19/04/2006
IL TRAPIANTO RENALE
Il capitolo è stato curato da
Dott. Danio Somenzi
Dott. Umberto Maggiore
Prof.ssa Lucia Bignardi
del Dipartimento di Clinica Medica, Nefrologia e Scienze della Prevenzione
per eventuale chiarimenti o segnalazione di errori:
[email protected]
Il trapianto di rene è la terapia sostitutiva di scelta per i pazienti con insufficienza renale
terminale. Infatti, a parità di età e altri fattori di rischio la sopravvivenza del paziente in dialisi
è inferiore a quella del paziente trapiantato renale. Nell’ambito del trapianto renale, quello da
vivente offre risultati ancor superiori a quello da cadavere.
Valutazione del ricevente
Perché un paziente con insufficienza renale terminale venga considerato “idoneo” al trapianto
deve essere esclusa la presenza di neoplasie in atto, mentre per quelle pregresse deve essere
trascorso un congruo periodo libero da recidive (5 anni per la maggioranza delle neoplasie).
Non devono esserci ovviamente infezioni acute in atto (salvo le infezioni indicate sotto). Anche
gravi coagulopatie incorreggibili rappresentano talora una controindicazione al trapianto.
Non deve esserci patologia coronarica attiva evidenziabile con indagini anamnestiche, ECG ed
Ecocardiogramma. Tuttavia, anche se asintomatico, con anamnesi silente, ECG ed
ecocardiogramma nella norma, ma con fattori di rischio quali età avanzata, lunga permanenza
in dialisi e diabete, il paziente dovrà essere sottoposto ad accertamenti diagnostici ulteriori.
Questi sono la scintigrafia miocardica con dipiridamolo, e se questa risulta positiva, la
coronarografia. In presenza di lesioni coronariche stenosanti significative, il paziente potrà
essere giudicato idoneo dopo che queste saranno state adeguatamente corrette mediante
angioplastica o rivascolarizzazione coronarica.
E’ possibile per un paziente HBV e/o HCV positivo ricevere un trapianto di rene. Nei pazienti
con HCV è necessario controllare la presenza di viremia, e, se questa risulta positiva,procedere
ad una biopsia epatica. E’ preferibile infatti trattare i pazienti con epatite con terapia antivirale
prima dell’esecuzione del trapianto renale. Tutti i pazienti HbsAg positivi dovrebbero essere
sottoposti a biopsia epatica prima del trapianto e trattati se indicato. Nei pazienti con cirrosi
scompensata HCV+ e/o HBV+ è indicato il trapianto combinato di rene e fegato. Il paziente
HIV positivo può essere sottoposto a trapianto renale quando la malattia è ben controllata
dalla terapia e comunque nel quadro di un protocollo ministeriale.
Valutazione del donatore
•
•
CADAVERE: Deve essere accertata la morte cerebrale, la sieronegatività per HIV,
l’assenza di rischio per patologie infettive trasmissibili, l’assenza di neoplasie.
Non
esiste una soglia di età per scartare un potenziale donatore.
I possibili donatori
vengono comunicati alla Lista Regionale Trapianti che provvede a stilare una lista di
possibili riceventi in base ad un algoritmo computerizzato che tiene conto della
compatibilità di gruppo sanguigno (tranne Rh) ed HLA, dell’iper-immunizzazione, della
presenza di antigeni rari, differenza di età, anzianità di lista, e ri-trapianto.
Non essendo il rene un’organo salvavita, l’unica urgenza al trapianto consiste
nell’assenza di accessi venosi per emodialisi.
VIVENTE: il potenziale donatore può essere consanguineo oppure non consanguineo ma
con legame affettivo accertato e con esclusione di vantaggi economici (generalmente
moglie e marito). Deve esserci compatibilità di gruppo sanguigno ma non è necessaria
compatibilità HLA. Il potenziale donatore deve avere una funzione renale normale,
essere negativo per i marcatori di malattie virali trasmissibili (HBV, HCV, HIV) e privo di
patologie sistemiche, neoplasie e infezioni in atto. In Italia la percentuale di trapianti
renali non supera il 10%, perentuale di gran lunga inferiore a quelle degli USA e del
nord-Europa.
