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TOGO BENIN - BURKINA FASU
BONJOUR,
COMMENT ÇA VA?
Corso
Corso itinerante
itinerante intensivo
intensivo di
di francese
francese
in
in Africa
Africa occidentale
occidentale
Enrico Galasso
Stefano Gandolfi
Testo di
Foto di
Bonjour, comment ça va?
Bien, merci, bien arrivés
(bonsgiuourcomsava? bienmersibenarrivee)
Come tutti i corsi, si inizia dai saluti. E qui è già una mezza rivoluzione… In Italia, quando si chiede un’informazione per via, si abbassa il finestrino e si apostrofa l’interessato con un perentorio “Scusi, Corso Vittorio?”.
Qui no. Qui il cerimoniale prevede i seguenti passaggi:
“Bonjour, ca va?”
Indi si attende risposta, che invariabilmente è un:
“Bien, mercì”
A questo punto, appurato lo stato di salute dell’interlocutore, si può procedere, già che ci siamo, a chiedere l’informazione. La cosa diventa divertente quando, persi nelle stradine, si è costretti a chiedere la strada a 5 o 6 passanti, il che permette di fare un sondaggio sul benessere
di mezzo paese.. E’ che gli africani sono educatissimi e ci
tengono molto ai convenevoli..
Chissà cosa pensano i venditori senegalesi delle sciure che
in spiaggia li apostrofano con un villanissimo “Uè! Quanto costa ‘sta borsa?”, saltando piè pari ogni regola di buona educazione?
avez-vous quelque chose de bon pour moi?
(avecvuqualsciosdebonpurmua?)
Abbiamo appena passato la frontiera del Benin in uscita e
la frontiera del Togo in entrata, compilando diligentemente, in entrambi i casi, i formulari in cui vengono richieste
tutte le informazioni possibili (data, luogo di nascita, scopo del viaggio,provenienza,prossima destinazione … cognome della mamma… sì anche il cognome della mamma
.. !!?? mah..). I nostri passaporti sono stati timbrati e ritimbrati… Ciononostante, dopo un paio di chilometri, c’è un
altro blocco di polizia. Un giovane in divisa, con la faccia
simpatica, si avvicina, saluta, e interroga il nostro autista
touareg,Alì,con un “avez-vous quelque chose de bon pour
moi?”, un capolavoro di allusività che avrebbe meritato di
essere adottato in epoca tangentopoli.. Alì non si scompone, si guarda attorno nell’abitacolo per vedere, chissà,
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se mai ci fosse un tacchino, una cravatta, un mazzo di fiori … poi, con un sorriso desolato,“No”, risponde,“rien”.
Il doganiere dà un’occhiata anche lui all’interno della vettura, sorride, saluta e fa cenno di proseguire.
Devo dire che i doganieri delle innumerevoli frontiere attraversate (Niger, Burkina, Benin, Togo, Burkina) si sono
sempre dimostrati cordiali, e non ci sono mai state richieste esplicite di tangenti (il che, posto che avremmo
sganciato senza fiatare qualche migliaio di CFA, va riportato ad assoluto merito dei poliziotti locali, considerato il
loro certo non lauto salario..).
Merci pour votre générosité … cependant
(mersipurvotrgenerositee …sepandan)
Parte del viaggio ha un notevole interesse etnologico: si
attraversano i territori di etnie affascinanti,i Taneka,i Somba, i Tamberma, i Lobi.
Ci siamo scrupolosamente documentati, apprezzando le
foto ed i racconti dei fratelli Castiglioni, che hanno descritto usi e costumi di queste popolazioni verso la metà
del secolo scorso.A dire il vero non si trovano più guerrieri con l’astuccio penico; ma le case fortezza di fango
mantengono inalterato il loro fascino,con i loro interni bui,
con le camere per le diverse mogli, nelle quali è impilato
in bell’ordine il pentolame che ogni sposa porta in dote, e
che il marito rompe simbolicamente quando decide di divorziare (con una manifestazione di volontà tanto rapida
quanto definitiva,che rende sicuramente molto meno proficua che da noi la professione di avvocato divorzista).
Si continua a costruire come centinaia di anni fa: case dal
soffitto basso, con feritoie per scagliare le frecce verso
nemici o animali feroci sempre in agguato.
Immutato interesse risveglia anche il “feticheur”, che indossa solo un perizoma di pelle di scimmia (se si vestisse,
dicono, morirebbe all’istante), e fuma la sua pipa.
