UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA ISTITUTO DI MEDICINA LEGALE Corso di Dottorato di Ricerca in Medicina legale, Tossicologia forense e Malpractice XXIV CICLO Tesi di Dottorato DISPOSITIVI MEDICI: PROFILI DI RESPONSABILITÀ E DI GESTIONE DEL RISCHIO CLINICO. Tutor Dottoranda Chiar. ma Prof.ssa Dora Mirtella Dott.ssa Eleonora Cognigni ANNO ACCADEMICO 2010-2011 INDICE GENERALE Introduzione p. 5 PARTE PRIMA I DISPOSITIVI MEDICI: ASPETTI GENERALI E CLASSIFICATORI. 1. Dispositivi medici: generalità e definizioni p. 9 1.2. Tipologia dei dispositivi p. 15 1.2.1. Le classi di dispositivi in base alla Direttiva 93/42/CEE 1.3. Qualità e sicurezza dei dispositivi medici. p. 21 p. 24 1.3.1. Requisiti e procedure per l’attestazione della conformità. p. 26 1.4. Il mercato Europeo dei dispositivi medici. p. 35 1.4.1 Definizione del mercato p. 35 1.4.2 Tra dimensioni del mercato e spesa assicurativa. p. 39 1 1.5 Competitività e impatto sulla spesa pubblica. p. 41 PARTE SECONDA L’EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA SUI DISPOSITIVI MEDICI 2.1 Le origini della disciplina p. 44 2.2 La normativa comunitaria: aspetti critici e peculiarità. p. 49 2.3 Il contesto normativo: tra cd. Nuovo Approccio e sistemi di sorveglianza. p. 58 PARTE TERZA LA RISPOSTA DELLA SCIENZA GIURIDICA – PROFILI DI RESPONSABILITÀ 3.1 Le peculiarità della disciplina riguardante la responsabilità civile del produttore p. 67 2 3.2 La responsabilità civile del produttore per danni causati dai dispositivi medici p.75 3.3 La responsabilità delle strutture sanitarie p.83 3.3.1 L’attività contrattuale delle Aziende Sanitarie p.90 3.4 Danni da dispositivi medici p.92 3.4.1 Il caso delle valvole cardiache p.95 3.4.2 Il caso delle protesi mammarie p.98 3.4.3 Protesi dentarie. 3.5 Tra tutela amministrativa e tutela penale p. 100 p.104 PARTE QUARTA DISPOSITIVI MEDICI E GESTIONE DEL RISCHIO CLINICO 4.1. La gestione del rischio clinico applicata ai dispositivi medici p. 109 4.2. Tra fattori di rischio e sistema di qualità p. 114 4.3 Il ruolo del sistema di sorveglianza p. 116 3 4.4 Tra adempimenti e sanzioni: l’importanza della comunicazione. p. 119 PARTE QUINTA CASI DI STUDIO 5.1 Un caso di responsabilità del medico e dell’infermiere p. 123 5.2 Un caso di lacerazione di derivazione ventricolo peritoneale in sede atipica p. 126 5.3 Profili di responsabilità in caso di utilizzo di apparecchiature per la circolazione extracorporea p. 129 5.4 Su di un caso di sepsi conseguente a posizionamento di accesso venoso centrale (Port) p. 131 5.5. Su un caso di lacerazione tracheale e dell’arteria polmonare destra in corso di intervento chirurgico di sostituzione di valvola aortica ed aorta ascendente. p. 133 5.6. Osservazioni conclusive. p. 138 4 BIBLIOGRAFIA TRADIZIONALE p. 141 BIBLIOGRAFIA SITOGRAFICA p. 156 PRINCIPALI RIFERIMENTI LEGISLATIVI p. 157 5 Introduzione I “dispositivi medici” costituiscono una vasta categoria di prodotti per la diagnosi, la cura e l’assistenza al malato. A causa della forte eterogeneità di tale tipologia di prodotti non è possibile determinare con precisione la quantità di dispositivi presenti sul mercato. Con il presente elaborato ci si propone di analizzare i diversi profili di responsabilità derivanti dall’uso di tali presidi, con particolare riferimento allo specifico contesto del rischio clinico. Dopo una prima parte di carattere essenzialmente definitorio, è stata approfondita l’evoluzione legislativa in merito, riservando una particolare attenzione agli aspetti critici e alle peculiarità della stessa. Nell’ultima parte sono stati riportati alcuni casi oggetto di consulenza tecnica, connessi all’utilizzo di dispositivi medici di vario tipo. 6 Le osservazioni conclusive, infine, contengono valutazioni e possibili indicazioni utili per il nostro Paese, alla luce di quanto riscontrato nel corso dell’analisi. 7 PARTE PRIMA DISPOSITIVI MEDICI: ASPETTI GENERALI E CLASSIFICATORI 8 1. Dispositivi medici: generalità e definizioni. I dispositivi medici rappresentano un settore sempre più importante, se considerato alla luce del loro impatto sulla salute e sulla spesa sanitaria. Di conseguenza, è altresì importante l’ambito normativo nel quale essi si collocano e le conseguenze di tale assetto regolatorio sulla circolazione dei prodotti stessi nel mercato dell’Unione Europea. Occorre, tuttavia, chiarire cosa si intende per dispositivo medico: a tal fine è necessario richiamare la definizione contenuta nell’art. 1, comma 2, lett. a), D. Lgs. 46/1997 1. 1 D.Lgs. 46/1997, definizione di dispositivo medico applicabile alla generalità dei casi. Per i dispositivi medici impiantabili attivi e medico-diagnostici in vitro esistono due norme specifiche, rispettivamente D. Lgs. 507/1992 e D. Lgs. 332/2000. Il testo legislativo riporta esattamente che essi sono “qualsiasi strumento, apparecchio, impianto, sostanza o altro prodotto, utilizzato da solo o in combinazione, compreso il software informatico impiegato per il corretto funzionamento, e destinato dal fabbricante ad essere impiegato nell'uomo a scopo di diagnosi, prevenzione, controllo, terapia o attenuazione di una malattia; di diagnosi, controllo, terapia, attenuazione o compensazione di una ferita o di un handicap; di studio, sostituzione o modifica dell'anatomia o di un processo fisiologico;di intervento sul concepimento, il quale prodotto non eserciti l'azione principale, nel o sul corpo umano, cui destinato, con mezzi farmacologici o immunologici mediante processo metabolico ma la cui funzione possa essere coadiuvata da tali mezzi”. 9 La normativa di riferimento descrive i dispositivi medici come una categoria di prodotti destinati ad essere impiegati nell’uomo o sull’uomo a scopo di diagnosi, prevenzione, controllo o terapia, attenuazione o compensazione di ferite o di handicap, ma anche di studio, sostituzione o modifica dell’anatomia o di un processo fisiologico, o di controllo del concepimento. Si tratta, dunque, di una categoria piuttosto eterogenea di prodotti, alcuni dei quali sono di comune utilizzo: sia in ambiente domestico, come ad esempio i termometri per la misurazione della temperatura corporea; sia per uso personale, come cerotti o profilattici; sia per uso in ambienti sanitari, come ad esempio la gran parte delle strumentazioni utilizzate negli ambulatori e nelle strutture ospedaliere; inoltre, gli strumenti utilizzabili esclusivamente da personale specializzato, come ad esempio gli apparecchi radiografici. Ne deriva, quindi, che un prodotto può essere considerato dispositivo medico se svolge una delle funzioni previste nella definizione attraverso una modalità d’azione che non sia farmacologica, immunologica o metabolica; tuttavia, può 10 svolgere anche un’azione cd. ancillare, perché nello svolgimento della sua funzione può essere coadiuvato da una o più di tali modalità. In termini generali, si può distinguere tra: dispositivi che utilizzano fonti di energia, come i dispositivi attivi, i quali funzionano grazie all’alimentazione elettrica; dispositivi impiantati a breve/medio termine, come ad esempio un filo di sutura riassorbibile, o in modo permanente nell’uomo, come nel caso di valvole cardiache o protesi articolari2. Più precisamente, la normativa vigente assegna al Ministero della Salute, in qualità di Autorità competente, il compito di coordinare la vigilanza e il monitoraggio sulla circolazione dei dispositivi medici. Le direttive comunitarie e le norme legislative italiane che le hanno recepite suddividono i dispositivi medici in tre categorie: 2 Cfr. MINISTERO DELLA SALUTE, DIREZIONE GENERALE FARMACI E DISPOSITIVI MEDICI: Dispositivi medici. Aspetti regolatori e operativi. Centro stampa De Vittorio, Roma, 2007. 11 • dispositivi medici impiantabili attivi (direttiva 90/385/CEE; decreto legislativo 14 dicembre 1992, n. 507); • dispositivi medici (in genere), (direttiva 93/42/CEE; decreto legislativo 24 febbraio 1997, n. 46); • dispositivi diagnostici in vitro (direttiva 98/79/CE; decreto legislativo 8 settembre 2000, n.332). È necessario evidenziare che il decreto legislativo n. 46 del 1997 contiene la definizione di dispositivo medico con riguardo alla generalità dei dispositivi diversi dalle due categorie che hanno una regolamentazione specifica (impiantabili attivi e diagnostici in vitro); in base a tale definizione, applicabile alla maggior parte dei prodotti reperibili sul mercato, un dispositivo medico è: uno strumento, un apparecchio, un impianto, una sostanza o altro prodotto usato da solo o in combinazione, compreso il software informatico impiegato per il corretto funzionamento e destinato dal fabbricante ad essere impiegato nell’uomo a scopo di: diagnosi, prevenzione, controllo, terapia, o attenuazione di una malattia; diagnosi, controllo, terapia, 12 attenuazione o compensazione di una ferita o di un handicap; studio, sostituzione o modifica dell’anatomia o di un processo fisiologico; intervento sul concepimento purché non eserciti l’azione principale nel o sul corpo umano, cui è destinato, con mezzi farmacologici o immunologici, né mediante processo metabolico, ma la cui funzione possa essere coadiuvata da tali mezzi. Occorre osservare, inoltre, che i dispositivi medici disciplinati dal decreto legislativo n. 46 del 1997 (cioè tutti quelli che non sono né impiantabili attivi, né diagnostici in vitro) sono suddivisi in quattro classi (classe I, IIa, IIb e III), secondo le regole di classificazione specificate nell’allegato IX dello stesso decreto. I dispositivi medici sono classificati secondo un ordine crescente di complessità e di maggior rischio per la salute del paziente: i dispositivi di classe I, infatti, sono quelli che presentano minori rischi sotto il profilo della sicurezza, mentre i dispositivi di classe III, sono quelli di maggiore criticità. Il decreto legislativo disciplina poi, separatamente, anche: 13 • i dispositivi su misura: destinati ad essere utilizzati solo per un determinato paziente; • i dispositivi per indagini cliniche: destinati ad essere messi a disposizione di un medico qualificato per lo svolgimento di indagini cliniche. Per quanto concerne i dispositivi su misura e i dispositivi per indagini cliniche, essi sono presenti anche nella categoria dei dispositivi impiantabili attivi, disciplinata dal decreto legislativo 507/1992. Si tratta, dunque, di una vasta gamma di prodotti molto diversi fra loro, accomunati dalla particolare destinazione d’uso del prodotto, ovvero la tutela della salute del paziente3. 3 Tale definizione, in termini generali, è contenuta nell’art. 1 comma 2 lett. a) del D.Lgs. 46/97, come da ultimo modificato dal D. Lgs. 25 gennaio 2010, n. 37. Le precisazioni sulla “medical purpose” sono contenute nella linea guida comunitaria MEDDEV 2.1/1, documenti non vincolanti elaborati a seguito di una intensa consultazione a livello comunitario tra le varie parti interessate. Si precisa che per i soli dispositivi medici impiantabili attivi valgono le definizioni contenute nell’art. 1, c. 2 del D. Lgs. 507/92, come da ultimo modificato dal D. Lgs. 25 gennaio 2010, n. 37 . 14 1.2 Tipologia dei dispositivi. Come anticipato nel paragrafo precedente, i dispositivi medici sono raggruppati, in funzione della loro complessità e del potenziale rischio per il paziente, in quattro classi: Classe I: dispositivi meno critici, quali la gran parte di quelli non attivi e non invasivi. All’interno di detta classe sono individuabili anche due ulteriori sottoclassi: Classe Is: dispositivi di classe I forniti allo stato sterile Classe Im: dispositivi di classe I che svolgono una funzione di misura. Classe IIa: dispositivi a rischio medio, quali alcuni dispositivi non attivi (invasivi e non) e dispositivi attivi che interagiscono con il corpo in maniera non pericolosa. Classe IIb: dispositivi a rischio medio/alto, quali alcuni dispositivi non attivi (specie invasivi) e i dispositivi attivi che interagiscono con il corpo in maniera pericolosa. 15 Classe III: dispositivi ad alto rischio, quali gran parte dei dispositivi impiantabili, quelli contenenti farmaci o derivati animali ed alcuni dispositivi che interagiscono sulle funzioni di organi vitali. Nell’ambito delle direttive del cd. Nuovo Approccio le classi di rischio sono previste nel caso di dispositivi numerosi e aventi caratteristiche diverse. Le classi di rischio, inoltre, hanno lo scopo di permettere di assegnare ai dispositivi il procedimento di valutazione di conformità più idoneo senza imporre ai fabbricanti schemi troppo onerosi in rapporto al rischio dei prodotti. Ne consegue, pertanto, che la classificazione dipende dalla destinazione d’uso indicata dal fabbricante, attribuita secondo le regole di classificazione riportate nell'Allegato IX del Decreto legislativo 24 febbraio 1997, n 46. In funzione della classe di rischio, il fabbricante può scegliere tra diverse procedure di valutazione della conformità, che prevedono interventi più o meno significativi da parte dell'Organismo Notificato. In tutti i casi è compito del 16 fabbricante predisporre la documentazione tecnica del prodotto, essenziale ai fini della valutazione della conformità dello stesso alla direttiva. Per “fabbricante”, si intende la persona fisica o giuridica responsabile della progettazione, della fabbricazione, dell'imballaggio e dell'etichettatura di un dispositivo in vista dell'immissione in commercio a proprio nome, indipendentemente dal fatto che queste operazioni siano eseguite da questa stessa persona o da un terzo per suo conto. Gli obblighi che la legislazione pone a carico del fabbricante valgono anche per la persona fisica o giuridica che compone, provvede all'imballaggio, tratta, rimette a nuovo, etichetta uno o più prodotti prefabbricati o assegna loro la destinazione di dispositivo in vista dell'immissione in commercio a proprio nome. Tuttavia, i predetti obblighi non si applicano alla persona la quale, senza essere il fabbricante, compone o adatta dispositivi già immessi in commercio in funzione della loro destinazione ad un singolo paziente. 17 Ne consegue che tale modalità di classificazione si esplica fondamentalmente tenendo conto dell’invasività del dispositivo, della sua dipendenza da una fonte di energia (cioè, come dispositivo attivo) e della durata del tempo di contatto con il corpo. Con l’espressione “dispositivi medici non invasivi” si fa riferimento ai dispositivi che non penetrano in alcuna parte del corpo, né attraverso un orifizio né attraverso la cute; i dispositivi invasivi sono, invece, quelli destinati a penetrare anche solo parzialmente nel corpo, tramite un orifizio o una superficie corporea. Per quanto riguarda i dispositivi invasivi, essi si possono ulteriormente suddividere in: • dispositivi invasivi, che penetrano attraverso gli orifizi del corpo; • dispositivi invasivi di tipo chirurgico, che penetrano attraverso la superficie corporea sia nel contesto di un intervento chirurgico che al di fuori di esso; 18 • dispositivi impiantabili, destinati a essere impiantati totalmente nel corpo umano mediante un intervento chirurgico e a rimanere in tale sede dopo l’intervento. È considerato dispositivo impiantabile anche quello introdotto parzialmente nel corpo umano mediante intervento chirurgico e destinato a rimanere in sede dopo l’intervento per un periodo di almeno trenta giorni. Tali tipologie di dispositivi possono essere suddivisi anche in base alla durata dell’utilizzo prevista, tra: utilizzo temporaneo, se la durata continua prevista è inferiore a 60 minuti; utilizzo a breve termine, se la durata continua prevista non è superiore a 30 giorni; utilizzo a lungo termine, se la durata continua è superiore a 30 giorni. Come anticipato nel paragrafo precedente, i dispositivi attivi sono quei dispositivi che per funzionare necessitano di una qualche forma di energia, diversa da quella generata direttamente dal corpo umano o dalla gravità, e che agiscono convertendo tale energia. 