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organizzato da
Soc. Cons. a r.l.
Azienda con sistema qualità certificato ISO 9001:2008
SOCIETÀ CULTURALE ITALIANA VETERINARI PER ANIMALI DA COMPAGNIA
SOCIETÀ FEDERATA ANMVI
il paziente ospedalizzato
dalla terapia intensiva alla riabilitazione
E S T R AT T I R E L A Z I O N I • C O M U N I C A Z I O N I
64° CONGRESSO NAZIONALE SCIVAC
MILANO ATA QUARK HOTEL, 5-7 MARZO 2010
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organizzato da
Soc. Cons. a r.l.
Azienda con sistema qualità certificato ISO 9001:2008
SOCIETÀ CULTURALE ITALIANA VETERINARI PER ANIMALI DA COMPAGNIA
SOCIETÀ FEDERATA ANMVI
il paziente ospedalizzato
dalla terapia intensiva alla riabilitazione
64° CONGRESSO NAZIONALE SCIVAC
MILANO ATA QUARK HOTEL, 5-7 MARZO 2010
ESTRATTI RELAZIONI
COMUNICAZIONI BREVI
Questo volume di atti congressuali riporta fedelmente quanto fornito dagli autori
che si assumono la responsabilità dei contenuti dei propri scritti.
Gli estratti sono elencati in ordine alfabetico secondo il cognome dell’autore presentatore.
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COMITATO SCIENTIFICO
64° CONGRESSO SCIVAC
COORDINATORE SCIENTIFICO
CONGRESSUALE
Ludovica Dragone, Med Vet, Reggio Emilia
Fulvio Stanga, Med Vet, Cremona
Chiara Valtolina, Med Vet, MRCVS, Dipl ACVECC,
Utrecht (NL)
Fabio Viganò, Med Vet, SCMPA, San Giorgio su
Legnano (MI)
Fulvio Stanga, Med Vet, Cremona
COMMISSIONE SCIENTIFICA SCIVAC
Francesca Manfredi
Tel. +39 0372 403538 - E-mail: [email protected]
Massimo Baroni, Med Vet, Dipl ECVN,
Monsummano Terme (PT)
Davide De Lorenzi, Med Vet, Dipl ECVCP, Padova
Giorgio Romanelli, Med Vet, Dipl ECVS, Milano
Fulvio Stanga, Med Vet, Cremona
CONSIGLIO DIRETTIVO SCIVAC
Dea Bonello, Presidente
Massimo Baroni, Presidente Senior
Federica Rossi, Vice Presidente
Marco Bernardini, Segretario
Bruno Peirone, Consigliere
Guido Pisani, Tesoriere
Alberto Crotti, Consigliere
SEGRETERIA SCIENTIFICA
Monica Villa
Tel. +39 0372 403504 - E-mail: [email protected]
SEGRETERIA MARKETING,
SPONSOR E AZIENDE ESPOSITRICI
SEGRETERIA ISCRIZIONI
Paola Gambarotti
Tel. +39 0372 403508 - Fax +39 0372 403512
E-mail: [email protected]
ORGANIZZAZIONE CONGRESSUALE
EV Soc. cons. a r.l.
Via Trecchi, 20 - 26100 CREMONA (Italia)
ORGANIZZAZIONE ALBERGHIERA
ATAHOTEL QUARK - Uff. Prenotazioni
E-mail: [email protected]
Tel. 06 69646964 - Fax 06 69646965
Società Federata ANMVI
Ringrazia gli Sponsor per il sostegno dato all’evento
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Il paziente ospedalizzato dalla terapia intensiva alla riabilitazione
RELATORI
JACQUELINE DAVIDSON
DVM, Dipl ACVS, Texas
La dr.ssa Davidson si laurea nel
1986 in Medicina Veterinaria
presso l’Università del Minnesota. Completa il suo Residency in chirurgica nel 1990 alla Purdue University ed esercita nella pratica privata per
diversi anni seguiti poi da 15 anni nella facoltà della Louisiana State University School of
Veterinary Medicine. È stata professore in
chirurgia dei piccoli animali presso la Texas
A & M University College di Medicina Veterinaria sino a Settembre 2009.
Divide il suo tempo lavorativo tra la chirurgia
generale dei tessuti molli e la chirurgia ortopedica. Proprio per il suo interesse nella gestione del dolore post-operatorio e dei disagi cronici ortopedici ha seguito corsi di agopuntura veterinaria, di chiropratica e di riabilitazione fisica. È un chirurgo diplomato all’ACVS ed ha ottenuto certificati in agopuntura veterinaria, in manipolazione spinale e
riabilitazione fisica.
LUDOVICA DRAGONE
Med Vet, Reggio Emilia
Laureata in Medicina Veterinaria nell’anno accademico 2001 2002 presso l’Università di Parma, con tesi su “La fisioterapia
riabilitativa nel cane”, relatore Dr.ssa Luisa
De Risio. Nel 2003 e 2004 ha trascorso periodi di studio negli Stati Uniti, presso la University of Tennessee College of Veterinary
Medicine sotto la guida del Prof. Darryl Millis
ed in North Carolina sotto la guida del Prof.
Denis Marcellin. Per approfondire la conoscenza della riabilitazione negli animali da
compagnia ha completato l’iter di studio negli Stati Uniti ottenendo, nel 2005, l’attestato
di Certified Canine Rehabilitation Practitioner (CCRP), presso l’Università del Tennessee. È autrice di articoli su riviste del setto-
re, correlatrice di tesi presso l’Università di
Bologna, Padova, Parma e Teramo e relatrice a corsi, seminari e congressi su argomenti riguardanti la riabilitazione. Ha partecipato a seminari e congressi nazionali ed
internazionali sul tema della fisioterapia riabilitativa negli animali da compagnia. Dal
2003 è socia SCIVAC e SINVet. Dal 2007 è
responsabile del gruppo di studio SCIVAC
sulla fisioterapia riabilitativa. Attualmente
svolge la propria attività presso l’Ambulatorio Veterinario Dog Fitness di Reggio Emilia
occupandosi di riabilitazione.
SABRINA GIUSSANI
Med Vet,
Dipl Comportamentalista ENVF,
Busto Arsizio (VA)
Si laurea cum laude presso la
facoltà di Medicina Veterinaria
di Milano. Dal 1998 si occupa di Medicina
Comportamentale. È consigliere SISCA (Società Italiana di Scienze Comportamentali
Applicate) dal febbraio 2002. Ha partecipato
a seminari, corsi di base, corsi avanzati di
Medicina Comportamentale sia in Italia sia
in Francia. Si è diplomata Medico Veterinario
Comportamentalista presso l’Ecole Nationale Française nel novembre 2002. È stata relatore a giornate regionali, seminari, corsi di
base e avanzati in Italia. Ha pubblicato articoli inerenti la Medicina Comportamentale
su riviste del settore scientifico ed è autore,
insieme al Dott. Colangeli, del libro “Medicina comportamentale del cane e del gatto”
edito da Poletto nel 2004. Consegue nel dicembre 2004 il Master di specializzazione di
2° livello organizzato dall’Università di Medicina Veterinaria di Padova in “Etologia applicata al benessere animale”. È professore a
contratto nel 2005 nel Master inerente alla
Medicina Comportamentale organizzato
dall’Università di Medicina Veterinaria di Torino. È socio di Zoopsy e di ESVCE.
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Il paziente ospedalizzato dalla terapia intensiva alla riabilitazione
ELKE RUDLOFF
DVM, Dipl ACVECC,
Glendale, Wisconsin
La dr.ssa Elke Rudloff si laurea
in medicina Veterinaria alla Purdue University School nel 1991.
Completa il suo residency all’Animal Emergency Center e ottiene il diploma nel 1995
all’American College of Veterinary Emergency and Critical Care. Attualmente è istruttore
clinico e Direttore del programma di Aggiornamento dell’Animal Emergency Center di
Glendale nel Wisconsin ed è mentore di 13
diplomati ACVECC. Ha ricoperto l’incarico di
Scientific Program Chair nella Società Americana di Medicina d’Urgenza per 12 anni ed
attualmente ne è Presidente eletto. Ha ricevuto il premio Ira Zaslow per il servizio prestato nella medicina d’urgenza. È stata riconosciuta a livello Internazionale come insegnante in questo campo della medicina veterinaria. Un particolare interesse lo rivolge
alla reintegrazione dei liquidi e nella gestione del trauma in condizioni critiche.
CHIARA VALTOLINA
Med Vet, PhD, Dipl ACVECC,
Utrecht
Chiara Valtolina si laurea presso la Facoltà di Medicina Veterinaria, dell’Università di Milano
nel 2000. Dopo la laurea ha cominciato un
dottorato di ricerca presso il Dipartimento di
Chirurgia dei piccoli animali fino al 2004. Nel
Dicembre 2004, al termine del periodo di
dottorato, inizia un programma di externship
presso l’unità di terapia intensiva (IZA) del
Dipartimento di Scienze Cliniche dei piccoli
animali della Facoltà di Medicina Veterinaria
di Utrecht, in Olanda. Durante lo stesso anno inizia un progetto di ricerca sulla terapia
del dolore post-operatoprio nel paziente critico. Il programma di externship è durato due
anni da Dicembre 2004 fino a Giugno 2006.
Nel Luglio 2006 viene scelta come Senior
Clinical Training Scholar e comincia il residency in Emergency and Critical Care presso il Queen Mother Hospital per piccoli animali al Royal Veterinary College di Londra.
Nel Settembre 2009, al termine del programma di residency, ottiene il diploma al
College Americano di Emergency and Critical Care.
Attualmente lavora come giovane docente e
co-responsabile del dipartimento di terapia
intensiva (IZA) presso l’Università di Medicina Veterinaria di Utrecht (NL).
FABIO VIGANÒ
Med Vet, SCMPA, San Giorgio
su Legnano (MI)
Laureato nel 1987 e specializzato con lode nel 1995 in malattie dei piccoli animali presso
l’Università di Milano. Dal 1987 ad oggi svolge soggiorni di studio presso Università e cliniche private negli Stati Uniti. Membro Veccs
dal 1993, socio fondatore della Eveccs (European Veterinary Emergency and Critical Care Society). Presidente Siarmuv dal 2005.
Presidente Simutiv dal 2009. Relatore a numerosi congressi nazionali ed internazionali. Direttore sanitario di una Clinica veterinaria con pronto soccorso 24 ore. Autore
di pubblicazioni in medicina d’urgenza e terapia intensiva dei piccoli animali, direttore e
relatore di numerosi corsi di pronto soccorso
e terapia intensiva. Autore del testo di medicina d’urgenza e terapia intensiva del cane e
del gatto. Professore a contratto in Medicina
d’Urgenza e terapia intensiva presso l’Università di Milano e di Lisbona.
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Il paziente ospedalizzato dalla terapia intensiva alla riabilitazione
PROGRAMMA SCIENTIFICO
VENERDÌ 5 MARZO 2010
9.00
R E G I S T R A Z I O N E D E I PA RT E C I PA N T I E V E R I F I C A P R E S E N Z E
10.25
SALUTO AI PARTECIPANTI DEL PRESIDENTE SCIVAC,
PRESENTAZIONE DEI RELATORI ED INIZIO DEI LAVORI
C H A I R P E R S O N : FA B I O V I G A N Ò
10.30 Triage e prima valutazione del paziente critico prima parte (triage e primo approccio)
Il lavoro di squadra e la prontezza ospedaliera come chiavi per ottimizzare il risultato durante
la rianimazione e la stabilizzazione del paziente in emergenza
Elke Rudloff (USA)
11.20 Triage e prima valutazione del paziente critico seconda parte (esami di laboratorio: MDB e EDB)
Approccio semplificato per la stabilizzazione del paziente in emergenza, utilizzando l’esame clinico
e i dati del laboratorio
Elke Rudloff (USA)
12.10 Shock ipovolemico e fluidoterapia rianimatoria
La gestione del paziente affetto da shock è caratterizzata da uno stretto monitoraggio e anticipo delle complicazioni,
un’aggressiva fluidoterapia, il controllo dell’emostasi e la continua rivalutazione sono i suoi fondamenti terapeutici
Elke Rudloff (USA)
13.00
PA U S A P R A N Z O
C H A I R P E R S O N : C H I A R A VA LT O L I N A
14.30 Gestione del paziente traumatizzato
Revisione di alcune conseguenze fisiopatologiche del trauma e le priorità nella stabilizzazione
Elke Rudloff (USA)
15.20 Monitoraggio in terapia intensiva
Rilevazione dei parametri vitali ad intervalli di tempo predefiniti ed utilizzo degli strumenti per la
rilevazione di pressione arteriosa, saturimetria, pressione venosa centrale, lattatemia e capnografia
Fabio Viganò (I)
16.10
PA U S A C A F F È
16.50 Riabilitazione del paziente politraumatizzato
Gestione del paziente politraumatizzato, facendo convivere terapia intensiva e riabilitazione al fine
di ottimizzare risultati e tempi di recupero
Ludovica Dragone (I)
17.40 Riabilitazione del “paziente critico”
Individuare le tecniche di riabilitazione “in gabbia” adeguate per i pazienti critici, per ridurre al minimo
la morbilità e la perdita della funzione
Jacqueline Davidson (USA)
18.30
T E R M I N E D E L L A G I O R N ATA
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Il paziente ospedalizzato dalla terapia intensiva alla riabilitazione
SABATO 6 MARZO 2010
C H A I R P E R S O N : FA B I O V I G A N Ò
9.00 Gestione del distress respiratorio di origine cardiaca
Quando non conviene rischiare neanche lo stress di una radiografia. Consigli pratici per identificare
i segni clinici e gestire con successo il paziente critico con insufficienza cardiaca congestizia
Elke Rudloff (USA)
9.50 Gestione del distress respiratorio e versamento pleurico
Consigli pratici per identificare i segni clinici della malattia polmonare primaria e il versamento pleurico.
Come intervenire e quali terapie iniziare mediante un approccio basato sul caso clinico
Elke Rudloff (USA)
10.40
PA U S A C A F F È
11.20 Ventilazione meccanica
Quando e come: quali sono le indicazioni per la ventilazione meccanica, le tecniche di ventilazione a nostra disposizione
e quale tecnica è meglio utilizzare in base alla situazione clinica del paziente. Presentazione di casi clinici
Chiara Valtolina (NL)
12.10 Strategie ventilatorie dopo manovra di reclutamento alveolare nel cane (16’) - V. De Monte
Short-term sedation and translaryngeal intubation after soft palate resection
in a french bulldog with brachycephalic airway syndrome (16’) - L. Novello
Distress respiratorio acuto in un cane affetto da acromegalia (16’) - P. Rocchi
13.00
PA U S A P R A N Z O
C H A I R P E R S O N : C H I A R A VA LT O L I N A
14.30 Sirs e sepsi in terapia intensiva
La prevenzione e l’individuazione della Sindrome da Risposta Infiammatoria Sistemica e della sepsi come chiave
per il trattamento. Revisione della letteratura e delle terapie per il trattamento di SIRS e sepsi nel paziente critico
Elke Rudloff (USA)
15.20 Gestione dell’insufficienza renale
Una revisione della fisiopatologia della insufficienza renale acuta, dell’identificazione delle cause, del trattamento specifico
e dell’identificazione di condizioni che potrebbero trarre beneficio dalla terapia sostitutiva della funzione renale
Elke Rudloff (USA)
16.10
PA U S A C A F F È
16.50 Guarigione delle ferite e riabilitazione
Una revisione dei mezzi impiegabili per la guarigione delle ferite e di come la terapia riabilitativa possa
facilitarne il processo
Jacqueline Davidson (USA)
17.40 Riabilitazione e gestione del paziente neurologico
Tecniche per migliorare il recupero della forza e del coordinamento
Jacqueline Davidson (USA)
18.30
D I S C U S S I O N E E T E R M I N E D E L L A G I O R N ATA
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Il paziente ospedalizzato dalla terapia intensiva alla riabilitazione
DOMENICA 7 MARZO 2010
CHAIRPERSON: LUDOVICA DRAGONE
9.00
Squilibri elettrolitici e del glucosio più comuni (sodio, potassio, glicemia)
Le alterazioni elettrolitiche sono molto comuni in terapia intensiva e devono essere prontamente
riconosciute e trattate. Discussione sugli effetti delle alterazioni elettrolitiche e come risolverle
Chiara Valtolina (NL)
9.50
Nutrizione in Terapia Intensiva
La nutrizione come uno dei fondamenti per il buon esito di qualsiasi processo morboso. L’importanza di conoscere
e provvedere ai fabbisogni nutrizionali dei pazienti critici sia attraverso la nutrizione enterale che la nutrizione parenterale
Fabio Viganò (I)
10.40
L’ospedalizzazione del cane e del gatto: il punto di vista della Medicina Comportamentale
L’ospedalizzazione è uno tra i punti critici della Medicina Veterinaria. In occasione del ricovero di un paziente è opportuno
considerare le caratteristiche etologiche della specie in esame ed i relativi fabbisogni. La Medicina del Comportamento,
in collaborazione con la Clinica, è in grado perfezionare l’ospedalizzazione del cane - Sabrina Giussani (I)
11.20
PA U S A C A F F È
12.10
Riabilitazione del paziente ortopedico
Presentazione delle opzioni terapeutiche impiegabili per l’ottenimento del miglior risultato clinico
a seguito di trauma o chirurgia ortopedica
Jacqueline Davidson (USA)
13.00
Particolari attenzioni per i pazienti anziani
Considerazioni speciali per il recupero di animali geriatrici
Jacqueline Davidson (USA)
13.50
DISCUSSIONE E TERMINE DEL CONGRESSO
NORME CONGRESSUALI
BADGES CONGRESSUALI
Sono ammessi alle sale congressuali e all’area
espositiva SOLO gli iscritti che indossano l’apposito
badge congressuale. Si fa richiesta a tutti i partecipanti di indossarlo per tutta la durata del congresso.
Il badge ESPOSITORE consente l’accesso all’area
espositiva, ma NON alle sale congressuali.
In caso di smarrimento il badge supplementare
viene fornito al costo di € 26.
Blu
Congressisti
Rosso
Relatori
Arancio
Ditte Espositrici
VIETATO FUMARE
È severamente vietato fumare in tutti i
locali del Centro Congressi, area espositiva inclusa.
TELECAMERE
E MACCHINE FOTOGRAFICHE
È severamente proibito filmare o fotografare le presentazioni dei relatori nelle
sale congressuali.
TELEFONI CELLULARI
È severamente vietato l’uso dei telefoni
cellulari all’interno delle sale congressuali.
PUBBLICAZIONI
Non possono essere riprese in
qualsiasi formato e utilizzate, integralmente o anche parzialmente, per
altri scopi, ad esempio pubblicazioni o
relazioni, le presentazioni dei relatori, i testi o le immagini degli atti, senza il relativo consenso rilasciato dall’autore e dall’organizzatore dell’evento.
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Il paziente ospedalizzato dalla terapia intensiva alla riabilitazione
ESTRATTI
DELLE RELAZIONI
Questo volume di atti congressuali riporta fedelmente quanto fornito dagli autori
che si assumono la responsabilità dei contenuti dei propri scritti.
Gli estratti sono elencati in ordine alfabetico secondo il cognome del relatore
e quindi in ordine cronologico di presentazione.
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Il paziente ospedalizzato dalla terapia intensiva alla riabilitazione
Jacqueline Davidson
DVM, MS, Dipl ACVS, CVA, CCRP,
CERP, CCRT, Texas
Riabilitazione
del “paziente critico”
Rehabilitation
of the Critical Patient
Venerdì, 5 marzo 2010, ore 17.40
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Il paziente ospedalizzato dalla terapia intensiva alla riabilitazione
Critical patients may have trauma to the bones, joints, abdomen, thorax, or
head or some combination of these. The risk for complications may be increased if the animal sustained trauma to multiple limbs or body systems.
Other critical patients may have a systemic disease which requires hospitalization. Regardless of the underlying condition, critical patients are often inactive for prolonged periods of time. This can have deleterious effects on the
body, particularly the musculoskeletal and cardiorespiratory systems. Goals
of rehabilitation may include: prevent complications related to the injury, prevent complications secondary to prolonged inactivity, maintain body condition, alleviate pain, and promote tissue healing.
Before initiating a rehabilitation program, the animal must be thoroughly
evaluated. The primary problems should be identified, but the animal should
also be assessed for the presence of preexisting or concurrent conditions. All
of the problems should be considered when creating a therapeutic plan. For example, obesity or osteoarthritis may limit an animal’s ability to perform various exercises, and various metabolic conditions can impair wound healing.
DISUSE AND IMMOBILIZATION
Disuse or immobilization promotes tissue degeneration. Immobilization of
a joint results in decreased synovial fluid production and decreased diffusion
of synovial fluid and nutrients into the cartilage. In the absence of weightbearing activity the articular cartilage atrophies. This atrophy may be reversible when joint use resumes. However, immobilization can cause irreversible changes such as osteophyte formation and cartilage fibrillation, pitting or erosion. Reduced activity or immobilization also results in muscle atrophy. The extensor muscles (Type I fibers, slow twitch) maintain posture
during weight bearing, and are more prone to disuse atrophy than Type II
fibers (fast twitch). In addition to muscle atrophy, there is a loss in force production that is not entirely due to the loss of muscle mass. During prolonged
immobilization fibrosis can occur in periarticular tissues and ligaments lose
stiffness. After immobilization or prolonged disuse of a limb the flexor tendons may undergo contracture, resulting in limited extension of the distal
joints. Decreased bone formation and increased bone resorption can also occur with immobilization, because mechanical loading is important to maintain
normal bone mass. Because of the negative side effects of rigid immobilization it is generally avoided, especially for long-term treatment. The more rigid
the immobilization, the more severe the changes are likely to be. However,
bandages, splints or casts are necessary in certain circumstances. The region
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Il paziente ospedalizzato dalla terapia intensiva alla riabilitazione
should be immobilized to the least degree that is necessary to protect the tissue, and it should be maintained for the minimal time necessary.
Recumbent animals have typical problems that may need to be addressed.
Decubital ulcers are a potential problem, especially in larger animals. Recumbent animals may also be at increased risk for developing pulmonary disorders. In addition, hygiene may be an issue if they urinate or defecate in their
bed. For some animals, recumbency also seems to pose some psychological
challenges, which manifest as changes in attitude or appetite. Rehabilitative
goals for recumbent animals may include maintaining joint range of motion
and muscle strength. When possible, the animal is positioned in a supported
sternal or standing posture for varying times throughout the day.
Providing early mobility is important for both physical and psychological reasons. Getting the animal up improves muscle strength and cardiovascular function. It helps reduce edema, and the risk of decubital ulcers. In addition, it often seems to improve their attitude. Any animal that can walk
should be encouraged to do so. If an animal is not strong enough to support
its own weight, it may be assisted by the use of a sling or cart. In addition,
a pool of water or underwater treadmill may be used as a supportive device.
As the animal’s strength improves, it is encouraged to bear more weight by
reducing the amount of assistance. Animals with neurologic dysfunction,
multiple pelvic fractures, or multiple limb dysfunction may benefit from
slings, splints, or braces.
PAIN
Pain may be caused by the inflammation associated with surgical or traumatic disruption of the tissues. Nerves subjected to trauma or compression
may also be painful. Tissue edema can be painful. Lack of limb use can also result in stiffness and pain. Pain may have a protective effect on the tissues by preventing the animal from overuse of the area, which could cause
further tissue damage. However, after adequate treatment has been administered, the pain response may no longer be beneficial. There are many ways
to control pain and rehabilitation can contribute to pain management. Rehabilitation may reduce pain by decreasing inflammation, reducing edema,
and restoring limb use.
Pain can be very difficult to assess in animals. Some animals will vocalize, while others will lie quietly. Provided there are no mechanical dysfunctions, it is generally assumed that decreased performance or function is related to pain. If there is doubt as to whether an animal is painful, it is best to treat
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Il paziente ospedalizzato dalla terapia intensiva alla riabilitazione
them as though they are. It is crucial that the animal’s pain is controlled during any rehabilitation program. If the pain is not controlled, the animal may
be limited in its ability to function and thus, slow the rehabilitation process.
INTEGUMENTARY TRAUMA
Trauma may cause damage to the skin, such as lacerations, punctures, abrasions, or open wounds. The wounds should be kept clean and covered. Initially
inflammation can be moderated by local cold packs for 10 to 20 minutes every
four hours. Pain may be addressed by use of cold packs or electrical stimulation. Wound healing can be enhanced by use of laser therapy or therapeutic ultrasound, particularly in the more chronic stages of wound healing.
MUSCULOSKELETAL TRAUMA
Animals that have sustained severe trauma typically have some dysfunction of the musculoskeletal system. This may include single or multiple fractures, muscular strains or contusions, ligament strain, and joint luxation. In
the acute phase, soft tissue wounds are treated by using local hypothermia to
decrease pain and inflammation. After the acute inflammation has resolved,
heat therapy may be used to reduce pain and increase tissue elasticity.
Additionally, the injured area requires protection. The degree of protection
required correlates with the amount of tissue injury. For example, mild muscle strain or contusion may be protected by limiting the animal’s activity and
use of the injured region. For ligament strains or more severe muscle tears,
such as those associated with fractures, it is preferable to protect the area by
use of a bandage or splint. A bandage will limit use of the tissues and can also be used to compress the tissues, which helps reduce swelling and pain.
Elevation of injured limbs can promote drainage and reduce edema. This
may not be realistic, but frequent position changes can assure that the limb is
not maintained in a dependent position. Bandaging can also prevent or reduce
edema.
