UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA
FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA
ISTITUTO DI MEDICINA LEGALE
Corso di Dottorato di Ricerca in
Medicina legale, Tossicologia forense e Malpractice
XXIV CICLO
Tesi di Dottorato
DISPOSITIVI MEDICI:
PROFILI DI RESPONSABILITÀ E DI GESTIONE DEL
RISCHIO CLINICO.
Tutor
Dottoranda
Chiar. ma Prof.ssa Dora Mirtella
Dott.ssa Eleonora Cognigni
ANNO ACCADEMICO 2010-2011
INDICE GENERALE
Introduzione
p. 5
PARTE PRIMA
I DISPOSITIVI MEDICI: ASPETTI GENERALI E
CLASSIFICATORI.
1. Dispositivi medici: generalità e definizioni
p.
9
1.2. Tipologia dei dispositivi
p. 15
1.2.1. Le classi di dispositivi in base alla Direttiva
93/42/CEE
1.3. Qualità e sicurezza dei dispositivi medici.
p. 21
p. 24
1.3.1. Requisiti e procedure per l’attestazione della
conformità.
p. 26
1.4. Il mercato Europeo dei dispositivi medici.
p. 35
1.4.1 Definizione del mercato
p. 35
1.4.2 Tra dimensioni del mercato e spesa assicurativa. p. 39
1
1.5 Competitività e impatto sulla spesa pubblica.
p. 41
PARTE SECONDA
L’EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA SUI
DISPOSITIVI MEDICI
2.1 Le origini della disciplina
p. 44
2.2 La normativa comunitaria: aspetti critici e
peculiarità.
p. 49
2.3 Il contesto normativo: tra cd. Nuovo Approccio e sistemi
di sorveglianza.
p. 58
PARTE TERZA
LA RISPOSTA DELLA SCIENZA GIURIDICA –
PROFILI DI RESPONSABILITÀ
3.1 Le peculiarità della disciplina riguardante la
responsabilità civile del produttore
p. 67
2
3.2 La responsabilità civile del produttore per danni causati
dai dispositivi medici
p.75
3.3 La responsabilità delle strutture sanitarie
p.83
3.3.1 L’attività contrattuale delle Aziende Sanitarie p.90
3.4 Danni da dispositivi medici
p.92
3.4.1 Il caso delle valvole cardiache
p.95
3.4.2 Il caso delle protesi mammarie
p.98
3.4.3 Protesi dentarie.
3.5 Tra tutela amministrativa e tutela penale
p. 100
p.104
PARTE QUARTA
DISPOSITIVI MEDICI E GESTIONE DEL
RISCHIO CLINICO
4.1. La gestione del rischio clinico applicata ai dispositivi
medici
p. 109
4.2. Tra fattori di rischio e sistema di qualità
p. 114
4.3 Il ruolo del sistema di sorveglianza
p. 116
3
4.4 Tra adempimenti e sanzioni: l’importanza della
comunicazione.
p. 119
PARTE QUINTA
CASI DI STUDIO
5.1 Un caso di responsabilità del medico e dell’infermiere
p. 123
5.2 Un caso di lacerazione di derivazione ventricolo
peritoneale in sede atipica
p. 126
5.3 Profili di responsabilità in caso di utilizzo di
apparecchiature per la circolazione extracorporea
p. 129
5.4 Su di un caso di sepsi conseguente a posizionamento di
accesso venoso centrale (Port)
p. 131
5.5. Su un caso di lacerazione tracheale e dell’arteria
polmonare destra in corso di intervento chirurgico di
sostituzione di valvola aortica ed aorta ascendente. p. 133
5.6. Osservazioni conclusive.
p. 138
4
BIBLIOGRAFIA TRADIZIONALE
p. 141
BIBLIOGRAFIA SITOGRAFICA
p. 156
PRINCIPALI RIFERIMENTI LEGISLATIVI
p. 157
5
Introduzione
I “dispositivi medici” costituiscono una vasta categoria di
prodotti per la diagnosi, la cura e l’assistenza al malato. A causa
della forte eterogeneità di tale tipologia di prodotti non è
possibile determinare con precisione la quantità di dispositivi
presenti sul mercato.
Con il presente elaborato ci si propone di analizzare i diversi
profili di responsabilità derivanti dall’uso di tali presidi, con
particolare riferimento allo specifico contesto del rischio clinico.
Dopo una prima parte di carattere essenzialmente definitorio, è
stata approfondita l’evoluzione legislativa in merito, riservando
una particolare attenzione agli aspetti critici e alle peculiarità
della stessa.
Nell’ultima parte sono stati riportati alcuni casi oggetto di
consulenza tecnica, connessi all’utilizzo di dispositivi medici di
vario tipo.
6
Le osservazioni conclusive, infine, contengono valutazioni e
possibili indicazioni utili per il nostro Paese, alla luce di quanto
riscontrato nel corso dell’analisi.
7
PARTE PRIMA DISPOSITIVI MEDICI:
ASPETTI GENERALI E CLASSIFICATORI
8
1. Dispositivi medici: generalità e definizioni.
I dispositivi medici rappresentano un settore sempre più
importante, se considerato alla luce del loro impatto sulla salute
e sulla spesa sanitaria.
Di conseguenza, è altresì importante l’ambito normativo nel
quale essi si collocano e le conseguenze di tale assetto
regolatorio sulla circolazione dei prodotti stessi nel mercato
dell’Unione Europea.
Occorre, tuttavia, chiarire cosa si intende per dispositivo
medico: a tal fine è necessario richiamare la definizione
contenuta nell’art. 1, comma 2, lett. a), D. Lgs. 46/1997 1.
1
D.Lgs. 46/1997, definizione di dispositivo medico applicabile alla generalità dei casi.
Per i dispositivi medici impiantabili attivi e medico-diagnostici in vitro esistono due
norme specifiche, rispettivamente D. Lgs. 507/1992 e D. Lgs. 332/2000. Il testo
legislativo riporta esattamente che essi sono “qualsiasi strumento, apparecchio, impianto,
sostanza o altro prodotto, utilizzato da solo o in combinazione, compreso il software
informatico impiegato per il corretto funzionamento, e destinato dal fabbricante ad essere
impiegato nell'uomo a scopo di diagnosi, prevenzione, controllo, terapia o attenuazione di
una malattia; di diagnosi, controllo, terapia, attenuazione o compensazione di una ferita o
di un handicap; di studio, sostituzione o modifica dell'anatomia o di un processo
fisiologico;di intervento sul concepimento, il quale prodotto non eserciti l'azione
principale, nel o sul corpo umano, cui destinato, con mezzi farmacologici o immunologici
mediante processo metabolico ma la cui funzione possa essere coadiuvata da tali mezzi”.
9
La normativa di riferimento descrive i dispositivi medici come
una categoria di prodotti destinati ad essere impiegati nell’uomo
o sull’uomo a scopo di diagnosi, prevenzione, controllo o
terapia, attenuazione o compensazione di ferite o di handicap,
ma anche di studio, sostituzione o modifica dell’anatomia o di
un processo fisiologico, o di controllo del concepimento.
Si tratta, dunque, di una categoria piuttosto eterogenea di
prodotti, alcuni dei quali sono di comune utilizzo: sia in
ambiente domestico, come ad esempio i termometri per la
misurazione della temperatura corporea; sia per uso personale,
come cerotti o profilattici; sia per uso in ambienti sanitari, come
ad esempio la gran parte delle strumentazioni utilizzate negli
ambulatori e nelle strutture ospedaliere; inoltre, gli strumenti
utilizzabili esclusivamente da personale specializzato, come ad
esempio gli apparecchi radiografici.
Ne deriva, quindi, che un prodotto può essere considerato
dispositivo medico se svolge una delle funzioni previste nella
definizione attraverso una modalità d’azione che non sia
farmacologica, immunologica o metabolica; tuttavia, può
10
svolgere anche un’azione cd. ancillare, perché nello svolgimento
della sua funzione può essere coadiuvato da una o più di tali
modalità.
In termini generali, si può distinguere tra: dispositivi che
utilizzano fonti di energia, come i dispositivi attivi, i quali
funzionano
grazie
all’alimentazione
elettrica;
dispositivi
impiantati a breve/medio termine, come ad esempio un filo di
sutura riassorbibile, o in modo permanente nell’uomo, come nel
caso di valvole cardiache o protesi articolari2.
Più precisamente, la normativa vigente assegna al Ministero
della Salute, in qualità di Autorità competente, il compito di
coordinare la vigilanza e il monitoraggio sulla circolazione dei
dispositivi medici.
Le direttive comunitarie e le norme legislative italiane che le
hanno recepite suddividono i dispositivi medici in tre categorie:
2
Cfr. MINISTERO DELLA SALUTE, DIREZIONE GENERALE FARMACI E
DISPOSITIVI MEDICI: Dispositivi medici. Aspetti regolatori e operativi. Centro stampa
De Vittorio, Roma, 2007.
11
• dispositivi
medici
impiantabili
attivi
(direttiva
90/385/CEE; decreto legislativo 14 dicembre 1992, n.
507);
• dispositivi medici (in genere), (direttiva 93/42/CEE;
decreto legislativo 24 febbraio 1997, n. 46);
• dispositivi diagnostici in vitro (direttiva 98/79/CE;
decreto legislativo 8 settembre 2000, n.332).
È necessario evidenziare che il decreto legislativo n. 46 del
1997 contiene la definizione di dispositivo medico con riguardo
alla generalità dei dispositivi diversi dalle due categorie che
hanno una regolamentazione specifica (impiantabili attivi e
diagnostici in vitro); in base a tale definizione, applicabile alla
maggior parte dei prodotti reperibili sul mercato, un dispositivo
medico è: uno strumento, un apparecchio, un impianto, una
sostanza o altro prodotto usato da solo o in combinazione,
compreso il software informatico impiegato per il corretto
funzionamento e destinato dal fabbricante ad essere impiegato
nell’uomo a scopo di: diagnosi, prevenzione, controllo, terapia,
o attenuazione di una malattia; diagnosi, controllo, terapia,
12
attenuazione o compensazione di una ferita o di un handicap;
studio, sostituzione o modifica dell’anatomia o di un processo
fisiologico; intervento sul concepimento purché non eserciti
l’azione principale nel o sul corpo umano, cui è destinato, con
mezzi farmacologici o immunologici, né mediante processo
metabolico, ma la cui funzione possa essere coadiuvata da tali
mezzi.
Occorre osservare, inoltre, che i dispositivi medici disciplinati
dal decreto legislativo n. 46 del 1997 (cioè tutti quelli che non
sono né impiantabili attivi, né diagnostici in vitro) sono
suddivisi in quattro classi (classe I, IIa, IIb e III), secondo le
regole di classificazione specificate nell’allegato IX dello stesso
decreto.
I dispositivi medici sono classificati secondo un ordine
crescente di complessità e di maggior rischio per la salute del
paziente: i dispositivi di classe I, infatti, sono quelli che
presentano minori rischi sotto il profilo della sicurezza, mentre i
dispositivi di classe III, sono quelli di maggiore criticità.
Il decreto legislativo disciplina poi, separatamente, anche:
13
•
i dispositivi su misura: destinati ad essere utilizzati solo
per un determinato paziente;
•
i dispositivi per indagini cliniche: destinati ad essere
messi a disposizione di un medico qualificato per lo
svolgimento di indagini cliniche.
Per quanto concerne i dispositivi su misura e i dispositivi per
indagini cliniche, essi sono presenti anche nella categoria
dei dispositivi impiantabili attivi, disciplinata dal decreto
legislativo 507/1992.
Si tratta, dunque, di una vasta gamma di prodotti molto diversi
fra loro, accomunati dalla particolare destinazione d’uso del
prodotto, ovvero la tutela della salute del paziente3.
3
Tale definizione, in termini generali, è contenuta nell’art. 1 comma 2 lett. a) del D.Lgs.
46/97, come da ultimo modificato dal D. Lgs. 25 gennaio 2010, n. 37. Le precisazioni
sulla “medical purpose” sono contenute nella linea guida comunitaria MEDDEV 2.1/1,
documenti non vincolanti elaborati a seguito di una intensa consultazione a livello
comunitario tra le varie parti interessate. Si precisa che per i soli dispositivi medici
impiantabili attivi valgono le definizioni contenute nell’art. 1, c. 2 del D. Lgs. 507/92,
come da ultimo modificato dal D. Lgs. 25 gennaio 2010, n. 37 .
14
1.2 Tipologia dei dispositivi.
Come anticipato nel paragrafo precedente, i dispositivi medici
sono raggruppati, in funzione della loro complessità e del
potenziale rischio per il paziente, in quattro classi:
Classe I: dispositivi meno critici, quali la gran parte di quelli
non attivi e non invasivi. All’interno di detta classe sono
individuabili anche due ulteriori sottoclassi:
Classe Is: dispositivi di classe I forniti allo stato sterile
Classe Im: dispositivi di classe I che svolgono una
funzione di misura.
Classe IIa: dispositivi a rischio medio, quali alcuni dispositivi
non attivi (invasivi e non) e dispositivi attivi che interagiscono
con il corpo in maniera non pericolosa.
Classe IIb: dispositivi a rischio medio/alto, quali alcuni
dispositivi non attivi (specie invasivi) e i dispositivi attivi che
interagiscono con il corpo in maniera pericolosa.
15
Classe III: dispositivi ad alto rischio, quali gran parte dei
dispositivi impiantabili, quelli contenenti farmaci o derivati
animali ed alcuni dispositivi che interagiscono sulle funzioni di
organi vitali.
Nell’ambito delle direttive del cd. Nuovo Approccio le classi di
rischio sono previste nel caso di dispositivi numerosi e aventi
caratteristiche diverse.
Le classi di rischio, inoltre, hanno lo scopo di permettere di
assegnare ai dispositivi il procedimento di valutazione di
conformità più idoneo senza imporre ai fabbricanti schemi
troppo onerosi in rapporto al rischio dei prodotti.
Ne consegue, pertanto, che la classificazione dipende dalla
destinazione d’uso indicata dal fabbricante, attribuita secondo le
regole di classificazione riportate nell'Allegato IX del Decreto
legislativo 24 febbraio 1997, n 46.
In funzione della classe di rischio, il fabbricante può scegliere
tra diverse procedure di valutazione della conformità, che
prevedono interventi più o meno significativi da parte
dell'Organismo Notificato. In tutti i casi è compito del
16
fabbricante predisporre la documentazione tecnica del prodotto,
essenziale ai fini della valutazione della conformità dello stesso
alla direttiva.
Per “fabbricante”, si intende la persona fisica o giuridica
responsabile
della
progettazione,
della
fabbricazione,
dell'imballaggio e dell'etichettatura di un dispositivo in vista
dell'immissione
in
commercio
a
proprio
nome,
indipendentemente dal fatto che queste operazioni siano
eseguite da questa stessa persona o da un terzo per suo conto.
Gli obblighi che la legislazione pone a carico del fabbricante
valgono anche per la persona fisica o giuridica che compone,
provvede all'imballaggio, tratta, rimette a nuovo, etichetta uno o
più prodotti prefabbricati o assegna loro la destinazione di
dispositivo in vista dell'immissione in commercio a proprio
nome.
Tuttavia, i predetti obblighi non si applicano alla persona la
quale, senza essere il fabbricante, compone o adatta dispositivi
già immessi in commercio in funzione della loro destinazione ad
un singolo paziente.
17
Ne consegue che tale modalità di classificazione si esplica
fondamentalmente tenendo conto dell’invasività del dispositivo,
della sua dipendenza da una fonte di energia (cioè, come
dispositivo attivo) e della durata del tempo di contatto con il
corpo.
Con l’espressione “dispositivi medici non invasivi” si fa
riferimento ai dispositivi che non penetrano in alcuna parte del
corpo, né attraverso un orifizio né attraverso la cute; i
dispositivi invasivi sono, invece, quelli destinati a penetrare
anche solo parzialmente nel corpo, tramite un orifizio o una
superficie corporea.
Per quanto riguarda i dispositivi invasivi, essi si possono
ulteriormente suddividere in:
•
dispositivi invasivi, che penetrano attraverso gli orifizi del
corpo;
•
dispositivi invasivi di tipo chirurgico, che penetrano
attraverso la superficie corporea sia nel contesto di un
intervento chirurgico che al di fuori di esso;
18
•
dispositivi impiantabili, destinati a essere impiantati
totalmente nel corpo umano mediante un intervento
chirurgico e a rimanere in tale sede dopo l’intervento. È
considerato
dispositivo
impiantabile
anche
quello
introdotto parzialmente nel corpo umano mediante
intervento chirurgico e destinato a rimanere in sede dopo
l’intervento per un periodo di almeno trenta giorni.