19 Tuttavia, vi sono alcune categorie di dispositivi che sono oggetto di regole speciali di classificazione: una particolare tipologia di dispositivi medici è rappresentata dai sistemi e kit per campo operatorio. Essi sono costituiti da una serie di dispositivi, anche di diverse ditte e anche di classi differenti, assemblati fra loro; in tali sistemi e kit possono essere contenuti anche prodotti non classificabili come dispositivi medici. Ne consegue, pertanto, che un accessorio è considerato dispositivo medico a tutti gli effetti e deve essere classificato separatamente dal dispositivo con cui è impiegato. Infine, è utile specificare che per ogni classe sono individuate nel decreto delle specifiche procedure di marcatura. 20 1.2.1. Le classi di dispositivi in base alla Direttiva 93/42/CEE. I Dispositivi Medici (DM) rientrano nel campo di applicazione della Direttiva 93/42/CEE, emessa nel 1993 e recepita in Italia con Decreto Legislativo 24.02.97, n. 46. La Direttiva 93/42/CEE è stata successivamente integrata da diverse direttive, la più importante delle quali è la direttiva 2007/47/CE, entrata in vigore a decorrere dal 21 marzo 2010. Essa impone l’obbligo della marcatura CE per la commercializzazione di tali dispositivi, per ottenere la quale occorre rispettare dei requisiti essenziali. Più precisamente, la Direttiva 93/42 rappresenta un documento di validità sovranazionale ma, tuttavia, essa non elenca tutte le regole per ciascun tipo di dispositivo; le motivazioni alla base della scelta effettuata dal legislatore sovranazionale sono di diverso ordine. 21 In primo luogo le norme di tipo prescrittivo richiedono una revisione periodica e, a causa del rapido progresso tecnologico in tale settore, le norme richiederebbero aggiornamenti molto frequenti, con conseguenti aggravi economici. In secondo luogo, il progresso tecnologico permette di avere a disposizione una strumentazione molto ampia, con la possibilità di ottenere un dispositivo sicuro percorrendo strade differenti, aventi la stessa validità: ne consegue che diventa, dunque, impossibile procedere ad una elencazione esaustiva di tali modalità. La direttiva in esame è stata elaborata con lo scopo di uniformare la normativa riguardante la sicurezza dei dispositivi medici: essa propone, infatti, disposizioni per la certificazione dei dispositivi medici che siano comuni a tutti gli Stati della Comunità Europea. Occorre ricordare, infatti, che negli anni precedenti, le disposizioni legislative e amministrative riguardanti le caratteristiche di sicurezza e funzionamento dei dispositivi medici, nonché le procedure di certificazione e controllo 22 avevano, in generale, contenuto e campo di applicazione diverso in ciascuno Stato, rappresentando, dunque, un ostacolo agli scambi interni alla Comunità. Tuttavia, è necessario specificare che essa non sostituisce le direttive 80/836/Euratom e 84/466/Euratom, riguardanti la progettazione e fabbricazione dei dispositivi che emettono radiazioni ionizzanti, poiché per tali dispositivi vanno consultate tutte queste direttive. 23 1.3 Qualità e sicurezza dei dispositivi medici. Il concetto di qualità, nell’ambito dei dispositivi medici, è strettamente legato a quello di sicurezza del paziente. Nei sistemi sanitari moderni, infatti, vi è un costante impegno nel gestire l’alta complessità derivante dai numerosi elementi umani e tecnologici che li compongono, per orientare le attività verso standard di qualità in sintonia con le aspettative dei pazienti. Ne consegue, dunque, che il miglioramento della qualità richiede necessariamente di porre attenzione ai temi della sicurezza dei pazienti e di attuare misure di gestione del rischio clinico. Tuttavia, il requisito della sicurezza non è implicito nelle caratteristiche di un dispositivo medico: il concetto elementare di sicurezza, con riferimento alle aspettative dell’utilizzatore, può individuarsi nell’affidamento ragionevole che l’impiego del dispositivo medico, nell’ambito dell’uso previsto dal fabbricante, risulti efficace per diagnosi, prevenzioni, controllo, 24 terapia o attenuazione di una malattia e/o compensazione di una ferita o di un handicap e non sottoponga l’utilizzatore ad ulteriori situazioni pericolose. Il concetto di sicurezza deve, inoltre, essere considerato come requisito gestionale e di sistema, considerando l’evento incidente non come conseguenza di un singolo errore umano, ma come il risultato di un’interazione tra fattori tecnici, organizzativi e di processo. La cultura della sicurezza richiede, infatti, competenza: gli operatori sanitari organizzativi, devono ambientali ed conoscere i umani che fattori tecnici, concorrono a determinare gli errori4. 4 Reason J., Managing the risks of organizational accidents. England: Ashgate Publishing; 1997 25 1.3.1 Requisiti e procedure per l’attestazione della conformità. Attraverso le direttive del cd. Nuovo approccio, il legislatore comunitario ha dettato regole e principi generali di sicurezza e di prestazione, ovvero i requisiti essenziali, che i prodotti regolamentati dovranno soddisfare per poter circolare liberamente nei paesi dell’Unione Europea.5 Tale tendenza ha eliminato gli ostacoli posti dalle legislazioni e dagli standard europei spesso disarmonici e, soprattutto per il settore dei dispositivi medici, caratterizzati da un’ampia diversificazione dei prodotti e da una rapida evoluzione tecnologica. Proprio per tali motivi, prima della direttiva 93/42/CEE, molti dispositivi medici in Italia erano privi di una regolamentazione 5 Cfr. Ministero della salute, Direzione Generale Farmaci e Dispositivi medici, Dispositivi medici: aspetti regolatori e operativi, Roma, 2007. 26 specifica e, nella prassi, venivano considerati prodotti cd. di libera vendita. Il legislatore nazionale ha, in seguito, imposto dei requisiti essenziali e vincolanti per tutte le tipologie di dispositivi medici segnando, in tal modo, un notevole passo avanti in termini di tutela della salute pubblica. La legislazione prevede, inoltre, con lo scopo di garantirne sicurezza ed efficacia, specifiche procedure di valutazione della conformità ai requisiti essenziali, prima della marcatura CE e della successiva immissione in commercio dei prodotti. Occorre, però, rilevare che i dispositivi medici, stante l’estrema eterogeneità della categoria, non possiedono tutti lo stesso impatto clinico, né lo stesso grado di rischio potenziale. Per tale motivo essi sono stati classificati in classi di rischio crescente con la relativa procedura di valutazione della conformità, nonché l’indicazione dei soggetti deputati a tale valutazione. Quanto ai requisiti essenziali, essi sono elencati e descritti nell’allegato I del D. Lgs. 46/97: in tal modo, il legislatore ha 27 indicato nei requisiti essenziali, in maniera esauriente e circostanziata, tutte le caratteristiche dei dispositivi medici che possono incidere sulla sicurezza ed efficacia degli stessi in relazione all’uso finale stabilito dal fabbricante, indispensabili per ottenere il livello di protezione richiesto. Successivamente, il legislatore è intervenuto con il D. Lgs. 25 gennaio 2010, n. 37, con lo scopo di ridurre ulteriormente il rischio connesso all’uso dei dispositivi medici, chiarendo e modificando diversi punti della precedente normativa. La ratio di tale sistema è di affidare ai fabbricanti la piena responsabilità delle scelte tecniche da adottare per la realizzazione di dispositivi medici conformi ai requisiti essenziali imposti dalla direttiva. Compete, infatti, al fabbricante indicare per ogni dispositivo, attraverso il cd. fascicolo tecnico, l’applicabilità o meno dei singoli requisiti essenziali e, in caso positivo, dovrà descrivere le soluzioni adottate per soddisfare detti requisiti e le relative procedure messe in atto quali: prove, esami, collaudi, dati clinici, avvertenze e istruzioni d’uso. 28 Ne consegue che, in tale contesto, la predisposizione di norme tecniche armonizzate assicura la presunzione di conformità del dispositivo ai requisiti essenziali. In altri termini, qualsiasi dispositivo medico deve essere corredato da informazioni che ne garantiscano la corretta identificazione, sia del fabbricante, sia della destinazione d’uso e delle modalità per un corretto utilizzo. Vi sono, tuttavia, una serie di prodotti che si possono definire “borderline”, in quanto per la loro natura non appartengono con chiarezza ad un determinato settore ed è, pertanto, difficile definire quale sia la normativa di riferimento da applicare. Può accadere, inoltre, che si tratti di prodotti rientranti nella definizione di dispositivo medico ma esclusi dal campo di applicazione della direttiva. Ad esempio, un prodotto borderline può essere compreso nell’ambito di applicazione delle direttive sui dispositivi medici, sui dispositivi diagnostici in vitro o sui dispositivi impiantabili attivi. 29 In tal caso, infatti, si verificano interpretazioni diverse della norma comunitaria creando una distorsione del mercato interno con conseguente rischio per la salute pubblica. La problematica principale dei dispositivi cd. borderline, dunque, è rappresentata dal fatto che essi sono prodotti di difficile collocazione, al limite tra la definizione di dispositivo e le definizioni contenute nelle normative che regolano altri settori. Tuttavia, parte della dottrina segnala che a rendere più chiara la differenziazione vi è la destinazione d’uso, connotabile con una finalità medica, che non appartiene ad esempio a prodotti erboristici, cosmetici o ad apparecchiature estetiche. Di fondamentale importanza, inoltre, è la demarcazione tra dispositivi medici e medicinali, questione oggetto di un intenso dibattito a livello comunitario: in base alla definizione MEDDEV6, i medicinali sono “sostanze, associazioni di sostanze, utilizzate o somministrate all’uomo a scopo terapeutico, preventivo, diagnostico ed allo scopo di ripristinare, 6 MEDDEV Linee guida o documenti interpretativi. Legalmente non vincolanti, sono documenti di riferimento di larga condivisione. 30 correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un’azione farmacologica, immunologica o metabolica”. Tuttavia, anche un dispositivo può essere una sostanza: la differenza tra sostanza dispositivo medico ed il medicinale, è rinvenibile con riferimento all’azione principale. Il medicinale agisce, infatti, con mezzi farmacologici, metabolici o immunologici; il dispositivo medico, invece, generalmente, si avvale di mezzi fisici, quali ad esempio l’azione meccanica di barriere fisiche, o la sostituzione o il supporto per organi o funzioni corporee. Per quanto concerne l’importanza di una corretta qualificazione del prodotto, anche la direttiva 2007/47/CE, che modifica le direttive sui dispositivi medici, prevede che “l’istituzione di una procedura decisionale per stabilire se un prodotto rientri nella definizione di dispositivo medico è nell’interesse della sorveglianza dei mercati nazionali e della salute e dell’incolumità delle persone, ai fini di un corretto ed efficace funzionamento della direttiva 93/42/CEE in materia di consulenza normativa su questioni inerenti alla classificazione a 31 livello nazionale, in particolare in merito all’applicabilità della definizione di dispositivo medico a un determinato prodotto”. Pertanto, stabilito che il prodotto è un dispositivo medico, il fabbricante dovrà classificarlo in una delle classi di rischio stabilite dal D.Lgs. 46/1997, al fine di attuare le procedure di valutazione della conformità previste per ciascuna classe. Occorre sottolineare che la conformità viene valutata dal fabbricante attraverso un documento, detto dichiarazione di conformità, con il quale lo stesso garantisce e dichiara che i propri prodotti soddisfano le disposizioni applicabili della direttiva di riferimento. Essa rappresenta, dunque, una assunzione di responsabilità per la marcatura CE del prodotto e la sua immissione nel mercato. Per i dispositivi appartenenti a classi superiori alla prima, invece, la conformità viene valutata, con diverse modalità, da un soggetto terzo, denominato Organismo Notificato, che la attesta mediante una certificazione rilasciata dal fabbricante. Dunque, la valutazione di conformità di un prodotto ai requisiti essenziali previsti da ciascuna direttiva di nuovo approccio 32 viene eseguita attraverso moduli stabiliti da una decisione del Consiglio dei Ministri CEE (90/683/CEE) approvata il 13 dicembre 1990, sostituita successivamente dalla decisione 93/465/CEE. Tale valutazione di conformità deve riguardare tutti gli aspetti connessi con il prodotto e relativi sia alla progettazione che alla fabbricazione. Anche la scelta delle procedure per la certificazione di un dispositivo nell’ambito di una medesima classe dipende esclusivamente dal fabbricante, che opererà tale scelta sulla base della propria organizzazione (presenza o meno di un sistema di qualità) o in base al tipo di produzione dei propri dispositivi (numerosità e/o frequenza). La possibilità di utilizzare dispositivi medici per i quali non siano state espletate tali procedure è prevista solo per singoli dispositivi il cui impiego è nell’interesse della protezione della salute o per il trattamento di singoli pazienti a scopo compassionevole; in entrambi i casi vi deve essere, però, una esplicita autorizzazione del Ministero della salute . 33 Una volta che il fabbricante è in possesso della documentazione attestante la valutazione di conformità (dichiarazione di conformità ed, eventualmente, certificato/i rilasciato/i dall’Organismo Notificato) può marcare CE il proprio dispositivo a garanzia della applicazione di tutte le previsioni contenute nella normativa e lo può, quindi, immettere in commercio. Il marchio CE deve essere apposto in maniera visibile, leggibile ed indelebile, sul dispositivo o sull’involucro sterile e, se del caso, anche sulla confezione commerciale e sulle istruzioni per l’uso, inoltre deve essere, eventualmente, corredato dal numero di codice identificativo dell’Organismo Notificato intervenuto nella procedura di valutazione della conformità. 34 1.4 Il mercato europeo dei dispositivi medici. 1.4.1 Definizione del mercato. Il mercato dei dispositivi medici può essere definito in generale come il mercato formato da tutti gli strumenti, impianti, prodotti utilizzati da soli o in combinazione e destinati ad essere impiegati nell’uomo a scopo di diagnosi, prevenzione e cura di una malattia. Si tratta di un mercato molto ampio, complesso, in continua crescita che lo rende uno dei più vitali e dinamici dell’economia mondiale. La nascita di tale tipologia di mercato ha rivoluzionato il sistema sanitario in termini di riduzione dei tempi diagnostici e di miglioramento della qualità delle analisi cliniche a fronte di una minor spesa sanitaria. Per giungere ad una definizione esaustiva del mercato rilevante dei dispositivi medici è necessario individuare le principali tipologie di prodotto. Per tale motivo è utile fare riferimento alla 35 classificazione operata dalle normative italiane, che recepiscono a loro volta le direttive europee. Si può distinguere fra tre grandi famiglie di dispositivi medici: • dispositivi medici impiantabili attivi: nel d.lgs. 14 dicembre 1992, n. 507, che recepisce la direttiva europea 90/385/CE, i dispositivi medici impiantabili attivi vengono definiti come un qualsiasi dispositivo medico attivo destinato ad essere impiantato interamente o parzialmente mediante intervento chirurgico o medico nel corpo umano o mediante intervento medico in un orifizio naturale e destinato a restarvi dopo l’intervento; • dispositivi medico-diagnostici in vitro: nel d.lgs. 7 novembre 2000, n. 332, che recepisce la direttiva europea 98/79/CE, i dispositivi medico diagnostici in vitro vengono definiti come un qualsiasi dispositivo medico composto da un reagente, da un prodotto reattivo, da un calibratore, da un materiale di controllo, da un kit, da uno strumento, da un apparecchio, un’attrezzatura o un 36 sistema, utilizzato da solo o in combinazione, destinato dal fabbricante ad essere impiegato in vitro per l’esame di campioni provenienti dal corpo umano, inclusi sangue e tessuti donati, unicamente o principalmente allo scopo di fornire informazioni su uno stato fisiologico o patologico, o su una anomalia congenita, o informazioni che consentono la determinazione della sicurezza e della compatibilità con potenziali soggetti riceventi, o che consentono il controllo delle misure terapeutiche. I contenitori dei campioni sono considerati dispositivi medico-diagnostici in vitro. Per contenitori di campioni si intendono i dispositivi, del tipo sottovuoto o no, specificamente destinati dai fabbricanti a ricevere direttamente il campione proveniente dal copro umano e a conservarlo ai fini di un esame diagnostico in vitro. I prodotti destinati ad usi generici di laboratorio non sono dispositivi medici medico-diagnostici in vitro a meno che, date le loro caratteristiche, siano specificamente destinati dal fabbricante ad esami diagnostici in vitro; 37 • dispositivi medici che non rientrano in alcuna delle suddette famiglie: la definizione di questa categoria generale viene fornita dal d.lgs 24 febbraio 1997, n. 46 che recepisce la direttiva europea 93/42/CE, ed in base al quale i dispositivi medici vengono definiti come “qualsiasi strumento, apparecchio, impianto sostanza o altro prodotto, utilizzato da solo o in combinazione, compreso il software informatico impiegato per il corretto funzionamento, e destinato dal fabbricante ad essere impiegato nell’uomo a scopo di diagnosi, prevenzione, controllo, terapia o attenuazione di una malattia; di diagnosi, controllo, terapia, attenuazione o compensazione di una ferita o di un handicap; di studio, sostituzione o modifica dell’anatomia o di un processo fisiologico; di intervento sul concepimento, il quale prodotto non eserciti l’azione principale, nel o sul corpo umano, cui è destinato, con mezzi farmacologici o immunologici né mediante processo metabolico ma la cui funzione possa essere coadiuvata da tali mezzi”. 