The causes of muscle contracture, or muscle shortening, can be intrinsic or
extrinsic. Intrinsic causes of contracture include inflammation, ischemia and
hemorrhage. Fibrin is deposited in the wound immediately after the injury occurs. Within 2 or 3 days of muscle injury, the fibrin begins to be replaced with
a loose connective tissue network. If the affected muscle is kept immobile, the
network develops into fibrous tissue and adhesions, which are resistant to
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Il paziente ospedalizzato dalla terapia intensiva alla riabilitazione
stretch. Passive range of motion exercises should be initiated to encourage
joint motion and muscle lengthening.
Most fractures require long-term, rigid stabilization for optimal healing.
Ideally, the bones should be immobilized, without immobilizing the soft tissues. Extrinsic muscle contracture occurs with prolonged immobilization or
disuse. If immobilization is required, joints should be in a neutral position.
Muscle fibers lose more sarcomeres when immobilized in a shortened position. Maintaining joints in a neutral position will keep muscle fibers at more
optimal lengths and tension to minimize contracture. The duration and degree
of immobilization affect the rate of contracture development.
Passive range of motion exercises can be performed very early after trauma to minimize joint and muscle contractures, and prevent loss of joint range
of motion. If the bones and joints have adequate stability, active range of motion exercises are initiated to maintain muscle elasticity, enhance circulation,
and promote strength of bones and soft tissues. If external coaptation is necessary, it should only be as rigid as necessary for fracture healing, and should
be maintained for the minimum time required. If the bandage is changed, passive range of motion may be considered before replacing the bandage.
NEUROLOGIC TRAUMA
The neurologic system may also be affected by traumatic injuries. Spinal
cord trauma may result in pain and impaired function of multiple limbs. Less
commonly, peripheral nerve injury can occur. Nerve dysfunction can cause
weakness or loss of function.
Extrinsic muscle contracture can occur in cases of paralysis or muscle spasticity. If a muscle group is weakened or paralyzed, it cannot resist the opposing muscle group. This results in shortening and contracture of the opposing
muscles. For example, with brachial plexus injury the carpal extensors are often paralyzed, allowing carpal flexion. Stretch must be applied to the carpus to
prevent flexural contracture. Spastic paralysis of the pelvic limbs that occurs
with thoracolumbar myelopathy is another example of a situation in which extrinsic muscle contracture can occur. The spastic extensor muscles have increased tone and decreased resting length. Joint flexion to stretch the extensor
muscles can be initiated to prevent muscle contracture. Serial splinting may
provide prolonged stretching of muscles and joints for chronic contractures.
Passive range of motion exercises can be performed to minimize joint and
muscle contractures, and prevent loss of joint range of motion. If the limb is
functional, active range of motion exercises are recommended to maintain
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muscle elasticity, enhance circulation, and promote muscle strength. If the
limb is not strong enough to support weight, assistance with a sling or cart
may be necessary. Electrical stimulation may also be used to promote muscle
strength.
Head trauma can result in decreased consciousness, which can cause altered breathing patterns, decreased ability to cough, and inability to change
body position. Decreased mobility may result in atelectasis, contributing to
respiratory dysfunction. These animals may benefit from respiratory therapy,
but head-down positions should be avoided if increased intracranial pressure
or ongoing hemorrhage is suspected. If animals have abnormal postures or
muscle imbalances, passive range of motion should be performed to prevent
muscle and joint contractures. Frequent position changes are also recommended for animals with impaired mobility.
RESPIRATORY TRAUMA
Direct injuries to the body can cause soft tissue wounds, rib fractures,
pneumothorax, hemothorax, or pulmonary contusions. Penetrating wounds
can damage the lungs and other underlying structures. However, even blunt
trauma may result in shallow, rapid ventilation, resulting in reduced tidal volume, functional residual capacity, and lung compliance. Restrictive breathing
patterns, in combination with immobility, may lead to atelectasis, accumulated secretions, and pneumonia.
Whether the animal has thoracic trauma, or is recumbent due to limb or
head trauma, the rehabilitationist should strive to promote normal lung expansion, reduce excessive airway secretions, and improve oxygenation. The techniques used in thoracic rehabilitation include cough, body positioning, postural drainage, percussion, and vibration.
Animals that are unable or unwilling to change positions should have their
positioned changed every four hours, alternating between right lateral, sterna,
and left lateral recumbency. Repositioning helps prevent atelectasis and pooling of airway secretions in dependent regions. Oxygenation is improved when
the healthy lung is in the dependent position. When the compromised lung
(e.g. contusions or pneumonia) is in a dependent position, it receives increased blood flow, which results in increased V/Q mismatch and impaired
gas exchange. Position changes also help reduce the risk of pressure sores and
limb edema.
Postural drainage is the use of body position to facilitate excretion of tracheobronchial secretions. The animal is positioned such that the segmental
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bronchi are vertical to the affected lung, allowing movement of secretions into larger airways. Then a cough is initiated to facilitate the expulsion of secretions. Each position is maintained for 5 to 10 minutes, although the duration
depends on the number of lung segments to be drained and the amount of secretions produced.
Chest percussion (i.e. coupage) involves striking the thoracic wall to create
a mechanical shock wave that transmits to the lungs to dislodge bronchial secretions. It is performed by rhythmically striking the animal’s thoracic wall with
cupped hands. It is done throughout inspiration and expiration. Correct hand
form and positioning over the affected lung region are more important than the
amount of force used. In general, 3 to 4 minutes of steady percussion is performed, followed by vibration. Three or four sessions of percussion are usually
adequate for each postural drainage position. The goal is to move the secretions
to larger airways where they can be removed by postural drainage or cough.
Percussion is not recommended for animals with a nonproductive cough.
Vibration technique involves vigorous shaking of the thoracic wall over
the affected lung region. It is only done during exhalation, and is performed
on each of four to six consecutive breaths after each percussion session. The
goal is to move dislodged secretions toward larger airways.
Coughing is functions to expel retained secretions from the trachea and
bronchi. Critically injured animals may not cough because of impaired consciousness, pain, weakness, or injuries to the body wall. Coughing may be initiated by applying gentle pressure to the trachea at the level of the third tracheal ring. The animal may be better able to cough when placed in sternal recumbency.
Animals undergoing respiratory therapy should be monitored carefully.
Continuous electrocardiographic monitoring is recommended before and during therapy, since chest percussion may precipitate an arrhythmia. Supplemental oxygen may be indicated for animals with pulmonary dysfunction, and
monitoring of SaO2 may be prudent. Potential contraindications for coupage
and vibration include rib fractures, pneumothorax, thrombocytopenia, open
wounds, subcutaneous emphysema, pain and unstable cardiac conditions.
Exercise is superior to postural drainage for mobilization of respiratory secretions. Exercise is also superior to respiratory therapy in reducing atelectasis, mobilizing secretions, and prevention of pooling of secretions. Exercise
promotes deep breathing, which improves ventilation. Ambulatory animals
should be encouraged to stand and walk for 5 to 10 minutes, four to six times
daily. Weak animals may be assisted with slings or carts. Nonambulatory animals should be assisted to stand for a few minutes four to six times daily, at
the same time as body position changes.
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SUGGESTED READING
Dunning D, Halling K, Ehrhart E. Rehabilitation of medical and acute care patients. Vet Clin
Small Anim 2005;35: 1411-1426.
Manning A. Physical rehabilitation for the critically injured veterinary patient. In: Millis DL,
Levine D, Taylor RA (eds). Canine Rehabilitation & Physical Therapy. St Louis: Saunders. p 404-410.
Address for correspondence:
Jacqueline R. Davidson
Clinical Professor, Small Animal Surgery
Texas A&M University
College Station, TX, USA
E-mail: [email protected]
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Jacqueline Davidson
DVM, MS, Dipl ACVS, CVA, CCRP,
CERP, CCRT, Texas
Guarigione delle ferite
e riabilitazione
Wound Healing and Rehabilitation
Sabato, 6 marzo 2010, ore 16.50
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The process of wound healing is described as separate phases for ease of
understanding. In reality, the phases are not distinct events and there is overlap of the phases.
Phase one is termed the inflammatory or debridement phase. It is also
known as the proliferative phase. Phase one starts with wounding of the tissue and continues for the first 3 to 5 days. When the tissue is damaged, the
area is immediately filled with hemorrhage. An initial vasoconstriction occurs
to limit bleeding during the first 5 to 10 minutes. Vasoconstriction is followed
by vasodilation, with leakage of fibrinogen and clotting elements. Neutrophils
arrive from the blood and phagocytize debris. Monocytes also arrive from the
blood and become macrophages in the tissues. The platelets that arrive with
the hemorrhage release growth factors, which attract fibroblasts. A fibrin clot
forms in the wound. It serves to provide hemostasis, localize inflammation,
stabilize the wound edges, and provide some wound strength. A scab (dried
blood clot) forms over the wound surface to protect the wound and prevent
further hemorrhage. An exudate, consisting of WBCs, dead tissue, and wound
fluids may be present.
Phase two is the repair phase. The repair phase includes the formation of
granulation tissue, wound contraction and epithelialization. Granulation tissue consists of extracellular matrix and blood vessels. It is usually noticeable
in the wound 3 to 5 days after wounding. Granulation tissue functions to fill
the defect and protect the wound. It provides a barrier to infection, a surface
for epithelial migration, and a source of myofibroblasts. Wound contraction
occurs in conjunction with formation of granulation tissue and epithelialization. Myofibroblasts in the granulation tissue contain proteins that contribute
to wound contraction. In full thickness wounds, epithelialization begins when
there is granulation tissue. In partial thickness wounds, it begins immediately
after wounding. Epithelialization occurs faster in a moist environment and
with increased oxygen tension. It will not occur over nonviable tissue. Epithelial migration stops when epithelial cells contact other epithelial cells, a
process known as contact inhibition.
Phase three is the maturation or remodeling phase. It begins once there
is adequate collagen deposition, about 17 to 20 days after wounding. This
process may continue for several years. During maturation, the collagen fibers
orient along the lines of stress and cross linkages increase. This causes an increase in wound strength. However, a wound only reaches 80% of normal
strength.
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The phase concept of wound healing applies to open wounds, as well as
any tissue that has been injured. When planning rehabilitation following tissue injury, the phases of wound healing can be used to guide the treatment by
rehabilitation.
Phase one, the inflammatory, debridement or proliferative phase of
wound healing can be correlated with the protection phase of rehabilitation.
Rehabilitation efforts are directed at therapies to reduce pain and inflammation, such as cold therapy and electrical stimulation. Light massage may also
help with pain. Since the tissues in this phase have minimal strength, care is
taken to avoid placing excess stress on them. Muscular activity is kept to a
minimum, but passive range of motion may be performed.
Cold packs, ice packs, iced towels, ice massage, ice baths, and cold compression units can be used as forms of hypothermia or cryotherapy. Swelling
of the soft tissues following surgery may be a result of acute inflammation,
edema, hemorrhage, or reduced lymphatic or venous return. Swelling can be
a significant cause of pain and restricted movement, and the treatment of
choice is local hypothermia. The vasoconstriction induced by hypothermia
helps to reduce edema, which also reduces the associated pain. Hypothermia
can also be used to reduce acute inflammatory episodes associated with trauma, overuse, or postexercise inflammation. In the case of traumatic injuries
(e.g. fractures), cold packs may be applied from the time the animal is presented to the clinic to reduce inflammation prior to surgery.
The effects of hypothermia are more pronounced in the skin as compared
to the deeper tissues, and it only penetrates to about 1 to 2 cm of tissue. Cold
penetration can be increased by the use of compression. This can be done by
maintaining a cold pack over the area with an elastic bandage. Alternatively,
commercial cold compression units are available. In general, hypothermia
should be performed for no more than 20 to 30 minutes, 2 to 4 times daily.
The skin should be monitored for signs of irritation. Hypothermia is generally indicated during the inflammatory phase, which occurs in the first 72 hours
after injury or surgery. Hypothermia is especially important following severe
traumatic or surgical tissue disruption, e.g. gunshot wound, highly comminuted fracture, or surgical arthrodesis.
Heat is contraindicated during acute inflammation because it may exacerbate the inflammatory process. Therefore, hyperthermia is generally contraindicated in the immediate postoperative period, following trauma, or in
the presence of infection. After the inflammation has subsided hypothermia
may be used to decrease pain or to enhance range of motion and stretching activities.
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Neuromuscular electrical stimulation (NMES) may be used to strengthen
muscle in animals that are too painful or weak to perform active exercise.
However, voluntary muscle contraction is more effective and therefore, exercise is preferred over NMES, if possible. Electrical stimulation can also be
used for pain control. Transcutaneous electrical nerve stimulation (TENS) is
one type of electrical stimulation that can be used to alleviate pain. Electrical
stimulation can be used as one component of pain control, but it does not replace appropriate analgesic medications. Electrical stimulation may also be
used to reduce the amount of edema formed with acute injury, but it does not
appear to decrease the amount of edema that is already present. Certain types
of electrical stimulation can promote tissue healing, and seems to be most effective for decubital ulcers. It not typically used in wounds that appear to be
healing normally.
Phase two, the repair phase of wound healing correlates with the controlled motion phase of rehabilitation. Granulation tissue and/or fibrous tissue is created and there is some increase in wound strength. Motion is now
encouraged to promote proper collagen alignment, and prevent scar restrictions. Deep friction massage or joint mobilizations may be beneficial. Passive
and active joint motions are encouraged. Exercise may be initiated to prevent
loss of muscle strength. The level of activity depends on the type, location,
and severity of the injury. Electrical stimulation may be used to enhance muscle strength in some cases.
Therapeutic ultrasound may be beneficial in promoting healing of wounds
that are chronic or slow to heal. The physiologic effects of ultrasound depend
on the intensity level and mode of delivery (continuous vs pulsed). Ultrasound
can be used to create heat within the tissues, but it can also be used for its mechanical effects. The acoustic energy can cause stable cavitation in the tissues.
Microbubbles are formed, which cause a minute flow of fluid, and together
result in altered cell membrane activity. Increased cell membrane permeability may enhance soft tissue healing. The thermal effects of ultrasound may also enhance soft tissue healing because it increases cell metabolism.
Low level laser therapy may also be used to stimulate wound healing.
Laser light is monochromatic, collimated and coherent. The physiologic and
therapeutic effects of laser are not well understood. The laser energy is
thought to be absorbed by photosensitive molecules within the tissues (chromophores), resulting in photochemical reactions. A lower dose is thought to
cause cellular photobiostimulation, which may be used to promote wound
healing. A higher dose of laser energy triggers photoinhibition, which may
help with pain management. Low level laser can cause these photobiomodu27
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latory effects without significantly heating the tissues, so it is sometimes
called ‘cold laser’. The depth of penetration is primarily dependent on the
laser wavelength.
Phase three, the maturation or remodeling phase of wound healing correlates with the return to function phase of rehabilitation. During this time
there is gradual increase in wound strength. In terms of rehabilitation, the
goals are to gradually improve strength and mobility to the level required for
expected level of daily function. Therapeutic exercise would be the primary
treatment during this time, although stretching and joint mobilizations may
still be indicated to encourage proper collagen alignment in the scar.
SUGGESTED READING
Hosgood G. Wound repair and specific tissue response to injury. In: Slatter D (ed). Textbook
of Small Animal Surgery, 3rd edition. Philadelphia: Saunders; 2003. p 66-86.
Kisner C, Colby AL. Soft tissue injury, repair, and management. In: Kisner C, Colby AL (eds).
Therapeutic Exercise: Foundations and Techniques, 5th edition. Philadelphia: F.A. Davis
Company; 2002. p 295-308.
Address for correspondence:
Jacqueline R. Davidson
Clinical Professor, Small Animal Surgery
Texas A&M University
College Station, TX, USA
E-mail: [email protected]
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Jacqueline Davidson
DVM, MS, Dipl ACVS, CVA, CCRP,
CERP, CCRT, Texas
Riabilitazione e gestione
del paziente neurologico
Neurologic Recovery
and Rehabilitation
Sabato, 6 marzo 2010, ore 17.40
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Physical rehabilitation is often vital for a successful outcome of animals
with neurologic deficits. After neurologic surgery, rehabilitation can speed the
rate of recovery and improve the overall level of recovery. Rehabilitation is
used to improve strength, function, and mobility.
A complete physical examination (including neurologic evaluation) is performed before beginning and periodically during therapy to assess progress,
identify new problems, and provide a basis to change therapy, if needed. It is
important to determine the animal’s level of function. Knowledge of the disease process and the severity of neurologic signs are used to establish prognosis and set realistic goals for the desired level of function to be achieved.
After recommendations for care have been established, it is decided whether
it is in the animal’s best interests to be hospitalized, receive rehabilitation on
an outpatient basis, or be given explicit instructions for home care. The animal’s personality and the client’s capability and commitment must be factored
into this decision.
Surgical wounds usually require minimal attention. Cold packs may be applied for 10 to 20 minutes, 3 to 4 times daily within the first 48 to 72 hours
after surgery to minimize local pain and inflammation. After the inflammatory stage of wound healing, cold therapy may be replaced by heat therapy to
reduce pain and muscle spasms.
An animal with urinary incontinence requires significant daily nursing
care. Failure to properly empty bladder at acceptable intervals (usually every
4-6 hours) can lead to bacterial cystitis, bladder atony, and in rare cases,
pyelonephritis or bladder rupture. If the animal is being managed at home, the
client should be told what to look for and should plan to have the urine monitored routinely for evidence of infection.
Animals that lie or sit in one position are at risk for developing decubital
ulcers. The best prevention of decubital ulcers is to encourage frequent position changes (every 2- 4 hours), provide a soft bed, and monitor the animal’s
skin daily for signs of inflammation. Small dogs may do well on a raised grate
covered with synthetic fleece, which allows urine to pass through. Larger
dogs need more padding, such as an air mattress, water bed, or waterproof
thick foam mattress. Regardless of the material used, the bedding under the
animal must be cleaned regularly to avoid prolonged contact with body
wastes. Absorbent, waterproof pads can also be place under the animal’s hind
quarters to absorb urine and prevent saturation of the bedding. Frequent
bathing (with thorough drying) may be necessary to keep the skin clean and
dry in order to prevent urine and/or fecal scalding.
Movement of the limbs can reduce pain and stiffness associated with inactivity. Massage can be used to promote relaxation and to reduce muscle
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spasms and pain. Massage can also be used to reduce edema that sometimes
occurs in recumbent animals. Passive range of motion may help reduce the
pain associated with joint stiffness.
Rehabilitation of a paralyzed limb is typically focused on maintaining
joint range of motion until voluntary motion returns. Passive range of motion
(PROM) can be used to maintain joint health and mobility of the soft tissues.
It may also provide sensory input to the spinal cord. Each affected limb
should be put through a full range of motion several times, two to three times
daily. Heat therapy (hot pack or ultrasound) is recommended prior to PROM
to increase tissue extensibility. PROM should not be painful. Passive range of
motion can be started within a day of surgery and should be continued until
the animal is using the limb well voluntarily.
Early supported standing can help preserve function of the front legs in
paraplegic animals. Paraplegic or paraparetic animals may be assisted with an
abdominal or pelvic sling or cart. The dog may also be supported for short periods by the base of the tail. This method may create abnormal stresses for the
animal as well as the handler, so it is not recommended for routine use. A
large framed sling or cart may be necessary for tetraplegic or tetraparetic animals. Standing can also be supported by placing the animal in a pool of
chest-deep water.
If the animal has some voluntary motor function, the goal is to increase
muscle strength and coordination. The best way to accomplish this is with active exercise to promote voluntary muscle contraction and control. As motor
function begins to return, assisted standing or walking in a sling or cart will
help promote limb strength. Tetraparetic animals with good motor function
may be walked with assistance using a tracking harness. Animals should be
exercised several times daily. A textured surface, such as concrete or soil, is
best in order to provide good traction. In addition, an underwater treadmill
can provide enough support to enable a very weak animal to walk independently. Swim jackets or noodles can be used to provide additional buoyancy.
Aquatic therapy can usually be started the day after surgery, if desired. (The
surgical wound must be sealed, not healed. Surgical wounds generally seal
within several hours.) As the animal’s strength improves, the amount of assistance provided for standing or walking is gradually reduced. Cold packs may
be applied to the muscles (for no more than 10-15 minutes) following strenuous exercise to limit inflammation.
Gait training is a term to describe methods used to promote normal limb
use during ambulation. It is helps stimulate the neural circuits. In paralyzed or
severely paretic animals, the limbs are stimulated by the withdrawal reflex
while the animal is supported on a treadmill or underwater treadmill. As vol31
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untary motor function improves, the limbs will move without external stimuli. At this point, assistance may be given to promote correct movement and
placement of the limbs. The limbs may be advanced manually or assisted with
a therapy band attached to the limb(s). As the animal improves and the need
for assistance decreases, the speed or duration of the exercise can slowly be
increased. Once a fast walk is reached, the amount of support provided by the
cart or water can be decreased. The animal should not be allowed to trot until the walk cadence is well established.
Balance training is used to enhance proprioceptive awareness. Balance
training includes assisted standing and assisted walking activities. In addition, various methods of weight shifting can be used. Initially, the animal
should be encouraged to balance weight in a stationary position. Then weight
shifting activities are encouraged: rhythmic stabilization, manual unloading,
balance board activity, standing in turbulent water, and walking on uneven
surfaces (carpet, grass, sand, foam). Physioballs (therapy balls) and minitrampolines can also be used as unstable surfaces to challenge balance. As
balance improves, walking over Cavaletti rails can provide additional challenge. Off-balance walking may be performed, where the animal is nudged
off balance by the use of gentle pressure or a theraband sling. Weaving between cones can help with truncal stability. The goal of these exercises is to
promote correct paw placement and coordination. Obviously, the exercise
chosen must suit the animal’s capabilities. Many of these exercises can be
carried out by the client at home.
Paralyzed animals will develop disuse or neurogenic muscle atrophy, depending on the lesion location. Neuromuscular electrical stimulation (NMES)
can be used to prevent some muscle atrophy and improve strength. If the paralysis is expected to be permanent, it may be unrealistic to attempt to maintain
muscle mass. If the animal is expected to recover, NMES may help reduce the
severity of muscle atrophy. If the animal has weak voluntary muscle contraction, but is too weak to exercise, NMES may be used to strengthen muscle.
However, NMES has some limitations. The animal should be shaved (which is
not an issue in the immediate postoperative period). More importantly, NMES
only affects a few muscle groups and does not cause normal recruitment of
muscle fibers. Therefore, voluntary use of the limbs is much more effective at
strengthening muscle as compared to electrical stimulation. Since most of
these animals begin regaining voluntary muscle control within days or weeks
of surgery, NMES may not be a cost effective therapy in many cases. However, NMES may be effective in promoting muscle re-education in the face of
prolonged disuse. NMES can also be used to promote co-contractions between
antagonistic muscles to help with muscle re-education.
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Walking is probably the best exercise to regain functional use of the limbs.
As the animal progresses, the time or the intensity of the exercise may be
gradually increased. Walking may made more challenging by including hills
(uphill & downhill, gradually increasing the slope), steps (gradually increase
in step height and number), or dragging small weights. Therapy bands can be
attached to the limbs or harness for resistance training. Walking in water or
swimming also improves strength and endurance. Small dogs may use a sink
or bathtub to swim. Larger dogs require a pool, pond, or other body of water.
The animal should not be exercised beyond the point of fatigue. If this occurs,
the duration of exercise should be decreased on subsequent therapy sessions.
Animals that are very weak or have decreased proprioception may inadvertently traumatize the foot by dragging or scuffing it. The foot may be protected by a bandage, sock or dog boot. Animals with sensory neuropathies or
paresthesia may self-mutilate an area. This may be prevented by covering the
affected area or providing the animal with an Elizabethan collar.
As the animal recovers, therapy may focus more on muscle strengthening.
Leg muscles may be strengthened by sit-to-stand exercises and back muscle
may be strengthened by weave poles or figure-of-eights. As strength and coordination continue to improve the animal may be able to gradually return to
normal, unrestricted activities.
SUGGESTED READING
Olby N, Halling KB, Glick TR. Rehabilitation for the neurologic patient. Vet Clin Small Anim
2005;35: 1389-1409.
Shealy P, Thomas WB, Immel L. Neurologic conditions and physical rehabilitation of the neurologic patient. In: Millis DL, Levine D, Taylor RA (eds). Canine Rehabilitation & Physical Therapy. St Louis: Saunders. p 388-403.
Address for correspondence:
Jacqueline R. Davidson
Clinical Professor, Small Animal Surgery
Texas A&M University
College Station, TX, USA
E-mail: [email protected]
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CERP, CCRT, Texas
Riabilitazione
del paziente ortopedico
Rehabilitation
for Orthopedic Conditions
Domenica, 7 marzo 2010, ore 12.10
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Physical rehabilitation is recognized as an important component of postoperative recovery for orthopedic conditions. Physical rehabilitation involves
the use of various exercises, orthotics, massage, joint mobilization, and
modalities such as hot or cold packs, ultrasound, and electrical stimulation to
promote healing and early return to function.
An appropriate physical rehabilitation program can promote strengthening
of the tissues without compromising the surgical repair. Other benefits of
physical rehabilitation include increased muscle strength and endurance, increased range of motion, and improved cartilage nutrition. It can also reduce
pain, swelling and muscle contracture. Rehabilitation can promote an earlier
return to function and a decreased risk of future injury. Performing physical
rehabilitation also appears to have psychological benefits for both the animal
and the owner.
