ATTI
DEL CONVEGNO
BSC
partners
INDICE
RAPPORTI TRA VIOLAZIONI PENALI E VOLUNTARY DISCLOSURE DELLE PERSONE
FISICHE E DELLE SOCIETÀ
Avv. Sebastiano Stufano........................................................................................................... 4
STRUMENTI INTERNAZIONALI PER LO SCAMBIO D’INFORMAZIONI FISCALI TRA
L’ITALIA E LA SVIZZERA
Avv. Gianluca Gigantino........................................................................................................... 8
I CASI PARTICOLARI:
TRUST, FONDAZIONI, IMMOBILI E POLIZZE
Avv. Vincenzo Josè Cavallaro................................................................................................. 25
DISCLOSURE E ADEMPIMENTI ANTIRICICLAGGIO
Avv. Camilla Consorti.............................................................................................................. 31
I COSTI DELLA VOLUNTARY DISCLOSURE: VIOLAZIONI IN TEMA DI MONITORAGGIO
FISCALE, IMPOSTE DIRETTE E INDIRETTE, SANZIONI PECUNIARIE
dott. Paolo Colombo............................................................................................................... 35
AMBITI APPLICATIVI DELLA V.D. INTERNAZIONALE E DELLA V.D. DOMESTICA:
PROFILI SOGGETTIVI, OGGETTIVI E PROCEDIMENTALI
Dott.ssa Emiliana Bandettini ................................................................................................. 43
IL NUOVO REATO DI AUTORICICLAGGIO NEL CONTESTO
DELLA VOLUNTARY DISCLOSURE
Dott. Paolo Ielo........................................................................................................................ 51
LA VOLUNTARY DISCLOSURE E GLI INTERMEDIARI SVIZZERI:ALCUNE QUESTIONI
APERTE IN AMBITO PENALE E DI ASSISTENZA GIUDIZIARIA INTERNAZIONALE.
Avv. Edy Salmina..................................................................................................................... 58
RAPPORTI TRA VIOLAZIONI PENALI E VOLUNTARY DISCLOSURE DELLE
PERSONE FISICHE E DELLE SOCIETÀ
Avv. Sebastiano Stufano
Socio fondatore Stufano Gigantino Cavallaro e Associati Studio legale e fiscale – Milano
BSC
partners
1. La natura della causa di non punibilità dell’art. 5quinquies d.l. 167/1990.
La l. 15 dicembre 2014, n. 186 ha introdotto una disciplina organica della voluntary disclosure.
In particolare, l’art. 1 ha aggiunto al d.l. 28 giugno 1990, n. 167, convertito con modificazioni dalla l. 4 agosto 1990, n.
227, e successive modifiche, l’art. 5quinquies, che disciplina gli effetti dell’adesione al programma di collaborazione
volontaria.
Dal punto di vista della copertura penale, questa disposizione ha previsto una causa di non punibilità per i reati ivi elencati, limitatamente all’importo di imposte, sanzioni ed interessi oggetto della collaborazione volontaria.
Sotto il profilo soggettivo, la causa di non punibilità ha natura oggettiva, secondo quanto sancito dall’art. 1, c. 5, l.
186/2014.
Viene, quindi, esclusa la punibilità non solo del soggetto che ha aderito alla procedura di collaborazione volontaria ma,
altresì, dei concorrenti nei delitti espressamente indicati nella disposizione.
In concreto, non solo non sarà penalmente responsabile il contribuente che decide di accedere alla procedura di regolarizzazione ma fruiranno dello stesso beneficio anche tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione dei proventi
derivanti dalla frode fiscale ed alla loro movimentazione.
La formulazione ampia della legge permette di ricomprendere nel novero dei soggetti non punibili anche le società, almeno per i reati di riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita ed autoriciclaggio conseguenti alla
commissione dei reati tributari indicati dallo stesso art. 5quinquies d.l. 167/1990, per cui l’art. 25octies d.lgs. 231/2001 fa
sorgere la responsabilità amministrativa da reato degli enti.
Questa previsione si dimostra coerente con lo scopo sotteso a tutta la disciplina della voluntary disclosure, ossia il recupero dell’imposta evasa dal contribuente, e si palesa come una rilevante differenza rispetto alla disciplina dell’ultimo
scudo fiscale. Quest’ultimo, invero, prevedeva una causa di non punibilità soggettiva, applicabile solo ed unicamente al
contribuente che decideva di regolarizzare le sostanze non dichiarate al Fisco.
2. I reati tributari oggetto della causa di non punibilità.
L’art. 5quinquies, c. 1, d.l. 167/1990 prevede che la conclusione della procedura di voluntary disclosure renda non punibili
i seguenti reati tributari:
a) dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 d.lgs. 74/2000);
b) dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3 d.lgs. 74/2000);
c) dichiarazione infedele (art. 4 d.lgs. 74/2000);
d) omessa dichiarazione (art. 5 d.lgs. 74/2000);
e) omesso versamento di ritenute certificate (art. 10bis d.lgs. 74/2000);
f) omesso versamento di Iva (art. 10ter d.lgs. 74/2000).
Nel definire i reati non punibili, il legislatore non ha ricompreso le fattispecie di emissione di fatture o altri documenti per
operazioni inesistenti (art. 8 d.lgs. 74/2000), occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10 d.lgs. 74/2000) e
sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (art. 11 d.lgs. 74/2000).
Questa scelta legislativa discrezionale si dimostra particolarmente rischiosa per il contribuente che sceglie di accedere
alla voluntary disclosure nell’ipotesi in cui quest’ultimo, al fine di evadere le imposte, abbia utilizzato fatture od altri documenti contabili falsi. Sono due, in particolare, le ipotesi più frequenti nella pratica:
•
realizzazione di un profitto a seguito dell’evasione IVA transfrontaliera perpetrata mediante l’uso di una società
cartiera (c.d. frode carosello);
•
conseguimento di reddito non dichiarato al Fisco avvalendosi di fatture false emesse da un terzo.
In entrambi questi casi, la circostanza che il contribuente decida di usufruire della procedura di collaborazione volontaria
può produrre conseguenze penalmente rilevanti.
Nella seconda ipotesi sopra descritta il reato verrà attribuito ai terzi che agito in concorso mentre nella prima questo
avverrà per la sua posizione.
In particolare, con riferimento a quest’ultima casistica, è necessario evidenziare un ulteriore aspetto.
La costante giurisprudenza di legittimità1, infatti, ha affermato che, in deroga all’art. 9 d.lgs. 74/2000, disciplinante il
concorso di persone nei reati tributari, il medesimo soggetto sia punibile tanto per il delitto di dichiarazione fraudolenta
mediante uso di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti quanto per quello di emissione di fatture false.
Questo principio di diritto è rilevante anche nell’ipotesi in cui il contribuente abbia evaso la tassazione avvalendosi di
fatture emesse da società di trading fittizie.
Ipotesi del tutto differente è quella in cui la frode fiscale sia stata perpetrata mediante la sovrafatturazione di operazioni
effettivamente rese da una società operativa, seppur riconducibile al medesimo titolare.
In questo caso, infatti, se la società di trading ha sede all’estero ed è gestita da un fiduciario, il reato di emissione di
fatture si consumerà nel Paese straniero in cui la società ha la propria sede sociale e dovrà essere ritenuto penalmente
responsabile il gestore. L’illecito, quindi, non sarà configurabile in capo al contribuente che ha aderito alla voluntary disclosure.
Il reato di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all’art. 8 d.lgs. 74/2000, inoltre, non rientra
neanche nel novero degli illeciti per cui l’art. 13 d.lgs. 74/2000, nel testo contenuto nella bozza del decreto sulla certezza
del diritto così come approvata dal Governo in data 24 dicembre 2014, prevede l’estinzione del reato in seguito al pagamento integrale dell’imposta evasa.
1
Cass. pen., sez. III, 21 maggio 2012, n. 12947.
Rapporti tra violazioni penali e voluntary disclosure delle persone fisiche e delle società - Avv. Sebastiano Stufano
5
A questa fattispecie, infatti, sarà applicabile unicamente la previsione di cui al comma 1, lett. b), dell’art. 13 d.lgs. 74/2000.
Questa sancisce soltanto la riduzione della pena fino alla metà, sempre in seguito al versamento del dovuto.
3. La copertura rispetto agli illeciti del Codice Penale.
Riguardo, invece, ai reati disciplinati dal Codice Penale, l’art. 5quinquies d.l. 167/1990 prevede che non siano punibili le
condotte, commesse in relazione alle fattispecie tributarie già oggetto di causa di non punibilità, integranti:
1) riciclaggio ;
2) impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita ;
3) autoriciclaggio, limitatamente alle condotte commesse fino al 30 settembre 2015, data entro cui può essere iniziata
la procedura di collaborazione volontaria.
Innanzitutto, analizzando la lettera della legge, è necessario premettere che la causa di non punibilità ivi prevista ha un
margine di operatività molto ristretto.
Di solito, infatti, i reati presupposto delle condotte di riciclaggio, impiego di denaro di provenienza illecita ed autoriciclaggio non sono identificabili in illeciti di natura tributaria. Si pensi, per esempio, all’ipotesi in cui i redditi oggetto della
disclosure derivino da condotte di infedeltà patrimoniale ovvero da abusi di mercato in seguito all’utilizzo di informazioni
privilegiate.
Inoltre, a differenza di quanto previsto in precedenza dallo scudo fiscale, introdotto con l’art. 13bis d.l. 1 luglio 2009, n. 78,
la normativa sulla collaborazione volontaria limita la configurabilità della causa di non punibilità unicamente alle condotte
volte all’occultamento ed al reinvestimento dei proventi di natura illecita.
Non copre invece i reati di natura societaria né gli illeciti di falso, ricompresi nella disciplina sullo scudo fiscale.
Questa esclusione si dimostra particolarmente pregiudizievole per i soggetti che hanno costituito i redditi oggetto di
evasione con la creazione di c.d. fondi neri, falsificando le comunicazioni sociali, oggetto dei reati di cui agli artt. 2621 e
2622 c.c.
Stante la lettera della l. 186/2014, inoltre, queste fattispecie costituiscono anche delitti presupposto, non soggetti alla
causa di non punibilità derivante dall’adesione alla voluntary disclosure, di riciclaggio, impiego di proventi illeciti ed autoriciclaggio. Da questo consegue la punibilità concorrente anche per queste fattispecie.
Nello specifico, si deve ricordare che il riciclaggio, il reimpiego e l’autoriciclaggio sono punibili anche se il reato presupposto è prescritto o improcedibile per mancanza di una condizione di procedibilità2.
Non serve, infatti, una sentenza passata in giudicato ma la provenienza delittuosa del bene può essere accertata già
dalla natura e dalle caratteristiche dello stesso.
È possibile, inoltre, configurare il reato di autoriciclaggio per le movimentazione dei fondi anonimi risultanti dall’adesione
allo scudo fiscale, se si tratta di proventi conseguenti a delitti non ricompresi nella causa di non punibilità prevista dal d.l.
30 dicembre 2009, n. 194 convertito con modificazioni dalla l. 26 febbraio 2010, n. 25.
Ciò si dimostra molto rischioso non solo per i contribuenti che devono decidere di regolarizzare o meno i propri capitali
ma anche per gli intermediari finanziari che si sono occupati della movimentazione dei loro capitali.
Non sono oggetto della causa di non punibilità neanche i reati contro la Pubblica Amministrazione, quali la truffa e la
malversazione ai danni dello Stato e degli organi dell’Unione Europea.
L’adesione al programma di collaborazione volontaria, pertanto, non impedisce la configurabilità di tali fattispecie nell’ipotesi in cui l’imprenditore abbia distratto fondi di matrice statale od europea attribuiti per l’agevolazione a determinate
attività produttive.
È importante, ad ogni modo sottolineare, come si debba differenziare tra reati procedibili d’ufficio ed a querela di parte.
In assenza della querela, da proporre entro tre mesi dalla conoscenza del fatto di reato ai sensi dell’art. 124 c.p., infatti,
il Pubblico Ministero che avrà ricevuto comunicazione da parte dell’Agenzia delle Entrate in merito alla conclusione della
procedura, potrà iscrivere il contribuente nel registro delle notizie di reato unicamente per i delitti per i quali non sia richiesta idonea condizione di procedibilità.
La circostanza che siano oggetto della causa di non punibilità unicamente il riciclaggio, l’impiego di denaro, beni od altra
utilità di provenienza criminosa e l’autoriciclaggio aventi come origine gli illeciti tributari elencati dall’art. 5quinquies, c.
1, d.l. 167/1990, permette la configurabilità della responsabilità amministrativa da reato degli enti per le fattispecie aventi
illeciti presupposto differenti, così come previsto dall’art. 25octies d.lgs. 231/2001.
4. Il reato di esibizione di atti falsi e comunicazione di dati non rispondenti al vero.
La l. 186/2014 ha introdotto una nuova fattispecie penale specifica applicabile ai soggetti che decidono di aderire al
programma di voluntary disclosure.
A mente del disposto dell’art. 5septies d.l. 167/1990, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni il contribuente che esibisce o trasmette atti e documenti anche parzialmente falsi ovvero fornisce dati od informazioni mendaci
nell’ambito della procedura di collaborazione volontaria.
La disposizione prevede un reato proprio a consumazione istantanea volto a tutelare la genuinità della documentazione
e delle informazioni fornite nel corso della procedura.
Questo corrisponde esattamente allo stesso spirito della voluntary disclosure, la regolarizzazione completa e spontanea delle disponibilità detenute all’estero. Detta finalità è considerata talmente importante per il legislatore che la pena
prevista è di gran lunga superiore rispetto a quella sancita per i delitti di falsità materiale ed ideologica commessa dal
2
6
Cass. pen., sez. II, 19 febbraio 2014, n. 7795.
Rapporti tra violazioni penali e voluntary disclosure delle persone fisiche e delle società - Avv. Sebastiano Stufano
privato, di cui agli artt. 481 e 482 c.p.
Nella sua gravità, invero, una simile cornice edittale è paragonabile ad alcune ipotesi di falso compiute dal pubblico ufficiale, come, ad esempio, i delitti di cui agli artt. 476 e 478, c. 2, c.p.
Il secondo comma dell’art. 5septies d.l. 167/1990 dispone, inoltre, che il soggetto che decide di aderire alla collaborazione volontaria debba rilasciare al professionista a cui si affida una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà con la quale
certifica la veridicità degli atti, dei documenti, delle notizie e dei dati forniti per l’adempimento del mandato.
La dichiarazione mendace del contribuente è punibile penalmente ai sensi dell’art. 76 del D.P.R. n. 445/2000, configurando un autonomo delitto di falso. Questo documento, invero, non rientra nel campo di applicazione del comma 1 dell’art.
5septies d.l. 167/1990, ma la sua falsità è sanzionabile applicando le disposizioni del codice penale e delle leggi speciali
in materia.
L’art. 5septies, c. 2, d.l. 167/1990, considerato nella sua formulazione letterale, non configura un’esimente per il professionista, punibile se ha concorso alla falsità del suo cliente.
Ad ogni modo, questa può essere utilizzata come elemento di prova per escludere il dolo a suo carico oltre che la sua
responsabilità civile ed amministrativa.
5. Il procedimento di comunicazione alla Procura della Repubblica della conclusione della
voluntary disclosure.
L’art. 5quater, c. 3, d.l. 167/1990 prevede che, entro trenta giorni dal versamento delle somme dovute a seguito dell’adesione alla procedura di collaborazione volontaria, l’Agenzia delle Entrate comunichi all’Autorità Giudiziaria competente
l’avvenuto completamento della procedura, al fine dell’applicazione della causa di non punibilità di cui al successivo art.
5quinquies.
Dalla lettera della norma, è chiaro come l’Agenzia delle Entrate, già al momento della richiesta di partecipazione alla collaborazione volontaria, sia tenuta ad inoltrare alla Procura della Repubblica denuncia di notizia di reato ai sensi dell’art.
331 c.p.p.
Successivamente, al termine della voluntary disclosure, l’Agenzia delle Entrate comunicherà la positiva conclusione
della collaborazione volontaria, per-mettendo l’archiviazione per non punibilità del delitto.
E’ prevedibile, tuttavia, che in concreto, stante l’elevato numero di istanze di accesso alla procedura, l’Agenzia delle Entrate invierà un’unica comunicazione alla Procura della Repubblica. Questa identificherà il contribuente come aderente
alla disclosure, informerà del versamento del dovuto e dell’esclusione della punibilità per i reati configurabili.
Un simile modo di agire è auspicabile perché più favorevole per il contribuente e rispondente ad esigenze deflative.
Così facendo, infatti, il Pubblico Ministero può direttamente procedere a richiedere l’archiviazione del fascicolo per non
punibilità del reo.
La legge, tuttavia, non specifica se l’Agenzia delle Entrate debba trasmettere all’Autorità Giudiziaria unicamente l’esito
positivo ovvero altresì la conclusione in senso negativo della collaborazione volontaria.
Da una prima lettura, sembra che la comunicazione debba essere sempre inviata con effetti di-versi ed opposti: applicazione della causa di non punibilità in ipotesi di versamento di quanto concordato ed apertura o prosecuzione del
procedimento penale in caso di conclusione negativa della procedura.
La circostanza, infine, che la situazione patrimoniale posta all’attenzione dell’Agenzia delle Entrate possa configurare
un fattispecie penalmente rilevante, anche se non punibile, incide sui termini di accertamento delle violazioni tributarie
commesse.
Nel silenzio della legge sul punto, infatti, si deve applicare l’art. 43, c. 3, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. Sono dunque
raddoppiati i termini di accertamento ogni qualvolta sia presente un’infrazione da cui deriva l’obbligo di denuncia penale
a norma dell’art. 331 c.p.p.
Questa lacuna normativa appare in contrasto con la ratio complessiva della legislazione sulla collaborazione volontaria.
Si ha un’estensione sfavorevole al soggetto dei periodi di imposta accertabili, indi-pendentemente dalla circostanza che
i capitali detenuti all’estero si trovino in Paesi black list o white list.
Rapporti tra violazioni penali e voluntary disclosure delle persone fisiche e delle società - Avv. Sebastiano Stufano
7
STRUMENTI INTERNAZIONALI PER LO SCAMBIO D’INFORMAZIONI FISCALI
TRA L’ITALIA E LA SVIZZERA
Avv. Gianluca Gigantino
Socio fondatore Stufano Gigantino Cavallaro e Associati Studio legale e fiscale – Milano
BSC
partners
Indice
I. LO SCAMBIO DI INFORMAZIONI AI FINI DELLE IMPOSTE DIRETTE TRA ITALIA-SVIZZERA: PREMESSA.......................... 5
1. Il Protocollo del 23 febbraio 2015: lo scambio di informazioni “su richiesta” tra Italia e Svizzera........................................... 5
2. La Convenzione del Consiglio d’Europa e dell’OCSE sulla reciproca assistenza amministrativa in materia fiscale: applicabilità alle relazioni tra Italia e Svizzera......................................................................................................................................... 5
3. L’MCAA e lo scambio di informazioni “automatico”: applicabilità alle relazioni tra Italia e Svizzera....................................... 6
II. IL PROTOCOLLO DEL 23 FEBBRAIO 2015 TRA ITALIA E SVIZZERA....................................................................................... 7
1. Il previgente articolo 27 della convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Svizzera............................................... 7
2. Confronto fra il novellato articolo 27 della convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Svizzera e l’articolo 26 del
modello OCSE.......................................................................................................................................................................... 7
3. Indicazioni applicative fornite dal Commentario OCSE all’articolo 26 del Modello OCSE.................................................. 10
4. La specifica forma di scambio di informazioni “su richiesta” disciplinata dall’art. 26 del Modello OCSE e dal suo Commentario12
a. La prima fase...................................................................................................................................................................... 12
b. La seconda fase.................................................................................................................................................................. 12
c. La terza fase........................................................................................................................................................................ 12
d. La quarta fase..................................................................................................................................................................... 13
e. La quinta fase...................................................................................................................................................................... 14
III. APPROVAZIONE E ATTUAZIONE IN SVIZZERA DELLA CONVENZIONE DEL CONSIGLIO D’EUROPA E DELL’OCSE SULLA
RECIPROCA ASSISTENZA AMMINISTRATIVA IN MATERIA FISCALE, DELL’ACCORDO SULLO SCAMBIO AUTOMATICO DELLE INFORMAZIONI E DELLA LASSI – SINTESI................................................................................................ 14
1. Premessa e inquadramento storico..................................................................................................................................... 14
2. La posizione della Svizzera in tema di scambio di informazioni.......................................................................................... 16
3. La Convenzione.................................................................................................................................................................. 17
4. L’Accordo sullo scambio automatico e la LASSI.................................................................................................................. 17
5. Lo stato di avanzamento dell’iter legislativo........................................................................................................................ 18
6. La LASSI............................................................................................................................................................................. 18
IV. LA CONVENZIONE..................................................................................................................................................................... 19
1. Storia................................................................................................................................................................................... 19
2. Principi generali................................................................................................................................................................... 19
a. Le riserve............................................................................................................................................................................ 19
b. Facoltà di adozione............................................................................................................................................................. 20
c. Equilibrio degli interessi....................................................................................................................................................... 20
d. Principio di specialità........................................................................................................................................................... 20
e. Principio di reciprocità......................................................................................................................................................... 20
3. Tipi di scambio di informazioni previsti dalla convenzione.................................................................................................. 20
a. Lo scambio su domanda (art. 5 della Convenzione sull’assistenza amministrativa)........................................................... 20
b. Lo scambio spontaneo (art. 7 della Convenzione sull’assistenza amministrativa).............................................................. 21
c. Lo scambio automatico (art. 6 della Convenzione sull’assistenza amministrativa)............................................................. 21
d. Interazioni fra le tre tipologie di scambio di informazioni..................................................................................................... 21
4. Rapporti tra la Convenzione ed altri accordi di collaborazione internazionale.................................................................... 21
5. Altre forme di collaborazione amministrativa previste dalla convenzione............................................................................ 22
6. Riserve e dichiarazioni previste nella Convenzione............................................................................................................ 22
a. Le riserve............................................................................................................................................................................ 22
b. Le dichiarazioni................................................................................................................................................................... 22
V. L’ACCORDO SULLO SCAMBIO AUTOMATICO DELLE INFORMAZIONI RELATIVE A CONTI FINANZIARI.......................... 23
9
1. Premessa e inquadramento storico..................................................................................................................................... 23
2. Oggetto dell’Accordo: lo standard OCSE............................................................................................................................. 25
3. Tempistica di adozione dello standard OCSE in tema di scambio automatico.................................................................... 26
4. Fonti.................................................................................................................................................................................... 26
5. L’NCD e la LASSI................................................................................................................................................................ 26
6. Valutazione dello standard OCSE sullo scambio automatico di informazioni...................................................................... 27
7. Relazione con altri accordi................................................................................................................................................... 27
VI. LA LEGGE FEDERALE CONCERNENTE L’APPLICAZIONE UNILATERALE DELLO STANDARD OCSE SULLO SCAMBIO DI
INFORMAZIONI (LASSI)................................................................................................................................................... 28
1. Sintesi.................................................................................................................................................................................. 28
2. Premessa e inquadramento storico..................................................................................................................................... 28
3. Oggetto................................................................................................................................................................................ 30
4. Confronto con il diritto estero............................................................................................................................................... 30
VII. LE DIRETTIVE IN MATERIA DI TASSAZIONE DEI REDDITI DA RISPARMIO.
LA DIRETTIVA 2011/16 E LA PROPOSTA DI DIRETTIVA COM(2013) 348.
GLI ACCORDI TRA UE E SVIZZERA IN VIGORE E I NEGOZIATI IN CORSO.
10
I. LO SCAMBIO DI INFORMAZIONI AI FINI DELLE IMPOSTE DIRETTE TRA ITALIA-SVIZZERA:
PREMESSA
1. Il Protocollo del 23 febbraio 2015: lo scambio di informazioni “su richiesta” tra Italia e Svizzera
Il 23 febbraio 2015 la consigliera federale svizzera Eveline Widmer-Schlumpf e il ministro delle finanze italiano Pier Carlo
Padoan hanno firmato a Milano un accordo che disciplina una nuova forma di collaborazione tra i due paesi in tema di
cooperazione amministrativa e scambio di informazioni.
Tale accordo si innesta sull’intesa che era stata parafata lo scorso il 19 dicembre 2014 tra i due governi e si compone
di due documenti: (i) il primo modifica la convenzione tra Italia e Svizzera contro le doppie imposizioni del 1976; (ii) il
secondo introduce una roadmap per la prosecuzione del dialogo sulle questioni finanziarie e fiscali.
Oggetto del presente intervento è il primo dei due documenti, cioè il protocollo che, entrando nel dettaglio, ha modificato
l’articolo 27 della convenzione per evitare le doppie imposizioni in essere tra i due Paesi introducendo lo scambio su
richiesta di informazioni “verosimilmente rilevanti” secondo lo standard previsto dall’articolo 26 del modello OCSE di
convenzione contro le doppie imposizioni.
Le informazioni che potranno essere scambiate su richiesta sono quelle relative a dati e circostanze in essere a partire
dal 23 febbraio 2015, fermo restando che le prime istanze di collaborazione potranno essere formulate solo dopo l’entrata in vigore della legge di ratifica da parte dei rispettivi parlamenti.
Per chi accede alla voluntary disclosure, in ogni caso, l’effetto è immediato: gli accertamenti possono retrocedere fino
al 2010 (2009 in caso di omessa dichiarazione), cioè senza il raddoppio dei termini previsto dal dl n. 78/2009, mentre
le sanzioni sul monitoraggio fiscale si applicheranno su cinque anni (2009-2013), non più su 10, e in misura più leggera
rispetto a quella ordinaria prevista per i paesi black list.
2. La Convenzione del Consiglio d’Europa e dell’OCSE sulla reciproca assistenza amministrativa in materia
fiscale: applicabilità alle relazioni tra Italia e Svizzera
Il Consiglio di Europa e l’OCSE hanno formalizzato in maniera armonizzata la prima disciplina sullo scambio di informazioni in materia tributaria nel 1988 tramite la Convenzione del Consiglio d’Europa e dell’OCSE sulla reciproca assistenza
amministrativa in materia fiscale (“Convenzione sull’assistenza amministrativa” o “Convenzione”), aperta alla firma
a Strasburgo in data 25 gennaio 1988.
L’Italia ha sottoscritto e ratificato la Convenzione il 31 gennaio 2006: pertanto, da tale data essa è pienamente efficace
quanto riguarda il nostro Paese.
La Svizzera, a sua volta, ha sottoscritto la Convenzione il 31 gennaio 2006 ma non l’ha ancora ratificata; in data 14 gennaio 2015 ha posto in consultazione il disegno di legge federale concernente l’applicazione, l’approvazione e l’attuazione
della Convenzione sull’assistenza amministrativa: sino alla finalizzazione dell’iter legislativo, pertanto, la Convenzione
non dispiegherà effetti sulle relazioni fra Italia e Svizzera.
La Convenzione sull’assistenza amministrativa in materia fiscale impone e regolamenta lo scambio di informazioni su
“domanda” e quello “spontaneo”; non introduce lo scambio “automatico”, ma prevede che le parti aderenti lo possano
concordare in via bilaterale tra loro.
A tal fine dovrà essere innanzitutto finalizzato l’Accordo multilaterale di cui al paragrafo successivo.
3. L’MCAA e lo scambio di informazioni “automatico”: applicabilità alle relazioni tra Italia e Svizzera
Per effetto della crisi mondiale e della conseguente lotta contro operazioni cross border dirette all’evasione d’imposta ed
all’occultamento di patrimoni, nel 2009 gli Stati del G20 hanno iniziato ad auspicare un generalizzato miglioramento della trasparenza e dello scambio di informazioni in ambito fiscale eleggendo a standard internazionale il già citato articolo
26 del modello di convenzione dell’OCSE, il quale stabilisce che detto scambio possa avvenire: (i) su domanda di uno
Stato contraente – come previsto dal novellato articolo 27 del tax treaty Italia-Svizzera di cui al precedente paragrafo; (ii)
spontaneamente, su iniziativa di uno stato Contraente; (iii) automaticamente, dietro accordo fra Stati contraenti.
L’acuirsi della crisi e l’emanazione di nuove normative ad hoc quali il Foreign Account Tax Compliance Act (“FATCA”)
statunitense, hanno fatto emergere l’esigenza di rendere più stringente la cooperazione amministrativa fra Stati con lo
scopo di far evolvere ed indirizzare lo scambio di informazioni su richiesta verso una condivisa disciplina di scambio
“automatico”.
A tal fine il 19 aprile 2013 i ministri delle finanze e i governatori delle Banche centrali del G20 si sono espressi a favore
dell’introduzione dello scambio “automatico” di informazioni quale nuovo standard in materia di exchange-of-information fiscale ed hanno incaricato l’OCSE di sviluppare uno modello internazionale di riferimento.
Il 15 luglio 2014 il Consiglio dell’OCSE ha approvato uno standard concernente lo scambio automatico di informazioni denominato Multilateral Competent Authority Agreement (“MCAA” o “Accordo multilaterale”), che è stato firmato
dall’Italia il 29 ottobre 2014 e dalla Svizzera 19 novembre 2014, rappresentando l’intenzione di effettuare il primo scambio
di dati automatico a partire dal primo gennaio 2017, per quanto riguarda l’Italia, e dal primo gennaio 2018, per quanto
Strumenti internazionali per lo scambio d’informazioni fiscali tra l’Italia e la Svizzera - Avv. Gianluca Gigantino
11
riguarda la Svizzera.
Sino alla finalizzazione dell’iter legislativo in entrambi Paesi, l’MCAA non dispiegherà effetti sulle relazioni fra Italia e
Svizzera.