I donatori di rene non presentano un declino della funzione renale
residua, almeno nell’arco di 25 anni.
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Risposta immune
Il processo di rigetto d’organo è analogo alla risposta fisiologica contro gli antigeni non-self
presenti in corso di infezioni e tumori.
La catena degli eventi immunitari alla base del rigetto si fonda sulle molecole di
istocompatibilità HLA che sono glicoproteine presenti sulla superficie cellulare. Gli alleli HLA
sono polimorfi (ne esistono numerose varianti) e sono codominanti (viene ereditata una delle
due copie dal padre e l’altra dalla madre, entrambe poi espresse sulla superficie cellulare).
Le molecole HLA si dividono in due classi:
• HLA di classe I: HLA-A, -B e –C, sono espresse costitutivamente dalla quasi totalità
delle cellule dell’organismo.
Permettono l’esposizione di proteine di sintesi endogena
+
(ad es. antigeni virali infettanti la cellula o antigeni tumorali) ai linfociti T CD8
citotossici.
• HLA di classe II: HLA-DP, -DQ, -DR, sono espresse costitutivamente da linfociti B,
monociti, macrofagi, cellule dendritiche, ecc. Permettono la presentazione di antigeni
+
extracellulari (ad es. batterici) ai linfociti T CD4 helper.
Le varie classi HLA sono codificate da geni vicini dello stesso cromosoma, e quindi vengono
ereditate integralmente come un unico pacchetto (APLOTIPO), a meno che non si verifichi un
cross-over.
Ciascun soggetto presenta linfociti circolanti in grado di riconoscere le molecole HLA di un altro
soggetto (ALLOGENICHE) interagendo con loro come se si trattasse di un HLA proprio (“self”)
associato ad un peptide estraneo: questi linfociti sono responsabili dell’ALLORICONOSCIMENTO
o (RICONOSCIMENTO ALLOGENICO), il processo che scatena il RIGETTO ACUTO/ATTIVO
CELLULARE. I farmaci immunosoppressori modificano l’ATTIVAZIONE linfocitaria che segue al
processo di allo riconoscimento.
La tipizzazione tissutale di donatore e ricevente si basa sulla valutazione degli antigeni HLA-A,
-B e –DR, ritenuti i più importanti per la compatibilità. Ci sono oltre 80 differenti HLA -A, -B,
e –DR: questo elevato grado di polimorfismo rende difficile trovare due persone non
consanguinee con profilo HLA identico.
Tra le tre coppie di HLA del donatore e le tre del ricevente possono quindi essere presenti da 0
a 6 mismatch. Più alto il numero di mismatch, minore è la compatibilità e più alto il rischio di
rigetto acuto.
Una volta selezionato il potenziale ricevente del trapianto renale, si verifica che i suoi campioni
di siero conservati al centro trapianti con contengano anticorpi contro gli HLA del donatore.
Viene eseguito cioè il “cross-match” o cross-reazione linfocitaria che consiste nella valutazione
della reazione tra siero del ricevente e linfociti B e T del donatore. Gli anticorpi contro gli HLA
del donatore si chiamano ALLOANTICORPI. La presenza di anticorpi preformati contro i linfociti
T controindica il trapianto, mentre gli anticorpi preformati contro i solo linfociti B sono solo un
fattore di rischio di rigetto, ma non una controindicazione al trapianto. Lo sviluppo di anticorpi
anti-HLA dopo il trapianto causa il RIGETTO ACUTO ANTICORPO-MEDIATO. Questo, al contrario
del rigetto acuto/attivo cellulare, si sviluppa pressoché esclusivamente nelle prime tre
settimane dal trapianto e clinicamente è sempre di grado severo.
Farmaci immunosoppressori
Per prevenire il rigetto d’organo è sempre necessario ricorrere alla immunosoppressione
farmacologia, tranne che per il trapianto tra gemelli monozigoti. Anche senza mismatch HLA
tra donatore e ricevente è necessario mantenere un livello di immunosoppressione durante
tutta la vita.
La strategia farmacologica consiste in tre fasi:
Induzione: utilizzo di alte dosi di farmaci immunosoppressori immediatamente dopo il
trapianto e nei primi giorni post-trapianto sino a raggiungere i livelli di “mantenimento”.