In effetti qualcosa è cambiato: ora non arrivano più nemici, ma turisti, e bisogna attrezzarsi. Quindi il permesso di
visitare il villaggio viene benevolmente concesso,“cependant” (tuttavia) è gradito un contributo allo sviluppo del-
TACCUINI DI VIAGGIO
la comunità..; il feticheur si offre volentieri a foto commemorative, né dimentica di darci il benvenuto e di augurarci un viaggio fruttuoso e fortunato,peraltro ….Un piccolo obolo è gradito.. Ed il capovillaggio, vogliamo dimenticarci del capovillaggio? autorevole,ieratico con la sua
papalina in testa, amministra e risolve le liti di condominio; ci accoglie con benevolenza, e ci intrattiene informandosi della nostra provenienza .. certo, anche lui gradisce un contributo alla sua causa personale…
Vogliamo lamentarci? Possiamo? Direi di no.. siamo sicuramente più pericolosi noi degli animali feroci, un minimo
tributo, neppure di sangue, ci tocca…
Peraltro, basta spingersi un po’ fuori dalle rotte prestabilite per ritrovare quella genuinità di rapporti che colora in
modo diverso la visita: certo, prima si tratta di organizzare un minitrek, o comunque un itinerario che ci permetta
di vedere i villaggi un po’ più lontani dalle strade,meno battuti. La cosa non è facilissima, perchè si tratta convincere
la “guida” (qui tutte si dichiarano guide ufficiali, un po’ come il titolo di “dottò”, che non si nega a nessuno), che ha
in testa un itinerario prestabilito, forse l’unico che conosce, e, soprattutto, non ha nessuna voglia di camminare, e
trova sicuramente del tutto balzano che noi, disponendo
di comodi fuoristrada, si voglia a tutti i costi affaticarci.
Stressandolo a non finire,siamo riusciti a fare giusto qualche “passeggiata”, che ci ha consentito di vedere villaggi
più isolati nella brusse, che si sono effettivamente rivelati
più interessanti di quelli vicino alle strade, se non altro
perchè gli abitanti di questi villaggi risultano molto interessati a noi, che rappresentiamo una ragguardevole novità nella loro giornata.
Le bamben dell’asual
(forma scorretta per “les enfants de l'asile”)
(lesenfandelasil)
Per me i bambini del cosiddetto terzo mondo sono una
fonte inesauribile di riflessioni, e forse quelli dell’Africa lo
sono più di tutti.
Sono tanti, tantissimi, e già questa è una novità rispetto a
casa nostra; sono perennemente in giro, per i cavoli loro,
perfettamente a loro agio, e non ne ho mai visto uno che
si sia fatto male. I nostri sono scortati da genitori, nonni
e badanti, manca solo il controllo aereo con l’elicottero,
e cadono e si fracassano per ogni dove.
Qui i bambini al massimo si badano l’un l’altro; bimbe di
sei, sette anni, hanno il fratellino più piccolo sulla schiena
e se lo scorrazzano tutto il giorno.
Dei diecimila che abbiamo incontrato ne ho visti piangere giusto un paio, e, mi sento di scommettere, per ragioni validissime.
Sono educati, anzi educatissimi: i bambini, nelle zone rurali,ci davano addirittura la mano,accennando un inchino,
con una signorilità che avrebbe fatto la gioia di ogni nonna italica, abituata a strattonare nipoti non salutanti.
Li vedi collaborare attivamente alla vita della comunità:attizzano il fuoco (senza bruciarsi…), portano recipienti,
zappettano i campi di famiglia sotto il sole.
Sono svegli, intraprendenti: uno, di una decina di anni, dal
quale abbiamo acquistato dei fazzolettini, è ricomparso
dopo dieci minuti con una nuova partita di merce,che aveva comprato investendo interamente e fulmineamente il
capitale guadagnato.
Sono perennemente sorridenti, felici, curiosi ed interessati a tutto, anche se sono sporchi, con la maglietta bucata, e giocano con un bastone ed un cordino.
C’è un bel libro “L'altra Africa” di Serge Latouche, che
spiega come l’Africa, valutata in termini di PIL, sia un fallimento assoluto; ma che questo continente abbia anche
tanto da “esportare”. Quando si pensa ai bambini africani
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ci vengono in mente immagini drammatiche di bimbi denutriti, malati, o costretti ad imbracciare un fucile; quando
torno da questi viaggi, pur nella consapevolezza di quanto la vita qui sia difficile, mi rimangono negli occhi bambini sorridenti, vivaci, e porto con me la convinzione che
nell’educazione dei nostri figli qualcosa da esportare quest’Africa ce l’abbia.
Pour le plaisir des yeux
(purleplesirdesiò)
Gli africani sono commercianti nati. La penuria di turisti
costringe i negozianti,soprattutto nei centri più grandi dove la concorrenza è più accesa, a farsi in quattro per acchiappare il cliente, utilizzando le tecniche più sofisticate:
si assiste così ad azioni di “direct marketing” (“Vieni a vedere il mio negozio! Ci sono cose bellissime”),“Advertising” (“Un mio amico ha un negozio con cose bellissime,
se vuoi ti ci porto”),“Customer Relationship” (“Amico!!