Tali tipologie di dispositivi possono essere suddivisi anche in
base alla durata dell’utilizzo prevista, tra: utilizzo temporaneo,
se la durata continua prevista è inferiore a 60 minuti; utilizzo a
breve termine, se la durata continua prevista non è superiore a
30 giorni; utilizzo a lungo termine, se la durata continua è
superiore a 30 giorni.
Come
anticipato
nel
paragrafo
precedente,
i
dispositivi attivi sono quei dispositivi che per funzionare
necessitano di una qualche forma di energia, diversa da quella
generata direttamente dal corpo umano o dalla gravità, e che
agiscono convertendo tale energia.
19
Tuttavia, vi sono alcune categorie di dispositivi che sono
oggetto di regole speciali di classificazione: una particolare
tipologia di dispositivi medici è rappresentata dai sistemi e kit
per campo operatorio. Essi sono costituiti da una serie di
dispositivi, anche di diverse ditte e anche di classi differenti,
assemblati fra loro; in tali sistemi e kit possono essere contenuti
anche prodotti non classificabili come dispositivi medici.
Ne consegue, pertanto, che un accessorio è considerato
dispositivo medico a tutti gli effetti e deve essere classificato
separatamente dal dispositivo con cui è impiegato.
Infine, è utile specificare che per ogni classe sono individuate
nel decreto delle specifiche procedure di marcatura.
20
1.2.1. Le classi di dispositivi in base alla Direttiva
93/42/CEE.
I Dispositivi Medici (DM) rientrano nel campo di applicazione
della Direttiva 93/42/CEE, emessa nel 1993 e recepita in Italia
con Decreto Legislativo 24.02.97, n. 46.
La Direttiva 93/42/CEE è stata successivamente integrata da
diverse direttive, la più importante delle quali è la direttiva
2007/47/CE, entrata in vigore a decorrere dal 21 marzo 2010.
Essa
impone
l’obbligo
della marcatura
CE
per
la
commercializzazione di tali dispositivi, per ottenere la quale
occorre rispettare dei requisiti essenziali.
Più precisamente, la Direttiva 93/42 rappresenta un documento
di validità sovranazionale ma, tuttavia, essa non elenca tutte le
regole per ciascun tipo di dispositivo; le motivazioni alla base
della scelta effettuata dal legislatore sovranazionale sono di
diverso ordine.
21
In primo luogo le norme di tipo prescrittivo richiedono una
revisione periodica e, a causa del rapido progresso tecnologico
in tale settore, le norme richiederebbero aggiornamenti molto
frequenti, con conseguenti aggravi economici.
In secondo luogo, il progresso tecnologico permette di avere a
disposizione una strumentazione molto ampia, con la possibilità
di ottenere un dispositivo sicuro percorrendo strade differenti,
aventi la stessa validità: ne consegue che diventa, dunque,
impossibile procedere ad una elencazione esaustiva di tali
modalità.
La direttiva in esame è stata elaborata con lo scopo di
uniformare la normativa riguardante la sicurezza dei dispositivi
medici: essa propone, infatti, disposizioni per la certificazione
dei dispositivi medici che siano comuni a tutti gli Stati della
Comunità Europea.
Occorre ricordare, infatti, che negli anni precedenti, le
disposizioni
legislative
e
amministrative
riguardanti
le
caratteristiche di sicurezza e funzionamento dei dispositivi
medici, nonché le procedure di certificazione e controllo
22
avevano, in generale, contenuto e campo di applicazione diverso
in ciascuno Stato, rappresentando, dunque, un ostacolo agli
scambi interni alla Comunità.
Tuttavia, è necessario specificare che essa non sostituisce le
direttive 80/836/Euratom e 84/466/Euratom, riguardanti la
progettazione e fabbricazione dei dispositivi che emettono
radiazioni ionizzanti, poiché per tali dispositivi vanno consultate
tutte queste direttive.
23
1.3 Qualità e sicurezza dei dispositivi medici.
Il concetto di qualità, nell’ambito dei dispositivi medici, è
strettamente legato a quello di sicurezza del paziente.
Nei sistemi sanitari moderni, infatti, vi è un costante impegno
nel gestire l’alta complessità derivante dai numerosi elementi
umani e tecnologici che li compongono, per orientare le attività
verso standard di qualità in sintonia con le aspettative dei
pazienti. Ne consegue, dunque, che il miglioramento della
qualità richiede necessariamente di porre attenzione ai temi
della sicurezza dei pazienti e di attuare misure di gestione del
rischio clinico.
Tuttavia, il requisito della sicurezza non è implicito nelle
caratteristiche di un dispositivo medico: il concetto elementare
di sicurezza, con riferimento alle aspettative dell’utilizzatore,
può individuarsi nell’affidamento ragionevole che l’impiego del
dispositivo
medico,
nell’ambito
dell’uso
previsto
dal
fabbricante, risulti efficace per diagnosi, prevenzioni, controllo,
24
terapia o attenuazione di una malattia e/o compensazione di una
ferita o di un handicap e non sottoponga l’utilizzatore ad
ulteriori situazioni pericolose.
Il concetto di sicurezza deve, inoltre, essere considerato come
requisito gestionale e di sistema, considerando l’evento
incidente non come conseguenza di un singolo errore umano,
ma come il risultato di un’interazione tra fattori tecnici,
organizzativi e di processo.
La cultura della sicurezza richiede, infatti, competenza: gli
operatori
sanitari
organizzativi,
devono
ambientali
ed
conoscere
i
umani
che
fattori
tecnici,
concorrono
a
determinare gli errori4.
4
Reason J., Managing the risks of organizational accidents. England: Ashgate Publishing;
1997
25
1.3.1 Requisiti e procedure per l’attestazione della
conformità.
Attraverso le direttive del cd. Nuovo approccio, il legislatore
comunitario ha dettato regole e principi generali di sicurezza e
di prestazione, ovvero i requisiti essenziali, che i prodotti
regolamentati
dovranno
soddisfare
per
poter
circolare
liberamente nei paesi dell’Unione Europea.5
Tale tendenza ha eliminato gli ostacoli posti dalle legislazioni e
dagli standard europei spesso disarmonici e, soprattutto per il
settore dei dispositivi medici, caratterizzati da un’ampia
diversificazione dei prodotti e da una rapida evoluzione
tecnologica.
Proprio per tali motivi, prima della direttiva 93/42/CEE, molti
dispositivi medici in Italia erano privi di una regolamentazione
5
Cfr. Ministero della salute, Direzione Generale Farmaci e Dispositivi medici, Dispositivi
medici: aspetti regolatori e operativi, Roma, 2007.
26
specifica e, nella prassi, venivano considerati prodotti cd. di
libera vendita.
Il legislatore nazionale ha, in seguito, imposto dei requisiti
essenziali e vincolanti per tutte le tipologie di dispositivi medici
segnando, in tal modo, un notevole passo avanti in termini di
tutela della salute pubblica.
La legislazione prevede, inoltre, con lo scopo di garantirne
sicurezza ed efficacia, specifiche procedure di valutazione della
conformità ai requisiti essenziali, prima della marcatura CE e
della successiva immissione in commercio dei prodotti.
Occorre, però, rilevare che i dispositivi medici, stante l’estrema
eterogeneità della categoria, non possiedono tutti lo stesso
impatto clinico, né lo stesso grado di rischio potenziale.
Per tale motivo essi sono stati classificati in classi di rischio
crescente con la relativa procedura di valutazione della
conformità, nonché l’indicazione dei soggetti deputati a tale
valutazione.
Quanto ai requisiti essenziali, essi sono elencati e descritti
nell’allegato I del D. Lgs. 46/97: in tal modo, il legislatore ha
27
indicato nei requisiti essenziali, in maniera esauriente e
circostanziata, tutte le caratteristiche dei dispositivi medici che
possono incidere sulla sicurezza ed efficacia degli stessi in
relazione all’uso finale stabilito dal fabbricante, indispensabili
per ottenere il livello di protezione richiesto.
Successivamente, il legislatore è intervenuto con il D. Lgs. 25
gennaio 2010, n. 37, con lo scopo di ridurre ulteriormente il
rischio connesso all’uso dei dispositivi medici, chiarendo e
modificando diversi punti della precedente normativa.
La ratio di tale sistema è di affidare ai fabbricanti la piena
responsabilità delle scelte tecniche da adottare per la
realizzazione di dispositivi medici conformi ai requisiti
essenziali imposti dalla direttiva.
Compete, infatti, al fabbricante indicare per ogni dispositivo,
attraverso il cd. fascicolo tecnico, l’applicabilità o meno dei
singoli requisiti essenziali e, in caso positivo, dovrà descrivere
le soluzioni adottate per soddisfare detti requisiti e le relative
procedure messe in atto quali: prove, esami, collaudi, dati
clinici, avvertenze e istruzioni d’uso.
28
Ne consegue che, in tale contesto, la predisposizione di norme
tecniche armonizzate assicura la presunzione di conformità del
dispositivo ai requisiti essenziali.
In altri termini, qualsiasi dispositivo medico deve essere
corredato da informazioni che ne garantiscano la corretta
identificazione, sia del fabbricante, sia della destinazione d’uso
e delle modalità per un corretto utilizzo.
Vi sono, tuttavia, una serie di prodotti che si possono definire
“borderline”, in quanto per la loro natura non appartengono con
chiarezza ad un determinato settore ed è, pertanto, difficile
definire quale sia la normativa di riferimento da applicare.
Può accadere, inoltre, che si tratti di prodotti rientranti nella
definizione di dispositivo medico ma esclusi dal campo di
applicazione della direttiva. Ad esempio, un prodotto borderline
può essere compreso nell’ambito di applicazione delle direttive
sui dispositivi medici, sui dispositivi diagnostici in vitro o sui
dispositivi impiantabili attivi.
29
In tal caso, infatti, si verificano interpretazioni diverse della
norma comunitaria creando una distorsione del mercato interno
con conseguente rischio per la salute pubblica.
La problematica principale dei dispositivi cd. borderline,
dunque, è rappresentata dal fatto che essi sono prodotti di
difficile collocazione, al limite tra la definizione di dispositivo e
le definizioni contenute nelle normative che regolano altri
settori.
Tuttavia, parte della dottrina segnala che a rendere più chiara la
differenziazione vi è la destinazione d’uso, connotabile con una
finalità medica, che non appartiene ad esempio a prodotti
erboristici, cosmetici o ad apparecchiature estetiche.
Di fondamentale importanza, inoltre, è la demarcazione tra
dispositivi medici e medicinali, questione oggetto di un intenso
dibattito a livello comunitario: in base alla definizione
MEDDEV6, i medicinali sono “sostanze, associazioni di
sostanze,
utilizzate
o
somministrate
all’uomo
a
scopo
terapeutico, preventivo, diagnostico ed allo scopo di ripristinare,
6
MEDDEV Linee guida o documenti interpretativi. Legalmente non vincolanti, sono
documenti di riferimento di larga condivisione.
30
correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando
un’azione farmacologica, immunologica o metabolica”.
Tuttavia, anche un dispositivo può essere una sostanza: la
differenza tra sostanza dispositivo medico ed il medicinale, è
rinvenibile con riferimento all’azione principale.
Il medicinale agisce, infatti, con mezzi farmacologici,
metabolici o immunologici; il dispositivo medico, invece,
generalmente, si avvale di mezzi fisici, quali ad esempio
l’azione meccanica di barriere fisiche, o la sostituzione o il
supporto per organi o funzioni corporee.
Per quanto concerne l’importanza di una corretta qualificazione
del prodotto, anche la direttiva 2007/47/CE, che modifica le
direttive sui dispositivi medici, prevede che “l’istituzione di una
procedura decisionale per stabilire se un prodotto rientri nella
definizione di dispositivo medico è nell’interesse della
sorveglianza
dei
mercati
nazionali
e
della
salute
e
dell’incolumità delle persone, ai fini di un corretto ed efficace
funzionamento della direttiva 93/42/CEE in materia di
consulenza normativa su questioni inerenti alla classificazione a
31
livello nazionale, in particolare in merito all’applicabilità della
definizione di dispositivo medico a un determinato prodotto”.
Pertanto, stabilito che il prodotto è un dispositivo medico, il
fabbricante dovrà classificarlo in una delle classi di rischio
stabilite dal D.Lgs. 46/1997, al fine di attuare le procedure di
valutazione della conformità previste per ciascuna classe.
Occorre sottolineare che la conformità viene valutata dal
fabbricante attraverso un documento, detto dichiarazione di
conformità, con il quale lo stesso garantisce e dichiara che i
propri prodotti soddisfano le disposizioni applicabili della
direttiva di riferimento. Essa rappresenta, dunque, una
assunzione di responsabilità per la marcatura CE del prodotto e
la sua immissione nel mercato.
Per i dispositivi appartenenti a classi superiori alla prima,
invece, la conformità viene valutata, con diverse modalità, da un
soggetto terzo, denominato Organismo Notificato, che la attesta
mediante una certificazione rilasciata dal fabbricante.
Dunque, la valutazione di conformità di un prodotto ai requisiti
essenziali previsti da ciascuna direttiva di nuovo approccio
32
viene eseguita attraverso moduli stabiliti da una decisione del
Consiglio dei Ministri CEE (90/683/CEE) approvata il 13
dicembre 1990, sostituita successivamente dalla decisione
93/465/CEE. Tale valutazione di conformità deve riguardare
tutti gli aspetti connessi con il prodotto e relativi sia alla
progettazione che alla fabbricazione.
Anche la scelta delle procedure per la certificazione di un
dispositivo nell’ambito di una medesima classe dipende
esclusivamente dal fabbricante, che opererà tale scelta sulla base
della propria organizzazione (presenza o meno di un sistema di
qualità) o in base al tipo di produzione dei propri dispositivi
(numerosità e/o frequenza).
La possibilità di utilizzare dispositivi medici per i quali non
siano state espletate tali procedure è prevista solo per singoli
dispositivi il cui impiego è nell’interesse della protezione della
salute o per il trattamento di singoli pazienti a scopo
compassionevole; in entrambi i casi vi deve essere, però, una
esplicita autorizzazione del Ministero della salute .
33
Una volta che il fabbricante è in possesso della documentazione
attestante la valutazione di conformità (dichiarazione di
conformità
ed,
eventualmente,
certificato/i
rilasciato/i
dall’Organismo Notificato) può marcare CE il proprio
dispositivo a garanzia della applicazione di tutte le previsioni
contenute nella normativa e lo può, quindi, immettere in
commercio.
Il marchio CE deve essere apposto in maniera visibile, leggibile
ed indelebile, sul dispositivo o sull’involucro sterile e, se del
caso, anche sulla confezione commerciale e sulle istruzioni per
l’uso, inoltre deve essere, eventualmente, corredato dal numero
di codice identificativo dell’Organismo Notificato intervenuto
nella procedura di valutazione della conformità.
34
1.4 Il mercato europeo dei dispositivi medici.
1.4.1 Definizione del mercato.
Il mercato dei dispositivi medici può essere definito in generale
come il mercato formato da tutti gli strumenti, impianti, prodotti
utilizzati da soli o in combinazione e destinati ad essere
impiegati nell’uomo a scopo di diagnosi, prevenzione e cura di
una malattia. Si tratta di un mercato molto ampio, complesso, in
continua crescita che lo rende uno dei più vitali e dinamici
dell’economia mondiale.
La nascita di tale tipologia di mercato ha rivoluzionato il
sistema sanitario in termini di riduzione dei tempi diagnostici e
di miglioramento della qualità delle analisi cliniche a fronte di
una minor spesa sanitaria.
Per giungere ad una definizione esaustiva del mercato rilevante
dei dispositivi medici è necessario individuare le principali
tipologie di prodotto. Per tale motivo è utile fare riferimento alla
35
classificazione operata dalle normative italiane, che recepiscono
a loro volta le direttive europee.