Mantenimento. La terapia rimane invariata, con farmaci somministrati generalmente
per os. Spesso si opera una lenta riduzione della posologia dei farmaci stessi nel corso
di mesi ed anni per ridurne al minimo gli effetti collaterali ed avversi.
Terapia antirigetto: trattamento del rigetto acuto quando questo si instaura.
Generalmente utilizzati farmaci a somministrazione endovenosa.
Il protocollo di mantenimento attualmente più impiegato si basa spesso su una triplice
terapia con steroide, un inibitore della calcineurina (ciclosporina o tacrolimus), e un
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antiproliferativo (ad es. micofenolato). Malgrado gli inibitori della calcineurina siano i
farmaci storicamente più importanti, vi sono attualmente vari protocolli terapeutici che
non ne prevedono l’uso.
Nell’induzione si usano generalmente immunoglobuline con
attività immunomodulante sui linfociti e/o che ne inducano la deplezione. Nel
trattamento del rigetto acuto/attivo cellulare si utilizzano generalmente boli endovenosi
di steroidi e/o farmaci che causano deplezione linfocitaria. Nel trattamento del rigetto
acuto anticorpo-mediato si fa spesso ricorso, fra le altre cose, alla plasmaferesi per
rimuovere gli alloanticorpi e alla somministrazione di immunoglobuline ad alte dosi, che
hanno attività immunomodulante e ostacolano il danno complemento-mediato degli allo
anticorpi stessi.
STEROIDI: permettono una immunosoppressione “aspecifica”. Gli effetti indesiderati principali
consistono in alterato metabolismo glucidico (sindrome metabolica e diabete), dislipidemia,
incremento ponderale, osteoporosi (fratture)
ed osteonecrosi, cataratta, ipertensione,
acne, alterazioni comportamentali.
AZATIOPRINA: analogo purinico, blocca la proliferazione delle cellule immunitarie impedendo
loro di sintetizzare il DNA.
Effetti indesiderati sono leucopenia, piastrinopenia, anemia
megaloblastica, danno epatocellulare, ittero colestatico, alopecia. Il dosaggio va ridotto in
caso di alterata funzione epatica e non va associato alla somministrazione di allopurinolo.
Questo farmaco è attualmente poco usato nei nuovi protocolli terapeutici.
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MICOFENOLATO (MOFETILE [CellCept ] o SODICO [Myfortic ]): blocca la sintesi de-novo delle
purine nei linfociti, risultando più efficace dell’azatioprina contro il rigetto precoce.
Gli
effetti collaterali principali sono la depressione midollare e dolori addominali spesso
associati a diarrea. Viene inattivato dal fegato per glucuronidazione, ma è poi è sottoposto
ad un ricircolo enteroepatico. Il ricircolo enteroepatico è inibito dalla ciclosporina e non dal
tacrolimo, per cui l’associazione tra ciclosporina e micofenolato richiede solitamente
dosaggi più elevati di micofenolato che non quando questo viene associato al tacrolimo.
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INIBITORI DELLA CALCINEURINA : CICLOSPORINA (Sandimmun Neoral ) e TACROLIMO
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(Prograf ): inibiscono la produzione di IL-2, essenziale nell’attivazione e proliferazione dei
linfociti T.
Vengono metabolizzati dal citocromo P450 CYP3A4 ed eliminati per via epatobiliare. Il principale effetto collaterale è la nefrotossicità, causata da una vasocostrizione
delle arteriole renali inizialmente reversibile e poi da danni strutturali irreversibili. Altri
effetti collaterali sono l’ipertensione, l’iperlipemia, l’iperpotassiemia ed ipomagnesemia,
iperuricemia, neurotossicità periferica (parestesie, tremori), aumento dei valori della
bilirubina e colelitiasi, irsutismo, iperplasia gengivale. La ciclosporina più del tacrolimo
tende a provocare iperlipemia e ipertensione, mentre il diabete e gli effetti neurotossici
sono più frequenti col tacrolimo
Farmaci che inibiscono il citocromo P450 CYP3A4 aumentano i livelli ematici degli inibitori
della calcineurina; il contrario viene causato dai farmaci che inducono lo stesso citocromo.