Ti ricordi di me? Ci siamo incontrati tre giorni fa e ti ho
parlato di quel laboratorio artigianale!!”), Public Relationship (“Se vuoi ti accompagno fino in centro e ti presento un’ottima guida per la moschea; poi, se ti va, possiamo fare un salto al mio negozio”),Branding (“Il mio negozio è l’unico della città che esporta oggetti in tutto il
mondo; sono anche su Internet!”).
Ma la palma per la frase più ripetuta va senz’altro a:“Vieni un attimo nel mio negozio,non per comprare,solo pour
le plaisir des yeux”.
E,al di là della volontà di tentare un’approccio soft,c’è molto di genuino in questa frase:se uno guarda,valuta,si informa,e poi non compra,non intravede quasi mai quella smorfia dei commercianti nostrani, quel rimprovero che aleggia
in sospensione per la perdita di tempo che hai procurato.
Pas de problèmes!! elle est le paludisme
(padeproblemelepaludism)
Una febbriciattola mattutina, un controllino per eccesso
di zelo,ed ecco la malaria che non ti aspetti.O meglio:per
aspettarla,l’aspettavamo;queste zone sono endemiche ….
ma così presto (dopo 7 giorni)!! … ‘Sta zanzara aspettava
proprio noi dietro il portellone dell’aereo!! Vero è che ho
sempre sostenuto che in 10 minuti di ospedale si capisce
di più di un popolo che in tre giorni di musei, ma di quei
dieci minuti se ne farebbe anche a meno… Il paziente riferisce che i medici sono gentilissimi e rassicuranti.“Mais
il est normal, elle est le paludisme, pas de problèmes!!”.
La cura, confermeranno i medici italiani, è ottima, e fortunatamente risolve l’“incidente” senza strascichi.Il che non
vuol dire che la malaria vada sottovalutata: se la medicina
non fosse stata presa immediatamente, gli esiti sarebbero
stati più complicati. E se non ci fossero stati quei miserabili 4.555 CFA (7 € scarsi) per comprarla, potevano anche essere fatali…
“….” (Senza parole)
Al confine col Benin i doganieri, saputo che siamo italiani,
ci dicono:“Ma lo sapete che a pochi chilometri da qui, a
Tanguietà, c’è un vostro ospedale?”.
Decidiamo di fare una visita, un po’ per orgoglio patriottico, un po’ per curiosità, e molto nella speranza che noi, o
altri gruppi successivi,si possa fornire qualche cosa di utile.
Ci riceve Fra Fiorenzo, un frate medico. Si scusa di averci
fatto aspettare, ma, purtroppo, c’è parecchio da fare.
Il quadro che ci traccia in dieci minuti di chiacchierata è
semplicemente sconvolgente: sembra la cronaca di un
ospedale al fronte,ed invece è la quotidianità.Il giorno prima,ci racconta con voce pacata,come se fosse la cosa più
normale del mondo,hanno fatto 21 operazioni;l’ultima alle cinque di mattina, quando gli è finito il filo chirurgico.
“Ma vi manca qualcosa in particolare, in modo che vedia-
mo se possiamo farlo avere tramite i gruppi successivi?”.
“Beh, manca un po’ tutto, se dovessi dire solo tre o quattro farmaci, adesso direi i chemioterapici”.
“Ma qui fate anche chemioterapia?!” chiedo sbalordito.
Mi risponde stupendosi del mio stupore: “Qui facciamo
tutto.Sai,quelli che non possiamo curare qui,li mandiamo
a casa a morire…”.
Beh, quando incontri uno come Fra Fiorenzo vengono alcuni dubbi sull’utilità del proprio lavoro e della propria vita, dubbi che personalmente spero che mi durino anche
riassorbito dal tran tran quotidiano…
Le marchè
(lemerscè)
I mercati sono fantastici; personalmente non mi sarei mai
stancato di vederli. Colori odori, che avevo prefigurato
nelle descrizioni lette sui libri di Kapuscinski, di Aime, e
che, rileggendo quelle pagine, mi tornano vividissimi, come se ci fossi ancora in mezzo.