Si può distinguere fra tre grandi famiglie di dispositivi medici:
• dispositivi medici impiantabili attivi: nel d.lgs. 14
dicembre 1992, n. 507, che recepisce la direttiva europea
90/385/CE, i dispositivi medici impiantabili attivi
vengono definiti come un qualsiasi dispositivo medico
attivo destinato ad essere impiantato interamente o
parzialmente mediante intervento chirurgico o medico
nel corpo umano o mediante intervento medico in un
orifizio naturale e destinato a restarvi dopo l’intervento;
• dispositivi medico-diagnostici in vitro: nel d.lgs. 7
novembre 2000, n. 332, che recepisce la direttiva europea
98/79/CE, i dispositivi medico diagnostici in vitro
vengono definiti come un qualsiasi dispositivo medico
composto da un reagente, da un prodotto reattivo, da un
calibratore, da un materiale di controllo, da un kit, da uno
strumento, da un apparecchio, un’attrezzatura o un
36
sistema, utilizzato da solo o in combinazione, destinato
dal fabbricante ad essere impiegato in vitro per l’esame
di campioni provenienti dal corpo umano, inclusi sangue
e tessuti donati, unicamente o principalmente allo scopo
di fornire informazioni su uno stato fisiologico o
patologico, o su una anomalia congenita, o informazioni
che consentono la determinazione della sicurezza e della
compatibilità con potenziali soggetti riceventi, o che
consentono il controllo delle misure terapeutiche. I
contenitori dei campioni sono considerati dispositivi
medico-diagnostici in vitro. Per contenitori di campioni
si intendono i dispositivi, del tipo sottovuoto o no,
specificamente destinati dai fabbricanti a ricevere
direttamente il campione proveniente dal copro umano e
a conservarlo ai fini di un esame diagnostico in vitro. I
prodotti destinati ad usi generici di laboratorio non sono
dispositivi medici medico-diagnostici in vitro a meno
che, date le loro caratteristiche, siano specificamente
destinati dal fabbricante ad esami diagnostici in vitro;
37
• dispositivi medici che non rientrano in alcuna delle
suddette famiglie: la definizione di questa categoria
generale viene fornita dal d.lgs 24 febbraio 1997, n. 46
che recepisce la direttiva europea 93/42/CE, ed in base al
quale i dispositivi medici vengono definiti come
“qualsiasi strumento, apparecchio, impianto sostanza o
altro prodotto, utilizzato da solo o in combinazione,
compreso il software informatico impiegato per il
corretto funzionamento, e destinato dal fabbricante ad
essere impiegato nell’uomo a scopo di diagnosi,
prevenzione, controllo, terapia o attenuazione di una
malattia; di diagnosi, controllo, terapia, attenuazione o
compensazione di una ferita o di un handicap; di studio,
sostituzione o modifica dell’anatomia o di un processo
fisiologico; di intervento sul concepimento, il quale
prodotto non eserciti l’azione principale, nel o sul corpo
umano, cui è destinato, con mezzi farmacologici o
immunologici né mediante processo metabolico ma la cui
funzione possa essere coadiuvata da tali mezzi”.
38
1.4.2 Tra dimensioni del mercato e spesa assicurativa.
Il mercato Europeo dei dispositivi medici rappresenta il 34%7
della spesa totale per dispositivi medici e il 30% del volume di
produzione per dispositivi medici.
Nel panorama italiano, in termini di spesa totale pubblica e
privata per dispositivi medici, viene impiegato il 5,6% della
spesa sanitaria totale contro una media europea del 6,3% con un
decremento del 0,2% rispetto al 2002.
Come evidenziato dal premio Nobel Arrow in un suo
fondamentale
discorso
del
1963,
al
quale
si
fa
convenzionalmente risalire la nascita dell’Economia Sanitaria, il
settore sanitario è caratterizzato dall’incertezza: sul lato della
domanda, in quanto non è possibile prevedere quando ci si
ammalerà, con quale gravità e con quale impatto economico; sul
7
Fonte Rapporto Ceis Sanità 2008. Tra i Paesi europei la Germania detiene la quota
maggiore di spesa sul totale Europa pari al 31,45 e un valore della produzione pari al
34,3%, seguono Francia con una quota di spesa pari al 15,6% e un valore di produzione di
circa il 14%, l’Italia con un 11% di quota di spesa e un 12% di valore della produzione
pari al 9%.
39
lato dell’offerta, in quanto non è certo neppure l’esito delle
terapie.
Tuttavia, è noto come il rischio di malattia può ridursi per
effetto degli avanzamenti della scienza diagnostica e clinica, ma
anche per effetto dei cambiamenti degli stili di vita.
In tale contesto, è fondamentale l’importanza sociale e
individuale della tutela sanitaria e, in particolare, dell’aspetto
assicurativo, in termini di trasferimento del rischio. A tale
compito sono deputate le imprese di assicurazione, oppure gli
Stati e, in tal caso, si parla di assicurazioni sociali.
Ne deriva, come logico corollario, che i sistemi sanitari abbiano,
in primo luogo, una funzione di tipo assicurativo quale fattore
caratterizzante gli stessi.
Sul territorio italiano, la natura universalistica del sistema
sanitario nazionale è sufficiente a spiegare la maggior parte
della modesta crescita del sistema assicurativo nazionale. In tale
contesto la funzione di committenza è, infatti, per lo più,
monopolizzata dalle ASUR/ASL, quindi, ancora largamente di
natura pubblica.
40
1.5 Competitività e impatto sulla spesa pubblica.
Nonostante le politiche sanitarie di contenimento dei costi, i
dispositivi
medici
rappresentano
una
parte
importante
dell’industria manifatturiera, che ha registrato forti tassi di
crescita anche nei recenti anni di crisi economica.
In tempi recenti, il regime regolatorio dei dispositivi medici è
stato al centro del dibattito dei decisori pubblici nazionali e
internazionali.
Nel nostro Paese si sono moltiplicate le iniziative di regolazione
di vari aspetti del mercato dei dispositivi, dall’istituzione di
strumenti di controllo della commercializzazione dei prodotti
fino alla definizione di prezzi da adottare quali basi d’asta per le
forniture al SSN.
Fino ad ora, la comunità scientifica ha prestato poca attenzione
alla valutazione dell’impatto di tali iniziative sulle performance
delle imprese operanti nel settore, sebbene quello del cd. “policy
impact” sia un approccio frequente nello studio di altri settori,
41
come quello farmaceutico ( v. Virts e Weston, 1980; So e Tang,
2000; Pavcnik, 2002; Sood et al. 2009; Golec e Vernon, 2010).
Quanto al ruolo dei processi di ricerca e sviluppo, essi si
fondano su un approccio per obiettivi: la ricerca in tale settore è,
infatti, strettamente finalizzata in quanto si parte, generalmente,
da un problema e, seguendo le idee e le intuizioni dei clinici si
cerca di mettere a punto un dispositivo che lo possa risolvere.
La
fase
cd.
di
sviluppo
passa
tipicamente
per
un
prototipo/prodotto di prova volto ad essere utilizzato secondo
una precisa destinazione d’uso.
Ne deriva, dunque, che il sistema si basa sull’esperienza riferita
ad un prodotto o una tecnologia esistente, da cui si parte tenendo
conto di quanto già si conosce sui limiti e i rischi connessi al suo
utilizzo.
In definitiva, il settore dei dispositivi medici si può definire,
quindi, come un settore di “convergenza”, nel quale si
incontrano e si applicano diverse scienze e saperi, ciascuno con
il relativo bagaglio di esperienze e di evidenze.
42
PARTE SECONDA
L’EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA
SUI DISPOSITIVI MEDICI
43
2.1 Le origini della disciplina.
L’espressione “dispositivo medico” è stata introdotta di recente
nel nostro Paese, in particolare fra gli operatori sanitari, perché
mentre da alcuni decenni nel mondo anglosassone si parlava di
“medical devices”, la normativa italiana non prevedeva una
nozione e una disciplina corrispondenti.
In realtà, il legislatore italiano, con la L. 23 giugno 1927, n.
1070, poi trasfusa nel Testo unico delle leggi sanitarie del 1934
(T.U.L.L.S.S. R. D. 27 luglio 1934, n. 1265), aveva percepito la
necessità di estendere il controllo delle autorità sanitarie anche a
quella parte degli strumenti del medico che non era
riconducibile ai medicinali.
A tal fine era prevista una “speciale registrazione” presso il
Ministero dell’Interno, che allora si occupava anche di sanità,
dei “presidi medici e chirurgici”, indicati nel regolamento di
esecuzione della stessa legge.
44
Tuttavia, il Legislatore non chiarì in maniera esaustiva quali
strumenti fossero ricompresi nella nozione di presidi medici e
chirurgici, poiché l’elenco individuato nel regolamento di
esecuzione era molto esiguo, in quanto si limitava a
comprendere soltanto:
1) pessari;
2) irrigatori, docce, siringhe, insufflatori vaginali; cannule
vaginali;
3) disinfettanti e sostanze poste in commercio come battericide e
germicide;
4) apparecchi di contenzione di ernie intestinali e di organi
addominali.
Nel corso dei successivi settanta anni l’autorità sanitaria centrale
(il
Ministero
dell’Interno
e,
successivamente,
l’Alto
Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica e il Ministero
della Sanità, divenuti competenti in materia sanitaria a partire,
rispettivamente, dal 1945 e dal 1958) fece più volte ricorso a
questa facoltà, senza inquadrarla in un progetto complessivo, ma
cercando di rispondere all’esigenza di non lasciare privo di
45
regolamentazione un determinato tipo di prodotti impiegati in
campo medico, la cui libera commercializzazione aveva fatto
emergere alcuni aspetti di criticità.
In seguito, gli anni ’70 sono stati un decennio ricco di
innovazioni che hanno profondamente trasformato la sanità: sin
da
allora,
caratterizzata
l’evoluzione
da
dei
processi
dispositivi
di
medici
innovazione
di
è
stata
natura
“incrementale”, avvenuti in simbiosi con la pratica clinica,
senza soluzione di continuità.
Negli anni ‘70, grazie alle scoperte scientifiche nei diversi
campi quali: l’ingegneria, l’informatica, la biologia, unite alle
sperimentazioni spaziali, l’aeronautica, hanno dimostrato che
molti di questi progressi potevano avere un’utile applicazione
anche in campo medico.
In seguito, si verificò un’esplosione di prodotti e tecnologie
sempre più innovativi, che richiedevano, però, l’intervento del
legislatore con un’accurata regolamentazione a livello europeo.
A partire dagli anni ‘80, invece, il settore è stato regolamentato
mediante direttive comunitarie accomunate dallo scopo di
46
rendere chiare e definite le regole per l’immissione in
commercio di dispositivi medici all’interno degli Stati membri.
E’ in tale decennio che il legislatore nazionale manifesta un
serio tentativo di riorganizzazione della materia, con l’adozione
del D.P.R. n. 128/1986, recante il regolamento di esecuzione
delle norme contenute nel’art. 189 del T.U.LL.SS del 1934.
Tale regolamento, tentò di disciplinare i presidi medici e
chirurgici dividendoli in tre grandi gruppi ( presidi chimici,
dispositivi medici e diagnostici in vitro), che a loro volta erano
suddivisi in ulteriori classi. In altri termini, il D.P.R. n.
128/1986 tentò di mantenere il regime autorizzativo in vigore
fin dagli anni ’20, conservando, però, l’esigenza di rendere
trasparenti
le
condizioni
ed
i
criteri
per
il
rilascio
dell’autorizzazione.
Ne deriva, che il mercato dei dispositivi medici è stato
sostanzialmente privo di regolamentazione per l’immissione in
commercio di prodotti fino al momento della promulgazione
delle direttive europee.
47
Fino ad allora, i dispositivi erano, infatti, noti come “presidi
medico-chirurgici” e non vi era una reale conoscenza del
settore, ad eccezione di quelle pochissime famiglie di prodotti
soggette a registrazione da parte del Ministero della Sanità.
Per lungo tempo, infatti, le tipologie di dispositivi erano
costituite da poche decine di prodotti diversi, sostanzialmente
immutati nel tempo.
Quanto al versante europeo, fino al 1985 le Istituzioni
comunitarie avevano tentando di creare un mercato unico
all’interno della Comunità Europea attraverso direttive di
armonizzazione delle legislazioni nazionali, volte a prevedere
aspetti tecnici dei prodotti ed imporre, conseguentemente, agli
Stati membri di abbandonare le loro discipline. Tale sistema,
tuttavia, non risultava adeguato perché richiedeva tempi lunghi,
in contrasto con i traguardi propri della Comunità.
A tal proposito, il Legislatore europeo predispose un corpo di
norme in grado di soddisfare diversi obiettivi, come ad esempio:
garantire la sicurezza dei prodotti, assicurandone la libera
circolazione all’interno dell’Unione Europea; definire regole
48
certe e chiare, senza impedire l’innovazione tecnologica;
individuando meccanismi di verifiche e controlli che non
ostacolassero
l’applicazione
pratica
dei
progressi
dell’evoluzione scientifica .
49
2.2. La normativa comunitaria: aspetti critici e
peculiarità.
La normativa comunitaria in tema di dispositivi medici è
piuttosto ampia, a causa dei numerosissimi interventi legislativi
che si sono susseguiti negli ultimi anni.
È, tuttavia, interessante e necessario prendere spunto da tali
interventi per capirne la ratio, nonché l’impatto con i sistemi
giuridici nazionali.
In primo luogo, la logica alla base degli interventi comunitari8
ha lo scopo di raggiungere un livello minimo di armonizzazione
tra gli Stati membri: per raggiungere tale obiettivo le istituzioni
europee si sono limitate a fissare dei requisiti essenziali ai quali
i prodotti devono conformarsi, riservando ai legislatori nazionali
8
In tal senso anche G. Contaldi “La normativa comunitaria sui dispositivi medici” in
Cingolani M., (a cura di) Atti del Congresso Nazionale G.I.S.D.I.- IV giornate di studio 67-8 novembre 2008, Giuffrè Ed., 2011
50
il compito di stabilire previsioni specifiche per ogni singola
categoria9.
Tale impostazione appartiene al contesto normativo denominato
“Nuovo approccio”, adottata a partire dal libro Bianco del 1985:
in tale documento la Commissione europea intendeva adottare
interventi normativi che permettessero la libera circolazione
delle merci, attraverso regole di armonizzazione di base. Lo
scopo di tali norme era, appunto di facilitare il reciproco
riconoscimento delle legislazioni nazionali evitando ostacoli al
riconoscimento delle norme tecniche straniere.
Nel vasto panorama legislativo dei dispositivi medici, vi sono
tre direttive fondamentali: si tratta, delle direttive 90/385, 93/42
e 98/72. Esse sono state oggetto di numerose revisioni, l’ultima
delle quali è avvenuta con
la direttiva 2007/47/CE, che
modifica la direttiva 90/385/CEE del Consiglio per il
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai
dispositivi medici impiantabili attivi, la direttiva 93/42/CEE del
9
Cfr. Stefanelli S., Rimondini L., Dispositivi Medici e assicurazione di qualità. Masson,
Ed. Milano 1999
51
Consiglio concernente i dispositivi medici, e la direttiva
98/8/CE, relativa all’immissione sul mercato dei biocidi.
Ad un primo sguardo, le direttive sembrano rivolgersi
soprattutto al fabbricante, in quanto esse contengono i requisiti
soggettivi
dello
stesso,
nonché
le
modalità
per
il
confezionamento di un prodotto conforme agli standard
comunitari. Si richiede, inoltre, che il fabbricante sia stabilito
all’interno di uno Stato membro o, in mancanza, la presenza di
un mandatario che si trovi in un paese membro dell’Unione.
Sono previsti, inoltre, degli organismi notificati che hanno il
compito di ricevere la comunicazione del fabbricante relativa
alla produzione di un determinato quantitativo e tipologia di
dispositivo medico, che deve risultare conforme sia alle norme
armonizzate, sia allo standard qualitativo richiesto (in Italia tali
organismi operano sotto il controllo del Ministero della Salute).
Da una prima lettura di tali normative, si può agevolmente
desumere che il legislatore comunitario ha concesso ampia
discrezionalità al fabbricante di dispositivi medici, in quanto vi
52
sono prescrizioni piuttosto generiche, previste per raggiungere
obiettivi di qualità e sicurezza di tali prodotti.
Tale discrezionalità si desume anche dal fatto che spetta al
fabbricante, a seguito della comunicazione agli organismi
notificati, il compito di apporre il marchio di conformità,
contraddistinto dalla sigla CE. Tale procedura avviene sotto la
diretta responsabilità del produttore, tenuto a produrre
dispositivi
medici
rispondenti
alle
generiche
previsioni
contenute nelle direttive comunitarie di armonizzazione.