Di conseguenza in caso di somministrazione di farmaci antifungini imidazolici quali il
fluconazolo, di antibiotici quali i macrolidi o le tetracicline, di farmaci antipertensivi calcioantagonisti non diidropiridinici quali il verapamil e diltiazem andrà ridotta la posologia della
ciclosporina, che andrà invece aumentata in caso di assunzione di rifampicina (circa il
doppio), carbamazepina, fenobarbital e, talora, isoniazide. Cautela occorre avere nell’uso di
alte dosi di farmaci ipolipemizzanti quali le statine metabolizzate dal CYP3A4 per il rischio di
effetti epatotossici o di rabdomiolisi.
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INIBITORI mTOR: SIROLIMUS (Rapamune ) e EVEROLIMUS (Certican ): macrolidi che
bloccano la traduzione del segnale dell’IL-2, inibendo il ciclo cellulare.
Gli effetti avversi
più frequenti consistono in anemia, piastrinopenia, leucopenia ed iperlipemia. Aggravano gli
effetti neurotossici e iperlipemizzanti degli inibitori della calcineurina ma possono essere
utilizzati in protocolli di mantenimento che non facciano uso di questi ultimi. Le interazioni
farmacologiche sono simili a quelle degli inibitori della calcineurina poiché sono in parte
metabolizzate dal citocromo P450 CYP3A4. A causa della sua lunga emivita, il sirolimo viene
somministrato una volta al giorno, l’everolimo viene invece somministrato due volte al
giorno.
I farmaci immunosoppressivi anti-rigetto elencati sopra possono richiedere aggiustamenti
posologici in caso di insufficienza epatica. E’ comunque disponibile il dosaggio plasmatico di
ciclosporina, tacrolimo, sirolimo, everolimo e micofenolato.
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ANTICORPI BLOCCANTI LE MOLECOLE COSTIMOLATORIE: BELATACEPT. Inibisce il cosiddetto
“segnale 2” dell’interazione tra cellula presentante l’antigene e cellula T, bloccando
l’interazione del CD80 e CD86 e il recettore CD28 sulle cellule T. E’ un farmaco a
somministrazione parenterale che si usa anche nella fase di mantenimento, in protocolli
terapeutici che non prevedono l’impiego dell’inibitore della calcineurina.
ANTICORPI BLOCCANTI IL RECETTORE DELL’IL-2 (anti-CD25). Il basiliximab e daclizumab è
costituito da anticorpi monoclonali diretti contro il recettore dell’IL-2, che impedisce
l’espansione clonale dei linfociti T.
ANTICORPI POLI- e MONOCLONALI CHA CAUSANO DEPLEZIONE LINFOCITARIA: le
timoglobuline (siero antilinfocitario) sono anticorpi policlonali di coniglio diretti contro i
linfociti T umani (ma attivo anche contro i linfociti B). Sono utilizzate nell’induzione del
trapianto e nel trattamento del rigetto cellulare steroido-resistente. L’OKT3 (anti-CD3) è
una miscela di anticorpi monoclonali anti-CD3 che impedisce ai linfociti T maturi il
riconoscimento e la risposta ad alloantigeni.
I pazienti trattati hanno una maggiore
suscettibilità ad infezioni da CMV ed EBV (quest’ultimo causa di malattie linfoproliferative
post-trapianto). Altri anticorpi monoclinali utilizzati nel trapianto sono l’alentuzumab (antiCD52) diretto contro varie linee cellulari (cellule B e T, monociti, macrofagi, cellule NK), e il
rituximab (anti-CD20) diretto contro i linfociti B.
Intervento chirurgico
Il rene trapiantato viene solitamente posizionato nel retroperitoneo in fossa iliaca.
Viene
anastomizzata prima la vena renale generalmente con la vena iliaca esterna, poi l’arteria
renale solitamente con l’arteria iliaca esterna.
Per ultimo l’uretere viene impiantato nella
vescica tramite un tunnel sottomucoso analogo a quello naturale al fine di prevenire il reflusso.