38 1.4.2 Tra dimensioni del mercato e spesa assicurativa. Il mercato Europeo dei dispositivi medici rappresenta il 34%7 della spesa totale per dispositivi medici e il 30% del volume di produzione per dispositivi medici. Nel panorama italiano, in termini di spesa totale pubblica e privata per dispositivi medici, viene impiegato il 5,6% della spesa sanitaria totale contro una media europea del 6,3% con un decremento del 0,2% rispetto al 2002. Come evidenziato dal premio Nobel Arrow in un suo fondamentale discorso del 1963, al quale si fa convenzionalmente risalire la nascita dell’Economia Sanitaria, il settore sanitario è caratterizzato dall’incertezza: sul lato della domanda, in quanto non è possibile prevedere quando ci si ammalerà, con quale gravità e con quale impatto economico; sul 7 Fonte Rapporto Ceis Sanità 2008. Tra i Paesi europei la Germania detiene la quota maggiore di spesa sul totale Europa pari al 31,45 e un valore della produzione pari al 34,3%, seguono Francia con una quota di spesa pari al 15,6% e un valore di produzione di circa il 14%, l’Italia con un 11% di quota di spesa e un 12% di valore della produzione pari al 9%. 39 lato dell’offerta, in quanto non è certo neppure l’esito delle terapie. Tuttavia, è noto come il rischio di malattia può ridursi per effetto degli avanzamenti della scienza diagnostica e clinica, ma anche per effetto dei cambiamenti degli stili di vita. In tale contesto, è fondamentale l’importanza sociale e individuale della tutela sanitaria e, in particolare, dell’aspetto assicurativo, in termini di trasferimento del rischio. A tale compito sono deputate le imprese di assicurazione, oppure gli Stati e, in tal caso, si parla di assicurazioni sociali. Ne deriva, come logico corollario, che i sistemi sanitari abbiano, in primo luogo, una funzione di tipo assicurativo quale fattore caratterizzante gli stessi. Sul territorio italiano, la natura universalistica del sistema sanitario nazionale è sufficiente a spiegare la maggior parte della modesta crescita del sistema assicurativo nazionale. In tale contesto la funzione di committenza è, infatti, per lo più, monopolizzata dalle ASUR/ASL, quindi, ancora largamente di natura pubblica. 40 1.5 Competitività e impatto sulla spesa pubblica. Nonostante le politiche sanitarie di contenimento dei costi, i dispositivi medici rappresentano una parte importante dell’industria manifatturiera, che ha registrato forti tassi di crescita anche nei recenti anni di crisi economica. In tempi recenti, il regime regolatorio dei dispositivi medici è stato al centro del dibattito dei decisori pubblici nazionali e internazionali. Nel nostro Paese si sono moltiplicate le iniziative di regolazione di vari aspetti del mercato dei dispositivi, dall’istituzione di strumenti di controllo della commercializzazione dei prodotti fino alla definizione di prezzi da adottare quali basi d’asta per le forniture al SSN. Fino ad ora, la comunità scientifica ha prestato poca attenzione alla valutazione dell’impatto di tali iniziative sulle performance delle imprese operanti nel settore, sebbene quello del cd. “policy impact” sia un approccio frequente nello studio di altri settori, 41 come quello farmaceutico ( v. Virts e Weston, 1980; So e Tang, 2000; Pavcnik, 2002; Sood et al. 2009; Golec e Vernon, 2010). Quanto al ruolo dei processi di ricerca e sviluppo, essi si fondano su un approccio per obiettivi: la ricerca in tale settore è, infatti, strettamente finalizzata in quanto si parte, generalmente, da un problema e, seguendo le idee e le intuizioni dei clinici si cerca di mettere a punto un dispositivo che lo possa risolvere. La fase cd. di sviluppo passa tipicamente per un prototipo/prodotto di prova volto ad essere utilizzato secondo una precisa destinazione d’uso. Ne deriva, dunque, che il sistema si basa sull’esperienza riferita ad un prodotto o una tecnologia esistente, da cui si parte tenendo conto di quanto già si conosce sui limiti e i rischi connessi al suo utilizzo. In definitiva, il settore dei dispositivi medici si può definire, quindi, come un settore di “convergenza”, nel quale si incontrano e si applicano diverse scienze e saperi, ciascuno con il relativo bagaglio di esperienze e di evidenze. 42 PARTE SECONDA L’EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA SUI DISPOSITIVI MEDICI 43 2.1 Le origini della disciplina. L’espressione “dispositivo medico” è stata introdotta di recente nel nostro Paese, in particolare fra gli operatori sanitari, perché mentre da alcuni decenni nel mondo anglosassone si parlava di “medical devices”, la normativa italiana non prevedeva una nozione e una disciplina corrispondenti. In realtà, il legislatore italiano, con la L. 23 giugno 1927, n. 1070, poi trasfusa nel Testo unico delle leggi sanitarie del 1934 (T.U.L.L.S.S. R. D. 27 luglio 1934, n. 1265), aveva percepito la necessità di estendere il controllo delle autorità sanitarie anche a quella parte degli strumenti del medico che non era riconducibile ai medicinali. A tal fine era prevista una “speciale registrazione” presso il Ministero dell’Interno, che allora si occupava anche di sanità, dei “presidi medici e chirurgici”, indicati nel regolamento di esecuzione della stessa legge. 44 Tuttavia, il Legislatore non chiarì in maniera esaustiva quali strumenti fossero ricompresi nella nozione di presidi medici e chirurgici, poiché l’elenco individuato nel regolamento di esecuzione era molto esiguo, in quanto si limitava a comprendere soltanto: 1) pessari; 2) irrigatori, docce, siringhe, insufflatori vaginali; cannule vaginali; 3) disinfettanti e sostanze poste in commercio come battericide e germicide; 4) apparecchi di contenzione di ernie intestinali e di organi addominali. Nel corso dei successivi settanta anni l’autorità sanitaria centrale (il Ministero dell’Interno e, successivamente, l’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica e il Ministero della Sanità, divenuti competenti in materia sanitaria a partire, rispettivamente, dal 1945 e dal 1958) fece più volte ricorso a questa facoltà, senza inquadrarla in un progetto complessivo, ma cercando di rispondere all’esigenza di non lasciare privo di 45 regolamentazione un determinato tipo di prodotti impiegati in campo medico, la cui libera commercializzazione aveva fatto emergere alcuni aspetti di criticità. In seguito, gli anni ’70 sono stati un decennio ricco di innovazioni che hanno profondamente trasformato la sanità: sin da allora, caratterizzata l’evoluzione da dei processi dispositivi di medici innovazione di è stata natura “incrementale”, avvenuti in simbiosi con la pratica clinica, senza soluzione di continuità. Negli anni ‘70, grazie alle scoperte scientifiche nei diversi campi quali: l’ingegneria, l’informatica, la biologia, unite alle sperimentazioni spaziali, l’aeronautica, hanno dimostrato che molti di questi progressi potevano avere un’utile applicazione anche in campo medico. In seguito, si verificò un’esplosione di prodotti e tecnologie sempre più innovativi, che richiedevano, però, l’intervento del legislatore con un’accurata regolamentazione a livello europeo. A partire dagli anni ‘80, invece, il settore è stato regolamentato mediante direttive comunitarie accomunate dallo scopo di 46 rendere chiare e definite le regole per l’immissione in commercio di dispositivi medici all’interno degli Stati membri. E’ in tale decennio che il legislatore nazionale manifesta un serio tentativo di riorganizzazione della materia, con l’adozione del D.P.R. n. 128/1986, recante il regolamento di esecuzione delle norme contenute nel’art. 189 del T.U.LL.SS del 1934. Tale regolamento, tentò di disciplinare i presidi medici e chirurgici dividendoli in tre grandi gruppi ( presidi chimici, dispositivi medici e diagnostici in vitro), che a loro volta erano suddivisi in ulteriori classi. In altri termini, il D.P.R. n. 128/1986 tentò di mantenere il regime autorizzativo in vigore fin dagli anni ’20, conservando, però, l’esigenza di rendere trasparenti le condizioni ed i criteri per il rilascio dell’autorizzazione. Ne deriva, che il mercato dei dispositivi medici è stato sostanzialmente privo di regolamentazione per l’immissione in commercio di prodotti fino al momento della promulgazione delle direttive europee. 47 Fino ad allora, i dispositivi erano, infatti, noti come “presidi medico-chirurgici” e non vi era una reale conoscenza del settore, ad eccezione di quelle pochissime famiglie di prodotti soggette a registrazione da parte del Ministero della Sanità. Per lungo tempo, infatti, le tipologie di dispositivi erano costituite da poche decine di prodotti diversi, sostanzialmente immutati nel tempo. Quanto al versante europeo, fino al 1985 le Istituzioni comunitarie avevano tentando di creare un mercato unico all’interno della Comunità Europea attraverso direttive di armonizzazione delle legislazioni nazionali, volte a prevedere aspetti tecnici dei prodotti ed imporre, conseguentemente, agli Stati membri di abbandonare le loro discipline. Tale sistema, tuttavia, non risultava adeguato perché richiedeva tempi lunghi, in contrasto con i traguardi propri della Comunità. A tal proposito, il Legislatore europeo predispose un corpo di norme in grado di soddisfare diversi obiettivi, come ad esempio: garantire la sicurezza dei prodotti, assicurandone la libera circolazione all’interno dell’Unione Europea; definire regole 48 certe e chiare, senza impedire l’innovazione tecnologica; individuando meccanismi di verifiche e controlli che non ostacolassero l’applicazione pratica dei progressi dell’evoluzione scientifica . 49 2.2. La normativa comunitaria: aspetti critici e peculiarità. La normativa comunitaria in tema di dispositivi medici è piuttosto ampia, a causa dei numerosissimi interventi legislativi che si sono susseguiti negli ultimi anni. È, tuttavia, interessante e necessario prendere spunto da tali interventi per capirne la ratio, nonché l’impatto con i sistemi giuridici nazionali. In primo luogo, la logica alla base degli interventi comunitari8 ha lo scopo di raggiungere un livello minimo di armonizzazione tra gli Stati membri: per raggiungere tale obiettivo le istituzioni europee si sono limitate a fissare dei requisiti essenziali ai quali i prodotti devono conformarsi, riservando ai legislatori nazionali 8 In tal senso anche G. Contaldi “La normativa comunitaria sui dispositivi medici” in Cingolani M., (a cura di) Atti del Congresso Nazionale G.I.S.D.I.- IV giornate di studio 67-8 novembre 2008, Giuffrè Ed., 2011 50 il compito di stabilire previsioni specifiche per ogni singola categoria9. Tale impostazione appartiene al contesto normativo denominato “Nuovo approccio”, adottata a partire dal libro Bianco del 1985: in tale documento la Commissione europea intendeva adottare interventi normativi che permettessero la libera circolazione delle merci, attraverso regole di armonizzazione di base. Lo scopo di tali norme era, appunto di facilitare il reciproco riconoscimento delle legislazioni nazionali evitando ostacoli al riconoscimento delle norme tecniche straniere. Nel vasto panorama legislativo dei dispositivi medici, vi sono tre direttive fondamentali: si tratta, delle direttive 90/385, 93/42 e 98/72. Esse sono state oggetto di numerose revisioni, l’ultima delle quali è avvenuta con la direttiva 2007/47/CE, che modifica la direttiva 90/385/CEE del Consiglio per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai dispositivi medici impiantabili attivi, la direttiva 93/42/CEE del 9 Cfr. Stefanelli S., Rimondini L., Dispositivi Medici e assicurazione di qualità. Masson, Ed. Milano 1999 51 Consiglio concernente i dispositivi medici, e la direttiva 98/8/CE, relativa all’immissione sul mercato dei biocidi. Ad un primo sguardo, le direttive sembrano rivolgersi soprattutto al fabbricante, in quanto esse contengono i requisiti soggettivi dello stesso, nonché le modalità per il confezionamento di un prodotto conforme agli standard comunitari. Si richiede, inoltre, che il fabbricante sia stabilito all’interno di uno Stato membro o, in mancanza, la presenza di un mandatario che si trovi in un paese membro dell’Unione. Sono previsti, inoltre, degli organismi notificati che hanno il compito di ricevere la comunicazione del fabbricante relativa alla produzione di un determinato quantitativo e tipologia di dispositivo medico, che deve risultare conforme sia alle norme armonizzate, sia allo standard qualitativo richiesto (in Italia tali organismi operano sotto il controllo del Ministero della Salute). Da una prima lettura di tali normative, si può agevolmente desumere che il legislatore comunitario ha concesso ampia discrezionalità al fabbricante di dispositivi medici, in quanto vi 52 sono prescrizioni piuttosto generiche, previste per raggiungere obiettivi di qualità e sicurezza di tali prodotti. Tale discrezionalità si desume anche dal fatto che spetta al fabbricante, a seguito della comunicazione agli organismi notificati, il compito di apporre il marchio di conformità, contraddistinto dalla sigla CE. Tale procedura avviene sotto la diretta responsabilità del produttore, tenuto a produrre dispositivi medici rispondenti alle generiche previsioni contenute nelle direttive comunitarie di armonizzazione. Nella specie, la funzione di controllo che svolge l’organismo notificato è di tipo indiretto, poiché si basa principalmente sulla comunicazione effettuata dal produttore. La mancanza di un controllo più incisivo sui processi produttivi trasforma, quindi, l’onere di comunicazione in capo al produttore in una sorta di “presunzione”di conformità ai requisiti essenziali richiesti. Quanto all’immissione nel commercio dei dispositivi medici, vi è una procedura standard gestita a livello centrale da parte degli organi indicati da ciascuno Stato membro: la legislazione comunitaria prevede, infatti, una procedura di salvaguardia 53 all’art. 8 della direttiva 93/42, la quale consente di bloccare la commercializzazione di dispositivi conformi alla procedura per l’apposizione del marchio CE, ma che risultano, nella pratica, dannosi per la salute o per la sicurezza. Si tratta, dunque, di una procedura interstatuale, poiché la competenza per attivare la procedura spetta solo allo Stato membro che, con atto legislativo o amministrativo, stabilisce il ritiro di determinati prodotti dal commercio. Tale procedura può essere attivata autonomamente o, più frequentemente, a seguito di segnalazione ricevuta dagli utilizzatori dei dispositivi. Ad esempio, la normativa italiana prevede l’obbligo a carico dei direttori delle strutture sanitarie di comunicare gli incidenti che si verificano nell’utilizzazione di determinati dispositivi medici, con conseguenti sanzioni penali per eventuali inadempimenti. Alla luce di tali considerazioni si può, dunque, affermare che vi è un approccio “eccessivamente liberale”10, provocato dal 10 cfr. G. Contaldi, “La normativa comunitaria sui dispositivi medici” in Cingolani M., (a cura di) Atti del Congresso Nazionale G.I.S.D.I.