II. IL PROTOCOLLO DEL 23 FEBBRAIO 2015 TRA ITALIA E SVIZZERA
1. Il previgente articolo 27 della convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Svizzera
L’articolo 27 del trattato Italia-Svizzera nella sua formulazione anteriore al 23 febbraio 2015 disponeva che in nessun
caso le norme convenzionali potevano “imporre ad uno degli Stati contraenti di adottare misure amministrative in deroga alla sua regolamentazione o alla sua prassi amministrativa ovvero contrarie alla sua sovranità, alla sua sicurezza, ai
suoi interessi generali o all’ordine pubblico oppure fornire informazioni che non possano essere ottenute in base alla
sua propria legislazione o a quella dello Stato che le chiede.”.
Pertanto, sino allo scorso 23 febbraio la Svizzera non era soggetta ad alcun obbligo di exchange-of-information in base
alle norme della Convenzione contro le doppie imposizioni in essere con l’Italia.
Men che meno aveva adottato normative interne a tal fine idonee.
La firma del 23 febbraio 2015 del protocollo di Milano tra la consigliera federale svizzera Eveline Widmer-Schlumpf e il
ministro delle finanze italiano Pier Carlo Padoan assume, pertanto, effetto dirompente, perché allinea l’articolo 27 della
Convenzione fra i due Paesi allo standard sancito dall’articolo 26 del modello OCSE, come illustrato nel paragrafo che
segue.
2. Confronto fra il novellato articolo 27 della convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Svizzera e
l’articolo 26 del modello OCSE
Il testo del novellato articolo 27 della convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Svizzera riproduce fedelmente
il contenuto dell’articolo 26 del modello OCSE, come risulta evidente dalla confronto effettuato nella seguente tabella:
Articolo 27 Trattato Italia Svizzera
Article 26 OECD Model Convention
«Articolo 27 scambio di informazioni
1. Le autorità competenti degli Stati contraenti si scambiano le informazioni verosimilmente rilevanti per applicare le disposizioni della presente
Convenzione oppure per l’amministrazione o l’applicazione del diritto interno relativo alle imposte di qualsiasi natura o denominazione riscosse
per conto degli Stati contraenti, delle loro suddivisioni politiche o enti
locali nella misura in cui l’imposizione prevista non sia contraria alla Convenzione.
Lo scambio di informazioni non è limitato dagli articoli 1 e 2.
Article 26 exchange of information
1. The competent authorities of the Contracting States shall exchange
such information as is foreseeably relevant for carrying out the provisions of this Convention or to the administration or enforcement of the
domestic laws concerning taxes of every kind and description imposed
on behalf of the Contracting States, or of their political subdivisions or
local authorities, insofar as the taxation thereunder is not contrary to the
Convention.
The exchange of information is not restricted by Articles 1 and 2.
2. Le informazioni ricevute ai sensi del paragrafo 1 da uno Stato contraente sono tenute segrete analogamente alle informazioni ottenute in
applicazione della legislazione fiscale di detto Stato e sono comunicate
soltanto alle persone o autorità (compresi i tribunali e le autorità amministrative) che si occupano dell’accertamento o della riscossione delle
imposte di cui al paragrafo 1, delle procedure o dei procedimenti concernenti tali imposte, delle decisioni sui ricorsi presentati per tali imposte, o
del controllo delle attività precedenti.
Tali persone o autorità possono utilizzare le informazioni unicamente per
questi fini.
Esse possono rivelarle nell’ambito di una procedura giudiziaria pubblica
o in una decisione giudiziaria.
Nonostante le disposizioni precedenti, uno Stato contraente può utilizzare ad altri fini le informazioni ricevute, se tali informazioni possono
essere impiegate per tali altri fini secondo la legislazione di entrambi gli
Stati e le autorità competenti dello Stato richiesto ne hanno approvato
l’impiego.
2. Any information received under paragraph 1 by a Contracting State
shall be treated as secret in the same manner as information obtained
under the domestic laws of that State and shall be disclosed only to
persons or authorities (including courts and administrative bodies) concerned with the assessment or collection of, the enforcement or prosecution in respect of, the determination of appeals in relation to the taxes
referred to in paragraph 1, or the oversight of the above.
3. Le disposizioni dei paragrafi 1 e 2 non possono in nessun caso essere
interpretate nel senso d’imporre a uno Stato contraente l’obbligo di:
a. adottare provvedimenti amministrativi in deroga alla sua legislazione
e alla sua prassi amministrativa o a quella dell’altro Stato contraente;
b. fornire informazioni che non possono essere ottenute in virtù della
sua legislazione o nell’ambito della sua prassi amministrativa normale
oppure di quella dell’altro Stato contraente;
c. fornire informazioni che potrebbero rivelare un segreto commerciale,
industriale o professionale oppure procedimenti commerciali o informazioni la cui comunicazione sarebbe contraria all’ordine pubblico.
3. In no case shall the provisions of paragraphs 1 and 2 be construed so
as to impose on a Contracting State the obligation:
a) to carry out administrative measures at variance with the laws and
administrative practice of that or of the other Contracting State;
b) to supply information which is not obtainable under the laws or in the
normal course of the administration of that or of the other Contracting
State;
c) to supply information which would disclose any trade, business, industrial, commercial or professional secret or trade process, or information
the disclosure of which would be contrary to public policy (ordre public).
12
Such persons or authorities shall use the information only for such purposes.
They may disclose the information in public court proceedings or in judicial decisions.
Notwithstanding the foregoing, information received by a Contracting
State may be used for other purposes when such information may be
used for such other purposes under the laws of both States and the
competent authority of the supplying State authorises such use.
Strumenti internazionali per lo scambio d’informazioni fiscali tra l’Italia e la Svizzera - Avv. Gianluca Gigantino
4. Se le informazioni sono richieste da uno Stato contraente in conformità del presente articolo, l’altro Stato contraente usa i poteri a sua disposizione al fine di ottenere le informazioni richieste, anche qualora queste
informazioni non gli siano utili a fini fiscali propri.
L’obbligo di cui al periodo precedente è soggetto alle limitazioni previste
nel paragrafo 3, ma tali limitazioni non possono essere in nessun caso
interpretate nel senso di permettere ad uno Stato contraente di rifiutare
di fornire informazioni solo perché lo stesso non ne ha un interesse ai
propri fini fiscali.
4. If information is requested by a Contracting State in accordance with
this Article, the other Contracting State shall use its information gathering measures to obtain the requested information, even though that other
State may not need such information for its own tax purposes.
The obligation contained in the preceding sentence is subject to the limitations of paragraph 3 but in no case shall such limitations be construed
to permit a Contracting State to decline to supply information solely because it has no domestic interest in such information.
5. In nessun caso le disposizioni del paragrafo 3 devono essere interpretate nel senso che uno Stato contraente può rifiutare di comunicare
informazioni unicamente perché queste sono detenute da una banca, un
altro istituto finanziario, un mandatario o una persona che opera in qualità di agente o fiduciario oppure perché dette informazioni si riferiscono
a diritti di proprietà in una persona.»
5. In no case shall the provisions of paragraph 3 be construed to permit
a Contracting State to decline to supply information solely because the
information is held by a bank, other financial institution, nominee or person acting in an agency or a fiduciary capacity or because it relates to
ownership interests in a person.
Oltre alla modifica dell’articolo 27, l’accordo del 23 febbraio 2015 ha modificato il protocollo “Disposizioni complementare” al trattato Italia-Svizzera come segue, introducendo determinati contenuti previsti nel commentario OCSE nella
versione aggiornata dopo le modifiche apportate dal Consiglio dell’OCSE in data 17 luglio 2012:
Protocollo “Disposizioni complementari”.
OECD Commentary on Article 26
All’atto della firma della convenzione conclusa in data odierna tra la repubblica italiana e la confederazione svizzera per evitare le doppie imposizioni e per regolare talune altre questioni in materia di imposte sul
reddito e sul patrimonio, i sottoscritti plenipotenziari hanno concordato le
seguenti disposizioni complementari che formano parte integrante della
convenzione. Resta inteso:
Articolo II
La seguente nuova lettera viene inserita nel Protocollo aggiuntivo:
«e-bis) che, per quanto concerne l’articolo 27:
(1) lo Stato richiedente deve sfruttare tutte le fonti d’informazione abituali Paragraph 1(9)8a)
previste dalla sua procedura fiscale interna prima di richiedere informazioni;
(2) le autorità fiscali dello Stato richiedente forniscono le seguenti informazioni alle autorità fiscali dello Stato richiesto quando presentano una
richiesta di informazioni secondo l’articolo 27 della Convenzione:
(i) l’identità della persona oggetto del controllo o dell’inchiesta,
Paragraph 1(5)(1)
(ii) il periodo di tempo oggetto della domanda,
Paragraph 4(19)(7)
Paragraph 10(4)
(iii) la descrizione delle informazioni richieste, nonché indicazioni sulla
forma nella quale lo Stato richiedente desidera ricevere tali informazioni
dallo Stato richiesto,
(iv) lo scopo fiscale per cui le informazioni sono richieste,
(v) se sono noti, il nome e l’indirizzo del detentore presunto delle informazioni richieste;
(3) il riferimento a informazioni «verosimilmente rilevanti» ha lo scopo di Paragraph 1(5)
garantire uno scambio di informazioni in ambito fiscale il più ampio pos- Paragraph 1(5)(2)
sibile, senza tuttavia consentire agli Stati contraenti di intraprendere una Paragraph 1(5)(3)
ricerca generalizzata e indiscriminata di informazioni («fishing expedition») o di domandare informazioni la cui rilevanza in merito agli affari fiscali di un determinato contribuente non è verosimile; sebbene il numero
(2) preveda importanti requisiti di tecnica procedurale volti a impedire la
«fishing expedition», i punti da (i) a (v) del numero (2) non devono essere
interpretati in modo da ostacolare uno scambio effettivo di informazioni;
la condizione «verosimilmente rilevante» può essere soddisfatta sia in
casi relativi ad un singolo contribuente (identificato con il nome oppure
altrimenti) sia in casi relativi ad una pluralità di contribuenti (identificati
con il nome oppure altrimenti);
(4) lo scambio automatico d’informazioni relativo ai conti finanziari e lo
scambio spontaneo d’informazioni tra le parti dovranno essere oggetto
di strumenti giuridici separati;
(5) nel caso di uno scambio di informazioni si applicano nello Stato richiesto le norme di procedura amministrativa relative ai diritti del contribuente. Resta inoltre inteso che questa disposizione serve a garantire al
contribuente una procedura regolare e non mira a ostacolare o ritardare
indebitamente gli scambi effettivi di informazioni.»
Strumenti internazionali per lo scambio d’informazioni fiscali tra l’Italia e la Svizzera - Avv. Gianluca Gigantino
13
Articolo III
1. I due Stati contraenti si notificheranno vicendevolmente per via diplomatica che sono adempiuti i presupposti legali interni necessari all’entrata in vigore del presente Protocollo di modifica. Il Protocollo di modifica
entra in vigore quando è stata ricevuta l’ultima di queste notifiche.
2. Le disposizioni del presente Protocollo di modifica sono applicabili alle
domande di informazioni presentate alla data dell’entrata in vigore del
Protocollo di modifica, o dopo tale data, che si riferiscono a fatti e, o,
circostanze esistenti o realizzate il giorno della firma del Protocollo di
modifica, o dopo questa data.
La nuove disposizioni introdotte nel Protocollo sub lettera “e-bis” trovano essenzialmente origine in chiarimenti e specificazioni che sono stati introdotti nel Commentario OCSE dal Consiglio OCSE in data 17 luglio 2012, in sede di modifica
dell’articolo 26.
Posto che per prassi consolidata e giurisprudenza della Suprema Corte, le guidelines del Commentario OCSE costituiscono nel nostro ordinamento uno strumento “interpretativo” delle relazioni bilaterali convenzionali fra Stati aderenti ad
un trattato basato sul modello OCSE, di seguito si illustrano le precisazioni fornite dall’OECD Commentary all’articolo 26
del Modello convenzionale, le quali possono idoneamente rappresentare utili indicazioni ai fini della concreta applicazione del novellato articolo 26 e relativo Protocollo del Trattato Italia-Svizzera.
3. Indicazioni applicative fornite dal Commentario OCSE all’articolo 26 del Modello OCSE
Il Commentario OCSE all’articolo 26 del Modello convenzionale post modifica del 17 luglio 2012 offre, in sintesi, le seguenti indicazioni:
- il concetto di informazioni “verosimilmente rilevanti” (foreseeable relevance) significa che gli Stati contraenti non sono liberi di impegnarsi in fishing expedition, o per richiedere informazioni che è improbabile
che siano rilevanti per questioni fiscali di un determinato contribuente;
- nel contesto dello scambio di informazioni su richiesta, la norma richiede che al momento in cui viene
effettuata una richiesta vi sia una ragionevole possibilità che le informazioni richieste sarà rilevante;
- una richiesta di informazioni non costituisce una fishing expedition per il solo fatto che non fornisce
il nome o l’indirizzo (o entrambi) del contribuente in esame o di indagine; lo stesso vale nel caso in cui i
nomi sono scritti in modo diverso o informazioni su nomi e indirizzi sono presentati con un formato diverso:
questo tema è stato risolto nel novellato articolo 27 tra Italia e Svizzera prevedendo espressamente che sia
resa nota l’”identità” della persona oggetto della richiesta;
- le informazioni scambiabili non sono limitate a quelle specificamente attinenti un singolo contribuente
ma possono riguardare anche tecniche di analisi di rischio fiscale o schemi di evasione;
- le informazioni devono essere fornite nel più breve tempo possibile e, salvo che il ritardo sia dovuto a
ostacoli giuridici, entro i seguenti termini: (A) Qualora le autorità fiscali dello Stato richiesto sono già in possesso delle informazioni richieste, tali informazioni sono fornite all’autorità competente dello Stato contraente entro due mesi dal ricevimento della richiesta di informazioni; (B) Qualora le autorità fiscali dello Stato
richiesto non sono già in possesso delle informazioni richieste, tali informazioni sono fornite all’autorità
competente dello Stato contraente entro sei mesi dal ricevimento della richiesta di informazioni;
-il mantenimento del segreto sulle informazioni scambiate nello Stato ricevente contraente è una questione di ordinamento interno, pertanto le informazioni comunicate ai sensi delle disposizioni della Convenzione saranno tenute segrete nello Stato di accoglienza nello stesso modo in cui lo sono altre informazioni
ottenute in base alla legislazione interna di detto Stato;
- le informazioni ricevute da uno Stato contraente non possono essere comunicate ad un paese terzo a
meno che non vi sia una disposizione espressa nel trattato bilaterale tra gli Stati contraenti che consentono
tale divulgazione;
- in alcuni casi limitati la divulgazione di informazioni finanziarie potrebbe rivelare un’attività commerciale
o industriale soggetta a segretezza: ad esempio, una banca potrebbe tener depositata una domanda di
brevetto in corso per mantenere sicuro o un processo commerciale segreto o una formula potrebbe essere
descritta in una domanda di prestito o in un contratto tenuto presso una banca. In tali circostanze, i dettagli
del commercio, lavoro o altro segreto devono essere stralciati;
- lo Stato richiesto può rifiutare di rivelare informazioni relative alle comunicazioni riservate tra avvocati,
procuratori o altri professionisti ed i loro clienti nella misura in cui tali comunicazioni sono protette dalla
divulgazione ai sensi del diritto interno. Tuttavia, la portata della tutela accordata a tali comunicazioni riservate deve essere intesa restrittivamente e gli stati membri devo concordare una riserva espressa nel testo
convenzionale: così non è stato fatto tra Italia e Svizzera;
- una ulteriore limitazione può essere invocata laddove le informazioni costituiscono un segreto di stato;
- le limitazioni di cui sopra non possono essere utilizzate per impedire lo scambio di informazioni in possesso di banche, istituzioni finanziarie, agenti e fiduciari
4. La specifica forma di scambio di informazioni “su richiesta” disciplinata dall’art. 26 del Modello OCSE e dal
suo Commentario
L’art. 26 del Modello OCSE al paragrafo 1 prevede diverse procedure riguardanti lo scambio di informazioni ed il relativo
14
Strumenti internazionali per lo scambio d’informazioni fiscali tra l’Italia e la Svizzera - Avv. Gianluca Gigantino
Commentario fornisce un’analisi dettagliata dei vari procedimenti esistenti, comprendendo nello specifico lo scambio di
informazioni su richiesta, quello automatico e, infine, quello spontaneo.
Il protocollo tra Italia e Svizzera del 26 febbraio 2015 prevede esclusivamente lo scambio di informazioni su richiesta, ed
è a questa specifica tipologia di exchange-of-information che è dedicato il presente paragrafo.
Lo scambio di informazioni su domanda consiste in una “richiesta” effettuata da uno Stato contraente nei confronti di
un altro Stato contraente in relazione ad informazioni di natura fiscale specifiche relative a un determinato contribuente.
Tali informazioni devono risultare prevedibilmente rilevanti ai fini dell’applicazione della legge interna dello Stato richiedente.
Prima di poter avanzare una richiesta di informazioni, lo Stato richiedente deve già aver utilizzato tutti gli strumenti e i
mezzi di indagine che il proprio ordinamento mette a disposizione al fine di ottenere tali informazioni.
La procedura dello scambio di informazioni si articola in cinque fasi.
a. La prima fase
Si compendia nella predisposizione della richiesta da parte dello Stato applying che deve contenere tutti i dati ed i fatti
rilevanti per comprendere la situazione idi volta in volta in esame (e.g. generalità dei soggetti coinvolti, di eventuali intermediari, motivi e la natura dell’indagine, i periodi di imposta, imposte oggetto di verifica).
b. La seconda fase
Consiste nell’invio della richiesta da parte dello Stato richiedente, che deve essere presentata per iscritto salvo tassativi
casi di urgenza in cui è ammessa la formulazione verbale, comunque da confermarsi per iscritto successivamente.
Generalmente la richiesta viene redatta nella lingua dello Stato che esegue la procedura, alla quale viene di solito inclusa una traduzione nella lingua del Paese ricevente.
Alternativamente può essere prevista la stesura in una terza lingua, solitamente la lingua inglese.
c. La terza fase
Consiste nella ricezione e nel controllo della richiesta.
L’autorità ricevente procede alla verifica della validità e della completezza, accertando che siano soddisfatte le condizioni
stabilite dall’accordo sullo scambio di informazioni, accertando che sia stata posta la firma da parte dell’autorità competente dell’altro Stato e che siano comprese tutte le informazioni necessarie.
La richiesta deve contenere le informazioni che, sulla base delle disposizioni convenzionali e della legislazione interna,
possono essere validamente scambiate, informazioni che devono risultare idonee sia nell’identificazione del contribuente sia nell’inquadramento della richiesta.
Se l’autorità competente valuta la richiesta incompleta notifica alla parte richiedente eventuali carenze nel più breve tempo possibile. Viceversa, se la richiesta viene ritenuta valida e completa, l’autorità competente provvederà alla raccolta
delle informazioni o trasmetterà la richiesta ai funzionari dotati dei poteri di indagine e di acquisizione necessari.
Lo Stato ricevente ha la possibilità di inviare presso gli uffici dell’altro Stato contraente un rappresentante al fine di ottenere chiarimenti in merito alla richiesta inviata.
Il rappresentante potrà presenziare all’interrogazione del contribuente e alla verifica fiscale al fine di garantire una maggiore efficienza alla procedura di recupero delle informazioni.
Ai funzionari locali non è riconosciuta la facoltà di scambiare le informazioni direttamente con i loro corrispondenti
stranieri, facoltà concessa nel caso in cui il funzionario locale abbia ottenuto apposita delega dall’autorità competente
associata ad un da parere favorevole dell’autorità estera.
d. La quarta fase
Riguarda le modalità di raccolta delle informazioni, distinguendole in informazioni già in possesso dell’amministrazione
fiscale del Paese al quale la richiesta è stata inviata ed informazioni che necessitano del ricorso ad appositi strumenti di
acquisizione da parte del medesimo Stato.
Per quanto riguarda la prima tipologia di informazioni, lo Stato può semplicemente accedere al proprio database o a
qualunque altro mezzo a sua disposizione per ottenere le informazioni già in suo possesso, mentre nel caso di informazioni non disponibili si prevede l’attuazione di diversi mezzi di recupero quali ad esempio indagini, interrogazioni, richieste di documentazione, richiesta di produrre testimonianza sotto giuramento, accessi e perquisizioni, eccetera.
In ogni caso, la trasmissione delle informazioni deve avvenire entro e non oltre 90 giorni dal ricevimento della richiesta, la
quale è trattata dal Paese ricevente con la massima priorità, infatti oltre ad essere lo scambio di informazioni obbligatorio,
una rapidità nella risposta aumenta le probabilità di un medesimo trattamento nel caso si verifichi una situazione inversa.
Nel caso in cui la trasmissione non può avvenire entro il termine suddetto, l’autorità competente deve comunicare il ritardo e le ragioni che le impediscono la puntuale evasione delle informazioni.
Il termine viene così esteso ai 90 giorni successivi, tuttavia se ciò non risulta ancora possibile si presume il solo invio di
un report sullo stato di acquisizione delle informazioni.
e. La quinta fase
Riguarda la risposta basata delle informazioni acquisite.
E’ facoltà dello Stato richiesto di informare il contribuente in relazione alla richiesta di informazioni che verrà evasa a suo
conto.
Lo Stato ricevente deve valutare la completezza e la validità delle informazioni che gli sono state trasmesse, verificando
la presenza di determinati elementi quali: la fonte giuridica sulla quale si fonda la richiesta, le informazioni che sono state
fornite individuando anche quelle che non erano state richieste ma che sono state ugualmente inviate in quanto ritenute
rilevanti, le ragioni riguardanti le informazioni richieste non trasferite, le modalità di acquisizione delle informazioni, i
Strumenti internazionali per lo scambio d’informazioni fiscali tra l’Italia e la Svizzera - Avv. Gianluca Gigantino
15
periodi di imposta per i quali le informazioni sono state fornite, eccetera.
Nella risposta può essere richiesto un feedback sull’utilità delle informazioni, segnando così il passaggio all’ultima fase
del processo.
III. APPROVAZIONE E ATTUAZIONE IN SVIZZERA DELLA CONVENZIONE DEL CONSIGLIO
D’EUROPA E DELL’OCSE SULLA RECIPROCA ASSISTENZA AMMINISTRATIVA IN MATERIA
FISCALE, DELL’ACCORDO SULLO SCAMBIO AUTOMATICO DELLE INFORMAZIONI E DELLA
LASSI – SINTESI
1. Premessa e inquadramento storico
Per effetto della crisi mondiale e della conseguente lotta contro operazioni cross border dirette all’evasione d’imposta ed
all’occultamento di patrimoni, nel 2009 gli Stati del G20 hanno iniziato a indicare un generalizzato miglioramento della
trasparenza e dello scambio di informazioni in ambito fiscale, che, in linea di principio, può avvenire: (i) su domanda di
uno Stato contraente; (ii) spontaneamente, su iniziativa di uno stato Contraente; (iii) automaticamente, dietro accordo
fra Stati contraenti.
Questa richiesta del G20 ha fatto sì che lo scambio di informazioni su domanda secondo l’articolo 26 del Modello di
convenzione dell’OCSE diventasse lo standard internazionale e che il Forum globale fosse incaricato di sorvegliarne
l’attuazione.
Il 18 marzo 2010, gli Stati Uniti hanno introdotto la normativa denominata Foreign Account Tax Compliance Act (“FATCA”), volta inter alia ad ottenere informazioni da parte di istituti finanziari esteri sui rapporti bancari e sui dossier titoli
intestati a soggetti statunitensi.
Il 19 aprile 2013 i ministri delle finanze e i governatori delle Banche centrali del G20 si sono espressi a favore dell’introduzione dello scambio automatico di informazioni quale nuovo standard in materia di exchange-of-information fiscale.
L’OCSE è stato incaricato di sviluppare uno standard internazionale per lo scambio automatico di informazioni che è
stato approvato il 15 luglio 2014 dal Consiglio dell’OCSE ed è composto inter alia dei seguenti elementi:
1.
un modello di accordo multilaterale tra autorità competenti concernente lo scambio automatico di informazioni (Multilateral Competent Authority Agreement, “MCAA” o “Accordo multilaterale”), firmato il 29
ottobre 2014 da 51 Stati e dalla Svizzera 19 novembre 2014;
2.
la norma comune di dichiarazione e di ragionevole diligenza per le informazioni sui conti finanziari (“NCD”,
basata fondamentalmente sul Modello FATCA), allegata all’MCAA in vista della sua trasposizione nel diritto
interno dei Paesi aderenti.
In occasione dell’assemblea annuale plenaria del mese di ottobre del 2014, gli Stati membri del Forum globale sono
stati invitati a rendere noto se ed entro quale termine intendessero attuare lo standard OCSE sullo scambio automatico
di informazioni; tali informazioni sono confluite successivamente nel rapporto annuale del Forum in cui i Paesi aderenti
sono suddivisi nelle seguenti categorie: (i) Giurisdizioni che intendono effettuare il primo scambio di dati nel 2017; (ii)
Giurisdizioni che intendono effettuare il primo scambio di dati nel 2018 e (iii) Giurisdizioni che non hanno ancora comunicato se e quando intendono attuare lo standard, come si seguito indicato:
Giurisdizioni che intendono effettuare il primo scambio di dati nel 2017
Anguilla, Argentina, Barbados, Belgio, Bermuda, Isole Vergini Britanniche, Cile, CuraÇao, Dani- marca, Germania, Repubblica dominicana, Estonia,
Finlandia, Francia, Gibilterra, Grecia, Guernsey, India, Isola di Man, Irlanda, Islanda, ITALIA, Jersey, Isole Cayman, Colombia, Croazia, Lettonia,
Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Malta, Maurizio, Messico, Montserrat, Paesi Bassi, Niue, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania, San Marino, Seicelle, Svezia, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Sudafrica, Corea del Sud, Trinidad e Tobago, Repubblica ceca, Isole Turks e Caicos, Ungheria,
Uruguay, Regno Unito, Cipro
Giurisdizioni che intendono effettuare il primo scambio di dati nel 2018
Andorra, Antigua e Barbuda, Aruba, Australia, Bahamas, Belize, Brasile, Brunei Darussalam, Cina, Costa Rica, Grenada, Hong Kong (Cina), Indonesia, Israele, Giappone, Canada, Qatar, Isole Marshall, Macao (Cina), Malaysia, Monaco, Nuova Zelanda, Austria, Russia, Samoa, Arabia Saudita,
SVIZZERA, Singapore, Saint-Martin, Saint Kitts e Nevis, Saint Vincent e Grenadine, Santa Lucia, Turchia, Emirati arabi uniti
Giurisdizioni che non hanno ancora comunicato se e quando intendono attuare lo standard sullo scambio automatico di informazioni
Bahrain, Isole Cook, Nauru, Panama, Vanuatu
L’attuazione dello standard sullo scambio automatico di informazioni segue modalità diverse in ogni Stato poiché, tra l’altro, determinate convenzioni contro le doppie imposizioni (“CDI”) già prevedono clausole ad hoc per attivare lo scambio
automatico di informazioni.
Così non è per la Svizzera, le cui CDI e accordi sullo scambio di informazioni in materia fiscale (Tax Information Exchange Agreements,“TIEAs”) non prevedono lo scambio automatico di informazioni.
2. La posizione della Svizzera in tema di scambio di informazioni
Il 13 marzo 2009 il Consiglio federale ha deciso di ritirare la riserva all’articolo 26 del Modello di convenzione dell’OCSE
assoggettandosi alle periodiche peer reviews in tema di rispetto dello standard internazionale in materia di scambio di
informazioni.
16
Strumenti internazionali per lo scambio d’informazioni fiscali tra l’Italia e la Svizzera - Avv. Gianluca Gigantino
Nel quadro della prima fase della peer review, svoltasi nel mese di giugno del 2011, il Forum globale ha rivolto alla
Svizzera numerose raccomandazioni tra cui quella di adeguare le proprie CDI allo standard in materia di scambio di
informazioni.
La Svizzera, a sua volta, in risposta:
- ha riveduto numerose CDI esistenti e ha concluso nuove CDI e TIEAs che prevedono un’assistenza
amministrativa secondo lo standard OCSE;
- il 14 gennaio 2015 ha posto in consultazione il disegno di legge federale concernente l’applicazione l’approvazione e l’attuazione della Convenzione del Consiglio d’Europa e dell’OCSE sulla reciproca assistenza
amministrativa in materia fiscale (“Convenzione sull’assistenza amministrativa” o “Convenzione”);
- il 14 gennaio 2015 ha posto in consultazione il disegno della legge federale concernente l’approvazione
dell’Accordo multilaterale e relativa NCD;
poiché l’MCAA e la NCD contengono le basi di diritto materiale dello scambio di informazioni ma non
sono esaustivamente dettagliate e direttamente applicabili, si è necessaria l’adozione di una legge federale
di accompagnamento ad hoc: il 22 ottobre 2014 ha posto in consultazione il disegno della legge federale
concernente l’applicazione unilaterale dello standard OCSE sullo scambio di informazioni (“LASSI”).
Queste misure sono complementari.
La Svizzera attualmente può scambiare informazioni su domanda sulla base di CDI e TIEAs con 44 Stati e territori conformi allo standard (stato: 2 dicembre 2014).
Con la LASSI la Svizzera può rendere la propria rete di CDI unilateralmente conforme allo standard.
Nel caso della LASSI, si tratta di una misura transitoria, poiché accordi bilaterali sono da preferirsi a soluzioni unilaterali
e pertanto la Svizzera continuerà ad adoperarsi per la revisione delle CDI esistenti con questi Stati.