Ripresa funzionale
La ripresa della diuresi può verificarsi già nelle prime ore ma può anche ritardare giorni e
settimane. Tale ritardo dipende da fattori legati al “procurement” dell’organo quali il tempo
di ischemia (cioè tempo di attesa dal prelievo al trapianto), fattori legati al donatore (shock,
ipoperfusione, età del donatore e qualità del rene), e fattori legati al ricevente (ipotensione,
farmaci o agenti nefrotossici). Questi fattori possono infatti favorire la comparsa di una necrosi
tubulare acuta.
In caso di mancata ripresa funzionale o di rialzo della creatinina nel primo
mese è indicato eseguire un eco-doppler dei vasi renali (per escludere la trombosi venosa e la
stenosi arteriosa) e successivamente una biopsia renale.
Un ritardo nella ripresa funzionale
può obbligare comunque a continuare temporaneamente il trattamento sostitutivo dialitico.
IL RIGETTO
Si distingue in A) iperacuto e accelerato B) acuto (cellulare acuto/attivo o anticorpo-mediato) e
C) cronico.
A) IPERACUTO: si verifica dopo minuti o massimo ore dal trapianto, con trombosi
arteriosa e emorragia ed è causato da anticorpi preformati contro il gruppo sanguigno
AB0 o l’HLA del donatore. ACCELERATO: si verifica tra il 2° e 4° giorno dal trapianto,
anch’esso con trombosi arteriosa ed emorragia ed è mediato da anticorpi rivolti contro
l’HLA del donatore o da anticorpi preformati contro altri antigeni del trapianto. Queste
forme sono oggi virtualmente scomparse, perché prevenute dalle moderne tecniche per
le reazioni di linfocitotossicità (“Cross-Match”).
B) ACUTO: si verifica nel 15-30% dei pazienti più spesso nei primi mesi. Se molto
tardivo è suggestivo di scarsa compliance alla terapia. La forma classica e più comune
di rigetto acuto è definita rigetto CELLULARE ACUTO/ATTIVO. Se vi sono evidenze di
danno legato alla presenza di alloanticorpi e all’attivazione del complemento si parla di
rigetto acuto ANTICORPO-MEDIATO. Gli anticorpi, quando presenti, sono diretti contro
le molecole HLA del donatore e/o contro altri tra cui alcuni antigeni endoteliali.
Clinicamente si verifica un aumento della creatininemia ed occasionalmente una
riduzione della diuresi, mentre sono rari il dolore in sede di trapianto e l’aumento della
consistenza del rene.
Fattori associati a maggior rischio di rigetto acuto sono
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immunizzazioni pregresse (altri trapianti, trasfusioni di sangue od emoderivati,
gravidanze, aborti, elevato score di Panel Reactive-Antibodies), razza nera, ritardata
ripresa funzionale. Il rigetto acuto è generalmente controllabile, purché venga
riconosciuto tempestivamente e venga intrapresa una terapia adeguata.
C) CRONICO: Definito nell’ambito della cosiddetta “nefropatia cronica da trapianto”, che
può riconoscere fra l’altro anche cause non immunologiche come la tossicità degli
inibitori della calcineurina. Si può verificare sin dai primi mesi ed è la causa principale di
perdita di funzione renale. Clinicamente si manifesta come un incremento progressivo
della creatininemia con ipertensione e proteinuria lieve-moderata (1-2g/die).
Il
trattamento del rigetto cronico è difficile e controverso.
La diagnosi del rigetto si basa sul sospetto clinico seguito dall’esame della biopsia
renale, che attualmente viene eseguita sul 20-30% dei nuovi trapianti ed è solo
raramente gravata da complicanze emorragiche (<5% di cui <1% gravi).
Complicanze CARDIOVASCOLARI
Sono le cause di morte più frequenti nel trapianto renale, per le alterazioni cardiache e
vascolari causate dal precedente stato uremico, dalla dislipidemia, ipertensione e sindrome
metabolica (associata all’uso di steroidi di inibitori della calcineurina o di inibitori mTOR), e
dalla malattia di base (diabete mellito, glomerulopatie con sindrome nefrosica, etc).
Complicanze INFETTIVE
•
•
Le infezioni nel primo mese sono quelle nosocomiali di origine batterica (infezioni
urinarie, della ferita chirurgica, del tratto respiratorio e degli accessi venosi).
Dal 2° al 6° mese sono assai frequenti le infezioni opportunistiche virali, micotiche e
parassitarie.