- IV giornate di studio 6-7-8 novembre 2008, Giuffrè Ed., 2011 54 particolare contesto normativo sovranazionale, il quale tende a privilegiare l’esercizio di una libertà comunitaria indispensabile per la costruzione del mercato unico, rappresentata dalla libera circolazione delle merci, piuttosto che la protezione degli interessi dei pazienti e degli operatori medici. Una prima conseguenza di tale approccio “liberista” è una compressione degli interessi collettivi, nonché, conseguentemente del cd. diritto alla salute. In secondo luogo la normativa comunitaria sembra ispirata ad una centralizzazione dei meccanismi di controllo, che generalmente si svolgono, in base al principio del mutuo riconoscimento11, nel paese di origine dei prodotti e, soltanto eccezionalmente, nel paese di commercializzazione. Da tale assunto ne deriva che il singolo operatore viene privato della possibilità di far valere autonomamente misure di protezione che, dal punto di vista pratico, provoca l’insorgere di responsabilità per lo stesso per aver utilizzato dispositivi medici dannosi per la salute dei pazienti. 11 Tale principio fu affermato nella storica sentenza della Corte di Giustizia nel caso Cassis de Dijon, 20 febbraio 1979, in Raccolta, 1979, p. 649. 55 Nell’ordinamento italiano, infatti, secondo la giurisprudenza prevalente, la struttura sanitaria può essere chiamata a risarcire i danni provocati dall’impiego di determinati dispositivi medici: può accadere che, anche a seguito della regolare segnalazione dell’evento alle competenti strutture presso il Ministero della Salute, esse non adottino alcuna precauzione in quanto nella prassi la procedura di salvaguardia viene attivata solo a seguito di un certo numero di incidenti o, anche, a causa dell’incapacità di attivare misure precauzionali in tempi brevi. Tale scenario mette, pertanto, in luce una lacuna importante della disciplina in tema di dispositivi medici, come confermato anche da un’importante sentenza della Corte di Giustizia nel caso Medipac-Kazantzidis12. La sentenza in questione ha affermato, più in generale, l’applicabilità dei principi generali di parità di trattamento ed obbligo di trasparenza anche nel caso di appalti sotto soglia comunitaria. Nel caso di specie, un ospedale greco aveva escluso dalla gara di appalto per la fornitura di dispositivi medici una ditta 12 Sentenza 14 giugno 2007, in causa C-6/05, Medipac-Kazantzidis AE c. VenizeleioPananeio (PE.S.Y. Kritis), in Raccolta, 2007, I-4557. 56 produttrice di determinati strumenti, i quali, pur provvisti di regolare marchiatura CE, nell’applicazione pratica sono, di fatto, risultati dannosi per la salute e la sicurezza dei pazienti. Tale provvedimento di esclusione è stato oggetto di ricorso ed il giudice adito ha sollevato una questione pregiudiziale. Ne deriva, dunque, che in base alla normativa comunitaria l’unica possibilità per ostacolare la libera circolazione delle merci recanti la marchiatura CE è di attivare la procedura di salvaguardia; tale compito spetta allo Stato membro e, in caso di inerzia dello stesso, la struttura sanitaria o il singolo operatore non possono autonomamente procedere alla sospensione o alla esclusione di determinati prodotti, confezionati conformemente alla procedura prescritta dalle direttive di armonizzazione. Occorre osservare che limitare la possibilità per un ente sanitario di escludere determinati dispositivi medici, risultati privi di caratteristiche idonee rispetto al loro impiego e condizionarne la sostituzione dei prodotti difettosi all’attivazione della procedura di salvaguardia non tutela efficacemente il diritto alla salute: il diritto comunitario, infatti, 57 non può permettere la lesione di un diritto fondamentale quale quello alla salute . In conclusione, tale normativa, per essere più funzionale alla tutela della salute, necessita di una integrazione consistente nella previsione della possibilità per un soggetto privato di attivare determinati procedimenti, nell’attesa che gli organi di controllo competenti adottino le misure provvisorie. In assenza di tali adattamenti, come sostiene parte della dottrina sul punto, tale normativa presenterebbe una causa di invalidità, rappresentata dalla violazione del diritto alla salute. 58 2.3 Il contesto normativo: tra cd. Nuovo approccio e sistemi di sorveglianza. In primo luogo, occorre osservare che il merito del legislatore europeo è stato di essersi avvalso di esperti, coinvolgendo le figure direttamente interessate: istituzioni, professionisti e industrie. Come accennato nel paragrafo precedente, il corpo di leggi, costituito principalmente da tre direttive, sembra rivolgersi soprattutto ai fabbricanti, in quanto basato sull’assunzione di responsabilità da parte del fabbricante più marcato rispetto a prima. Vi è, infatti, la responsabilità del fabbricante, che deve dichiarare e dimostrare che i prodotti svolgano esattamente la funzione che egli ha indicato e che siano sicuri; la responsabilità dell’utilizzatore, che deve seguire le indicazioni del fabbricante; dell’amministratore della struttura sanitaria, che deve porre in 59 atto tutte le condizioni affinché i dispositivi siano correttamente inseriti nella struttura e adeguatamente mantenuti. Si può, dunque, affermare che tra gli strumenti originali ed innovativi che l’Unione Europea ha concepito per eliminare gli ostacoli alla libera circolazione delle merci, un posto d’onore è riservato al cd. Nuovo approccio alla regolamentazione dei prodotti e conformità: all’approccio entrambi globale riducono alla valutazione all’essenziale della l’intervento pubblico, lasciando all’industria la più ampia scelta possibile circa le modalità per soddisfare gli obblighi pubblici. Il legislatore comunitario, spinto dalla volontà di garantire la massima sicurezza possibile a tutti i potenziali destinatari dei dispositivi medici, ha predisposto un sistema di sicurezza bipartito13. In primo luogo, il legislatore ha previsto un sistema di sorveglianza preventivo, operante ex ante, partendo dall’assunto secondo il quale tutti i dispositivi medici sono prodotti di 13 Si veda, sul punto, anche: Dell'Erba A., Di Luca Natale M., Frati P., Montanari Vergallo G., La responsabilità civile per i danni causati dai dispositivi medici, in Zacchia, 2010, III, pagg. 325-350. 60 estrema rilevanza ai fini della tutela della salute pubblica e che, quindi, richiedono un accurato controllo preventivo: esso deve avvenire nella fase della produzione, in stretta collaborazione con le autorità amministrative e i privati, al fine di evitare che il danno si produca. In tale contesto di tutela preventiva, la normazione tecnica elaborata da soggetti dotati di particolare competenza (imprenditori, organi pubblici e associazioni di consumatori) svolge un ruolo importante, in quanto rappresenta la cd. normazione di dettaglio, a completamento della genericità dei requisiti fissati dal legislatore comunitario. Ne consegue che tale strumento permette di predisporre una disciplina analitica delle metodologie di produzione e delle caratteristiche richieste ad un prodotto per garantirne qualità e sicurezza, prima dell’immissione in commercio. Il Legislatore europeo, a conferma di quanto detto, non ha specificato le soluzioni tecnologiche che i fabbricanti devono adottare, sia per non ostacolare il progresso tecnologico, sia per garantire l’innovatività dei prodotti immessi nel mercato, 61 In secondo luogo, il cd. Nuovo approccio, prevede una tutela ex post corredata, oltre che da sanzioni amministrative e penali (che verranno approfondite nei capitoli seguenti), dalle norme in materia di responsabilità, sia di stampo codicistico che extracodicistico, che permettono ad un soggetto danneggiato da un dispositivo medico di ricorrere all’autorità giudiziaria per ottenere il risarcimento del danno patito. Occorre, tuttavia, ricordare che, affinché un sistema di controlli, orientato al duplice scopo di ridurre al minimo le situazioni pericolose, ma anche di contenere i danni nel caso si verifichino sia efficace, è di fondamentale importanza un’analisi dei rischi: essa deve essere in grado di far emergere le precauzioni necessarie nelle fasi di progettazione, fabbricazione e controllo dei dispositivi, per garantire le prestazioni attese, coniugando la sicurezza per una tutela adeguata della salute con il grado di difettosità richiesta. Le Direttive, dunque, oltre a definire i requisiti essenziali che i dispositivi devono soddisfare prima di essere immessi nel mercato, contestualmente, richiedono una valutazione dei 62 rischi, attraverso un processo di gestione del rischio ed un’analisi rischi-benefici. Prima del cd. Nuovo approccio si tendeva a valutare la pericolosità e, di conseguenza, la necessità di sottoposizione a controllo in un momento successivo all’immissione in commercio; con l’entrata in vigore della nuova normativa vi è una presunzione di pericolosità potenziale dei dispositivi e, di conseguenza, si impone un controllo preventivo che eviti o almeno limiti gli eventuali danni che tali prodotti possono causare. Ciò implica un concetto di “rischio associato cd. accettabile”, da considerare in rapporto con i benefici alla salute del paziente, quale condizione in grado di giustificarne l’utilità dell’introduzione nel mercato. Il D. Lgs. 46/1997, che recepisce la direttiva 93/42/CEE, inoltre, prevede un’attività di vigilanza (art. 17) da parte del Ministero della Salute attraverso verifiche e controlli da parte di organismi tecnici dello Stato o laboratori specializzati presso il produttore. 63 Ciò significa, dunque, che la normativa comunitaria e nazionale richiedono al fabbricante l’obbligo di apporre la marcatura CE, a seguito dell’esito positivo della valutazione di conformità del dispositivo (ex art. 11), procedura il cui grado di complessità varia in base alla classe di appartenenza del dispositivo14. Nell’ordinamento italiano, inoltre, la normativa comunitaria deve essere integrata con la previsione di cui all’art. 57 della L. n. 289/2002, che concerne le “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato ( legge finanziaria 2003) che ha istituito la Commissione unica sui dispositivi medici (CUD), organo consultivo tecnico del Ministero della Salute. Tuttavia, occorre ribadire che la normativa speciale, non prevede regole per quanto riguarda la responsabilità civile, ma soltanto sanzioni di carattere amministrativo e penale. E’ necessario, inoltre, specificare la differenza che intercorre tra 14 In tal senso cfr. Dell'Erba A., Di Luca Natale M., Frati P., Montanari Vergallo G., La responsabilità civile per i danni causati dai dispositivi medici, in Zacchia, 2010, III, pagg. 325-350;si veda anche Frigato G., Sistemi di qualità e marcatura CE nei dispositivi medici, Di Renzo Ed., Roma, 1996. 64 il ritiro del mercato di un prodotto sulla base della clausola di salvaguardia prevista dall’art. 7 D. Lgs. 46/1997, e il ritiro come sanzione del fabbricante che pone in commercio un dispositivo non conforme alle prescrizioni legislative: nel primo caso, il ritiro svolge direttamente una funzione di tutela della salute pubblica, mentre nel secondo caso, il ritiro è volto a sanzionare la marcatura apposta indebitamente . In conclusione si può affermare che la disciplina giuridica riguardante i dispositivi medici si trova ancora in una fase cd. di assestamento: vista la crescente rilevanza di tali prodotti, sia dal punto di vista sanitario, sia da quello dei costi sopportati dai sistemi sanitari pubblici, diventa di fondamentale importanza la diffusione della conoscenza della normativa in tutti gli ambienti sanitari, soprattutto per creare un forte fattore di crescita, in termini di comportamenti consapevoli e responsabili. 65 PARTE TERZA LA RISPOSTA DELLA SCIENZA GIURIDICA PROFILI DI RESPONSABILITÀ 66 3.1 Le peculiarità della disciplina riguardante la responsabilità civile del produttore La disciplina attinente la responsabilità del produttore, originariamente dettata dal D.P.R. 24 maggio 1998, n. 224 è confluita quasi integralmente nel Titolo II della Parte IV del Codice del Consumo (artt. 114-127), varato con il d. lgs. n. 206/2005. Tale normativa ha, in primo luogo, dettato una disciplina di tutela del consumatore per i danni derivanti da prodotti difettosi che si aggiunge alle disposizioni generali di diritto comune in tema di responsabilità civile. L’introduzione di tale forma di responsabilità, connessa all’immissione in commercio di prodotti difettosi, è avvenuta in concomitanza con la cd. “scoperta del consumatore”, cioè con la nuova esigenza, sorta a seguito del progresso tecnologico ed alla 67 produzione in serie, di garantire una protezione simile al modello americano di “strict liability”.15 Tuttavia, parte della dottrina, ritiene si tratti di una disciplina settoriale che non rende omogeneo il settore della responsabilità da attività d’impresa, già interessato da un intenso lavoro di ricerca da parte di dottrina e giurisprudenza intenzionate a dimostrare che il fatto illecito collegato ad una attività imprenditoriale, pur non avendo norme puntuali, presenta aspetti di specificità che rilevano come criteri di interpretazione per la valutazione della diligenza, della colpa e del giudizio di ingiustizia ai sensi dell’art. 2043 c.c. Nonostante la giurisprudenza sia rigidamente legata ai principi generali in materia di responsabilità extracontrattuale, la dottrina ha sottolineato l’esigenza di regole più rigorose a carico dell’imprenditore poiché il moltiplicarsi delle occasioni di danno, derivanti dall’intensificarsi dei traffici economici e dalla sempre maggiore pericolosità delle attività imprenditoriali, ha evidenziato l’inidoneità della fattispecie generale di 15 Cfr. Alpa G., Responsabilità d’impresa e tutela del consumatore, Milano, 1985, p.461; inoltre, si veda anche Chinè G., Zoppini A., Manuale di diritto civile, Neldiritto, 2011 68 responsabilità aquiliana ex art. 2043 a tutelare adeguatamente il soggetto danneggiato, tenuto secondo i principi generali, a fornire la prova a volte impossibile della negligenza del comportamento dell’imprenditore. Di conseguenza, la qualità di imprenditore/produttore richiede uno standard di diligenza qualificato, derivante dalla disposizione generale di cui al comma 2 dell’art. 1176 c.c. . In tal caso, quindi, la colpa va valutata, in base all’art. 2043, secondo il particolare livello di diligenza che l’ordinamento esige da un soggetto che svolge un’attività professionale, specialmente se si tratta di una attività caratterizzata da profili di pericolosità. Pertanto, la particolare connotazione della responsabilità del produttore ruota attorno allo standard rafforzato di diligenza. Un ulteriore profilo di specificità della responsabilità del produttore riguarda il cd. giudizio di ingiustizia, il quale pone l’attenzione sullo status professionale e, soprattutto, sul fine lucrativo economico del produttore. Tale criterio comporta un giudizio comparativo-sintetico tra il comportamento del 69 danneggiato e del danneggiante sia svolto tenendo conto che quest’ultimo ha tenuto un comportamento colpevole per un fine patrimoniale, legato allo svolgimento di un’attività economica, in danno di un soggetto che patisce le conseguenze dell’interferenza altrui senza trarre nessun vantaggio o mirare ad esso. La giurisprudenza ha, inoltre, enucleato un ulteriore profilo di specificità della responsabilità del produttore, ovvero il cd. giudizio di causalità speciale: si tratta di un sistema rigidamente orientato a determinare il rapporto di derivazione eziologica tra il comportamento dell’imprenditore ed il danno, attraverso un giudizio probabilistico o meramente possibilistico, che richiede una prova liberatoria per l’individuazione del diverso evento produttivo del danno e conseguente inversione dell’onere della prova a sfavore della posizione dell’imprenditore. Quanto alla prova liberatoria va sottolineato che l’analiticità della disciplina sul punto rende secondario il problema della natura della responsabilità del produttore, poiché al consumatore è addossata la prova del danno, del difetto e del nesso di 70 causalità tra difetto e danno, non dovendo, invece dimostrare l’addebitabilità dell’incidente a colpa specifica del produttore; a quest’ultimo è, infatti, consentito di liberarsi da tale presunzione deducendo una delle prove liberatorie stabilite dall’art. 118. In particolare, dall’analisi del repertorio giurisprudenziale riguardante la prova che incombe sul danneggiato, emerge che nella maggior parte dei casi la causalità è stata interpretata in senso favorevole al consumatore. Tuttavia, occorre evidenziare che per il produttore non esiste una disciplina unitaria speciale, ma dei criteri intransigenti di interpretazione e di applicazione della regola generale di cui all’art. 2043 c.c., che devono tener conto della peculiare qualifica professionale. Si tratta, in conclusione, nonostante la regola generale dettata dall’art. 2043, di una disciplina particolarmente severa, in primo luogo per il livello di diligenza richiesta; in secondo luogo, in relazione al rigoroso giudizio di ingiustizia ed, infine, a causa del giudizio di causalità meno garantista rispetto a quanto previsto dalla regola generale. 