere la Parola
su di sé, e nel conservare uno stato di
autentica preghiera, come riposo sul canto ed
abbandono fiducioso nel Signore. La sua
danza meditativa rappresenta, perciò, una
valida sintesi culturale tra la spiritualità del
gregoriano ed il patrimonio gestuale delle
danze europee e mediterranee, purificato
secondo criteri universali di tecnica di danza
sacra.
Essa, infatti, è autenticamente danza, vale a
dire movimento ritmico, secondo una
sequenza musicale, non semplice espressione
corporea. È arte perché corrisponde a delle
leggi di stile e d’equilibrio. È popolare, cioè
viva e ricca di significati esistenziali, non
prettamente tecnica ed artificiale come può
essere la danza classica. È sacra perché si
svolge nello spazio e nel tempo sacro, in
modo simbolico, e perché è concepita
esclusivamente come forma di preghiera sul
canto sacro. È ecclesiale perché nasce da
un’autentica esperienza di fede e d’ubbidienza
all’interno di una comunità con una regola
ben precisa. È spirituale perché idonea ad
esprimere liberamente la lode a Dio attraverso
il corpo. Ed infine è liturgica perché,
rispettando la spiritualità del canto
gregoriano, canto proprio della Chiesa, può
essere utilizzata in un contesto liturgico.
Scheda di laboratorio nei gruppi
1. “Perseveranti nella formazione”
“La preparazione dei futuri catechisti è responsabilità primaria della comunità cristiana ed è un dovere
morale degli interessati. Anche se protratta per più anni essa è sempre incompleta. Chi è accolto tra i
catechisti ed inizia il suo servizio è consapevole dei suoi limiti e avverte la necessità di coltivare la sua
formazione mai pienamente esaurita.
In primo luogo ogni catechista è chiamato a consolidare la sua vita di credente, l’appartenenza alla
Chiesa e le motivazioni del suo servizio al Vangelo. Con risposta alla responsabilità assunta, ha il dovere
di approfondire la formazione biblica - teologica, finalizzata ad una sintesi dell’annuncio che deve
trasmettere. Così pure ha il compito di acquisire gli elementi essenziali delle psicologia e delle scienze
sociali per meglio conoscere l’uomo nel suo contesto. Nello stesso tempo il catechista si impegna ad
affinare la sua formazione pedagogica e la sua capacità educativa per rendersi sempre più idoneo a
rispondere alle domande religiose, a programmare adeguato percorsi catechistici, ad attivare opportuni
processi di apprendimento, ad animare il gruppo, soprattutto a trasmettere efficacemente il messaggio
cristiano capace di interpellare e penetrare il modo di pensare e di sentire dei catechizzanti.”
(“I catechisti collaboratori di Dio… Conferenza Episcopale piemontese” n. 55 e 56).
2. La comunità parrocchiale mezzo fondamentale per la formazione.
“Nonostante le sue trasformazioni, la parrocchia resta un punto capitale di riferimento per il popolo
cristiano, in modo particolare per i catechisti. La comunità parrocchiale è l’ambito ordinario dove i
catechisti hanno maturato la loro vocazione ecclesiale e trovano sostegno al loro servizio catechistico, e
il luogo privilegiato di crescita nella fede e di sviluppo della loro missione educativa. L’attiva
partecipazione dei catechisti alla vita ecclesiale della propria parrocchia resta, pertanto, la prima e
principale via di maturazione cristiana e di permanente formazione catechistica.
L’educazione della fede, oltre il primato dell’azione di Dio, chiama in causa l’abilità pedagogica del
catechista e la sua arte comunicativa che si acquisiscono con gradualità. Nella maturazione della
capacità educativa il catechista non può esser lasciato solo. Egli deve poter trovare nella propria
comunità parrocchiale opportunità ed iniziative concrete per imparare a programmare, per valutare
criticamente la sua esperienza di catechesi e rivedere la propria relazione educativa, per perfezionare la
sua trasmissione della parola e la capacità di animare un gruppo.”