In presenza di una infezione opportunistica importante è necessario
ridurre della terapia immunosoppressiva. Le infezioni più tipiche del trapianto sono
quelle legate agli Herpes Virus (specie HSV-1 e –2, VZV, EBV, CMV, e HHV-8)
o Le infezioni da CMV (citomegalovirus) possono verificarsi in seguito al primo
contatto con il virus o alla riattivazione di contatti pregressi.
La profilassi viene
effettuata per tutti i donatori con IgG anti-CMV negative che ricevono un organo
IgG anti-CMV positivo e per quelli a cui viene somministrata una terapia
immunosoppressiva maggiore (OKT3, timoglobuline).
Si basa sull’uso di
farmaci antivirali quali il gancyclovir, il valgancyclovir o il valaciclovir. I segni e
sintomi dell’infezione, non sempre presenti, comprendono febbre, astenia,
leucopenia, epatite, talora disturbi gastrointestinali, artrite, e assai raramente la
retinite.
E’ però la polmonite la complicanza più temibile. La diagnosi di
infezione da CMV si fonda sulla ricerca quantitativa dell’antigene pp65 (n° nuclei
per vetrino con 200.000 leucociti), il risultato è fornito in < 24 h. La ricerca su
plasma del DNA di CMV tramite PCR è una metodica più sensibile (specialmente
in caso di leucopenia) ma fornisce un risultato semi-quantitativo, non
standardizzato e relativamente tardivo (solo dopo 48 ore).
o Le infezioni sintomatiche da EBV (virus Epstein-Barr) nel trapiantato renale
possono manifestarsi come attivazione linfocitaria policlonale tipo mononucleosi
infettiva, o sottoforma di veri e propri linfomi. Queste malattie linfoproliferative
vanno tutte sotto il nome di PTLD (Post-transplant lymphoproliferative disorder).
La presentazione clinica più frequente di queste forme è la febbre. Le forme
PTLD tumorali (monoclonali) si distinguono dai linfomi della popolazione
generale perché sono frequentemente associte a EBV, sono a cellule B nel 90%
dei casi, e coinvolgono spesso l’organo trapiantato e il sistema nervoso centrale.
La PTLD tardive, cioè sviluppatesi dopo oltre un anno dal trapianto, non sono
associate di freqente all’infezione da EBV ed hanno una prognosi più infausta
perché, a differenza di quelle sviluppatesi nel primo anno, regrediscono meno
facilmente con la riduzione dell’immunosoppressione e l’uso terapia antivirale. Il
trattamento delle PTLD può richiede l’uso di anticorpi monoclonali anti-linfociti B,
la chemioterapia, o l’irradiazione della massa linfomatosa.
o Le riattivazioni dell’HSV (virus herpes simplex) orolabiali e genitali sono assai
frequenti. Anche le infezioni da VZV (Varicela-Zoster) sono frequenti.
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HHV-8 (herpesvirus 8) ha un’alta prevalenza nel bacino del mediterraneo e
causa nell’ospite immunocompetente, spesso in età pediatrica, un diffuso rash
maculopapulare con febbricola della durata di 1-2 giorni.
Nei pazienti
immunodepressi è associato al sarcoma di Kaposi, tumore endoteliale a
localizzazione cutaneo-mucosa (macule, placche o noduli violacei asintomatici a
tronco ed arti) ed occasionalmente viscerale (stomaco, duodeno, linfonodi,
polmoni).
Può manifestarsi da mesi ad anni dopo il trapianto e viene stadiato
mediante TAC, esofago-gastroscopia ed eventualmente colonscopia. La terapia
del sarcoma di Kaposi consiste nella riduzione dell’immunosoppressione, nell’uso
di inibitori mTOR (con/senza steroidi) come trattamento immunosoppressivo di
mantenimento e, solo in rari casi, nella chemioterapia.
o Le polmoniti da Pneumocystis carinii sono temibili e sono spesso associate alla
polmonite da CMV.