71 Quanto alla natura giuridica della responsabilità, essa rappresenta una delle questioni più dibattute in dottrina, nonostante la direttiva la definisca espressamente come responsabilità indipendente da colpa. Più precisamente, i dubbi interpretativi sono sorti con riferimento alle cause di esclusione della responsabilità previste dall’art. 118 del Codice del consumo (già art. 6), basate sul criterio della mancanza di colpa. L’art. 117, comma 3 fa riferimento al difetto di produzione che consente l’imputazione della responsabilità al produttore per la semplice difformità dell’esemplare rispetto alla serie cui appartiene; l’art. 118, invece, specifica le ipotesi di esclusione della responsabilità ai sensi del particolare regime cui appartiene la norma. Secondo parte della dottrina il regime di responsabilità derivante da tali disposizioni è di natura sostanzialmente oggettiva16, nonostante il decreto rinunci a punire alcune ipotesi di causazione di eventi dannosi che potrebbero essere ricondotti solo a colpa del produttore. 16 In tal senso anche Caringella F., Dimatteo D., Lezioni e sentenze di diritto civile 2011, Dike, Roma, 2011 72 Ciò significa, in altri termini, che il codice del consumo prevede ipotesi di responsabilità oggettiva, mentre esclude la responsabilità per alcune fattispecie che, in assenza di specifica indicazione legislativa sarebbero potute ricadere nell’alveo dello stesso in modo presuntivo, esonerando il produttore dalla prova dei fatti idonei ad escludere la propria responsabilità, con conseguente rinvio al codice civile e agli strumenti preesistenti alla direttiva comunitaria ai fini di un’eventuale imputazione per colpa. Alla luce di tali considerazioni, ne deriva che se il vizio dipende dallo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche, dalla norma imperativa o dal provvedimento vincolante o dalla conformità della materia prima alle istruzioni date dal produttore che l’ha utilizzata, quest’ultimo per liberarsi da responsabilità dovrà dimostrare l’inesistenza del difetto sulla base di dati oggettivi, ovvero da quanto ricavabile dalle norme giuridiche e scientifiche in vigore al momento della messa in circolazione o dalle istruzioni date dal produttore che ha utilizzato la materia prima. 73 Tuttavia, è necessario evidenziare che la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha più volte puntualizzato che la normativa comunitaria non è di ostacolo alla creazione, attraverso la legislazione nazionale, di ulteriori forme di responsabilità rispetto a quelle previste a carico del produttore dalla direttiva in commento, purché siano basate su elementi diversi dalla responsabilità oggettiva. 74 3.2. La responsabilità civile del produttore per danni causati dai dispositivi medici Per quanto concerne più precisamente la responsabilità civile del produttore di dispositivi medici, intercorre una responsabilità contrattuale, disciplinata dalle norme del codice civile, tra produttore e acquirente, mentre tra produttore e soggetto terzo che subisce un danno dall’uso del prodotto può configurarsi una responsabilità extra contrattuale, per violazione del più generale principio del “naeminem laedere”. Occorre sottolineare che, nonostante vi sia un controllo preventivo, esso non riesce ad arginare tutti i rischi di errore umano: proprio per tale motivo, compito della responsabilità civile è di coprire tali spazi per non lasciare privo di tutela il consumatore, rappresentando, dunque, uno strumento di tutela operante quando un soggetto ritiene di essere stato danneggiato da un dispositivo medico. 75 Si tratta, quindi di un sistema di tutela ex post che l’ordinamento ha affidato all’autorità giudiziaria. Occorre far riferimento, in particolare alla direttiva CEE n. 85/374 del 25 luglio 1985, recepita in Italia dal D.P.R. 24 maggio 1988, n. 224, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi. Tale normativa, tuttavia, come sostenuto da autorevole dottrina17, appare ampiamente derogatoria rispetto alle regole generali stabilite dall’illecito aquiliano. Successivamente, di conseguenza, essa è stata abrogata e sostituita dal D. Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (v. codice del consumo artt. 114-129), in base al quale, ex art. 114, “il produttore è responsabile del danno cagionato dai difetti del suo prodotto”: attraverso tale normazione si è, così, configurata un’ipotesi di responsabilità oggettiva all’interno dell’illecito extracontrattuale, che non ha nessun collegamento con il 17 Dell'Erba A., Di Luca Natale M., Frati P., Montanari Vergallo G., La responsabilità civile per i danni causati dai dispositivi medici, in Zacchia, 2010, III, pagg. 325-350. 76 rapporto tra produttore e consumatore: per poter affermare la responsabilità del produttore è, infatti, sufficiente la sussistenza di un rapporto di causalità tra il prodotto difettoso e l’evento dannoso. Più precisamente, ad un’attenta lettura dell’art. 8 del sopraccitato D.P.R., secondo il quale “il danneggiato deve provare il danno, il difetto e la connessione causale fra difetto e danno”, si comprende che la responsabilità che grava sul produttore per i danni da difetti di fabbricazione prescinde dalla prova della colpa. Dalla lettura della norma si può, inoltre, desumere che la nozione di difetto acquista un ruolo centrale rispetto al meccanismo dell’imputazione della responsabilità civile da prodotto. La logica alla base dell’art. 5 D.P.R. 224/1988, già art. 117 codice del consumo, infatti, affida importanza ai cosiddetti “warning defects”, ovvero i difetti di informazione, dovuti alla carenza di adeguate conoscenze date al consumatore: in altre termini, essa si basa sulla convinzione che una completa 77 informazione può neutralizzare una serie di pericoli intrinseci collegati al prodotto e alle sue modalità d’uso. Tuttavia, possono sussistere altri vizi, quali ad esempio: vizi di costruzione, vizi di progettazione, vizi di sviluppo. L’art. 118 del Codice del consumo, ad esempio, elenca le ipotesi in cui viene esclusa la responsabilità oggettiva del produttore, ovvero: • secondo la lettera a) dello stesso articolo, se il produttore non ha messo il prodotto in circolazione, ipotesi che si verifica quando si tratta di prodotti rubati e immessi nel commercio illegalmente; • secondo la lettera b) se, tenuto conto delle circostanze, il difetto che ha cagionato il danno non esisteva quando il produttore ha messo il prodotto in circolazione e si tratta, quindi, di un difetto emerso in una fase successiva, per il cattivo uso da parte dell’utilizzatore o avvenuto durante il trasporto; • secondo la lettera c) quando il produttore non ha fabbricato il prodotto per la vendita o per qualsiasi altra 78 forma di distribuzione a titolo oneroso, ne’ lo ha fabbricato o distribuito nell’esercizio della sua attività professionale; • secondo la lettera d), quando il difetto e’ dovuto alla conformità del prodotto a una norma giuridica imperativa o a un provvedimento vincolante; • secondo la lettera e), quando lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche, al momento in cui il produttore ha messo in circolazione il prodotto, non permetteva ancora di considerare il prodotto come difettoso; • secondo la lettera f), se il difetto e’ interamente dovuto alla concezione del prodotto in cui e’ stata incorporata la parte o materia prima o alla conformità di questa alle istruzioni date dal produttore che la ha utilizzata, nel caso del produttore o fornitore di una parte componente o di una materia prima . Dal combinato disposto dagli artt. 118 e 120, n. 2 Codice del consumo, emerge, inoltre, che spetta allo stesso produttore fornire la prova del verificarsi di una di tali ipotesi. 79 L’attuale ordinamento prevede, inoltre, secondo la dottrina, un meccanismo di protezione del danneggiato che lo tuteli nei confronti di chi, pur autorizzato ad esercitare un’attività nel proprio interesse, tenti di trincerarsi dietro comode scappatoie nel caso in cui da tali attività derivino conseguenze pregiudizievoli per i terzi 18. Tale meccanismo di tutela consiste nell’agevolazione per il danneggiato, il quale può agire nei confronti dei soggetti concorrono alla produzione con la garanzia della solidarietà dettata dall’art. 2055 C.C. . Da tali osservazioni emerge, dunque, che se il danneggiato adempie all’onere probatorio relativo al profilo oggettivo della fattispecie, il produttore, a sua volta, a meno che non fornisca la prova di una delle circostanze di esclusione della responsabilità oggettiva previste dall’art. 118 Codice del consumo, deve 18 Cfr. in tal senso Dell'Erba A., Di Luca Natale M., Frati P., Montanari Vergallo G., La responsabilità civile per i danni causati dai dispositivi medici, in Zacchia, 2010, III, pagg. 325-350; ed anche Bilancetti M., La responsabilità penale e civile del medico, Cedam, Padova, 2001. 80 risarcire il danno provocato dal prodotto difettoso (di conseguenza, il difetto coincide con l’evento dannoso). Si può, inoltre, affermare che tale normativa ha proposto una valutazione per l’esonero della responsabilità civile del produttore di tipo scientifico - sostanziale, anziché legislativoformale. Tale inversione di tendenza ha determinato un cambiamento radicale dei principi e delle regole generali in materia di responsabilità civile del produttore: a conferma di tale assunto vi è, in primo luogo, la previsione di un profilo di responsabilità che prescinde dall’accertamento del dolo e della colpa e, in secondo luogo, la relativa responsabilità all’immissione in commercio di prodotti difettosi provoca, dal punto di vista giuridico, un aumento della soglia di responsabilità del produttore; mentre, dal punto di vista strettamente processuale, rende più agevole un’eventuale azione di risarcimento per danni. Ne consegue, dunque, in base a tale approccio, che il produttore sarà considerato responsabile se le conoscenze scientifiche al momento dell’immissione in commercio erano tali da 81 permettere una maggiore sicurezza del prodotto: in tale ipotesi, il produttore potrà difendersi solo dimostrando di aver rispettato i contenuti delle più recenti scoperte scientifiche, a prescindere da quanto dispone la legislazione vigente. 82 3.3 La responsabilità delle strutture sanitarie. Il rapporto fra paziente e struttura sanitaria trova fondamento in un contratto autonomo ed atipico, definito come contratto di spedalità o contratto di assistenza sanitaria. Nell’ambito del cd. contratto di spedalità dell'obbligazione assunta dalla struttura sanitaria l’oggetto non è costituito soltanto dalla prestazione medica dei propri dipendenti, ma da una più complessa prestazione, definita come "assistenza sanitaria", oggetto di un contratto atipico, inquadrabile nella categoria della locatio operis. A carico della struttura sanitaria gravano, infatti, anche prestazioni di tipo organizzativo, connesse all'assistenza postoperatoria, alla sicurezza delle attrezzature, dei macchinari, alla vigilanza ed alla custodia dei pazienti, oltre a prestazioni più propriamente riconducibili al contratto d'albergo . Con specifico riferimento all’ambiente ospedaliero, la struttura sanitaria deve garantire, ad esempio, il corretto funzionamento 83 delle apparecchiature, la sterilità degli strumenti e della sala operatoria . Si tratta di una questione di importanza centrale, dal quale sorgono differenti problematiche. Tra i più frequenti incidenti per cause organizzative, infatti, si possono menzionare il mancato funzionamento delle apparecchiature tecniche, principalmente per carenza di manutenzione e l’inadeguata sterilizzazione degli strumenti medici. L’evoluzione tecnologica ha incrementato l’impiego in ambito medico di sofisticati dispositivi che da un lato hanno rappresentato una grande opportunità per migliorare l’assistenza sanitaria e consentire livelli di salute fino ad un decennio fa impensabili19, ma dall’altro richiedono un adeguato controllo ed un’attenta manutenzione. Un difetto di manutenzione può, infatti, essere causa del cattivo funzionamento dello strumento: in tal caso la responsabilità della struttura sanitaria è di tipo contrattuale, per responsabilità 19 Cfr. Cavallo M.C., Le tecnologie sanitarie e il loro ruolo nella tutela della salute: i dispositivi medici in una prospettiva europea, Egea, Milano, 2008 84 della cosa in custodia ex art. 2051 c.c., essendo, il danno subito dal paziente, causato da un’omissione dell’ente ospedaliero che ha in dotazione il dispositivo medico. Il ricorso all’art. 2051 c.c. permette al danneggiato di dimostrare il nesso di causa tra la cosa in custodia e il danno subito. Ciò significa, dunque, che lo stesso può invocare, nel caso di infezione nosocomiale o di contagio derivante da strumenti chirurgici invasivi (quali ad esempio colonscopia, gastroscopia, endoscopia), oltre alla responsabilità contrattuale della struttura, la responsabilità ex art. 2051 c.c. . Generalmente, in tali casi il nesso causale si dimostra in via presuntiva, attraverso elementi quali: l’assenza di infezione precedente al ricovero e la comparsa della stessa in un momento successivo, in un lasso di tempo compatibile con il tipo di intervento, esame invasivo o microrganismo infettante con il trattamento sanitario20. 20 In tal senso anche Dell'Erba A., Di Luca Natale M., Frati P., Montanari Vergallo G., La responsabilità civile per i danni causati dai dispositivi medici, in Zacchia, 2010, III, pagg. 325-350; ed anche Bilancetti M., La responsabilità penale e civile del medico, Cedam, Padova, 2001. 85 In tali ipotesi, di conseguenza, la struttura sanitaria per non incorrere in responsabilità dovrà fornire la prova liberatoria che dimostri il caso fortuito, ovvero un evento estraneo alla sua sfera di custodia, con impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità. Inoltre, come rilevato dalla Suprema Corte, « nell’eventualità della persistenza dell’incertezza sull’individuazione della concreta causa del danno, rimane a carico del custode il fatto ignoto, in quanto non idoneo ad eliminare il dubbio in ordine allo svolgimento eziologico dell’accadimento »21 . Nonostante le ampie prospettive di tutela offerte dall’art. 2051 c.c., i casi di responsabilità da cose in custodia per malfunzionamento di apparecchiature mediche sottoposti alla giurisprudenza sono stati piuttosto esigui. La giurisprudenza di legittimità sul punto è, infatti, piuttosto datata: la Corte di Cassazione, alla fine degli anni ’70, ha affermato la responsabilità ex art. 2051 c.c. di un ente pubblico di assistenza per il danno cagionato ad un medico analista dallo 21 Cass. sez. III, 2 febbraio 2006, n. 2284, Il Foro Italiano, Zanichelli. 