Con la Convenzione sull’assistenza amministrativa la Svizzera può aumentare ulteriormente il numero degli Stati con i
quali può scambiare informazioni su domanda conformemente allo standard, poiché con determinati Stati firmatari della
Convenzione sull’assistenza amministrativa non ha concluso CDI o TIEAs.
In conclusione, la Convenzione e la LASSI, nelle versioni sottoposte a consultazione, consentirebbero oggi alla Svizzera
di scambiare informazioni su domanda con 127 Stati e territori (stato: 2 dicembre 2014).
3. La Convenzione
La Svizzera ha firmato la Convenzione il 15 ottobre 2013.
Essa è applicabile alle imposte sul reddito, sono esclusi le imposte sulle successioni e sulle donazioni, le imposte sui
beni immobili, le imposte indirette e i contributi previdenziali.
La Convenzione sull’assistenza amministrativa in materia fiscale impone e regolamenta:
- lo scambio di informazioni su domanda, che corrisponde allo standard dell’OCSE ripreso dalla Svizzera
nel 2009 e che da allora figura in numerose convenzioni per evitare le doppie imposizioni e TIEAs;
- lo scambio spontaneo, mediante il quale le informazioni non vengono trasmesse previa domanda bensì
quando lo Stato che le fornisce suppone che informazioni già disponibili possono essere interessanti per
un altro Stato.
4. L’Accordo sullo scambio automatico e la LASSI
La Convenzione sull’assistenza amministrativa non introduce lo scambio automatico di informazioni ma prevede che le
Parti lo possano concordare.
Ciò presuppone inter alia che sia finalizzato l’Accordo multilaterale che è stato firmato dalla Svizzera il 19 novembre 2014
e che, in termini di iter legislativo, è oggetto di un avamprogetto separato.
In termini di fonti del diritto, la Convenzione sull’assistenza amministrativa in materia fiscale il prerequisito per l’introduzione dello scambio automatico di informazioni basato sull’MCAA.
L’MCAA e la allegata NCD contengono le basi di diritto materiale dello scambio di informazioni, tuttavia non tutte le loro
disposizioni sono esaustivamente dettagliate e direttamente applicabili, per cui è necessaria l’adozione di una legge federale di accompagnamento ad hoc sullo scambio automatico internazionale di informazioni in materia fiscale, la LASSI.
5. Lo stato di avanzamento dell’iter legislativo
Il 14 gennaio 2015 il Consiglio federale ha incaricato il Dipartimento federale delle finanze (“DFF”) di effettuare presso
i Cantoni, i partiti politici, le associazioni mantello nazionali dei Comuni, delle Città e delle Regioni di montagna, le associazioni mantello nazionali dell’economia e gli altri ambienti interessati una procedura di consultazione concernente:
- l’approvazione e l’attuazione della Convenzione;
- l’approvazione dell’Accordo multilaterale.
6. La LASSI
Il 19 febbraio 2014 il Consiglio federale ha deciso di applicare unilateralmente lo scambio di informazioni su domanda
secondo lo standard OCSE a tutti gli Stati e territori con cui è in vigore una convenzione per evitare le doppie imposizioni
le cui disposizioni relative allo scambio di informazioni non corrispondono più allo standard internazionale.
Lo standard OCSE è fissato nell’articolo 26 del Modello di convenzione dell’OCSE per evitare le doppie imposizioni in
materia di imposte sul reddito e sul patrimonio nella sua versione del 15 luglio 2012 (Modello OCSE) nonché nel relativo
commentario.
Il Consiglio federale ha incaricato il Dipartimento federale delle finanze di elaborare il relativo avamprogetto.
A tal fine è stata riveduta legge del 28 settembre 2013 sull’assistenza amministrativa fiscale (“LAAF”) introducendo una
disposizione relativa all’eccezione dall’informazione di persone interessate da una domanda di assistenza amministraStrumenti internazionali per lo scambio d’informazioni fiscali tra l’Italia e la Svizzera - Avv. Gianluca Gigantino
17
tiva.
Nel mese di luglio del 2014 la Svizzera è stata autorizzata a presentare un rapporto supplementare alla prima fase della
peer review in vista della successiva entrata in vigore il 1° agosto 2014 della LAAF riveduta.
Sulla base di questo rapporto, che verrà discusso dal gruppo di peer review del Forum globale nel mese di febbraio del
2015, si valuterà se la Svizzera soddisfa le condizioni per passare alla seconda fase della peer review.
IV. LA CONVENZIONE
1. Storia
La Convenzione sulla reciproca assistenza amministrativa in materia fiscale è nata nel 1988 ed è entrata in vigore per i
primi cinque Stati (Danimarca, Stati Uniti d’America, Finlandia, Norvegia e Svezia) il 1° aprile 1995.
Nel 2009 la Convenzione sull’assistenza amministrativa è stata riveduta per adeguarla agli sviluppi internazionali e per
consentire agli Stati non membri del Consiglio d’Europa o dell’OCSE di aderirvi.
Il Protocollo di modifica è entrato in vigore il 1° giugno 2011: ai fini del presente intervento, per “assistenza amministrativa” si intende pertanto la disciplina dettata dalla Convenzione sull’assistenza amministrativa riveduta dal Protocollo di
modifica del 1° giugno 2011.
Negli ultimi anni sia gli Stati del G20 che gli Stati membri dell’OCSE hanno volto un appello generalizzato finalizzato
all’adesione alla Convenzione.
In seguito a questo appello, il numero degli Stati che hanno firmato la Convenzione sull’assistenza amministrativa è
aumentato a 69.
La Convenzione è già entrata in vigore in 43 Paesi (data di riferimento: 4 dicembre 2014).
Tra gli Stati firmatari rientrano tutti gli Stati del G20 e gli Stati membri dell’OCSE ad eccezione di Israele.
Inoltre, negli ultimi due anni il campo di applicazione della Convenzione è stato esteso a 15 territori d’oltremare1 e alle
dipendenze della Corona britannica nonché ai territori dei Paesi Bassi e della Danimarca.
In virtù del sostegno di cui gode tale Convenzione da parte del G20, dell’OCSE e della vasta platea di Stati firmatari,
l’adesione ad essa è diventata lo standard nella collaborazione internazionale sulle questioni fiscali.
Per quanto riguarda la Svizzera, il 9 ottobre 2013 il Consiglio federale ha deciso di firmare tale Convenzione; la firma è
stata apposta il 15 ottobre 2013 presso la sede dell’OCSE a Parigi.
2. Principi generali
a. Le riserve
La struttura modulare della Convenzione sull’assistenza amministrativa e la possibilità di presentare determinate riserve
consentono agli Stati di escludere determinati tipi di collaborazione e di impostare l’ambito di validità nei singoli casi; gli
Stati possono decidere individualmente a quale forme di collaborazione aderire: lo scambio di informazioni su domanda
e lo scambio spontaneo di informazioni sono obbligatori e non possono essere oggetto di riserve mentre lo scambio
automatico può essere oggetto di riserve.
b. Facoltà di adozione
Gli ordinamenti giuridici delle Parti sono espressamente rispettati; nessuno Stato può essere obbligato ad adottare misure contrarie alla propria legislazione.
c. Equilibrio degli interessi
Un principio generale della Convenzione sull’assistenza amministrativa in materia fiscale è l’equilibrio tra gli interessi
delle autorità fiscali e la protezione giuridica dei contribuenti: si applicano sia le prescrizioni in materia di segretezza dello
Stato richiedente sia quelle dello Stato interrogato.
d. Principio di specialità
In linea di massima il principio di specialità è garantito: un uso delle informazioni per fini diversi da quelli inizialmente
previsti è consentito solo previa autorizzazione esplicita dello Stato che ha trasmesso le informazioni.
e. Principio di reciprocità
Il principio generale della Convenzione sull’assistenza amministrativa sottostà al principio di reciprocità: nessuna Parte
può richiedere un’assistenza amministrativa per imposte per le quali essa non la fornisce; parimenti, una Parte può richiedere assistenza amministrativa solo nelle forme in cui essa la fornisce.
3. Tipi di scambio di informazioni previsti dalla convenzione
La Convenzione sull’assistenza amministrativa prevede tre tipi di scambio di informazioni: lo scambio su domanda, lo
scambio spontaneo e lo scambio automatico.
a. Lo scambio su domanda (art. 5 della Convenzione sull’assistenza amministrativa)
Le informazioni sono trasmesse a seguito di domanda di un altro Stato.
Il contenuto e la portata di questa forma di collaborazione obbligatoria corrispondono allo standard dell’OCSE come è
stabilito nell’articolo 26 del Modello di convenzione dell’OCSE sulle doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito
e sulla sostanza e nel relativo commentario.
La Svizzera ha già convenuto con numerosi Stati partner una clausola per lo scambio di informazioni fiscali conforme
allo standard in CDI e TIEAs2.
1
Si tratta di Anguilla, Aruba, Bermuda, Curaçao, Gibilterra, Groenlandia, Guernsey, Isola di Man, Isole Faeröer, Isole Vergini Britanniche,
Isole Cayman, Isole di Turks e Caicos, Jersey, Montserrat e Saint Martin.
2
Complessivamente vi rientrano 34 partner: Albania, Anguilla, Arabia Saudita, Aruba, Azerbaigian, Belize, Bermuda, Brasile, Isole Vergini
Britanniche, Camerun, Cile, Costa Rica, Croazia, Curaçao, Filippine, Gabon, Georgia, Gibilterra, Guatemala, Indonesia, Isole Cayman, Italia, Lettonia,
Liechtenstein, Lituania, Marocco, Moldavia, Monaco, Montserrat, Nuova Zelanda, Nigeria, St. Martin, Sudafrica, Tunisia nonché le Isole di Turks e
18
Strumenti internazionali per lo scambio d’informazioni fiscali tra l’Italia e la Svizzera - Avv. Gianluca Gigantino
b. Lo scambio spontaneo (art. 7 della Convenzione sull’assistenza amministrativa)
In tale caso, le informazioni non vengono trasmesse previa domanda, ma quando lo Stato che le trasmette suppone che
informazioni già disponibili possono essere interessanti per un altro Stato.
Costituisce una nuova forma di collaborazione per la Svizzera.
c. Lo scambio automatico (art. 6 della Convenzione sull’assistenza amministrativa)
Le informazioni sono trasmesse sistematicamente a intervalli regolari a un altro Stato; per attivare lo scambio automatico
di informazioni occorre la finalizzazione del citato MCAA, che, come innanzi ricordato, è stato firmato dalla Svizzera il
19 novembre 2014 e, in termini di iter legislativo, è oggetto di un avamprogetto separato rispetto a quello che interessa
la Convenzione.
d. Interazioni fra le tre tipologie di scambio di informazioni
I tre tipi di scambio di informazioni si completano: spesso un’informazione trasmessa spontaneamente o automaticamente costituisce il punto di partenza di una domanda di assistenza amministrativa.
Tipicamente, l’autorità fiscale dello Stato che ha ricevuto le informazioni avvia un’indagine e constata che ha bisogno
di ulteriori informazioni per valutare definitivamente il caso: per poterle ottenere, può presentare domanda di assistenza
amministrativa allo Stato che le ha fornito le prime informazioni.
4. Rapporti tra la Convenzione ed altri accordi di collaborazione internazionale
La Svizzera ha concluso numerosi accordi di collaborazione internazionale in materia fiscale (e.g. CDI, TIEAs, l’accordo
sulla fiscalità del risparmio tra la Svizzera e l’UE, accordo antifrode tra la Svizzera e l’UE).
I diversi accordi coesistono e la Convenzione non preclude la possibilità di fornire assistenza amministrativa in base ad
altri accordi esistenti o futuri (cfr. spiegazioni relative all’articolo 27 della Convenzione sull’assistenza amministrativa).
Con riferimento all’obbligo di accordare assistenza amministrativa su domanda, in linea di principio i due accordi sono
equivalenti poiché entrambi si basano sullo standard OCSE (cfr. spiegazioni relative all’art. 5 della Convenzione sull’assistenza amministrativa).
Possono invece esserci delle differenze per quanto riguarda la durata dell’applicabilità dello scambio delle informazioni
e le imposte considerate nella Convenzione.
Gli Stati che presentano una domanda di informazioni alla Svizzera devono indicare ogni volta su quale principio giuridico si basa la domanda.
Con la Convenzione sull’assistenza amministrativa la Svizzera si impegna per la prima volta a scambiare informazioni
spontaneamente, poiché le CDI e i TIEAs non prevedono oggi alcuno scambio spontaneo.
5. Altre forme di collaborazione amministrativa previste dalla convenzione
Oltre allo scambio di informazioni, la Convenzione sull’assistenza amministrativa prevede altre forme di assistenza
amministrativa in materia fiscale: controlli fiscali simultanei (cfr. art. 8 della Convenzione), controlli fiscali all’estero (cfr.
art. 9 della Convenzione), assistenza amministrativa per il recupero di crediti fiscali (cfr. art. 11 della Convenzione), compresi i provvedimenti conservativi (cfr. art. 12 della Convenzione) nonché l’assistenza amministrativa per la notifica di
documenti (cfr. art. 17 della Convenzione) o la notifica diretta di documenti (cfr. art. 17 par. 3 della Convenzione).
Queste ulteriori forme di collaborazione non devono essere adottate obbligatoriamente e potranno essere escluse in
sede di finalizzazione dell’iter parlamentare mediante lo strumento della riserva e della dichiarazione, di seguito illustrati.
6. Riserve e dichiarazioni previste nella Convenzione
La Convenzione sull’assistenza amministrativa prevede che le Parti possano presentare riserve e dichiarazioni.
a. Le riserve
Sono elencate esaustivamente nell’articolo 30: possono essere presentate alla firma, al deposito della ratifica o qualsiasi
momento successivo; è prassi presentarle al momento della ratifica.
Oltre allo scambio di informazioni, la Convenzione prevede altre forme di assistenza amministrativa: per quanto concerne l’assistenza in materia di esecuzione e l’assistenza nella notifica di documenti, il Consiglio federale propone di
escludere queste altre forme introducendo due riserve.
Con una riserva supplementare si intende limitare la durata dell’applicabilità della Convenzione per reati fiscali.
b. Le dichiarazioni
La possibilità di presentare una dichiarazione è prevista nell’articolo 4 paragrafo 3 e nell’articolo 9 paragrafo 3 della
Convenzione: una dichiarazione ha lo scopo di informare gli altri Stati su una determinata prassi.
Le riserve e le dichiarazioni proposte dal Consiglio federale sono illustrate negli specifici articoli cui esse si riferiscono.
Il Consiglio federale propone, in particolare, di fare due dichiarazioni.
In primo luogo, la Svizzera informerà le persone interessate sull’imminente scambio di informazioni su domanda e sullo
scambio spontaneo di informazioni: in questo modo si garantirà che la regolamentazione esistente della LAAF venga
mantenuta.
In secondo luogo, la Svizzera non darà seguito a domande di autorità estere al fine di effettuare controlli fiscali in Svizzera: l’esecuzione di un controllo fiscale in Svizzera richiede in linea di principio un’autorizzazione che attualmente il diritto
svizzero non prevede.
Caicos (stato: 2 dicembre 2014).
Strumenti internazionali per lo scambio d’informazioni fiscali tra l’Italia e la Svizzera - Avv. Gianluca Gigantino
19
V. L’ACCORDO SULLO SCAMBIO AUTOMATICO DELLE INFORMAZIONI RELATIVE A CONTI
FINANZIARI
1. Premessa e inquadramento storico
Come innanzi osservato, per effetto della crisi mondiale e della conseguente lotta contro operazioni cross border dirette
all’evasione d’imposta ed all’occultamento di patrimoni, nel 2009 gli Stati del G20 hanno iniziato a indicare un generalizzato miglioramento della trasparenza e dello scambio di informazioni in ambito fiscale, che, in linea di principio, può
avvenire: (i) su domanda di uno Stato contraente; (ii) spontaneamente, su iniziativa di uno stato Contraente; (iii) automaticamente, dietro accordo fra Stati contraenti.
Questa richiesta del G20 ha fatto sì che lo scambio di informazioni su domanda secondo l’articolo 26 del Modello di
convenzione dell’OCSE diventasse lo standard internazionale e che il Forum globale fosse incaricato di sorvegliarne
l’attuazione.
Il 18 marzo 2010, gli Stati Uniti hanno introdotto la normativa denominata Foreign Account Tax Compliance Act (“FATCA”), volta inter alia ad ottenere informazioni da parte di istituti finanziari esteri sui rapporti bancari e sui dossier titoli
intestati a soggetti statunitensi.
Il 19 aprile 2013 i ministri delle finanze e i governatori delle Banche centrali del G20 si sono espressi a favore dell’introduzione dello scambio automatico di informazioni quale nuovo standard in materia di exchange-of-information fiscale.
L’OCSE è stato incaricato di sviluppare uno standard internazionale per lo scambio automatico di informazioni che è
stato approvato il 15 luglio 2014 dal Consiglio dell’OCSE ed è composto inter alia dei seguenti elementi:
1. un accordo multilaterale tra autorità competenti concernente lo scambio automatico di informazioni
(Multilateral Competent Authority Agreement, “MCAA” o “Accordo multilaterale”), firmato il 29 ottobre
2014 da 51 Stati e dalla Svizzera 19 novembre 2014;
2. la norma comune di dichiarazione e di ragionevole diligenza per le informazioni sui conti finanziari
(“NCD”, basata fondamentalmente sul Modello FATCA), allegata all’MCAA in vista della sua trasposizione
nel diritto interno dei Paesi aderenti.
In occasione dell’assemblea annuale plenaria del mese di ottobre del 2014, gli Stati membri del Forum globale sono
stati invitati a rendere noto se ed entro quale termine intendessero attuare lo standard OCSE sullo scambio automatico
di informazioni; tali informazioni sono confluite successivamente nel rapporto annuale del Forum in cui i Paesi aderenti
sono suddivisi nelle seguenti categorie: (i) Giurisdizioni che intendono effettuare il primo scambio di dati nel 2017; (ii)
Giurisdizioni che intendono effettuare il primo scambio di dati nel 2018 e (iii) Giurisdizioni che non hanno ancora comunicato se e quando intendono attuare lo standard.
Alcuni di essi hanno comunicato di voler effettuare il primo scambio automatico di informazioni nel 2017, altri, tra cui la
Svizzera, nel 2018, fatte salve le procedure legislative interne.
Per quanto riguarda la Svizzera, come già anticipato lo stato di avanzamento dell’iter legislativo concernente l’Accordo
multilaterale è il seguente:
- l’articolo 6 della Convenzione firmata il 15 ottobre 2013 prevede che in determinati casi e secondo le
procedure determinate di comune accordo, due o più Parti si scambino automaticamente informazioni:
esso costituisce la fonte in termini di diritto internazionale per lo scambio automatico di informazioni e deve
essere implementato attraverso un apposito accordo attuativo;
- nel mese di ottobre del 2014 il Consiglio federale ha comunicato al Forum globale OCSE che la Svizzera
intende introdurre le basi giuridiche necessarie all’attuazione dello standard nei tempi previsti, affinché gli
istituti finanziari svizzeri possano iniziare a rilevare i dati dei conti dei contribuenti residenti all’estero nel
2017 ed effettuare il primo scambio di dati nel 2018;
- l’8 ottobre 2014, previa consultazione delle commissioni parlamentari competenti e dei Cantoni, il Consiglio federale ha adottato mandati di negoziazione con gli Stati partner volti a introdurre lo standard dell’OCSE articolati sui seguenti punti principali:
a)
negoziazione a livello UE in tema di introduzione dello scambio automatico di informazioni;
b)
negoziazione con gli USA di un accordo basato sul modello FATCA;
c)
negoziazione di accordi di scambio automatico di informazioni con altri Paesi con cui
esistono strette relazioni economiche e politiche;
- l’Accordo multilaterale costituisce lo strumento che consente di attuare lo standard sullo scambio automatico di informazioni conformemente all’articolo 6 della Convenzione sull’assistenza amministrativa:
l’MCAA attuativo è stato firmato dalla Svizzera il 19 novembre 2014 e prevede che siano scambiate informazioni ottenute conformemente alle regole definite nella NCD quale parte integrante dello standard sullo
scambio automatico di informazioni;
- l’MCC e la allegata NCD sono state sottoposte a procedura di consultazione in data 14 gennaio 2015;
- l’MCAA e la NCD che contengono le basi necessarie ad attuare lo scambio di informazioni tra la Svizzera e le Giurisdizioni partner devono essere implementate tramute una apposita legge federale sullo
scambio automatico internazionale di informazioni in materia fiscale, la LASSI;
- l’attivazione bilaterale dello standard con una determinata Giurisdizione deve essere sottoposta separatamente all’Assemblea federale per approvazione.
20
Strumenti internazionali per lo scambio d’informazioni fiscali tra l’Italia e la Svizzera - Avv. Gianluca Gigantino
Lo scambio automatico di informazioni viene introdotto sulla base della Convezione sull’assistenza amministrativa,
dell’Accordo multilaterale e dell’attivazione bilaterale dello scambio automatico attraverso la notifica al segretariato
dell’Organo dell’OCSE, che supporta l’organo di coordinamento conformemente all’art. 24 comma 3 della Convenzione.
2. Oggetto dell’Accordo: lo standard OCSE
Oggetto dello standard OCSE è uno scambio automatico di informazioni a intervalli regolari tra due Giurisdizioni su conti
e dossier che una persona fisica o giuridica residente fiscalmente in una determinata Giurisdizione detiene presso un
istituto finanziario situato in un’altra Giurisdizione.
Lo standard individua le informazioni oggetto dello scambio e definisce le relative modalità applicative. Si tratta, in particolare, di informazioni su conti e redditi (interessi, dividendi, proventi da vendite e altri ricavi) come pure sull’identità delle
persone beneficiarie di valori patrimoniali.
Oltre a definire il concetto di istituto finanziario dichiarante, lo standard prevede specifiche regole per l’identificazione del
cliente e disposizioni in materia di protezione dei dati in applicazione del principio di specialità.
3. Tempistica di adozione dello standard OCSE in tema di scambio automatico
Il 29 ottobre 2014 hanno firmato l’MCAA 51 Giurisdizioni3 di cui 48 hanno comunicato l’intenzione di effettuare il primo
scambio nel 2017 ed altre 3 nel 2018.
La Svizzera ha firmato l’Accordo il 19 novembre 2014, comunicando l’intenzione di effettuare il primo scambio di dati
automatico nel 2018, fatta salva la procedura di approvazione interna.
4. Fonti
In termini di diritto internazionale, la fonte dell’MCAA è costituita dall’articolo 6 della Convenzione sull’assistenza amministrativa, secondo cui due o più Parti, per talune categorie di casi e secondo le procedure determinate di comune
accordo, si scambiano automaticamente informazioni.
L’approvazione dell’MCAA segue procedure diverse nelle varie Giurisdizioni.
Affinché possa essere attuato efficacemente, lo scambio automatico deve essere concluso bilateralmente tra le singole
Giurisdizioni e attivato mediante notifica al segretariato dell’Organo di coordinamento nel rispetto dei seguenti requisiti:
a. entrambe le Giurisdizioni devono aver efficacemente adottato la Convenzione sull’assistenza amministrativa;
b. entrambe le Giurisdizioni devono aver firmato l’MCAA;
c. entrambe le Giurisdizioni devono essere idonee ad attuare lo standard;
d. entrambe le Giurisdizioni devono aver comunicato al segretariato dell’Organo di coordinamento di essere interessate a uno scambio automatico di informazioni con l’altra Giurisdizione.
L’MCAA prevede che, al momento della firma, ogni Giurisdizione comunichi il momento a partire dal quale intende attuare lo standard; condizione affinché lo standard sia vincolante è il soddisfacimento dei quattro requisiti elencati sub
a), b), c) e d).
5. L’NCD e la LASSI
L’MCAA prevede che siano scambiate informazioni ottenute conformemente alla NCD (sez. 2 par. 1.1 MCAA).
Come già anticipato, l’espressione “Norma comune di dichiarazione” designa la norma di scambio automatico di informazioni sui conti finanziari in materia fiscale (Commentari inclusi) elaborata dall’OCSE con i Paesi del G20 (sez. 1 par.
1 lett. f MCAA).
La procedura prevede che le Giurisdizioni firmatarie dell’MCAA recepiscano la NCD nei rispettivi ordinamenti nazionali:
per questa ragione, la NCD è stata allegata all’MCAA, con cui deve essere sottoposta all’Assemblea federale della Svizzera per approvazione (cfr. art. 6 cpv. 1 LSAI).
Il contenuto della NCD definisce in dettaglio chi ha il diritto di ottenere quale tipo di informazioni e su quali conti (cfr. sez.
I NCD) ed è sostanzialmente basato sul modello FATCA.
L’MCAA e la NCD disciplinano le basi di diritto materiali per lo scambio automatico di informazioni tra la Svizzera e le
Giurisdizioni partner.
Tuttavia, non tutte le disposizioni sono esaustivamente dettagliate, deducibili in giudizio e direttamente applicabili: per
questa ragione, è necessaria l’adozione di una legge federale d’accompagnamento, la LASSI.
6. Valutazione dello standard OCSE sullo scambio automatico di informazioni
La decisone del Consiglio federale di attuare lo standard OCSE sullo scambio automatico di informazioni si inserisce
nella sua strategia volta al mantenimento di una piazza finanziaria svizzera competitiva nel rispetto degli standard internazionali in ambito fiscale.
Il Consiglio federale si è adoperato nell’ambito dello sviluppo dello standard affinché soddisfacesse requisiti elevati per
quanto concerne le disposizioni in materia di protezione dei dati e il principio di specialità, assicurasse la reciprocità e
comprendesse norme affidabili per l’accertamento degli aventi economicamente diritto di tutte le forme giuridiche, compresi trust e fondazioni.
L’approvazione dell’MCAA costituisce la logica conseguenza della sostanziale adesione della Svizzera allo scambio automatico di informazioni e dell’adozione da parte del Consiglio federale dei man- dati di negoziazione per l’introduzione
3
Albania*, Anguilla, Argentina, Aruba*, Belgio, Bermuda, Isole Vergini Britanniche, Curaçao, Danimarca, Estonia, Germania, Isole Faroer,
Finlandia, Francia, Gibilterra, Grecia, Guernsey, Isola di Man, Irlanda, Islanda, Italia, Jersey, Isole Cayman, Colombia, Corea, Croazia, Lettonia,
Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Malta, Maurizio, Messico, Montserrat, Paesi Bassi, Norvegia, Austria*, Polonia, Portogallo, Romania, San
Marino, Svezia, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Sudafrica, Repubblica ceca, Isole Turks e Caicos, Ungheria, Regno Unito e Cipro. Le Giurisdizioni
contrassegnate da un asterisco al momento della firma dell’Accordo hanno comunicato l’intenzione di effettuare il primo scambio di informazioni nel
settembre del 2018.
Strumenti internazionali per lo scambio d’informazioni fiscali tra l’Italia e la Svizzera - Avv. Gianluca Gigantino
21
dello standard OCSE sullo scambio automatico di informazioni con le Giurisdizioni partner.
7. Relazione con altri accordi
Le clausole sull’assistenza amministrativa contenute nelle convenzioni per evitare le doppie imposizioni concluse dalla
Svizzera si limitano allo scambio di informazioni su domanda.
Una specifica disposizione stabilisce in ogni convenzione che le Giurisdizioni contraenti non sono tenute a scambiarsi
informazioni su base automatica.
Gli accordi sullo scambio di informazioni in materia fiscale conclusi dalla Svizzera si limitano anch’essi allo scambio di
informazioni su domanda.
Affinché lo standard possa essere introdotto nelle relazioni con una Giurisdizione partner devono essere create le necessarie basi legali di diritto internazionale.
L’MCAA, unitamente a un accordo bilaterale volto a introdurre lo scambio automatico di informazioni, costituisce tale
base giuridica.
VI LE DIRETTIVE IN MATERIA DI TASSAZIONE DEI REDDITI DA RISPARMIO.
LA DIRETTIVA 2011/16 E LA PROPOSTA DI DIRETTIVA COM(2013) 348.
GLI ACCORDI TRA UE E SVIZZERA IN VIGORE E I NEGOZIATI IN CORSO.
Nel 2003, l’Unione europea ha emanato la direttiva sulla tassazione dei redditi da risparmio (direttiva 2003/48/Ce) con
l’obiettivo di assicurare un livello di imposizione effettiva sui redditi da risparmio sotto forma di pagamenti di interessi
corrisposti in uno Stato membro ad una persona fisica residente in un altro Stato membro.
Per assicurare l’effettiva imposizione sui redditi da risparmio percepiti, sotto forma di interessi, da parte di soggetti non
residenti, la Direttiva risparmio ha adottato un sistema basato sullo scambio automatico di informazioni tra le autorità
competenti degli Stati membri coinvolti nella transazione.
L’agente pagatore è tenuto a trasmettere alle autorità competenti del proprio Paese, in via automatica, almeno una volta
all’anno ed entro sei mesi dalla fine dell’anno fiscale dello Stato, i seguenti dati:
- la propria denominazione ed indirizzo;
- identità e residenza del beneficiario effettivo;
- numero del conto del beneficiario effettivo (o, in mancanza, l’identificazione del credito che genera gli interessi corrisposti);
- informazioni relative al pagamento di interessi.
L’obbligo di comunicazione non riguarda tutti i proventi derivanti dall’investimento di disponibilità finanziarie, bensì soltanto quei proventi di natura finanziaria che si caratterizzano per il fatto di essere direttamente o indirettamente relativi
a crediti. Infatti, sono sottoposti a questi obblighi di comunicazione esclusivamente i “pagamenti di interessi” relativi a
“crediti di qualsivoglia natura”, nonché “i redditi derivanti da pagamenti di interessi” conseguiti tramite la partecipazione a
OICVM e a entità a questi equiparati.
