N° 300
CON LE MIE MANI SU DI TE, SULLE TUE MANI, SU DI ME: ESPERIENZE DI
NURTURING TOUCH A DOMICILIO
Martina Tiberini, Mestre
Martina Tiberini Stefania Bullo
In un percorso assistenziale ai pazienti che versano in condizioni di forte criticità, spesso da loro
stessa avvertita, risulta importante per gli operatori poter contare oltre che sull’aiuto dato dalla
farmacologia, su atti che possono rispondere a bisogni ben più profondi: ai cosiddetti bisogni
dell’anima”.
Dimostrare concretamente attraverso il linguaggio non verbale alle persone malate che sono
importanti, che il loro corpo, corpo che loro stessi faticano a riconoscere come proprio, viene accolto
nonostante le ferite e le devastazioni imposte dalla malattia. E’ una modalità di cura profonda, che
mette in gioco la relazione. Relazione in cui il malato e chi assiste si pongono sullo stesso piano: i
loro corpi si “parlano”, si donano calore, riescono a comunicare tramite “parole non dette”, bensì
carezze, sfioramenti che sappiano stabilire un rapporto empatico dove la verbalità non è più il mezzo
elettivo.
“Ho fame. Non posso mangiare, non ho più lo stomaco”. Anna, non posso darti da mangiare.
“Ho sonno. Non riesco più a dormire”. Miranda, non posso farti addormentare.
“Ho paura. Nell’attimo finale sarò da solo”. Willy, non posso garantirti che sarò con te.
Cosa posso fare per voi? Non ho la bacchetta magica, non posso soddisfare quelli che sono i vostri
legittimi desideri, quello che, dal vostro letto, nella vostra casa, mi chiedete negli ultimi momenti della
vostra vita … non ho la bacchetta magica … ma ho le mie mani.
Situazioni come quelle sopra descritte sono molto frequenti e comuni nei pazienti assistiti. Situazioni
che spesso mettono in difficoltà gli operatori che si sentono impotenti di fronte a condizioni di estrema
precarietà. Ecco allora l’importanza di poter utilizzare modalità diverse da quelle tradizionalmente
intese per entrare “in contatto”, per “stabilire un dialogo senza parole”, per “nutrire” e rispondere a
bisogni che travalicano il solo aspetto fisico.
Con le mani è possibile praticare il Nurturing Touch, il “tocco che nutre l’anima”, come mi ha
insegnato Marinella Cellai. Con le mani posso entrare in comunicazione profonda con la persona,
con il massaggio posso veicolare un messaggio importantissimo: “Sono qui con te, non sei solo, ti
voglio bene, posso prendermi cura di te”
E dopo aver praticato il Nurturing Touch, e aver insegnato ai familiari come praticarlo, Anna non ha
più fame, Miranda si è addormentata, Willy sorride tranquillo.
Si entra quindi in un ambito definibile quello delle “terapie complementari” dove alla medicina
tradizionalmente intesa si affiancano interventi che contribuiscono a lenire il dolore, a superare la
paura dell’abbandono così presente soprattutto nelle ultime fasi di vita, ad abbandonarsi
all’operatore sia esso professionista e volontario, che si “mette in gioco” come persona nel porsi
accanto, nell’”esserci” spostando l’accento sull’”esserci”, sullo “stare” piuttosto che sul “fare”,
modalità che contraddistingue i percorsi di cura rivolti soprattutto a fasi acute e consoni ad ambienti
ospedalieri deputati ad affrontare stati di acuzie.
“Signore, vuoi le mie mani per passare questa giornata aiutando i poveri e i malati che ne hanno
bisogno? Signore, oggi ti do le mie mani” (M. Teresa di Calcutta)
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