La prevenzione dell’infezione si fa mediante la
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somministrazione di trimetoprim-sulfametossazolo (Bactrim ) per i primi 6 mesi
(che è utile anche per la profilassi delle infezioni da Nocardia).
o Frequenti anche le lesioni cutanee quali le verruche legate ad infezioni da HPV
(papillomavirus)
o Un’altra infezione frequente, che può essere causa di una grave nefropatia
subacuta che simula spesso il rigetto acuto, è quella da virus polioma JC/BK.
Dopo i 6 mesi possono verificarsi le complicanze tardive di infezioni acquisite nel
periodo precedente, come nel caso della retinite da CMV, le già citate PTLD, oltre alle
infezioni acquisite in comunità, con incidenza maggiore che nella popolazione generale.
Attualmente è consigliata la vaccinazione anti-influenzale nei pazienti dopo il 1° anno
dal trapianto.
o
•
Complicanze NEOPLASTICHE
La terapia immunosoppressiva associata al precedente stato uremico si associa ad un rischio di
sviluppare neoplasie di 3 volte superiore rispetto alla popolazione generale. Le neoplasie più
frequenti, dopo il carcinoma baso- e spinocellulare della cute, sono quelle associate ad infezioni
virali (linfoma non-Hodgkin, sarcoma di Kaposi, carcinoma della cervice uterina), mentre
hanno prevalenza di poco aumentata il carcinoma del colon-retto, il tumore del polmone, della
mammella, del rene e della vescica.
Lo screening annuale consiste in un’ecografia di reni e fegato, visita ginecologica con pap-test,
mammografia, ricerca di sangue occulto nelle feci e colonscopia dopo i 50 anni, dosaggio dei
comuni marcatori neoplastici, citologia urinaria e visita dermatologica. Vista l’elevatissima
incidenza di carcinomi cutanei è assai importante ridure l’esposizione al sole ed utilizzar creme
solari protettive.
Al momento della diagnosi di neoplasia la terapia immunosoppressiva andrà ridotta o
totalmente sospesa, non essendo controindicato alcun protocollo antitumorale chemioterapico
o chirurgico.
ALTRE
•
•
Osteoporosi: legata all’uso di steroidi la cui azione nociva è peraltro potenziata dal
precedente
iperparatiroidismo
secondario
all’uremia.
Si
previene
con
la
supplementazione di calcio, vitamina D ed eventualmente difosfonati.
Nel caso si
manifestino difficoltà alla deambulazione e dolore all’anca o al ginocchio, bisognerà
escludere la osteonecrosi della testa del femore mediante esecuzione di RMN.
Complicanze epato-biliari: l’iperbilirubinemia è frequente, e può essere associata o no a
lieve rialzo di transaminasi e GGT. Essa è spesso dovuta ad epatotossicità da farmaci.
Altre complicanze possono essere la litiasi biliare e l’epatite colestatica, oltre alla
progressione della epatite virale da HBV e HCV.
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Organizzazione Per il Trapianto di Rene
1) MANENIMENTO DELLA LISTA D’ATTESA PER TRAPIANTO DA CADAVERE (Centro Trapianti)
Valutazione clinica dei candidati (controindicazioni, fattori di rischio)
Determinazione del Gruppo e Tipizzazione HLA.
Monitoraggi dello stato di alloimmunizzazione mentre il paziente è in lista (Panel Reactive
Antibody).
2) “PROCUREMENT” DELL’ORGANO (Rianimazione)
Accertamento della morte cerebrale, dell’idoneità del donatore, richiesta del
consenso alla
donazione, prelievo degli organi, determinazione del gruppo sanguigno e tipizzazione HLA.
3) SELEZIONE DEL RICEVENTE (Genetica)
Gruppo sanguigno, assenza di alloanticorpi specifici per il donatore, compatibilità HLA, età
anagrafica, tempo di attesa in lista, ri-trapianto, immunità.
4) VERIFICA DELL’ASSENZA DI ANTICORPI CIRCOLANTI CONTRO l’HLA DEL DONATORE:
“CROSS-MATCH” (Genetica)
5) INTERVENTO CHIRURGICO DI TRAPIANTO (Centro Trapianti)
7) TRATTAMENTO MEDICO E CONTROLLO CHIRURGICO POST-INTERVENTO (Centro Trapianti)
8) CONTROLLO AMBULATORIALE (Centro Trapianti)
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IL TRAPIANTO RENALE