Before instituting any physical rehabilitation, the animal needs to be assessed. This includes asking historical questions to determine the severity,
duration, and progression of the problem; any intervention (e.g. medication
or surgery) and whether it has been beneficial; the animal’s function or
lifestyle (e.g. house pet vs working dog); and any other underlying medical
problems. A complete physical examination needs to be performed, including orthopedic and neurologic evaluation. The orthopedic evaluation should
include gait analysis and assessment of joint function (range of motion, pain,
crepitus, effusion, instability, etc.). Any muscle atrophy should be noted,
along with the animal’s overall body composition. Other diagnostic tests
such as imaging (radiographs, MRI, nuclear scintigraphy), force plate analysis, or arthrocentesis may be indicated. Knowledge of the animal’s prognosis and the client’s expectations for the animal are necessary in order to clarify realistic outcome goals.
The location and severity of the problem may be a consideration, especially with respect to fractures. Intraarticular and periarticular fractures are more
prone to decreased range of motion and function, despite appropriate surgical
repair. Severely comminuted fractures generally have more soft tissue trauma
than simple fractures, so are more prone to adhesions and contractures. The
presence of open wounds can affect what type of therapy is used on the area.
The type of surgical repair should be taken into consideration. For instance,
tibial plateau leveling osteotomy and extracapsular suture techniques for cruciate repair have different sets of potential complications and different types
of tissues that must heal. After fracture repair, the stability of the repair must
be considered. If an animal is going to have an elective surgical procedure,
there may be some rehabilitation that can begin before the surgery. For example, in a dog with hip dysplasia, efforts to improve hindquarter musculature
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and initiate weight loss may begin before performing a total hip replacement.
Animals are usually ambulatory following fracture repair, but may be nonambulatory if they are weak, obese, or had trauma to more than one limb.
Disuse can be a serious problem after surgery. It seems to be particularly
problematic in small dogs that have had a unilateral orthopedic procedure. In
some cases, the clients exacerbate the problem by carrying the dog and not
encouraging it to use the limb. An animal that self-limits activity can have permanent loss of full range of motion in as little as 2 weeks. The pain management protocol should be assessed to be sure that it is adequate, and the animal
should be reassessed to ensure there are no other underlying problems. Once
these factors have been addressed, an aggressive rehabilitation program should
be instituted to encourage limb use. It may necessitate both passive and active
exercise of the joints, in conjunction with behavioral modification tactics (e.g.
praise, treats). Short term distractions such as a syringe cap, tape or therapy
band attached to the opposite foot may also help.
Passive manipulations that can be done include passive range of motion,
stretching, massaging, and joint mobilizations. Passive range of motion
(PROM) involves movement of the joint with no voluntary muscle contraction by the animal. PROM promotes joint mobility, prevents contractures,
maintains muscle elasticity, improves joint nutrition, and improves circulation. Stretching or PROM is done before and after exercise, and should not
be painful. Joint mobilization is another type of passive movement that can
be done as an alternative to stretching. This typically involves some type of
rhythmical oscillation of the joint and is designed to improve range of motion. It may also help by increasing ligament tension and muscular stability of the joint.
Stretching should begin very soon after surgical repairs that are at risk for
joint restrictions. It is especially important following distal femoral fractures
in young animals, joint surgeries (especially elbow fractures), and excision
arthroplasties (e.g. femoral head and neck excision). To stretch, the joint is put
into full extension or flexion to the point of mild resistance and held for 15 to
30 seconds. This is repeated 2-4 times, and may be done daily. Stretches
should be performed during or immediately after heat therapy, while the tissue still has increased extensibility. Stretching should be done carefully in animals with an unstable fracture or following tendon or ligament surgery.
Stretching is often done after light exercise to ‘warm-up’ (increase blood
flow) the muscles. Never stretch cold muscles! It may result in injury.
Physical modalities (cryotherapy, thermotherapy, therapeutic ultrasound,
electrical stimulation) may be indicated to enhance motion or reduce pain, allowing improved function. Cryotherapy (using ice packs or commercially
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available cold packs) is the modality of choice to reduce the inflammatory response in the immediate postoperative period. It may also be used at the end
of an exercise session to reduce potential inflammation and pain. Local hyperthermia can be applied by superficial heating agents (warm towels or commercially available hot packs) that warm the tissue to a depth of 1 cm, or by
therapeutic ultrasound that provides deeper heating (up to 5 cm). Hyperthermia is used to decrease pain or to increase tissue elasticity, and is often used
in conjunction with massage or passive range of motion as a prelude to exercise. Transcutaneous electrical nerve stimulation (TENS) may be used as part
of the pain management regime.
Neuromuscular electrical stimulation (NMES) is can be used to strengthen muscle and reduce muscle atrophy. Generally, volitional muscle contraction is better for strength training, but NMES may be of benefit if pain inhibits
voluntary muscle contraction or if strengthening of a specific group of muscles is desired. The benefit of NMES alone is unclear. However, NMES may
be beneficial in conjunction with a more encompassing physical rehabilitation
program.
Therapeutic exercise is at the core of most treatment plans. Specific exercises are chosen based on whether the goal is to improve balance and proprioception (weight shifting activities), encourage weight bearing (wheelbarrowing, underwater treadmill, etc.), strengthen limbs (gait training, pulling or carrying weights, sit-to-stand exercise, weave poles, inclines, Cavalettis, tunnels,
etc.), or improve overall condition (walking, stair climbing, jogging, aquatic
therapy, etc.) Activities should challenge and strengthen tissues without causing further pain and damage.
Low-impact activities such as walking and swimming will minimize joint
stress. Aquatic exercise can be used to enhance active range of motion and
overall endurance. The buoyancy of the water provides added stability for animals that are weak. Underwater treadmills encourage joint movement and
some degree of weight bearing for animals with joint problems.
Exercises should be individually designed to promote progression toward
the expected level of function. The type of surgery (if any), response to current therapy, and commitment of the client must be taken into consideration.
The animal’s fitness level and overall health must also be factored in to the
exercise program. It is best for the animal to get exercise on a regular basis
throughout the week, rather than intense activity on one or two days. The duration and intensity of exercise should be increased gradually. Exercise that is
too vigorous can increase inflammation or cause pain, both of which can impair progress. If pain or lameness increases, the activity should be decreased
before trying to increase the duration or intensity again.
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Animals should be monitored routinely to insure that the exercises are being done correctly and are still appropriate for their condition. Regular monitoring also helps the therapist assure that the goals of rehabilitation are continuing to be addressed or revised. The intensity of the therapy can be adjusted to suit the animal’s functional level and the client’s desires. Every animal
is different, so there is not one approach that is suitable for all. It is important
to tailor the program to the severity of the problem and the degree of healing.
Exercise that is too vigorous can increase inflammation or cause pain, both of
which can impair progress.
SUGGESTED READING
Davidson JR, Kerwin SC, Millis DL. Rehabilitation for the orthopedic patient. Vet Clin Small
Anim 2005;35: 1357-1388.
Levine D, Taylor RA, Millis DL. Common orthopedic conditions and their physical rehabilitation. In: Millis DL, Levine D, Taylor RA (eds). Canine Rehabilitation & Physical Therapy. St Louis: Saunders. p 355-387.
Address for correspondence:
Jacqueline R. Davidson
Clinical Professor, Small Animal Surgery
Texas A&M University
College Station, TX, USA
E-mail: [email protected]
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Jacqueline Davidson
DVM, MS, Dipl ACVS, CVA, CCRP,
CERP, CCRT, Texas
Particolari attenzioni
per i pazienti anziani
Considerations for Geriatric Pets
Domenica, 7 marzo 2010, ore 13.00
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What is geriatric? Middle age is 7 to 8 years of age for most dogs and cats,
younger for giant breed dogs. One suggestion is that a geriatric dog or cat is in
last 25% of the predicted lifespan for its breed. Geriatric animals may have one
or more systemic diseases, so a thorough evaluation is essential. Rehabilitation
therapy most commonly addresses conditions of the musculoskeletal and neurologic systems. However, many neoplastic and endocrine diseases can have
neuromusculoskeletal involvement, thus affecting the rehabilitation program.
The history should inquire about physical health, behavioral changes, diet,
supplements, medications and quality of life. Mentation changes that can occur
include altered social interactions with people or other pets, disorientation, loss
of house training, altered sleep patterns, anxiety, aimless or repetitive activity,
and decreased responsiveness. If there has been a change in weight, note
whether it correlates with a change in appetite. Weight loss in the face of normal or increased appetite may suggest neoplasia or thyroid dysfunction.
A thorough physical examination should be performed, paying particular
attention to body composition, skin condition (hair coat and masses) and hydration status. Peripheral lymph nodes should be palpated, and the thyroid
should be checked for nodules, particularly in cats. The oral cavity should be
assessed for periodontal disease or tumors. The heart and lungs should be
carefully ausculted. The abdomen is palpated, especially noting the size and
shape of the liver and kidneys. Rectal palpation of the prostate is particularly
important for male dogs. Watch for evidence of altered mentation and possible loss of vision or hearing. An orthopedic exam should detect overall mobility, gait abnormalities, decreased joint range of motion, weakness, crepitus,
muscle atrophy and pain. Proprioceptive deficits can also be observed.
Geriatric animals can participate in rehabilitation, but bear in mind that
they are more likely to have concurrent diseases that may impair wound healing. The aging lung is less elastic and the alveolar capillary membrane has a
decreased diffusing capacity. The loss of elastic recoil and weakened respiratory muscles diminish vital capacity and increase residual volume. They are
also more likely to have cardiac or respiratory disorders, which can limit their
endurance and level of activity. Loss of muscle and bone mass occurs with aging. The cortices of long bones are thinner and more brittle. Cartilage also loses elasticity. Geriatric animals are more likely to have osteoarthritis with joint
pain and stiffness, which can limit activity.
Exercise can be valuable to help maintain mobility and muscle strength.
Geriatric animals should be prescribed a level of exercise which is easily tolerated. The level of activity may be increased, depending on the animal’s
progress. Ideally, the exercise should include daily, low-impact exercise, such
as walking. If done as a home program, the client should be advised to mon40
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itor for signs of fatigue and pain. Also, they should have the animal re-evaluated if there are changes in water or food consumption, abnormal urination or
defecation, vomiting, or diarrhea.
Many geriatric animals have chronic pain associated with osteoarthritis. In
some cases, this necessitates medical intervention to maintain a good quality
of life, despite the risk of side effects. Rehabilitation may ameliorate some
musculoskeletal pain by use of massage, heat, and low intensity exercise.
Proper client education is important for appropriate geriatric care. This
should include a discussion of proper dental care. The diet may need to be adjusted based on age, abnormal body condition, or chronic medical conditions.
The environment should be clean and dry. Some animals may be more comfortable indoors, and need padded areas on which to lie. Animals with physical dysfunctions may need to avoid stairs. It may also be beneficial to house
the animal in an area with good flooring or provide booties for better traction.
All animals should have easy access to food and water (and litter for cats).
Animals with cognitive dysfunction may benefit from a predictable environment and daily routine, with regular social interactions.
If the animal’s quality of life appears to be waning, it may be helpful to
talk about the ‘five freedoms’: 1. Freedom from hunger and thirst. 2. Freedom
from physical and thermal discomfort. 3. Freedom from pain, injury, and disease. 4. Freedom from fear and distress. 5. Freedom to express normal behavior. Discuss the severity and duration of the animal’s condition with respect to
these five freedoms to help the client determine their criteria for continued
treatment or euthanasia.
SUGGESTED READING
Epstein M, Kuehn NF, Landsberg G, Lascelles BDX, Marks SL, Schaedler JM, Tuzio H. AAHA Senior care guidelines for dogs and cats. J Am Anim Hosp Assoc 2005;41: 81-91.
Taylor RA, Millis DL, Levine D, Adamson CP, Bevan J, Marcellin-Little D. Physical rehabilitation for geriatric and arthritic patients. In: Millis DL, Levine D, Taylor RA (eds). Canine Rehabilitation & Physical Therapy. St Louis: Saunders. p 411-425.
Address for correspondence:
Jacqueline R. Davidson
Clinical Professor, Small Animal Surgery
Texas A&M University
College Station, TX, USA
E-mail: [email protected]
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Ludovica Dragone
Med Vet, Reggio Emilia
Riabilitazione del paziente
politraumatizzato
Venerdì, 5 marzo 2010, ore 16.50
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Il paziente ospedalizzato dalla terapia intensiva alla riabilitazione
Il paziente politraumatizzato prevede una gestione importante che va oltre
la somministrazione farmacologica e la cura diretta del trauma.
Oltre alla gestione dei traumi riportati (il motivo per cui il paziente è in terapia intesniva) dobbiamo tenere in considerazione:
• Gestione della vescica
• Confinamento e riposo
• Igiene
• Alimentazione
• Protocollo di fisioterapia
E le possibili complicazioni cui questo tipo di pazienti sono soggetti:
• Problemi alla vescica
• Lesioni cutanee e piaghe da decubito
• Problemi muscolari
• Problemi articolari.
Nel momento in cui intendiamo iniziare una terapia riabilitativa, seppur
inizialmente blanda, è importante che il paziente non senta dolore e che quindi possa “collaborare” con noi. Il dolore, oltre a non aiutarci nel nostro lavoro, provoca uno stress per l’animale con alterazioni neuroendocrine e rilascio
di mediatori dell’infiammazione, cortisolo, catecolamine e quindi un ritardo
nella guarigione. Una volta individuata la causa del dolore sarà bene, se possibile, somministrare la terapia farmacologica 30-60 minuti prima di iniziare
il trattamento.
I pazienti politraumatizzati-neurologici, specie se sono pazienti che sono
appena stati operati, hanno spesso problemi di gestione della vescica. A seconda della lesione, avremo una vescica da motoneurone superiore o una vescica da motoneurone inferiore. Nel primo caso ci troveremo di fronte ad una
vescica con un buon tono, talora anche esagerato e di ostacolo nello svuotamento manuale; nel secondo caso invece avremo una vescica flaccida e talora di difficile individuazione. Lo svuotamento può essere effettuato attraverso
l’utilizzo di cateteri o attraverso la pressione manuale della parete vescicale.
Nel caso si decida di utilizzare un catetere, questo può essere intermittente,
quindi applicato ex novo all’occorrenza, o permanente; in quest’ultimo caso
il sistema di raccolta deve essere chiuso e sterile e va svuotato ogni 4 ore circa, evitando che vi sia reflusso di urina. In entrambi i casi è assai importante
avere una buona asepsi.
Lo svuotamento manuale della vescica è di più facile gestione ed è sicuramente l’opzione da preferire nel lungo periodo. Non avendo “sacche e tubicini” non avremo un intralcio ai movimenti che si debbono far compiere al paziente. Va effettuato con delicatezza per evitare traumi alla parete della vescica, ma è facilmente eseguibile e si può insegnare tale modalità anche ai pro43
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prietari, che sono nella maggior parte dei casi in grado di effettuare anche essi lo svuotamento. Lo svuotamento manuale consente anche di far effettuare
alla vescica una vera e propria ginnastica, consentendole di distendersi quando piena e poi svuotarsi e rilassarsi.
A prescindere dal tipo di svuotamento che si preferisce, è fondamentale
comunque svuotare la vescica 3-4 volte al giorno. Il ristagno di urina in vescica favorisce infatti la proliferazione batterica con conseguenti cistiti, pielonefriti e batteriemie. Il mancato svuotamento della vescica, oltre al problema
delle infezioni appena menzionato, provoca atonia della vescica stessa per
l’eccesiva distensione della parete. Questo è ovviamente di ostacolo alla normale ripresa della funzionalità vescicale.
Talora può essere di aiuto l’utilizzo di farmaci appositi che possono anche
facilitare lo svuotamento manuale della vescica. Tra i farmaci più usati vi sono diazepam, fenossibenzamina (Alfa1 antagonista), alfuzosina (Alfa1 antagonista) e betanecolo. Nella gestione della vescica è bene controllare ogni
giorno il colore e l’odore dell’urina ed è molto importante NON somministrare antibiotici a scopo preventivo. Sono frequentissimi infatti i fenomeni di antibiotico resistenza. Per evitare ciò è bene eseguire un esame colturale delle
urine ed un eventuale antibiogramma, in modo da poter effettuare una terapia
mirata e specifica che, spesso, va protratta anche per 4 settimane.
La degenza del politraumatizzato prevede alcuni giorni (ma talora anche
parecchie settimane) da trascorrere in gabbia, in stretto confinamento. Nel caso in cui il paziente non sia in grado di girarsi spontaneamente, bisognerà
cambiare il lato di decubito ogni 3-4 ore e farlo stare su materassini morbidi
o ad acqua. Ci dovrà essere una pulizia costante del giaciglio su cui il cane riposa, evitando che il paziente si sporchi di urine e feci e, se necessario, effettuare una tricotomia (perineo, inguine) per garantire una maggior igiene.
Il cambiare lato di decubito frequentemente e l’avere un materassino morbido, pulito ed asciutto ci aiuteranno nel prevenire piaghe da decubito ed inutili arrossamenti cutanei. In questo caso prevenire è decisamente meglio che
curare! In cani particolarmente magri e/o con una seria atrofia muscolare si
potrà rendere necessario proteggere le tuberosità ossee (grande trocantere del
femore) e sarà utile effettuare massaggi per riattivare la circolazione locale.
Anche il mantenimento della stazione quadrupedale per almeno 10 minuti,
non appena ovviamente le condizioni generali lo consentiranno, sarà di grande aiuto. Quando si inizierà a far alzare e camminare questi pazienti, sarà bene disporre di una superficie antiscivolo, evitando di dargli una ulteriore instabilità dovuta al pavimento scivoloso.
Se i soggetti presentano atrofia muscolare e/o se sono inattivi da molto
tempo, sarà bene dargli degli integratori a base di carnitina e vitamine per fa44
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vorire una buona attività muscolare ed evitare crampi e formazione di acido
lattico dopo l’attività riabilitativa.
Soprattutto dopo interventi chirurgici, i pazienti sono, il più delle volte,
confinati in gabbia, ma la riabilitazione di questo tipo di pazienti è molto importante in quanto:
• accelera e ottimizza il recupero funzionale
• previene o riduce l’atrofia e le contratture muscolari
• contrasta i problemi articolari
• sfrutta la plasticità del sistema nervoso
• notevole stimolo psicologico (ultimo non per importanza).
In fase acuta, nelle ore subito seguenti il trauma, il primo obiettivo della fisioterapia sarà pertanto quello di prevenire ulteriori complicanze sistemiche
dovute all’inattività e al prolungato decubito, mantenere il paziente in buone
condizioni generali, migliorarne il confort ed accelerarne il recupero.
Già il semplice posizionamento del cane ci consente di ridurre il rischio
di atelettasia polmonare, migliorare la ventilazione/perfusione, migliorare gli
scambi gassosi, limitare l’instaurarsi di piaghe da decubito. Pertanto sarà assolutamente importante alternare il decubito laterale destro, sternale e sinistro, come detto ogni 4 ore. Questo aiuterà anche a contrastare il deposito di
secrezioni bronchiali. Se ci sono contusioni polmonari, per esempio, posizionando il paziente in decubito laterale facendolo giacere sul lato “sano”, miglioreremo l’ossigenazione e gli scambi gassosi.
Questa è la prima e semplice metodica riabilitativa che dovrebbe essere
applicata in tutti i pazienti confinati ed immobili.
Nelle prime 48-72 ore dal trauma è bene applicare, ogni 4 ore, impacchi
freddi nelle zone traumatizzate. Le applicazioni devono durare circa 15 minuti
e mai più di 30 minuti, onde evitare vasodilatazione per effetto rebound. La
crioterapia ci consente di contrastare l’edema, l’infiammazione e ridurre il dolore. Può essere applicata anche subito dopo il trauma (esogeno o chirurgico) in
quanto gli impacchi locali non abbassano la temperatura corporea sistemica.
Nel caso di edemi imponenti, prima di applicare la crioterapia potrà rendersi opportuna l’applicazione di un massaggio linfodrenante, effettuato con
movimenti disto-prossimali. Per aiutarci a contrastare l’edema si possono utilizzare anche bendaggi compressivi (da controllare in ogni caso più volte al
giorno) o appositi ausili (air splint) che, grazie alla pressione esercitata dall’aria, ci consentono di contrastare i versamenti presenti. Nel caso di edemi ad
estremità distali anche il posizionare l’arto in posizione elevata rispetto al
cuore può essere utile.
Sin da subito, a meno che non ci siano condizioni fisiche particolari che ne
sconsigliano l’applicazione, si possono eseguire movimenti passivi degli ar45
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ti. Gli esercizi di passive range of motion (PROM), non prevedono l’esecuzione attiva del movimento da parte del paziente, ma prevedono che il movimento di un’articolazione per tutta la possibilità di escursione articolare sia eseguito dal veterinario, senza che vi sia contrazione muscolare volontaria del
paziente. Aiutano a mantenere una buona mobilità di articolazioni e tessuti
molli, ostacolando la riduzione di ROM e la formazione di contratture muscolari e aderenze, migliorano la circolazione ematica e linfatica, migliorano il
trofismo tessutale e contrastano l’edema. Vanno eseguiti 25-30 movimenti per
arto 4-6 volte al giorno. Altra forma di esercizi passivi sono lo stretching,
quando applico una pressione per migliorare ed andare oltre il ROM articolare presente, lo stimolo del riflesso flessorio, il mantenimento della stazione
quadrupedale attraverso l’utilizzo di physioroll/physioball ed infine il movimento degli arti in underwater treadmill o su un tradizionale treadmill.
Superata la fase acuta del trauma (dopo almeno 72 ore) potremo iniziare
la nostra terapia riabilitativa con l’applicazione di impacchi caldi. Il calore,
se applicato con impacchi caldi, agisce solo negli strati più superficiali dei tessuti (fino a massimo un paio di cm di profondità), pertanto è indicato soprattutto sulle estremità distali. Incrementa la circolazione, contrasta gli spasmi
muscolari, allevia il dolore (attraverso la “Teoria del Cancello”), aumenta il
metabolismo locale e migliora l’estensibilità dei tessuti molli. Proprio per
questo ultimo motivo è assai utile prima di eseguire gli esercizi.
Con il progredire delle condizioni generali del paziente, potremo passare
da esercizi passivi ad esercizi attivi. In questo caso sono i muscoli a determinare il movimento dell’articolazione per tutta la sua escursione. Sono esercizi attivi ma controllati, esercizi aerobici a basso impatto, volti a stimolare il
metabolismo osseo e cartilagineo, migliorare/mantenere un buon ROM articolare, recuperare tono e forza muscolare, aumentare la produzione di oppioidi endogeni, stimolare le reazioni sensoriali, favorire il circolo ematico e linfatico e stimolare psicologicamente il cane procurandogli un generale benessere. Il primo degli esercizi attivi consiste semplicemente nel mantenere la
stazione quadrupedale, ci sono poi le passeggiate, gli esercizi di seduto - in
piedi, danza, carriola, percorsi ad ostacoli, scale, utilizzo di tavoletta propriocettiva e le varie forme di idroterapia (nuoto o underwater treadmill).
Alle metodiche sopra elencate possiamo poi aggiungere le metodiche strumentali: elettrostimolazione, per migliorare il tono muscolare (elettrostimolazione neuromuscolare) o contrastare il dolore (endorfinica); laser, per stimolare la guarigione di piaghe da decubito eventualmente presenti, stimolare
la cicatrizzazione (angiogenesi) o per l’effetto antalgico; ultrasuoni, per contrastare contratture e spasmi muscolari (tessuti scaldati fino a 5 cm di profondità), favorire l’estensibilità del collagene, per l’aumento del flusso sanguigno
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e degli scambi metabolici nell’area trattata, o in presenza di fratture; diatermia/TECARterapia per l’analgesia, il rilassamento muscolare (i tessuti vengono scaldati in profondità), il riassorbimento di edema e per la formazione
di tessuto di granulazione ben organizzato, accelera i processi di riparazione
tissutale; magnetoterapia per lenire il dolore, stimolare il callo osseo in presenza di fratture, favorire la guarigione di piaghe da decubito.
Tutto questo va ovviamente fatto rispettando i processi di guarigione del
paziente e analizzando sempre le priorità. Ma in assenza di eventi che raccomandino l’assoluta immobilità, è sempre preferibile gestire il paziente con accurate attenzioni al decubito (posizione e giaciglio), all’igiene e con l’esecuzione almeno di esercizi passivi.
Alla luce di quanto illustrato è quindi chiaro come associare la fisioterapia
sin dall’inizio della degenza, sebbene in pazienti ancora in terapia intensiva,
sia di grande aiuto nell’accelerare la guarigione del paziente e, soprattutto,
nell’ottimizzare il recupero evitando l’instaurarsi di problemi dovuti al lungo
periodo di inattività.
Indirizzo per la corrispondenza:
Ludovica Dragone
Ambulatorio Veterinario Dog Fitness
Via F. Filzi 32 - Reggio Emilia
E-mail: [email protected]
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Sabrina Giussani
Med Vet, Dipl Comportamentalista ENVF
Busto Arsizio (VA)
L’ospedalizzazione
del cane e del gatto:
il punto di vista della
Medicina Comportamentale
Domenica, 7 marzo 2010, ore 10.40
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INTRODUZIONE
Il Dizionario della Lingua Italiana definisce Ospedalizzazione o Spedalizzazione sia il ricoverare in ospedale che l’ospedalismo (Sindrome individuata da R. Spitz presente nei bambini ricoverati in brefotrofio e caratterizzata da
ritardo di sviluppo e disturbi dell’affettività/ insieme dei disturbi psicologici
o delle malattie che possono insorgere durante un lungo ricovero in ospedale). Il termine Ricovero significa trasferimento in un luogo di cura e assistenza dove si può trovare rifugio, salvezza e protezione. L’Ospedalizzazione rappresenta un punto critico all’interno del processo di guarigione del paziente.