86 scoppio di una bottiglia contenente acido solforico, collocata su di un bancone. Ha osservato la Suprema Corte che la qualità di custode deve essere attribuita all’ente e alla sua organizzazione, cui compete ogni potere direzionale e di conservazione delle attrezzature diagnostiche e terapeutiche, diversamente da quanto avviene per i singoli medici che utilizzano tali strumenti episodicamente22. Quanto a difetti originari dei dispositivi medici, le apparecchiature sanitarie sono prodotti industriali il cui utilizzo è disciplinato dal D. Lgs. n. 206/2005. In tal caso, quindi, il produttore sarà chiamato a rispondere, direttamente o in rivalsa, dei danni cagionati dall’apparecchio guasto o difettoso secondo 22 Cass. sez. III, 21 novembre 1978, n. 5418, La Legge plus DVD, Ipsoa « Non sono sufficienti ad integrare la custodia della cosa ai fini della responsabilità del danno da essa cagionato, a norma dell’art. 2051 c.c., la quale deve consistere in una relazione di fatto con la cosa, esercitata continuativamente in un certo periodo, il possesso temporaneo, la mera detenzione o l’uso sporadico della cosa stessa nell’ambito di più ampi poteri organizzativi e direzionali spettanti ad altri, giacché tale relazione, limitata nell’intensità dei poteri e nel tempo del loro esercizio, non è idoneo a realizzare le attività anche plurime e complesse, dalla cui presunta omissione può solo scaturire la responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. (nella specie la Suprema Corte ha ritenuto correttamente applicato il principio della sentenza di merito che ha affermato la responsabilità dell’Inam per il danno cagionato ad un medico analista dallo scoppio di una bottiglia contenente acido solforico, collocata su di un bancone, in considerazione della complessa organizzazione amministrativa e sanitaria dell’ente, cui è riferibile la direzione, la scelta, l’approvvigionamento e la conservazione delle attrezzature diagnostiche e terapeutiche, e della detenzione temporanea e dell’uso sporadico di essa da parte del personale sanitario». 87 le regole della responsabilità oggettiva previste da tale normativa. Secondo tale orientamento, ormai superato, si escludeva, dunque, la responsabilità del singolo professionista. Tuttavia, attualmente, dal combinato disposto degli artt. 10, comma 1 e 23, comma 1, D.Lgs. n. 46/1997, emerge che l’omissione di comunicazioni rappresenta una contravvenzione, essendo sanzionata con arresto e ammenda: i legali rappresentanti delle strutture sanitarie pubbliche e private, nonché gli operatori sanitari pubblici e privati, infatti, nell’esercizio delle proprie attività sono tenuti a comunicare immediatamente al Ministero della Sanità, direttamente o tramite la struttura sanitaria di appartenenza, qualsiasi alterazione delle caratteristiche e delle prestazioni di un dispositivo o inadeguatezza nelle istruzioni per l’uso da cui potrebbe derivare il decesso o il grave peggioramento delle condizioni di salute di un paziente, di un operatore o il non corretto impiego del dispositivo. Sono soggetti, invece, alla sanzione amministrativa in base al combinato disposto degli artt. 88 9, comma 1, e 23, comma 4, D. Lgs. n. 46/1997, gli operatori sanitari che violano l’obbligo di comunicare al Ministero della Salute i dati relativi agli incidenti che hanno coinvolto un dispositivo appartenente alla classi descritte dalla normativa. Da tale sistema così descritto, emerge, dunque, che sussiste in capo agli operatori sanitari una posizione di garanzia, connessa alla rilevanza costituzionale del diritto alla salute del paziente, nonché, un generale obbligo di arginare i fattori di rischio di danno. Tale posizione di garanzia si esplica anche attraverso gli obblighi di segnalazione e vigilanza circa l’efficienza e la non pericolosità del dispositivo: può rinvenirsi, pertanto, una condotta colposa a carico del professionista che non è in grado di accorgersi della scarsa idoneità del dispositivo, o di colpa cosciente se emerge che il sanitario ha agito nonostante la consapevolezza del maggio rischio legato all’impiego di un dispositivo, ad esempio non idoneo o usurato. 89 3.3.1 L’attività contrattuale delle aziende sanitarie. Per il raggiungimento dei propri fini, su ogni azienda incombe il dovere di provvedere all’approvvigionamento di beni o servizi da immettere nel proprio processo produttivo. Nel caso di aziende private o persone fisiche, non vi sono particolari procedure da rispettare nell’acquisizione dei servizi, mentre gli enti pubblici hanno l’obbligo di rispettare i principi di trasparenza e imparzialità della P.A. . Le aziende pubbliche possono gestire le risorse finanziarie attraverso diverse modalità, tra le quali quella gestita tramite contratto rappresenta un ruolo predominante nella gestione degli acquisti. La problematica principale che si registra sul territorio nazionale riguarda la sostanziale differenza di prezzo di aggiudicazione da un’azienda sanitaria all’altra: da un lato, legittima a causa dell’eterogeneità del numero di lotti e prodotti acquistati; dall’altro lato difficilmente giustificabile al punto di consentire 90 che prodotti della stessa natura vengano aggiudicati a prezzi variabili con percentuali superiori al 100%. Occorre, tuttavia, specificare che alcune aziende sanitarie non ricorrono a gare d’appalto ad esempio perché la scelta del prodotto in farmacia è libera e totalmente gratuita, oppure perché la preparazione degli alimenti è effettuata ad opera del servizio farmaceutico interno all’azienda sanitaria locale. 91 3.4 Danni da dispositivi medici. Un’ ulteriore conseguenza legata allo sviluppo della tecnologia e, in senso lato, al problema della cd. modernità, è rappresentato dai danni da prodotto. Negli ultimi anni si sono registrati eventi di danno causati da prodotti o dispositivi medici la cui disfunzione è stata addebitata non solo alla ditta produttrice, obbligata dal legislatore ad immettere sul mercato prodotti sicuri, bensì anche ai sanitari, talvolta anche accusati di truffa per attività di comparaggio, cioè per l’utilizzo dei prodotti a seguito di accordi illeciti con le ditte produttrici. La giurisprudenza in materia di danno da dispositivo medico è piuttosto esigua ma allo stesso tempo rigorosa nel richiedere la massima attenzione da parte del produttore, il quale ha il dovere di essere aggiornato e di sottoporre il prodotto a tutti i più sofisticati controlli al fine di garantire la sicurezza dei prodotti immessi nel mercato e, conseguentemente, è tenuto a ritirare dal 92 mercato il prodotto che non presenta adeguati margini di sicurezza. È utile concentrare tale indagine sull’analisi della tipologia dei difetti del prodotto, poiché si può distinguere tra : • difetti di costruzione • difetti di fabbricazione • difetti da informazione • difetti da rischio di sviluppo23 Per quanto concerne i difetti di costruzione, essi incidono sull’intera serie prodotta e possono dipendere da errata progettazione e scelta dei materiali o delle tecniche di produzione ovvero da insufficiente sperimentazione o confezionamento. Tale tipologia di difetti ha una notevole potenzialità lesiva se considerata alla luce della cd. “intrinseca capacità di proliferazione del danno”. 23 Piergallini C., Danno da prodotto e responsabilità penale. Profili dommatici e politicocriminali, Milano, 2004, p. 236. 93 Quanto ai difetti di fabbricazione in senso stretto, essi possono colpire uno o più elementi della serie, mentre il resto rimane immune da vizi. Essi sono causati, generalmente, dai difetti tipici dei moderni sistemi produttivi, cioè dall’errore di una macchina o dall’errore umano dell’operatore. Tuttavia, essi rappresentano un rischio prevedibile, poiché la loro presenza è statisticamente calcolabile. Diversamente, i difetti di informazione consistono nel mettere in circolazione un prodotto senza le istruzioni necessarie relative alle modalità di impiego. Il dovere di informazione può, infatti, svolgere una funzione preventiva del rischio, fronteggiando un difetto di costruzione del prodotto, impedendone il rifacimento o la sua eliminazione dal mercato. I difetti da rischio di sviluppo non sono, invece, riconoscibili in base allo stato della scienza e della tecnica e i danni che ne derivano sono, di conseguenza, inevitabili ed imprevedibili. Tale tipologia di difetti ha molti punti in comune con i vizi di costruzione legati alle modalità di manifestazione dell’evento dannoso. 94 3.4.1. Il caso delle valvole cardiache. Di notevole interesse medico-legale è stato il caso della applicazione di valvole cardiache difettose impiantate a numerosi pazienti affetti da vizi valvolari. La Suprema Corte, con sentenza 15002/11 ha condannato i fabbricanti brasiliani delle valvole meccaniche in relazione alle lesioni colpose su tre pazienti che hanno subito l'espianto delle valvole difettose. Durante il processo è emerso infatti che le valvole, benché ben progettate, sono state realizzate con materiali di scarsa qualità, e non rispondenti alle caratteristiche dettate dalla direttiva 93/42/CE. Più precisamente, oltre all’impiego di carbonio di scarsa qualità chimico-fisica e di silicone non idoneo all'utilizzo, si sono registrate varie omissioni nei controlli di qualità dei dispositivi medicali e nell'analisi dei rischi derivanti dal rigurgito valvolare. In primo grado, il Tribunale di Torino ha ritenuto provato il nesso causale tra l'impianto delle protesi e le patologie 95 riscontrate sui pazienti sui quali erano state impiantate, ritenendo i fabbricanti responsabili sia dei decessi che delle lesioni riportate dai pazienti. La Corte d'Appello, pur ritenendo corretta l'impostazione del giudice di primo grado nell'individuazione del nesso causale, ne ha riformato la sentenza attribuendo rilevanza penale alla condotta degli imputati solo con riferimento alle lesioni gravi. Correttamente entrambi i giudicanti hanno sottolineato come l'accertamento del nesso causale prescinde, proprio in forza del regime probatorio della causalità commissiva, dalla prova che, con l'uso di un dispositivo realizzato da altro fabbricante, l'evento non si sarebbe realizzato. Il divieto trasgredito in questo commercializzato le protesi caso è quello di aver valvolari fabbricate senza l'osservanza delle regole imposte dalla legislazione comunitaria circa il possesso degli standard di sicurezza. È la commercializzazione che ha reso concreto il rischio per la salute pubblica. 96 Da qui non solo la sussistenza del nesso tra la condotta dell'agente e l'evento ma anche la c.d. causalità della colpa, rispetto alla quale assumono un ruolo fondante la prevedibilità e l'evitabilità del fatto. 97 3.4.2 Il caso delle protesi mammarie. Di notevole interesse, sia dal punto di vista medico-legale che mediatico sono stati i casi di contenzioso giudiziario a seguito di applicazione di protesi mammarie al silicone. Le prime protesi furono impiantate nel 1963 e, attualmente, si calcola che circa 2 milioni di donne soltanto negli USA si siano sottoposte a tale intervento. Una delle sentenze americane più importanti ha dichiarato l’industria colpevole di negligenza nella sperimentazione delle protesi per reticenza sui rischi dell’impianto. La capsula, infatti, si può rompere per motivi diversi, come ad esempio un incidente d’auto o un trauma meccanico; tuttavia, può verificarsi anche l’ipotesi di rottura dell’involucro esterno, il quale può deteriorarsi nel tempo e, nei casi più gravi, disgregarsi lentamente. Tale processo di invecchiamento dell’involucro provoca una fuoriuscita del silicone presente all’interno in minuscole goccioline che può provocare danni migrando nel sottocutaneo, 98 dando luogo, ad esempio, all’insorgenza di granulomi nei tessuti circostanti e favorendo indirettamente l’insorgenza del tumore al seno. Proprio per la presenza di tali rischi, si rende necessario porre estrema attenzione alla qualità del silicone presente all’interno delle protesi . 99 3.4.3 Protesi dentarie. In ambito odontoiatrico i dispositivi medici sono suddivisibili in tre categorie: dispositivi fabbricati in serie, dispositivi su misura e dispositivi fabbricati in serie e adattati in studio. In tale ambito il problema della responsabilità civile riguarda principalmente l’ipotesi di danno al paziente derivante dall’uso di materiali che si rivelino inadeguati per caratteristiche di produzione o fabbricazione dipendenti dall’industria dentale e dal laboratorio odontotecnico o dalla messa in servizio dell’odontoiatra. Si rammenta che i dispositivi fabbricati in serie dall’industria comprendono materiali dentali, strumentari e attrezzature che per essere commercializzati devono soddisfare i requisiti essenziali previsti dalla normativa e recare la marcatura CE. Da tale contesto rimangono escluse eventuali responsabilità dell’insuccesso ascrivibili alla condotta inadeguata del professionista quali, ad esempio, la scelta di materiali non 100 conformi alla legislazione o l’uso inadeguato di materiali conformi, secondo modalità diverse da quelle fornite dal produttore. In tale eventualità, il danno provocato in tal caso non potrà essere ascritto al produttore, ma resta a carico del sanitario l’onere di dimostrare l’irrilevanza del suo comportamento nella provocazione del danno, ripercorrendo lo schema della responsabilità professionale per prestazione intellettuale. Ai fini di un corretto inquadramento delle responsabilità gravanti su odontoiatra, odontotecnico e ditte produttrici, è necessario fare riferimento a quanto dettato dal D.P.R. 224/1988 e D. Lgs. 24/2002, i quali hanno introdotto nel nostro Codice Civile gli artt. 1519 bis e ss., norme che affermano l’equiparazione del produttore e del venditore. Dal punto di vista medico-legale, in tema di responsabilità professionale odontoiatrica il problema di insuccessi dovuto a difetti di dispositivi medici riconducibili a responsabilità dell’industria produttrice o del laboratorio odontotecnico riguarda prevalentemente le protesi e l’implantologia. 101 Tuttavia, da un punto di vista giurisprudenziale, si può osservare come vi sia l’intenzione di tutelare il paziente/consumatore con l’applicazione di diversi principi quali: l’inversione dell’onere della prova, obbligo di risultato o di res ipsa loquitur nei casi di facile e prevedibile esecuzione, criteri probabilistici nella determinazione del nesso di causalità; per quanto riguarda, invece, il professionista vi è la possibilità di integrare in giudizio o agire in regresso verso altri soggetti potenzialmente responsabili. È necessario segnalare, tuttavia, che nella pratica vi è un numero molto esiguo di casi che portano ad uno sviluppo processuale a causa dell’imprevedibilità dell’esito e dell’aumento delle spese legali conseguenti all’allungamento dei tempi e della complessità del giudizio. Vi possono essere, infatti, situazioni caratterizzate da una “sovrapposizione di fattori” che non permettono di distinguere a posteriori errori determinati da soggetti diversi; la scarsa convenienza, in termini economici, derivante dal riconoscimento di una responsabilità in solido a fronte del 102 ridotto valore delle controversie odontoiatriche; la differenza tra termini di decadenza e prescrizione per la responsabilità del produttore e prestatore d’opera nei confronti del professionista. 