(“I catechisti collaboratori di Dio… Conferenza Episcopale piemontese” n. 58 e 61)
3. Il gruppo dei catechisti.
“Il gruppo dei catechisti ha un indiscutibile valore pastorale. È una concreta e proficua esperienza
ecclesiale di fraternità, di condivisione della parola di Dio, di mutuo ascolto e di reciproco sostegno
spirituale ed umano. Arricchisce i catechisti e diventa esemplare nella parrocchia. Nello stesso tempo la
vita di gruppo, caratterizzata da un clima di dialogo e di fraternità, aiuta a superare possibili tensioni e
contrasti e favorisce un utile scambio di esperienze…
Come spazio e palestra di formazione, il gruppo dei catechisti ha una triplice finalità.
È incontro di crescita spirituale: grazie ad una progressiva familiarità con la parola di Dio e la preghiera
comune i catechisti rafforzano la loro fede ed adesione al Signore…
È luogo specifico di maturazione biblica, teologica ed antropologica attraverso l’approfondimento di
temi utili al loro compito ed alla loro responsabilità educativa
È esperienza comunitaria di formazione nella competenza catechistica e nell’arte educativa…”
(“I catechisti collaboratori di Dio… Conferenza Episcopale piemontese” n.71 e 72)
4. Il metodo del laboratorio.
“I metodi possibili al servizio della formazione sono molti. Si vuole ora indicare un modo concreto di
gestire la formazione dei catechisti dell’iniziazione cristiana, ma anche ciò che essi stessi sapranno
attuare con i destinatari. Si tratta del modello laboratorio.
I termine è entrato prepotentemente in questi ultimi anni nel linguaggio formativo. La caratteristica
principale del laboratorio è quella di produrre farcendo, sperimentando, e di assumere l’esistenza e il
vissuto dei partecipanti come luogo di ricerca, di analisi e di intervento..
In sede di formazione diventa qualificante l’apprendimento realizzato secondo la formula del
laboratorio: non si tratta solo di modalità formativa, ma ha in se elementi importanti per realizzare
cammini adeguati al cambiamento delle persone. In proposito vanno richiamate alcune acquisizioni:
Il laboratorio è una bottega-scuola dove si impara facendo; invece della tradizionale aula (per
l’insegnamento), si ha l’esperienza cantiere (per sperimentazione attiva)
Fa parte del modello laboratorio curare la creazione di un gruppo di attuazione capace di valorizzare le
motivazioni e l’orientamento in vista di un servizio che si vuole qualificato
È proprio del laboratorio la ricerca e l’approccio alle esperienze più significative per riformulare
proposte realizzabili
Rientra anche nella strategia del laboratorio il lavoro di accompagnamento da parte dell’equipe degli
operatori durate il percorso per fare interagire da subito teoria e prassi.”
(“La formazione dei catechisti” n.37 e 39)
Due Relazioni dai gruppi di lavoro:
Una: Noi dobbiamo avere presente la coreografia e la musica che andremo a mettere in scena
durante i nostri incontri di catechismo, e sentiamo la necessità di essere molto preparate.
I nostri incontri maturano di volta in volta, nel senso che uno stesso argomento trattato, se
riproposto dalle stesse persone, viene vissuto in modo diverso. Non sempre siamo disponibili a
dare se non ci viene chiesto espressamente, mentre in alcune situazioni bisogna trovare le
motivazioni a spingerci oltre. Preparare i vari incontri insieme è molto importante.
Siamo un gruppo e non guardiamo solo il nostro singolo gruppetto o i nostri bambini, ma i
bambini di tutte le catechiste.
Due: Educare i ragazzi e noi stessi alla disciplina, al silenzio, all’ascolto (così come si fa quando si
impara a ballare). Il gruppo delle catechiste è il riferimento importante per chi “insegna a ballare”.
E’ essenziale fare gruppo per poi far passare le NOZIONI attraverso le EMOZIONI: la disciplina
non è intesa in senso “militare” ma è impegno, serietà, coerenza.
Il modello “Laboratorio” può essere applicato anche agli incontri con i genitori per evitare la
similitudine con gli incontri “scolastici”. Occorre avere ben presente “la coreografia” ovvero ciò che
dice la Chiesa e le Scritture (la musica) per trasmettere coerentemente il Messaggio.