Per realizzare le terapie previste dalla patologia in atto ed effettuare un prelievo di sangue o altro materiale organico, è necessario che il cane ed il gatto siano facilmente manipolabili per tutta la durata del ricovero. La Medicina del
Comportamento, prendendo in considerazione le caratteristiche etologiche
della specie in esame a partire dal momento dell’arrivo del paziente in sala
d’attesa, favorisce non solo il benessere del corpo ma anche il benessere della psiche del cane e del gatto.
IL DOLORE, UN’ESPERIENZA EMOZIONALE
Dolore e sofferenza sono stati mentali sgradevoli, spiacevoli e avversivi.
L’international Association For the Sudy Of Pain (IASP) definisce il dolore come “un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole, associata ad un
attuale o potenziale danno tissutale, o descritta in termini di tale danno; l’incapacità di esprimere tale stato da parte di un paziente non nega l’esistenza
dello stato stesso, ne deve precludere la possibilità di un adeguato intervento
analgesico”. Il Dizionario di Psicologia definisce sia il dolore fisico che il dolore psichico. Dal punto di vista fisiologico il dolore origina dall’eccessiva stimolazione dei diversi recettori situati sia sulla superficie esterna sia a livello
dei tessuti interni dell’organismo e da qui trasmessa per via nervosa ai centri
superiori della corteccia cerebrale. Analogamente al dolore fisico, il dolore
psichico provoca un restringimento del campo di coscienza su temi penosi e
depressivi. Per Freud il dolore psichico, in termini di vissuto soggettivo, è del
tutto paragonabile al dolore corporeo. Il modo in cui l’esperienza dolorosa è
vissuta risulta differente in ogni persona perché strettamente dipendente dalle precedenti esperienze dolorose attraverso le quali l’individuo si è creato
una rappresentazione mentale e un vissuto emotivo del dolore. Nella riflessione sul dolore, Wittgenstein (1967) sostiene che l’uomo contiene e confina il
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dolore attraverso il linguaggio. Esprimendolo collochiamo l’evento doloroso
in un luogo e gli assegniamo un significato.
Le emozioni, come indicatori dello stato interno dell’animale e della dimensione favorevole o sfavorevole di una situazione, fanno parte integrante
del cognitivo. È sufficiente per persuadersene ricordare come le affezioni
frontali della corteccia perturbano l’organizzazione prospettica dei comportamenti e, inversamente, come le patologie emozionali sono suscettibili di rimettere in causa le nostre rappresentazioni del mondo. Ogni esperienza vissuta dal cane e dal gatto è marcata da una emozione che mette il corpo nelle
migliori condizioni per affrontarla. Esiste un legame tra rappresentazione ed
emozione: l’una può evocare l’altra e viceversa. Inoltre, esiste un ricordo della paura: l’incancellabilità della paura appresa è un’arma a doppio taglio. È
utile che il nostro cervello conservi le registrazioni degli stimoli e delle situazioni associate in passato con un pericolo. Questi potenti ricordi formatisi in circostanze tipicamente traumatiche possono farsi strada nella vita quotidiana ed interferire con situazioni che possono travolgere le normali funzioni mentali. Si mette in atto un apprendimento S - S, meccanismo di bio feed
back negativo.
Da tutto ciò si evince che la malattia (malessere, dolore) pone il cane ed
il gatto in condizione di difficoltà marcata da una ipo- o ipereattività emozionale. Inoltre, la presenza di patologie del comportamento già in atto al momento del ricovero contribuisce alla degradazione dello stato emozionale del
paziente.
IL DISTRESS INFICIA LA GUARIGIONE FISICA
Con il termine stress si intende uno stato di alterata omeostasi, che può essere provocata da fattori di natura fisica o psichica, definiti stressori. L’organismo reagisce mettendo in atto meccanismi che innescano una serie di funzioni fisiologiche, immunitarie e comportamentali al fine di adattarsi alla nuova situazione e ripristinare l’omeostasi iniziale. Si tratta di un meccanismo fisiologico altamente adattativo che consente all’animale di reagire rapidamente nei confronti di un evento che può minacciare la sua sopravvivenza. In questa situazione, l’organismo attiva le risorse per rispondere al cambiamento
con un’ottimizzazione dello stato di vigilanza e di reattività e con l’attivazione del sistema immunitario allo scopo di difendersi da possibili agenti patogeni e stressori. La risposta allo stress è la conseguenza della stretta comunicazione tra il Sistema Nervoso Centrale, il Sistema dello Stress ed il Sistema
Immunitario. Tale risposta può diventare problematica quando un animale è
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Il paziente ospedalizzato dalla terapia intensiva alla riabilitazione
incapace di controllare la situazione o sottrarsi allo stressore tramite una corretta risposta comportamentale. In questi casi, si evidenziano effetti negativi
sulla salute fisica ed emotiva dell’individuo caratterizzati sia da alterazione
della funzionalità immunitaria e conseguente maggiore suscettibilità dell’organismo alle patologie, sia da risposte comportamentali inappropriate o anomale che hanno lo scopo di ridurre gli effetti nocivi di una prolungata risposta allo stress.
In numerosi studi è stata sottolineata (Hennessy et al., 1997; Beerda et al,
1999; Marston e Bennett, 2003; Coppola et al., 2006) la presenza di diversi
elementi fonte di stress nell’ambiente del Canile quali:
• un alto livello di rumore;
• la continua esposizione ad elementi nuovi;
• l’isolamento/separazione dalle figure di attaccamento;
• il confinamento prolungato (in spazi ristretti e mancanza di esercizio);
• la ridotta interazione con cospecifici e persone;
• l’alterazione della routine giornaliera (nessuno studio ha mai trattato approfonditamente gli effetti dell’alterata routine, ma si suppone sia fonte
di stress per l’animale).
L’ospedalizzazione comporta la presenza di tutti gli elementi citati e, di
conseguenza, è possibile identificare questi ultimi come stressori. Inoltre, poiché lo stress può essere indotto anche dal dolore, la malattia contribuisce ad
aumentare il distress del paziente trasformandosi in uno stressore. Da tutto ciò
si evince che ospitare animali sani nelle gabbie destinate al ricovero, come se
la struttura veterinaria fosse una pensione, costituisce una importante fonte di
maltrattamento etologico.
IL PUNTO DI VISTA DELLA MEDICINA
DEL COMPORTAMENTO
La Medicina del Comportamento, prendendo in considerazione le caratteristiche etologiche della specie in esame a partire dal momento dell’arrivo del
paziente in sala d’attesa, favorisce non solo il benessere del corpo ma anche
il benessere della psiche del cane e del gatto. Al momento del ricovero, per
aumentare la tolleranza alla manipolazione e la disponibilità del paziente durante tutto il periodo di permanenza nella struttura veterinaria, è possibile agire su alcuni fattori:
• la permanenza in sala d’attesa;
• l’accesso alla sala visita;
• la conduzione della visita clinica;
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Il paziente ospedalizzato dalla terapia intensiva alla riabilitazione
• il Medico Veterinario;
• alcuni elementi che fanno parte della struttura (le stanze, il microclima,
le gabbie, il tavolo da visita);
• il cane ed il gatto (i cuccioli, il paziente aggressivo).
Infatti, favorendo per quanto possibile la percezione di emozioni positive
da parte del cane e del gatto, la relazione Medico - Paziente partirà con il piede giusto!
È opportuno evidenziare che, nel caso in cui il cane/gatto giungessero in
condizioni critiche, le procedure di Medicina d’Urgenza volte alla salvaguardia della vita dell’animale potranno tenere conto delle considerazioni precedenti una volta stabilizzate le condizioni cliniche del paziente.
La permanenza in sala d’attesa
La percezione di rumori improvvisi e movimenti bruschi può intimorire
sia il cane che il gatto (animale a doppio statuto di preda e predatore). Inoltre, la presenza di altri animali (conspecifici e non) e di esseri umani sconosciuti può concorrere alla dilatazione del campo di aggressione del paziente.
I feromoni di allarme deposti da altri animali transitati in sala d’attesa nelle
ore precedenti, possono concorrere a modificare lo stato emozionale del cane e del gatto.
Al fine di associare alla visita clinica pre-ricovero un “buon ricordo” è opportuno perfezionare la permanenza in sala d’attesa:
• Detergere più volte al giorno il pavimento con acqua tiepida e sapone
neutro, per eliminare i feromoni di allarme;
• Cercare di limitare l’emissione di rumori, come porte che si chiudono
violentemente, e movimenti bruschi del personale (ad esempio correre o
gesticolare);
• Riservare alcuni posti a sedere (segnalandoli con un cartello) ai proprietari di gatti, in modo da evitare la presenza in quella zona di feromoni
appartenenti a specie diverse;
• Lasciare a disposizione strutture (ad esempio sgabelli) dove appoggiare
il trasportino;
• È consigliabile, quando possibile, destinare una stanza (anche all’interno della Clinica) riservata all’attesa dei soli proprietari di gatti, dove applicare *Feliway Diffusore;
• È opportuno avvertire il proprietario della possibilità di realizzare una
visita previo appuntamento per il gatto/cane in modo da limitare il più
possibile la permanenza in sala d’attesa.
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Il paziente ospedalizzato dalla terapia intensiva alla riabilitazione
La sala visita
La sala visita deve essere accogliente “dal punto di vista” del cane e del
gatto. Le stanze dotate di illuminazione naturale saranno da preferire, così come quelle in cui è possibile lasciare il paziente libero (quando le condizioni
cliniche lo permettono) durante il colloquio con i proprietari. Il gatto ed il cane sono “curiosi” ed esplorano con piacere i luoghi sconosciuti. È opportuno
ricordare che rumori improvvisi e movimenti bruschi intimoriscono il gatto,
animale a doppio statuto di preda e predatore.
La superficie del tavolo da visita dovrà essere confortevole, morbida ed antiscivolo. Inoltre, i feromoni di allarme deposti da altri animali durante le precedenti visite, possono modificare lo stato emozionale del paziente inducendo un comportamento di evitamento e di fuga.
Al fine di accogliere il paziente in modo corretto è opportuno perfezionare l’ingresso in sala visita.
• Detergere il tavolo con acqua tiepida e sapone neutro, al fine di eliminare i feromoni di allarme;
• È possibile applicare detergenti e disinfettanti dopo aver lavato il tavolo
ma è necessario pulirlo nuovamente con acqua e sapone neutro poco prima di accogliere il paziente (altrimenti la composizione chimica dei feromoni potrebbe modificarsi);
• Vaporizzare *Feliway Vaporizzatore o *DAP Vaporizzatore sul tavolo
(2-3 nebulizzazioni);
• Attendere qualche minuto e deporre il trasportino sul tavolo;
• È necessario lasciare al gatto il tempo necessario per osservare l’ambiente, senza forzarlo ad uscire;
• È consigliabile consentire al cane ed al gatto di esplorare la stanza (dopo aver occluso eventuali passaggi ciechi che potrebbero servire da nascondiglio) prima di iniziare la visita clinica;
• È opportuno lasciare a disposizione del paziente un dispenser (o fontanella) con acqua fresca.
La visita clinica
L’Esame Obiettivo Particolare impone al Medico Veterinario l’esecuzione
delle manovre cliniche secondo un ordine ben preciso: ispezione, palpazione,
percussione, auscultazione e misurazione della temperatura.
È bene ricordare che la misurazione della temperatura è indubbiamente la
manovra “più fastidiosa”. Per ridurre il più possibile il disagio del cane/gatto
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durante la visita, è opportuno iniziare con ispezione e auscultazione, proseguendo con la misurazione della temperatura e concludendo con la palpazione. Così facendo è possibile terminare l’incontro lasciando un ricordo “positivo”. Realizzare manipolazioni forzate effettuando un “rodeo” con il cane ed
il gatto induce una situazione emozionale negativa che si ripercuoterà per tutta la durata del ricovero. Inoltre, svolgere gli esami strumentali sul paziente in
presenza di una sintomatologia dolorifica peggiorerà la situazione.
Conoscere la comunicazione del paziente è fondamentale per condurre una
corretta visita clinica. La dilatazione delle pupille, i tremori, l’essudazione dei
cuscinetti plantari, il leccamento del naso, la polipnea, lo sbadiglio, le minzioni/defecazioni emozionali sono segnali di stress che indicano al Clinico il termine della “disponibilità” del paziente.
Al fine di manipolare il paziente in modo corretto è opportuno perfezionare la visita clinica.
• La manipolazione dovrebbe iniziare quando il paziente ha terminato
l’esplorazione della sala visita (il cane si siede vicino al proprietario, il
gatto si accoccola vicino al trasportino - lasciato aperto, sul pavimento o, più frequentemente, sulla scrivania);
• Prima di iniziare la manipolazione è necessario attendere che il cane/
gatto prenda l’iniziativa del contatto, poiché il paziente deve osservare
ed esplorare il Clinico prima di accettare il contatto fisico;
• È opportuno lavare mani ed avambracci con acqua e sapone neutro poco prima di iniziare la manipolazione del paziente per rimuovere i feromoni di allarme;
• È consigliabile utilizzare un camice pulito dopo aver visitato un paziente (gatto o cane) particolarmente timoroso poiché sul tessuto potrebbero
essere rimasti feromoni di allarme;
• La manipolazione deve essere dolce, realizzata con movimenti brevi (limitati alla testa ed al collo) e, soprattutto nel gatto, ripetuta (quasi ritmicamente, come un massaggio);
• Durante la visita è bene premiare il cane con uno snack appetitoso
(quando le condizioni cliniche del paziente lo consentono) o con una ricompensa verbale (“Bravo!”) soprattutto prima, durante e dopo una manipolazione dolorosa;
• È necessario evitare di sollevare il gatto afferrandolo alla collottola!
Questa manualità può essere utilizzata per effettuare un test di valutazione comportamentale fino ai 7 mesi di età del piccolo;
• È bene ricordare che, una volta iniziato, il contatto fisico deve essere
mantenuto fino al termine della visita poiché il campo di aggressione del
gatto potrebbe dilatarsi impedendo la successiva manipolazione;
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• In occasione dell’emissione dei segnali di stress (ansimare, biascicare,
sbadigliare e così via) da parte del paziente è opportuno sospendere la
manualità in atto passando ad esempio alla palpazione di una zona più
lontana;
• Al termine della visita il paziente sarà invitato ad entrare nel trasportino ricompensandolo con uno snack appetitoso (quando le condizioni cliniche
del paziente lo consentono) o con una ricompensa verbale (“Bravo!”);
• È consigliabile chiudere il trasportino solo pochi secondi prima di accompagnare il proprietario all’uscita in modo che il gatto non si agiti vocalizzando e cercando di accedere all’ambiente esterno;
• Ogni manualità dovrebbe essere preceduta da un avviso verbale “Ora ti
…”.
Il Medico Veterinario
Il personale (il Medico Veterinario e gli Infermieri con cui collabora) che
si occupa dei pazienti ricoverati, secondo l’Autore, dovrebbe essere formato/
specializzato nello specifico settore dell’Ospedalizzazione poiché la routine
clinica è profondamente differente dalla pratica del ricovero. È fondamentale
ricordare che la nostra professione rientra in quelle definite di Aiuto: il Medico Veterinario instaura con il cliente ed il paziente una relazione basata sull’alleanza, la comprensione ed il sostegno. Il lavoro emozionale è molto faticoso in quanto comporta il farsi carico della sofferenza. Poiché il ricovero è
il luogo in cui il dolore più si manifesta, è necessario prestare attenzione alla
sindrome da burnout (l’esito patologico di un processo stressogeno che colpisce le persone che esercitano helping profession poiché devono sopportare il
proprio stress e quello della persona aiutata).
Il personale dovrebbe essere formato anche in Medicina del Comportamento al fine di:
• utilizzare correttamente il paraverbale (la postura, la prossemica, la cinetica), il coverbale (il tono ed il volume della voce, il ritmo), il verbale
(le parole) nell’interazione con il cane ed il gatto;
• conoscere i fabbisogni fisiologici ed etologici della specie ospedalizzata (l’arricchimento ambientale).
Inoltre, è necessario ben gestire anche ritorno a casa, per evitare l’instaurarsi
di un conflitto nel caso in cui il cane o il gatto convivano con altri cospecifici.
Le nozioni di Medicina del Comportamento permetteranno non solo di conoscere in modo più approfondito il paziente ma contribuiranno anche a creare una relazione tra l’Animale ed il Personale.
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Il paziente ospedalizzato dalla terapia intensiva alla riabilitazione
IL PARAVERBALE, IL COVERBALE ED IL VERBALE
Gli elementi che possono contribuire a modificare lo stato emozionale del
cane/gatto, sono la postura, la prossemica, la cinetica, la gestualità ed il tono/
ritmo della voce. Assumere una posizione frontale rispetto all’animale (soprattutto per quanto riguarda il cane), muoversi con rapidità, gesticolare e parlare ad alta voce intimidiscono il paziente favorendo la dilatazione del campo
di aggressione. È necessario assumere una postura neutra (evitando che il nostro corpo si collochi frontalmente al paziente) e dirigere lo sguardo lontano
dal viso del cane e del gatto. Per far uscire il cane o il gatto dalla gabbia è opportuno avvicinarsi compiendo una traiettoria curvilinea (non rettilinea) ed
arrestarsi vicino alla struttura di ricovero posizionandosi lateralmente ad essa
(le nostre spalle devono essere perpendicolari alla gabbia). Nel caso in cui il
paziente fosse un cane, il Medico dovrà assumere una postura bassa abbassandosi piegando le ginocchia. Inoltre, è necessario muoversi lentamente cercando di gesticolare il meno possibile ed assumere un tono di voce basso, parlando con ritmo cantilenante e continuo in modo da tranquillizzare il paziente.
Anche la mimica facciale entra a far parte della comunicazione: un sopracciglio sollevato trasmette un messaggio di irritazione! Nella maggior parte dei
casi, una volta aperta la gabbia, il cane uscirà spontaneamente. Altrimenti è
possibile mostrargli il guinzaglio ed in questo caso è consigliabile coinvolgere il cane in una breve passeggiata (quando le condizioni cliniche del paziente lo consentono) in modo che l’uscita sia associata ad un evento positivo. Per
applicare il collare e la pettorina, è necessario chinarsi lateralmente al cane
per evitare di sovrastarlo (ad esempio piegando il busto sopra la testa o il dorso dell’animale). Nel caso in cui il paziente fosse recalcitrante, è possibile collocare all’esterno della gabbia la ciotola con il cibo ed attendere l’uscita dell’animale. Per quanto riguarda il gatto è opportuno iniziare l’interazione dapprima con un contatto visivo e verbale attendendo che il paziente comunichi
la propria disponibilità. Una volta aperta la gabbia, è necessario continuare tale interazione fino a quando il gatto non si avvicinerà alla soglia della struttura iniziando a sfregare le guance sulle sbarre.
I FABBISOGNI FISIOLOGICI ED ETOLOGICI DEL CANE
E DEL GATTO
La consapevolezza di appartenere a specie diverse comporta la conoscenza delle necessità del cane e del gatto. Il cibo, l’acqua ed un riparo sono considerati fabbisogni fisiologici primari per tutti gli esseri viventi. Il cane ed il
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gatto possiedono anche fabbisogni di sicurezza e comportamentali poiché sono soggetti dotati di una mente, con attitudini ed emozioni capaci di costruire la propria esperienza nel mondo.
Il cane ed il gatto suddividono l’ambiente in cui vivono in zone in cui svolgono differenti attività: zona di alimentazione, di riposo, di eliminazione, di
gioco e così via. Inoltre, il gatto depone feromoni facciali di tipo F3 sfregando le guance sugli oggetti posti lungo i tragitti (sentieri) che collegano tra loro i differenti campi territoriali ed F4 sugli esseri viventi (animali o esseri
umani) con cui convive.
Il cane è un animale sociale e tale carattere spicca su tutti gli altri al punto
tale che da sempre l’uomo, quando ha voluto tratteggiare la fedeltà e l’immedesimazione nel gruppo, ha utilizzato il codice lupo - cane. Essere portato alle relazioni di gruppo significa molto di più della semplice affermazione che il cane
ama stare in compagnia. La socialità del cane è la sua dimensione di vita: essere un animale sociale e socio - riferito significa prima di tutto costruire dei rapporti molto stretti e delle assonanze, vale a dire che il cane cerca continuamente delle concertazioni e lì definisce il proprio posizionamento. La socio - referenza del cane lo porta ad interessarsi al gruppo: il cane è interessato a tutto ciò
che facciamo, non ci perde d’occhio, capta ogni variazione del nostro umore o
nel nostro stile di vita, conosce le nostre abitudini ed i nostri gesti.
Le osservazioni effettuate negli ultimi anni in relazione al comportamento
del gatto hanno messo in evidenza che l’immagine di un animale solitario non
corrisponde alla realtà. La convivenza con gli esseri umani spinge il gatto a
creare una o più relazioni sociali con i componenti della famiglia, anche se la
relazione preferenziale (che comporta ad esempio la condivisione del luogo
di riposo) spesso è diretta nei confronti di un solo individuo.
La relazione Cane/Gatto - Proprietario è composta da numerosi fattori
chiamati dimensioni di relazione. Il cane predilige la dimensione sociale e
collaborativa che si realizzano soprattutto durante le passeggiate nell’ambiente esterno attraverso l’incontro con esseri umani, altri cani e l’esecuzione di
esercizi che fanno parte della quotidianità (arrestare la marcia al termine del
marciapiede, tornare al richiamo e così via). Il gatto predilige la dimensione
collaborativa e ludica - cognitiva che si realizzano, nella maggior parte delle
situazioni, nell’ambiente domestico poiché le passeggiate gli sono precluse.
La gabbia in occasione del ricovero dovrebbe essere considerata come la
residenza del paziente, un luogo in cui sentirsi al sicuro. Il personale della Clinica, inoltre, dovrebbe svolgere non solo il ruolo di terapeuta ma anche quello di sostituto del proprietario in modo da sopperire alla temporanea assenza
del contatto sociale. Per rendere confortevole la gabbia, è opportuno inserire
un comodo giaciglio (il proprietario può portare quello abitualmente utilizza57
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to dall’animale) quando le condizioni cliniche del paziente lo permettono.
Oppure è possibile ovviare con traversine o piani orizzontali in plastica traforata nel caso in cui l’animale non fosse in grado di trattenere le deiezioni. Per
quanto riguarda il gatto, animale a doppio statuto preda - predatore, è fondamentale posizionare nella gabbia una struttura che possa fungere da rifugio
come ad esempio il trasportino (senza lo sportellino). La maggior parte dei
gatti, infatti, ha bisogno di sottrarsi allo sguardo degli altri animali e del personale per riposare con tranquillità. L’utilizzo del trasportino consente all’animale di usufruire di un luogo di riposo protetto e al personale di osservarlo attraverso l’apertura anteriore sprovvista dello sportellino. In assenza di una corretta zona per riposare il gatto potrà scegliere di rifugiarsi all’interno della cassetta igienica mantenendo uno stato di ipervigilanza che potrebbe essere alla
base di una dilatazione del campo di aggressione. L’applicazione di un piano
orizzontale (predisposto per la maggior parte delle gabbie in acciaio inox) consente, nel caso in cui le condizioni cliniche del gatto lo consentano, di ottenere uno spazio tridimensionale così da permettere una migliore suddivisione
delle zone (l’area di alimentazione può essere posta in alto). Inoltre, il gatto necessita della cassetta igienica (completa di lettiera) per eliminare le deieizioni.
In assenza di questa struttura, al rientro a casa è possibile che l’animale elimini in luoghi inappropriati poiché ha sviluppato una preferenza per un substrato differente dalla lettiera. Quando le condizioni cliniche del paziente lo consentono, è possibile inserire nella gabbia un gioco (il proprietario può portare
quello abitualmente utilizzato dal cane e dal gatto). La passeggiata riveste per
il cane e per il gatto un ruolo fondamentale durante il periodo del ricovero poiché permette all’animale di “distrarsi” e di ripristinare una routine conosciuta.
Quando le condizioni cliniche del paziente lo consentono è possibile condurre
il cane nell’ambiente esterno con l’aiuto del personale della clinica o del proprietario. È opportuno evitare, durante il tragitto, il passaggio davanti alle gabbie che ospitano cospecifici in modo da limitare gli abbai ed i comportamenti
di aggressione. L’Autore consiglia di utilizzare, quando possibile, la pettorina
al posto del collare poiché questo strumento consente una migliore contenzione del cane durante la passeggiata e permette all’animale di esplorare l’ambiente esterno senza essere strattonato a livello del collo. Anche il gatto ha la
necessità di compiere brevi uscite nell’ambiente della clinica.
Alcuni elementi strutturali
L’Autore non ha trovato alcun riscontro nella letteratura scientifica attualmente disponibile in relazione alla dimensione ed al numero delle stanze con
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cui allestire un ricovero. Per questo, le soluzioni realizzate nelle strutture veterinarie sono le più disparate! Le stanze destinate all’ospedalizzazione dovrebbero essere separate in base alla specie ospitata, adeguatamente pulite
(la letteratura offre numerose indicazioni a riguardo) e dotate di un diffusore di feromoni di sintesi (*Dap o *Feliway Diffusore). Là dove non fosse
possibile effettuare la separazione delle specie è necessario posizionare i cani nella parte bassa della parete a gabbie mentre i gatti in quella più alta. Una
buona soluzione, a detta dell’Autore, è quella ottenuta con l’ausilio di quattro stanze destinate al ricovero: una per i cani, una per i gatti, una riservata
ai pazienti infettivi ed una utilizzata per svolgere le visite e le terapie agli
animali ricoverati.