103 3.5 Tra tutela amministrativa e tutela penale. Nell’ordinamento italiano, oltre alla tutela civile in caso di prodotto dannoso o pericoloso sono previste altri due strumenti, quali la tutela amministrativa e la tutela penale. La tutela amministrativa si realizza attraverso tre principali canali: in primo luogo attraverso funzioni autorizzative e di controllo, aventi ad oggetto persone fisiche e persone giuridiche; in secondo luogo, attraverso la L. 689/1981, la quale prevede sanzioni amministrative pecuniarie ed accessorie, da applicarsi alle persone fisiche che hanno violato la norma. Da ultimo, la L. 231/2001, riguardante la responsabilità amministrativa degli enti, la quale prevede sanzioni a carattere pecuniario, interdittivo e confiscatorio agli enti responsabili dei reati commessi nell’interesse o vantaggio di detti enti . Tuttavia, tale tutela risulta scarsamente applicata, poiché attualmente le risposte punitive volte a colpire i responsabili dei rischi o dei danni da prodotto difettoso sono di tipo penale. 104 Ne deriva, quindi, secondo parte della dottrina, che le cause di tale sottoutilizzo possono essere reperite nella normativa in tema di illeciti o nelle caratteristiche degli organi amministrativi che si occupano di applicare le relative sanzioni 24. E’ necessario sottolineare, tuttavia, che lo strumento penale è volto a contenere le potenzialità lesive dei prodotti caratterizzate da serialità e diffusività. Tale scopo ha ispirato il legislatore nell’assegnare allo strumento penale una posizione privilegiata. La tutela penale per danni da prodotti difettosi si esplica attraverso norme codicistiche ed extracodicistiche. In particolare, per quanto concerne le norme dedicate del Codice penale, vi sono principalmente tre gruppi di fattispecie utilizzabili: il primo è rappresentato dalle norme a tutela dell’incolumità pubblica; il secondo a tutela dell’interesse collettivo all’onesto svolgimento del commercio e l’interesse patrimoniale dell’acquirente; il terzo gruppo, invece, è rappresentato dalle norme che tutelano i beni della vita e dell’incolumità individuale. 24 Bernardi A., La responsabilità da prodotto nel sistema italiano: profili sanzionatori, Riv. Trim. Dir. Pen. Econ., 2003, p. 1 ss; 105 Quanto alle forme di responsabilità previste dalla legislazione complementare, occorre far riferimento agli artt. 6 e 10 del d.lgs. 115/1995 concernente la “attuazione della direttiva 92/59/CEE relativa alla sicurezza generale dei prodotti”, in vista della tutela dei loro destinatari. Le ragioni per cui è lo strumento penale ad avere un ruolo incisivo sono collegate all’accettazione della cd. società del rischio. La società contemporanea, cioè, ha accettato un concetto di rischio quale caratteristica intrinseca di una società moderna, prendendo coscienza del fatto che il progresso comporta inevitabilmente dei rischi connessi al modo di produrre e di vivere. Secondo una prospettiva sociologica moderna25, tale approccio crea un sistema di aspettative che si esplica attraverso lo strumento della normazione. Tale strumento ha un duplice scopo: in primo luogo vincola il comportamento futuro di altri all’osservanza della norma; in secondo luogo, dal punto di vista funzionale, stabilizza le 25 Luhmann N., Sociologia del diritto, Bari, 1977 106 aspettative di comportamento, legittimate da un procedimento cd. di consenso. In tale contesto la tutela penale acquista ancora più importanza perché il carattere diffusivo del danno provoca un’offesa all’incolumità pubblica, ma anche al bene collettivo dell’incolumità e della salute pubblica, che il sistema giuridico penale non può permettere. Tuttavia, occorre osservare che l’opera della giurisprudenza nell’applicazione del diritto penale in tale contesto si trova ancora ad uno stadio “embrionale”, ed ha assunto le forme della cd. Case Law: esse non si limitano a decidere il caso concreto, ma tentano anche di elaborare dei parametri per ricostruire la responsabilità penale. 107 PARTE QUARTA DISPOSITIVI MEDICI E GESTIONE DEL RISCHIO CLINICO 108 4.1 La gestione del rischio clinico applicata ai dispositivi medici. Nel contesto del Clinical Risk Management, i dispositivi medici rappresentano una gamma di prodotti progettati e realizzati con rapidità, con conseguente ingresso nell’uso clinico con un tasso di innovatività e di ricambio molto elevati. Il progresso della tecnologia, in tale settore, permette di migliorare l’outcome clinico attraverso due canali principali: il primo è da intendersi in termini di patologie aggredibili e riduzione dei tempi di ricovero; il secondo riguarda la semplificazione delle procedure e di miglioramento dei risultati. Occorre, considerare, tuttavia, che l’utilizzo dei dispositivi medici rappresenta una fonte di rischio, tollerabile se considerata a fronte del beneficio clinico. Lo scopo del Clinical Risk Management, in tal senso, è, dunque, di coinvolgere tutti gli attori della filiera, quali fabbricanti, distributori, operatori manutentori e pazienti, nell’ambizioso 109 progetto della cd. “cultura della sicurezza clinica”, attraverso un uso più sicuro che riduca la percentuale di rischio, nonché la possibilità di danni ai pazienti, agli operatori e/o soggetti terzi. A tal fine, la normativa comunitaria analizzata nei capitoli precedenti affida alle Autorità nazionali il compito di sorvegliare il settore attraverso diverse modalità. Occorre considerare, infatti, che la prevenzione dei rischi evitabili e la riduzione di quelli ineliminabili deve estendersi per tutto il ciclo di vita del dispositivo privilegiando e stimolando il dialogo tra i soggetti che partecipano alla catena distributiva e all’utilizzo clinico. Inoltre, con particolare riguardo alle potenzialità offerte dalle nuove tipologie di dispositivi, un aspetto fondamentale è quello relativo alla formazione degli operatori sanitari che li adoperano, per garantire la sicurezza nell’utilizzo, l’appropriatezza della scelta del dispositivo nonché della procedura più idonea alla necessità clinica. Si ritiene, infatti, che solo in tal modo possa essere raggiunto il miglioramento del risultato clinico a fronte dell’incremento 110 della spesa legato all’acquisto, da parte delle strutture sanitarie, di nuove tipologie di dispositivi . 111 4.2 Tra fattori di rischio e sistema di qualità. Come visto nei capitoli precedenti, la normativa europea recepita come norma UNI ha lo scopo di specificare le procedure mediante le quali i fabbricanti di dispositivi medici possono identificare i pericoli associati, stimando, valutando, controllando i rischi relativi e verificando l’efficacia di tale controllo. Sostanzialmente, la normativa europea si focalizza sul cd. rischio intrinseco dei dispositivi medici, riferito alla sua specificità; in una diversa prospettiva si colloca, invece, la procedura di analisi del rischio prevista dalla legge 626/94 che è finalizzata alla gestione del rischio integrato. Vi è, dunque, una profonda differenza tra i due approcci relativi a due punti di vista distinti ma complementari: il primo di tipo tecnico, il secondo di tipo procedurale. In tale contesto la valutazione del rischio rappresenta uno strumento gestionale di fondamentale importanza per la struttura 112 ospedaliera per la programmazione razionale degli interventi volti ad arginare e/o minimizzare i rischi, in particolare dal punto di vista tecnologico. Ciò, infatti, permette di raggiungere obiettivi aziendali quali: il miglioramento della qualità complessiva del servizio erogato, nonché l’incremento continuo e omogeneo degli standard di sicurezza per i lavoratori. Tuttavia, il rischio associato ai dispositivi medici può essere distinto in due classi principali: 1) rischio diretto (di tipo infortunistico, espositivo, trasversale) che può agire indifferentemente su pazienti e operatori sanitari; 2) rischio indiretto, dove ad una corretta funzionalità in termini di prestazioni cliniche si accompagnano, però, ripercussioni dannose nei processi di diagnosi, assistenza e cura rivolti al paziente. Generalmente, il rischio R è definito come una condizione di attesa di eventi non desiderati, pari al prodotto della frequenza stimata P di accadimento dell’evento dannoso causato da possibili sorgenti di pericolo e della gravità temuta D delle 113 conseguenze che si possono ragionevolmente prevedere. Pertanto, tali valori si possono esprimere con la relazione R=PxD In tale relazione, per valutare la grandezza R occorre valutare disgiuntamente i fattori P e D: si tratta di un modello di valutazione del rischio attraverso un’analisi ponderata delle variabili che più influiscono sulla loro determinazione. Dall’incrocio di tali indici si può ricavare la misura quantitativa del rischio, cioè un valore numerico rappresentato in un sistema a matrice, avente in ascissa la gravità del danno atteso e in ordinata la probabilità del suo verificarsi. Tale operazione rappresenta la prima fase di gestione del rischio, con contestuale formulazione di un criterio di gravità del rischio, la definizione delle priorità e la programmazione temporale degli interventi di mitigazione da adottare. É necessario precisare, tuttavia, che il concetto di rischio accettabile è dinamico in quanto soggetto all’evoluzione tecnica, normativa, legislativa e sociale. 114 Quanto alla metodologia di valutazione, i modelli di analisi del rischio attualmente disponibili sono piuttosto esigui e soggettivi per la mancanza di esperienza nell’approccio analitico al rischio e per l’inesistenza di criteri espliciti e vincolanti nelle nuove disposizioni legislative . A ciò concorre anche l’assenza di modelli teorici consolidati di riferimento e la mancanza di dati ufficiali su scala nazionale in un consistente periodo di tempo. 115 4.3 Il ruolo del sistema di sorveglianza Al Ministero della Salute e al Ministero dello sviluppo economico spetta il ruolo di Autorità competenti a vigilare sull’applicazione della normativa nazionale, attraverso un programma di controlli sulle diverse componenti della catena di commercializzazione dei dispositivi medici, rappresentata da fabbricanti, distributori ed utilizzatori. In altri termini le Autorità competenti svolgono un’attività cd. di market surveillance: non essendovi un sistema autorizzativo preventivo da parte dell’Amministrazione pubblica, esso si realizza con varie modalità finalizzate a verificare l’operato dei soggetti coinvolti nella catena di commercializzazione. É interessante notare come il D. Lgs. 25 gennaio 2010 n. 37 abbia uniformato la terminologia contenuta nei precedenti decreti legislativi con quella utilizzata in ambito comunitario: tale attività di sorveglianza è descritta compiutamente nell’art. 17, comma 3, del D. Lgs. 25 gennaio 2010 n. 37. 116 Tuttavia, vi è una seconda accezione, da un punto di vista comunitario, del concetto di “vigilance” che risulta riferita alle comunicazioni riguardanti le alterazioni dei dispositivi e degli incidenti, ovvero gli eventi avversi provocati da caratteristiche o prestazioni dei dispositivi medici. L’articolo 17, più precisamente, al fine di procedere alle verifiche sui dispositivi medici, prevede che il Ministero della salute possa procedere ad accertamenti direttamente sui luoghi di produzione e/o di immagazzinamento dei prodotti, attraverso l’acquisizione di informazioni necessarie all’accertamento oppure al prelievo temporaneo di campioni del dispositivo oggetto di verifica per essere sottoposto a esami e prove. Quanto all’attività ispettiva, il compito istituzionale di sorvegliare il mercato dei dispositivi medici compete al Ministero della Salute, il quale provvede attraverso verifiche ispettive presso le aziende che si occupano di attività di fabbricazione e distribuzione di dispositivi medici. In tale contesto gli audit vengono svolti con lo scopo di valutare la documentazione tecnica, accertare l’idoneità degli ambienti di 117 produzione, nonché l’appropriatezza del sistema di qualità aziendale. 118 4.4 Tra adempimenti e sanzioni: l’importanza della comunicazione. Per quanto concerne gli operatori e le strutture sanitarie, gli adempimenti e le sanzioni previste sono di natura penale e amministrativa. Su tali soggetti grava, infatti, l’obbligo di comunicazione in presenza di anomalie di funzionamento del dispositivo, responsabili di effetti peggiorativi sullo stato di salute dell’utilizzatore finale (paziente o operatore sanitario). La mancata comunicazione al Ministero della Salute, direttamente o tramite la struttura sanitaria, di determinate difformità26 è, infatti, punita con l’arresto fino a sei mesi e l’ammenda da 7.200 a 43.200 euro. Lo scopo del legislatore attraverso tali sanzioni è di responsabilizzare gli operatori sanitari nel contribuire al 26 Per difformità si intende qualsiasi “malfunzionamento o alterazione delle caratteristiche e delle prestazioni di un dispositivo medico....nonché qualsiasi inadeguatezza nell’etichettatura o nelle istruzioni per l’uso che possono essere o essere stati causa di decesso o grave peggioramento delle condizioni di salute di un paziente o di un utilizzatore”. 119 generale principio di affidamento di sicurezza e qualità, che dovrebbe connotare l’intero sistema sanitario ed istituzionale: tale aspetto è, per certi versi, assicurato dall’atto unilaterale del fabbricante, ovvero la marcatura CE. Tuttavia, tale atto unilaterale può essere messo in dubbio attraverso la rilevazione sistematica di incidenti connessi all’utilizzo del dispositivo. In un’ottica di gestione del rischio cd. integrata, infatti, l’omessa comunicazione di eventi negativi rende inefficace il meccanismo di verifica dell’affidabilità dell’attestazione di conformità compiuta attraverso il rapporto intercorrente tra fabbricante e organismo notificato. In sintesi, l’evento negativo può essere isolato o facente parte di un fenomeno ampio di malfunzionamenti, ma rappresenta, comunque un elemento di autoregolazione del sistema di valutazione di conformità e di valutazione di qualità che ha origine presso il fabbricante e si conclude con la marcatura CE. Un aspetto fondamentale del fattore comunicativo è che il sistema prevede una sanzione amministrativa a carico dei soggetti che provocano l’interruzione del flusso comunicativo: 120 pertanto, i rappresentati legali delle strutture sanitarie e i referenti per la vigilanza, a seguito del ricevimento della notizia divengono responsabili del corretto sviluppo di tale flusso informativo. Si tratta, dunque, di un sistema che adotta un “circuito a scopo informativo” e non probatorio, che crea una sorta di feedback per il fabbricante sugli esiti di utilizzo del prodotto. In tale sistema europeo creato dal cd. nuovo approccio, l’intervento del Ministero della Salute ha, inoltre, lo scopo di veicolare le informazioni pervenute sugli incidenti al relativo fabbricante. 121 PARTE QUINTA CASI DI STUDIO 122 5.1 Un caso di responsabilità del medico e dell’infermiere. Una donna di 75 anni, affetta da gonalgia destra su base artrosica, viene ricoverata nel reparto di Ortopedia per sottoporsi ad intervento chirurgico di protesi totale di ginocchio. L’intervento non presenta complicanze di sorta. Nel postoperatorio viene prescritto e praticato clistere. Lo stesso giorno la paziente viene sottoposta a posizionamento di sonda rettale senza esito e preventivato ulteriore clistere da effettuarsi a distanza di mezz’ora dalla somministrazione di prostigmina. Il giorno successivo la paziente avverte forti dolori a carico dell’addome inferiore, tanto da far disporre accertamenti, tra cui Rx diretto, ecografia addominale, TAC e consulenze chirurgiche. L’esito degli esami dimostrano la ricorrenza di una perforazione della parete rettale sinistra nel tratto extraperitoneale e le consulenze depongono per un addome acuto; non si ritiene di 123 dover procedere con intervento di colectomia e viene prescritta terapia farmacologica ed il posizionamento di catetere venoso centrale. Le condizioni di salute della paziente peggiorano progressivamente fino alla ricorrenza, a distanza di circa 20 ore, di arresto cardiocircolatorio, regredito a seguito di intervento rianimatorio. La donna viene trasferita in stato di incoscienza ed ipotesa nel reparto di rianimazione con diagnosi di insufficienza cardiorespiratoria. La successiva consulenza cardiologica induce a procrastinare l‟intervento chirurgico, date le condizioni. Raggiunta la stabilizzazione, a distanza di una settimana, la donna viene sottoposta ad intervento di drenaggio di ascesso pelvico e colostomia, al termine del quale insorge instabilità emodinamica e tendenza alla desaturazione. A distanza di pochi giorni si verifica il decesso. A seguito dei fatti sopra esposti viene aperto un procedimento penale ed il Pubblico Ministero, al fine di valutare la presenza di eventuali responsabilità in capo al personale medico, dispone consulenza tecnica con autopsia dalla quale emerge correlazione tra la perforazione della parete 124 rettale ed il decesso, attribuito ad una insufficienza multi organo insorta in corso di shock settico conseguente a sepsi generalizzata da disseminazione di focolaio infettivo ascessuale a partenza dalle strutture del mesoretto contigue alla lesione. Sulla base dei rilievi necroscopici il CTU conclude per la sussistenza di nesso causale tra la manovra di introduzione del clistere e la lesione produttiva della cascata di eventi che hanno condotto al decesso della donna. Sono emersi pertanto addebiti a carico dei sanitari intervenuti; sia in capo al medico per aver posto in essere una condotta attendista nei confronti di un intervento di colostomia che, effettuato in tempi più prossimi possibile alla perforazione avrebbe con elevata probabilità evitato l’insorgenza della sepsi ed in capo all’infermiere per esecuzione incauta ed inesperta di clistere. 