Secondo la Direttiva per pagamento di interessi si intendono:
a) interessi pagati, o accreditati su un conto, relativi a crediti di qualsivoglia natura, assistiti o meno da garanzie ipotecarie e corredati o meno da una clausola di partecipazione agli utili del debitore, in particolare i redditi dei titoli del debito
pubblico e i redditi prodotti dalle obbligazioni, compresi i premi connessi a tali titoli o obbligazioni; le penalità di mora non
costituiscono pagamenti di interessi;
b) interessi maturati o capitalizzati alla cessione, al rimborso o al riscatto dei crediti di cui alla lettera a) che precede;
c) redditi derivanti da pagamenti di interessi distribuiti da Oicvm (Organismi di investimento
collettivo
in
valori
mobiliari)
autorizzati,
entità
che
beneficiano
dell’opzione
e
organismi di investimento collettivo stabiliti al di fuori del territorio in cui si applica il Trattato Cee;
d) redditi realizzati alla cessione, al rimborso o al riscatto di partecipazioni o quote in tali organismi ed entità, se questi
investono direttamente o indirettamente tramite altri organismi di investimento collettivo o entità oltre il 40 per cento del
loro attivo in crediti Oicvm (Organismi di investimento collettivo in valori mobiliari) autorizzati, entità che beneficiano
dell’opzione, organismi di investimento collettivo stabiliti al di fuori del territorio in cui si applica il Trattato Cee.
Ne consegue, quindi, che non rilevano i dividendi, le plusvalenze e i proventi derivanti da contratti derivati. Sono inoltre
esclusi dagli obblighi di comunicazione i pagamenti di proventi connessi a prestazioni pensionistiche e assicurative.
Lussemburgo e Austria sono stati autorizzati per un periodo transitorio ad applicare una ritenuta fiscale. L’aliquota della
ritenuta alla fonte è stata del 15 per cento fino al 30 giugno 2008, 20 per cento dal 1° luglio 2008 e 35 per cento dal
1° luglio 2011. In alternativa al prelievo di tale imposta, tuttavia, i singoli clienti possono decidere di aderire al regime di
scambio di informazioni.
Il gettito fiscale ottenuto dall’applicazione dell’euroritenuta è trattenuto, seguendo il cosiddetto regime del revenue sharing , per il 25 % del suo ammontare, dallo Stato di residenza dell’agente pagatore, mentre nelle casse del Paese di
residenza del beneficiario effettivo confluisce il restante 75 %.
L’Unione Europea ha stipulato accordi per l’applicazione di misure equivalenti a quelle adottate da Lussemburgo ed
Austria, con Svizzera, Liechtenstein, Monaco, Andorra e San Marino.
22
Strumenti internazionali per lo scambio d’informazioni fiscali tra l’Italia e la Svizzera - Avv. Gianluca Gigantino
Nell’ambito dell’accordo raggiunto nel 2005 con l’Unione europea, la Svizzera ha quindi aderito al regime di scambio
delle informazioni in forma facoltativa. Ciò significa che soltanto i clienti che decidono di autorizzare la propria banca a
comunicare alle Autorità fiscali le informazioni relative ai propri redditi da risparmio non vengono assoggettati a ritenuta
alla fonte. Inoltre, mediante un apposito memorandum di intesa, la Svizzera e l’Ue si sono impegnate a prestarsi reciproca assistenza amministrativa nei casi di frode fiscale o reato analogo (non però nei casi di evasione fiscale), nell’ambito
degli accordi stipulati con gli Stati membri per evitare la doppia imposizione.
Un accordo di questo tipo è stato stipulato dalla Svizzera anche con l’Italia, laddove viene previsto lo scambio di informazioni nel caso in cui 1) un’impresa individuale produca una contabilità incompleta, omettendo di dichiarare tutti i beni
e i redditi posseduti e, quindi, gli interessi che ne derivano; 2) un contribuente ottiene e adopera un certificato rilasciato
da un agente pagatore che non riflette la reale situazione reddituale, ma riporta redditi inferiori a quelli effettivamente
posseduti; 3) si configura un’interposizione fittizia in base alla quale, per esempio, i redditi sono formalmente riferibili a
una società (off-shore) ma il cui beneficiario effettivo è schermato da negozio fiduciario; 4) una persona fisica utilizza un
certificato di avvenuta ritenuta d’imposta a monte, mentre in realtà non è stata prelevata tale imposta, al fine di ottenere
una riduzione dell’imposta; 5) un contribuente, cittadino comunitario, utilizza un certificato di residenza fiscale inesatto
al fine di dichiarare che è residente in uno Stato non Ue o in Svizzera ed ottenere così agevolazioni fiscali sugli interessi
percepiti.
Le disposizioni della Direttiva, nell’esperienza pratica, sono state spesso eluse attraverso l’utilizzo di strutture interposte
per occultare il reale beneficiario del pagamento, ovvero canalizzando i pagamenti verso soggetti, pure interposti, appositamente localizzati in paesi extra UE dai quali non è possibile acquisire informazioni sul beneficiario finale, ovvero
ancora utilizzando strumenti d’investimento, come le polizze assicurative, i cui redditi non sono qualificabili come interessi.
Da questa constatazione nasce il progetto di revisione della Direttiva Risparmio che è culminato nell’emanazione della
direttiva n. 2014/48/UE. Gli Stati UE hanno tempo fino al 1° gennaio 2016 per adottare la legislazione interna attuativa.
Tutti gli Stati Membri praticheranno lo scambio automatico delle informazioni sulla tassazione del risparmio dei cittadini
non residenti. Lussemburgo ed Austria hanno infatti già formalizzato (Ecofin ottobre 2014) un impegno ad adottare il
regime di scambio di informazioni ponendo fine al periodo transitorio durante il quali questi Paesi sono stati autorizzati
ad applicare una ritenuta alla fonte.
Sotto il profilo soggettivo, la direttiva, nella versione aggiornata, parte dal presupposto che è necessario migliorare la
qualità delle informazioni utilizzate per accertare l’identità e la residenza dei beneficiari effettivi, ossia di coloro che, in
ultima istanza, percepiscono gli interessi. A tale riguardo, la direttiva precisa che l’agente pagatore (l’intermediario finanziario che provvede al pagamento degli interessi) deve ottenere luogo e data di nascita del beneficiario effettivo e, se
esiste, il codice fiscale o dato equivalente attribuito dagli Stati membri.
Sono inoltre introdotte disposizioni tese a rendere più difficile l’interposizione di strutture intermedie (come per esempio
i trust) al fine di aggirare l’obbligo di comunicazione.
La nuova direttiva risparmio, dal punto di vista oggettivo, amplia il suo ambito di applicazione (e quello della relativa comunicazione) a strumenti finanziari, prima esclusi, che, alla luce del livello di rischio, della flessibilità e del rendimento
convenuto, sono equivalenti ai crediti. Si vuole in sostanza garantire che essa copra non soltanto gli interessi ma anche
altri redditi sostanzialmente equivalenti. Proprio in questa direzione va letta l’estensione della disciplina della direttiva
anche ai contratti di assicurazione vita contenenti una garanzia di rendimento da entrate o il cui rendimento è per oltre
il 40% legato al reddito da crediti o reddito. Così come viene esteso il regime della direttiva a talune tipologie di fondi di
investimento non armonizzati.
Le informazioni minime che l’agente pagatore è tenuto a comunicare all’autorità competente del suo Stato membro di
stabilimento sono costituite da:
a) identità e residenza del beneficiario effettivo o, nei casi di proprietà effettiva condivisa, identità e residenza di tutti i
beneficiari effettivi che rientrano nel campo di applicazione della direttiva;
b) denominazione e indirizzo dell’agente pagatore;
c) numero di conto del beneficiario effettivo o, in assenza di tale riferimento, identificazione del credito che produce gli
interessi o del contratto di assicurazione vita, del titolo, della partecipazione o della quota che danno origine a tale pagamento;
d) informazioni relative al pagamento di interessi.
Con la revisione della Direttiva, l’Unione Europea, sin dal 2013, ha avviato negoziati con la Svizzera per finalizzare una
modifica degli accordi già raggiunti sulla fiscalità del risparmio.
Il governo federale della Svizzera ha già approvato (2014) un progetto di mandato per negoziare la revisione dell’Accordo
sulla fiscalità del risparmio siglato con l’Ue.
Poiché la Svizzera (15 ottobre 2013) ha firmato la Convenzione del Consiglio d’Europa e dell’OCSE sulla reciproca assistenza amministrativa in materia fiscale (Convenzione sull’assistenza amministrativa) nonché (19 novembre 2014) l’Accordo multilaterale tra autorità competenti sullo scambio automatico di informazioni relative a conti finanziari (Multilateral
Competent Authority Agreement, MCAA), è verosimile che il negoziato proseguirà in direzione di un superamento della
direttiva risparmio. E quindi con un accordo sullo scambio di informazioni allargato non soltanto ai redditi di risparmio ma
a tutte le informazioni ed i redditi previsti dall’Accordo multilaterale che si fonda sulla Convenzione del Consiglio d’Europa
e dell’OCSE.
Strumenti internazionali per lo scambio d’informazioni fiscali tra l’Italia e la Svizzera - Avv. Gianluca Gigantino
23
Sulla base di quanto previsto dalla Direttiva in materia di cooperazione fiscale tra Stati membri, la quale è disciplinata
dalla Direttiva n. 2011/16/UE.
Questa Direttiva ha abrogato, con effetto dal 1° gennaio 2013, la precedente direttiva n. 77/799/CEE, stabilendo nuove
forme e procedure in relazione alla cooperazione amministrativa tra Stati membri per l’amministrazione e l’applicazione
delle leggi nazionali in ambito fiscale.
La direttiva disciplina lo scambio di informazioni su richiesta all’art. 5, il quale prevede che, su richiesta dell’autorità competente di uno Stato membro, l’autorità competente dello Stato membro richiesto trasmette le informazioni che possono
essere utili per il corretto accertamento delle imposte, comprese le informazioni su uno o più casi specifici e le informazioni pertinenti di cui sia in possesso o che ottenga a seguito di un’indagine amministrativa.
La direttiva individua nello scambio di informazioni automatico la regola generale, nonché lo strumento obbligatorio di
cooperazione tra Stati in materia fiscale.
Difatti, l’art. 8 (“Ambito di applicazione e condizioni dello scambio automatico obbligatorio di informazioni”) prevede che
l’autorità competente di ciascuno Stato membro comunica all’autorità competente di qualsiasi altro Stato membro, mediante scambio automatico, le informazioni disponibili sui periodi d’imposta a partire dal 1° gennaio 2014, riguardanti i
residenti in quest’ultimo Stato membro, sulle seguenti categorie specifiche di reddito e di capitale:
- redditi da lavoro;
- compensi per dirigenti;
- prodotti di assicurazione sulla vita non contemplati in altri strumenti giuridici dell’Unione europea sullo scambio di informazioni e misure analoghe;
- pensioni;
- proprietà e redditi immobiliari.
In data 12 giugno 2013, la Commissione europea ha proposto (COM/2013/48) di ampliare l’ambito di applicazione dello
scambio automatico di informazioni tra Amministrazioni finanziarie, di cui alla direttiva n. 2011/16/UE, presentando una
proposta di modifica della direttiva n. 2011/16/UE, sul cui testo l’ECOFIN ha raggiunto l’accordo politico in data 14 ottobre
2014.
La proposta, tenendo conto degli sviluppi a livello OCSE concernenti il global standard for the automatic exchange of
information, prevede lo scambio automatico quale strumento generale di cooperazione amministrativa nel settore fiscale
tra gli Stati membri.
Essa stabilisce l’inclusione, nell’elenco delle categorie di reddito soggette allo scambio automatico di informazioni
nell’Unione europea, di ulteriori elementi quali dividendi, plusvalenze, tutte le altre categorie di redditi finanziari e i saldi
dei conti correnti.
Si prevede che ciascuno Stato membro debba comunicare agli altri Stati membri le informazioni disponibili sui periodi
d’imposta a partire dal 1 gennaio 2017.
24
Strumenti internazionali per lo scambio d’informazioni fiscali tra l’Italia e la Svizzera - Avv. Gianluca Gigantino
I CASI PARTICOLARI:
TRUST, FONDAZIONI, IMMOBILI E POLIZZE
Avv. Vincenzo Josè Cavallaro
Socio Stufano Gigantino Cavallaro e Associati Studio legale e fiscale – Milano
BSC
partners
Oggetto della procedura di collaborazione volontaria possono essere le violazioni tributarie in connessione con la detenzione di attivi esteri da parte di trust, fondazioni, nonché quelle in connessione con la sottoscrizione di polizze di
diritto estero da parte di residenti italiani. La regolarizzazione di attivi detenuti da trust, fondazioni o la regolarizzazione di
polizze vita di diritto estero deve essere preceduta, in particolare, da una analisi di strumenti e schemi negoziali utilizzati
per verificare se siamo di fronte a fenomeni di interposizione.
Trust esteri alla prova dell’interposizione
Il trust è un istituto giuridico attraverso il quale un soggetto (disponente) trasferisce alcuni beni di sua proprietà ad
altro soggetto (c.d. trustee), che ne diventa il nuovo proprietario ed amministratore, con l’impegno di gestire tali beni
nell’interesse di un terzo soggetto (beneficiario), generalmente individuato al momento della costituzione del trust o con
modifica successiva. Mutuato dalla tradizione giuridica di Common Law, il trust è uno strumento che con il passare del
tempo si è diffuso nel nostro Paese, attesa la duttilità e la malleabilità dell’istituto nel campo economico commerciale,
oltre ad essere un’alternativa alle tematiche successorie. Il trust è stato riconosciuto nell’ordinamento giuridico italiano
a decorrere dall’ 1 gennaio 1992 a seguito della ratifica della Convenzione dell’Aja dell’1 luglio 19852, sulla base della
quale possono essere riconosciuti effetti giuridici in Italia al trust costituito secondo la legge di uno Stato nel proprio
ordinamento giuridico. Sono quindi stati riconosciuti i cosiddetti trust interni ove spesso l’unico elemento di estraneità è
la legge straniera che regola il rapporto di giuridico trust.
La riconoscibilità dell’istituto nell’ordinamento interno è subordinata ad una analisi di meritevolezza delle finalità che
sono state tutelate con l’istituzione del trust. L’ art. 1372 del codice civile prevede infatti che “le parti possono concludere
contratti che non appartengono ai tipi aventi disciplina particolare purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli
di tutela secondo l’ordinamento giuridico”.
In altri termini, il trust è riconosciuto nell’ordinamento interno in tanto in quanto non violi disposizioni imperative e se diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela. In estrema sintesi, l’istituto si sostanzia in un contratto sulla base del quale
un soggetto (detto disponente o settlor) trasferisce – di norma per atto inter vivos o mortis causa - alcuni beni5 o diritti
a favore di un altro soggetto (detto trustee), il quale li amministra con i diritti ed i poteri di un vero e proprio proprietario
nell’interesse di un beneficiario e per uno scopo prestabilito.
È possibile, altresì, che sia nominato un guardiano (protector) con il compito di vigilare sull’operato del trustee e con
il potere di opporre l’esistenza del trust verso i terzi. L’effetto principale dell’istituzione di un trust è la “segregazione
patrimoniale”, a seguito della quale i beni conferiti in trust costituiscono un patrimonio separato rispetto al patrimonio del
trustee: come tale non potrà essere aggredito dai creditori personali del trustee e, salvo l’esistenza di situazioni patologiche, nemmeno da quelli del disponente. Pertanto, i beni conferiti in trust sono messi al riparo di fronte a
pretese:
- sia dei creditori del disponente, tenuto conto che i beni, una volta conferiti nel trust, non sono più di proprietà di
quest’ultimo;
- sia dei creditori personali del trustee, dato che quest’ultimo, seppur proprietario, li detiene solo per il trust e non
a titolo personale;
- sia dei creditori dei beneficiari o loro eredi, i quali potranno vantare dei diritti su detti beni solo quando questi
entreranno nella disponibilità dei beneficiari.
Dal punto di vista della causa, il trust è correlato a diverse fattispecie, per cui si passa dal trust successorio o donatorio –
finalizzato al passaggio di alcuni beni dal disponente ad altri soggetti – per arrivare fino al trust di garanzia, che è invece
funzionale alla costituzione di un mandato rafforzato.
Nella prassi i trust possono essere classificati sulla base delle finalità perseguite come segue:
• trust di famiglia;
• trust di garanzia;
• trust per disabili;
• trust per il controllo di una società.
Prima delle modifiche normative introdotte dalla Legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Finanziaria 2007), mancava nel nostro
ordinamento tributario un qualsivoglia espresso riferimento all’istituto del trust; le uniche indicazioni erano quelle fornite dalla dottrina e dalla giurisprudenza, oltreché dalla prassi amministrativa. Infatti, anche dopo l’introduzione in Italia
dell’istituto in esame - come detto con la Legge n. 364 del 1989, di recepimento della Convenzione dell’Aja - l’unico riferimento normativo in campo tributario era costituito dall’art. 19 della Convenzione de L’Aja, che di fatto lascia a ciascuno
dei singoli Stati contraenti ogni determinazione in materia.
Entrando più nel merito, in prima analisi occorre rilevare come il comma 74 dell’articolo 1 della finanziaria 2007, modificando l’articolo 73 del D.P.R. nr. 917/86 (T.U.I.R.) - rubricato “Soggetti passivi”- ha dato dignità fiscale al trust, includendolo, a determinate condizioni, esplicitamente tra i soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società (IRES),
riconoscendone un’autonoma soggettività tributaria rilevante ai fini IRES. In sostanza il legislatore non considera i trust
sempre e comunque trasparenti ma, a determinate condizioni, il trust è soggetto passivo d’imposta.
26
I casi particolari: trust, fondazioni, immobili e polizze - Avv. Vincenzo Josè Cavallaro
Circa la soggettività tributaria dei trusts, occorre verificare se:
- non vi sono beneficiari individuati nell’atto istitutivo del trust o nei documenti successivi (cd. trust di scopo o opaco), in
tal caso il trust è considerato soggetto passivo d’imposta;
- vi sono beneficiari individuati (cd. Trust trasparenti): in tal caso il trust non è soggetto passivo d’imposta ed i redditi
vengono imputati per trasparenza e tassati direttamente in capo ai beneficiari quali redditi di capitale, ai sensi dell’art.
44, comma 1, lettera g-sexies del T.U.I.R..
Con opportune modifiche apportate all’art. 13 del D.P.R. n. 600/73 i trust che esercitano attività commerciali sono stati
inclusi tra i oggetti obbligati alla tenuta di scritture contabili.
Con riguardo alla determinazione del reddito, il trust residente nello Stato segue le stesse regole di determinazione del
reddito degli enti commerciali o non commerciali, a seconda che abbia o meno oggetto esclusivo o principale l’esercizio
di attività commerciale. Di converso, il trust non residente è soggetto IRES per i soli redditi prodotti in Italia, secondo le
regole previste per i soggetti non residenti.
Una questione di non poco conto riguarda i criteri in base ai quali individuare la residenza fiscale dei trusts.
Un trust residente, infatti, a differenza di quello estero, è tenuto ad eseguire una serie di adempimenti e obblighi di carattere contabile e fiscale. In primis il trust residente dovrà dichiarare tutti i redditi ovunque prodotti, mentre un trust non
residente dichiarerà i soli redditi prodotti nel nostro Paese. Come sopra accennato, prima dell’intervento legislativo del
2007, mancavano dei riferimenti normativi al riguardo: le uniche indicazioni erano contenute in una delibera del Se.C.I.T.
dell’11 maggio 1998, n. 37 ed in uno studio della Direzione Regionale dell’Emilia Romagna del 2002. Entrambi, in estrema sintesi, evidenziavano come, in mancanza di disposizioni specifiche in tema di residenza del trust, non poteva che
farsi riferimento ai principi di carattere generale riportati dall’allora art. 87 (attuale art. 73), comma 3 del T.U.I.R., laddove
si prevedeva il criterio alternativo di individuazione nel territorio dello Stato della sede legale, della sede dell’amministrazione ovvero l’oggetto principale. Si tratta di indicazioni che sono state riprese dall’Agenzia delle Entrate nell’ambito della
citata Circolare n. 48/E del 2007, laddove, proprio con riferimento al nuovo articolo 73, comma 3, del D.P.R. n. 917/1986,
viene chiarito che i criteri di collegamento con il territorio dello Stato, dalla cui presenza discende la residenza fiscale del
trust, sono la sede dell’amministrazione e l’oggetto principale (non potendosi, quindi, a differenza delle società e degli
enti, avere riguardo alla loro sede legale poiché poco adeguata alla peculiarità giuridica del trust).
Si tratta, in sostanza, delle regole ordinarie dettate per tutti i soggetti IRES.
Tuttavia, in ragione della particolarità dei trust, l’Agenzia delle Entrate ha segnalato che:
- con riferimento alla sede dell’amministrazione si deve in primo luogo verificare se il trust si avvale, nel perseguire il suo
scopo, di un’apposita struttura organizzativa (dipendenti, locali, ecc.)in mancanza, la sede dell’amministrazione tenderà
a coincidere con il domicilio fiscale del trustee;
- con riguardo all’oggetto principale, esso è strettamente legato alla tipologia di trust. Se oggetto del trust è dato da un
patrimonio immobiliare situato interamente in Italia, l’individuazione della residenza è agevole. Se, invece, è collocato
in Paesi diversi, occorre fare riferimento al criterio della prevalenza. Nel caso di patrimoni mobiliari, l’oggetto principale
dovrà essere, invece, identificato con l’effettiva e concreta attività esercitata. La Legge Finanziaria 2007, ha introdotto tra
l’altro una norma anti-abuso, che integrare l’articolo 73 del T.U.I.R., norma che è finalizzata a contrastare l’utilizzo illegittimo di trust istituiti in territori che non provvedono allo scambio di informazioni con le autorità fiscali italiane, i quali, salvo
prova contraria, sono da considerarsi fiscalmente residenti in Italia. In particolare, il nuovo art. 73, comma 3, prevede
due presunzioni legali, sulla base delle quali che si considerano residenti nel territorio dello Stato, salvo prova contraria,:
- i trust e gli istituti aventi analogo contenuto istituiti in Paesi che non consentono lo scambio di informazioni, quando
almeno uno dei disponenti ed almeno uno dei beneficiari siano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato;
- i trust istituiti in uno Stato che non consente lo scambio di informazioni quando, successivamente alla istituzione, un
soggetto residente trasferisca a favore del trust la proprietà di un bene immobile o di diritti reali immobiliari, ovvero costituisca a favore del trust dei vincoli di destinazione sugli stessi beni e diritti.
Quanto all’utilizzo c.d. “abusivo” di trust, va premesso che sul piano civilistico le tecniche dell’interposizione possono essere diverse: può trattarsi di interposizione fittizia o, come è più frequente, di interposizione reale. Nel primo caso siamo
di fronte ad una forma di simulazione intercorrente fra tre soggetti, quali l’interposto o prestanome, l’interponente ed il
diretto contraente dell’interposto, che i terzi possono provare con ogni mezzo a norma dell’art. 1417 cod. civ.. In sostanza
si ha una fattispecie in cui la persona interposta non assume obblighi né acquista diritti, ma presta unicamente il suo
nome ad una delle parti che, con l’accordo dell’altra parte (c.d. controdichiarazione), se ne serve per rimanere ignota a
terzi. Nella seconda ipotesi, invece (interposizione reale), la persona interposta contratta in nome proprio con l’altra parte
ed acquista i diritti e gli obblighi derivanti dal contratto, salvo trasmetterli all’interponente (facendo valere il sottostante
mandato senza rappresentanza).
In tale contesto, dottrina e giurisprudenza si sono interrogate circa il potere dell’ufficio di accertare solo le interposizioni
fittizie in senso stretto o anche i casi di interposizione reale.
Nella sentenza del 3 aprile 2000, n. 3979, la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ha evidenziato che l’art. 37,
comma 3 del D.P.R. n. 600/1973 “stabilendo l’imputabilità al possessore effettivo dei redditi di cui appaia titolare altro
soggetto in base ad interposizione di persona, inequivocabilmente si occupa del caso dell’interposizione fittizia in senso proprio, caratterizzata dalla divaricazione fra situazione esteriore e situazione sostanziale, rispettivamente riferibili
I casi particolari: trust, fondazioni, immobili e polizze - Avv. Vincenzo Josè Cavallaro
27
all’interposto ed all’interponente, non anche del caso dell’interposizione cosiddetta reale, quale quella accertata dalla
sentenza impugnata, ove la forma e la sostanza coincidono, e si può porre soltanto un problema di validità ed efficacia
dell’atto negoziale determinativo della variazione soggettiva nella titolarità del bene”.
La Cassazione, disponendo sull’applicazione dell’art. 37, III comma, del D.P.R. n. 600/1973, usa la locuzione “interposizione fittizia” in senso diverso e più ampio dal significato che le viene attribuito dalla dottrina civilistica, per la quale si ha
interposizione fittizia solo quando esiste un accordo trilaterale fra interposto, interponente e terzo contraente.
Detta pronuncia è stata confermata in una ulteriore sentenza della Suprema Corte, cui si è uniformata l’Amministrazione
finanziaria con la circolare n. 87/E del 27 dicembre 2002.
La citata circolare fornisce utili indicazioni per stabilire quando esista una interposizione fittizia intesa come un rapporto
fiduciario. “Ciò avviene” - secondo la circolare - “qualora l’operazione oggetto di controllo si caratterizzi per la presenza:
- dell’elemento fiduciario; - e della circostanza che il rapporto sia posto in essere nell’interesse prevalente dell’interponente, per l’utilità che ad esso deriva dal non palesamento della sua posizione soggettiva di effettivo percettore del
reddito”.
A tal proposito appare opportuno sottolineare la delibera del Se.C.I.T. del 6 aprile 1993, che, per quanto riguarda l’art. 37,
III comma, del D.P.R. n. 600/1973, afferma che “è ozioso domandarsi se essa alluda alla figura civilistica dell’interposizione fittizia o a quella della interposizione reale, essendo bene evidente l’obiettivo pratico del legislatore di consentire
la corretta imputazione del reddito anche sulla base di presunzioni semplici, disconoscendo in tal caso gli effetti fiscali
– e soltanto essi - di atti o negozi che comporterebbero una imputazione diversa”.
Con riferimento al caso specifico dei trust, la circolare n. 99/E dell’Agenzia delle Entrate del dicembre 2001, avente ad
oggetto la disposizioni in materia di emersione delle attività detenute all’estero, ha chiarito che “si deve ritenere soggetto
interposto un trust revocabile, per cui il titolare va individuato nel disponente, ovvero un trust non discrezionale, nei casi
in cui il titolare può essere identificato con il beneficiario”.
Dello stesso tenore risulta essere il contenuto della risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 8/E del 17 gennaio 2003, in
cui si afferma che quando la gestione del trust sia riconducibile al disponente non si verifica un reale spossessamento
di quest’ultimo e, quindi, il negozio rileva ai fini fiscali come mandato senza rappresentanza, con la conseguente imputabilità dei redditi al disponente.
L’unica norma che in campo tributario si occupa del fenomeno dell’interposizione fittizia di persona è quella di cui all’art.
37, comma 3 del D.P.R. n. 600/1973. In presenza di un trust in cui il disponente si spogli effettivamente del possesso
dei propri beni, trasferendoli al trustee, il quale abbia effettivo e indipendente potere di gestione e amministrazione degli stessi, a favore dei beneficiari, è sostenibile che non si realizzi alcuna interposizione (reale o fittizia) nel possesso
di beni. Il disponente, infatti, perde definitivamente la proprietà dei beni stessi, i quali vengono trasferiti al trustee che
li gestisce nell’interesse dei beneficiari. In tal senso la prevalente dottrina civilistica ritiene che l’art. 37, comma 3 non
sarebbe utilizzabile nei confronti di un trust operante “nel suo schema tipico”, poiché in esso non potrebbe configurarsi
interposizione fittizia, ma semmai una vera e propria interposizione reale, che risulterebbe chiaramente dallo spossessamento dei propri beni operato dal disponente. Invero, l’art. 37, comma 3 del D.P.R. n. 600/1973 sembrerebbe applicabile
in tutti quei casi in cui vi è una deviazione dallo “schema tipico” del trust verso istituti di diversa natura, quali mandato con
rappresentanza, negozio fiduciario, ovvero nell’ipotesi in cui il disponente, contrariamente alle apparenze, svolga anche
la funzione di trustee e mantenga l’effettivo possesso dei beni. In tal caso, infatti, l’apparente trustee non ha il reale potere di gestione dei beni stessi e, pertanto, è un soggetto fittiziamente interposto nel possesso della fonte produttiva del
reddito, che è rimasto in capo al disponente (soggetto interponente a cui vanno imputati i redditi prodotti dal trust fund).
Detta interpretazione sembra essere implicitamente avvalorata anche dal contenuto di alcune risposte ad interpelli in cui
l’Amministrazione finanziaria, chiamata ad analizzare fattispecie di trust in cui il disponente di turno si era riservato un
controllo fattuale sull’operato del trustee, ha in via interpretativa provveduto a riqualificare il trust in esame nell’area del
mandato, negando la soggettività tributaria del trust in merito, ed imputando i redditi direttamente in capo al disponente.