Il microclima è definito “l’insieme dei componenti (per esempio temperatura, umidità, velocità dell’aria) che regolano le condizioni climatiche di un
ambiente chiuso o semichiuso come un ambiente di lavoro”. Il Manuale di
Tecniche Infermieristiche prende in considerazione la temperatura, l’aerazione, l’illuminazione ed il rumore trattando questi argomenti dal punto di vista
dell’essere umano. L’Autore non ha trovato alcun riscontro nella letteratura
scientifica attualmente disponibile in relazione all’impatto del microclima
sulle condizioni psicofisiche del paziente ricoverato. La musicoterapia è, invece, citata come apportatrice di benessere ed il dato sembra essere scientificamente dimostrato per quanto riguarda il cane ed il gatto. Nella maggior
parte delle strutture visitate dall’Autore la temperatura delle stanze destinate al ricovero è uguale a quella presente nelle altre stanze, l’aerazione è spesso ottenuta con l’ausilio di condizionatori o con l’apertura delle finestre (che
favorisce l’ingresso di insetti), l’impianto di aspirazione è assente (l’odore
presente nella stanza è spesso importante e fastidioso per il paziente, il proprietario in visita e lo staff), l’illuminazione (soprattutto artificiale) è presente sia durante il giorno che la notte ed il rumore è imponente (pianti ed urla
dei pazienti ricoverati, grida e risate dello staff, rumore metallico provocato
dalla chiusura delle gabbie e dagli attrezzi appoggiati sul tavolo da visita posto nella stanza).
Per quanto riguarda la scelta delle gabbie (posizione, dimensioni, materiali) l’Autore non ha trovato alcun riscontro nella letteratura scientifica attualmente disponibile. Dal punto di vista della Medicina del Comportamento è
opportuno che le pareti a gabbie non si fronteggino l’un l’altra in modo che
gli animali non possano vedersi e mettere in atto un comportamento di aggressione. Inoltre, per quanto riguarda il cane, i box devono essere collocati in
modo che i pazienti condotti in passeggiata non debbano passare davanti alle
gabbie in modo da evitare la messa in atto di un comportamento di aggressione da ambo le parti. Le pareti a gabbie, inoltre, per favorire un miglior con59
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trollo visivo dello staff dovrebbero essere posizionate in modo strategico rispetto alla porta d’ingresso della stanza destinata al ricovero. Per numerosi
modelli è disponibile un piano orizzontale supplementare che, una volta posizionato, permette al gatto di suddividere i campi territoriali favorendo il soddisfacimento di alcune caratteristiche etologiche di questa specie. È necessario asportare i feromoni di allarme depositati sul fondo e sulle pareti della
gabbia prima di introdurvi il paziente ed applicare i feromoni di sintesi di appagamento (*Dap Vaporizzatore, *Feliway Vaporizzatore). È opportuno applicare nuovamente tali sostanze ogni due ore circa a gabbia vuota: a causa
della presenza di un solvente a base alcolica è bene attendere qualche minuto
prima di posizionare nuovamente il cane o il gatto. Nel cane, là dove le condizioni cliniche lo consentono, è possibile applicare *Dap Collare che permette una lunga durata (quattro settimane) dell’effetto appagante.
La gabbia deve essere considerata dal paziente un luogo sicuro: le manipolazioni e le terapie (al di fuori della perfusione endovenosa) dovrebbero essere effettuate al di fuori di questo spazio altrimenti l’animale si sentirà costantemente minacciato, privato di qualsiasi rifugio ed amplierà il proprio
campo di aggressione. Per favorire la collaborazione a lungo termine del paziente, sono da preferire le terapie per via endovenosa o per os rispetto a quelle intramuscolari o sottocutanee (spesso più dolorose) così come il vestitino
al collare elisabettiano. È opportuno realizzare le manipolazioni e le terapie
ad orari specifici in modo che l’animale possa comprendere con facilità quando avverranno: la prevedibilità della giornata ha un importante effetto ansiolitico. Il Medico Veterinario ed il personale infermieristico comunicheranno ai
pazienti ciò che sta per accadere. È consigliabile entrare nella stanza e salutare (verbale) tutti i pazienti ricoverati. In seguito, mantenendo il contatto verbale, è possibile aprire la prima gabbia ed avvisare l’animale in relazione a ciò
che sta per avvenire (“Ora ti …”). Quindi, è necessario attendere l’emissione
di un segnale da parte del cane e del gatto che indichi la disponibilità al contatto. È opportuno somministrare un premio in cibo al termine della visita clinica e della terapia e non durante l’esecuzione di manipolazioni o di indagini
cliniche poiché l’animale potrebbe associare il cibo alla percezione dolorosa
e rifiutare la razione alimentare normalmente somministrata.
La superficie del tavolo da visita dovrà essere confortevole, morbida ed antiscivolo. Inoltre, i feromoni di allarme deposti da altri animali durante le precedenti visite, possono modificare lo stato emozionale del paziente inducendo un comportamento di evitamento e di fuga. Per questo è necessario detergere con acqua tiepida e sapone neutro e, dopo aver asciugato la superficie,
applicare due o tre spruzzate di *Dap Vaporizzatore o *Feliway Vaporizzatore. Quindi attendere qualche minuto e posizionare il paziente sul tavolo.
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Il paziente ospedalizzato dalla terapia intensiva alla riabilitazione
I cuccioli ed i gattini
L’ospedalizzazione di cuccioli e gattini (spesso isolati nel reparto infettivi)
deve essere seguita con attenzione poiché, spesso, i pazienti non hanno ancora portato a termine tutte le fasi dello sviluppo comportamentale. Inoltre, l’assenza del proprietario o di una figura di riferimento, favorisce la degradazione dello stato emozionale del paziente poiché in caso di paura il piccolo non
potrà appagare il proprio disagio. L’isolamento sociale (contatto sporadico
con esseri umani) e l’assenza di un contatto quotidiano con cospecifici e stimoli esterni favorirà l’insorgenza di fobie che potranno manifestarsi con comportamento di evitamento, di fuga o di aggressione.
È opportuno:
• aumentare la frequenza e la durata delle interazioni con il Medico Veterinario ed il personale della clinica;
• aumentare la frequenza e la durata delle visite della famiglia di adozione;
• permettere ai piccoli di effettuare numerose passeggiate all’interno della stanza destinata al ricovero posizionando oggetti destinati al gioco
(palline, peluche, scatole di cartone e così via);
• quando le condizioni cliniche del paziente lo consentono, è necessario
favorire la socializzazione con individui della propria specie sia cuccioli che adulti.
Il paziente aggressivo
L’ospedalizzazione di un paziente aggressivo pone numerose problematiche all’interno della struttura di ricovero: spesso le manualità necessarie alla
messa in atto delle terapie risultano complesse e gli esami strumentali difficili da realizzare. Tutto ciò ostacola la guarigione, sia del paziente stesso che
dei vicini di gabbia a causa dei vocalizzi realizzati durante le visite e della
continua emissione di feromoni di allarme. Nel cane esistono importanti differenze comportamentali tra le diverse razze poiché l’uomo ha modificato le
attitudini e le motivazioni di questo animale in base al lavoro che doveva compiere o alle caratteristiche estetiche richieste da alcune competizioni. Per questo, alcuni soggetti appartenenti a specifiche razze possono essere caratterizzati da un basso profilo sociale (socializzazione, socievolezza) e mostrarsi diffidenti nei confronti degli esseri umani sconosciuti. Qualsiasi Medico preferisce avere a che fare con un Labrador Retriever piuttosto che con un Pastore Maremmano - Abruzzese!
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Il paziente ospedalizzato dalla terapia intensiva alla riabilitazione
La presenza di patologie del comportamento, preesistenti al ricovero, caratterizzate da una sintomatologia legata alla deficitaria socializzazione con
l’essere umano (Sindrome da privazione Sensoriale, Dissocializzazione Secondaria) o al deficit degli autocontrolli (Sindrome Ipersensibilità - Iperattività) potrebbe essere alla base della messa in atto di un comportamento di aggressione. È opportuno ricordare che anche l’esistenza di una sintomatologia
dolorifica può causare l’emissione di un comportamento di aggressione per irritazione. Il ricordo di un evento negativo collegato al Medico, al tavolo da visita o alla gabbia (indotto ad esempio dalla manipolazione forzata e dolorosa
avvenuta in una precedente visita clinica o in un ricovero), può scatenare un
comportamento di aggressione.
I mezzi di costrizione (asciugamano, museruola, collare elisabettiano, gabbia di contenzione e così via) non rappresentano una soluzione a lungo termine poiché, modificando rapidamente lo stato emozionale del paziente e lasciando il ricordo di un’esperienza negativa, ostacoleranno ancor più le successive manipolazioni.
In questo caso è opportuno avvalersi di una contenzione chimica, di una
terapia farmacologica o dall’ausilio del proprietario. Infatti, là dove la relazione Cane/Gatto - Proprietario si basa sulla fiducia, è possibile coinvolgere la
persona come supporto tecnico in occasione di somministrazione di farmaci
per os, medicazioni o passeggiate. Frequentemente il Medico Veterinario è
portato ad utilizzare Neurolettici o Arilcicloexilamine allo scopo di “tranquillizzare” il paziente. È opportuno ricordare che alcuni Neurolettici sedativi sono caratterizzati da un effetto dose-dipendente: a bassa dose, ad esempio,
l’Acepromazina è in grado di rilanciare i comportamenti grazie ad un effetto
antideficitario. Queste molecole si legano ai recettori dopaminergici D2, pre
sinaptici, e D3, post sinaptici, con un’azione antagonista (il recettore è bloccato). L’affinità maggiore è per i recettori D2: i neurolettici, inizialmente e se
a basso dosaggio, andranno a legarsi agli autocettori pre-sinaptici e, bloccandoli, inibiranno il processo di retrocontrollo negativo aumentando di conseguenza la liberazione della dopamina. Quando il dosaggio dei neurolettici aumenta, sono saturati i recettori D2 e le molecole iniziano ad interagire con i
recettori D3 post sinaptici, bloccando l’azione della dopamina e diminuendo
la trasmissione. È l’azione anti-produttiva del neurolettico. L’effetto-paradosso è quindi un effetto anti-deficitario legato al dosaggio.
Le Arilcicloexilamine stimolano il sistema limbico e la sostanza reticolata
mentre deprimono l’attività del talamo e della corteccia. La somministrazione di queste molecole (Ketamina, Tiletamina) provoca una dissociazione tra
la percezione sensoriale e l’integrazione corticale. L’animale sembra incosciente ma gli stimoli esterni (soprattutto i rumori e le variazioni di luminosi62
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tà) sono percepiti e scatenano intense risposte emozionali. Al risveglio l’animale può presentare fotofobia e modificazioni comportamentali indotte dalla
nascita di uno stato ansioso legato alla presenza di eidolie (allucinazioni di tipo visivo) mentre quando il cane si trova in ambiente ipostimolante è possibile l’apparizione di comportamenti di evitamento o di aggressione in risposta a qualsiasi interazione (P. Pageat).
Per quanto riguarda la terapia farmacologica, è opportuno realizzare una
visita comportamentale prima del ricovero. Il Medico Veterinario potrà, quindi, mettere in atto una terapia farmacologica e comportamentale preventiva in
modo da migliorare alcuni sintomi comportamentali. Alcuni Autori (C. Mège,
E. Beaumont - Graff, C. Béata, C. Diaz, T. Habran, N. Marlois, G. Muller)
hanno evidenziato l’utilità della somministrazione di inibitori non selettivi
della ricattura della serotonina (Clomipramina) durante il ricovero. Al di fuori del suo impiego per le affezioni comportamentali propriamente dette, la
Clomipramina può essere prescritta nel decorso postoperatorio (chirurgia ortopedica, tumori mammari e così via) con l’intento di aumentare il benessere
dell’animale e limitare le conseguenze legate al dolore (agitazione, tentativi
di strappare le medicazioni, leccamento). La dose, in caso di utilizzo nel postoperatorio, è 4 mg/kg nel cane ripartiti in due somministrazioni quotidiane
dal primo giorno dell’ospedalizzazione fino all’asportazione dei punti (o dell’apparecchio ortopedico). Nel gatto, invece, la dose è 0,2-0,8 mg/kg in totale da somministrare in una o due volte al dì.
L’Autore, per ridurre la frequenza e l’intensità di emissione del comportamento di aggressione, ritiene possibile avvalersi anche di un ISRS (Fluoxetina) alla dose di 2-4 mg/kg nel cane e 0,5-1 mg/kg nel gatto in una sola somministrazione al mattino.
Gli effetti secondari riscontrati sono dovuti essenzialmente alla regolazione sinaptica e compaiono all’inizio del trattamento. Nel gatto sono stati riscontrati casi di ritenzione urinaria anche di una certa gravità. In questo caso
è consigliata una diminuzione del dosaggio, ed in caso di ulteriore persistenza dell’effetto indesiderato, la sospensione del trattamento.
Secondo l’Autore, l’utilizzo di molecole ansiolitiche appartenenti alla famiglia delle Benzodiazepine dovrebbe essere opportunamente considerato.
Le Benzodiazepine non dovrebbero essere utilizzate nel trattamento dell’aggressività perché la loro azione disinibente può condurre ad atteggiamenti
ostili o addirittura aggressivi. La disinibizione, talvolta violenta (vedi l’effetto oressizzante, definito rimbalzo o rebound), è particolarmente controindicata nelle situazioni di conflittualità sociale (nell’ambito del gruppo familiare)
in quanto può essere responsabile di un comportamento di aggressione improvvisa e brutale, da parte dell’animale (R. Colangeli, S. Giussani). Gatti
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trattati con il Diazepam a scopo di stimolarne l’appetito hanno mostrato un incremento degli episodi di aggressività predatoria probabilmente associati a
modificazioni a livello dell’ipotalamo laterale (K. Overall).
CONCLUSIONI
Secondo il Decreto direzione generale sanità N. 5403 del 13/04/2005
(Identificativo Atto n. 302) è possibile individuare strutture adibite alla degenza (la Clinica e l’Ospedale) ed al Day hospital. Sia l’Ospedalizzazione che il
Day hospital, rappresentano un punto critico all’interno del processo di guarigione del paziente. La Medicina del Comportamento viene in aiuto alla Clinica in modo da perfezionare e snellire le “procedure di ricovero”. Secondo
l’Autore è possibile prendere in considerazione per alcune tipologie di paziente (alcuni soggetti intrattabili, gli individui anziani, i malati terminali) e
quando le condizioni cliniche lo permettono, il ricovero a domicilio. Il proprietario potrà noleggiare i materiali necessari (come ad esempio la gabbia, la
pompa ad infusione) ed il Medico seguirà passo dopo passo il cane o il gatto
durante le visite quotidiane.
Il Manuale di Tecniche Infermieristiche riporta gli obblighi morali del Medico Veterinario: verso il cliente, i colleghi e la professione, verso la società
in generale e sé stessi. L’Autore ritiene che al primo posto di questa lista debbano essere inseriti, invece, gli obblighi morali verso l’animale poiché questi
è il paziente. Il Medico è, quindi, obbligato a rispettarlo ed a impegnarsi al
meglio delle proprie capacità per risolvere nel modo più rapido ed efficiente
la malattia che affligge il cane ed il gatto.
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N.H. Dodman, L. Shuster. Farmacologia comportamentale veterinaria, Masson s.p.a., 2000,
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B. Gallicchio, - “Lupi travestiti, le origini biologiche del cane domestico” - Edizioni Cinque,
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Il paziente ospedalizzato dalla terapia intensiva alla riabilitazione
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R. Colangeli & S. Giussani, (2004), “Medicina comportamentale del cane e del gatto”, Poletto
Editore, Gaggiano.
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K.L. Overall, La clinica comportamentale del cane e del gatto, C.G. Edizioni Medico Scientifiche s.r.l., Torino, prima edizione italiana.
P. Pageat - “La patologia comportamentale del cane” - Edizione Le Point Veterinaire Italie Milano 2000.
P. Rueca, M. Tommasini Degna; Tecniche infermieristiche; Manuali pratici di Veterinaria, Poletto Editore, 2007 Milano.
Indirizzo per la corrispondenza:
Sabrina Giussani
E-mail: [email protected]
www.veterinariocomportamentalista.it
Cell. 3331861226
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Il paziente ospedalizzato dalla terapia intensiva alla riabilitazione
Elke Rudloff
DVM, Dipl ACVECC
Glendale, Wisconsin
Triage e prima valutazione
del paziente critico
Prima parte (triage e primo approccio)
Seconda parte (esami di laboratorio: MDB e EDB)
Triage and Primary Survey
of the Emergent Patient
Venerdì, 5 marzo 2010
Prima parte ore 10.30 - Seconda parte ore 11.20
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Il paziente ospedalizzato dalla terapia intensiva alla riabilitazione
HOSPITAL READINESS
Along with the first responders, the veterinary team plays an integral role
in initial evaluation and stabilization of the emergent and critical patient. Increased public demand for state-of-the-art emergency care obligates the veterinary team to provide quality care or make a direct referral to an emergency
facility. By practicing organized team work and hospital readiness, the veterinary team can provide successful resuscitation and stabilization of the
emergent patient.
Teamwork is essential in any emergent situation. By pre-assigning roles
and practicing responses to various life-threatening situations, valuable
time is saved, and patient morbidity is decreased. In-hospital training and practice sessions with animal models help the team respond as an effective unit.
Veterinary hospital readiness consists of providing a place for receiving,
assessment of and treatment of the emergent patient. The area should be free
of obstacles, and transport of the animal to the area should be uncomplicated. The area should have basic equipment and drugs required for resuscitation of the most life-threatening conditions. Hair clippers should be in the
ready area for intravenous (IV) catheter placement. Isotonic crystalloid fluids with attached intravenous administration sets can be hanging ready to use
in the receiving area. Synthetic colloid fluids should be kept nearby. It is ideal to have supplemental oxygen and suction units as well as small and large
ambu bags and oxygen administration sets in near proximity of the resuscitation area. This is why many veterinary clinics establish a ready area near
the anesthesia equipment.
For those practices that see a large volume of emergencies, setting up a
large mobile cart housing the instruments and equipment is of great value
(Table 1). Otherwise, maintaining a tackle box with emergency equipment
and drugs can be an inexpensive way to provide emergency care (Table 2).
Having a clipboard with a CPR record and an attached CPR dose schedule
(Table 3) facilitates record keeping, billing and drug calculation and administration. Equipment and drugs should be inspected daily, and following resuscitation, to ensure that the ready area is set up for the next emergency situation. Marking a check-off list, which itemizes the contents, allows anyone to
perform the inspection.
The equipment and drugs should be rotated with the hospital supply monthly to avoid waste due to expiration.
These preparatory measures will make any veterinary team ready for most
emergency presentations. Additional preparations can be made as incoming
calls are taken and information gathered.
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TABLE 1
EMERGENCY EQUIPMENT FOR A CRASH CART
Endotracheal tubes: #3, 5, 8, 10, 14, with cuff-inflating syringes already attached and
stylets in place
Laryngoscope: large and small blades
Emergency drugs: epinephrine, lidocaine, atropine, calcium gluconate, insulin, dextrose,
sodium bicarbonate, and assorted syringes (1-, 3-, 6-, 12-cc) with needles attached
Surgical scrub and taping material: for IV catheter placement and surgical procedures
Drug administration: IV catheters: 14, 16, 18, 20, 24 gauge, intraosseous catheters, central venous catheters, polypropylene tubes (for intratracheal administration of drugs)
Chest aspiration setup: 1.5”- 18 and 22 ga. needles, 3-way stop cock, extension set, 60cc
syringes; #10 scalpel blade
Stat database: capillary tubes and clay for PCV/TS, dextrose, BUN and electrolytes
Minor surgical pack: to include instruments for emergent thoracotomy, tracheostomy,
and thoracostomy tube placement
ECG, Blood pressure with multiple cuff sizes
Pulse oximetery, End tidal CO2
Defibrillator: with internal and external paddles
Suction apparatus: with Yankauer and flexible tips
Oxygen supply dedicated to area
TABLE 2
EMERGENCY EQUIPMENT FOR A TACKLE BOX
Endotracheal tubes: #3, 5, 8, 10, 14, with cuff-inflating syringes already attached and
stylets in place
Laryngoscope: large and small blades
Emergency drugs: epinephrine, lidocaine, atropine, and assorted syringes (1-, 3-, 6-, 12cc) with needles attached
Surgical scrub and taping material: for IV catheter placement
Drug administration: IV catheters: 14, 16, 18, 20, 24ga, 3.5 and 8 french polypropylene
tubes (for intratracheal administration of drugs)
Chest aspiration setup: 1.5”- 18 and 22ga. needles, 3-way stopcock, extension set, 60cc
syringes; #10 scalpel blade
Stat database: capillary tubes and clay for PCV/TS, dextrose, and BUN
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TABLE 3
DOSE SCHEDULE FOR CARDIOPULMONARY RESUSCITATION
Drug
(ml, IV)
Standard
Dose
5#
10# 15#
20#
25#
30#
35#
40# 50#
60#
70#
80#
2.5 kg 5 kg 7.5 kg 10 kg 13 kg 15 kg 17 kg 20 kg 25 kg 30 kg 35 kg 40 kg
Epinephrine
(1:1000, 1mg/ml)
0.1 mg/kg
0.25
0.5
0.75
1.0
1.25
1.5
1.75
2.0
2.5
3.0
3.5
4.0
4.5
Atropine
(0.54 mg/ml)
0.05 mg/kg
0.25
0.5
0.75
1.0
1.25
1.5
1.75
2.0
2.5
3.0
3.5
4.0
5.0
Lidocaine
(20 mg/ml)
2.0 mg/kg
0.25
0.5
0.75
1.0
1.25
1.5
1.75
2.0
2.5
3.0
3.5
4.0
5.0
Sodium
bicarbonate
(1 mEq/ml)
1.0 mEq/kg
2.5
5.0
7.5
10
12.5
15
17.5
20
25
30
35
40
50
Vasopressin
(20 U/ml)
0.8 U/kg
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
1.0
1.2
1.4
1.6
1.8
External
Countershock
2-10 ws/kg
20
30
40
50
75
100
175
200
200
200
300
300
300
Internal
Countershock
0.2-1 ws/kg
2
3
4
5
7.5
10
17.5
20
20
20
30
30
30
FIRST AID AND TRANSPORT
Owners can provide significant medical assistance at the scene of the injury. The person taking the call must try to determine from the owner what the
mentation, breathing pattern and perfusion status of the pet is at the time of
the telephone conversation. The first concern is for the safety of the owner. Instruct the owner to survey the scene and to move to a place of safety. The
nicest animal can become vicious and aggressive when it is painful or has
anxiety. Placing a light cloak or cloth over the head of the pet can remove light
and sound - external stimulus that add to fear and aggression in the pet. Cats
can be placed in dark boxes to minimize stress during transport. The owners
should place air holes and a hole large enough for observation of the animal.
When moving the animal, try to minimize motion of the head, neck and
spine. Using a flat, firm board of wood, cardboard or thick fabric that provides
support is a suitable method. These materials will allow radiographs to be taken through the board without having to move the animal. Animals suffering
respiratory distress should have limited activity during transport, and allowed
to maintain a position of comfort. If a foreign object is causing an upper airway obstruction, the owner is instructed on how to perform a Heimlich-type
maneuver. If they are not breathing, mouth-to-nose resuscitation and chest
69
90#
45 kg
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compressions may provide enough respiratory and circulatory support to
maintain life during transport. After it has been established that the animal is
unconscious and not breathing, the owner is instructed to extend the pet’s
head and neck, pull the tongue forward and close the pet’s mouth, and to place
their lips over the pet’s nostrils. They should give 3-4 strong breaths initially
into the nostrils. Frequently, this initial breathing action is enough to initiate
spontaneous ventilation if there has been a respiratory arrest from a vasovagal reflex.
Should breathing not become spontaneous, the owner should breathe for
the pet 10-12 times per minute. If they are calm enough, they can be taught to
compress the esophagus behind the trachea so that the majority of the air will
go down the airway instead of into the stomach. If they do not detect a heartbeat, they can perform chest compressions and assisted ventilations at a 5:1
ratio. Of course, someone else will have to drive during transport.
Owners must be asked if there is ongoing hemorrhage or if there was
bleeding seen at the site of injury. Slow, dark, oozing blood is generally low
pressure, venous blood. Direct digital pressure is often enough to stop the
bleeding. If there is a laceration on a distal limb with venous bleeding, elevating the limb above the level of the heart is often enough to stop the bleeding.
Active, red, pulsating, arterial bleeding should be controlled by direct digital
pressure, and placement of a pressure bandage over the bleeding site. Any
long pieces of fabric or gauze can be used. Often washcloths and hand towels
are adequate when applied with mild pressure. Should the blood soak through
the bandage, additional material is placed over the original bandage. Surgical
wounds that have broken open should be protected with a bandage prior to
transport, to prevent further dehiscence.
Penetrating foreign objects should remain in place with the owner guarding against further penetration or movement of the object. When an arrow has
penetrated a body cavity, there is the potential for the blades to lacerate organs
or blood vessels if the shaft of the arrow is allowed to move during transport.
It is often necessary to stabilize the shaft of the arrow just outside the body.