I ragazzi sono “di tutti”, perciò sono il PATRIMONIO che dobbiamo custodire con amore,
rappresentano il futuro e la prossima Chiesa.
Dovrebbe esserci un efficace collegamento tra catechesi e gruppi giovani e animatori, cosa che
avviene raramente. Occorre evitare la scolarizzazione della catechesi, sganciarsi dai “tempi”
scolastici, avviare al concetto di “percorso” e non “corso”.
La “coreografia” va adattata ai “ballerini” in quanto diversi in età, formazione, capacità.
Bisogna imparare dei propri errori, prendere consapevolezza delle necessità altrui e cercare di
migliorare sempre qualcosa. E’ importante aggiornarsi e imparare ad usare i nuovi mezzi di
comunicazione e nuovi metodi mantenendo intatto il Messaggio da trasmettere.
Preghiera finale
Il ballo dell'obbedienza
(…) Io penso che tu forse ne abbia abbastanza
della gente che, sempre, parla di servirti col piglio da condottiero,
di conoscerti con aria da professore,
di raggiungerti con regole sportive,
di amarti come si ama in un matrimonio invecchiato.
(…) Per essere un buon danzatore, con te come con tutti,
non occorre sapere dove la danza conduce.
Basta seguire,
essere gioioso,
essere leggero,
e soprattutto non essere rigido.
Non occorre chiederti spiegazioni
sui passi che ti piace di segnare.
Bisogna essere come un prolungamento,
vivo ed agile, di te.
E ricevere da te la trasmissione del ritmo che l'orchestra scandisce.
Non bisogna volere avanzare a tutti i costi,
ma accettare di tornare indietro, di andare di fianco.
Bisogna saper fermarsi e saper scivolare invece di camminare.
Ma non sarebbero che passi da stupidi
se la musica non ne facesse un'armonia.
Ma noi dimentichiamo la musica del tuo Spirito,
e facciamo della nostra vita un esercizio di ginnastica:
dimentichiamo che fra le tue braccia la vita è danza,
che la tua Santa Volontà
è di una inconcepibile fantasia,
e che non c'è monotonia e noia
se non per le anime vecchie,
tappezzeria
nel ballo di gioia che è il tuo amore.
Signore, vieni ad invitarci.
Siamo pronti a danzarti questa corsa che dobbiamo fare,
questi conti, il pranzo da preparare, questa veglia in cui avremo sonno.
Siamo pronti a danzarti la danza del lavoro,
quella del caldo, e quella del freddo, più tardi.
Se certe melodie sono spesso in minore, non ti diremo che sono tristi;
Se altre ci fanno un poco ansimare, non ti diremo
che sono logoranti.
E se qualcuno per strada ci urta, gli sorrideremo:
anche questo è danza.
Signore, insegnaci il posto che tiene, nel romanzo eterno
avviato fra te e noi,
il ballo della nostra obbedienza.
Rivelaci la grande orchestra dei tuoi disegni:
in essa, quel che tu permetti
dà suoni strani
nella serenità di quel che tu vuoi.
Insegnaci a indossare ogni giorno
la nostra condizione umana
come un vestito da ballo, che ci farà amare di te
tutti i particolari. Come indispensabili gioielli.
Facci vivere la nostra vita,
non come un giuoco di scacchi dove tutto è calcolato,
non come una partita dove tutto è difficile,
non come un teorema che ci rompa il capo,
ma come una festa senza fine dove il tuo incontro si rinnovella,
come un ballo,
come una danza,
fra le braccia della tua grazia,
nella musica che riempie l'universo d'amore.
Signore, vieni ad invitarci.
Madeleine Delbrel
L’équipe di catechesi d’iniziazione cristiana delle 4 Parrocchie di Rivoli Centro: don Angiolino,
Anna, Carlotta, Felicetta, Maria, Marilena, Paola, Raffaella, Rosa.
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MATERIALE CORSO DI FORMAZIONE PER CATECHISTI