Si può quindi affermare che, a differenza della mera interposizione soggettiva, che costituisce una categoria della simulazione civilistica, l’interposizione di cui all’art. 37, comma 3 deve necessariamente riguardare il possesso di un reddito
(e non, quindi, la mera titolarità dei beni conferiti). Si tratta, quindi, di interpretare una norma di non facile lettura, sulla
quale la dottrina e la prassi ministeriale hanno colto sfumature differenti, sia per il significato da attribuire alla definizione
di “interposizione” valida ai fini dell’applicazione della norma in questione, sia per convenire sulla possibile legittimità di
applicazione dell’art. 37, comma 3, D.P.R. n. 600/1973, anche alle ipotesi di “interposizione reale”.
Il tema della interposizione è stato nuovamente ripreso dall’Amministrazione Finanziaria in occasione dello scudo fiscale
del 2009/2010. In merito l’Agenzia delle Entrate (Circolare 43/E del 2009) ha ribadito che in caso di trust revocabili le
operazioni di emersione sono effettuate dal disponente. Il chiarimento, in linea generale, è condivisibile in quanto, nella
fattispecie, il disponente continua a mantenere la disponibilità dei beni trasferiti al trust, che si configura, quindi, come
soggetto interposto. Più in generale, nelle ipotesi di trust in cui il settlor si riserva un controllo fattuale sull’operato del
trustee, il trust è «riqualificabile» nell’area del mandato con rappresentanza, negando la soggettività tributaria del trust
ed imputando i redditi direttamente in capo al disponente.
Non sussiste, invece, alcun obbligo di dichiarazione a carico del disponente residente per i beni trasferiti ad un trust
di tipo discrezionale irrevocabile non residente. In questi casi, infatti, i beni trasferiti dal disponente al trustee non sono
28
I casi particolari: trust, fondazioni, immobili e polizze - Avv. Vincenzo Josè Cavallaro
più nella disponibilità del primo che non ha più alcun potere di controllo né decisionale. In sostanza, il disponente non
detiene più beni all’estero e, quindi, non può essere tenuto agli obblighi di compilazione del quadro RW che presuppone
la detenzione degli investimenti e attività estere.
Ovviamente, se tra i beni da trasferire al trust non residente vi fossero somme di denaro o titoli trasferiti senza l’intervento di intermediari residenti, il disponente avrebbe comunque l’obbligo di indicare il trasferimento nel quadro RW (ma
non avrebbe l’obbligo di indicare la consistenza dei beni dopo il trasferimento). Chiaramente, nella fattispecie, lo scudo
fiscale non è applicabile neanche al trust estero essendo un soggetto non residente. Nella Circolare è stato chiarito che
in caso di trust irrevocabili residenti gli stessi non sono da considerarsi soggetti interposti e, pertanto, lo scudo fiscale
può essere utilizzato dal trust stesso laddove si configuri come ente non commerciale ai sensi dell’art. 73 del T.U.I.R.
In via più generale, si può dire che se si considera il trust nel suo schema tipico ci si rende conto che la sua struttura
trilatera, lo spossessamento effettivo e non formale del settlor in favore del trustee, la mera aspettativa del beneficiario
alla percezione dei beni, l’acquisizione dei beni stessi da parte del beneficiario in base a un titolo autonomo e l’ampia
autonomia gestoria del trustee non integrano l’ipotesi classica di interposizione fittizia. Inoltre, la circolare chiarisce che
nel caso di trust trasparente non fittiziamente interposto, tenuto conto delle modalità di attribuzione del reddito da esso
prodotto, gli effetti della dichiarazione di emersione presentata dal trustee dovrebbero riflettersi in capo ai beneficiari nei
limiti e con esclusivo riferimento ai redditi attribuiti per trasparenza dal trust medesimo.
In generale, occorre sempre analizzare con attenzione gli atti, i documenti e gli elementi di fatto che caratterizzano il
trust al fine di accertare l’effettivo potere-dovere del trustee di amministrare e disporre dei beni lui affidati dal settlor: la
soluzione alle problematiche dei trust non può che derivare da una analisi caso per caso.
A titolo esemplificativo, la circolare n. 43/E/2009 ritiene fittiziamente interposti i trusts:
• che il disponente (o il beneficiario) può far cessare liberamente in ogni momento, generalmente a proprio vantaggio
o anche a vantaggio di terzi;
• in cui il disponente è il titolare del potere di designare in qualsiasi momento se stesso come beneficiario;
• in cui il disponente (o il beneficiario) è titolare di significativi poteri in forza dell’atto istitutivo, in conseguenza dei quali
il trustee, pur dotato di poteri discrezionali nella gestione e amministrazione del trust, non può esercitarli senza il
suo consenso;
• in cui il disponente è titolare del potere di porre termine anticipatamente al trust, designando se stesso e/o altri come
beneficiari;
• in cui il beneficiario ha diritto a ricevere anticipazioni di capitale dal trustee.
Operazioni di voluntary disclosure in caso di attivi detenuti da trusts devono essere precedute da una attenta
analisi dell’atto istitutivo del trust e dei documenti successivi, come le lettere del desideri, per verificar se, nonostante il formale spossessamento, il Settlor è rimasto titolare di un potere di gestione rispetto agli attivi apportati in trust. In tutti quei casi un cui il settlor può modificare liberamente la platea dei beneficiari, essendo esso stesso
beneficiario del trust o potendo richiedere anticipazioni pur non essendo beneficiario del trust, il trust va considerato
interposto nell’ambito della collaborazione volontaria con la conseguenza che la procedura di collaborazione volontaria
dovrà essere attivata dal disponente.
Se il trust non è da ritenersi interposto, la procedura di collaborazione volontaria potrà essere attivata dal trust stesso,
nella misura in cui si possa ritenere che la residenza di un trust, ancorchè estero, vada riqualificata in Italia.
Fondazioni di diritto estero
Le medesime considerazioni valgono per le fondazioni di diritto estero: in caso di attivi detenuti da fondazioni di diritto
estero bisognerà prioritariamente analizzare i documenti istitutivi della fondazione ed i documenti successivi per verificare se siamo di fronte a fenomeni di interposizione. Nel caso in cui la fondazione sia interposta, il soggetto attivo
della procedura di collaborazione volontaria dovrà essere individuato nell’interponente. Nel caso in cui la fondazione
non possa dirsi interposta, la procedura di collaborazione volontaria potrebbe essere condotta mediante avuto riguardo
a quanto previsto dall’art. 167 del Tuir, secondo cui “Se un soggetto residente in Italia detiene, direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciarie o per interposta persona, il controllo di una impresa, di una società o di altro
ente, residente o localizzato in Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze
emanato ai sensi dell’articolo 168-bis, i redditi conseguiti dal soggetto estero partecipato sono imputati, a decorrere
dalla chiusura dell’esercizio o periodo di gestione del soggetto estero partecipato, ai soggetti residenti in proporzione
alle partecipazioni da essi detenute”. Le regole CFC potrebbero trovare applicazione nell’ambito della regolarizzazione
di fondazioni di diritto estero in tutti quei casi in cui si possa sostenere che un residente italiano “controlli” l’ente non residente localizzato in paese black list. Si pensi al caso di una fondazione istituita in un paese black list da un residente
italiano poi deceduto: in una tale ipotesi se i beneficiari residenti in Italia della fondazione hanno dimostrato di avere un
potere di gestione sul patrimonio della fondazione, la regolarizzazione del patrimonio della fondazione potrà avvenire
mediante applicazione delle regole CFC. Soggetto attivo della procedura di collaborazione volontaria sarà il/i beneficiario/i della fondazione residente in Italia.
I casi particolari: trust, fondazioni, immobili e polizze - Avv. Vincenzo Josè Cavallaro
29
Polizze vita alla prova del differimento d’imposta.
La regolarizzazione di polizze vite sottoscritte in violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale non è “esente” da una
preventiva analisi circa possibili fenomeni di interposizione. Per la prima nel c.d. caso “Crédit Suisse Bermuda” è stato
messo infatti in discussione il c.d. differimento d’imposta, caposaldo della fiscalità dei contratti di assicurazione sulla vita.
L’art. 45, comma 4, del T.U.I.R., prevede che i capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e di
capitalizzazione costituiscono reddito per la parte corrispondente alla differenza tra l’ammontare percepito e quello dei
premi pagati. Un contratto di assicurazione sulla vita o di capitalizzazione non è produttivo di reddito sino alla decisione
del sottoscrittore di procedere al riscatto, totale o parziale della posizione. In tal caso, costituisce reddito il differenziale
tra quanto versato e quanto effettivamente percepito. Tale meccanismo di differimento d’imposta al riscatto assume la
denominazione di Tax Deferral. La Guardia di finanza nell’indagine Credit Suisse contesta per la prima volta la tenuta
di questo meccanismo. E questo in relazione all’influenza del sottoscrittore nelle scelte di gestione del sottostante delle
posizioni assicurative. Secondo l’articolo 1882 del codice civile, l’assicurazione è il contratto col quale l’assicuratore,
verso pagamento di un premio, si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da
un sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana. Il contratto di
assicurazione può essere stipulato sulla vita propria o su quella di un terzo. La designazione del beneficiario può essere
fatta nel contratto di assicurazione o con successiva dichiarazione scritta comunicata all’assicuratore o per testamento.
Per effetto della designazione il terzo acquista un diritto proprio ai vantaggi dell’assicurazione. Questa è la ragione dell’esclusione delle somme corrisposte a seguito del decesso dell’assicurato dall’asse ereditario. Nel contratto di assicurazione sulla vita, il premio pagato dal contraente rappresenta dunque la prestazione a fronte della quale la compagnia
assicurativa si impegna a rivalere l’assicurato in relazione ad un evento della vita umana. Durante la durata del contratto
la compagnia assicurativa accantona ed investe i premi ricevuti a copertura degli impegni contrattuali assunti. Le polizze
emesse da Credit Suisse Bermuda, a differenza delle polizze emesse dalle Compagnie Italiane, sono polizze a fondo
interno dedicato: i premi raccolti vengono accantonato in “segregated accounts”, unità di conto dedicate cioè. Si tratta
dunque di polizze a fondo interno dedicato, i cui premi non vengono gestiti “in monte” dalla compagnia, unitamente agli
altri premi, ma in modo dedicato. Su tali unità di conto, poteva operare, secondo la ricostruzione della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate, il sottoscrittore della polizza, tramite una specifica procura rilasciata dalla compagnia
assicurativa. Da tale assunto discende la riqualifica dei contratti così sottoscritti in vere e proprie gestioni patrimoniali, i
cui redditi andavano tassati, secondo i verificatori, di anno in anno. Il potenziale dell’inchiesta della Procura di Milano è
dunque esplosivo, perché mette in discussione uno dei capisaldi della fiscalità assicurativa, il Tax Deferral. Spesso le
polizze estere sono state utilizzate come strumento di protezione e trasmissione patrimoniale, ancorché secondo Guardia di Finanza e Agenzia delle Entrate la motivazione principale della sottoscrizione di tali polizze era quella di eludere
la c.d. Euroritenuta, che sarebbe stata applicabile sul pagamento degli interessi prodottisi sulle singole unità di conto
sulla base della direttiva sul risparmio transfrontaliero. Il codice civile prevede infatti che le somme dovute dall’assicuratore al contraente o al beneficiario non possono essere sottoposte ad azione esecutiva o cautelare. Impignorabilità
e insequestrabilità che, secondo la giurisprudenza di merito ( tra gli altri Tribunale di Parma, sentenza numero 1107 del
2010) sono collegate alla “funzione previdenziale” delle polizze. Le polizze a contenuto spiccatamente finanziario, in
cui non è presente la garanzia di restituzione del capitale iniziale, in quanto strumenti speculativi che non perseguono
alcuna funzione previdenziale, sono – secondo tale filone giurisprudenziale - pignorabili e sequestrabili. La prova della
gestione interposta del sottostante da parte del sottoscrittore e la conseguente riqualifica di tali contratti determina, oltre
alla tassazione dei rispettivi rendimenti di anno in anno, anche la pignorabilità e sequestrabilità delle polizze in parola.
Nel caso di polizze interposte, nell’ambito della procedura di collaborazione volontaria le polizze vanno considerate
come delle gestioni patrimoniali.
30
I casi particolari: trust, fondazioni, immobili e polizze - Avv. Vincenzo Josè Cavallaro
DISCLOSURE E ADEMPIMENTI ANTIRICICLAGGIO
Avv. Camilla Consorti
Stufano Gigantino Cavallaro e Associati Studio legale e fiscale – Milano
BSC
partners
1. La normativa antiriciclaggio e gli obblighi di segnalazione.
Il d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231 è stato introdotto in attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione
dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione.
Questa normativa ha reso effettive in Italia anche le raccomandazioni rese dal Comitato Internazionale di esperti delle
Amministrazioni Finanziarie per lo Studio del Riciclaggio (c.d. GAFI) per l’individuazione del titolare effettivo dei capitali
movimentati e la segnalazione delle operazioni sospette.
L’art. 2 d.lgs. 231/2007 introduce una nozione di riciclaggio che ha valore solo ai fini dell’applicazione delle misure previste in questo testo normativo. Nel dettaglio, sono considerate illecite le seguenti azioni:
1. la conversione o il trasferimento di beni, effettuati essendo a conoscenza che essi provengono da un’attività criminosa o dalla partecipazione a questa, allo scopo di occultare o dissimulare l’origine illecita dei beni medesimi o di
aiutare chiunque sia coinvolto a sottrarsi alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni;
2. l’occultamento o la dissimulazione della reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione, movimento, proprietà
dei beni o dei diritti sugli stessi, effettuati essendo a conoscenza che tali beni sono di provenienza illecita;
3. l’acquisto, la detenzione o l’utilizzazione di beni nella consapevolezza, al momento della loro ricezione, che tali beni
sono provento di un crimine;
4. la partecipazione ad uno degli atti appena descritti, l’associazione per commettere tale atto, il tentativo di perpetrarlo, il fatto di aiutare, istigare o consigliare qualcuno a commetterlo o la sola agevolazione l’esecuzione.
Si tratta di condotte differenti da quelle previste come reato dagli artt. 648bis, 648ter e 648ter.1 c.p. L’ampiezza della
formulazione legislativa, infatti, permette di ricomprendere tutte le movimentazioni poste in essere per ripulire i proventi
di “un’attività criminosa”, sia questa stata un delitto doloso o colposo.
Inoltre, la definizione fornita per l’adempimento degli obblighi antiriciclaggio comprende anche le condotte configurabili
attualmente il nuovo reato di autoriciclaggio. Il testo normativo, infatti, prevede come autore della condotta chiunque,
indipendentemente dal suo concorso o meno nel reato presupposto.
L’art. 10 d.lgs. 231/2007 individua i soggetti tenuti ad eseguire gli obblighi antiriciclaggio meglio dettagliati nel prosieguo
del testo normativo. Questi sono identificati essenzialmente in:
• intermediari finanziari e in tutti i soggetti esercenti operazioni finanziarie;
• dottori commercialisti ed esperti contabili iscritti all’Albo professionale
• consulenti del lavoro, anch’essi iscritti all’Albo;
• società di revisione;
• soggetti che svolgono professionalmente, anche nei confronti dei propri associati o iscritti, attività in materia di
contabilità e tributi;
• i notai e gli avvocati;
• i soggetti che si occupano della gestione di società, enti, trust o persone giuridiche similari;
• gli uffici della Pubblica Amministrazione.
Con riferimento, nello specifico, agli avvocati, ai commercialisti, agli esperti contabili ed ai consulenti tributari professionali, l’art. 12, c. 2, d.lgs. 231/2007 prevede come siano esclusi gli obblighi di segnalazione di attività sospette in merito
alle informazioni rese da clienti nel corso dell’espletamento di un mandato professionale conferito per l’esame della
posizione giuridica in vista di un procedimento giudiziario. Questa dispensa si applica anche nell’ipotesi in cui tali notizie
siano fornite prima o al termine del giudizio.
Una simile esclusione è motivata dall’esigenze di tali professionisti di garantire un vincolo di segretezza rispetto a quanto loro riferito dai loro assistiti al fine di contrastare ciò che è affermato dalla controparte nel procedimento giudiziario
instaurando o già iniziato.
Eccettuata questa ipotesi, infatti, i soggetti appena indicati devono eseguire alcuni obblighi, volti alla prevenzione di fenomeni di riciclaggio e finanziamento al terrorismo.
In primo luogo, gli artt. 15 ss. d.lgs. 231/2007 disciplinano gli adempimenti da porre in essere per un’adeguata verifica
della clientela. Questo compito è importante per poter identificare il titolare effettivo dei capitali movimentati, dovendosi
intendere con questa locuzione il soggetto che detiene il 25% più uno delle somme oggetto dell’intervento.
In seconda istanza, i professionisti sono obbligati alla segnalazione delle operazioni considerate sospette per la loro
frequenza, per l’origine dei fondi utilizzati, per l’incoerenza con il profilo economico del richiedente o per l’assenza di
pregresse relazioni economiche o commerciali con il destinatario del trasferimento.
A riguardo, rilevante è non solo l’art. 41 d.lgs. 231/2007 – il quale contiene una prima individuazione delle operazioni
che, per loro caratteristiche, devono essere considerate sospette – ma, altresì, la delibera della Banca d’Italia 24 agosto
2010, n. 616, in cui sono previsti gli indicatori di anomalia per gli intermediari.
Questi ultimi offrono un catalogo esaustivo delle possibili irregolarità riscontrabili nell’esecuzione di operazioni economiche e finanziarie, al fine di ridurre i margini di discrezionalità nella valutazione posta in essere dai singoli intermediari. In
particolare, i principali indici di anomalia sono connessi:
a. al cliente;
b. alle operazioni o ai rapporti;
c. ai mezzi ed alle modalità di pagamento;
d. alle operazioni in strumenti finanziari ed ai contratti assicurativi;
32
Disclosure e adempimenti antiriciclaggio - Avv. Camilla Consorti
e. al finanziamento al terrorismo.
La violazione dell’obbligo di segnalazione di operazioni sospette sconta una sanzione amministrativa severa, la cui
determinazione può variare dall’1% al 40% dell’importo trasferito, così come previsto dall’art. 58, c. 1, d.lgs. 231/2007.
2. La voluntary disclosure ed i chiarimenti forniti dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.
È necessario ora esaminare come la disciplina della collaborazione volontaria, introdotta nell’ordinamento a seguito
dell’approvazione della l. 15 dicembre 2014, n. 186, si coordini con l’adempimento degli obblighi antiriciclaggio appena
esposti.
Innanzitutto, è importante premettere che la procedura di voluntary disclosure aveva già trovato una propria disciplina
nel d.l. 28 gennaio 2014, n. 4, poi non convertito in legge.
A differenza di quanto avvenuto per lo scudo fiscale, previsto dall’articolo 13bis d.l. 1 luglio 2009, n. 78, convertito con
modificazioni dalla l. 3 agosto 2009, n. 1021, infatti, il legislatore non aveva previsto alcun tipo di regolamentazione in
materia di obblighi antiriciclaggio.
Al contrario, l’originaria copertura penale fornita dalla collaborazione volontaria riguardava unicamente i reati fiscali ma
non concerneva né il reato di riciclaggio né quello di impiego di denaro, beni od altra utilità di provenienza illecita.
Per ovviare a tale problematica, il Ministero dell’Economia e delle Finanze aveva emesso in data 31 gennaio 2014 una
circolare con cui ha ribadito la vigenza degli obblighi antiriciclaggio di cui al d.lgs. 231/2007 anche per le procedure di
voluntary disclosure.
Secondo gli esperti del Ministero, infatti, le disposizioni sulla collaborazione volontaria avrebbero avuto incidenza unicamente sul piano fiscale e, pertanto, i fini di prevenzione dei fenomeni di riciclaggio e di finanziamento al terrorismo
sarebbero stati soddisfatti unicamente con l’accertamento del titolare effettivo, l’adeguata verificazione della clientela, la
registrazione e la segnalazione di operazioni sospette.
Questo assunto è tanto più condivisibile se si considera che gli unici illeciti oggetto della causa di non punibilità erano
quelli tributari e che, quindi, anche dal punto di vista penale, il riciclaggio continuava ad essere punibile in capo ai soggetti che decidevano di regolarizzare i capitali detenuti all’estero.
L’ampiezza della causa oggettiva di non punibilità per gli aderenti alla collaborazione volontaria è mutata con l’approvazione della l. 186/2014. Attualmente, invero, non solo non sono punibili i reati fiscali da cui è conseguito il provento
oggetto della regolarizzazione ma non sono sanzionabili altresì i fatti di riciclaggio, impiego di denaro, beni od altra utilità
di provenienza illecita e di autoriciclaggio commessi in relazione agli stessi fondi.
La nuova normativa, tuttavia, così come quella precedente, non prevede alcunché relativamente all’adempimento degli
obblighi antiriciclaggio per i patrimoni oggetto di emersione.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, pertanto, ha redatto una nuova circolare in merito, pubblicata il 9 gennaio
2015.
Riprendendo quanto affermato nella vigenza del d.l. 4/2014, gli obblighi antiriciclaggio di cui al d.lgs. 231/2007 devono
essere adempiuti anche per l’attuale procedura di voluntary disclosure. Ciò corrisponde alla ratio della normativa, volta
alla più completa ed effettiva collaborazione del contribuente che decide di regolarizzare le proprie sostanze.
Questo, tuttavia, non considera che i comportamenti di riciclaggio rientranti nell’ambito della definizione penale non
sono punibili e che, quindi, si richiederebbe la segnalazione di operazioni non più soggette a sanzione per l’ordinamento
penale, con un’interpretazione palesemente illogica ed irragionevole.
La circostanza, ad ogni modo, che l’art. 12, c. 2, d.lgs. 213/2007 preveda l’esclusione di questi obblighi per i professionisti incaricati della difesa in giudizio ha fatto ritenere che tale deroga potesse applicarsi anche nell’ambito dell’incarico
professionale conferito per la predisposizione dell’istanza di accesso alla procedura di collaborazione volontaria.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento del Tesoro – tuttavia, nel rispondere ad una domanda frequentemente proposta dagli operatori, ha fornito alcune precisazioni in merito all’ambito di questa esclusione.
Non sorge l’obbligo di segnalazione delle attività sospette a carico del professionista, così come sancito dall’art. 41 d.lgs.
231/2007, nell’esame preliminare della posizione giuridica del contribuente che intende accedere alla procedura di voluntary disclosure. Questo anche nell’ipotesi in cui l’avvocato o il commercialista interpellati consiglino di non presentare
l’istanza.
Se l’incarico professionale per la redazione della domanda di adesione alla procedura viene formalizzato, invece, devono essere adempiuti tutti gli obblighi antiriciclaggio disposti dalla normativa vigente, senza possibilità di applicare l’art.
12, c. 2, d.lgs. 231/2007. Secondo il Dipartimento del Tesoro, invero, la deroga prevista dalla disposizione si applica unicamente ai mandati con ad oggetto un procedimento giudiziario, quale non è la voluntary disclosure.
Pertanto, il professionista incaricato dovrà procedere ad un’adeguata verifica della clientela ed adempiere ai prescritti
obblighi di registrazione e segnalazione delle attività sospette.
Deve essere sottolineato, ad ogni modo, che spesso il mandato conferito ad un legale per la predisposizione dell’istanza
di voluntary disclosure deve essere qualificato come inerente ad un procedimento giudiziario, posto che l’accesso alla
procedura può comportare effetti rilevanti dal punto di vista penale, con la conseguente apertura di un fascicolo presso
la competente Procura della Repubblica.
Inoltre, l’interpretazione fornita dal Dipartimento del Tesoro si dimostra incoerente anche in relazione al ruolo rivestito
1
L’art. 13bis d.l. 78/2009 aveva escluso l’obbligo di segnalazione di operazioni sospette nel caso in cui la regolarizzazione avesse avuto ad
oggetto somme che costituivano il provento di reati fiscali oggetto della causa soggettiva di non punibilità prevista dalla stessa normativa.
Disclosure e adempimenti antiriciclaggio - Avv. Camilla Consorti
33
dagli altri professionisti, quali i dottori commercialisti ed i revisori contabili. Le Linee Guida del GAFI del 17 giugno 2008
prevedono il segreto professionale non solo con riferimento all’assistenza prestata nel corso di procedimenti giudiziari
ma altresì al preventivo esame della posizione del cliente ed alla sua rappresentanza in arbitrati, mediazioni e procedimenti amministrativi.
Sembra più logico, quindi, fornire un’interpretazione più ampia della locuzione “procedimenti giudiziari” utilizzata dall’art.
12, c. 2, d.lgs. 231/2007, ricomprendendo anche quelli amministrativi, quale è appunto la voluntary disclosure.
In ogni caso, l’assistenza prestata da un legale nel procedimento di collaborazione volontaria è volta ad evitare un procedimento giudiziario, di carattere tributario e penale, a carico del contribuente che vuole regolarizzare il proprio patrimonio. Ambito che rientra certamente nell’esclusione di cui all’art. 12, c. 2, d.lgs. 231/2007.
3. Gli obblighi antiriciclaggio in presenza di fondi oggetto di collaborazione volontaria.
Esaminando in concreto gli obblighi antiriciclaggio da adempiere nella voluntary disclosure, le caratteristiche fondamentali della procedura oltre che la sua stessa ratio permettono di ritenere che manchino i presupposti previsti dalla legge
per l’applicazione delle cautele di cui al d.lgs. 231/2007.
La collaborazione volontaria, infatti, si distingue dagli scudi fiscali che si sono succeduti negli anni scorsi per l’assenza
dell’anonimato del contribuente. L’istanza di disclosure, infatti, contiene i dati identificativi del soggetto e configura certamente una modalità di adeguata verifica della clientela.
La domanda di accesso alla procedura, inoltre, racchiude l’esatta indicazione della consistenza dei fondi e dei redditi
sottratti a tassazione per ogni annualità, permettendo un loro sicuro collegamento al titolare effettivo del patrimonio. A
questo, si deve aggiungere la presentazione di una relazione – i cui contenuti sono stati dettagliati nelle istruzioni per la
compilazione della richiesta di adesione alla procedura di collaborazione volontaria dell’Agenzia delle Entrate pubblicati
in data 30 gennaio 2015 con prot. n. 2015/13193) – in cui è indicata la provenienza dei fondi e le successive vicende che
li hanno interessati.
È evidente, quindi, come manchino gli stessi elementi per poter configurare un’operazione sospetta anche nell’ipotesi in
cui il contribuente decida di trasferire il capitale in Italia dopo la presentazione dell’istanza ma prima della conclusione
della procedura.
È la stessa finalità della voluntary disclosure, volta alla completa trasparenza e collaborazione dell’istante, che permette
di inferire come gli obblighi di informazione e segnalazione antiriciclaggio non trovino ragione in presenza di operazioni
di cui è spontaneamente offerta la motivazione e la destinazione stessa delle somme movimentate.
La stessa l. 186/2014, peraltro, offre una copertura penale per i fatti di riciclaggio, reimpiego di proventi illeciti ed autoriciclaggio, rendendo non sanzionabili condotte comunque rientranti nel più ampio novero dei comportamenti ricompresi
nell’ambito di applicazione del d.lgs. 231/2007.
Sarebbe illogico, quindi, prevedere l’adempimento degli obblighi antiriciclaggio per fatti ormai privi di sanzione penale.
Inoltre, è necessario sottolineare un altro aspetto. L’art. 10 d.lgs. 231/2007 prevede che gli obblighi antiriciclaggio vertano
in capo agli uffici della Pubblica Amministrazione, quale è l’Agenzia delle Entrate.
In ipotesi di rimpatrio materiale, dunque, l’origine dei capitali da regolarizzare e le operazioni su questi eseguite dal
contribuente sono state poste al vaglio del Fisco con la presentazione dell’istanza di voluntary disclosure. Dovrebbero
essere i funzionari pubblici deputati all’analisi della pratica ad adempiere tutti gli obblighi antiriciclaggio, segnalando le
operazioni sospette.
L’intermediario finanziario che riceverà i fondi esteri, pertanto, dovrebbe non avere più alcun obbligo in tal senso, posto
che questi doveri sono già stati preventivamente adempiuti dall’Amministrazione Finanziaria.
Ad ogni modo, considerato che la circolare del Ministero dell’Economia e delle Finanze ha affermato come la l. 186/2014
non incida sugli obblighi antiriciclaggio, è auspicabile che gli intermediari finanziari adottino alcune cautele nell’ipotesi in
cui, prima del termine della collaborazione volontaria, siano destinatari delle somme oggetto di regolarizzazione.
Nel dettaglio, si ritiene necessario che questi attuino un’adeguata verifica della clientela, identificando il titolare effettivo
del patrimonio, mediante, tra l’altro, l’acquisizione di copia dell’istanza di collaborazione volontaria già protocollata dall’Agenzia delle Entrate.
Una volta accertata l’adesione alla voluntary disclosure e ricevuto il capitale oggetto della regolarizzazione, è prudenziale negare qualsiasi operazione di prelievo o di versamento che possa incidere sulla sua consistenza, permettendo unicamente gli investimenti in titoli. L’unica operazione ammessa deve essere il versamento delle imposte e delle sanzioni
determinate all’esito della procedura.
I fondi saranno liberi da ogni vincolo al momento del compimento positivo della collaborazione volontaria, attestata dal
pagamento di quanto determinato dall’Agenzia delle Entrate.
Al contrario, nell’ipotesi di conclusione negativa della disclosure, sarà corretta la condotta dell’intermediario finanziario
che deciderà di comunicare all’Agenzia delle Entrate la presenza di fondi provento di evasione fiscale, evitando che ogni
sua ulteriore operazione possa configurare il reato di riciclaggio o il concorso nel nuovo delitto di autoriciclaggio.