The owners can be instructed to stabilize the shaft with pliers close to the entrance site, and holding it firmly, cut off the shaft. The arrow will then be removed surgically as soon as possible. Penetrating objects are immediately removed only when they obstruct the airway.
Fractures below the elbow or hock with significant displacement should be
supported. The owner can make a support splint from a rolled newspaper or
magazine, which is then secured in place by long pieces of fabric or duct tape.
Because cats often move aggressively to remove bandages, the cost benefit ratio must be carefully assessed before placing the bandage in each individual cat.
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Animals with altered mentation after trauma should be transported with
the head and neck level or slightly elevated 20 degrees. There should not be
any jerking or thrashing motions and compression of the neck or jugular veins
should be avoided.
Once it has been determined that a patient with a potentially life-threatening problem is due to arrive, the treatment staff should be notified verbally. A
dry erase board can be placed in the general treatment area and all animals
listed that are due to arrive, with their estimated time of arrival and presenting complaint noted. This allows the treatment staff to plan their time and procedures efficiently.
Common complaints that indicate life-threatening problems, and motivate
the team to be as ready as possible ahead of time include:
hit by car, dog fight, falling from height, gunshot, stabbing, potential toxicity, inability to urinate, abdominal distension, labored breathing, seizures,
collapse, altered consciousness, profuse bleeding, dystocia, snake bite, prolapsed organs, heat stroke, severe cold exposure, electrocution, and burns.
The nursing staff should have an idea of the usual procedures and equipment required for the critical presenting complaints. The equipment that is
usually needed is laid out ahead of time, so that any patient needing life-saving intervention, time is not wasted searching for materials. There should be
a list complied by the nurses, under the supervision of the veterinarians, of the
equipment, drugs and materials needed, termed “set-ups”. There will be different set-ups for different problems.
Once the patient arrives at the clinic, the person taking the call will notify
the nurse or clinician that a triage (with or without a gurney) is required. A
quick statement identifying the presenting complaint and an indication of the
urgency (whether “stat” or not) completes the immediate information.
Triage
Triage is the art of giving priority to patients and their problems upon presentation to the hospital. The primary complaint and the time of onset are obtained, and the animal is removed from the carrier or towel and quickly examined for abnormalities. Significant changes require that the patient be taken
directly to the treatment area. There are several historical or observed problems that warrant immediate triage to the treatment area, to include:
trauma, profuse diarrhea, urethral obstruction, labored breathing, altered
mentation, seizures, loss of consciousness, excessive bleeding, history of poisoning, prolapsed organs, potential snake bite, heat prostration, open wounds
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exposing extensive soft tissue or bone, signs of shock, anemia, burns, dystocia, and expired animals (for the client’s benefit)
The emergent patient presents a special challenge because the underlying
problem may not be evident for 24-48 hours post-presentation. The problems
can arise from an acute illness, from a chronic illness that has decompensated, or from an unexpected complication of another illness. All post-operative
patients are considered critical care patients until life-threatening anesthetic
or surgical complications are ruled out.
The GOLDEN RULE of emergency medicine is “treat the most lifethreatening problems first”. Therefore, the animal’s airway, breathing, circulation and mentation must be rapidly assessed (Table 1). Patients with catastrophic problems (airway obstruction, respiratory failure, and circulatory
failure) can die within seconds if left untreated. Severe problems are lifethreatening but allow more time for stabilization. The diagnostic, monitoring
and therapeutic procedures must be coordinated with a coherent priority approach as the patient moves from the emergency situation, to surgery or diagnostic procedures, and then finally to the critical care area.
Variables that contribute to the overall success of patient resuscitation include the severity of the primary illness or injury, the amount of fluid or blood
lost, patient age and previous health problems, the number and extent of associated medical conditions, time delay in instituting therapy, the volume and
rate of fluid administration, and the choice of fluids - crystalloid, blood components, synthetic colloids. Therapy must be done at the right time, in the
right amount and in the right order. Therapeutic failures are generally not
from ignorance but rather from failure to act expeditiously at a crucial
moment.
Primary Survey
Airway: The airway is cleared and the head and neck gently extended,
pulling the tongue forward, and carefully clearing the mouth of any foreign
objects, mucus, blood or vomitus. Tracheal intubation, either orally, or via
slash tracheostomy will provide an immediate airway. In situations of airway
compromise in a partially conscious animal, mild sedation utilizing benzodiazepine or opioid derivatives may be necessary to facilitate intubation, or a
transtracheal oxygen catheter can be placed providing oxygen flow at
0.5ml/kg/min. If a foreign object is unable to be easily removed, a Heimlichlike maneuver can be performed. If intubation is not necessary, 100% oxygen
is always supplemented by mask, bag, nasal cannula, or flow-by.
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Breathing: Positive pressure ventilation by hand to an inspiratory pressure
of 15-20cmH2O for the dog and 10-15cmH2O for the cat is required. Fluid in
the airways will increase pressure requirements, and suctioning should be performed. Respiratory arrest is not always associated with cardiac arrest. When
it is determined that there is no heartbeat, then CPCR measures are instituted.
When the heart is beating, the chest is evacuated of air or blood. If fluid or air
is suspected, a chest tap should be performed before any radiographs are taken. A negative tap does not necessarily indicate a normal pleural space. If a
pneumo- or hemo-thorax is suspected, pleural evacuation with thoracocentesis or chest tube placement is performed. In cases of tension pneumothorax, a
small incision is made for immediate release of pleural air until a chest tube
can be placed and continuous suctioning supplied. Mechanical ventilation
will insure adequate tidal volume in this case.
Circulation: Hemorrhage is controlled, and vascular access rapidly obtained. Dose and type of fluid administered, and pharmacological intervention
is determined by the level of shock and existing problems present.
Level of Consciousness: If there is a reduced level of consciousness, careful handling of the patient is necessary. Keep the head and neck as level as
possible and limit any compression of the neck which may reduce jugular
drainage. Avoid placing anything into the nostrils which may stimulate sneezing and an increase in intracranial pressure. Transport the patient on a flat surface between areas of the hospital.
Level of Pain: Pain elicits the same responses as circulatory shock. Treatment using intravenous agonist opioids can provide immediate relief. Adding
benzodiazepines can reduce the overall need for opioids. Both are titratable
and reversible (naloxone for opioids and flumazanil for benzodiazepines).
Secondary Survey: History, Physical Exam and Data Base
Following the triage and resuscitation process, more information is obtained from the owner. The presenting complaint and information of when the
animal was last normal should have been obtained at the time of triage.
Chronology and progression of signs is also important. Organ systems not involved are reviewed, and background information (including previous medical problems, drug therapies, allergies, vaccination history, and previous
transfusions) is obtained. A thorough physical exam involving the entire dog,
including rectal and genital exam, and vital signs is required.
On every emergent patient, an initial database consisting of packed cell
volume (PCV), total solids (TS), dextrostick, azostick, electrolyte and venous
73
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TABLE 4
PHYSICAL PARAMETERS EVALUATED AT TRIAGE
Parameter
Abnormality
Interpretation
Airway
no air passage
loud sounds
inspiratory
expiratory
total obstruction or respiratory arrest
partial upper airway obstruction
pharyngeal/laryngeal
intrathoracic trachea or bronchi
Breathing
patterns
loud sounds
dysynchronous
synchronous
expiratory push
minimal effort
and cynaosis
not breathing
upper airway obstruction
pleural space disease
parenchymal
small airway
neuromuscular paralysis
(paralyzed patient)
respiratory arrest
External
hemorrhage
pulsing blood
slow oozing
arterial
venous
Capillary
refill time
< 1 second
hyperdynamic state or peripheral
vasodilation
poor peripheral perfusion,
vasoconstriction
> 2 seconds
Mucous
membrane color
white
blue
brown
petechiation
brick red
yellow
anemia, severe shock, poor oxygenation
cyanosis
methemoglobinemia
thrombocytopenia
hyperdynamic shock
icterus
Pulse intensity
weak
bounding
poor peripheral perfusion
hyperdynamic perfusion
Heart rate
Dog: > 200 bpm
< 60 bpm
poor coronary diastolic filling
impaired cardiac output
Cat: > 250 bpm
< 150 bpm
poor coronary diastolic filling
impaired cardiac output
uncontrolled
hyperexcitability
obtunded
seizures, stupor,
coma
consider toxins
Level of
consciousness
Wounds or
fractures
increased intracranial pressure
hypoglycemia, electrolyte abnormality
hepatic failure
open, unstable
bacterial invasion, nerve and muscle
damage
74
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blood gas panel are performed. Depending on the situation, a blood smear,
saline agglutination, prothrombin/activated partial thromboplastin time as
well as urine specific gravity and dipstick pre-fluid therapy can provide baseline values and early detection of abnormal values. Lavender, red and blue top
tubes are filled with pretreatment blood samples for complete blood count and
serum chemistry analysis when time permits.
Important keys to successful patient management
• Identify and treat the most life-threatening problems first.
• Make the patient as stable as possible before undertaking stressful procedures.
• The critical patient is rapidly changing and requires intensive monitoring
and frequent re-evaluation.
• It is important to anticipate complications and initiate monitoring procedures for early detection.
• It is the trend of change in monitored parameters that are more significant
than a single value.
• Make sure that the treatment orders are clear and concise and that the technical staff and clinicians are making the same interpretations of monitoring
values and treatment regimes.
• Many post-trauma complications do not become evident for 24-72 hours.
Do not take a patient’s stable condition for granted.
• There is less tolerance for error, indecisiveness, or delay in the critical patient.
Address for correspondence:
Animal Emergency Center & Specialty Services
414-540-6710
Glendale, WI
E-mail: [email protected]
www.animalemergencycenter.com
www.veccs.org
75
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Elke Rudloff
DVM, Dipl ACVECC
Glendale, Wisconsin
Shock ipovolemico e
fluidoterapia rianimatoria
Advanced Fluid Therapy
Venerdì, 5 marzo 2010, ore 12.10
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Water is the most essential nutrient of the body. Within the vessel, water is
the transport medium that brings oxygen, solutes, and hormones to the interstitium while delivering waste products for breakdown and excretion. The water within the interstitial space allows movement of these substances between
the capillary and the cell. Within the cell, water provides a medium for organelles and for expansion of the cell membrane. Water also provides a means
to dissipate heat through evaporation.
Restoring and maintaining water balance in the critically ill animal can be
one of the most difficult challenges of patient management. Fluid overload
can be as life-threatening as fluid deficiency. An accurate assessment of the
animal’s fluid needs is required and depends upon an understanding of water
and solute movement between fluid compartments. The cardiovascular and
cellular responses to these fluid shifts result in clinical signs that will guide
therapy. Once a decision to provide fluid therapy has been made, the type,
quantity and rate of fluid to be administered are considered when planning the
fluid therapy plan. The goal is to give the least amount of fluid possible to
reach the desired end-points of resuscitation. Reaching and maintaining these
end-points necessitates diligent patient monitoring.
FLUID DYNAMICS
Water will move by osmosis through semi-permeable membranes until the
concentration of impermeable solutes on either side of the membrane is equal.
The capillary endothelial membrane is freely permeable to small molecules as
well as water, allowing a passive exchange between these fluid compartments.
The amount and composition of fluid that moves between these spaces are
regulated by colloid osmotic pressure (COP), hydrostatic pressure, and capillary permeability (Figure 1).
The intravascular and interstitial fluid compartments are separated by a
semipermeable membrane. In solution in the intravascular compartment are
large molecular weight molecules, called colloids, which cannot easily cross
the membrane because of the minute size of the membrane pore. The force exerted on the membrane due to the osmotic gradient created by these colloids
is called the colloid osmotic pressure (COP). The smallest and most numerous of the protein particles in plasma that create COP is albumin (~69,000
Daltons). The overall negative charge of albumin increases its osmotic capability by 50% (called the Gibbs-Donnan effect). Whether or not fluid remains
in the intravascular space or moves into the interstitium is the result of the cumulative effects of Starling’s equation. The volume of fluid (v) that filters be77
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Figure 1 - Starling’s Forces between the Intravascular and Interstitial Compartments.
tween the capillary (c) and interstitium (i) across the capillary wall is dependent on the interendothelial pore size (sigma), the pore reflection coefficient
(kf), and transcapillary forces of hydrostatic (P) and COP, which oppose
lymph removal (Q) of fluid. Intravascular fluid moves into the interstitial
space when 1. Pc is increased over COPc; 2. capillary membrane pore size increases; or 3. COPc becomes lower than COPi.
The cellular membrane is impermeable to most ions but freely permeable
to water. Energy is required to activate ion pumps and channels within the cellular membrane, which regulate solute and water transport into and out of the
cell. Movement of fluids occurs based on their solute concentration (Figure 2).
Sixty per cent of total body weight (TBW) is water. Of this water, 66% is
intracellular, and 33% is extracellular fluid (ECF). Of the TBW that is extracellular, 25% is intravascular, and 75% is interstitial. The membranes separating these compartments are freely permeable to water, which moves under the
force of osmotic pressure until the osmolality of each compartment is equal
(left side). When solute-free water (no osmotically active particles) is added
to one body compartment, it is distributed to the body water compartments in
volumes related to each compartment’s %TBW. Placement of 1 L of solutefree water into the intravascular space results in a net increase of only 8% of
the fluid infused (80 mL) after 30 minutes of equilibration time. When a solution isotonic with plasma is infused, distribution of the fluid is different
(right side). With no difference in osmolality, there is no osmotic pressure to
78
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Figure 2 - Solute-free fluid and isotonic fluid (e.g. Plasmalyte; PLyte) distribution between body
fluid compartments.
cause the water to move into the intracellular space. The membrane separating the intravascular and interstitial compartments is freely permeable to water and small ions, while the membrane surrounding the intracellular space is
permeable only to water. Due to the influences of osmotic and hydrostatic
forces, 25% of the volume of isotonic fluids infused remains in the intravascular space after 45 minutes of equilibration time.
An increase in intravascular hydrostatic pressure, increase in capillary
pore size, or decrease in intravascular COP will result in fluids and small ions
shifting from the intravascular space into either the interstitium or into a third
body fluid space (Table 1).
When these changes occur in significant quantities, there is inadequate
transport of blood cells, solutes and gases through the circulatory system and
interstitium. Interstitial fluid accumulation exceeding lymphatic drainage will
lead to interstitial edema. Diseases such as gastrointestinal infection, pyometra, and peritonitis will cause a rapid movement of water from the interstitial
and intravascular compartment into the third body space, resulting in an increase in interstitial and intravascular osmolality. This is followed by movement of intracellular water into the interstitial compartment and cellular de79
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TABLE 1. EXAMPLES OF CONDITIONS THAT RESULT IN
MOVEMENT OF FLUID OUT OF THE INTRAVASCULAR SPACE
Condition
Example
Plasma to interstitial HP
gradient increases over
the COP gradient
Hypertension
Fluid overload
Capillary membrane pore
size becomes larger
SIRS diseases
Pancreatitis
Peritonitis
Pyometra
Sepsis
Severe gastroenteritis
Burns
Multitrauma
Vasculitis
The filtration coefficient changes
Burns
Hypoalbuminemia
Intravascular COP falls below
interstitial COP
Hypoalbuminemia
SIRS disease
Liver dysfunction
Protein-losing
Nephropathy/enteropathy
hydration. The resulting poor perfusion, compounded by any interstitial edema present, results in reduced delivery and utilization of oxygen and glucose
for energy production and an accumulation of metabolic wastes. Active transport of solutes across the cell membrane is impaired, leading to unregulated
osmotic shifts of water into the cell. Unless homeostasis is rapidly restored,
the cell will lose membrane integrity and rupture.
PERFUSION VERSUS HYDRATION
The transport of fluid and oxygen through the blood vessels to the capillaries is called perfusion. Tissue perfusion is directly dependent upon adequate intravascular volume and a normally functioning cardiovascular system.
80
alert
> 65%
ScvO2 (%)
Dog: 21-25
Cat: 23-25
100-102.5
Rectal temperature (0F)
2.6-3.9
Albumin (g/dL)
Colloid Osmotic Pressure (mmHg)
13.8-21.4
Hemoglobin (g/dL)
Dog: 40-55%
Cat: 30-45%
Base deficit (mEq/L)
Packed Cell Volume (%)
<2
+/- 2
Lactate (mmol/L)
7.40 +/- 0.04
> 97%
SpO2 (%)
pH
1.67
90-100
Systolic Arterial Blood Pressure
(mmHg)
Urine Output (ml/kg/hr)
80-100
Mean Arterial Blood Pressure
(mmHg)
0-2
1-2
Capillary Refill Time (seconds)
Central Venous Pressure
(cm H2O)
pink
Mucous Membrane Color
Dog: 60-120
Cat: 170-200
Mentation
Heart Rate
(beats/minute)
Normal
Parameter
variable
variable
> 90
> 80
<1
brick red
Dog: > 140
Cat: variable
excited and alert
Compensatory
Stage
< 0.27
<5
variable
>2
pale
Dog: > 140
Cat: variable
normal to decreased
Early
Decompensatory
Stage
< 0.08
variable
< 90
< 80
>2
grey/blue
Dog: < 140
Cat: < 160
decreased to comatose
Late
Decompensatory
Stage
99-101
14-20
> 2.0
7-10
25-30%
+/- 2
<2
> 7.32
> 65%
> 97%
>1
5-10
90-100
80-100
1-2
pink
Dog: 80-140
Cat: 180-220
alert
Resuscitation
End Point
Plasma transfusion is required when serum albumin < 2.0 g/dL
SF-Hg can be administered when hemoglobin < 7g/dL;
This will not affect PCV level
Use transfusion products containing red blood cells
(whole blood, packed red cells) or SF-Hg (in the dog);
When SF-Hg is administered, it will not change PCV,
need to monitor hemoglobin level;
Must control ongoing hemorrhage
Falsely low levels can be caused by poor peripheral
perfusion, dark pigmentation, bilirubinemia,
and severe anemia; Falsely increased levels
can be caused by carboxy- or meth-hemoglobinemia
With decreased urine output, check for urine
obstruction first (patent urine collection);
Need MAP > 60 mmHg for adequate renal blood flow
Tip of catheter should be in the superior vena cava
at the level of the right atrium;
Unexpected elevations can occur with right heart failure,
loss of venous compliance, and increased
intrathoracic pressure
Ensure appropriate cuff size;
Renal blood flow affected at MAP < 60 mmHg,
cerebral and coronary perfusion pressure
affected at MAP < 70 mmHg;
Acute hypertension can occur with
the compensatory stages of shock
A yellow color may also suggest icterus
Ensure pain relief;
Examine ECG with abnormal rate/rhythm and
correct arrhythmia if contributing to perfusion deficit
Technical Notes
TABLE 2. PARAMETERS EVALUATED IN THE ASSESSMENT OF SHOCK AND RESUSCITATION END POINTS
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Interstitial hydration is the presence of fluid in the interstitial space. Adequate
hydration provides support for the cells, transport media for molecules, and
shape to the tissue or organ. Before a fluid therapy plan can be implemented,
perfusion and hydration are evaluated.
There is no single test that accurately measures fluid compartment volumes in the clinical setting. A reasonable estimate must be made from historical, clinical and laboratory information, as outlined in Table 2. Perfusion is
evaluated first, and then hydration.
The effects of perfusion are demonstrated on physical examination by perfusion parameters, which include mucous membrane (MM) color, capillary
refill time (CRT), resting heart rate, as well as pulse rate and strength. These
parameters will change in response to the various stages of shock as listed in
Table 2. In order for a fluid therapy plan to be successful, the effect of inadequate intravascular volume versus abnormal cardiac function on perfusion
must be distinguished.
Clinical parameters evaluated during assessment of interstitial hydration include MM moisture, position of the ocular globe, and skin elasticity (Table 3).
TABLE 3. PHYSICAL EXAM FINDINGS
USED TO EVALUATE INTERSTITIAL DEHYDRATION
Estimated %
dehydration
Physical exam findings
4-6
Tacky mucous membranes
6-8
Lose skin turgor
Dry mucous membranes
8-10
Lose skin turgor
Dry mucous membranes
Retracted globes within orbits
10-12
Persistent skin tent due to complete loss of skin elasticity
Dry mucous membranes
Retracted globes
Dull corneas
> 12
Persistent skin tent
Dry mucous membranes
Retracted globes
Dull corneas
Signs of perfusion deficits
82
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Factors that can alter these parameters in the absence of interstitial fluid
shifts include atropine administration, hypersalivation from nausea or pain,
advanced age, and reduced body fat content. When dehydration is estimated
to be greater than 8%, an intravascular volume deficit is expected to occur
from osmotic fluid shifts.
Intracellular volume status is based on laboratory and historical information (Table 2). An increase in serum sodium implies a loss in intracellular water due to osmotic shifts from the cell into the interstitial space. Perfusion and
hydration parameters must be restored before accurate assessment of the intracellular volume status can be made. Cellular swelling caused by rapid
shifts of water may not be clinically evident until significant loss of cell function has already occurred.
THE FLUID THERAPY PLAN
The fluid therapy plan typically has a resuscitation, rehydration and maintenance phase. Resuscitation implies an urgent need to restore tissue perfusion and oxygenation. Because hypovolemia can be a significant component
of most types of shock (even cardiogenic shock), the intravascular volume status must always be established. The type, quantity and rate of fluid administration required to reach the desired resuscitation end-points are determined
and will depend on the type of shock and underlying disease process occurring (Table 4). When crystalloids are part of the resuscitation plan, interstitial
hydration will be affected in addition to perfusion. Following resuscitation,
re-evaluation of the hydration status is necessary before planning the rehydration phase. The maintenance phase will provide fluids and electrolytes to replace on-going losses, meet metabolic demands, and restore intracellular water balance.
Fluid Selection
Individual characteristics of available fluids influence the dose, type and
volume of fluid administered.5,8 (Table 5). Crystalloid solutions can be used
alone or together with colloids during the resuscitation phase. Crystalloids are
the mainstay of the rehydration and maintenance phases of fluid therapy, however, colloids can be used in tandem if there is increased capillary permeability or hypoproteinemia. Frequent reassessment of the patient is required to
recognize any need for change in fluid selection during the course of therapy.
83
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TABLE 4. SUGGESTED FLUID TYPES AND DOSES USED FOR RESUSCITATION FROM HYPOVOLEMIC SHOCK
Cardiovascular Status
Fluid Type
Dose (IV or IO)
Comments
Compensatory Shock
1. Isotonic crystalloid
1. dog: 30 ml/kg boluses
If EP not reached with several boluses,
treat for pain and consider adding synthetic colloid
2. Isotonic crystalloid
+ synthetic colloid
2. dog: 35-55 ml/kg/hr +
HES: 5-10 ml/kg boluses
1. Isotonic crystalloid
1. dog: 30 ml/kg boluses
cat: 20 ml/kg boluses
Rapidly correct hypothermia
If EP not reached with several boluses, treat
for pain and consider adding synthetic colloid
2. Isotonic crystalloid
+ synthetic colloid
2. dog: 35-55 ml/kg/hr +
HES: 5-10 ml/kg bolus
cat: 20-50 ml/kg/hr +
HES: 5 ml/kg boluses
If it is difficult maintaining EP, place on HES CRI
3. HTS + synthetic
colloid
3. dog: 4-8 ml/kg
HES: 20 ml/kg bolus
cat: 1-4 ml/kg +
HES: 5 ml/kg boluses
Do not administer HTS to the dehydrated animal,
or one with pulmonary or cardiac disease
1. Isotonic crystalloid
+ synthetic colloid
1. dog: 35-55 ml/kg/hr +
HES: 20 ml/kg bolus
cat: 24-36 ml/kg/hr +
HES: 5 ml/kg boluses
Rapidly correct hypothermia
If EP not reached with several boluses, treat
for pain and consider vasopressors
2. HTS + synthetic
colloid
2. dog: 4-8 ml/kg
HES: 20 ml/kg bolus
cat: 1-4 ml/kg +
HES: 5 ml/kg boluses
If it is difficult maintaining EP,
place on HES CRI
1. Whole blood
1. 20 ml/kg boluses as
quickly as possible
1. May require active hemostasis
2. Packed red blood cells
reconstituted with isotonic
saline, plasma, HES or DEX
2. 20 ml/kg boluses as
quickly as possible
3. Oxyglobin®
3. dog: 5 ml/kg boluses,
up to 30ml/kg/day
3. May require additional red cell transfusion
Hypovolemia with
Pulmonary injury,
Head injury, or
Cardiac insufficiency
Isotonic crystalloid + HES
dog: 35-55 ml/kg/hr +
HES: 5 ml/kg boluses or
cat: 24-36 ml/kg/hr +
HES: 5 ml/kg boluses
If it is difficult maintaining EP, place on HES CRI
Coagulopathy 1
(prolonged PT/PTT)
Low Antithrombin
1. Plasma
1. 10-20 ml/kg over
4-6 hours
Monitor closely for acute and delayed
hypersensitivity reactions
Intravascular Volume
Maintenance
HES
dog: 0.5-1 ml/kg/hr
cat: 0.5-2 ml/kg/hr
When a SIRS process is occurring, expected, or
blood pressure is not able to be maintained
Decrease isotonic crystalloid fluids
by 40-60%
Early Decompensatory
Shock
Late Decompensatory
Shock
Acute Hemorrhage
(PCV < 25%)
IV: Intravenous; IO: Intraosseous; HES: Hydroxyethylstarch; HTS: Hypertonic saline; EP: Endpoint resuscitation; CRI: Continuous rate infusion; PCV: Packed cell volume; PT: Prothrombin time; PTT: Partial thromboplastin time
84
Intracellular
5% Dextrose
in water
Extracellular
25% Human albumin
Oxyglobin™
Extracellular
Extracellular
6% Hetastarch 670/0/45
Hextend™
10% Pentastarch 260/0.45
(Pentaspan™)
COP: Colloid osmotic pressure.