Nella specie, la funzione di controllo che svolge l’organismo
notificato è di tipo indiretto, poiché si basa principalmente sulla
comunicazione effettuata dal produttore. La mancanza di un
controllo più incisivo sui processi produttivi trasforma, quindi,
l’onere di comunicazione in capo al produttore in una sorta di
“presunzione”di conformità ai requisiti essenziali richiesti.
Quanto all’immissione nel commercio dei dispositivi medici, vi
è una procedura standard gestita a livello centrale da parte degli
organi indicati da ciascuno Stato membro: la legislazione
comunitaria prevede, infatti, una procedura di salvaguardia
53
all’art. 8 della direttiva 93/42, la quale consente di bloccare la
commercializzazione di dispositivi conformi alla procedura per
l’apposizione del marchio CE, ma che risultano, nella pratica,
dannosi per la salute o per la sicurezza.
Si tratta, dunque, di una procedura interstatuale, poiché la
competenza per attivare la procedura spetta solo allo Stato
membro che, con atto legislativo o amministrativo, stabilisce il
ritiro di determinati prodotti dal commercio.
Tale procedura può essere attivata autonomamente o, più
frequentemente, a seguito di segnalazione ricevuta dagli
utilizzatori dei dispositivi. Ad esempio, la normativa italiana
prevede l’obbligo a carico dei direttori delle strutture sanitarie di
comunicare gli incidenti che si verificano nell’utilizzazione di
determinati dispositivi medici, con conseguenti sanzioni penali
per eventuali inadempimenti.
Alla luce di tali considerazioni si può, dunque, affermare che vi
è un approccio “eccessivamente liberale”10, provocato dal
10
cfr. G. Contaldi, “La normativa comunitaria sui dispositivi medici” in Cingolani M., (a
cura di) Atti del Congresso Nazionale G.I.S.D.I.- IV giornate di studio 6-7-8 novembre
2008, Giuffrè Ed., 2011
54
particolare contesto normativo sovranazionale, il quale tende a
privilegiare l’esercizio di una libertà comunitaria indispensabile
per la costruzione del mercato unico, rappresentata dalla libera
circolazione delle merci, piuttosto che la protezione degli
interessi dei pazienti e degli operatori medici.
Una prima conseguenza di tale approccio “liberista” è una
compressione
degli
interessi
collettivi,
nonché,
conseguentemente del cd. diritto alla salute.
In secondo luogo la normativa comunitaria sembra ispirata ad
una centralizzazione dei meccanismi di controllo, che
generalmente si svolgono, in base al principio del mutuo
riconoscimento11, nel paese di origine dei prodotti e, soltanto
eccezionalmente, nel paese di commercializzazione.
Da tale assunto ne deriva che il singolo operatore viene privato
della possibilità di far valere autonomamente misure di
protezione che, dal punto di vista pratico, provoca l’insorgere di
responsabilità per lo stesso per aver utilizzato dispositivi medici
dannosi per la salute dei pazienti.
11
Tale principio fu affermato nella storica sentenza della Corte di Giustizia nel caso
Cassis de Dijon, 20 febbraio 1979, in Raccolta, 1979, p. 649.
55
Nell’ordinamento italiano, infatti, secondo la giurisprudenza
prevalente, la struttura sanitaria può essere chiamata a risarcire i
danni provocati dall’impiego di determinati dispositivi medici:
può accadere che, anche a seguito della regolare segnalazione
dell’evento alle competenti strutture presso il Ministero della
Salute, esse non adottino alcuna precauzione in quanto nella
prassi la procedura di salvaguardia viene attivata solo a seguito
di un certo numero di incidenti o, anche, a causa dell’incapacità
di attivare misure precauzionali in tempi brevi.
Tale scenario mette, pertanto, in luce una lacuna importante
della disciplina in tema di dispositivi medici, come confermato
anche da un’importante sentenza della Corte di Giustizia nel
caso Medipac-Kazantzidis12. La sentenza in questione ha
affermato, più in generale, l’applicabilità dei principi generali di
parità di trattamento ed obbligo di trasparenza anche nel caso di
appalti sotto soglia comunitaria.
Nel caso di specie, un ospedale greco aveva escluso dalla gara
di appalto per la fornitura di dispositivi medici una ditta
12
Sentenza 14 giugno 2007, in causa C-6/05, Medipac-Kazantzidis AE c. VenizeleioPananeio (PE.S.Y. Kritis), in Raccolta, 2007, I-4557.
56
produttrice di determinati strumenti, i quali, pur provvisti di
regolare marchiatura CE, nell’applicazione pratica sono, di
fatto, risultati dannosi per la salute e la sicurezza dei pazienti.
Tale provvedimento di esclusione è stato oggetto di ricorso ed il
giudice adito ha sollevato una questione pregiudiziale.
Ne deriva, dunque, che in base alla normativa comunitaria
l’unica possibilità per ostacolare la libera circolazione delle
merci recanti la marchiatura CE è di attivare la procedura di
salvaguardia; tale compito spetta allo Stato membro e, in caso di
inerzia dello stesso, la struttura sanitaria o il singolo operatore
non possono autonomamente procedere alla sospensione o alla
esclusione di determinati prodotti, confezionati conformemente
alla procedura prescritta dalle direttive di armonizzazione.
Occorre osservare che limitare la possibilità per un ente
sanitario di escludere determinati dispositivi medici, risultati
privi di caratteristiche idonee rispetto al loro impiego e
condizionarne
la
sostituzione
dei
prodotti
difettosi
all’attivazione della procedura di salvaguardia non tutela
efficacemente il diritto alla salute: il diritto comunitario, infatti,
57
non può permettere la lesione di un diritto fondamentale quale
quello alla salute .
In conclusione, tale normativa, per essere più funzionale alla
tutela della salute, necessita di una integrazione consistente nella
previsione della possibilità per un soggetto privato di attivare
determinati procedimenti, nell’attesa che gli organi di controllo
competenti adottino le misure provvisorie.
In assenza di tali adattamenti, come sostiene parte della dottrina
sul punto, tale normativa presenterebbe una causa di invalidità,
rappresentata dalla violazione del diritto alla salute.
58
2.3 Il contesto normativo: tra cd. Nuovo approccio e
sistemi di sorveglianza.
In primo luogo, occorre osservare che il merito del legislatore
europeo è stato di essersi avvalso di esperti, coinvolgendo le
figure direttamente interessate: istituzioni, professionisti e
industrie.
Come accennato nel paragrafo precedente, il corpo di leggi,
costituito principalmente da tre direttive, sembra rivolgersi
soprattutto ai fabbricanti, in quanto basato sull’assunzione di
responsabilità da parte del fabbricante più marcato rispetto a
prima.
Vi è, infatti, la responsabilità del fabbricante, che deve
dichiarare e dimostrare che i prodotti svolgano esattamente la
funzione che egli ha indicato e che siano sicuri; la responsabilità
dell’utilizzatore, che deve seguire le indicazioni del fabbricante;
dell’amministratore della struttura sanitaria, che deve porre in
59
atto tutte le condizioni affinché i dispositivi siano correttamente
inseriti nella struttura e adeguatamente mantenuti.
Si può, dunque, affermare che tra gli strumenti originali ed
innovativi che l’Unione Europea ha concepito per eliminare gli
ostacoli alla libera circolazione delle merci, un posto d’onore è
riservato al cd. Nuovo approccio alla regolamentazione dei
prodotti
e
conformità:
all’approccio
entrambi
globale
riducono
alla
valutazione
all’essenziale
della
l’intervento
pubblico, lasciando all’industria la più ampia scelta possibile
circa le modalità per soddisfare gli obblighi pubblici.
Il legislatore comunitario, spinto dalla volontà di garantire la
massima sicurezza possibile a tutti i potenziali destinatari dei
dispositivi medici, ha predisposto un sistema di sicurezza
bipartito13.
In primo luogo, il legislatore ha previsto un sistema di
sorveglianza preventivo, operante ex ante, partendo dall’assunto
secondo il quale tutti i dispositivi medici sono prodotti di
13
Si veda, sul punto, anche: Dell'Erba A., Di Luca Natale M., Frati P., Montanari
Vergallo G., La responsabilità civile per i danni causati dai dispositivi medici, in Zacchia,
2010, III, pagg. 325-350.
60
estrema rilevanza ai fini della tutela della salute pubblica e che,
quindi, richiedono un accurato controllo preventivo: esso deve
avvenire nella fase della produzione, in stretta collaborazione
con le autorità amministrative e i privati, al fine di evitare che il
danno si produca.
In tale contesto di tutela preventiva, la normazione tecnica
elaborata da
soggetti
dotati
di
particolare
competenza
(imprenditori, organi pubblici e associazioni di consumatori)
svolge un ruolo importante, in quanto rappresenta la cd.
normazione di dettaglio, a completamento della genericità dei
requisiti fissati dal legislatore comunitario. Ne consegue che tale
strumento permette di predisporre una disciplina analitica delle
metodologie di produzione e delle caratteristiche richieste ad un
prodotto
per
garantirne
qualità
e
sicurezza,
prima
dell’immissione in commercio.
Il Legislatore europeo, a conferma di quanto detto, non ha
specificato le soluzioni tecnologiche che i fabbricanti devono
adottare, sia per non ostacolare il progresso tecnologico, sia per
garantire l’innovatività dei prodotti immessi nel mercato,
61
In secondo luogo, il cd. Nuovo approccio, prevede una tutela ex
post corredata, oltre che da sanzioni amministrative e penali
(che verranno approfondite nei capitoli seguenti), dalle norme in
materia di responsabilità, sia di stampo codicistico che
extracodicistico, che permettono ad un soggetto danneggiato da
un dispositivo medico di ricorrere all’autorità giudiziaria per
ottenere il risarcimento del danno patito.
Occorre, tuttavia, ricordare che, affinché un sistema di controlli,
orientato al duplice scopo di ridurre al minimo le situazioni
pericolose, ma anche di contenere i danni nel caso si verifichino
sia efficace, è di fondamentale importanza un’analisi dei rischi:
essa deve essere in grado di far emergere le precauzioni
necessarie nelle fasi di progettazione, fabbricazione e controllo
dei dispositivi, per garantire le prestazioni attese, coniugando la
sicurezza per una tutela adeguata della salute con il grado di
difettosità richiesta.
Le Direttive, dunque, oltre a definire i requisiti essenziali che i
dispositivi devono soddisfare prima di essere immessi nel
mercato, contestualmente,
richiedono una valutazione dei
62
rischi, attraverso un processo di gestione del rischio ed
un’analisi rischi-benefici.
Prima del cd. Nuovo approccio si tendeva a valutare la
pericolosità e, di conseguenza, la necessità di sottoposizione a
controllo in un momento successivo all’immissione in
commercio; con l’entrata in vigore della nuova normativa vi è
una presunzione di pericolosità potenziale dei dispositivi e, di
conseguenza, si impone un controllo preventivo che eviti o
almeno limiti gli eventuali danni che tali prodotti possono
causare.
Ciò implica un concetto di “rischio associato cd. accettabile”, da
considerare in rapporto con i benefici alla salute del paziente,
quale
condizione
in
grado
di
giustificarne
l’utilità
dell’introduzione nel mercato.
Il D. Lgs. 46/1997, che recepisce la direttiva 93/42/CEE, inoltre,
prevede un’attività di vigilanza (art. 17) da parte del Ministero
della Salute attraverso verifiche e controlli da parte di organismi
tecnici dello Stato o laboratori specializzati presso il produttore.
63
Ciò significa, dunque, che la normativa comunitaria e nazionale
richiedono al fabbricante l’obbligo di apporre la marcatura CE,
a seguito dell’esito positivo della valutazione di conformità del
dispositivo (ex art. 11), procedura il cui grado di complessità
varia in base alla classe di appartenenza del dispositivo14.
Nell’ordinamento italiano, inoltre, la normativa comunitaria
deve essere integrata con la previsione di cui all’art. 57 della L.
n. 289/2002, che concerne le “Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato ( legge finanziaria
2003) che ha istituito la Commissione unica sui dispositivi
medici (CUD), organo consultivo tecnico del Ministero della
Salute.
Tuttavia, occorre ribadire che la normativa speciale, non
prevede regole per quanto riguarda la responsabilità civile, ma
soltanto sanzioni di carattere amministrativo e penale.
E’ necessario, inoltre, specificare la differenza che intercorre tra
14
In tal senso cfr. Dell'Erba A., Di Luca Natale M., Frati P., Montanari Vergallo G., La
responsabilità civile per i danni causati dai dispositivi medici, in Zacchia, 2010, III, pagg.
325-350;si veda anche Frigato G., Sistemi di qualità e marcatura CE nei dispositivi
medici, Di Renzo Ed., Roma, 1996.
64
il ritiro del mercato di un prodotto sulla base della clausola di
salvaguardia prevista dall’art. 7 D. Lgs. 46/1997, e il ritiro come
sanzione del fabbricante che pone in commercio un dispositivo
non conforme alle prescrizioni legislative: nel primo caso, il
ritiro svolge direttamente una funzione di tutela della salute
pubblica, mentre nel secondo caso, il ritiro è volto a sanzionare
la marcatura apposta indebitamente .
In conclusione si può affermare che la disciplina giuridica
riguardante i dispositivi medici si trova ancora in una fase cd. di
assestamento: vista la crescente rilevanza di tali prodotti, sia dal
punto di vista sanitario, sia da quello dei costi sopportati dai
sistemi sanitari pubblici, diventa di fondamentale importanza la
diffusione della conoscenza della normativa in tutti gli ambienti
sanitari, soprattutto per creare un forte fattore di crescita, in
termini di comportamenti consapevoli e responsabili.
65
PARTE TERZA
LA RISPOSTA DELLA SCIENZA
GIURIDICA PROFILI DI RESPONSABILITÀ
66
3.1 Le peculiarità della disciplina riguardante la responsabilità
civile del produttore
La disciplina attinente la responsabilità del produttore,
originariamente dettata dal D.P.R. 24 maggio 1998, n. 224 è
confluita quasi integralmente nel Titolo II della Parte IV del
Codice del Consumo (artt. 114-127), varato con il d. lgs. n.
206/2005.
Tale normativa ha, in primo luogo, dettato una disciplina di
tutela del consumatore per i danni derivanti da prodotti difettosi
che si aggiunge alle disposizioni generali di diritto comune in
tema di responsabilità civile.
L’introduzione di tale forma di responsabilità, connessa
all’immissione in commercio di prodotti difettosi, è avvenuta in
concomitanza con la cd. “scoperta del consumatore”, cioè con la
nuova esigenza, sorta a seguito del progresso tecnologico ed alla
67
produzione in serie, di garantire una protezione simile al
modello americano di “strict liability”.15
Tuttavia, parte della dottrina, ritiene si tratti di una disciplina
settoriale che non rende omogeneo il settore della responsabilità
da attività d’impresa, già interessato da un intenso lavoro di
ricerca da parte di dottrina e giurisprudenza intenzionate a
dimostrare che il fatto illecito collegato ad una attività
imprenditoriale, pur non avendo norme puntuali, presenta aspetti
di specificità che rilevano come criteri di interpretazione per la
valutazione della diligenza, della colpa e del giudizio di
ingiustizia ai sensi dell’art. 2043 c.c.
Nonostante la giurisprudenza sia rigidamente legata ai principi
generali in materia di responsabilità extracontrattuale, la dottrina
ha sottolineato l’esigenza di regole più rigorose a carico
dell’imprenditore poiché il moltiplicarsi delle occasioni di
danno, derivanti dall’intensificarsi dei traffici economici e dalla
sempre maggiore pericolosità delle attività imprenditoriali, ha
evidenziato
l’inidoneità
della
fattispecie
generale
di
15
Cfr. Alpa G., Responsabilità d’impresa e tutela del consumatore, Milano, 1985, p.461;
inoltre, si veda anche Chinè G., Zoppini A., Manuale di diritto civile, Neldiritto, 2011
68
responsabilità aquiliana ex art. 2043 a tutelare adeguatamente il
soggetto danneggiato, tenuto secondo i principi generali, a
fornire la prova a volte impossibile della negligenza del
comportamento dell’imprenditore.
Di conseguenza, la qualità di imprenditore/produttore richiede
uno
standard
di
diligenza
qualificato,
derivante
dalla
disposizione generale di cui al comma 2 dell’art. 1176 c.c. . In
tal caso, quindi, la colpa va valutata, in base all’art. 2043,
secondo il particolare livello di diligenza che l’ordinamento
esige da un soggetto che svolge un’attività professionale,
specialmente se si tratta di una attività caratterizzata da profili di
pericolosità.