34
Disclosure e adempimenti antiriciclaggio - Avv. Camilla Consorti
I COSTI DELLA VOLUNTARY DISCLOSURE:
VIOLAZIONI IN TEMA DI MONITORAGGIO FISCALE, IMPOSTE DIRETTE
E INDIRETTE, SANZIONI PECUNIARIE
dott. Paolo Colombo
BSC & PARTNERS
BSC
partners
Oggetto della regolarizzazione
•
•
•
•
RW
Redditi di periodo
Redditi connessi formazione attività estere
Violazioni dichiarative (anche non connesse con le attività estere) in materia di imposte sui redditi e/o IVA
Caratteristiche VD
•
•
•
36
Non è uno scudo fiscale né un condono
Non consente l’anonimato
Riguarda tutte le attività detenute illecitamente all’estero
I costi della voluntary disclosure: violazioni in tema di monitoraggio fiscale, imposte dirette e indirette, sanzioni pecuniarie
dott. Paolo Colombo
Termini accertamento
Costi V.D. – variabili
I costi della V.D. dipendono da:
• Tipologia redditi (iniziali e di periodo)
• Annualità formazione attività estere (prescrizione)
• Eventuali apporti/prelievi
• Paese detenzione attività (black list)
Soglie penali
Soggetti collegati --> altre V.D. internazionali e/o nazionali
Es. cointestatari e delegati sui conti correnti
Es. società o soci
I costi della voluntary disclosure: violazioni in tema di monitoraggio fiscale, imposte dirette e indirette, sanzioni pecuniarie
dott. Paolo Colombo
37
Regolarizzazione RW
Redditi
Redditi «iniziali» --> connessi alla formazione delle attività detenute all’estero – anche per ulteriori apporti
Redditi di «periodo» -->generati dalle attività estere nei periodi ancora accertabili
Es: rendite finanziarie, interessi, cedole, capital gain, ma anche locazioni immobili etc…
Redditi «iniziali»
Necessaria valutazione origine dei fondi:
• Dividendi
• Sotto-fatturazione/omessa fatturazione
• Eredità
• Altro
Collegamenti con altri soggetti:
• Società
• Altri soci
• Altri
Redditi «iniziali» - imposte
•
•
•
•
Occorre versare tutte le imposte
• Analisi singole fattispecie reddituali
• Imposte applicabili (IRPEF, IVA, IRAP, Successioni…)
• Nessuna riduzione per V.D.
Eventuali V.D. nazionali
Nessuna forfettizzazione
Prescrizione / raddoppio termini
Redditi di «periodo» - imposte
•
•
38
Occorre versare tutte le imposte
Analisi fattispecie reddituali
Individuazione aliquote applicabili (12,5%, 20%, 26%, 27% oppure aliquota marginale IRPEF - fino 43%)
Nessuna riduzione per V.D.
Opzione per tassazione forfettaria (patrimoni mediamente inferiori a 2 milioni euro)
Rendimento presunto 5% annuo
Aliquota forfettaria 27% I costi della voluntary disclosure: violazioni in tema di monitoraggio fiscale, imposte dirette e indirette, sanzioni pecuniarie
dott. Paolo Colombo
Redditi - sanzioni
Dipendono da:
Luogo detenzione attività / produzione reddito
Dichiarazione omessa o infedele
In caso accertamento variano da 100% a 400% imposta evasa
Con V.D. vi sono significative riduzioni
riduzione di 1/4 del minimo edittale
riducibile in caso di adesione invito a 1/6
I costi della voluntary disclosure: violazioni in tema di monitoraggio fiscale, imposte dirette e indirette, sanzioni pecuniarie
dott. Paolo Colombo
39
40
I costi della voluntary disclosure: violazioni in tema di monitoraggio fiscale, imposte dirette e indirette, sanzioni pecuniarie
dott. Paolo Colombo
Esempio 1
•
•
•
•
•
Conto in Svizzera (black list con accordo)
Apporto iniziale ante 2004 e nessun ulteriore apporto
Saldo al 31.12.2009 euro 1 milione
Rendimento obblig. 3% annuo reinvestito
Dichiarazione infedele
I costi della voluntary disclosure: violazioni in tema di monitoraggio fiscale, imposte dirette e indirette, sanzioni pecuniarie
dott. Paolo Colombo
41
Esempio 2
•
•
•
•
•
•
Conto in Svizzera (black list con accordo)
Apporto iniziale nel 2010 di euro 1 milione
Nessun ulteriore apporto
Rendimento obblig. 3% annuo reinvestito
Dichiarazione infedele
Imprenditore individuale
Ravvedimento operoso/V.D.
•
•
•
•
Nuovo ravvedimento operoso (L. Stabilità 2015):
alternativa alla V.D. (es. in caso di causa ostativa);
utilizzabile anche in caso di accessi, ispezioni, verifiche in corso (unica preclusione: notifica atti liquidazione e accertamento);
sanzioni da 1/7 del minimo a 1/5 del minimo
Punti aperti
•
•
•
•
42
Crediti imposta
Annualità accertabili --> sanzioni penali e raddoppio termini
Contante e valori in cassette di sicurezza
«all in»
I costi della voluntary disclosure: violazioni in tema di monitoraggio fiscale, imposte dirette e indirette, sanzioni pecuniarie
dott. Paolo Colombo
AMBITI APPLICATIVI DELLA V.D. INTERNAZIONALE E DELLA V.D.
DOMESTICA:
PROFILI SOGGETTIVI, OGGETTIVI E PROCEDIMENTALI
Dott.ssa Emiliana Bandettini
Direttore centrale aggiunto accertamento Agenzia delle Entrate - Roma
BSC
partners
Contesto e analisi comparativa
In concomitanza con la peggiore crisi economica, finanziaria e sociale degli ultimi decenni, si sono intensificati gli sforzi
della Comunità internazionale per contrastare l’evasione fiscale transnazionale.
Le giurisdizioni non collaborative sono state progressivamente isolate nel consesso internazionale anche tramite il loro
inserimento in apposite liste di Stati non trasparenti sul versante del segreto bancario e dello scambio di informazioni,
con conseguenti pesanti limitazioni sulla loro operatività verso l’estero e, più in generale, sui mercati finanziari.
La pressione politica che è stata esercitata dalla Comunità internazionale, in primis dagli Stati Uniti e dai Paesi dell’Unione Europea, ha spinto queste giurisdizioni ad accettare il principio della piena collaborazione e trasparenza nello
scambio di informazioni tra amministrazioni finanziarie che implica il definitivo superamento del segreto bancario.
Sia l’OCSE sia l’Unione Europea hanno quindi avviato una serie di iniziative che sono culminate nella predisposizione
di strumenti per lo scambio automatico su base annuale delle informazioni relativi ai redditi percepiti all’estero dai contribuenti.
L’insieme di tutte queste iniziative, sostenuto da un approccio multilaterale, ha indotto molti governi ad introdurre voluntary compliance programmes, anche sulla base delle linee guida elaborate in ambito OCSE, ossia una serie di procedure tese a incentivare – con sconti sul versante delle sanzioni amministrative e con l’esclusione della punibilità per i reati
tributari – la regolarizzazione dei capitali all’estero mediante collaborazione volontaria.
Tenuto conto del mutato contesto internazionale in cui diventerà sempre più difficile in futuro detenere attività finanziarie
e patrimoniali senza che gli organismi di controllo nazionali abbiano accesso alle relative informazioni.
Molti Paesi – come gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Francia, la Germania, la Spagna, l’Austria ed il Belgio – hanno attivato, ben prima dell’Italia, programmi di voluntary disclusure che si sono rivelati estremamente efficaci perché hanno
facilitato la collaborazione dei soggetti passivi coinvolti e consentito di conseguire al contempo notevoli risparmi, anche
in termini di contenzioso.
Le formule di voluntary disclosure in concreto adottate dagli altri Paesi mostrano comparativamente alcune differenze.
Gli Stati Uniti hanno adottato un primo programma nel 2009 e due successivi nel 2011 e 2012. Quest’ultimo, recentemente modificato con due emendamenti nel luglio del 2014, è ancora in vigore e, per il momento, non è stato previsto alcun
termine per la sua applicazione. Concede l’accesso ad effetti premiali in punto di sanzioni amministrative dovute (nella
misura del 27,5% del capitale detenuto all’estero) ed effetti premiali penali (non punibilità per ogni implicazione penale
connessa all’evasione o all’illecita detenzione estera di capitali), previo versamento per intero delle imposte evase oltre
agli interessi.
Il Regno Unito già tra il 2009 ed il 2010 aveva istituito un primo programma di collaborazione volontaria, caratterizzato dalla regolarizzazione delle violazioni tributarie mediante un accordo tra l’amministrazione ed il contribuente, con
negoziato attivabile tanto in via autonoma tanto in seguito all’avvio di verifiche ed indagini d’ufficio, previa in ogni caso
l’integrale corresponsione di tutte le imposte evase ed interessi, con il beneficio di sanzioni amministrative ridotte oltre
all’esenzione dalla responsabilità penale.
Il successivo programma, denominato “New Disclosure Opportunity” permette di ottenere la significativa riduzione delle
sanzioni amministrative al 10%, fermo restando la non punibilità penale.
In Francia nel 2009 è stato introdotto il programma denominato “Régularisation des avoirs à l’etranger”. Senza alcuna riduzione degli importi dovuti per le imposte non corrisposte, si è prevista la non punibilità delle condotte penali connesse
alle disponibilità estere, ferme restando le sanzioni amministrative, fissate nella minore misura del 15-30% delle tasse
evase, a fronte dell’ordinaria misura del 40%.
Anche in Germania sono stati adottati vari programmi di collaborazione volontaria.
Differentemente da quanto previsto dalle altre esperienze nazionali, sino al 2011 si poteva aderire anche solo parzialmente alla procedura di collaborazione volontaria. Successivamente questa possibilità è venuta meno ed il contribuente
è stato dichiarato tenuto a comunicare tutte le tipologie di redditi detenuti all’estero per poter beneficiare di sanzioni pari
al 25% del capitale.
La causa di non punibilità penale è stata, invece, agganciata a prefissate soglie di evasione: oltre i 50.000,00 euro, il
comportamento è comunque ritenuto penalmente rilevante, potendo il contribuente evitare il procedimento penale solo
pagando l’ulteriore importo del 5% delle imposte evase.
Profili soggettivi ed oggettivi
Anche l’Italia si è mossa in questa direzione, alla luce delle esperienze maturate negli altri Paesi.
Prima dell’approvazione di un provvedimento normativo ad hoc, l’Agenzia delle Entrate, già con la circolare 38/E del 23
dicembre 2013, aveva precisato che l’atteggiamento collaborativo del contribuente che per sanare la propria posizione irregolare denunzia le violazioni commesse in passato in relazione agli obblighi derivanti dalla disciplina del monitoraggio
44
Ambiti applicativi della v.d. internazionale e della v.d. domestica: profili soggettivi, oggettivi e procedimentali - Dott.ssa E. Bandettini
fiscale ex D.L. 167/90 – omessa indicazione nel quadro RW di attività finanziarie e patrimoniali estere – poteva costituire
circostanza rilevante ed idonea a giustificare un significativo abbattimento delle sanzioni applicabili. E questo facendo
leva sulle previsioni contenute nella disciplina generale delle sanzioni amministrative tributarie - D.lgs. nr.472 del 1997
– ed in particolare nell’art. 7, comma 4.1 Disposizione quest’ultima che prevede infatti la possibilità di ridurre la sanzione
applicabile, qualora ricorrano “eccezionali circostanze” che rendono manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui
la violazione si riferisce e la sanzione stessa.
L’Agenzia delle entrate, nella prospettiva di favorire operazioni di emersione e regolarizzazione, ha sostenuto che il comportamento collaborativo del contribuente deve apprezzarsi come una circostanza di carattere eccezionale che attenua
il disvalore della condotta del contribuente e che è quindi meritevole di essere favorevolmente considerata agli effetti
dell’applicazione della disposizione che prevede la riduzione delle sanzioni.
Si è quindi giunti all’emanazione da parte del Governo del decreto legge 28 gennaio 2014 nr. 4, poi non convertito, che
recava una disciplina sulla collaborazione volontaria. A questo ha fatto poi seguito la presentazione di un disegno di
legge sulla collaborazione volontaria, approvato in via definitiva dal Parlamento nel mese di dicembre 2014 e divenuto
Legge - 186/14 - entrata in vigore il 01.01.2015.
L’ambito oggettivo di applicazione della procedura di collaborazione volontaria è stato ampliato nel corso dei lavori parlamentari di approvazione della legge 186/2014. Rispetto all’originaria procedura prevista dall’art. 1 del DL nr. 4/2014
poi non convertito in legge, il presupposto di accesso della collaborazione volontaria è stato radicalmente modificato.2
Secondo l’art. 1 del testo non convertito in legge il presupposto per accedere alla procedura era costituito esclusivamente dall’esistenza di violazioni agli obblighi di monitoraggio fiscale. Sotto il profilo soggettivo, il campo applicativo della
procedura risultava perciò circoscritto solo ai soggetti naturalmente tenuti a questi. Dunque solamente a persone fisiche,
società semplici, enti non commerciali.
Inoltre, sul piano oggettivo, la procedura era ovviamente limitata alle sole violazioni in materia di monitoraggio oltre che
a quelle strettamente connesse in quanto relative all’omessa dichiarazione dei redditi prodotti tramite gli attivi esteri.
Se la finalità della procedura di collaborazione volontaria è rimasta quella di permettere l’emersione delle attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute al di fuori del territorio dello stato, tramite la collaborazione volontaria così
come risultante dal testo della legge 186/2014, è possibile ora invece regolarizzare non solo tutti gli investimenti e tutte
le attività di natura finanziaria o patrimoniale costituiti o detenuti all’estero in violazione degli obblighi di monitoraggio
fiscale e le violazioni dichiarative relative ai redditi che servirono per costituire o acquistare detti investimenti ed attività
ma anche altre violazioni dichiarative che non sono in connessione con gli investimenti e le attività estere in questione.
Questo sul piano oggettivo.
Sotto il profilo soggettivo, l’art. 1, comma 2, della medesima Legge 186/2014 ha inoltre esteso la platea dei soggetti che
possono accedere alla procedura di collaborazione volontaria anche ai soggetti diversi dai destinatari degli obblighi di
monitoraggio fiscale nonché ai destinatari di tali obblighi che via abbiano adempiuto correttamente e per i quali evidentemente la procedura come disciplinata dal Decreto Legge non convertito risultava non accessibile per regolarizzare
violazioni diverse da quelle connesse ad attivi esteri non dichiarati3.
Le disposizioni dettate dalla Legge 186/14 disciplinano una procedura che consente perciò non soltanto la regolarizzazione di attivi detenuti in violazione della normativa sul monitoraggio fiscale e delle violazioni dichiarative che sono in
connessione con tali attivi, ma anche: a) di violazioni dichiarative commesse entro il 30 settembre 2014 dai soggetti tenuti
agli obblighi di monitoraggio fiscale che non sono in connessione con gli attivi esteri detenuti in violazioni di tali obblighi;
b) di violazioni commesse entro il 30 settembre 2014 da soggetti diversi dai soggetti obbligati agli obblighi di monitoraggio
fiscale (dunque anche le società di capitali) che possono essere o meno in connessione con attivi esteri.
Si può così distinguere la c.d. voluntary disclosure internazionale, cui possono accedere persone fisiche, enti non commerciali e società semplici e che ha per presupposto l’esistenza di violazioni agli obblighi di monitoraggio fiscale commessi fino al 30 settembre 2014, dalla c.d. voluntary interna, a cui possono accedere tutti i contribuenti (dunque anche
le società di capitali) per sanare le violazioni degli obblighi di dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e relative addizionali, delle imposte sostitutive delle imposte sui redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dell’imposta sul
1
Il comma 4 dell’art. 7 D.lgs. 472/1997, rubricato Criteri di determinazione della sanzione prevede che “Qualora concorrano
eccezionali circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione, questa può essere
ridotta fino alla metà del minimo”.
2
L’art. 1 del D.l. 4/2014 nel delimitare l’ambito di applicazione soggettivo delle misure urgenti per l’emersione e il rientro di capitali
detenuti all’estero, nonché per il potenziamento della lotta all’evasione fiscale stabiliva che “L’autore della violazione degli obblighi di dichiarazione
di cui all’articolo 4, comma 1, commessa fino al 31 dicembre 2013 può avvalersi della procedura di collaborazione volontaria di cui al presente
articolo per l’emersione delle attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute fuori dal territorio dello Stato”. 3
La l.186/2014 ha introdotto un comma non previsto della disciplina previgente con il quale è stato esteso l’ambito di applicazione oggettivo della disciplina della collaborazione volontaria. Pertanto, ai sensi della disciplina attualmente vigente “Possono avvalersi della
procedura di collaborazione volontaria prevista dalle disposizioni di cui al comma 1 per sanare le violazioni degli obblighi di dichiarazione ai fini
delle imposte sui redditi e relative addizionali, delle imposte sostitutive delle imposte sui redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e
dell’imposta sul valore aggiunto, nonché le violazioni relative alla dichiarazione dei sostituti d’imposta, commesse fino al 30 settembre 2014, anche
contribuenti diversi da quelli indicati nell’articolo 4, comma 1, del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4
agosto 1990, n. 227, e successive modificazioni, e i contribuenti destinatari degli obblighi dichiarativi ivi previsti che vi abbiano adempiuto correttamente”.
Ambiti applicativi della v.d. internazionale e della v.d. domestica: profili soggettivi, oggettivi e procedimentali - Dott.ssa E. Bandettini
45
valore aggiunto, nonché le violazioni relative alla dichiarazione dei sostituti d’imposta, commesse fino al 30 settembre
2014.
La voluntary interna può essere attivata come una procedura di completamento della volutary internazionale quando, ad
esempio, gli attivi esteri oggetto di regolarizzazione sono stati realizzati tramite redditi sottratti a tassazione da società
residenti. Il caso esemplificativo è quello di sottofatturazioni effettuate da una società e di incasso della parte non fatturata dai soci direttamente all’estero. In ipotesi di questo tipo, sarà possibile per la persona fisica sanare con la voluntary
internazionale le violazioni relative al monitoraggio fiscale e quelle relative ai redditi prodotti e conseguiti all’estero. Con
la voluntary interna, di contro, la società avrà la possibilità di regolarizzare le violazioni dichiarative commesse per il
tramite delle sottofatturazioni.
Alla voluntary interna potrà farsi ricorso, inoltre, anche per sanare casi di esterovestizione di società la cui la sede sia
stata solo fittiziamente localizzata all’estero ma il cui place of effective management o il cui oggetto sociale sostanziale
sia invece da individuarsi in Italia. Rientra nel perimetro della voluntary interna anche la possibilità di regolarizzare la posizione di società non residenti
che abbiano operato in Italia tramite proprie stabili organizzazioni occulte in violazione dunque degli obblighi dichiarativi
che fanno capo al soggetto estero.
I soggetti che possono accedere alla voluntary internazionale sono quelli che hanno commesso violazioni agli obblighi
di monitoraggio fiscale.
Si tratta dei soggetti - persone fisiche, società semplici, enti non commerciali - che, secondo il sistema previsto dal D.L.
167/1990, sono tenuti a comunicare all’Amministrazione finanziaria la detenzione di investimenti esteri ed altre attività
patrimoniali estere.
Ai sensi dell’art.4, comma 1, del D.L. n. 167/1990, precisamente, le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società
semplici ed equiparate, che nel periodo d’imposta detengono investimenti all’estero e attività estere di natura finanziaria
suscettibili di produrre redditi tassabili in Italia, hanno l’obbligo di indicare tali attività nella dichiarazione annuale dei
redditi.
Le disposizioni di cui al successivo comma 2, dello stesso art. 4, prevedono peraltro alcune ipotesi di esonero dagli obblighi di monitoraggio. Viene infatti stabilito che tali obblighi non sussistono per le attività finanziarie o patrimoniali estere
affidate in gestione o in amministrazione agli intermediari residenti e per i contratti conclusi attraverso il loro intervento,
qualora i flussi finanziari e i redditi derivanti da tali attività e contratti siano stati assoggettati a ritenuta o ad imposta
sostitutiva dagli intermediari stessi. Sotto questo profilo, assume un ruolo centrale l’assoggettamento da parte dell’intermediario residente a ritenuta o ad imposta sostitutiva dei redditi rivenienti da attività finanziarie o patrimoniali estere.
Affinché si possa avere esenzione dagli obblighi di monitoraggio per i contribuenti, è dunque necessario che: a) le attività finanziarie e patrimoniali estere siano affidate in gestione o in amministrazione ad intermediari residenti; b) i redditi
relativi a tali attività siano assoggettati a ritenuta o ad imposta sostitutiva da parte degli intermediari.
Gli obblighi di monitoraggio per i contribuenti non sussistono, altresì, per i depositi e conti correnti bancari costituiti
all’estero il cui valore massimo complessivo raggiunto nel corso del periodo d’imposta non sia superiore a 15.000 euro.
Gli obblighi di monitoraggio fiscale sono stati modificati dalla legge comunitaria per il 2013 - art. 8, comma 16-bis, del D.L.
2 marzo 2012, n. 16 –. In particolare, sono stati soppressi gli obblighi, precedentemente previsti dalle disposizioni del DL
167/90, di indicazione dei trasferimenti da, verso e sull’estero. Sono stati inoltre rivisti gli obblighi degli intermediari e
dei contribuenti sulla base delle categorie e delle definizioni proprie di un altro sistema normativo, quello antiriciclaggio
di cui al D.lgs. n. 231/2007, nell’ottica di rafforzare il dispositivo di contrasto alle evasioni fiscali internazionali.
In particolare, per quanto riguarda i contribuenti, le nuove disposizioni hanno esteso gli obblighi di monitoraggio anche
ai titolari effettivi, come definiti dalla normativa antiriciclaggio, di enti e società che detengono attività finanziarie o patrimoniali estere4.
Sono state, infine, apportate significative modifiche sul versante delle previsioni sanzionatorie, con una sostanziale
riduzione delle sanzioni per le violazioni dichiarative relative alle attività patrimoniali e finanziarie detenute o costituite
all’estero.
4
La tabella allegata al D.Lgs. 231/2007, ha definito titolare effettivo: “Per titolare effettivo s’intende:a) in caso di società:
1) la persona fisica o le persone fisiche che, in ultima istanza, possiedano o controllino un’entità giuridica, attraverso il possesso o il
controllo diretto o indiretto di una percentuale sufficiente delle partecipazioni al capitale sociale o dei diritti di voto in seno a tale entità giuridica,
anche tramite azioni al portatore, purché non si tratti di una società ammessa alla quotazione su un mercato regolamentato e sottoposta a obblighi
di comunicazione conformi alla normativa comunitaria o a standard internazionali equivalenti; tale criterio si ritiene soddisfatto ove la percentuale
corrisponda al 25 per cento più uno di partecipazione al capitale sociale; 2) la persona fisica o le persone fisiche che esercitano in altro modo il
controllo sulla direzione di un’entità giuridica; b) in caso di entità giuridiche quali le fondazioni e di istituti giuridici quali i trust, che amministrano e
distribuiscono fondi: 1) se i futuri beneficiari sono già stati determinati, la persona fisica o le persone fisiche beneficiarie del 25 per cento o più del
patrimonio di un’entità giuridica; 2) se le persone che beneficiano dell’entità giuridica non sono ancora state determinate, la categoria di persone
nel cui interesse principale è istituita o agisce l’entità giuridica; 3) la persona fisica o le persone fisiche che esercitano un controllo sul 25 per cento
o più del patrimonio di un’entità giuridica”.
46
Ambiti applicativi della v.d. internazionale e della v.d. domestica: profili soggettivi, oggettivi e procedimentali - Dott.ssa E. Bandettini
I soggetti destinatari di questi obblighi possono, avvalendosi delle disposizioni dettate dall’art. 5 quater del D.L.167/90
introdotto dalla Legge 186/2014, accedere alla procedura di collaborazione volontaria per far emergere le attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute fuori del territorio dello Stato, definire le sanzioni per le violazioni di tali obblighi
nonché definire tutte le (correlate e non) violazioni in materia di imposte sui redditi e relative addizionali, di imposte sostitutive, di imposta regionale sulle attività produttive e di imposta sul valore aggiunto, nonché eventuali violazioni relative
alla dichiarazione dei sostituti d’imposta.
La procedura deve essere attivata spontaneamente, fornendo evidenza completa all’Amministrazione finanziaria di tutti
gli investimenti e di tutte le attività di natura finanziaria costituiti o detenuti all’estero, anche indirettamente o per interposta persona.
Allo scopo, le disposizioni di riferimento pongono a carico del contribuente l’onere di fornire all’Amministrazione finanziaria tutti i documenti e le informazioni necessarie per la determinazione analitica dei redditi che servirono per costituirli o
acquistarli, nonché dei redditi che derivano dalla loro dismissione o utilizzazione a qualunque titolo (voluntary internazionale), unitamente ai documenti e alle informazioni per la determinazione degli eventuali maggiori imponibili, agli effetti
delle imposte sui redditi e relative addizionali, delle imposte sostitutive, dell’imposta regionale sulle attività produttive, dei
contributi previdenziali, dell’imposta sul valore aggiunto e delle ritenute, non connessi con le attività costituite o detenute
all’estero (voluntary interna)5.
Con le stesse modalità, come detto, possono avvalersi della procedura di collaborazione volontaria, per sanare le violazioni degli obblighi di dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e relative addizionali, delle imposte sostitutive delle
imposte sui redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dell’imposta sul valore aggiunto, nonché’ le violazioni
relative alla dichiarazione dei sostituti d’imposta, commesse fino al 30 settembre 2014, anche contribuenti diversi da
quelli indicati tenuti agli obblighi di monitoraggio nonché quelli destinatari dei medesimi obblighi che vi abbiano adempiuto correttamente (voluntary interna).
L’accesso alla procedura di collaborazione volontaria deve riguardare tutti i periodi di imposta per i quali al momento
della presentazione dell’istanza di regolarizzazione rivolta all’Amministrazione finanziaria non siano scaduti i termini per
l’accertamento o per la contestazione delle violazioni degli obblighi in materia di monitoraggio fiscale.
Per stabilire quali siano le violazioni in materia di monitoraggio che il contribuente è tenuto a sanare, deve farsi riferimento alle norme che disciplinano i termini di decadenza per la notifica dell’atto di contestazione da parte dell’Amministrazione Finanziaria. Ovvero, a quelle di cui all’art. 20 del D.l.vo 472/97, in forza del quale gli atti della specie debbono essere
notificati entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione o nel diverso termine
previsto per l’accertamento dei singoli tributi.
Per le violazioni relative agli attivi detenuti in paesi black list – quelli inclusi nelle liste di cui al decreto del Ministro delle
finanze 4 maggio 1999 e al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 21 novembre 2001 –, i termini anzidetti
sono peraltro raddoppiati ai sensi dell’art. 12 comma 2 ter del D.l. 78/09 convertito in Legge 102/09.
Devono perciò essere regolarizzate le violazioni commesse a partire dal periodo d’imposta 2009 – Unico 2010 – e quelle
commesse a partire dal periodo d’imposta 2004 – Unico 2005 – per gli attivi detenuti in paesi black list.
Per quanto riguarda le violazioni in materia di imposte sui redditi e relative addizionali, di imposte sostitutive, di imposta regionale sulle attività produttive e di imposta sul valore aggiunto, si deve far riferimento agli articoli 43 del Dpr n.
600/1973 e, ai fini Iva, 57 del Dpr n. 633/72.
In forza di queste disposizioni, gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione. Nei casi di omessa presentazione
della dichiarazione, l’avviso di accertamento può essere notificato fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a
quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.
Al 31 dicembre 2014 è stato colpito da decadenza: a) il potere di accertamento per il 2009 in caso di dichiarazione presentata; b) il potere di accertamento per il 2008 in caso di dichiarazione omessa.
Queste disposizioni vanno peraltro coordinate con quelle dettate dall’art. 12 del D.l. 78/2009 convertito in Legge 102/09,
laddove è previsto – comma 2 - che gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato in violazione degli obblighi di dichiarazione di cui all’articolo 4 del del D.l. 167/90, si presumono
costituite, salva la prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione. Ed in secondo luogo che, in tale caso – comma
2 bis -, sono raddoppiati i termini per l’accertamento basato su questa presunzione, sia ai fini delle imposte sui redditi
che dell’IVA6.
5
È tuttavia prevista, per i patrimoni inferiori ai 2 milioni di €, una procedura di calcolo semplificata basata sull’applicazione forfettaria dell’aliquota del 27% su un rendimento presunto del 5%annuo.
6
I commi 2 e seguenti dell’art. 12 del D.l. 78/2009 stabiliscono che “In deroga ad ogni vigente disposizione di legge, gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui al decreto del Ministro delle finanze 4 maggio
1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 10 maggio 1999, n. 107, e al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 21 novembre 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 23 novembre 2001, n. 273, senza tener conto delle limitazioni
ivi previste, in violazione degli obblighi di dichiarazione di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 4 del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito
dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, ai soli fini fiscali si presumono costituite, salva la prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione. In tale
caso, le sanzioni previste dall’articolo 1 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, sono raddoppiate. 2-bis. Per l’accertamento basato sulla
Ambiti applicativi della v.d. internazionale e della v.d. domestica: profili soggettivi, oggettivi e procedimentali - Dott.ssa E. Bandettini
47
La conseguenza è che nella fattispecie disciplinata dall’art. 12 risulta ancora accertabile, entro il 31 dicembre 2015, il
periodo d’imposta 2006 ovvero il 2004, a seconda che la violazione consista nell’infedele ovvero nell’omessa presentazione della dichiarazione.