Extracellular
6% Hetastarch 450/0.7
Hespan™
Synthetic
Extracellular
Extracellular
Frozen plasma
Extracellular
Extracellular
Whole blood
Natural
COLLOID
3% Freamine III
Extracellular
ProcalAmine®
®
Extracellular
2.5% Dextrose in 1/2 strength
lactated Ringer’s
Maintenance
Extracellular
Extracellular
7.0% saline
Plasmalyte-A® pH7.4
Normosol-R®
Extracellular
Extracellular
Lactated Ringer’s
Extracellular
FLUID
COMPARTMENT
0.9% Saline
Replacement
CRYSTALLOID
NAME
326 (isotonic)
307 (isotonic)
310 (isotonic)
300 (isotonic)
300 (isotonic)
300 (isotonic)
405 (hypertonic)
735 (hypertonic)
264 (isotonic)
252 (hypotonic)
2396 (hypertonic)
295 (isotonic)
294 (isotonic)
275 (isotonic)
308 (isotonic)
OSMOLARITY
(mOsm/L)
5.0
5.9
5.5
7.8
variable
variable
6-7
6-7
4.5-7.5
4.0
1197
5.5-7
7.4
6.5
5.0
pH
154
143
154
150
0
140
140
35
35
65.5
0
1197
140
140
130
154
Na+
(mEq/L)
154
124
154
118
0
110
100
41
41
55
0
0
98
98
109
154
Cl(mEq/L)
0
3
0
4
0
4
4
24
24
2
0
0
5
5
4
0
K+
(mEq/L)
0
0.9
0
0
0
0
0
5
5
0
0
0
3
3
0
0
Mg++
(mEq/L)
0
5
0
0
0
0
0
0
0
1.5
0
0
0
0
3
0
Ca++
(mEq/L)
TABLE 5. CHARACTERISTICS OF VARIOUS FLUID COMPOSITIONS
0
0.99
0
0
0
0-4
0-4
0
30
25
50
none
0
0
0
0
Dextrose
(g/L)
none
Lactate (28 mEq/L)
none
lactate
none
none
none
acetate, phosphate
acetate, phosphate
lactate
none
0
acetate, gluconate
acetate, gluconate
lactate
none
BUFFER
(mmHg)
25
70
70
40
200
20
20
0
0
0
0
0
0
0
0
COP
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Crystalloids
A crystalloid is a water-based solution with small molecules that are osmotically active in the body fluids and permeable to the capillary membrane.
The amount that remains in the vessel depends on Starling’s forces and the
distribution of total body water (TBW; 66% is intracellular, 25% is interstitial, and 9% is intravascular). The sodium concentration provides the greatest
contribution to crystalloid osmolality. Convention has defined an isotonic fluid as one that has an osmolality equal to that of erythrocytes and therefore
does not affect the exchange of fluid across the erythrocyte membrane. A hypertonic fluid will decrease erythrocyte volume, and a hypotonic fluid will increase erythrocyte volume.
A hypotonic fluid has an osmolality less than intracellular fluid, such as 5%
dextrose in water (D5W). The glucose is rapidly metabolized and the administered water is distributed according to the osmotic gradients that determine the
distribution of TBW (66% goes intracellularly). It is not used during the resuscitation or rehydration phase but can be used for re-establishing intracellular
water deficits after resuscitation and rehydration have occurred. It is also used
as a carrier fluid for low volume constant rate infusion of medication.
Maintenance isotonic crystalloids contain half the sodium concentration as
plasma and are used to replace daily sensible and insensible water and electrolyte losses. Dextrose is added as a 2.5% concentration to make the maintenance fluid isotonic at the time of administration.
Hypertonic fluids such as 7% and 23% saline have more osmotically active particles per unit volume than intracellular fluid. After administration,
water moves via osmosis from the interstitial and intracellular compartments
into the intravascular space. There is a, rapid increase in intravascular volume
until Starling’s forces bring the equilibrium back across the capillary membrane. It is necessary for the kidney to excrete the additional administered
sodium.
Hypertonic saline has been reported to produce a mild inotropic effect,
systemic and pulmonary vasodilation and rapid intravascular volume expansion.4 It has been used in combination with crystalloids and colloids for rapid intravascular volume expansion in hypovolemic shock. Extreme caution is
used if administered to patients that are dehydrated, hypernatremic, hyperchloremic, hyperosmolar, or have little tolerance for rapid intravascular volume increases (e.g. active hemorrhage, cardiac or neurologic dysfunction).
Isotonic replacement crystalloids (IRC) contain a sodium concentration
similar to that of the extracellular space, making it the ideal crystalloid for the
resuscitation and rehydration phase of the fluid therapy plan. Plasmalyte-A®,
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Normosol-R®, and lactated Ringer’s solution contain a buffer and are the preferred choice for restoring intravascular volume. The differences in their
compositions are listed in Table 5. The buffer lactate is converted to bicarbonate by the liver and does not affect plasma lactate unless severe liver dysfunction exists. Acetate and gluconate buffers are metabolized to bicarbonate by
the liver as well as muscle tissue. The calcium in lactated Ringer’s solution
prevents its administration through the same line as blood products due to potential precipitation with the citrate anticoagulant. Supplemental electrolytes
can be added to isotonic fluids according to patient requirements. As a safeguard in preventing acute hyperkalemia, the rate of potassium administration
added to resuscitation fluids should not exceed 0.5mEq/kg/hr unless carefully monitored.
Normal saline (0.9% sodium chloride) solution is an IRC with a comparable sodium concentration to plasma, but it does not contain additional electrolytes or buffer. This makes its use very specific for treating conditions causing hyperkalemia (e.g. Addisonian crisis, oliguric renal failure), hypercalcemia, and hypochloremic metabolic alkalosis.
Under normal conditions, the osmotic gradients across the extracellular
membranes will cause approximately 80% of the crystalloids administered intravenously to filter into the interstitium within an hour. However, IRC can be
an effective means for restoring perfusion parameters when the cause of hypovolemia can be rapidly corrected, and the interstitial compartment is capable of handling this additional fluid load. The detrimental effects of rapid,
large volume, crystalloid administration increase when moderate to severe
anemia is present, when increased capillary permeability exists, or when the
interstitium cannot tolerate the additional fluid load (pulmonary, neurologic,
or cardiac diseases). The addition of colloid fluids during resuscitation from
hypovolemic shock in these situations becomes important.
Colloids
Colloid fluids are isotonic fluids containing a significant concentration of
molecules larger in size than the capillary pore that contribute to COP. Whole
blood, plasma, and concentrated albumin have natural colloids in the form of
proteins. Hydroxyethyl starches (hetastarch and pentastarch) and dextrans
(dextran-40 and dextran-70) are synthetically derived colloids. Stroma-free
hemoglobin is a solution containing polymerized hemoglobin capable of carrying oxygen and producing COP. Their individual characteristics are listed
in Table 5.
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Blood Products. Blood products are administered when albumin, antithrombin, coagulation factors, platelets, or red blood cells are required. The
blood product should be typed and cross-matched with the recipient when
whole blood or packed red blood cell (pRBC) transfusions are needed. A
DEA 1.1 negative transfusion is chosen if a cross-match is unavailable. A
cross-match is always recommended in the cat, but may not be possible during life threatening blood loss. Plasma transfusion administration does not require blood typing or cross-match. An 18-micron micropore filter is used during administration of any blood products. Albumin, the most abundant colloid
molecule in plasma, can be administered in the form of plasma transfusions or
concentrated human albumin. Frozen plasma and fresh frozen plasma contain
approximately 5% albumin, whole blood contains approximately 2.5% albumin, and concentrated human albumin solution contains 25% recombinant albumin. The size of the albumin molecule is constant, but the higher the concentration of albumin, the greater the colloid osmotic effect per milliliter of solution. Plasma transfusions have an albumin concentration equal to plasma and
may not be an effective colloid when used alone. Because of its high concentration of albumin and COP (200 mmHg), 25% human albumin has the greatest capability of increasing plasma COP. When capillary permeability is normal, 25% albumin can be a very effective colloid when administered to the hypovolemic, edematous patient. However, when increased capillary permeability prevents plasma albumin retention, it will leak into the interstitium, and the
COP effect of any albumin infusion will be temporary. This can eventually lead
to an increase in interstitial COP and edema as well as hypovolemia.
Immunologic reactions are a risk with allogenic blood product transfusions. Human albumin has physiochemical properties that differ from canine
and feline albumin, and complications appear to occur at a higher rate (20%)
with human albumin administration in dogs than with allogenic transfusions.
Acute and delayed immune-mediated reactions have been reported after the
administration of concentrated human albumin, plasma and blood transfusions, requiring vigilant monitoring.
Stroma-Free Hemoglobin. Processed hemoglobin solutions bind and transport oxygen through the vascular system until the oxygen is released to the tissues at the capillary level. The small size of hemoglobin permits it to pass
through partially obstructed capillaries bringing oxygen to hypoxic tissues.
Oxyglobin® is a stroma-free hemoglobin, is an ultrapure bovine-origin
polymerized hemoglobin solution approved by the FDA for therapeutic use in
dogs with anemia. Oxygen is bound to hemoglobin by a chloride-dependant
process, facilitating its release at the capillary. It has a similar COP (2088
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25mmHg) to plasma and can produce a vasoconstricting effect. These properties have been reported to reduce the volume of fluid required to reach endpoint resuscitation parameters when compared to a comparable colloid, hetastarch.3 It lasts approximately 24 hours in the blood stream and can be used
in combination with blood products, synthetic colloids and crystalloids. Oxyglobin® solution can cause red coloration of the serum, which can interfere
with biochemical spectroscopic analysis of the serum. Infrequent side effects
include pulmonary edema, cardiac arrhythmias, vomiting, and diarrhea. It has
not been approved for use in cats.
Synthetic colloids. Synthetic colloid fluids contain large molecular weight
particles that effectively increase COP beyond what can be obtained with
blood product infusion alone. They maintain intravascular osmotic pressure
because their molecular size is too large to pass through the normal capillary
pores. Their negative charge attracts sodium and water (Gibbs-Donnan effect)
producing a final intravascular volume greater than the volume infused.7 Synthetic colloids are administered with IRC to reduce interstitial volume depletion. The dose of crystalloid administered is only 40-60% of what would be administered if crystalloids alone were to be used during resuscitation. Synthetic colloids do not provide albumin, hemoglobin, antithrombin, platelets, or coagulation proteins, but can be administered simultaneously with blood products. Elimination of smaller molecular weight particles is through glomerular
filtration. Larger particles are eliminated in bile, stored in tissue, or broken
down into smaller particles by the monocyte-macrophage system.
Hydroxyethyl starch (HES), the parent name of a synthetic polymer of
glucose (98% amylopectin), is made from a waxy species of either plant
starch maize or sorghum. It is a highly branched polysaccharide closely resembling glycogen, formed by the reaction between ethylene oxide and amylopectin in the presence of an alkaline catalyst. The molecular weight and molar substitution can be adjusted by the degree of substitution of hydroxyl
groups with hydroxyethyl groups at the C2, C3 and C6 positions on the glucose molecule. The greater the substitution on position C2 in relation to C6
(C2:C6 ratio), the slower the degradation of the molecule by amylase. Renal
function may be affected with molar substitutions greater than 0.62, a characteristic of concern with renal transplant patients.
The number-averaged molecular weight (Mn) is the arithmetic mean of the
molecular weights of the polymers in solution. Weight-averaged molecular
weight (Mw) is the sum of the number of molecules at each number-averaged
molecular weight divided by the total of all molecules. This weight is generally larger when larger polymers are present in solution.
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The classification of different HES products will include the Mw and the
proportion of substitution. The only HES product available in the US at this
time is HES 450/0.7, having a Mw of 450 kD and 0.7 degree of substitution
with high C2:C6 ratio. HES 450/0.7 can be purchased in 0.9% sodium chloride (Hespan™), or in LRS (Hextend™). The presence of calcium in Hextend™ may reduce coagulation abnormalities, and the electrolyte composition reduce incidence of hyperchloremic acidosis. Hextend™ also contains
0.45 mmol/L magnesium and 99 mg/dL (0.99%) dextrose.
An increase in incisional bleeding has been reported after HES administration at volumes greater than 40 ml/kg/day.1 This can be attributed to increased microcirculatory flow and blood pressure as well as a dilutional and
direct effect of hetastarch on coagulation. In the author’s experience, hetastarch can increase the activated clotting time by 50% without clinical bleeding. HES can affect Von Willebrand’s factor and factor VIII function, but not
as significantly as dextran 70. Clinical evidence of bleeding has not been reported in animals receiving hetastarch at doses up to 20 ml/kg/day. The authors have experienced prolongation in activated clotting times (ACT) less
than 50% above normal with recommended doses of hetastarch 450/0.7 in
0.9% sodium chloride. An elevation in ACT above 50% of the normal reference range would warrant investigation for concurrent coagulation problems.
HES products available in Europe (e.g. Voluven™, HES 130/0.4, Fresenine
Kabi Austria GmbH, Graz, Austria) have a reduced Mw and molar substitution
to address the coagulation concerns, and an increased C2:C6 ratio to increase
half life. HES 130/0.4 doses have been recommended up to 50 ml/kg.
When HES is used, a differential charge may exist between it and the capillary pore blocking its passage into the interstitium, a property independent
of its molecular size. HES may also down-regulate and decrease expression
of endothelial surface adhesion molecules, decreasing inflammation, endothelial injury, and leukocyte migration into the interstitium. HES has been shown
to reverse changes in microvascular permeability caused by oxygen free radicals during reperfusion injury. This can explain why HES molecules remain
in the vascular space in the septic patient with increased albumin escape.4
Smaller HES molecules are filtered through the glomerulus and excreted in
the urine, excreted out with the bile, or pass through the endothelium into the
interstitium where they are ingested and digested by macrophages. Larger molecules are degraded by α-amylase into smaller molecules. Hetastarch 450/0.7 is
nontoxic and nonallergenic in doses up to 100 ml/kg in dogs. The authors have
observed a moderate reaction to rapid intravenous infusion in the cat, with signs
of nausea, occasional vomiting, and hypotension. The administration of HES in
small volume increments has eliminated these side effects in cats.
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RESUSCITATION PHASE
Independent fluid requirements exist for reestablishing water balance and
preventing adverse consequences of fluid overload. Clinical signs of fluid intolerance are listed in Table 6.
TABLE 6. CLINICAL SIGNS OF FLUID INTOLERANCE
Shivering
Nausea and vomiting
Restlessness
Polyuria
Evidence of pulmonary edema-auscultation of increased lung sounds or “crackles”, tachypnea
Cough
Chemosis
Serous nasal discharge
Diarrhea
Peripheral subcutaneous edema especially in hock and submandibular space
Peritoneal effusion
Exophthalmos
Decreased level of consciousness
Tachycardia or bradycardia
Respiratory failure
The goal is to give the least amount of fluid possible to reach and maintain
resuscitation end-point parameters (Table 2).
The approach to resuscitation will depend upon the reasons for resuscitation. Resuscitation from compensatory hypovolemic shock in the dog with no
clinical evidence of heart disease can often be performed with a buffered IRC
alone. The initial infusion of 10-30ml/kg can be administered rapidly (over 515 minutes) (Table 4).
Perfusion parameters are reassessed and additional crystalloid infused at
5-15ml/kg increments over 5-15 minutes per infusion until the desired resuscitation end-points are attained.
If resuscitation end-points are not obtained after 90ml/kg/hr of IRC have
been administered, causes of non-responsive shock are investigated and treated (Table 7).
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TABLE 7. CAUSES OF NONRESPONSIVE SHOCK
Inadequate intravascular volume
Ongoing fluid losses (blood or plasma)
Severe pain
Cardiac arrhythmias
Cardiac tamponade
Myocardial depression or failure
Electrolyte imbalances
Acidemia/alkalemia
Hypoglycemia
Glucocorticoid deficiency
Neurological failure
Organ ischemia
Hypoxemia
Inadequate oxygen carrying ability
Inadequate colloid osmotic pressure
Excessive peripheral vasoconstriction
Excessive peripheral vasodilation
Decreased venous return
In this case, HES or DEX can be administered by infusing 5ml/kg increments to a maximum of 20ml/kg. This approach is not suitable for the cat.
Resuscitation from decompensatory, hypovolemic shock not complicated
by closed-cavity hemorrhage, pulmonary disease, cardiac dysfunction, or
head injury can be performed using a combination of colloids and crystalloids. In the dog, an initial 5-15ml/kg volume of HES or DEX is administered
over 5-15 minutes with 15-30ml/kg of IRC (Table 4). When shock is a result
of diseases causing increased capillary permeability, HES is the colloid of
choice. Once resuscitation end-points have been reached (Table 2), a constant
rate infusion of HES (0.8ml/kg/hour) is administered to maintain intravascular COP during states of increased capillary permeability.6
Resuscitation from catastrophic hemorrhagic shock may require whole
blood transfusion, with infusion rates compensating for on-going loss. Typically, blood products are administered at 5-15ml/kg/hr. Oxyglobin®, a shortterm alternative to whole blood transfusion, is titrated in 5ml/kg increments
(up to 30ml/kg/day) in conjunction with IRC until resuscitation end-points
(Table 2) are met. Any combination of blood products, synthetic colloids and
stroma-free hemoglobin can be used to attain the minimal desired end-point.
Care must be taken to definitively stop active hemorrhage and to prevent hydrostatic pressure from dislodging clots and exacerbating hemorrhage.
Decompensatory shock in the dog can be complicated by closed cavity hemorrhage or abnormalities in the lungs or brain where interstitial fluid overload
can severely affect organ function. Small volume resuscitation begins with a
one-time 10-15ml/kg infusion of IRC. Table 4 Hetastarch is titrated in 5ml/kg
increments up to 20ml/kg to reach end-points of resuscitation (low normal
blood pressure and CVP, Table 2). Oxyglobin® can be used as an alternative to
HES at increments of 1-3mls/kg/hr to augment oxygen delivery and arterial
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blood pressure. Cats in the decompensatory stages of shock are typically hypothermic, hypotensive and bradycardic. Their cholinergic receptors are not as
responsive to catecholamines during hypothermia. An initial slow bolus infusion of 10ml/kg of warm IRC is given followed by a slow bolus infusion of
5ml/kg of HES (Table 4). These cats are then actively re-warmed to a body temperature of 99 degrees Fahrenheit during the resuscitation process. It is not uncommon for arterial blood pressure to return to normal without additional fluid
infusion once body temperature is restored. If end-point perfusion parameters
(Table 2) are not reached once body temperature is restored, additional HES at
5ml/kg increments (up to 15ml/kg/day) can be given. If end-point parameters
are still not obtained, the cat is evaluated and treated for causes of non-responsive shock. Avoid using a colloid if cardiomyopathy is present.
HYDRATION PHASE
Once perfusion has been restored, interstitial hydration parameters are reassessed (Table 3). There is no single test that confirms interstitial dehydration. A combination of clinical parameters and historical information is used
to approximate dehydration. Common clinical parameters evaluated include
mucous membrane moisture, skin turgor, eye position within the orbit and
laboratory tests (PCV, TS, BUN). Loss of interstitial water causes mucous
membranes to become “sticky” when touched (tacky), decreased subcutaneous fluidity (increased skin turgor), retraction of the eye within the orbit,
and dry corneas. Interstitial dehydration will cause a fluid shift from the intravascular compartment and an increase in intravascular solute and cell concentrations. These clinical signs may be misinterpreted if the patient is emaciated (overestimating the degree of dehydration) or anemic, hypoproteinemic, and/or azotemic (underestimating dehydration).
Most of the IRC administered during resuscitation will move into the interstitial space affecting hydration status. Most IRC are appropriate for rehydration of the interstitial compartment, since they have a comparable sodium concentration. The volume of fluid administered is calculated based on the percent
dehydration as shown in Table 3. If the fluid has been acutely lost, the rate of
replacement is over 2-4 hours. If the fluid has been chronically lost, or there is
a significant risk of interstitial overhydration (e.g. with cardiac, pulmonary or
neurological disease, hypertension), the calculated volume is administered over
6-12 hours. Frequent reassessment of clinical hydration status, continuing losses, and metabolic demands is necessary to meet the ongoing needs during this
hydration phase. Signs of fluid intolerance are listed in Table 6.
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Intracellular dehydration requires the administration of hypotonic fluids to
provide free water for intracellular movement. Of the total administered intravenously, 66% of the volume will end up in the intracellular compartment.
The solute free water infusion must travel through the vascular and interstitial
spaces before it enters the intracellular compartment. To prevent red cell lysis
from the infusion of solute-free water into the intravascular space, 5% dextrose (D5W) is added to provide enough osmotic pressure to prevent movement into the blood cells. As the dextrose is metabolized, the water travels into the interstitial then the intracellular compartments. Other solutions with
metabolizable solutes (e.g. partial parenteral nutrition fluids; ProcalAmine™)
can also be used to provide more water than solutes.
Serum sodium is a reflection of the concentration of solute free water, with
an excess of sodium implying a deficit of free water. Intracellular hydration is
estimated by evaluating the serum sodium after perfusion and interstitial hydration have been restored. When serum sodium values are greater than 170
mEq/L in the presence of altered mentation, replacement of free water using
D5W is indicated. The free water deficit is calculated and replaced over 2448 hours.
Water deficit: Weight (kg) X [ Pna(present)/Pna(previous) -1]
Simultaneously, maintenance and replacement fluids are administered to
replace on-going losses. The serum sodium concentration is reevaluated every
4-6 hours, and free water dose is adjusted as needed to prevent excessive osmotic shifts.
FLUID THERAPY DURING CARDIAC DISEASE
Failure to recognize underlying heart disease when establishing a fluid
therapy plan can result in life-threatening pulmonary edema. A careful assessment of the heart rate, rhythm and function is required prior to fluid administration. A history of heart murmur, arrhythmia or syncope will suggest cardiac
disease. Auscultation of the heart while palpating the femoral pulse can reveal
pulse deficits associated with cardiac arrhythmias.
Myocardial disease in the cat is suspected when a heart murmur, gallop arrhythmia, bradycardia, or non-responsive shock exists. The murmur or gallop
in the cat is usually focal and can be intermittent, commonly found on the left
side lateral to the sternum at the 3-5 intercostal spaces. Myocardial disease is
suspected in the dog when a heart murmur, arrhythmia, or non-responsive
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shock occurs. Anemia can cause a transient heart murmur unrelated to cardiac
disease, making assessment of perfusion parameters and PCV important before establishing the initial fluid therapy plan.
Initial examination of animals with intravascular fluid deficits can mask
underlying heart disease since insufficient preload can result in a regurgitant
fraction too weak to be ausculted. The abdomen of a small dog or cat can be
compressed during auscultation to transiently increase flow in the vena cava,
increase preload, and unmask a heart murmur. In addition, auscultation is repeated after 10 minutes of fluid administration to determine if an audible
heart murmur develops. Electrocardiogram, thoracic radiographs, echocardiogram and arterial blood pressure are used to define abnormalities.
The fluid therapy plan for animals with compensated cardiac disease will
require a slower rate of fluid infusion and careful titration of volume to give
the least amount of fluid possible to reach desired resuscitation end-points.
Because of a lower sodium concentration, lactated Ringer’s solution can be
used as the IRC. In the dog, an initial dose of 10-15ml/kg, titrating with additional 5ml/kg to effect is recommended (Table 4). Colloids can also be used,
but must be titrated to effect using 1-5ml/kg increments. Central venous pressure (CVP), arterial blood pressure, and heart rate are monitored. Should the
CVP rise above 8cmH2O during fluid resuscitation, fluid rates are reduced or
discontinued. Central venous pressure may not be an accurate indicator of intravascular volume when there is right heart failure, poor vascular compliance, increased intrathoracic pressure, or obstruction of venous return.
Dogs and cats in congestive heart failure may not require fluid resuscitation. During the decompensation process the renin-angiotensin-aldosterone
system has caused reabsorption of sodium and water in addition to the normal
vascular fluid. The PCV/TS will be normal or reflect dilution. When this excessive intravascular volume is returned in the preload to a failing heart, fluid backs up increasing hydrostatic pressure in the left atria and pulmonary
veins which can result in pulmonary edema. This stage of heart failure will
typically cause the CVP to be greater than 8cmH2O. If the animal is eating
and drinking, additional intravascular fluid administration should be avoided.
However, hydration and perfusion status must be carefully assessed during diuretic therapy for stabilization. Should fluid replacement become required,
low sodium containing fluids are given in small quantities sufficient to meet
on-going losses and metabolic requirements.
Some animals with congestive heart failure have been on long term or high
dose diuretic therapy or have underlying diseases causing dehydration.2 Careful assessment of hydration parameters may suggest an extracellular water deficiency, and the PCV/TS and blood urea nitrogen may be elevated. Adminis95
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tration of an IRC may be necessary to replace intravascular and interstitial
volume, with the rate and volume titrated to give the least amount necessary
over 4-12 hours. Monitoring should include CVP, blood pressure, heart rate,
and lung auscultation.
Like other forms of shock, cardiogenic shock manifests as hypotension
and poor peripheral perfusion, but also may be accompanied by labored
breathing. It can be due to pump failure, arrhythmias, or obstructive problems
such as pericardial effusion. Determining how much of the perfusion deficit
can be attributed to pump failure and how much to hypovolemia is difficult.