Pertanto, la particolare connotazione della responsabilità del
produttore ruota attorno allo standard rafforzato di diligenza.
Un ulteriore profilo di specificità della responsabilità del
produttore riguarda il cd. giudizio di ingiustizia, il quale pone
l’attenzione sullo status professionale e, soprattutto, sul fine
lucrativo economico del produttore. Tale criterio comporta un
giudizio comparativo-sintetico tra il comportamento del
69
danneggiato e del danneggiante sia svolto tenendo conto che
quest’ultimo ha tenuto un comportamento colpevole per un fine
patrimoniale, legato allo svolgimento di un’attività economica,
in danno di un soggetto che patisce le conseguenze
dell’interferenza altrui senza trarre nessun vantaggio o mirare ad
esso.
La giurisprudenza ha, inoltre, enucleato un ulteriore profilo di
specificità della responsabilità del produttore, ovvero il cd.
giudizio di causalità speciale: si tratta di un sistema rigidamente
orientato a determinare il rapporto di derivazione eziologica tra
il comportamento dell’imprenditore ed il danno, attraverso un
giudizio probabilistico o meramente possibilistico, che richiede
una prova liberatoria per l’individuazione del diverso evento
produttivo del danno e conseguente inversione dell’onere della
prova a sfavore della posizione dell’imprenditore.
Quanto alla prova liberatoria va sottolineato che l’analiticità
della disciplina sul punto rende secondario il problema della
natura della responsabilità del produttore, poiché al consumatore
è addossata la prova del danno, del difetto e del nesso di
70
causalità tra difetto e danno, non dovendo, invece dimostrare
l’addebitabilità dell’incidente a colpa specifica del produttore; a
quest’ultimo è, infatti, consentito di liberarsi da tale presunzione
deducendo una delle prove liberatorie stabilite dall’art. 118.
In particolare, dall’analisi del repertorio giurisprudenziale
riguardante la prova che incombe sul danneggiato, emerge che
nella maggior parte dei casi la causalità è stata interpretata in
senso favorevole al consumatore.
Tuttavia, occorre evidenziare che per il produttore non esiste
una disciplina unitaria speciale, ma dei criteri intransigenti di
interpretazione e di applicazione della regola generale di cui
all’art. 2043 c.c., che devono tener conto della peculiare
qualifica professionale.
Si tratta, in conclusione, nonostante la regola generale dettata
dall’art. 2043, di una disciplina particolarmente severa, in primo
luogo per il livello di diligenza richiesta; in secondo luogo, in
relazione al rigoroso giudizio di ingiustizia ed, infine, a causa
del giudizio di causalità meno garantista rispetto a quanto
previsto dalla regola generale.
71
Quanto
alla
natura
giuridica
della
responsabilità,
essa
rappresenta una delle questioni più dibattute in dottrina,
nonostante la direttiva la definisca espressamente come
responsabilità indipendente da colpa.
Più precisamente, i dubbi interpretativi sono sorti con
riferimento alle cause di esclusione della responsabilità previste
dall’art. 118 del Codice del consumo (già art. 6), basate sul
criterio della mancanza di colpa. L’art. 117, comma 3 fa
riferimento al difetto di produzione che consente l’imputazione
della responsabilità al produttore per la semplice difformità
dell’esemplare rispetto alla serie cui appartiene; l’art. 118,
invece, specifica le ipotesi di esclusione della responsabilità ai
sensi del particolare regime cui appartiene la norma.
Secondo parte della dottrina il regime di responsabilità derivante
da tali disposizioni è di natura sostanzialmente oggettiva16,
nonostante il decreto rinunci a punire alcune ipotesi di
causazione di eventi dannosi che potrebbero essere ricondotti
solo a colpa del produttore.
16
In tal senso anche Caringella F., Dimatteo D., Lezioni e sentenze di diritto civile 2011,
Dike, Roma, 2011
72
Ciò significa, in altri termini, che il codice del consumo prevede
ipotesi
di
responsabilità
oggettiva,
mentre
esclude
la
responsabilità per alcune fattispecie che, in assenza di specifica
indicazione legislativa sarebbero potute ricadere nell’alveo dello
stesso in modo presuntivo, esonerando il produttore dalla prova
dei fatti idonei ad escludere la propria responsabilità, con
conseguente rinvio al codice civile e agli strumenti preesistenti
alla direttiva comunitaria ai fini di un’eventuale imputazione per
colpa.
Alla luce di tali considerazioni, ne deriva che se il vizio dipende
dallo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche, dalla norma
imperativa o dal provvedimento vincolante o dalla conformità
della materia prima alle istruzioni date dal produttore che l’ha
utilizzata, quest’ultimo per liberarsi da responsabilità dovrà
dimostrare l’inesistenza del difetto sulla base di dati oggettivi,
ovvero da quanto ricavabile dalle norme giuridiche e
scientifiche in vigore al momento della messa in circolazione o
dalle istruzioni date dal produttore che ha utilizzato la materia
prima.
73
Tuttavia, è necessario evidenziare che la giurisprudenza della
Corte di Giustizia ha più volte puntualizzato che la normativa
comunitaria non è di ostacolo alla creazione, attraverso la
legislazione nazionale, di ulteriori forme di responsabilità
rispetto a quelle previste a carico del produttore dalla direttiva in
commento, purché siano basate su elementi diversi dalla
responsabilità oggettiva.
74
3.2. La responsabilità civile del produttore per danni causati dai
dispositivi medici
Per quanto concerne più precisamente la responsabilità civile
del
produttore
di
dispositivi
medici,
intercorre
una
responsabilità contrattuale, disciplinata dalle norme del codice
civile, tra produttore e acquirente, mentre tra produttore e
soggetto terzo che subisce un danno dall’uso del prodotto può
configurarsi una responsabilità extra contrattuale, per violazione
del più generale principio del “naeminem laedere”.
Occorre sottolineare che, nonostante vi sia un controllo
preventivo, esso non riesce ad arginare tutti i rischi di errore
umano: proprio per tale motivo, compito della responsabilità
civile è di coprire tali spazi per non lasciare privo di tutela il
consumatore, rappresentando, dunque, uno strumento di tutela
operante quando un soggetto ritiene di essere stato danneggiato
da un dispositivo medico.
75
Si tratta, quindi di un sistema di tutela ex post che l’ordinamento
ha affidato all’autorità giudiziaria.
Occorre far riferimento, in particolare alla direttiva CEE n.
85/374 del 25 luglio 1985, recepita in Italia dal D.P.R. 24
maggio 1988, n. 224, relativa al ravvicinamento delle
disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli
Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti
difettosi. Tale normativa, tuttavia, come sostenuto da autorevole
dottrina17, appare ampiamente derogatoria rispetto alle regole
generali stabilite dall’illecito aquiliano.
Successivamente, di conseguenza, essa è stata abrogata e
sostituita dal D. Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (v. codice del
consumo artt. 114-129), in base al quale, ex art. 114, “il
produttore è responsabile del danno cagionato dai difetti del suo
prodotto”: attraverso tale normazione si è, così, configurata
un’ipotesi di responsabilità oggettiva all’interno dell’illecito
extracontrattuale, che non ha nessun collegamento con il
17
Dell'Erba A., Di Luca Natale M., Frati P., Montanari Vergallo G., La responsabilità
civile per i danni causati dai dispositivi medici, in Zacchia, 2010, III, pagg. 325-350.
76
rapporto tra produttore e consumatore: per poter affermare la
responsabilità del produttore è, infatti, sufficiente la sussistenza
di un rapporto di causalità tra il prodotto difettoso e l’evento
dannoso. Più precisamente, ad un’attenta lettura dell’art. 8 del
sopraccitato D.P.R., secondo il quale “il danneggiato deve
provare il danno, il difetto e la connessione causale fra difetto e
danno”, si comprende che la responsabilità che grava sul
produttore per i danni da difetti di fabbricazione prescinde dalla
prova della colpa.
Dalla lettura della norma si può, inoltre, desumere che la
nozione di difetto acquista un ruolo centrale rispetto al
meccanismo dell’imputazione della responsabilità civile da
prodotto.
La logica alla base dell’art. 5 D.P.R. 224/1988, già art. 117
codice del consumo, infatti, affida importanza ai cosiddetti
“warning defects”, ovvero i difetti di informazione, dovuti alla
carenza di adeguate conoscenze date al consumatore: in altre
termini, essa si basa sulla convinzione
che una completa
77
informazione può neutralizzare una serie di pericoli intrinseci
collegati al prodotto e alle sue modalità d’uso.
Tuttavia, possono sussistere altri vizi, quali ad esempio: vizi di
costruzione, vizi di progettazione, vizi di sviluppo.
L’art. 118 del Codice del consumo, ad esempio, elenca le ipotesi
in cui viene esclusa la responsabilità oggettiva del produttore,
ovvero:
• secondo la lettera a) dello stesso articolo, se il produttore
non ha messo il prodotto in circolazione, ipotesi che si
verifica quando si tratta di prodotti rubati e immessi nel
commercio illegalmente;
• secondo la lettera b) se, tenuto conto delle circostanze, il
difetto che ha cagionato il danno non esisteva quando il
produttore ha messo il prodotto in circolazione e si tratta,
quindi, di un difetto emerso in una fase successiva, per il
cattivo uso da parte dell’utilizzatore o avvenuto durante il
trasporto;
• secondo la lettera c) quando il produttore non ha
fabbricato il prodotto per la vendita o per qualsiasi altra
78
forma di distribuzione a titolo oneroso, ne’ lo ha
fabbricato o distribuito nell’esercizio della sua attività
professionale;
• secondo la lettera d), quando il difetto e’ dovuto alla
conformità del prodotto a una norma giuridica imperativa
o a un provvedimento vincolante;
• secondo la lettera e), quando lo stato delle conoscenze
scientifiche e tecniche, al momento in cui il produttore ha
messo in circolazione il prodotto, non permetteva ancora
di considerare il prodotto come difettoso;
• secondo la lettera f), se il difetto e’ interamente dovuto
alla concezione del prodotto in cui e’ stata incorporata la
parte o materia prima o alla conformità di questa alle
istruzioni date dal produttore che la ha utilizzata, nel caso
del produttore o fornitore di una parte componente o di
una materia prima .
Dal combinato disposto dagli artt. 118 e 120, n. 2 Codice del
consumo, emerge, inoltre, che spetta allo stesso produttore
fornire la prova del verificarsi di una di tali ipotesi.
79
L’attuale ordinamento prevede, inoltre, secondo la dottrina, un
meccanismo di protezione del danneggiato che lo tuteli nei
confronti di chi, pur autorizzato ad esercitare un’attività nel
proprio interesse, tenti di trincerarsi dietro comode scappatoie
nel caso in cui da tali attività derivino conseguenze
pregiudizievoli per i terzi 18.
Tale meccanismo di tutela consiste nell’agevolazione per il
danneggiato, il quale può agire nei confronti dei soggetti
concorrono alla produzione con la garanzia della solidarietà
dettata dall’art. 2055 C.C. .
Da tali osservazioni emerge, dunque, che se il danneggiato
adempie all’onere probatorio relativo al profilo oggettivo della
fattispecie, il produttore, a sua volta, a meno che non fornisca la
prova di una delle circostanze di esclusione della responsabilità
oggettiva previste dall’art. 118 Codice del consumo, deve
18
Cfr. in tal senso Dell'Erba A., Di Luca Natale M., Frati P., Montanari Vergallo G., La
responsabilità civile per i danni causati dai dispositivi medici, in Zacchia, 2010, III, pagg.
325-350; ed anche Bilancetti M., La responsabilità penale e civile del medico, Cedam,
Padova, 2001.
80
risarcire il danno provocato dal prodotto difettoso (di
conseguenza, il difetto coincide con l’evento dannoso).
Si può, inoltre, affermare che tale normativa ha proposto una
valutazione per l’esonero della responsabilità civile del
produttore di tipo scientifico - sostanziale, anziché legislativoformale.
Tale inversione di tendenza ha determinato un cambiamento
radicale dei principi e delle regole generali in materia di
responsabilità civile del produttore: a conferma di tale assunto vi
è, in primo luogo, la previsione di un profilo di responsabilità
che prescinde dall’accertamento del dolo e della colpa e, in
secondo luogo, la relativa responsabilità all’immissione in
commercio di prodotti difettosi provoca, dal punto di vista
giuridico, un aumento della soglia di responsabilità del
produttore; mentre, dal punto di vista strettamente processuale,
rende più agevole un’eventuale azione di risarcimento per danni.
Ne consegue, dunque, in base a tale approccio, che il produttore
sarà considerato responsabile se le conoscenze scientifiche al
momento dell’immissione in commercio erano tali da
81
permettere una maggiore sicurezza del prodotto: in tale ipotesi,
il produttore potrà difendersi solo dimostrando di aver rispettato
i contenuti delle più recenti scoperte scientifiche, a prescindere
da quanto dispone la legislazione vigente.
82
3.3 La responsabilità delle strutture sanitarie.
Il rapporto fra paziente e struttura sanitaria trova fondamento in
un contratto autonomo ed atipico, definito come contratto di
spedalità o contratto di assistenza sanitaria.
Nell’ambito
del
cd.
contratto
di
spedalità
dell'obbligazione assunta dalla struttura sanitaria
l’oggetto
non è
costituito soltanto dalla prestazione medica dei propri
dipendenti, ma da una più complessa prestazione, definita come
"assistenza
sanitaria",
oggetto
di
un
contratto
atipico,
inquadrabile nella categoria della locatio operis.
A carico della struttura sanitaria gravano, infatti, anche
prestazioni di tipo organizzativo, connesse all'assistenza postoperatoria, alla sicurezza delle attrezzature, dei macchinari, alla
vigilanza ed alla custodia dei pazienti, oltre a prestazioni più
propriamente riconducibili al contratto d'albergo .
Con specifico riferimento all’ambiente ospedaliero, la struttura
sanitaria deve garantire, ad esempio, il corretto funzionamento
83
delle apparecchiature, la sterilità degli strumenti e della sala
operatoria .
Si tratta di una questione di importanza centrale, dal quale
sorgono differenti problematiche.
Tra i più frequenti incidenti per cause organizzative, infatti, si
possono
menzionare
il
mancato
funzionamento
delle
apparecchiature tecniche, principalmente per carenza di
manutenzione e l’inadeguata sterilizzazione degli strumenti
medici.
L’evoluzione tecnologica ha incrementato l’impiego in ambito
medico di sofisticati dispositivi che da un lato hanno
rappresentato una grande opportunità per migliorare l’assistenza
sanitaria e consentire livelli di salute fino ad un decennio fa
impensabili19, ma dall’altro richiedono un adeguato controllo ed
un’attenta manutenzione.
Un difetto di manutenzione può, infatti, essere causa del cattivo
funzionamento dello strumento: in tal caso la responsabilità
della struttura sanitaria è di tipo contrattuale, per responsabilità
19
Cfr. Cavallo M.C., Le tecnologie sanitarie e il loro ruolo nella tutela della salute: i
dispositivi medici in una prospettiva europea, Egea, Milano, 2008
84
della cosa in custodia ex art. 2051 c.c., essendo, il danno subito
dal paziente, causato da un’omissione dell’ente ospedaliero che
ha in dotazione il dispositivo medico.
Il ricorso all’art. 2051 c.c. permette al danneggiato di dimostrare
il nesso di causa tra la cosa in custodia e il danno subito. Ciò
significa, dunque, che lo stesso può invocare, nel caso di
infezione nosocomiale o di contagio derivante da strumenti
chirurgici invasivi (quali ad esempio colonscopia, gastroscopia,
endoscopia), oltre alla responsabilità contrattuale della struttura,
la responsabilità ex art. 2051 c.c. .
Generalmente, in tali casi il nesso causale si dimostra in via
presuntiva, attraverso elementi quali: l’assenza di infezione
precedente al ricovero e la comparsa della stessa in un momento
successivo, in un lasso di tempo compatibile con il tipo di
intervento, esame invasivo o microrganismo infettante con il
trattamento sanitario20.
20
In tal senso anche Dell'Erba A., Di Luca Natale M., Frati P., Montanari Vergallo G., La
responsabilità civile per i danni causati dai dispositivi medici, in Zacchia, 2010, III, pagg.
325-350; ed anche Bilancetti M., La responsabilità penale e civile del medico, Cedam,
Padova, 2001.