Il comma 4 dell’art. 1) della Legge 186 rende tuttavia non operativo il raddoppio dei termini di decadenza dell’azione
accertatrice per gli attivi detenuti in paesi che, seppur inclusi in una delle black lists, siano divenuti collaborativi. E’ necessario, in primo luogo, che il Paese di riferimento abbia firmato un accordo sullo scambio di informazioni a domanda
conforme agli standard Ocse, o firmi un tale accordo entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge. Perché sia
escluso il raddoppio dei termini è altresì necessario: a) il rilascio all’intermediario finanziario estero dell’autorizzazione
a trasmettere alle autorità fiscali italiane richiedenti tutti i dati concernenti le attività oggetto di collaborazione volontaria;
b) in caso di trasferimento delle attività oggetto di emersione ad altro intermediario, il rilascio di tale autorizzazione entro
30 giorni dal trasferimento e la trasmissione di tale autorizzazione all’Amministrazione finanziaria entro 60 giorni dal
trasferimento.
La Legge 186/2014 non prevede disposizioni analoghe in relazione alle violazioni in materia di monitoraggio fiscale, con
la conseguenza che, nonostante la sottoscrizione di accordi per lo scambio di informazioni con i paesi black list dove
erano detenuti gli attivi esteri non dichiarati, continuerebbe ad applicarsi la previsione di cui al comma 3 ter dell’art. 12
della Legge 102/09 – raddoppio dei termini da 5 a 10 anni – .
Nondimeno va rilevato come nel Ddl di conversione del D.L. n. 192/2014, recante “proroga di termini previsti da disposizioni legislative” - decreto Milleproroghe – sia stata opportunamente inserita una disposizione di modifica della Legge
186/2014 volta a disciplinare questa ipotesi e quindi ad elidere l’operatività del raddoppio anche per le violazioni in materia di monitoraggio fiscale7.
A fattor comune per la voluntary internazionale e per quella domestica, rilevano inoltre le disposizioni, pure contenute
negli articoli 43 e 57 già richiamati, che prevedono il raddoppio dei termini di accertamento per le violazioni che comportano l’obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati tributari previsti
dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74.
La materia del raddoppio dei termini di accertamento in caso di obbligo di denuncia sarà verosimilmente oggetto di
revisione ad opera del decreto legislativo sulla certezza del diritto che il Governo dovrà attuare sulla base della specifica delega contenuta nella Legge 11 marzo 2014 nr. 23, secondo cui, “Il governo è delegato altresì a definire, con i
decreti legislativi di cui all’articolo 1, la portata applicativa della disciplina del raddoppio dei termini, prevedendo che
tale raddoppio si verifichi soltanto in presenza di effettivo invio della denuncia, ai sensi dell’articolo 331 del codice di
procedura penale, effettuato entro un termine correlato allo scadere del termine ordinario di decadenza, fatti comunque
salvi gli effetti degli atti di controllo già notificati alla data di entrata in vigore dei decreti legislativi”. La bozza di decreto
legislativo sulla certezza del diritto approvata dal Governo in data 24 dicembre prevede che il raddoppio termini si verifichi, conformemente alle indicazioni contenute nella Legge Delega, a condizione che la notizia di reato sia inoltrata entro
gli ordinari termini di decadenza dell’azione accertatrice.
Aspetti premiali
La Legge 186/14 prevede, limitatamente alle violazioni relative all’imponibile, alle imposte ed alle ritenute che sono state
oggetto della procedura di voluntary disclosure. La non punibilità dei reati tributari di cui all’ art. 2 d.lgs. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti); art. 3 d.lgs. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici); art. 4 d.lgs. 74/2000 (dichiarazione infedele); art. 5 d.lgs. 74/2000 (omessa
dichiarazione); art. 10bis d.lgs. 74/2000 (omesso versamento di ritenute certificate); art. 10ter d.lgs. 74/2000 (omesso
versamento di I.V.A.), nonché riciclaggio (art. 648bis c.p.); impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (art.
648ter c.p.); autoriciclaggio (art. 648ter.1 c.p.), che abbiano per presupposto i medesimi reati tributari.
Stabilisce inoltre significative riduzioni delle sanzioni amministrative applicabili nei confronti del contribuente che si avvale della procedura di collaborazione volontaria.
Le riduzioni sono applicate sul minimo edittale delle sanzioni relative alle violazioni commesse nei periodi d’imposta
ancora accertabili, quanto ai redditi, ovvero, ancora contestabili, quanto alle violazioni in materia di monitoraggio fiscale.
Precisamente, le sanzioni per le violazioni agli obblighi di monitoraggio sono ridotte del 50% e quindi stabilite in misura
pari alla metà del minimo edittale, ossia l’1,5% per i Paesi white list ed il 3% (2,5% sino al periodo d’imposta 2007) per
gli Stati black list, se, alternativamente: 1) le attività finanziarie vengono rimpatriate in Italia o Stati aderenti all’Accordo
sullo Spazio economico europeo che consentono un effettivo scambio di informazioni con l’Italia; 2) le attività oggetto di
emersione sono od erano detenute in questi Stati.
Il rimpatrio si considera eseguito anche nell’ipotesi in cui il contribuente pur mantenendo le attività all’estero, in un paese
presunzione di cui al comma 2, i termini di cui all’articolo 43, primo e secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre
1973, n. 600, e successive modificazioni, e all’articolo 57, primo e secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n.
633, e successive modificazioni, sono raddoppiati. 2-ter. Per le violazioni di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 4 del decreto-legge 28 giugno 1990,
n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, e successive modificazioni, riferite agli investimenti e alle attività di natura
finanziaria di cui al comma 2, i termini di cui all’articolo 20 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, sono raddoppiati”.
7
Si veda art. 10 comma 12 quinquiesdecies del Disegno di Legge n. 2803/A
48
Ambiti applicativi della v.d. internazionale e della v.d. domestica: profili soggettivi, oggettivi e procedimentali - Dott.ssa E. Bandettini
black list, e senza procedere dunque al materiale trasferimento nel territorio dello Stato, abbia conferito ad un intermediario abilitato residente (tipicamente una fiduciaria) un incarico di custodia, deposito, amministrazione o gestione
delle stesse attività finanziarie (cosiddetto “rimpatrio giuridico”). Ciò in quanto, come chiarito dalla circolare 43/E del
10.10.2009 con riferimento alla normativa sull’emersione delle attività estere non dichiarate ex Legge 102/09 (cd. detto
scudo fiscale), il conferimento da parte dell’interessato di un siffatto incarico all’intermediario implica, in forza del
mandato professionale, l’obbligo di effettuazione da parte di quest’ultimo di tutti i conseguenti adempimenti sostanziali
(tra i quali, l’applicazione delle ritenute e delle imposte sostitutive) e formali (tra cui, le comunicazioni all’Amministrazione finanziaria dei redditi soggetti a ritenuta a titolo d’acconto) previsti dalle pertinenti disposizioni di legge8.
Fuori dai casi precedentemente considerati, il beneficio della riduzione della sanzione alla metà del minimo edittale è
comunque concesso se il contribuente rilascia all’intermediario finanziario estero presso cui le attività sono detenute,
l’autorizzazione a trasmettere all’Amministrazione finanziaria tutte le informazioni riguardanti le attività oggetto di regolarizzazione.
Nel caso in cui non sussista alcuno di questi requisiti, la riduzione della sanzione per effetto dell’accesso alla voluntary
disclosure è pari ad un quarto del minimo edittale.
Ai soli fini della procedura di voluntary disclosure, il minimo edittale della sanzione amministrativa per la detenzione di
capitali non dichiarati in Stati black list viene fissato al 3% e quindi equiparato al minimo edittale previsto per i paesi
white list se il paese black list sottoscrive, entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge, un accordo che consenta di
garantire un effettivo scambio di informazioni secondo le previsioni di cui all’art. 26 del modello di convenzione contro le
doppie imposizioni elaborato dall’OCSE.
Per l’ipotesi di attivi detenuti in paesi black list che abbiano sottoscritto i suddetti accordi senza che si siano verificate le
condizioni per la riduzione al 50% del minimo edittale, troverà applicazione solo la riduzione ad un quarto del minimo.
La sanzione come sopra determinata deve quindi essere ridotta ad un terzo a seguito della definizione secondo le procedure previste dall’art. 16 del d.lgs. 472/1997.
La Legge 186 prevede, infine, la riduzione ad un quarto del minimo edittale per tutte le sanzioni correlate alle violazioni
in materia di imposte sui redditi e relative addizionali, di imposte sostitutive, di I.R.A.P. e di I.V.A.
Alle sanzioni già ridotte per effetto dell’accesso al programma di voluntary disclosure si applicano le ulteriori riduzioni
previste dalle norme in tema di definizione agevolata o di accertamento con adesione, a seconda che il contribuente
definisca la sua posizione in base all’invito dell’Agenzia delle entrate ovvero a seguito di procedimento di accertamento
con adesione. Le sanzioni sono quindi rispettivamente fissate nella misura di un sesto e di un terzo del minimo edittale,
ridotto del 25% ex Legge 186.
Preclusioni
La Legge 186 disciplina i casi in cui al contribuente è inibito l’accesso alla procedura di collaborazione volontaria. E’
stabilito che siano esclusi dalla procedura i contribuenti nei confronti dei quali siano iniziati accessi, ispezioni e verifiche
da parte dell’Amministrazione finanziaria o che siano stati sottoposti ad attività di accertamento amministrativo o, ancora,
a carico dei quali sia pendente un procedimento penale per reati tributari9.
La ratio di questa previsione è individuabile nel requisito della spontaneità che deve caratterizzare la collaborazione
volontaria.
L’invio del semplice questionario da parte dell’Agenzia delle Entrate è già idoneo a far operare la causa ostativa rappresentata dalla formale conoscenza dell’inizio di qualunque attività di accertamento. Sul punto era intervenuta la circolare
8
In particolare la circolare 43/E del 2009, emessa con riferimento alla disciplina dello scudo fiscale e, ancora attuale, ha specificato, all’art. 9 della stessa, come l’intermediario sia tenuto a “versare l’imposta straordinaria dovuta in relazione alle operazioni di rimpatrio e di
regolarizzazione, entro il termine previsto per il versamento delle ritenute relative al mese del pagamento dell’imposta da parte del contribuente
come sopra specificato, secondo le disposizioni contenute nel Capo III del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, senza effettuare la compensazione di cui all’articolo 17 del medesimo decreto. A tal fine deve essere utilizzato il codice tributo 8107 per i versamenti dell’imposta sulle attività
rimpatriate e il codice tributo 8108 per l’imposta relativa alle attività regolarizzate (cfr. Ris. 8 ottobre 2009, n. 257/E). In relazione agli adempimenti
posti a loro carico, gli intermediari sono soggetti alle disposizioni previste in materia di imposte sui redditi con riferimento alla liquidazione, all’accertamento, alla riscossione, alle sanzioni, ai rimborsi ed al contenzioso. Pertanto, all’imposta straordinaria dovuta per effetto delle operazioni di
emersione si rendono applicabili, ove compatibili, anche le disposizioni procedimentali relative alle ritenute e alle imposte sostitutive delle imposte
sui redditi, ad eccezione dell’istituto della compensazione di cui all’articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997, così come espressamente
previsto dall’articolo 13, comma 2, del decreto legge n. 350 del 2001. È appena il caso di sottolineare che sono altresì applicabili nei confronti
dell’intermediario le disposizioni relative al cosiddetto “ravvedimento operoso” di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472,
nonché le disposizioni contenute nell’articolo 34, comma 4, della legge 23 dicembre 2000, n. 388” ed inoltre debba provvedere a “indicare nella
dichiarazione annuale del sostituto d’imposta (modello 770) l’ammontare complessivo dei valori rimpatriati e regolarizzati e quello delle somme
versate. Al fine di garantire la riservatezza sulle operazioni di emersione, i dati comunicati annualmente nel predetto modello sono dati aggregati,
senza alcuna specificazione dei nominativi che hanno presentato la dichiarazione riservata”
9
La formale conoscenza dell’avvio del procedimento è penale si verifica con la notifica della conclusione delle indagini preliminari ai sensi di quanto disposto dall’art. 415-bis del codice di procedura penale. Tuttavia, considerato che in alcuni casi può accadere che l’indagato
abbia avuto formale conoscenza dell’avvio del procedimento penale prima del termine cui si riferisce il citato art. 415-bis (ad es. se viene disposto
un sequestro o una perquisizione a suo carico), in tali casi si deve “tener conto, più in generale, delle notifiche dei primi atti da cui espressamente
risulti la qualità di indagato”. In tal senso si è pronunciata l’Agenzia delle Entrate con la circolare 10 ottobre 2009, n. 43/E.
Ambiti applicativi della v.d. internazionale e della v.d. domestica: profili soggettivi, oggettivi e procedimentali - Dott.ssa E. Bandettini
49
dell’Agenzia delle Entrate n.43/E, emessa a seguito dell’entrata in vigore dello scudo fiscale del 2009.
L’agenzia delle Entrate, con la recente Circolare n. 6/E 2015 ha chiarito come la definizione, prima della presentazione
dell’istanza di regolarizzazione, degli avvisi di accertamento relativi agli anni oggetto di emersione, rimuove la causa
ostativa e consente di accedere alla voluntary disclosure.
La preclusione, così come appena esaminata, trova applicazione anche con riferimento ai contribuenti solidalmente
obbligati nei confronti dell’Erario o concorrenti nel reato, qualora siano iniziati accertamenti fiscali o procedimenti penali
a carico di uno solo di questi soggetti.
L’accesso alla voluntary disclosure è inibito altresì nel caso in cui questa conoscenza sia mediata, come nel caso di un
socio di una Società nei confronti della quale sia iniziata una verifica.
50
Ambiti applicativi della v.d. internazionale e della v.d. domestica: profili soggettivi, oggettivi e procedimentali - Dott.ssa E. Bandettini
IL NUOVO REATO DI AUTORICICLAGGIO NEL CONTESTO
DELLA VOLUNTARY DISCLOSURE
Dott. Paolo Ielo
Sostituto Procuratore Procura della Repubblica - Roma
BSC
partners
IL NUOVO REATO DI AUTORICICLAGGIO NEL CONTESTO DELLA VOLUNTARY DISCLOSURE1.
1. Note introduttive di sistema.
a) Il money laundering e l’ordinamento Italiano
La ricognizione dei modelli preventivi e sanzionatori dell’ordinamento Italiano relativi ai fatti di money laundering, lato
sensu considerato, consente di evidenziare per un verso che le ipotesi di reato ad esso relative sono più ampie di quelle
previste dai tipi legali di cui agli artt. 648 bis, 648 ter e 648.1 ter c. p., per altro verso che i fatti di riciclaggio hanno un
rilievo più ampio dell’area strettamente penalistica.
Sotto il primo angolo di visuale, giova osservare come la Corte di Legittimità abbia individuato nell’art. 12 quinquies d
l 306/922 un’ipotesi di reato idonea a sanzionare specifiche forme di auto ricettazione, riciclaggio, reimpiego, che non
sarebbero altrimenti punibili per la clausola di riserva presente negli artt. 648 bis e 648 ter3
Sotto il secondo angolo di visuale, giova rilevare che, ai fini della prevenzione dell’utilizzo nel sistema finanziario a scopo
di riciclaggio dei proventi di attività criminose, il d. lgs 231/07 assume un’accezione assai lata del concetto di riciclaggio4,
tale da comprendere non solo tutte le forme di riciclaggio e autoriciclaggio in senso economico, intendendosi come tali
le condotte con la connotazione modale dell’interposizione di ostacoli all’individuazione dell’origine illecita del bene, ma
anche condotte che da tale schema esulano5.
b) i delitti di riciclaggio e reimpiego
I fatti di riciclaggio in senso economico, connotati dall’interposizione di ostacoli finalizzati all’ostacolo dell’individuazione dell’origine illecita del denaro o altre utilità, sono stati oggetto di una progressiva penalizzazione nell’ordinamento
italiano.
Il legislatore, a partire dalla fine degli anni ’70, per punire l’uso del denaro oggetto dei riscatti dei sequestri di persona
a scopo di estorsione, introduce il reato di “Sostituzione di denaro o valori provenienti da rapina aggravata, estorsione
aggravata, sequestro di persona a scopo di estorsione”, fattispecie residuale, generata da un limitato novero di reati
presupposto..
La legge 19 marzo 1990, n. 55:
- rimodella la fattispecie, denominandola riciclaggio ( art. 648 bis c.p.) ed estendendone l’ambito applicativo, in adempimento agli obblighi assunti con l’adesione alla Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico di stupefacenti del 1990
e adesione ai principi affermati dal Comitato Internazionale di esperti delle Amministrazioni Finanziarie per lo Studio del
Riciclaggio (c.d. GAFI);
- introduce il reato di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita di cui all’art. 648ter c.p.
Il d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito con modifiche nella l. 7 agosto 1992, n. 356, introduce il reato di cui all’ art. 12
quinquies, che sanziona la condotta di chi attribuisce fittiziamente a terzi la titolarità o l’utilizzabilità di beni od altre
utilità, i quali rimangano effettivamente nella sua disponibilità, non solo per agevolarne la loro circolazione nel mercato
finanziario, economico e produttivo ma soprattutto per evitare l’applicazione di misure di prevenzione patrimoniali e per
agevolare i delitti di ricettazione, riciclaggio e reimpiego di proventi illeciti.
La legge 9 agosto del 1993, n° 328, rimodula le fattispecie di riciclaggio e reimpiego, conferendo loro le attuali connotazioni.
Nell’ultimo decennio si registrano una pluralità di iniziative intese all’introduzione, in forme diverse, del reato di autoriciclaggio6. Tra le più significative:
- Il ddl 4705 del febbraio 2004, che prevede la soppressione negli artt. 648 bis e ter c.p. delle clausole di riserva;
1
Relazione tenuta al Convegno Voluntary Disclosure – il punto di vista Svizzero e Italiano, Lugano, 5 marzo 2015
2
conv. nella Legge 7 agosto 1992, n. 356
3
SS.UU. 25191/2014
4
Art. 2.Definizioni di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo e finalita’ del decreto
1. Ai soli fini del presente decreto le seguenti azioni, se commesse intenzionalmente, costituiscono riciclaggio:
a) la conversione o il trasferimento di beni, effettuati essendo a conoscenza che essi provengono da un’attivita’ criminosa o da una partecipazione a
tale attivita’, allo scopo di occultare o dissimulare l’origine illecita dei beni medesimi o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attivita’ a sottrarsi alle
conseguenze giuridiche delle proprie azioni;
b) l’occultamento o la dissimulazione della reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione, movimento, proprieta’ dei beni o dei diritti sugli stessi,
effettuati essendo a conoscenza che tali beni provengono da un’attivita’ criminosa o da una partecipazione a tale attivita’;
c) l’acquisto, la detenzione o l’utilizzazione di beni essendo a conoscenza, al momento della loro ricezione, che tali beni provengono da un’attivita’
criminosa o da una partecipazione a tale attivita’;
d) la partecipazione ad uno degli atti di cui alle lettere precedenti, l’associazione per commettere tale atto, il tentativo di perpetrarlo, il fatto di aiutare,
istigare o consigliare qualcuno a commetterlo o il fatto di agevolarne l’esecuzione.
2. Il riciclaggio e’ considerato tale anche se le attivita’ che hanno generato i beni da riciclare si sono svolte nel territorio di un altro Stato comunitario
o di un Paese terzo.
3. ……
4. ……
5. …..
6. ….
5
Cfr. art. 2 lettera c)
6
cf. Castaldo e Nadeo, Il denaro sporco. Prevenzione e repressione nella lotta al riciclaggio, Padova 2010, 91 e ss.
52
Il nuovo reato di autoriciclaggio nel contesto della voluntary disclosure - Dott. Paolo Ielo
-
I ddl 583/08 e 733 bis 2009, che elimina le clausole di riserva e introduceva un limite alla punibilità per i fatti di
godimento del bene;
- I ddl 1454, 1629 e 1445 del 2009, che elimina la clausola di riserva e rimodella le fattispecie;
- Le proposte di legge nella legislatura del 2010 Bersani (3145) e Naccarato (3872) che prevedevano la soppressione delle clausole di riserva.
La L. 186/2014, con l’art. 3, comma 3, attraverso l’interpolazione dell’art. 648ter.1 c.p., introduce il delitto di autoriciclaggio7,
fattispecie inclusa tra i reati presupposto per la configurabilità della responsabilità amministrativa da reato degli enti8.
Un’incriminazione prevista dalla convenzione di Strasburgo sulla Corruzione del 19999, ratificata dall’Italia con la L.
110/12 e dalla Convenzione ONU contro il crimine organizzato transnazionale, del 2000, ratificata dalla l. 146/2006 convenzioni che prevedono la possibilità per gli Stati contraenti di non sanzionare l’autore della condotta che sia anche
l’autore del reato presupposto – e sollecitata dall’OCSE nel rapporto sull’Italia del 2011, laddove si evidenzia come la non
punibilità dell’autoriciclaggio indebolisca la legislazione anticorruzione.
2. Indicazioni di diritto comparato.
Nel panorama comparato, lo scenario è composito. Dai più recenti Rapporti di Valutazione sulle Misure Antiriciclaggio
redatti dal GAFI emerge quanto segue.
• In Svizzera, il riciclaggio è sanzionato dall’art. 305bis Codice Penale, il quale dispone:
“1. Chiunque compie un atto suscettibile di vanificare l’accertamento dell’origine, il ritrovamento o la confisca di
valori patrimoniali sapendo o dovendo presumere che provengono da un crimine, è punito con una pena detentiva
sino a tre anni o con una pena pecuniaria.
2. Nei casi gravi, la pena è una pena detentiva sino a cinque anni o una pena pecuniaria. Con la pena detentiva è
cumulata una pena pecuniaria sino a 500 aliquote giornaliere.
Vi è caso grave segnatamente se l’autore:
a. agisce come membro di un’organizzazione criminale;
b. agisce come membro di una banda costituitasi per esercitare sistematicamente il riciclaggio;
c. realizza una grossa cifra d’affari o un guadagno considerevole facendo mestiere del riciclaggio.
3. L’autore è punibile anche se l’atto principale è stato commesso all’estero, purché costituisca reato anche nel
luogo in cui è stato compiuto.”
Non è previsto espressamente il reato di autoriciclaggio ma il Tribunale Federale ha interpretato la norma nel senso
di non precludere la punibilità di questa fattispecie. A questa soluzione, si contrappongono opposte soluzioni dottrinarie improntate all’applicazione del principio di consunzione.
• In Francia, il reato di riciclaggio (blanchiment), nella sua forma semplice ed aggravata, è perseguito dall’art. 324-1
all’art. 324-6-1 Code Pénal. La definizione normativa non prevede l’ipotesi di autoriciclaggio ma la Corte di Cassazione francese, con una pronuncia del 2004, al fine di punire i soggetti appartenenti ad associazioni di stampo
criminale, ha esteso l’ambito di applicazione dell’art. 324-1 Code Pénal anche all’autore del reato presupposto.
Quest’ultimo può, quindi, essere considerato autore del reato di blanchiment nel momento stesso in cui compie
operazioni di riciclaggio del provento dell’illecito da lui stesso commesso.
Una rilevante conseguenza di ciò ha riguardato la prescrizione, posto che sono perseguibili reati di autoriciclaggio
anche una volta che si siano prescritti i delitti presupposto.
Sono punibili, altresì, le persone giuridiche ex art. 324-9 Code Pénal con sanzioni principali ed accessorie molto più
gravi rispetto a quelle previste per le persone fisiche;
• In Belgio, il reato di autoriciclaggio è previsto dall’art. 505 Codice Penale. È sanzionato il riciclaggio dei vantaggi
patrimoniali derivanti da qualsiasi genere di infrazione. L’autore del reato può essere una persona sia fisica sia
giuridica.
7
“1. Si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 a chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro,
i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza
delittuosa.
2. Si applica la pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 se il denaro, i beni o le altre utilità provengono
dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.
3. Si applicano comunque le pene previste dal primo comma se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da un delitto commesso con le condizioni
o le finalità di cui all’articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e successive
modificazioni.
4. Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale.
5. La pena è aumentata quando i fatti sono commessi nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale.
6. La pena è diminuita fino alla metà per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per
assicurare le prove del reato e l’individuazione dei beni, del denaro e delle altre utilità provenienti dal delitto.
7. Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648”.
8
art. 25octies d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231
9
Art. 13, che precede l’adozione di misure legislative che considerino reato gli illeciti indicati dall’ art. 6 , par. 1, lett. a) e b), della convenzione
sul riciclaggio, tra i quali l’autoriciclaggio
Il nuovo reato di autoriciclaggio nel contesto della voluntary disclosure - Dott. Paolo Ielo
53
•
•
•
•
•
•
54
In particolare, l’art. 505, c. 2, Codice Penale prevede che le violazioni di cui al precedente comma si applichino
anche se il soggetto attivo è ugualmente autore, coautore o complice della fattispecie da dove provengono le cose
riciclate.
Le pene previste vanno da 15 giorni a 5 anni di reclusione e/o da € 65 a € 2.500 da moltiplicarsi per i decimi addizionali.
In Germania, il riciclaggio è stato introdotto nel 1992 ed è previsto dal § 261 StGB (Strafgesetzbuch). In relazione
all’autoriciclaggio, il § 261 StGB non distingue espressamente tra questa fattispecie ed il reato commesso da un
terzo. Da questo consegue che la normativa antiriciclaggio potrebbe, in teoria, essere applicata a tutte le ipotesi
concrete.
In realtà, il § 261, c. 9, StGB sancisce che non può essere sanzionato colui che è punibile per concorso nel reato
presupposto. L’esplicita esclusione di una doppia punizione per i partecipanti a tale illecito ha sollevato dubbi in
merito all’applicazione di questa regola anche al soggetto attivo del reato, oltre che a coloro che vi hanno concorso.
Il divieto di doppia punibilità, infatti, è sancito dalla Costituzione tedesca, dallo stesso StGB ed è stato confermato
da una sentenza della Corte di Cassazione Federale del 2009.
Il Governo attuale, nel quadro degli accordi firmati con il GAFI, si è impegnato con diversi provvedimenti ad adempiere agli standards internazionali per la lotta al riciclaggio. Tra questi, è stato presentato in Parlamento un disegno
di legge volto all’introduzione espressa della fattispecie di autoriciclaggio.
In Austria, il delitto di autoriciclaggio è entrato in vigore dal 1 luglio 2010 con una modifica dell’art. 165 Codice Penale. La norma, infatti, non specifica più che il reato presupposto debba essere commesso da un’altra persona e, di
conseguenza, sanziona anche il soggetto attivo dell’illecito presupposto.
In Spagna, dal 2010 l’art. 301 Codice Penale prevede espressamente il reato di autoriciclaggio. È perseguito colui
che acquisti, possieda, utilizzi, converta o trasmetta beni, sapendo che essi sono provenienti da un’attività delittuosa, commessa da lui stesso o da terzi, ovvero esegua qualsiasi altro atto al fine di occultare o mascherare la loro
provenienza illecita o per aiutare la persona coinvolta a sottrarsi alle conseguenze giuridiche della sue azioni. La
pena è la reclusione da 6 mesi a 6 anni e la multa corrisponde a tre volte il valore dei beni.
In Portogallo, l’autoriciclaggio è sanzionato penalmente sin dalla Legge 11/2004. L’art. 368-A, c. 2, Codice Penale
punisce chi, allo scopo di dissimularne l’origine illecita, sostituisce, trasferisce, facilita o agevola qualsiasi operazione di sostituzione o trasferimento dei proventi dei reati indicati al c. 1, per se stesso o per un terzo. La pena è
determinata, nel minimo, in 6 mesi di reclusione. Non è necessario che il soggetto sia stato condannato per il reato
presupposto.
Sono punibili solo le persone fisiche e non le persone giuridiche, per le quali sono previste unicamente misure
dissuasive.
Nel Regno Unito, il reato di riciclaggio è regolato dal Proceeds of Crime Act 2002, il quale non assegna risalto
autonomo al fenomeno dell’autoriciclaggio. L’illecito, le cui pene detentive variano dai 5 mesi ai 14 anni, è costituito
da tre diverse fattispecie:
1. condotte dirette ad occultare, trasformare, convertire o trasferire i proventi di attività criminose al fine di consentire la circolazione attraverso normali canali di trasferimento della ricchezza;
2. accordi posti in essere per compiere tali operazioni;
3. acquisizione o possesso di beni di origine illecita.
La normativa inglese in materia è stata arricchita dal Money Laundering Regulations 2007, con cui è stata data attuazione alla Direttiva 91/308/CEE, modificata nel 2012 in attuazione della Direttiva 2005/60/CE per la prevenzione
dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio del provento di attività illecite.
Negli Stati Uniti, l’autoriciclaggio è un illecito penale sulla base del Money Laundering Control Act del 1986 che
prevede distinte ipotesi di riciclaggio al § 1956 ed al § 1957.
È punibile per un fatto di riciclaggio chiunque conduca o cerchi di porre in essere un’operazione finanziaria, sapendo che i beni coinvolti sono il provento di un’attività illecita, nei seguenti casi:
a. con lo scopo di promuovere il perseguimento di uno specifico illecito;
b. sapendo che tutta l’operazione è volta a nascondere o celare la natura, il luogo, la provenienza, la proprietà
o il controllo dei proventi della precedente attività illecita o per evitare che l’operazione riporti le indicazioni
richieste dalla legge Statale o Federale.
La pena prevista consiste in una multa non superiore a $ 500.000 ovvero, se maggiore, al doppio del valore dei beni
della transazione e nella reclusione per un tempo non superiore a 20 anni. Le sanzioni possono essere alternative
o cumulative.