125 5.2 Un caso di lacerazione di derivazione ventricolo peritoneale in sede atipica Si riporta il caso di un uomo, portatore di derivazione ventricolo peritoneale destra applicata all’estero, finalizzata al trattamento di un idrocefalo triventricolare causato da un voluminoso neurinoma dell’VIII nervo cranico di sinistra al quale, a distanza di un anno, per una infezione a livello peritoneale era rimosso lo shunt, riposizionato in addome sinistro, per evitare una situazione fibrotica presente a livello peritoneale destro. Nello stesso anno, durante un viaggio in Italia, a seguito di un malore viene ricoverato in ambiente neurochirurgico ove si procede all’ asportazione di un voluminoso tumore dell’angolo ponto-cerebellare di sinistra. Il quadro disfagico residuato viene trattato mediante confezionamento di una PEG. Trasferito in altro ospedale, si verifica un malfunzionamento della derivazione preesistente, sulla quale il confezionamento della PEG aveva accidentalmente prodotto una lacerazione, sospettata 126 dai sanitari a distanza di un mese e diagnosticata il mese successivo. Il perdurante alterato funzionamento dello shunt conduceva ad un quadro infettivo prima ed ad una sepsi poi; la derivazione ventricolo-peritoneale era quindi esteriorizzata, ma la sepsi non recedeva, progredendo verso lo shock settico e l’exitus. L’autopsia consentiva di identificare quale causa del decesso una insufficienza multiorgano sostenuta da shock settico, conseguente alla contaminazione del dispositivo ventricoloperitoneale lesionatosi nell’approntamento della PEG. La Consulenza Tecnica effettuata ha consentito di rilevare la presenza, al ricovero in Italia, di una inconsueta applicazione della derivazione ventricolo peritoneale realizzata in altra sede, da considerasi ad elevato rischio, per avere creato un incrocio (catetere dello shunt a destra nel capo e nel torace, incrociante la linea mediana in regione ombelicale e diretto in cavità peritoneale sinistra), applicazione atipica e non corretta sul piano metodologico, in quanto tale da creare problemi in caso di intervento laparotomico, soprattutto in urgenza. 127 Ha richiamato inoltre l’attenzione dei consulenti l’assenza di segnalazione (documentale e circostanziale) di una condizione anatomica, come già detto inusuale ed inimmaginabile se non riferita, sconosciuta ai sanitari italiani. Sono stati altresì posti in evidenza l’omissione di un adeguato periodo di osservazione nel reparto neurochirurgico con intempestivo trasferimento in ambito neurologico, tale da influire, ritardandolo, sull’intervento di esteriorizzazione del catetere e sul decorso dell’evento settico, nonché il rifiuto da parte dei neurochirurghi di accettare il paziente, una volta nota la diagnosi. Ai neurochirurghi è stata addebitata una condotta imprudente, relativamente alla breve durata del periodo di osservazione ed al rifiuto del trasferimento del paziente presso di loro. La condotta dei neurologi è apparsa corretta e tecnicamente adeguata. 128 5.3 Profili di responsabilità in caso di utilizzo di apparecchiature per la circolazione extracorporea. Si riporta il caso di un uomo, affetto da valvulopatia mitroaortica con steno-insufficienza aortica severa ed insufficienza mitralica severa sintomatiche, ectasia dell’aorta ascendente, blocco atrioventricolare totale, sottoposto ad intervento chirurgico di anuloplastica della mitrale con impianto di elettrodi epicardici a permanenza per stimolazione elettroguidata, effettuato con utilizzo di apparecchiatura per la circolazione extracorporea. I dati emersi dall’esame autoptico e quelli riportati nella documentazione sanitaria indicavano che il decesso era avvenuto per insufficienza cardio-respiratoria acuta insorta in soggetto in stato vegetativo post-anossico conseguente ad interruzione della circolazione extracorporea sopravvenuta nel corso dell’intervento cardiochirurgico. 129 Un attento studio del funzionamento delle apparecchiature per la circolazione extracorporea, unitamente agli elementi sopra indicati, ha consentito la formulazione di due possibili ipotesi di causa dell’interruzione della circolazione extracorporea: o una possibile avaria del sistema - ipotesi questa successivamente esclusa stante il documentato perfetto funzionamento dell’apparecchiatura nel corso della manutenzione effettuata nei mesi successivi all’intervento – o un abbassamento del livello di sangue e conseguente ingresso di aria nel circuito. In merito alla seconda ipotesi erano valutati gli eventuali profili di responsabilità della figura del perfusionista, deposta al controllo della circolazione extracorporea. Dall’integrazione dei dati disponibili, unitamente a quanto riportato nel D.M. 27 luglio 1998, n. 136, sono emersi elementi di censura nei confronti dell’operato del perfusionista, sussistendo responsabilità diretta nella produzione degli eventi. 130 5.4 Su un caso di sepsi conseguente a posizionamento di accesso venoso (Port) Si riporta il caso di un uomo di 47 anni, sottoposto ad intervento di colectomia sinistra per tumore del colon; seguiva la somministrazione di chemioterapia adiuvante per la quale si rendeva opportuno il confezionamento di un accesso venoso centrale, attraverso incannulamento della succlavia e catetere venoso centrale in cava superiore, successivamente controllato radiologicamente. Nel periodo successivo si sviluppava una infezione locale del sito di impianto seguita da uno stato di sepsi e, ancora successivamente, da una disseminazione microembolica della sepsi a livello polmonare e vertebrale con manifestazione di polmonite e discite. Gli esami colturali sul catetere del Port ponevano in evidenza la presenza di Stafilococco Aureo. La valutazione del caso, effettuata in sede civile, ha evidenziato la sussistenza di legami causali tra l’impianto del Port e il 131 quadro settico, sia locale che metastatico viscerale (polmoni e vertebre). 132 5.5 Su un caso di lacerazione tracheale e dell’arteria polmonare destra in corso di intervento chirurgico di sostituzione di valvola aortica ed aorta ascendente Donna di anni 77, affetta da ipertensione, fibrillazione atriale, obesità, reduce da due pregresse embolie polmonari, nel 2004 si ricoverava per essere sottoposta ad intervento di sostituzione della valvola aortica e dell’aorta ascendente, in circolazione extracorporea. Nel corso dell’intervento, per l’occorrere di una lacerazione dell’arteria polmonare durante la cannulazione, era necessario avviare la CEC in emergenza; ad un primo tentativo di uscire dalla CEC si palesava una insufficienza mitralica che induceva i chirurghi, ripristinata la CEC, ad eseguire una plastica valvolare con anello. Al termine dell’intervento, alla paziente erano posizionati 4 elettrodi epicardici temporanei e 3 drenaggi (1 mediastinico sottocardiaco, 1 transpleurico destro, 1 transpleurico sinistro. Alla fine dell’intervento si manifestava un importante enfisema sottocutaneo, inizialmente attribuito ad un 133 momentaneo disfunzionamento del sistema di drenaggio, risoltosi nelle successive 12 ore con residuo di modico bolleggiamento persisteva dai drenaggi. Nelle bolleggiamento dai giornate drenaggi in successive paziente emodinamicamente stabile e neurologicamente ancora saporosa, non svezzabile dal ventilatore. A distanza di due giorni era nuovamente segnalata la presenza di enfisema sottocutaneo marcato al volto ed all’emitorace sinistro; un rx effettuato nella mattinata non mostrava segni eclatanti di pneumotorace. In previsione di una consulenza di chirurgia toracica le erano posizionati 2 nuovi trocard apicali. Nel corso della giornata erano altresì effettuate varie broncoscopie. Confermato il sospetto di lesione tracheale, era disposto il trasferimento della paziente in altro ospedale. Qui era subito sottoposta a TC collo e torace che faceva rilevare aree di consolidazione polmonare bilaterali, sottile falda di pneumotorace, discreto enfisema sottocutaneo; l’indagine evidenziava altresì una iperdistensione della cuffia della cannula tracheale (diametro di 4,3 cm.), documentando sul contorno sinistro della trachea, a circa 10 cm. 134 dalla carena, una soluzione di continuo della sua parete continuantesi in una falda aerea paratracheale. Il giorno dopo la signora era sottoposta a broncoscopia con toilette e medicazione della lesione ed era documentata la quasi totale scomparsa dell’enfisema sottocutaneo. Circa il trattamento della soluzione di continuo tracheale, date le condizioni generali della paziente fortemente impegnate, l’ampiezza della lesione e l’assenza della pars membranacea, nonché la discreta stabilità e controllo della lesione tracheale, i medici decidevano di adottare un atteggiamento conservativo e stretta monitorizzazione della lesione, procedendo quotidianamente a detersione e medicazione con antibiotico. Nella stessa giornata la donna era sottoposta a tracheotomia; considerate le condizioni cliniche della paziente e l’evidenza endoscopica, era ribadita l’improponibilità della riparazione diretta. Nelle giornate successive il quadro clinico era caratterizzato da netta riduzione dell’enfisema sottocutaneo a livello della parete toracica anteriore, in assenza di segni di enfisema a carico del collo; lievemente ridotti risultavano anche gli addensamenti 135 parenchimali, mentre iniziavano ad evidenziarsi segni di sepsi in progressivo aggravamento, sino ad un quadro di sepsi generalizzata; una esofagogastroduodenoscopia eseguita contestualmente rilevava una lesione della parete esofagea anteriore delle dimensioni di circa 1 cm., mentre la parete del fondo gastrico si presentava ecchimotica. Data la vicinanza della ferita chirurgica era impossibile trovare un punto utile per una PEG. Alle ulteriori fibrobroncoscopie la lesione tracheale risultava invariata. Nelle giornate successive si manifestava la fuoriuscita di materiale entrale dalla regione peritracheale, per cui era posto sondino a caduta, mentre da un rx torace urgente emergevano una sottile falda di pneumotorace apicale sinistro, esteso enfisema sottocutaneo destro e versamento pleurico sinistro. Le condizioni subivano un progressivo aggravamento per insorgenza di una trombosi venosa profonda occludente della vena poplitea e della succlavia per la quale era posizionato un filtro cavale; nelle giornate successive era confermata la presenza di una fistola tracheo – esofagea; per il seguente 136 instaurarsi di uno squilibrio emodinamico si verificava il decesso. La consulenza tecnica medico – legale disposta da PM non ha evidenziato condizioni ascrivibili ad errore di comportamento o di condotta clinica, quindi che rientrano nella “colpa medica” ma una serie di eventi avversi, ciascuno descritto dalla più recente letteratura medica, ancorché in modesta percentuale, che si identificano più come errore di sistema ma non imputabili ad uno o a più sanitari curanti. Questa serie di eventi avversi ha generato il progressivo peggioramento della paziente e l’exitus ne è stato l’evento finale ineluttabile. 137 5.6 Osservazioni conclusive. Dalla realtà analizzata, rappresentata dalla letteratura scientifica e dalla casistica in tema di dispositivi medici, emerge che il concetto di sicurezza costituisce un requisito gestionale e di sistema, nel quale l’evento incidente è il risultato di un’interazione tra fattori tecnici, organizzativi e di processo. Gli incidenti che si verificano in corso di utilizzo di dispositivi medici rappresentano, infatti, una concentrazione di variabili negative che coinvolgono diverse competenze. L’attuale sistema offre due tipi di soluzioni volte al contenimento dei rischi legati ai dispositivi medici. Quanto alla prima soluzione, dal punto di vista giuridico la legislazione riguardante i dispositivi medici è volta a garantire la sicurezza, la minimizzazione dei rischi nonché la loro durata e affidabilità. La giurisprudenza in materia di danno da dispositivo medico è piuttosto esigua ma allo stesso tempo rigorosa nel richiedere la 138 massima attenzione da parte del produttore, il quale ha il dovere di essere aggiornato e di sottoporre il prodotto a tutti i più sofisticati controlli per garantire la sicurezza dei prodotti immessi nel mercato . In quest’ottica il sistema di certificazione attualmente in vigore, affidato esclusivamente al produttore, non sembra soddisfare pienamente le esigenze necessarie a garantire la piena sicurezza dei prodotti immessi sul mercato. Una possibile soluzione può essere individuata nell’istituzione di una apposita autorità regolatoria statale che certifichi la conformità dei prodotti non più sulla base di una documentazione autoreferenziale ma su un’effettiva verifica dei requisiti di qualità e sicurezza. La seconda risposta che il sistema ha elaborato riguarda la gestione del rischio clinico: lo scopo del Clinical Risk Management, in tale contesto, è di coinvolgere gli attori della filiera, quali fabbricanti, distributori, operatori, manutentori e pazienti, nel più ampio progetto della cd. “cultura della sicurezza clinica”, per promuovere un uso più sicuro in grado di 139 ridurre la percentuale di rischio, nonché la possibilità di danni ai pazienti, agli operatori e/o soggetti terzi. Da tale sistema descritto emerge, dunque, che in capo agli operatori sanitari sussiste una posizione di garanzia, connessa alla rilevanza costituzionale del diritto alla salute del paziente, nonché, un generale obbligo di arginare i potenziali fattori di rischio di danno. La prevenzione dei rischi evitabili e la riduzione di quelli ineliminabili deve operare per tutto il ciclo di vita del dispositivo: per il raggiungimento di tale obiettivo appare auspicabile un costante dialogo tra i soggetti che partecipano alla catena distributiva e all’utilizzo clinico. Pertanto, in un’ottica di gestione del rischio clinico, uno dei fattori più importanti di riduzione del rischio può essere rappresentato dal fattore comunicativo. Tale obiettivo può essere raggiunto attraverso interventi mirati di formazione del personale, al fine di promuovere anche comportamenti virtuosi nella scelta e nella gestione delle tipologie di dispositivi medici disponibili sul mercato. 140 BIBLIOGRAFIA TRADIZIONALE Alpa G., Responsabilità d’impresa e tutela del consumatore, Giuffrè, Milano, 1985, p. 461 Baragli C., I 'Mobility Scooter' quali dispositivi medici sono esonerati dall'applicazione del dazio doganale (Nota a Commissione Tributaria Provinciale di La Spezia, Sezione Quarta, sentenza del 9 febbraio 2010, n. 66), in Rassegna avvocatura dello stato , 2010, n. 2, Vol. 62, pagg. 249-253 Barni M., La colpa medica nell’attuale realtà sanitaria. Responsabilità e progresso medico, Giuffrè, Milano, 1984. Barni M., Dalla valorizzazione scientifica alla vaporizzazione giurisprudenziale del nesso causale, Riv. It. Med. Leg., 17, 1021, 1995. 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