Il grande mercato di Gorom Gorom, con le donne peul,
bambarà, bellà, coloratissime, con grandi orecchini e collane, e gli uomini col turbante, a vigilare sui capi di bestiame; il mercato di Niamtogou, con le venditrici sotto grandi sombreri di paglia ed i capannelli ridanciani dei bevitori di birra di miglio, col banchetto dei feticci, che offre gusci di tartarughe, pelli di coccodrillo, becchi di avvoltoi, insomma tutto quello che servirebbe alla fattucchiera Amelia; il piccolo mercato dell’oro di Dourou, dove le “cercatrici”, ancora tutte donne, vendono la polvere d’oro, cercando,in animate contrattazioni,di spuntare un prezzo più
favorevole, senza mai riuscire ad impietosire gli inflessibili compratori,tutti uomini.Pensare che qualche cefa in più
ci apparirà meritatissimo, quando vedremo i buchi fangosi dai quali, con un’infinita pazienza, risciacquo dopo risciacquo, recuperano le impalpabili pagliuzze.
Un mercato si annuncia chilometri e chilometri prima,
quando sulla strada si vedono,dapprima isolate,poi a gruppi, poi in file ordinate, le donne che camminano: tutte con
carichi sulla testa; legna, vasi d’argilla, ceste di frutta. Svelte, con un movimento elegante, e con le più belle schiene
che abbia mai visto.
“Il mercato era il mondo delle donne.Arrivavano al mattino con le bacinelle smaltate sul capo,come marziane dal
casco bizzarro, scivolavano ai bordi della strada, con quel
passo liscio senza saltelli che avevano imparato fin da piccole.Arrivavano pian piano, a gruppi, e si sedevano sotto
le tettoie,che sembravano grossi ragni immobili nel sole.”
(Marco Aime, Le nuvole dell’Atakora).
ce passaggio del piattino: tutti si alzano e vanno in file ordinate all’altare per portare la propria offerta. La comunione, poi, si conclude con una specie di trenino ballato e
cantato per la chiesa.
Anche la predica,tradizionale momento di “stanca”,ha un
incipit frizzante: il parroco gigioneggia con i bambini, li fa
salutare le mamme, perché oggi è la festa della Madonna,
che è una mamma. Poi si inerpica in un sermone oratorio
di estensione commisurata alla messa complessiva,che durerà, record assoluto, due ore e quaranta! Ma quando ci
lasceremo alle spalle quei colori, quei canti e quella partecipazione, lo faremo col rammarico che tutto sia durato così poco!!
Les italien
(lesitalien)
Per chiudere, un “tema” classico di conversation: gli italiani in viaggio. Proprio il giorno della partenza l’ultimo giornale che mi era capitato tra le mani riferiva di una ricerca, da cui risulta che il 48% degli italiani da 10 anni sceglie
di passare la vacanza nello stesso posto; .. ed anche nello
stesso albergo…; e possibilmente nella stessa camera; …
ed, infine, la sera, quando esce a prendere una botta di vita, in gelateria prende preferibilmente lo stesso gusto..
I ricercatori avevano commentavano che queste vacanze
gli italiani tornano un tantino stressati.
Alla lettura dell’articolo ha fatto seguito breve dibattito,
mentre la brusse correva dietro ai finsestrini della nostra
auto.Tutti si sono detti concordi nell’escludere che il prossimo anno si voglia tornare nella stessa stanza dell’hotel
di Bobo Dioulasso; sul cibo, in assenza della possibilità di
replicare i gelati, il 100% degli intervistati nella jeep hanno dichiarato che sapranno resistere alla tentazione di rifare il pieno di manghi e poulet grillè.I bruchi seccati e poi
fritti,che quest’anno abbiamo deciso di non assaggiare,resteranno invenduti anche il prossimo anno (e così sarà anche dell’eventuale gelato al gusto di verme).
(domanda:ma ci sarà davvero chi da dieci anni va alla pensione Bellavista, stanza 112, e tutte le sere prende fragola
e cioccolato? Mah..)
Niamtougou
“il mercato era
il mondo
delle donne...”
La messe à l'église
(lamesalleglis)
Il 15 di agosto siamo a Gaua:decidiamo di andare alla messa.A chi non ha mai visto una messa in Africa è difficile fornire un quadro fedele.
Alle 8 di mattina la chiesa è già piena. Da un lato ci sono
gli uomini, dall’altra le donne, elegantissime, con i coloratissimi vestiti della festa che risaltano sulla pelle nera nera, molte con i bimbi in braccio. Una fila è occupata da
bambini di tutte le età. Sembra che manchi solo il sacerdote per iniziare.Ad un certo punto si sente un canto,che
diventa sempre più forte,finchè una fiumana di gente si riversa nella chiesa già piena: è il parroco, con gli altri sacerdoti, con il coro, con i suonatori di tamburi, con i chierichetti, e chi più ne ha ne metta.
Inizia la messa, interrotta da canti in ogni occasione (i cori sono addirittura due, ognuno con la sua brava direttrice!). Il Vangelo non è lasciato sul leggio, ma entra in processione, portato a braccia tese da una donna preceduta
da canti e balli.Anche l’offertorio non avviene con il velo-
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