85
In tali ipotesi, di conseguenza, la struttura sanitaria per non
incorrere in responsabilità dovrà fornire la prova liberatoria che
dimostri il caso fortuito, ovvero un evento estraneo alla sua sfera
di custodia, con impulso causale autonomo e carattere di
imprevedibilità e di assoluta eccezionalità.
Inoltre, come rilevato dalla Suprema Corte, « nell’eventualità
della persistenza dell’incertezza sull’individuazione della
concreta causa del danno, rimane a carico del custode il fatto
ignoto, in quanto non idoneo ad eliminare il dubbio in ordine
allo svolgimento eziologico dell’accadimento »21 .
Nonostante le ampie prospettive di tutela offerte dall’art. 2051
c.c., i casi di responsabilità da cose in custodia per
malfunzionamento di apparecchiature mediche sottoposti alla
giurisprudenza sono stati piuttosto esigui.
La giurisprudenza di legittimità sul punto è, infatti, piuttosto
datata: la Corte di Cassazione, alla fine degli anni ’70, ha
affermato la responsabilità ex art. 2051 c.c. di un ente pubblico
di assistenza per il danno cagionato ad un medico analista dallo
21
Cass. sez. III, 2 febbraio 2006, n. 2284, Il Foro Italiano, Zanichelli.
86
scoppio di una bottiglia contenente acido solforico, collocata su
di un bancone. Ha osservato la Suprema Corte che la qualità di
custode deve essere attribuita all’ente e alla sua organizzazione,
cui compete ogni potere direzionale e di conservazione delle
attrezzature diagnostiche e terapeutiche, diversamente da quanto
avviene per i singoli medici che utilizzano tali strumenti
episodicamente22.
Quanto
a
difetti
originari
dei
dispositivi
medici,
le
apparecchiature sanitarie sono prodotti industriali il cui utilizzo
è disciplinato dal D. Lgs. n. 206/2005. In tal caso, quindi, il
produttore sarà chiamato a rispondere, direttamente o in rivalsa,
dei danni cagionati dall’apparecchio guasto o difettoso secondo
22
Cass. sez. III, 21 novembre 1978, n. 5418, La Legge plus DVD, Ipsoa « Non sono
sufficienti ad integrare la custodia della cosa ai fini della responsabilità del danno da essa
cagionato, a norma dell’art. 2051 c.c., la quale deve consistere in una relazione di fatto
con la cosa, esercitata continuativamente in un certo periodo, il possesso temporaneo, la
mera detenzione o l’uso sporadico della cosa stessa nell’ambito di più ampi poteri
organizzativi e direzionali spettanti ad altri, giacché tale relazione, limitata nell’intensità
dei poteri e nel tempo del loro esercizio, non è idoneo a realizzare le attività anche
plurime e complesse, dalla cui presunta omissione può solo scaturire la responsabilità di
cui all’art. 2051 c.c. (nella specie la Suprema Corte ha ritenuto correttamente applicato il
principio della sentenza di merito che ha affermato la responsabilità dell’Inam per il
danno cagionato ad un medico analista dallo scoppio di una bottiglia contenente acido
solforico, collocata su di un bancone, in considerazione della complessa organizzazione
amministrativa e sanitaria dell’ente, cui è riferibile la direzione, la scelta,
l’approvvigionamento e la conservazione delle attrezzature diagnostiche e terapeutiche, e
della detenzione temporanea e dell’uso sporadico di essa da parte del personale
sanitario».
87
le regole della responsabilità oggettiva previste da tale
normativa.
Secondo tale orientamento, ormai superato, si escludeva,
dunque, la responsabilità del singolo professionista.
Tuttavia, attualmente, dal combinato disposto degli artt. 10,
comma 1 e 23, comma 1, D.Lgs. n. 46/1997, emerge che
l’omissione di comunicazioni rappresenta una contravvenzione,
essendo
sanzionata
con
arresto
e
ammenda:
i
legali
rappresentanti delle strutture sanitarie pubbliche e private,
nonché gli operatori sanitari pubblici e privati, infatti,
nell’esercizio delle proprie attività sono tenuti a comunicare
immediatamente al Ministero della Sanità, direttamente o
tramite la struttura sanitaria di appartenenza, qualsiasi
alterazione delle caratteristiche e delle prestazioni di un
dispositivo o inadeguatezza nelle istruzioni per l’uso da cui
potrebbe derivare il decesso o il grave peggioramento delle
condizioni di salute di un paziente, di un operatore o il non
corretto impiego del dispositivo. Sono soggetti, invece, alla
sanzione amministrativa in base al combinato disposto degli artt.
88
9, comma 1, e 23, comma 4, D. Lgs. n. 46/1997, gli operatori
sanitari che violano l’obbligo di comunicare al Ministero della
Salute i dati relativi agli incidenti che hanno coinvolto un
dispositivo appartenente alla classi descritte dalla normativa.
Da tale sistema così descritto, emerge, dunque, che sussiste in
capo agli operatori sanitari una posizione di garanzia, connessa
alla rilevanza costituzionale del diritto alla salute del paziente,
nonché, un generale obbligo di arginare i fattori di rischio di
danno.
Tale posizione di garanzia si esplica anche attraverso gli
obblighi di segnalazione e vigilanza circa l’efficienza e la non
pericolosità del dispositivo: può rinvenirsi, pertanto, una
condotta colposa a carico del professionista che non è in grado
di accorgersi della scarsa idoneità del dispositivo, o di colpa
cosciente se emerge che il sanitario ha agito nonostante la
consapevolezza del maggio rischio legato all’impiego di un
dispositivo, ad esempio non idoneo o usurato.
89
3.3.1 L’attività contrattuale delle aziende sanitarie.
Per il raggiungimento dei propri fini, su ogni azienda incombe il
dovere di provvedere all’approvvigionamento di beni o servizi
da immettere nel proprio processo produttivo.
Nel caso di aziende private o persone fisiche, non vi sono
particolari procedure da rispettare nell’acquisizione dei servizi,
mentre gli enti pubblici hanno l’obbligo di rispettare i principi di
trasparenza e imparzialità della P.A. .
Le aziende pubbliche possono gestire le risorse finanziarie
attraverso diverse modalità, tra le quali quella gestita tramite
contratto rappresenta un ruolo predominante nella gestione degli
acquisti.
La problematica principale che si registra sul territorio nazionale
riguarda la sostanziale differenza di prezzo di aggiudicazione da
un’azienda sanitaria all’altra: da un lato, legittima a causa
dell’eterogeneità del numero di lotti e prodotti acquistati;
dall’altro lato difficilmente giustificabile al punto di consentire
90
che prodotti della stessa natura vengano aggiudicati a prezzi
variabili con percentuali superiori al 100%.
Occorre, tuttavia, specificare che alcune aziende sanitarie non
ricorrono a gare d’appalto ad esempio perché la scelta del
prodotto in farmacia è libera e totalmente gratuita, oppure
perché la preparazione degli alimenti è effettuata ad opera del
servizio farmaceutico interno all’azienda sanitaria locale.
91
3.4 Danni da dispositivi medici.
Un’ ulteriore conseguenza legata allo sviluppo della tecnologia
e, in senso lato, al problema della cd. modernità, è rappresentato
dai danni da prodotto.
Negli ultimi anni si sono registrati eventi di danno causati da
prodotti o dispositivi medici la cui disfunzione è stata addebitata
non solo alla ditta produttrice, obbligata dal legislatore ad
immettere sul mercato prodotti sicuri, bensì anche ai sanitari,
talvolta anche accusati di truffa per attività di comparaggio, cioè
per l’utilizzo dei prodotti a seguito di accordi illeciti con le ditte
produttrici.
La giurisprudenza in materia di danno da dispositivo medico è
piuttosto esigua ma allo stesso tempo rigorosa nel richiedere la
massima attenzione da parte del produttore, il quale ha il dovere
di essere aggiornato e di sottoporre il prodotto a tutti i più
sofisticati controlli al fine di garantire la sicurezza dei prodotti
immessi nel mercato e, conseguentemente, è tenuto a ritirare dal
92
mercato il prodotto che non presenta adeguati margini di
sicurezza.
È utile concentrare tale indagine sull’analisi della tipologia dei
difetti del prodotto, poiché si può distinguere tra :
• difetti di costruzione
• difetti di fabbricazione
• difetti da informazione
• difetti da rischio di sviluppo23
Per quanto concerne i difetti di costruzione, essi incidono
sull’intera serie prodotta e possono dipendere da errata
progettazione e scelta dei materiali o delle tecniche di
produzione
ovvero
da
insufficiente
sperimentazione
o
confezionamento.
Tale tipologia di difetti ha una notevole potenzialità lesiva se
considerata alla luce della cd. “intrinseca capacità di
proliferazione del danno”.
23
Piergallini C., Danno da prodotto e responsabilità penale. Profili dommatici e politicocriminali, Milano, 2004, p. 236.
93
Quanto ai difetti di fabbricazione in senso stretto, essi possono
colpire uno o più elementi della serie, mentre il resto rimane
immune da vizi. Essi sono causati, generalmente, dai difetti
tipici dei moderni sistemi produttivi, cioè dall’errore di una
macchina o dall’errore umano dell’operatore. Tuttavia, essi
rappresentano un rischio prevedibile, poiché la loro presenza è
statisticamente calcolabile.
Diversamente, i difetti di informazione consistono nel mettere in
circolazione un prodotto senza le istruzioni necessarie relative
alle modalità di impiego. Il dovere di informazione può, infatti,
svolgere una funzione preventiva del rischio, fronteggiando un
difetto di costruzione del prodotto, impedendone il rifacimento o
la sua eliminazione dal mercato.
I difetti da rischio di sviluppo non sono, invece, riconoscibili in
base allo stato della scienza e della tecnica e i danni che ne
derivano sono, di conseguenza, inevitabili ed imprevedibili.
Tale tipologia di difetti ha molti punti in comune con i vizi di
costruzione legati alle modalità di manifestazione dell’evento
dannoso.
94
3.4.1. Il caso delle valvole cardiache.
Di notevole interesse medico-legale
è stato il caso della
applicazione di valvole cardiache difettose impiantate a
numerosi pazienti affetti da vizi valvolari.
La Suprema Corte, con sentenza 15002/11 ha condannato i
fabbricanti brasiliani delle valvole meccaniche in relazione alle
lesioni colpose su tre pazienti che hanno subito l'espianto delle
valvole difettose. Durante il processo è emerso infatti che le
valvole, benché ben progettate, sono state realizzate con
materiali di scarsa qualità, e non rispondenti alle caratteristiche
dettate dalla direttiva 93/42/CE.
Più precisamente, oltre all’impiego di carbonio di scarsa qualità
chimico-fisica e di silicone non idoneo all'utilizzo, si sono
registrate varie omissioni nei controlli di qualità dei dispositivi
medicali e nell'analisi dei rischi derivanti dal rigurgito valvolare.
In primo grado, il Tribunale di Torino ha ritenuto provato il
nesso causale tra l'impianto delle protesi e le patologie
95
riscontrate sui pazienti sui quali erano state impiantate,
ritenendo i fabbricanti responsabili sia dei decessi che delle
lesioni riportate dai pazienti.
La Corte d'Appello, pur ritenendo corretta l'impostazione del
giudice di primo grado nell'individuazione del nesso causale, ne
ha riformato la sentenza attribuendo rilevanza penale alla
condotta degli imputati solo con riferimento alle lesioni gravi.
Correttamente entrambi i giudicanti hanno sottolineato come
l'accertamento del nesso causale prescinde, proprio in forza del
regime probatorio della causalità commissiva, dalla prova che,
con l'uso di un dispositivo realizzato da altro fabbricante,
l'evento non si sarebbe realizzato.
Il divieto trasgredito in questo
commercializzato
le
protesi
caso è quello di aver
valvolari
fabbricate
senza
l'osservanza delle regole imposte dalla legislazione comunitaria
circa
il
possesso
degli
standard
di
sicurezza.
È
la
commercializzazione che ha reso concreto il rischio per la salute
pubblica.
96
Da qui non solo la sussistenza del nesso tra la condotta
dell'agente e l'evento ma anche la c.d. causalità della colpa,
rispetto alla quale assumono un ruolo fondante la prevedibilità e
l'evitabilità del fatto.
97
3.4.2 Il caso delle protesi mammarie.
Di notevole interesse, sia dal punto di vista medico-legale che
mediatico sono stati i casi di contenzioso giudiziario a seguito di
applicazione di protesi mammarie al silicone.
Le prime protesi furono impiantate nel 1963 e, attualmente, si
calcola che circa 2 milioni di donne soltanto negli USA si siano
sottoposte a tale intervento. Una delle sentenze americane più
importanti ha dichiarato l’industria colpevole di negligenza nella
sperimentazione
delle
protesi
per
reticenza
sui
rischi
dell’impianto. La capsula, infatti, si può rompere per motivi
diversi, come ad esempio un incidente d’auto o un trauma
meccanico; tuttavia, può verificarsi anche l’ipotesi di rottura
dell’involucro esterno, il quale può deteriorarsi nel tempo e, nei
casi più gravi, disgregarsi lentamente.
Tale processo di invecchiamento dell’involucro provoca una
fuoriuscita del silicone presente all’interno in minuscole
goccioline che può provocare danni migrando nel sottocutaneo,
98
dando luogo, ad esempio, all’insorgenza di granulomi nei tessuti
circostanti e favorendo indirettamente l’insorgenza del tumore al
seno.
Proprio per la presenza di tali rischi, si rende necessario porre
estrema attenzione alla qualità del silicone presente all’interno
delle protesi .
99
3.4.3 Protesi dentarie.
In ambito odontoiatrico i dispositivi medici sono suddivisibili in
tre categorie: dispositivi fabbricati in serie, dispositivi su misura
e dispositivi fabbricati in serie e adattati in studio.
In tale ambito il problema della responsabilità civile riguarda
principalmente l’ipotesi di danno al paziente derivante dall’uso
di materiali che si rivelino inadeguati per caratteristiche di
produzione o fabbricazione dipendenti dall’industria dentale e
dal laboratorio odontotecnico o dalla messa in servizio
dell’odontoiatra.
Si rammenta che i dispositivi fabbricati in serie dall’industria
comprendono materiali dentali, strumentari e attrezzature che
per essere commercializzati devono soddisfare i requisiti
essenziali previsti dalla normativa e recare la marcatura CE.
Da tale contesto rimangono escluse eventuali responsabilità
dell’insuccesso
ascrivibili
alla
condotta
inadeguata
del
professionista quali, ad esempio, la scelta di materiali non
100
conformi alla legislazione o l’uso inadeguato di materiali
conformi, secondo modalità diverse da quelle fornite dal
produttore.
In tale eventualità, il danno provocato in tal caso non potrà
essere ascritto al produttore, ma resta a carico del sanitario
l’onere di dimostrare l’irrilevanza del suo comportamento nella
provocazione del danno, ripercorrendo lo schema della
responsabilità professionale per prestazione intellettuale.
Ai fini di un corretto inquadramento delle responsabilità
gravanti su odontoiatra, odontotecnico e ditte produttrici, è
necessario fare riferimento a quanto dettato dal D.P.R. 224/1988
e D. Lgs. 24/2002, i quali hanno introdotto nel nostro Codice
Civile gli artt. 1519 bis e ss., norme che affermano
l’equiparazione del produttore e del venditore.
Dal punto di vista medico-legale, in tema di responsabilità
professionale odontoiatrica il problema di insuccessi dovuto a
difetti di dispositivi medici riconducibili a responsabilità
dell’industria produttrice o del laboratorio odontotecnico
riguarda prevalentemente le protesi e l’implantologia.
101
Tuttavia, da un punto di vista giurisprudenziale, si può osservare
come vi sia l’intenzione di tutelare il paziente/consumatore con
l’applicazione di diversi principi quali: l’inversione dell’onere
della prova, obbligo di risultato o di res ipsa loquitur nei casi di
facile e prevedibile esecuzione, criteri probabilistici nella
determinazione del nesso di causalità; per quanto riguarda,
invece, il professionista vi è la possibilità di integrare in giudizio
o agire in regresso verso altri soggetti potenzialmente
responsabili.
È necessario segnalare, tuttavia, che nella pratica vi è un numero
molto esiguo di casi che portano ad uno sviluppo processuale a
causa dell’imprevedibilità dell’esito e dell’aumento delle spese
legali
conseguenti
all’allungamento
dei
tempi
e
della
complessità del giudizio.