Sono considerati fatti di riciclaggio anche i trasporti, le trasmissioni e i trasferimenti, compresi i tentativi, di strumenti
monetari da un luogo sito negli Stati Uniti verso l’estero e viceversa per i medesimi scopi delle condotte già descritte
precedentemente.
Il § 1956, punto (7) prevede che la Pubblica Accusa non debba dimostrare che l’imputato avesse conoscenza che
l’illecito da cui sono derivati i beni che si volevano impiegare fosse considerato reato presupposto della fattispecie
di illecito reimpiego.
Il § 1957 sanziona l’impiego in transazioni finanziarie di beni provenienti da reato, se questi hanno un valore superiore a $ 10.000.
Il nuovo reato di autoriciclaggio nel contesto della voluntary disclosure - Dott. Paolo Ielo
3. Autoriciclaggio e Voluntary Disclosure Program
L’introduzione del delitto di auroriciclaggio avviene nel contesto normativo della adozione del Voluntary Disclosure Program ( VDP ) intervenuta con la Legge 15 dicembre 2014, n° 186.
Un provvedimento che prevede la possibilità per i contribuenti residenti in Italia di regolarizzare la loro posizione tributaria, in relazione agli obblighi di dichiarazione10 e limitatamente ai fatti commessi fino al 30 settembre 2014, attraverso una
procedura di collaborazione volontaria per l’emersione di attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute fuori dal
territorio dello Stato, consentendo un recupero d’imposta11.
La procedura di collaborazione volontaria può essere attivata fino al 30 settembre 201512.
Sul piano strettamente penalistico, l’adesione al VDP esclude la punibilità, limitatamente alle condotte relative agli imponibili, alle imposte e alle ritenute oggetto della collaborazione volontaria, per tutti i delitti tributari di dichiarazione e
omesso versamento previsti dal d. lgs 74/00 ( artt. 2,3,4,5,10 bis e 10 ter).
Similmente, l’adesione al VDP esclude la punibilità per i reati di Riciclaggio ( 648 bis c.p.) e Reimpiego ( 648 ter c.p.) in
relazione a tali reati, limitatamente alle condotte relative agli imponibili, alle imposte e alle ritenute oggetto della collaborazione volontaria13.
Ancora, è prevista la non punibilità per il nuovo delitto di Autoriciclaggio ( art. 648.1 ter c.p.), se commesso in relazione
ai richiamati delitti tributari, se vi sia adesione al VDP e le condotte siano commesse fino al 30 settembre 201514.
Infine, ai sensi del comma 5 dell’art. 1, gli effetti penali dell’adesione al VDP si estendono a coloro i quali abbiano concorso nella commissione dei delitti per ci è esclusa la punibilità.
Un provvedimento condivisibilmente definito di clemenza anomala15 fondato sul modello dell’autodenuncia, che tuttavia
non sembra possa essere tacciato d’incostituzionalità per violazione dell’art. 79 Cost., siccome atto di amnistia mascherata, poiché l’effetto estintivo è il prodotto di una procedura amministrativa complessa, e non l’effetto immediato di un
provvedimento di legge16.
La nuova fattispecie, inoltre, è stata inclusa tra gli illeciti presupposto per la configurabilità della responsabilità amministrativa da reato degli enti, ai sensi dell’art. 25octies d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231.
4. Il delitto di autoriciclaggio : elementi costitutivi e criticità ermeneutiche
Commette il reato di autoriciclaggio il soggetto che, già autore di un altro delitto non colposo da cui ha ricavato un provento, lo impieghi, sostituisca o trasferisca in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, in modo tale
da concretamente ostacolare l’identificazione della provenienza illecita.
La lettera della norma con le sue ridondanze e imprecisioni, la presenza di enunciati normativi con valenze disnomiche
costituiscono il segno formale di una sintesi incompiuta delle diverse criticità manifestate in dottrina e negli orientamenti
di politica legislativa che hanno preceduto l’introduzione del reato.
Prima facie, il reato di nuovo conio si mostra quale crasi normativa tra il delitto di riciclaggio, da cui trae il segmento di
condotta consistente nel layering, e quello di reimpiego, da cui trae il segmento di condotta consistente nel reinserimento
del provento dell’illecito nell’economia legale.
Una lettura non ovvia, ad oggi revocata in dubbio da parte della dottrina, che deve coniugarsi con la necessità di dare un
senso al IV comma, che impedisce la punibilità della destinazione al mero uso o godimento personale.
a) soggetti attivi
Il primo elemento di novità è costituito dal fatto che si tratta di reato proprio, la cui platea di autori è limitata a coloro i
quali abbiano commesso, con uno dei possibili modi di essere del contributo causale alla realizzazione del fatto, il reato
presupposto17.
Giova osservare, a tale ultimo riguardo, che la legge 186/14 dissipa ogni residuo dubbio circa la possibilità di configurare
i delitti tributari considerati nel d. lgs 74/00 quali reati presupposto.
L’assunto era stato ritenuto in giurisprudenza con riguardo al reato di cui all’art. 648 bis c.p..
In particolare, la Corte di legittimità, chiamata a pronunciarsi sulla possibilità di considerare anche il risparmio fiscale
come denaro od altra utilità passibili di riciclaggio o reimpiego, ha affermato che, a seguito della riforma del 1993, attualmente gli artt. 648bis e 648ter non contengono più un’indicazione tassativa dei possibili illeciti presupposto, che possono essere individuati sia nelle fattispecie orientate alla creazione di nuovi capitali sia in quelle che permettono un indebito
10
art. 4 comma 1 L. 167/90
11
art. 1, comma 1
12
art. 1, comma 5
13
art. 5 quinquies, comma 1 , lett. b
14
art. 5 quinquies, comma 3: si tratta di condotte commesse dal 1 gennaio al 30 settembre 2015, poiché per quelle antecedenti la punibilità
è escluda dalla non retroattività dele nuove incriminazioni
15
Piva, Effetti penali della Voluntary Disclosure, Corriere Tributario 4/2015, pag. 259
16
sul punto possono essere riproposte le considerazioni svolte dal Giudice delle Leggi nella Sentenza 369/88 in materia di condono
17
In dottrina, Cavallini-Troyer, Apocalittici o integrati? Il nuovo reato di autoriciclaggio: ragionevoli sentieri ermeneutici all’ombra del “vicino
ingombrante”, in Diritto Penale Contemporaneo,23 gennaio 2013, pag. 14; Mucciarelli, Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio, in Diritto Penale
Contemporaneo, 24 dicembre 2014, pag. 12; Pansarella-Petrillo, L’impatto del nuovo reato di autoriciclaggio sul modello organizzativo 231, in La
responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 1-2015, pag. 36
Il nuovo reato di autoriciclaggio nel contesto della voluntary disclosure - Dott. Paolo Ielo
55
risparmio, come i reati tributari18 e fallimentari; la locuzione altra utilità, contenuta anche nel testo dell’autoriciclaggio,
ricomprende anche il risparmio di imposta derivante dalla mancata od infedele dichiarazione dei redditi19.
La circostanza che la legge 186/14 preveda, come accennato, la causa di non punibilità del riciclaggio, del reimpiego
e dell’autoriciclaggio, limitatamente alle condotte commesse in relazione a una serie di delitti previsti dal d. lgs 74/00, i
più importanti dei quali sono quelli di dichiarazione fraudolenta, omessa e infedele, per i contribuenti che aderiscano al
VDP, non dovrebbe consentire dubbi, che pure sono stati avanzati20, sulla possibilità di configurare reati di riciclaggio
con riguardo al risparmio fiscale21.
b) le condotte punibili
Si è affacciata, in un isolato orientamento di dottrina, l’ipotesi che la commissione del reato presupposto possa atteggiarsi come frammento della condotta di autoriciclaggio, con gli inevitabili riflessi in punto di irretroattività della nuova
incriminazione, ove il primo sia intervenuto prima dell’entrata in vigore della legge 186/1422.
Le condotte specificamene sanzionate sono descritte dalla norma come quelle di chi impiega, sostituisce o trasferisce, in
attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative denaro beni o altra utilità provenienti da delitto non colposo,
commesso dall’agente, in modo da ostacolarne concretamente l’individuazione della provenienza delittuosa.
Nel reato di autoriciclaggio, a descrivere la condotta tipica, convergono segmenti di condotta tipici del reato di riciclaggio,
ossia la condotta di chi, impiegando, trasferendo o sostituendo, interpone ostacoli alla individuazione dell’origine illecita
del bene ( non si riprende la locuzione altre operazioni, si introduce l’avverbio concretamente ) e segmenti di condotta
tipici del reato di reimpiego – secondo la prevalente dottrina, anche l’ impiego o la sostituzione devono avvenire in attività
economiche.
La struttura della condotta incriminata consente di non soffermarsi più di tanto sui paventati rischi di incorrere in una
punizione di un post factum: viene sanzionata una condotta autonoma da quella del reato presupposto, che ha una sua
concreta idoneità decettiva e una sua autonoma idoneità lesiva, connessa all’approfondimento dell’offesa contenuta nel
reato presupposto e alla autonoma lesione di beni giuridici diversi, tale da collocare la fattispecie negli ambiti dei reati
contro l’amministrazione della giustizia, ordine economico e risparmio23 .
L’esatta individuazione delle condotte punibili passa per la corretta soluzione di tre nodi ermeneutici: il rapporto esistente
tra le condotte di impiego, sostituzione o trasferimento e l’immissione in attività economiche ( genus nel quale rientrano
quelle finanziarie, imprenditoriali e speculative); l’esatta individuazione della portata dell’avverbio concretamente, assente nei tipi normativi che generano l’autoriciclaggio; il senso e la funzione del IV comma, che esclude la punibilità ove
l’oggetto materiale del reato venga destinato all’uso o al godimento personale.
Sotto il primo angolo di visuale, la prevalente dottrina, privilegiando il dato letterale, ritiene che il luogo di reimmissione
dei beni riciclati ( le attività economiche) si riferisca a tutte le condotte elencate nella norma24. Una simile lettura preclude
la punibilità di alcuni fatti di autoriciclaggio in senso economico, ossia di condotte che ostacolino l’individuazione dell’origine illecita dei beni, che non rifluiscano in attività economiche.
In una diversa prospettiva, si è osservato che tale esegesi finisce per non attribuire autonomo significato alle condotte di
sostituzione e trasferimento, che, se riferite ad attività economiche, finiscono per essere una forma di impiego. Si è così
proposta una lettura della norma, ritenuta più aderente alla ratio legis, che riferisca il complemento di luogo-mezzo ( in
attività economiche) unicamente alla condotta di impiego25.
La lettura della norma evidenzia, rispetto alle matrici del reato di autoriciclaggio, la comparsa dell’avverbio concretamente, riferito alla clausola modale che deve caratterizzare le condotte di impiego, sostituzione e trasferimento, costituita dal
fatto che esse devono essere idonee a ostacolare l’identificazione dell’origine delittuosa del bene.
Nell’economia della norma, la funzione dell’avverbio è quella di agganciare l’offesa al livello di pericolo concreto26, sì da
richiedere comportamenti tali da esprimere un contenuto decettivo, capace cioè di rendere obiettivamente difficoltosa
l’identificazione dell’origine illecita del bene 27.
Il IV comma dell’art. 648.1ter , infine, pone a dura prova gli strumenti dell’ermeneusi nel tentativo di individuare l’interpretazione utile: inteso in senso letterale è l’apoteosi del nonsense .
La funzione dei primi 3 commi dell’art. 648.1ter è quella di rendere punibili, attraverso una nuova incriminazione, classi
di condotte prima non punibili.
Il IV comma, tuttavia, enuncia il principio secondo cui fuori dai casi previsti dai primi tre commi non si dà luogo a punibilità
se i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale.
E’ davvero critica facile osservare che, fuori dai casi di cui ai primi 3 commi dell’articolo 648.1 ter, non sono possibili
condotte riconducibili al tipo legale, siano esse finalizzate o meno al godimento o uso personale. Si aggiunga che una
18
Cass. pen., sez. II, 17 gennaio 2012, n. 6061.
19
Cass. pen., sez. II, 9 ottobre 2012, n. 42120.
20
D’Avirro-Giglioli, Autoriciclaggio e reati tributari, Diritto penale e processo, 2/2015, pagg. 135 e ss.
21
cfr. sul punto, D’Arcangelo, Frode fiscale e riciclaggio, in Riv. Dott. Comm. , 2011, pag. 331; Ielo, , Reati tributari e riciclaggio: spunti di riflessione alla luce del decreto sullo scudo fiscale, in Resp. Amm. Soc. Enti, 2010, pagg. 3 e ss.
22
Brunelli, Autoricliclaggio e divieto di irretroattività: brevi note a margine del dibattito sulla nuova incriminazione, in Diritto Penale Contemporaneo, gennaio 2015, pagg. 1 e ss.
23
Mucciarelli, Qualche nota ..., cit. pagg. 6 e 7
24
Mucciarelli, Qualche nota ..., cit. pagg. 9 e ss; Pansarella-Petrillo, L’impatto del nuovo reato di autoriciclaggio sul modello organizzativo 231,
in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 1-2015, pag. 37
25
Cavallini-Troyer, Apocalittici o integrati? Il nuovo reato di autoriciclaggio…, cit., pag.10
26
Cavallini-Troyer, Apocalittici o integrati? Il nuovo reato di autoriciclaggio…, cit., pag. 6
27
così Mucciarelli, Qualche nota ..., cit. pag. 9
56
Il nuovo reato di autoriciclaggio nel contesto della voluntary disclosure - Dott. Paolo Ielo
finalità soggettiva più o meno mediata di uso personale è presente in una qualsiasi forma di impiego di denaro o beni in
attività economiche.
In dottrina, si è proposto di attribuire a tale comma la funzione di delimitare negativamente il tipo legale, siccome contiene una clausola descrittiva di una modalità della condotta esplicitamente esclusa dalla rilevanza penale28.
c) elemento soggettivo
Si è in presenza di delitto punito a titolo di dolo generico.
d) profili sanzionatori
I primi tre commi modulano i profili sanzionatori in funzione della cornice edittale del reato presupposto ovvero dell’essere il medesimo aggravato ex art. 7 d.l. 152/9129.
In particolare, se il reato presupposto è punito con reclusione inferiore nel massimo ai 5 anni e non è aggravato ai sensi
del citato art. 7, la pena è da 1 a 4 anni di reclusione e la multa da 2.500 a 4.500 euro; negli altri casi la pena è da 2 a 8
anni di reclusione e della multa da 5000 a 25000 euro.
I materia tributaria, in relazione ad alcuni delitti previsti dal d.lgs. 74/2000, si applicherà la cornice di pena meno grave
all’autoriciclaggio che presupponga i delitti di dichiarazione infedele, omessa dichiarazione, omesso versamento di ritenute certificate, omesso versamento di I.V.A., indebita compensazione e sottrazione fraudolenta al pagamento delle
imposte, tutti puniti nel massimo con pena inferiore ai 5 anni di reclusione. Viceversa, per i reati di dichiarazione fraudolenta si applicherà la pena da 2 a 8 anni di reclusione e la multa da 5000 a 25.000 euro.
5. La prescrizione del reato presupposto
Merita rilievo la circostanza che , ai sensi dell’art. 170 c.p., la causa estintiva dell’illecito penale presupposto non estingue il reato presupponente, sì che, in questa materia, si commetterà il reato di autoriciclaggio anche ove i reati presupposto, ivi compresi i delitti tributari, siano prescritti.
Un principio affermato recentemente dalla Corte di Cassazione in relazione al reato di riciclaggio del provento di un
illecito tributario prescritto30.
In tale occasione, peraltro, il collegio ha aggiunto che il delitto da cui deriva il provento oggetto del riciclaggio non deve
necessariamente essere oggetto di una sentenza di condanna passata in giudicato. La provenienza delittuosa del bene,
infatti, può essere accertata già dalla natura e dalle caratteristiche dello stesso.
La medesima conclusione è stata affermata dalla giurisprudenza31 anche in relazione ai reati, presupposto del riciclaggio e del reimpiego, oggetto della causa di non punibilità soggettiva prevista nei condoni tributari intervenuti negli ultimi
anni.
Anche in questa ipotesi, invero, nonostante non sia più assoggettabile a pena l’autore del delitto non colposo presupposto, le condotte di ripulitura del provento criminoso non perdono il loro disvalore. La causa di non punibilità deve essere
considerata unicamente come un incentivo a regolarizzare la posizione del contribuente ma non per rendere lecito il
profitto derivante dalla precedente commissione di un reato tributario.
6. Il concorso di persone.
Qualche riflessione critica merita la possibilità di configurare il concorso di persone nel reato di autoriciclaggio in capo
all’intermediario finanziario cha ha movimentato i proventi illeciti.
Nulla quaestio per quanto concerne la condotta del soggetto che ha partecipato alla realizzazione del reato presupposto.
In questa ipotesi, infatti, sia l’intermediario sia il contribuente hanno commesso l’illecito presupposto e poi hanno provveduto a reimpiegare, sostituire o trasferirne il profitto, concorrendo chiaramente nell’autoriciclaggio.
Del pari, nessun problema sussiste in tutte quelle ipotesi in cui sia possibile ipotizzare un fatto di riciclaggio e difetti uno
degli elementi costitutivi del reato di autoriciclaggio, per esempio l’impiego in attività economiche. In questo caso il terzo
intermediario sarà punibile ex art. 648 bis c.p.
Diversa si palesa la posizione dell’intermediario che agevola l’autore del reato presupposto nell’investimento dell’introito
della sua attività criminosa.
In dottrina, muovendo dalla natura di reato proprio della norma in esame, si è ipotizzato, in applicazione dei principi generali in materia di concorso dell’extraneus nel reato proprio, che in ipotesi siffatta l’intermediario possa concorrere nel
reato di autoriciclaggio e non debba rispondere dell’autonomo reato di riciclaggio, punito con pena più grave di due anni
nel minimo e quattro anni nel massimo32
28
Mucciarelli, Qualche nota ..., cit. pag. 12
29
delitto commesso avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p. ovvero con la finalità di agevolare le associazioni previste in
tale articolo
30
Cass. pen., sez. II, 19 febbraio 2014, n. 7795.
31
Cass. pen., sez. II, 21 giugno 2005, n. 23396.
32
Cavallini-Troyer, Apocalittici o integrati? Il nuovo reato di autoriciclaggio…, cit., pag.14
Il nuovo reato di autoriciclaggio nel contesto della voluntary disclosure - Dott. Paolo Ielo
57
LA VOLUNTARY DISCLOSURE E GLI INTERMEDIARI SVIZZERI:
ALCUNE QUESTIONI APERTE IN AMBITO PENALE E DI ASSISTENZA
GIUDIZIARIA INTERNAZIONALE.
Avv. Edy Salmina
Studio Legale Salmina - Lugano
BSC
partners
Convegno Lugano 5 marzo 2015
Avv. Edy Salmina
6900 Lugano
Intermediari finanziari: chi?
Soggetti definiti dalla Legge federale contro il riciclaggio di denaro (LRD) art. 2 cpv. 2.
Ai fini della valutazione di potenziali responsabilità il cerchio degli interessati è però maggiore (consulenti, fiduciari, legali,
amministrativi).
Un numero potenzialmente molto elevato di persone e società, soprattutto in TI ma non solo.
La Voluntary Disclosure e gli intermediari svizzeri: alcune questioni aperte in ambito penale e di assistenza giudiziaria internazionale. - Avv. Edy Salmina
2 Convegno Lugano 5 marzo 2015
Avv. Edy Salmina
6900 Lugano
Patrimoni: quali?
Tipologie diverse: “famigliare” e tipologia “commerciale”.
“Conto del nonno” o risparmio individuale quasi senza movimentazione.
Patrimoni intestati a persone giuridiche CH o di diritto straniero.
Strutture societarie offshore e connesse attività amministrative, derivanti da attività commerciali italiane o di contribuenti italiani
all’estero. Movimentazioni frequenti e/o transnazionali.
3 Convegno Lugano 5 marzo 2015
Avv. Edy Salmina
6900 Lugano
Principali nuove norme di riferimento
Legge federale del 12 dicembre concernente l’attuazione delle raccomandazioni del GAFI 2012 (FF 2014 8377):
Nuovo art. 305 bis cpv. 1 e 1 bis Codice penale svizzero (CPS). Riciclaggio di denaro proveniente da reato fiscale, in vigore
probabilmente dal 1.1.2016 (termine di referendum 2.4.2015).
Legge sul riciclaggio di denaro (LRD) nuovi obblighi di diligenza.
Adattamenti Ordinanze FINMA contro il riciclaggio (RS 955.033.0).
Ordinanza Commissione federale case da gioco (RS 955.021).
L. 15 dicembre 2014, n. 186 (art. 5 quinquies)
Art. 648ter CP italiano
4 Convegno Lugano 5 marzo 2015
Avv. Edy Salmina
6900 Lugano
Non punibilità limitata nel contesto della VD
Art. 5quinquies L. 186/2014 prevede la NON punibilità per reati ex art. 2, 3, 4, 5, 10bis e 10ter del DL 74/2000 e
e per i connessi comportamenti di riciclaggio e autoriciclaggio.
La VD NON esclude la punibilità per tutti gli altri reati:
-art. 8 DL 74/2000 (emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti)
-reati societari,
-reati contro la P.A.,
-reati contro il patrimonio,
-reati ex TUF,
-riciclaggio e autoriciclaggio connessi ai reati NON coperti dalla VD.
5 La Voluntary Disclosure e gli intermediari svizzeri: alcune questioni aperte in ambito penale e di assistenza giudiziaria internazionale. - Avv. Edy Salmina
Convegno Lugano 5 marzo 2015
Avv. Edy Salmina
6900 Lugano
Conseguenze per il soggetto svizzero?
Se chi opera la VD porta a conoscenza (o consente la scoperta) dell’autorità italiana anche comportamenti NON coperti dall’art.
5quinquies L. 186-2014,
se in tali comportamenti hanno concorso intermediari finanziari svizzeri,
possibile responsabilità penale per concorso ex art. 110 CP italiano, con competenza italiana ex art 10 CP italiano.
Possibilità di richiesta di Assistenza giudiziaria italiana alla Svizzera per le necessità del procedimento penale italiano
(CEAG; Legge federale sull’assistenza giudiziaria internazionale in materia penale, AIMP)
La Voluntary Disclosure e gli intermediari svizzeri: alcune questioni aperte in ambito penale e di assistenza giudiziaria internazionale. - Avv. Edy Salmina
6 Convegno Lugano 5 marzo 2015
Avv. Edy Salmina
6900 Lugano
Se NON viene attivata la procedura di VD? Rischi per intermediari svizzeri
Dal 1.1.2015 art. 648ter Codice penale italiano: rischio autoriciclaggio
Dal 1.1.2016 art. 305 bis cpv. 1 e 1 bis Codice penale svizzero: rischio riciclaggio da reati fiscali qualificati
Dal 1.1.2016 obbligo di segnalazione (cdd. MROS) autorità antiriciclaggio CH (art. 9 LRD) in caso di 305bis cpv. 1 e 1 bis Codice
penale svizzero.
Possibilità trasmissione autonoma da autorità antiriciclaggio CH alle autorità antiriciclaggio estere (art. 30 LRD, dal 1.11.2013)
7 La Voluntary Disclosure e gli intermediari svizzeri: alcune questioni aperte in ambito penale e di assistenza giudiziaria internazionale. - Avv. Edy Salmina
Avv. Edy Salmina
6900 Lugano
Convegno Lugano 5 marzo 2015
Se NON viene attivata la procedura di VD? Rischi per intermediari svizzeri
Procedimento penale autonomo CH (riciclaggio e/o altri reati) ev, responsabilità penale anche d’impresa (art. 102 CP svizzero)
Trasmissione spontanea svizzera di informazioni raccolte dalla AG svizzera in un suo procedimento (art. 67a cpv. 5 AIMP) all’Italia
per permettere l’avvio di rogatorie italiane attive in Svizzera
Responsabilità penale anche d’impresa per 305 bis CP (art. 102 CP svizzero)
Art. 27 CDI Svizzera-Italia del 9.3.1976 modificata dall’accordo del 23.2.215: scambio di informazioni retroattiva per dati dal
23.2.2015 a partire dall’entrata in vigore della modifica (1.1.2016?). Possibili domande raggruppate per comportamenti nel periodo
di transizione (n. 2.3.1., 2.3.2., 2.3.3 Roadmap CH/I del 23.2.2015)
La Voluntary Disclosure e gli intermediari svizzeri: alcune questioni aperte in ambito penale e di assistenza giudiziaria internazionale. - Avv. Edy Salmina
8 Convegno Lugano 5 marzo 2015
Avv. Edy Salmina
6900 Lugano
Se NON viene attivata la procedura di VD? Rischi per intermediari svizzeri
Comportamenti dal 1.1.2015: ipotesi concorso in autoriciclaggio ex art. 648ter CP italiano, con possibile richiesta assistenza
giudiziaria italiana alla CH.
Non punibilità autoriciclaggio per “uso personale” ex art. 648ter cpv. 2 CP italiano: effetti per intermediari CH
Aggravante art. 648 cpv. 3 CP italiano: effetti per intermediari CH
Richiesta di assistenza giudiziaria alla Svizzera, nei limiti dell’art. 3 AIMP, ma non irretroattività. Diritto in vigore al momento della
domanda per esame doppia punibilità. Effetti estensivi del nuovo art. 305bis cpv. 1 e 1 bis Codice penale svizzero
Doppia punibilità al momento della richiesta, non dei fatti (DTF 122 II 422 consid. 2a)
9 La Voluntary Disclosure e gli intermediari svizzeri: alcune questioni aperte in ambito penale e di assistenza giudiziaria internazionale. - Avv. Edy Salmina
Avv. Edy Salmina
6900 Lugano
Convegno Lugano 5 marzo 2015
Assistenza giudiziaria svizzera all’Italia in materia penale per reati emersi in sede
di VD
Nei limiti dell’art. 3 AIMP, ma non irretroattività in materia di assistenza internazionale: diritto in vigore al momento della domanda
per esame della doppia punibilità. Effetti del nuovo art. 305bis cpv. 1 e 1 bis Codice penale svizzero
Doppia punibilità al momento della richiesta, non dei fatti (DTF 122 II 422 consid. 2a)
Concetto “ampio” di doppia punibilità ex AIMP (DTF 118 Ib 448 consid. 3).
Art. 3 cpv. 3 lett. a e b AIMP: assistenza per reato fiscale grave (DTF 111 Ib 242 consid. 5) prevista già dal 2009 (LF 3.10.2008 per
dare seguito alle raccomandazioni GAFI 2008)
Trasmissione spontanea svizzera informazioni raccolte dalla AG svizzera in un suo procedimento (ex art. 67a cpv. 5 AIMP) all’Italia
per permettere l’avvio di rogatorie italiane attive in Svizzera
La Voluntary Disclosure e gli intermediari svizzeri: alcune questioni aperte in ambito penale e di assistenza giudiziaria internazionale. - Avv. Edy Salmina
10 Avv. Edy Salmina
6900 Lugano
Convegno Lugano 5 marzo 2015
Art. 305bis cpv. 1 e 1bis CP Svizzero non retroattivo ma:
Non agire dopo il 1.1.2016 per relazioni problematiche preesistenti: possibile violazione art. 9 LRD e possibile riciclaggio ex art.
305bis CP (continuazione strutture offshore).
Segnalazioni MROS dal 1.1.2016 possono far emergere altri reati (documentali, societari, contro la P.A.) non coperti dalla non
retroattività dell’art. 305 bis in vigore dal 1.1.2016.
11 La Voluntary Disclosure e gli intermediari svizzeri: alcune questioni aperte in ambito penale e di assistenza giudiziaria internazionale. - Avv. Edy Salmina
Convegno Lugano 5 marzo 2015
Avv. Edy Salmina
6900 Lugano
Tra collaborazione e rischio di autoincriminazione
“Nemo tenetur se detegere” (art. 14 cpv. 3 lett. g Patto ONU/II ; 6 cpv. 1 CEDU; 113 cpv. 1 CPP svizzero).
Collaborazione dell’intermediario svizzero alla VD e rischi di procedimento penale italiano o svizzero
Segnalazione MROS e rischi di procedimento penale interno o italiano per effetto comunicazioni tra Autorità.
Garanzie? Vedi 2.2.6 Roadmap CH/I del 23.2.2015….
La Voluntary Disclosure e gli intermediari svizzeri: alcune questioni aperte in ambito penale e di assistenza giudiziaria internazionale. - Avv. Edy Salmina
12 Avv. Edy Salmina
6900 Lugano
Convegno Lugano 5 marzo 2015
Art. 305bis Codice penale svizzero, nuovi n. 1 e 1 bis (in vigore dal 1.1.2016)
1
Chiunque compie un atto suscettibile di vanificare l’accertamento dell’origine, in ritrovamento o la confisca di valori patrimoniali sapendo o dovendo presumerne che provengono da un crimine o da un delitto fiscale qualificato, è punito con la pena detentiva fino a tre anni o con una pena pecuniaria. 1bis Sono considerati delitto fiscale qualificato i reati di cui all’articolo 186 della legge federale sull’imposta federale diretta e all’articolo 59 capoverso 1 primo comma della legge federale del 14 dicembre 1990 sull’armonizzazione delle imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni, se le imposte sottratte ammontano a oltre 300'000 franchi per periodo fiscale. 2.
Immutato (casi gravi) 13 La Voluntary Disclosure e gli intermediari svizzeri: alcune questioni aperte in ambito penale e di assistenza giudiziaria internazionale. - Avv. Edy Salmina
Gli atti del convegno sono stati coordinati
a cura del Centro Studi Solegal
centrostudi.solegal.it
71
Scarica

atti del convegno - Camera di Commercio Italiana per la Svizzera