Vi possono essere, infatti, situazioni caratterizzate da una
“sovrapposizione di fattori” che non permettono di distinguere a
posteriori errori determinati da soggetti diversi; la scarsa
convenienza,
in
termini
economici,
derivante
dal
riconoscimento di una responsabilità in solido a fronte del
102
ridotto valore delle controversie odontoiatriche; la differenza tra
termini di decadenza e prescrizione per la responsabilità del
produttore e prestatore d’opera nei confronti del professionista.
103
3.5 Tra tutela amministrativa e tutela penale.
Nell’ordinamento italiano, oltre alla tutela civile in caso di
prodotto dannoso o pericoloso sono previste altri due strumenti,
quali la tutela amministrativa e la tutela penale.
La tutela amministrativa si realizza attraverso tre principali
canali: in primo luogo attraverso funzioni autorizzative e di
controllo, aventi ad oggetto persone fisiche e persone giuridiche;
in secondo luogo, attraverso la L. 689/1981, la quale prevede
sanzioni amministrative pecuniarie ed accessorie, da applicarsi
alle persone fisiche che hanno violato la norma.
Da ultimo, la L. 231/2001, riguardante la responsabilità
amministrativa degli enti, la quale prevede sanzioni a carattere
pecuniario, interdittivo e confiscatorio agli enti responsabili dei
reati commessi nell’interesse o vantaggio di detti enti .
Tuttavia, tale tutela risulta scarsamente applicata, poiché
attualmente le risposte punitive volte a colpire i responsabili dei
rischi o dei danni da prodotto difettoso sono di tipo penale.
104
Ne deriva, quindi, secondo parte della dottrina, che le cause di
tale sottoutilizzo possono essere reperite nella normativa in tema
di illeciti o nelle caratteristiche degli organi amministrativi che
si occupano di applicare le relative sanzioni 24.
E’ necessario sottolineare, tuttavia, che lo strumento penale è
volto a contenere le potenzialità lesive dei prodotti caratterizzate
da serialità e diffusività. Tale scopo ha ispirato il legislatore
nell’assegnare allo strumento penale una posizione privilegiata.
La tutela penale per danni da prodotti difettosi si esplica
attraverso norme codicistiche ed extracodicistiche.
In particolare, per quanto concerne le norme dedicate del Codice
penale, vi sono principalmente tre gruppi di fattispecie
utilizzabili: il primo è rappresentato dalle norme a tutela
dell’incolumità pubblica; il secondo a tutela dell’interesse
collettivo all’onesto svolgimento del commercio e l’interesse
patrimoniale dell’acquirente; il terzo gruppo, invece, è
rappresentato dalle norme che tutelano i beni della vita e
dell’incolumità individuale.
24
Bernardi A., La responsabilità da prodotto nel sistema italiano: profili sanzionatori,
Riv. Trim. Dir. Pen. Econ., 2003, p. 1 ss;
105
Quanto alle forme di responsabilità previste dalla legislazione
complementare, occorre far riferimento agli artt. 6 e 10 del
d.lgs. 115/1995 concernente la “attuazione della direttiva
92/59/CEE relativa alla sicurezza generale dei prodotti”, in vista
della tutela dei loro destinatari.
Le ragioni per cui è lo strumento penale ad avere un ruolo
incisivo sono collegate all’accettazione della cd. società del
rischio. La società contemporanea, cioè, ha accettato un
concetto di rischio quale caratteristica intrinseca di una società
moderna, prendendo coscienza del fatto che il progresso
comporta inevitabilmente dei rischi connessi al modo di
produrre e di vivere.
Secondo una prospettiva sociologica moderna25, tale approccio
crea un sistema di aspettative che si esplica attraverso lo
strumento della normazione.
Tale strumento ha un duplice scopo: in primo luogo vincola il
comportamento futuro di altri all’osservanza della norma; in
secondo luogo, dal punto di vista funzionale, stabilizza le
25
Luhmann N., Sociologia del diritto, Bari, 1977
106
aspettative di comportamento, legittimate da un procedimento
cd. di consenso.
In tale contesto la tutela penale acquista ancora più importanza
perché il carattere diffusivo del danno provoca un’offesa
all’incolumità
pubblica,
ma
anche
al
bene
collettivo
dell’incolumità e della salute pubblica, che il sistema giuridico
penale non può permettere.
Tuttavia, occorre osservare che l’opera della giurisprudenza
nell’applicazione del diritto penale in tale contesto si trova
ancora ad uno stadio “embrionale”, ed ha assunto le forme della
cd. Case Law: esse non si limitano a decidere il caso concreto,
ma tentano anche di elaborare dei parametri per ricostruire la
responsabilità penale.
107
PARTE QUARTA
DISPOSITIVI MEDICI E GESTIONE
DEL RISCHIO CLINICO
108
4.1 La gestione del rischio clinico applicata ai dispositivi
medici.
Nel contesto del Clinical Risk Management, i dispositivi medici
rappresentano una gamma di prodotti progettati e realizzati con
rapidità, con conseguente ingresso nell’uso clinico con un tasso
di innovatività e di ricambio molto elevati.
Il progresso della tecnologia, in tale settore, permette di
migliorare l’outcome clinico attraverso due canali principali: il
primo è da intendersi in termini di patologie aggredibili e
riduzione dei tempi di ricovero; il secondo riguarda la
semplificazione delle procedure e di miglioramento dei risultati.
Occorre, considerare, tuttavia, che l’utilizzo dei dispositivi
medici rappresenta una fonte di rischio, tollerabile se
considerata a fronte del beneficio clinico.
Lo scopo del Clinical Risk Management, in tal senso, è, dunque,
di coinvolgere tutti gli attori della filiera, quali fabbricanti,
distributori, operatori manutentori e pazienti, nell’ambizioso
109
progetto della cd. “cultura della sicurezza clinica”, attraverso un
uso più sicuro che riduca la percentuale di rischio, nonché la
possibilità di danni ai pazienti, agli operatori e/o soggetti terzi.
A tal fine, la normativa comunitaria analizzata nei capitoli
precedenti affida alle Autorità nazionali il compito di
sorvegliare il settore attraverso diverse modalità.
Occorre considerare, infatti, che la prevenzione dei rischi
evitabili e la riduzione di quelli ineliminabili deve estendersi per
tutto il ciclo di vita del dispositivo privilegiando e stimolando il
dialogo tra i soggetti che partecipano alla catena distributiva e
all’utilizzo clinico.
Inoltre, con particolare riguardo alle potenzialità offerte dalle
nuove tipologie di dispositivi, un aspetto fondamentale è quello
relativo alla formazione degli operatori sanitari che li
adoperano,
per
garantire
la
sicurezza
nell’utilizzo,
l’appropriatezza della scelta del dispositivo nonché della
procedura più idonea alla necessità clinica.
Si ritiene, infatti, che solo in tal modo possa essere raggiunto il
miglioramento del risultato clinico a fronte dell’incremento
110
della spesa legato all’acquisto, da parte delle strutture sanitarie,
di nuove tipologie di dispositivi .
111
4.2 Tra fattori di rischio e sistema di qualità.
Come visto nei capitoli precedenti, la normativa europea
recepita come norma UNI ha lo scopo di specificare le
procedure mediante le quali i fabbricanti di dispositivi medici
possono identificare i pericoli associati, stimando, valutando,
controllando i rischi relativi e verificando l’efficacia di tale
controllo.
Sostanzialmente, la normativa europea si focalizza sul cd.
rischio intrinseco dei dispositivi medici, riferito alla sua
specificità; in una diversa prospettiva si colloca, invece, la
procedura di analisi del rischio prevista dalla legge 626/94 che è
finalizzata alla gestione del rischio integrato.
Vi è, dunque, una profonda differenza tra i due approcci relativi
a due punti di vista distinti ma complementari: il primo di tipo
tecnico, il secondo di tipo procedurale.
In tale contesto la valutazione del rischio rappresenta uno
strumento gestionale di fondamentale importanza per la struttura
112
ospedaliera per la programmazione razionale degli interventi
volti ad arginare e/o minimizzare i rischi, in particolare dal
punto di vista tecnologico.
Ciò, infatti, permette di raggiungere obiettivi aziendali quali: il
miglioramento della qualità complessiva del servizio erogato,
nonché l’incremento continuo e omogeneo degli standard di
sicurezza per i lavoratori.
Tuttavia, il rischio associato ai dispositivi medici può essere
distinto in due classi principali: 1) rischio diretto (di tipo
infortunistico,
espositivo,
trasversale)
che
può
agire
indifferentemente su pazienti e operatori sanitari; 2) rischio
indiretto, dove ad una corretta funzionalità in termini di
prestazioni cliniche si accompagnano, però, ripercussioni
dannose nei processi di diagnosi, assistenza e cura rivolti al
paziente.
Generalmente, il rischio R è definito come una condizione di
attesa di eventi non desiderati, pari al prodotto della frequenza
stimata P di accadimento dell’evento dannoso causato da
possibili sorgenti di pericolo e della gravità temuta D delle
113
conseguenze che si possono ragionevolmente prevedere.
Pertanto, tali valori si possono esprimere con la relazione
R=PxD
In tale relazione, per valutare la grandezza R occorre valutare
disgiuntamente i fattori P e D: si tratta di un modello di
valutazione del rischio attraverso un’analisi ponderata delle
variabili che più influiscono sulla loro determinazione.
Dall’incrocio di tali indici si può ricavare la misura quantitativa
del rischio, cioè un valore numerico rappresentato in un sistema
a matrice, avente in ascissa la gravità del danno atteso e in
ordinata la probabilità del suo verificarsi.
Tale operazione rappresenta la prima fase di gestione del
rischio, con contestuale formulazione di un criterio di gravità
del rischio, la definizione delle priorità e la programmazione
temporale degli interventi di mitigazione da adottare.
É necessario precisare, tuttavia, che il concetto di rischio
accettabile è dinamico in quanto soggetto all’evoluzione tecnica,
normativa, legislativa e sociale.
114
Quanto alla metodologia di valutazione, i modelli di analisi del
rischio attualmente disponibili sono piuttosto esigui e soggettivi
per la mancanza di esperienza nell’approccio analitico al rischio
e per l’inesistenza di criteri espliciti e vincolanti nelle nuove
disposizioni legislative .
A ciò concorre anche l’assenza di modelli teorici consolidati di
riferimento e la mancanza di dati ufficiali su scala nazionale in
un consistente periodo di tempo.
115
4.3 Il ruolo del sistema di sorveglianza
Al Ministero della Salute e al Ministero dello sviluppo
economico spetta il ruolo di Autorità competenti a vigilare
sull’applicazione della normativa nazionale, attraverso un
programma di controlli sulle diverse componenti della catena di
commercializzazione dei dispositivi medici, rappresentata da
fabbricanti, distributori ed utilizzatori.
In altri termini le Autorità competenti svolgono un’attività cd. di
market surveillance: non essendovi un sistema autorizzativo
preventivo da parte dell’Amministrazione pubblica, esso si
realizza con varie modalità finalizzate a verificare l’operato dei
soggetti coinvolti nella catena di commercializzazione.
É interessante notare come il D. Lgs. 25 gennaio 2010 n. 37
abbia uniformato la terminologia contenuta nei precedenti
decreti legislativi con quella utilizzata in ambito comunitario:
tale attività di sorveglianza è descritta compiutamente nell’art.
17, comma 3, del D. Lgs. 25 gennaio 2010 n. 37.
116
Tuttavia, vi è una seconda accezione, da un punto di vista
comunitario, del concetto di “vigilance” che risulta riferita alle
comunicazioni riguardanti le alterazioni dei dispositivi e degli
incidenti, ovvero gli eventi avversi provocati da caratteristiche o
prestazioni dei dispositivi medici.
L’articolo 17, più precisamente, al fine di procedere alle
verifiche sui dispositivi medici, prevede che il Ministero della
salute possa procedere ad accertamenti direttamente sui luoghi
di produzione e/o di immagazzinamento dei prodotti, attraverso
l’acquisizione di informazioni necessarie all’accertamento
oppure al prelievo temporaneo di campioni del dispositivo
oggetto di verifica per essere sottoposto a esami e prove.
Quanto all’attività ispettiva, il compito istituzionale di
sorvegliare il mercato dei dispositivi medici compete al
Ministero della Salute, il quale provvede attraverso verifiche
ispettive presso le aziende che si occupano di attività di
fabbricazione e distribuzione di dispositivi medici.
In tale contesto gli audit vengono svolti con lo scopo di valutare
la documentazione tecnica, accertare l’idoneità degli ambienti di
117
produzione, nonché l’appropriatezza del sistema di qualità
aziendale.
118
4.4
Tra
adempimenti
e
sanzioni:
l’importanza
della
comunicazione.
Per quanto concerne gli operatori e le strutture sanitarie, gli
adempimenti e le sanzioni previste sono di natura penale e
amministrativa.
Su tali soggetti grava, infatti, l’obbligo di comunicazione in
presenza di anomalie di funzionamento del dispositivo,
responsabili di effetti peggiorativi sullo stato di salute
dell’utilizzatore finale (paziente o operatore sanitario).
La
mancata
comunicazione
al
Ministero
della
Salute,
direttamente o tramite la struttura sanitaria, di determinate
difformità26 è, infatti, punita con l’arresto fino a sei mesi e
l’ammenda da 7.200 a 43.200 euro.
Lo scopo del legislatore attraverso tali sanzioni è di
responsabilizzare gli operatori sanitari nel contribuire al
26
Per difformità si intende qualsiasi “malfunzionamento o alterazione delle caratteristiche
e delle prestazioni di un dispositivo medico....nonché qualsiasi inadeguatezza
nell’etichettatura o nelle istruzioni per l’uso che possono essere o essere stati causa di
decesso o grave peggioramento delle condizioni di salute di un paziente o di un
utilizzatore”.
119
generale principio di affidamento di sicurezza e qualità, che
dovrebbe connotare l’intero sistema sanitario ed istituzionale:
tale aspetto è, per certi versi, assicurato dall’atto unilaterale del
fabbricante, ovvero la marcatura CE. Tuttavia, tale atto
unilaterale può essere messo in dubbio attraverso la rilevazione
sistematica di incidenti connessi all’utilizzo del dispositivo.
In un’ottica di gestione del rischio cd. integrata, infatti, l’omessa
comunicazione
di
eventi
negativi
rende
inefficace
il
meccanismo di verifica dell’affidabilità dell’attestazione di
conformità compiuta attraverso il rapporto intercorrente tra
fabbricante e organismo notificato.
In sintesi, l’evento negativo può essere isolato o facente parte di
un fenomeno ampio di malfunzionamenti, ma rappresenta,
comunque un elemento di autoregolazione del sistema di
valutazione di conformità e di valutazione di qualità che ha
origine presso il fabbricante e si conclude con la marcatura CE.
Un aspetto fondamentale del fattore comunicativo è che il
sistema prevede una sanzione amministrativa a carico dei
soggetti che provocano l’interruzione del flusso comunicativo:
120
pertanto, i rappresentati legali delle strutture sanitarie e i
referenti per la vigilanza, a seguito del ricevimento della notizia
divengono responsabili del corretto sviluppo di tale flusso
informativo.
Si tratta, dunque, di un sistema che adotta un “circuito a scopo
informativo” e non probatorio, che crea una sorta di feedback
per il fabbricante sugli esiti di utilizzo del prodotto.
In tale sistema europeo creato dal cd. nuovo approccio,
l’intervento del Ministero della Salute ha, inoltre, lo scopo di
veicolare le informazioni pervenute sugli incidenti al relativo
fabbricante.
121
PARTE QUINTA
CASI DI STUDIO
122
5.1 Un caso di responsabilità del medico e dell’infermiere.
Una donna di 75 anni, affetta da gonalgia destra su base
artrosica, viene ricoverata nel reparto di Ortopedia per sottoporsi
ad intervento chirurgico di protesi totale di ginocchio.
L’intervento non presenta complicanze di sorta. Nel postoperatorio viene prescritto e praticato clistere. Lo stesso giorno
la paziente viene sottoposta a posizionamento di sonda rettale
senza esito e preventivato ulteriore clistere da effettuarsi a
distanza di mezz’ora dalla somministrazione di prostigmina.
Il giorno successivo la paziente avverte forti dolori a carico
dell’addome inferiore, tanto da far disporre accertamenti, tra cui
Rx
diretto,
ecografia
addominale,
TAC
e
consulenze
chirurgiche.
L’esito degli esami dimostrano la ricorrenza di una perforazione
della parete rettale sinistra nel tratto extraperitoneale e le
consulenze depongono per un addome acuto; non si ritiene di
123
dover procedere con intervento di colectomia e viene prescritta
terapia farmacologica ed il posizionamento di catetere venoso
centrale. Le condizioni di salute della paziente peggiorano
progressivamente fino alla ricorrenza, a distanza di circa 20 ore,
di arresto cardiocircolatorio, regredito a seguito di intervento
rianimatorio.
La donna viene trasferita in stato di incoscienza ed ipotesa nel
reparto
di
rianimazione
con
diagnosi
di
insufficienza
cardiorespiratoria. La successiva consulenza cardiologica induce
a procrastinare l‟intervento chirurgico, date le condizioni.
Raggiunta la stabilizzazione, a distanza di una settimana, la
donna viene sottoposta ad intervento di drenaggio di ascesso
pelvico e colostomia, al termine del quale insorge instabilità
emodinamica e tendenza alla desaturazione. A distanza di pochi
giorni si verifica il decesso. A seguito dei fatti sopra esposti
viene aperto un procedimento penale ed il Pubblico Ministero,
al fine di valutare la presenza di eventuali responsabilità in capo
al personale medico, dispone consulenza tecnica con autopsia
dalla quale emerge correlazione tra la perforazione della parete
124
rettale ed il decesso, attribuito ad una insufficienza multi organo
insorta in corso di shock settico conseguente a sepsi
generalizzata da disseminazione di focolaio infettivo ascessuale
a partenza dalle strutture del mesoretto contigue alla lesione.
Sulla base dei rilievi necroscopici il CTU conclude per la
sussistenza di nesso causale tra la manovra di introduzione del
clistere e la lesione produttiva della cascata di eventi che hanno
condotto al decesso della donna.
Sono emersi pertanto addebiti a carico dei sanitari intervenuti;
sia in capo al medico per aver posto in essere una condotta
attendista nei confronti di un intervento di colostomia che,
effettuato in tempi
più prossimi possibile alla perforazione
avrebbe con elevata probabilità evitato l’insorgenza della sepsi
ed in capo all’infermiere per esecuzione incauta ed inesperta di
clistere.
125
5.2 Un caso di lacerazione di derivazione ventricolo
peritoneale in sede atipica
Si riporta il caso di un uomo, portatore di derivazione ventricolo
peritoneale destra applicata all’estero, finalizzata al trattamento
di un idrocefalo triventricolare causato da un voluminoso
neurinoma dell’VIII nervo cranico di sinistra al quale, a distanza
di un anno, per una infezione a livello peritoneale era rimosso lo
shunt, riposizionato in addome sinistro, per evitare una
situazione fibrotica presente a livello peritoneale destro.
Nello stesso anno, durante un viaggio in Italia, a seguito di un
malore viene ricoverato in ambiente neurochirurgico ove si
procede all’ asportazione di un voluminoso tumore dell’angolo
ponto-cerebellare di sinistra. Il quadro disfagico residuato viene
trattato mediante confezionamento di una PEG. Trasferito in
altro
ospedale,
si
verifica
un
malfunzionamento
della
derivazione preesistente, sulla quale il confezionamento della
PEG aveva accidentalmente prodotto una lacerazione, sospettata
126
dai sanitari a distanza di un mese e diagnosticata il mese
successivo.
Il perdurante alterato funzionamento dello shunt conduceva ad
un quadro infettivo prima ed ad una sepsi poi; la derivazione
ventricolo-peritoneale era quindi esteriorizzata, ma la sepsi non
recedeva, progredendo verso lo shock settico e l’exitus.
L’autopsia consentiva di identificare quale causa del decesso
una insufficienza multiorgano sostenuta da
shock settico,
conseguente alla contaminazione del dispositivo ventricoloperitoneale lesionatosi nell’approntamento della PEG.
La Consulenza Tecnica effettuata ha consentito di rilevare la
presenza, al ricovero in Italia, di una inconsueta applicazione
della derivazione ventricolo peritoneale realizzata in altra sede,
da considerasi ad elevato rischio, per avere creato un incrocio
(catetere dello shunt a destra nel capo e nel torace, incrociante la
linea mediana in regione ombelicale e diretto in cavità
peritoneale sinistra), applicazione atipica e non corretta sul
piano metodologico, in quanto tale da creare problemi in caso di
intervento laparotomico, soprattutto in urgenza.
127
Ha richiamato inoltre l’attenzione dei consulenti l’assenza di
segnalazione (documentale e circostanziale) di una condizione
anatomica, come già detto inusuale ed inimmaginabile se non
riferita, sconosciuta ai sanitari italiani. Sono stati altresì posti in
evidenza l’omissione di un adeguato periodo di osservazione nel
reparto neurochirurgico con intempestivo trasferimento in
ambito neurologico, tale da influire, ritardandolo, sull’intervento
di esteriorizzazione del catetere e sul decorso dell’evento
settico, nonché il rifiuto da parte dei neurochirurghi di accettare
il paziente, una volta nota la diagnosi.
Ai neurochirurghi è stata addebitata una condotta imprudente,
relativamente alla breve durata del periodo di osservazione ed al
rifiuto del trasferimento del paziente presso di loro. La condotta
dei neurologi è apparsa corretta e tecnicamente adeguata.
128
5.3 Profili di responsabilità in caso di utilizzo di
apparecchiature per la circolazione extracorporea.
Si riporta il caso di un uomo, affetto da valvulopatia mitroaortica con steno-insufficienza aortica severa ed insufficienza
mitralica severa sintomatiche, ectasia dell’aorta ascendente,
blocco
atrioventricolare
totale, sottoposto
ad
intervento
chirurgico di anuloplastica della mitrale con impianto di
elettrodi epicardici a permanenza per stimolazione elettroguidata, effettuato con utilizzo di apparecchiatura per la
circolazione extracorporea.
I dati emersi dall’esame autoptico e quelli riportati nella
documentazione sanitaria indicavano che il decesso era
avvenuto per insufficienza cardio-respiratoria acuta insorta in
soggetto in stato vegetativo post-anossico conseguente ad
interruzione della circolazione extracorporea sopravvenuta nel
corso dell’intervento cardiochirurgico.
129
Un attento studio del funzionamento delle apparecchiature per la
circolazione extracorporea, unitamente agli elementi sopra
indicati, ha consentito la formulazione di due possibili ipotesi di
causa dell’interruzione della circolazione extracorporea: o una
possibile avaria del sistema - ipotesi questa successivamente
esclusa
stante
il
documentato
perfetto
funzionamento
dell’apparecchiatura nel corso della manutenzione effettuata nei
mesi successivi all’intervento – o un abbassamento del livello di
sangue e conseguente ingresso di aria nel circuito. In merito alla
seconda ipotesi erano valutati gli eventuali profili di
responsabilità della figura del perfusionista, deposta al controllo
della circolazione extracorporea.
Dall’integrazione dei dati disponibili, unitamente a quanto
riportato nel D.M. 27 luglio 1998, n. 136, sono emersi elementi
di censura nei confronti dell’operato del perfusionista,
sussistendo responsabilità diretta nella produzione degli eventi.
130
5.4 Su un caso di sepsi conseguente a posizionamento di
accesso venoso (Port)
Si riporta il caso di un uomo di 47 anni, sottoposto ad intervento
di colectomia sinistra per tumore del colon; seguiva la
somministrazione di chemioterapia adiuvante per la quale si
rendeva opportuno il confezionamento di un accesso venoso
centrale, attraverso incannulamento della succlavia e catetere
venoso centrale in cava superiore, successivamente controllato
radiologicamente. Nel periodo successivo si sviluppava una
infezione locale del sito di impianto seguita da uno stato di sepsi
e, ancora successivamente, da una disseminazione microembolica della sepsi a livello polmonare e vertebrale
con
manifestazione di polmonite e discite. Gli esami colturali sul
catetere del Port ponevano in evidenza la presenza di
Stafilococco Aureo.
La valutazione del caso, effettuata in sede civile, ha evidenziato
la sussistenza di legami causali tra l’impianto del Port e il
131
quadro settico, sia locale che metastatico viscerale (polmoni e
vertebre).
132
5.5 Su un caso di lacerazione tracheale e dell’arteria
polmonare destra in corso di intervento chirurgico di
sostituzione di valvola aortica ed aorta ascendente
Donna di anni 77, affetta da ipertensione, fibrillazione atriale,
obesità, reduce da due pregresse embolie polmonari, nel 2004 si
ricoverava per essere sottoposta ad intervento di sostituzione
della valvola aortica e dell’aorta ascendente, in circolazione
extracorporea. Nel corso dell’intervento, per l’occorrere di una
lacerazione dell’arteria polmonare durante la cannulazione, era
necessario avviare la CEC in emergenza; ad un primo tentativo
di uscire dalla CEC si palesava una insufficienza mitralica che
induceva i chirurghi, ripristinata la CEC, ad eseguire una
plastica valvolare con anello. Al termine dell’intervento, alla
paziente erano posizionati 4 elettrodi epicardici temporanei e 3
drenaggi (1 mediastinico sottocardiaco, 1 transpleurico destro, 1
transpleurico sinistro. Alla fine dell’intervento si manifestava un
importante enfisema sottocutaneo, inizialmente attribuito ad un
133
momentaneo disfunzionamento del sistema di drenaggio,
risoltosi nelle successive 12 ore con residuo di modico
bolleggiamento
persisteva
dai
drenaggi. Nelle
bolleggiamento
dai
giornate
drenaggi
in
successive
paziente
emodinamicamente stabile e neurologicamente ancora saporosa,
non svezzabile dal ventilatore. A distanza di due giorni era
nuovamente segnalata la presenza di enfisema sottocutaneo
marcato al volto ed all’emitorace sinistro; un rx effettuato nella
mattinata non mostrava segni eclatanti di pneumotorace. In
previsione di una consulenza di chirurgia toracica le erano
posizionati 2 nuovi trocard apicali. Nel corso della giornata
erano altresì effettuate varie broncoscopie. Confermato il
sospetto di lesione tracheale, era disposto il trasferimento della
paziente in altro ospedale. Qui era subito sottoposta a TC collo e
torace che faceva rilevare aree di consolidazione polmonare
bilaterali, sottile falda di pneumotorace, discreto enfisema
sottocutaneo; l’indagine evidenziava altresì una iperdistensione
della cuffia della cannula tracheale (diametro di 4,3 cm.),
documentando sul contorno sinistro della trachea, a circa 10 cm.
134
dalla carena, una soluzione di continuo della sua parete
continuantesi in una falda aerea paratracheale. Il giorno dopo la
signora era sottoposta a broncoscopia con toilette e medicazione
della lesione ed era documentata la quasi totale scomparsa
dell’enfisema sottocutaneo. Circa il trattamento della soluzione
di continuo tracheale, date le condizioni generali della paziente
fortemente impegnate, l’ampiezza della lesione e l’assenza della
pars membranacea, nonché la discreta stabilità e controllo della
lesione tracheale, i medici decidevano di adottare un
atteggiamento conservativo e stretta monitorizzazione della
lesione,
procedendo
quotidianamente
a
detersione
e
medicazione con antibiotico. Nella stessa giornata la donna era
sottoposta a tracheotomia; considerate le condizioni cliniche
della
paziente
e
l’evidenza
endoscopica,
era
ribadita
l’improponibilità della riparazione diretta.
Nelle giornate successive il quadro clinico era caratterizzato da
netta riduzione dell’enfisema sottocutaneo a livello della parete
toracica anteriore, in assenza di segni di enfisema a carico del
collo; lievemente ridotti risultavano anche gli addensamenti
135
parenchimali, mentre iniziavano ad evidenziarsi segni di sepsi in
progressivo aggravamento, sino ad un quadro di sepsi
generalizzata;
una
esofagogastroduodenoscopia
eseguita
contestualmente rilevava una lesione della parete esofagea
anteriore delle dimensioni di circa 1 cm., mentre la parete del
fondo gastrico si presentava ecchimotica. Data la vicinanza della
ferita chirurgica era impossibile trovare un punto utile per una
PEG.
Alle ulteriori fibrobroncoscopie la lesione tracheale risultava
invariata. Nelle giornate successive si manifestava la fuoriuscita
di materiale entrale dalla regione peritracheale, per cui era posto
sondino a caduta, mentre da un rx torace urgente emergevano
una sottile falda di pneumotorace apicale sinistro, esteso
enfisema sottocutaneo destro e versamento pleurico sinistro.
Le condizioni subivano un progressivo aggravamento per
insorgenza di una trombosi venosa profonda occludente della
vena poplitea e della succlavia per la quale era posizionato un
filtro cavale; nelle giornate successive era confermata la
presenza di una fistola tracheo – esofagea; per il seguente
136
instaurarsi
di uno squilibrio emodinamico si verificava il
decesso.
La consulenza tecnica medico – legale disposta da PM non ha
evidenziato condizioni ascrivibili ad errore di comportamento o
di condotta clinica, quindi che rientrano nella “colpa medica”
ma una serie di eventi avversi, ciascuno descritto dalla più
recente letteratura medica, ancorché in modesta percentuale, che
si identificano più come errore di sistema ma non imputabili ad
uno o a più sanitari curanti. Questa serie di eventi avversi ha
generato il progressivo peggioramento della paziente e l’exitus
ne è stato l’evento finale ineluttabile.
137
5.6 Osservazioni conclusive.
Dalla realtà analizzata, rappresentata dalla letteratura scientifica
e dalla casistica in tema di dispositivi medici, emerge che il
concetto di sicurezza costituisce un requisito gestionale e di
sistema, nel quale l’evento incidente è il risultato di
un’interazione tra fattori tecnici, organizzativi e di processo.
Gli incidenti che si verificano in corso di utilizzo di dispositivi
medici rappresentano, infatti, una concentrazione di variabili
negative che coinvolgono diverse competenze.
L’attuale sistema offre due tipi di soluzioni volte al
contenimento dei rischi legati ai dispositivi medici.
Quanto alla prima soluzione, dal punto di vista giuridico la
legislazione riguardante i dispositivi medici è volta a garantire la
sicurezza, la minimizzazione dei rischi nonché la loro durata e
affidabilità.
La giurisprudenza in materia di danno da dispositivo medico è
piuttosto esigua ma allo stesso tempo rigorosa nel richiedere la
138
massima attenzione da parte del produttore, il quale ha il dovere
di essere aggiornato e di sottoporre il prodotto a tutti i più
sofisticati controlli per garantire la sicurezza dei prodotti
immessi nel mercato .
In quest’ottica il sistema di certificazione attualmente in vigore,
affidato esclusivamente al produttore, non sembra soddisfare
pienamente le esigenze necessarie a garantire la piena sicurezza
dei prodotti immessi sul mercato.
Una possibile soluzione può essere individuata nell’istituzione
di una apposita autorità regolatoria statale che certifichi la
conformità
dei
prodotti
non
più
sulla
base
di
una
documentazione autoreferenziale ma su un’effettiva verifica dei
requisiti di qualità e sicurezza.
La seconda risposta che il sistema ha elaborato riguarda la
gestione del rischio clinico: lo scopo del Clinical Risk
Management, in tale contesto, è di coinvolgere gli attori della
filiera, quali fabbricanti, distributori, operatori, manutentori e
pazienti, nel più ampio progetto della cd. “cultura della
sicurezza clinica”, per promuovere un uso più sicuro in grado di
139
ridurre la percentuale di rischio, nonché la possibilità di danni ai
pazienti, agli operatori e/o soggetti terzi.
Da tale sistema descritto emerge, dunque, che in capo agli
operatori sanitari sussiste una posizione di garanzia, connessa
alla rilevanza costituzionale del diritto alla salute del paziente,
nonché, un generale obbligo di arginare i potenziali fattori di
rischio di danno.
La prevenzione dei rischi evitabili e la riduzione di quelli
ineliminabili deve operare per tutto il ciclo di vita del
dispositivo: per il raggiungimento di tale obiettivo appare
auspicabile un costante dialogo tra i soggetti che partecipano
alla catena distributiva e all’utilizzo clinico.
Pertanto, in un’ottica di gestione del rischio clinico, uno dei
fattori più importanti di riduzione del rischio può essere
rappresentato dal fattore comunicativo.
Tale obiettivo può essere raggiunto attraverso interventi mirati
di formazione del personale, al fine di promuovere anche
comportamenti virtuosi nella scelta e nella gestione delle
tipologie di dispositivi medici disponibili sul mercato.
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