Echocardiography and EKG evaluation are important in diagnosing myocardial or pericardial disease. Treatment with antiarrhythmic medication, positive or negative inotropes, vasodilators, and/or pericardiocentesis may be required to improve cardiac output and reach resuscitation end-points.
Intravascular volume replacement can become necessary during resuscitation from cardiogenic shock when intravascular volume depletion is contributing to poor perfusion. Fluid lost from the vascular space compounds the
effect of pump failure. Non-responsive shock can occur inspite of augmentation of cardiac output with drug therapy if there is insufficient volume to fill
the circulatory system. A CVP < 8cmH2O, in the absence of pericardial tamponade, will suggest intravascular volume depletion.
Fluid resuscitation from cardiogenic shock is complicated. Fluids should
be administered that will stay in the vascular space. In the dog, infusion of 15ml/kg HES can be titrated and the animal immediately rechecked for improvement of perfusion parameters. There should be improvement after 1-2
small volume infusions if hypovolemia is contributing to the shock. Buffered
IRC at 5-10ml/kg can be titrated to bring up the CVP after initiating appropriate cardiac drug therapy (Table 4). Close monitoring for signs of fluid overload is essential. While relieving pericardial tamponade, intravascular fluid
administration will provide sufficient volume to fill the expanding ventricular
chamber. Once perfusion end-points have been normalized (Table 3), the daily maintenance fluid requirements and ongoing fluid losses are treated using
low sodium containing fluids.
MONITORING FLUID THERAPY
Monitoring perfusion
In the ideal situation, oxygen delivery, pulmonary wedge pressure and cardiac output are optimized during fluid resuscitation. Most recently, early in96
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tervention in septic patients using goal-oriented resuscitation parameters including central venous pressure (CVP) 8-12 mmHg, MAP>65 mmHg, and
central venous oxygen saturation (ScvO2) > 70% has proven to reduce the absolute risk for mortality in the emergency department (30.5% versus 46.5%)
and ICU (53.7% versus 71.6%). These values are rarely evaluated in veterinary patients, and response to resuscitation is based on less invasive physical
and laboratory parameters.
Bedside methods of hemodynamic monitoring can be invasive or non-invasive, continuous or intermittent, physical or biochemical. Physical exam
findings such as heart rate, temperature, pulse quality, capillary refill time,
MM color, and level of consciousness should be routinely and repeatedly
evaluated from the start of fluid resuscitation until the patient leaves the hospital. Additional monitoring of arterial blood pressure, central venous pressure, urine output, lactate, and venous blood gas can be added for those patients warranting more extensive examination. One should keep in mind when
evaluating a patient that pain, anxiety, and abnormal body temperature may
influence sympathetic tone and influence assessment of perfusion.
Heart rate can be assessed by pulse palpation, continuous ECG monitoring, direct cardiac auscultation, Doppler readings, or via pulse oximetry. Temperature was shown to correlate well to cardiac output and as an indirect indicator of systemic blood flow within the tissues. “Bounding” or weak pulses may indicate an increase in vascular resistance, decreased stroke volume,
or decreased intravascular volume. Indications of successful resuscitation of
perfusion deficits include: a decrease in heart rate, increase in the cat, stronger
pulse quality, shorter CRT, better MM color, and improvement in mentation if
volumes are adequate.
Arterial blood pressure is a frequently monitored parameter in light of
physical parameters for assessing the success of fluid resuscitation. Blood
pressure is an indirect estimation of perfusion and can be a reflection of intravascular volume when cardiac function is adequate. Blood pressure should
always be assessed in conjunction with heart rate. Indirect blood pressure is
obtained with a Doppler or oscillometric monitors. Pain, anxiety, and hypothermia may falsify blood pressure readings. Patients that require intensive
monitoring may benefit from direct arterial blood pressure monitoring.
Urine output can provide a non-specific estimation of perfusion to the urinary system provided adequate renal function. Normal urine production depends upon a mean arterial pressure of 60 mmHg. Systemic arterial pressures
below this result in oliguria. Normal urine output is 1-2 ml/kg/hour depending on the patient’s concentrating ability. If the patient has a decreased urine
output, one must evaluate for causes of hypotension or hypovolemia.
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Central venous pressure measurement provides an estimate of pressure
within the vena cava. This value is a consequence of effective circulating volume when there is normal right heart function and no obstruction to flow. Hypovolemia with associated decrease venous return can lead to a low or subnormal CVP measurement. Elevated CVP measurements can indicate volume
overload, right or left cardiac dysfunction, or venous obstruction. CVP should
be evaluated in light of the entire clinical picture. The goal for CVP in resuscitation is 5-8 cm H20.
Blood lactate concentration and base deficit with or without the presence of
metabolic acidosis has been used in both human and veterinary medicine as a
marker of shock and global tissue perfusion. Hyperlactatemia and increased
base deficit in the critically ill animal is usually associated with conditions causing inadequate tissue perfusion, hypoxemia, an increase in tissue oxygen demands, decreased hemoglobin concentrations, or a combination of these factors. The goal with fluid therapy is to have a return of lactate and base deficit to
normal. Lactate clearance has been shown to be a better prognostic indicator
than other indices of perfusion in trauma patients and in human septic shock.
Despite its usefulness in guiding resuscitation and as a prognostic indicator,
serum lactate concentration is not a consistent marker for regional tissue hypoperfusion and is dependent on adequate liver function for clearance.
Monitoring hydration
The hydration status should be monitored daily by evaluating change in the
MM, skin turgor, body weight, and PCV/TS. Fluid intolerance may manifest
more subtly as serous nasal discharge or more aggressively by labored breathing (see Table 4). Monitoring respiratory rate and effort may help detect evidence of pulmonary edema. Daily weight measurements are an excellent way
to monitor hydration status especially if the previous weight is known.
REFERENCES
1. Cheng C, Lerner MA, Lichtewnstein S, et al: Effect of hydroxyethylstarch on hemostasis. Surgical Forum:Metabolism 17:48-50, 1966.
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plasma and blood volume in chronic heart failure. J Amer Coll Card 35:51-55, 2000.
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4. Marx G, Cobas Meyer M, Schuerholz T, Vangerow B, Gratz KF, et al. Hydroxyethyl
starch and modified fluid gelatin maintain plasma volume in a porcine model of septic
shock with capillary leakage. Intensive Care Med, 28:629-635, 2002.
5. Rowe GG, McKenna DH, Corliss RJ, et al: Hemodynamic effects of hypertonic sodium
chloride. J Appl Physiol 32:182-184, 1972.
6. Rudloff E, Kirby R: Fluid therapy: Crystalloids and colloids. Veterinary Clinics of North
America 28:297-328, 1998.
7. Rudloff E, Kirby R: The critical need for colloids: Administering colloids effectively.
Comp Cont Educ 20:27-43, 1998.
8. Rudloff E, Kirby R: The critical need for colloids: Maintaining fluid balance. Comp Cont
Educ 19:705-717, 1997.
9. Rudloff E, Kirby R: The critical need for colloids: Selecting the right colloid. Comp Cont
Educ 19:811-825, 1997.
Address for correspondence:
Animal Emergency Center & Specialty Services
414-540-6710
Glendale, WI
E-mail: [email protected]
www.animalemergencycenter.com
www.veccs.org
99
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Elke Rudloff
DVM, Dipl ACVECC
Glendale, Wisconsin
Gestione del paziente
traumatizzato
Assessment and Management
of the Multitrauma Patient
Venerdì, 5 marzo 2010, ore 14.30
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Traumatic events, such as motor vehicle accidents, penetrating injuries,
animal bites, and surgical procedures, are common presenting complaints in
small animal emergency medicine and surgery. The degree of physiologic
compensation should be proportional to the extent of the trauma experienced. An animal may appear to have suffered only mild injury on the surface while internally, life-threatening changes are occurring. Traumatic injuries, such as pneumothorax, pericardial tamponade, ongoing hemorrhage,
burns, and brain injury, will complicate therapy and increase the possibility
of treatment failure.
INITIAL ASSESSMENT
Upon arrival, triage parameters (airway, breathing, circulation, level of
pain, level of consciousness) are immediately assessed. A primary survey assesses these parameters within 30-60 seconds and determines the need for immediate intervention. Pale, grey, or blue mucous membrane color, capillary
refill time <1 second or >2 seconds, weak pulse quality, and tachycardia are
clinical signs associated with perfusion abnormalities. Jugular veins should be
assessed for distention since flat jugular veins that cannot be raised indicate
severe hypovolemia, whereas jugular veins that are overly distended indicate
high intrathoracic pressure (tension pneumothorax, pericardial tamponade, intrathoracic mass), or venous obstruction. Life threatening complications requiring immediate intervention that can be identified on primary survey of the
trauma patient include: airway obstruction, tension pneumothorax, fulminant
hemorrhage, brain injury, and brady- or tachy- arrhythmias.
Rapid intervention is based on assessment of perfusion and correction of
the causes of perfusion abnormalities, and a high index of suspicion for hemorrhage is a priority in trauma patients. Internal, less obvious hemorrhage is
assumed when there is evidence of a hemothorax on thoracocentesis, increased and/or moist lung sounds or hemoptysis caused by pulmonary contusions, an abdominal fluid wave, or a decreased total protein with or without
an anemia. Gross evidence of hemorrhage, traumatized tissue, and reduced
packed cell volume (PCV) and total protein are indicators of hypovolemia due
to blood loss. An initial total protein <6.5 g/dL in the trauma patient, with or
without an anemia, suggests hemorrhage. Splenic contraction following catecholamine release during shock and pain can release sequestered red blood
cells into the circulation in the dog and mask laboratory signs of hemorrhage.
Increased lactate and/or base excess indicate inadequate tissue perfusion, and
lack of rapid correction can indicate a poor prognosis. Once the trauma pa101
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tient has had stabilization of primary survey problems, the veterinary team
can obtain a complete patient history, vital signs (including arterial blood
pressure), complete physical examination findings, and an emergency laboratory database which will provide additional clues that can be used to guide
therapy.
RESUSCITATION
Consequences of trauma that can affect perfusion include: airway compromise, pneumothorax, pulmonary contusions, myocardial contusions, hemorrhage, massive tissue damage, pain, and head injury. Major bleeding vessels
are clamped or ligated and bleeding wounds are covered with a compression
wrap. Abdominal hemorrhage may be slowed using pelvic limb abdominal
counterpressure (Herold, 2008).
Virtually every animal that has experienced a traumatic event will benefit from analgesia. Pain will strongly stimulate the sympathetic system,
magnifying the shock response (Mathews, 2001). The level of pain is evaluated by examining posture, response to palpation, heart rate, and respiratory rate. Intravenous administration of pure mu agonists (e.g. morphine,
hydromorphone, fentanyl) provides a high level of analgesia and can be
titrated to effect. It is rare that unwanted side effects are seen, however titration of the reversal agent (naloxone 0.02mg/kg IV) can be used to reduce
unwanted effects of the opioid. Combining opioids with midazolam (0.1
mg/kg IV) or diazepam (0.2 mg/kg IV), which are also reversible (flumazenil 0.1 mg/kg IV), provides a combined effect that can reduce the overall
dose of opioid needed.
Hypovolemia can result from maldistribution of blood flow, increased
vascular permeability, and/or hemorrhage. A combination of crystalloids,
colloids, and/or blood products is the cornerstone of resuscitation of perfusion deficits. The choices of fluids to infuse are numerous. Therapy must
be individualized and monitoring continuous. The type and dose of fluid
will depend on the condition of the patient, severity of trauma, volume of
blood lost, and anticipated complications. Selecting the appropriate fluids
to administer is the first step in creating the fluid therapy plan. Catastrophic hemorrhage will require rapid infusion of whole blood, packed red blood
cells, and/or Oxyglobin® (Biopure Corp, Cambridge, MA) while hemostasis is achieved.
Without catastrophic hemorrhage, balanced isotonic crystalloids (e.g. Plasmalyte-A or Normosol-R) are infused to provide water and electrolytes to the
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interstitial tissues and intravascular compartment. Although lactated Ringer’s
solution contains a buffer, there is some evidence that it can exacerbate neutrophil superoxide burst activity and increase neutrophil adherence, potentially
promoting the inflammatory phase of trauma. The degree of vascular damage
may not be recognized during the initial assessment. With doses necessary to restore and maintain intravascular volume, using crystalloids alone may result in
edema as fluid transitions into the interstitial space through leaking capillaries.
Using colloids in conjunction with crystalloids will preserve intravascular colloid osmotic pressure with less fluid volumes needed.
Natural colloids include whole blood, plasma products, concentrated human albumin solutions and Oxyglobin®, and synthetic colloids include dextran 70 and hydroxyethyl starches (HES; Hespan®, Hextend®, 10% pentastarch). The authors prefer to use hydroxyethylstarch products or Oxyglobin® during fluid resuscitation of the trauma patient. Experience has shown
that the amount of Oxyglobin® required for resuscitation is approximately 1/3
of that required when using hydroxyethyl starch due to its vasoconstricting
property. Bleeding times may increase in animals given non-plasma containing colloids and should be monitored in animals requiring surgery or with
concern for hemorrhage. Transfusion of fresh frozen plasma can be used to
restore normal clotting times.
In general, when the PCV acutely falls below 25% (hemoglobin; Hg <
8g/dL) in the trauma patient, a blood transfusion will be needed. Ideally a
cross match and blood typing are performed to reduce the risk of a transfusion reaction; however, time may not permit testing during catastrophic hemorrhage. When blood typing is not possible, administration of DEA 1.1 negative is ideal, since this will invoke the least antigenic response in the untyped
dog requiring multiple transfusions. Oxyglobin® can be administered when
blood products need to be prepared or are not immediately available.
Hypertonic (7%) saline (4-7 ml/kg) can be used as an adjunct for rapid volume resuscitation. The concentrated salt solution provides an instant osmotic
pull transferring interstitial and intracellular fluid into the intravascular compartments. This osmotic effect may reduce intracranial pressure in the head
injured patient with intracranial signs. It may also blunt immunologic and inflammatory effects when used in conjunction with Dextran in people suffering traumatic hemorrhagic shock. However, the rapid increase in intravascular volume may be analogous to large volume isotonic crystalloid infusion,
and increase bleeding from injured vessels. It may be most useful combined
with colloids for immediate resuscitation after catastrophic trauma.
Aggressive or excessive rate and volume of fluids has been reported to result in significant consequences to include: a rapid increase in hydrostatic
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pressure, displacement of tenuous clots, dilution of coagulation and oxygencarrying factors, decreased blood viscosity, and increased mortality. Fluid
infusion volumes are titrated to prevent rapid increases in hydrostatic pressure. End-point resuscitation parameters (Table 1) are used to provide adequate blood flow to vital organs without exacerbation of hemorrhage (Pritte,
2006). Low-normal arterial blood pressure values are targeted. This approach may reduce the need for surgical intervention to control internal
hemorrhage.
Hypothermia can reduce vasoreactivity and platelet adhesion, especially in
cats. Rapid rewarming of the patient to at least 99 degrees F (37 degrees Celsius) should occur after administration of the initial fluid dosages.
TABLE 1. TARGETED END-POINT RESUSCITATION
PARAMETERS IN THE TRAUMA PATIENT
Parameter
Resuscitation and Point
Mentation
alert
Heart Rate (beats/minute)
Dog: 80-140
Cat: 180-220
Mucous Membrane Color
pink
Capillary Refill Time (seconds)
1-2
0
Rectal temperature ( F)
99-101
Mean Arterial Blood Pressure (mmHg)
60-80
Systolic Arterial Blood Pressure (mmHg)
90-100
Central Venous Pressure (cm H2O)
5-10
Urine Output (ml/kg/hr)
>1
SpO2 (%)
> 97
ScvO2 (%)
< 65
PCV (%)
> 25
Hemoglobin (g/dL)
>8
Lactate (mmol/L)
<2
pH
> 7.32
Base deficit (mEq/L)
-2-+2
Colloid Osmotic Pressure (mmHg)
14-20
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ADDITIONAL CARE
All wounds should be covered in sterile KY jelly to prevent desiccation
followed by placement of some form of dressing (preferably sterile). Most
wound infections come from the hospital environment and protecting the
wounds can decrease the incidence of wound complications. Once the patient
is stable the wounds should be clipped and cleaned and ALL penetrating
wounds should be surgically explored. Distal limb fractures should be splinted as soon as possible and should be splinted prior to taking radiographs.
Newspaper or bubble wrap secured with tape makes light-weight effective
splints that can be placed rapidly. Radiographs can be taken through both of
these materials.
Signs of head injury include bleeding or wounds involving the head, altered mentation, and cranial nerve deficits. When signs of head injury exist,
then the first order of priority includes promoting cerebral blood flow by
maintaining mean arterial pressure between 80-100 mmHg (systolic arterial
blood pressure 100-120 mmHg). When mid-brain signs (mydriasis of one or
both pupils), or severely reduced level of consciousness occur, then mannitol
infusion may be of benefit (100-250 mg/kg IV). Care is taken to minimize increases in intracranial pressure. The head and neck are kept in a slightly raised
position (~30 degrees) with little manipulation, the patient is not allowed to
become agitated or thrash, and the jugular veins are not occluded.
Additional diagnostic evaluation may include a FAST (focused abdominal
sonography for trauma) which is very useful for determining the presence of
free abdominal fluid and T-FAST (thoracic FAST) (Boysen, 2004). Survey radiographs (lateral thorax, abdomen, pelvis) are taken initially to identify obvious internal and skeletal changes. Once the patient is cardiovascularly stable, additional views and extremity views are taken.
Once end-point resuscitation parameters have been reached, the initial
database has been evaluated for baseline values, wounds have been protected,
and imaging results assessed, then vigorous monitoring is instituted for early
detection of potential relapse.
MONITORING
The trend of change in physical, measured, and laboratory parameters of
perfusion must be evaluated together, and a clinical impression made. Focusing on a single parameter will lead to under- or over- resuscitation and can
contribute to morbidity and mortality. For example, it is easy to misinterpret
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a normal arterial blood pressure as an indicator of adequate perfusion. However, when it is associated with an elevated heart rate, blood pressure is being
maintained at the expense of a tachycardia.
Physical examination parameters (heart rate, pulse palpation, mucous
membrane color, capillary refill time, and rectal temperature) are the most reliable indicators of change in perfusion status. Evaluation of the respiratory
and neurological status may identify non-circulatory influences on perfusion.
Measured parameters that can provide information regarding the intravascular fluid and perfusion status can include arterial blood pressure, central venous pressure, oximetry (pulse and central venous), and urine output. Recording and identifying trends of change illuminates the need for intervention.
It has been reported that despite normalization of physical and measured
parameters, up to 85% of severely injured human trauma victims can have inadequate tissue oxygenation (Abou-Khalil, 1994). Metabolic acidosis, lactatemia, base excess elevation and abnormal central venous hemoglobin oxygen saturation parameters indicate local tissue ischemia, and the need for additional resuscitative measures and/or blood transfusion should be investigated. Frequent and repeated monitoring of the PCV can indicate ongoing hemorrhage if a decrease seems in excess of dilution from fluids.
On-going fluid loss is the most common cause of failure to reach resuscitation end-points or shock relapse. Hemorrhage, compartment syndrome,
third-space fluid loss are all potential causes of fluid loss in the trauma patient. Control of ongoing hemorrhage may require emergency surgical intervention.
When large volumes of fluid have been administered, and/or central venous pressure is 8-10 cm H2O, causes other than inadequate fluid resuscitation must be investigated for. Hypoxia (pulmonary contusions, anemia), hypothermia, myocardial dysfunction (dysrhythmias, cardiac tamponade, contusions) and brain trauma are not uncommon in the trauma patient, and can contribute to inadequate perfusion. Vasopressors such as Oxyglobin® (3-5 ml/kg
IV), arginine vasopressin (0.5 ug/kg/min continuous rate infusion) or
dopamine (5-10 ug/kg/min IV continuous rate infusion), and occasionally
positive inotropes, such as dobutamine (2.5-5 ug/kg/min IV continuous rate
infusion) may be necessary once there is adequate intravascular volume.
After perfusion is restored fluid infusion is continued using a continuous
infusion of replacement isotonic crystalloids and synthetic colloids. Post-resuscitation fluid therapy is now focused on meeting the metabolic needs of
healing tissue, replacing ongoing losses, maintaining COP and limiting the
loss of fluid. In general, replacement crystalloids are infused at rates to maintain hydration, and replace ongoing losses. Hydroxyethylstarch infusion (0.8106
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1 ml/kg/hr) can maintain colloid osmotic pressure during the catabolic phase.
Nutritional support should be provided as soon as possible.
REFERENCES
Abou-Khalil B, Scalea TM, Trooskin SZ, et. al. Hemodynamic responses to shock in young
trauma patients: Need for invasive monitoring, Crit Care Med 1994; 22(4):633-639.
Boysen SR, Rozanski EA, Tidwell AS, et. al. Evaluation of focused assessment with sonography for trauma protocol to detect free abdominal fluid in dogs involved in motor vehicle
accidents. J Am Vet Med Assoc 2004; 225(8): 1198-1204.
Herold L, Devey J, Kirby R, Rudloff E. Clinical evaluation and management of hemoperitoneum in dogs. J Vet Emerg Crit Care 2008 18(1):40–53).
Kirby R, Rudloff E: Crystalloid and colloid fluid therapy. In Ettinger S, Feldman E, Textbook
of Veterinary Internal Medicine (4th ed) 2005; pp412-423.
Mathews, K: Management of pain. Vet Clin North Am [Small Anim Pract] 30:4, 2001.
Pritte J. Optimal endpoints of resuscitation and early goal directed therapy. J Vet Emerg Crit
Care 2006; 16(4):329-339.
Address for correspondence:
Animal Emergency Center & Specialty Services
414-540-6710
Glendale, WI
E-mail: [email protected]
www.animalemergencycenter.com
www.veccs.org
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Elke Rudloff
DVM, Dipl ACVECC
Glendale, Wisconsin
Gestione
del distress respiratorio
di origine cardiaca
Management of Congestive
Heart Failure
Sabato, 6 marzo 2010, ore 9.00
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Congestive heart failure (CHF) is the inability of the heart to provide cardiac
output adequate to meet the metabolic needs of the body. The emergency veterinarian may see animals with acute heart failure, chronic heart failure with an
acute exacerbation of symptoms, and animals with heart failure presenting for
another reason. Heart failure syndrome can be a result of systolic or diastolic
dysfunction. Common causes in small animals include dilated cardiomyopathy
(DCM), hypertrophic cardiomyopathy (HCM), unclassified form cardiomyopathy (UCM), right ventricular cardiomyopathy, and mitral valve insufficiency
(MVI). Concurrent arrhythmias will exacerbate myocardial disease. The criticalist must understand the pathophysiologic mechanisms involved in the heart failure syndrome to appropriately treat and educate pet owners.
PATHOPHYSIOLOGY
Many symptoms of CHF that occur are not caused by low cardiac output due
to compromised myocardial function, but by overly active compensatory mechanisms. Initially, these compensatory mechanisms are beneficial, and maintain
blood flow to vital organs. When carried to excess, the compensatory mechanisms lead to exacerbation and progression of the heart failure state. In addition,
the compensatory mechanisms can fail when conduction abnormalities prohibit adequate myocardial contraction or result in pulmonary edema. Significant
edema promotes pulmonary hypoxia as a result of diffusion impairment, ventilation perfusion mismatching, and airway obstruction.
Valvular insufficiency, likely the most common cause of CHF seen in the
emergency room, is a disease problem primarily in dogs. The mitral valve is
most commonly affected, although tricuspid valve insufficiency occurs in
about 1/3 of the cases. An incompetent mitral valve results in regurgitation of
blood from the left ventricle into the left atrium during systole. Left atrial and
pulmonary venous pressures increase. The ventricle dilates to compensate for
the increased end diastolic volume, the myocardium thickens to compensate
for the increase end-diastolic volume, and contractility will increase to compensate for the increase in end-diastolic pressure. Pulmonary edema results
when pulmonary venous pressure promotes fluid flow into the lung interstitium and alveolus, exceeding the ability of the pulmonary lymphatics to remove the increased interstitial fluid. Significant stretching of the chordae tendinae can result in cord rupture and acute, severe pulmonary edema. In the
progressive disease state, the compensatory responses may fail and result in
myocardial muscle failure.
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Dilated cardiomyopathy (in dogs, cats, and ferrets) is characterized by
ineffective contractility of the ventricle resulting in reduced cardiac output.
The reduction in forward flow causes sympathetic stimulation (increased
heart rate, vasoconstriction). End-diastolic filling pressures increase as a result of ventricular dilation, resulting in increased stroke volume. When the
disease progresses, the dilated muscle is no longer able to push the blood forward (systolic failure) and left atrial and pulmonary venous pressures increase. Pulmonary edema results when pulmonary venous pressure promotes
fluid flow into the lung interstitium and alveolus, exceeding the ability of the
pulmonary lymphatics to remove the increased interstitial fluid.
Hypertrophic cardiomyopathy, primarily a disease problem in cats, is
characterized by thickened left ventricular walls and papillary muscles. This
reduces diastolic filling volume, increases atrial volume, and reduces forward
flow through the aorta (diastolic failure). With severe thickening of the
subaortic interventricular septum, the anterior mitral valve leaflet can be held
open during systole, causing an outflow obstruction (SAM: systolic anterior
motion of the mitral valve). Left atrial and pulmonary venous pressures increase. Pulmonary edema results when pulmonary venous pressure promotes
fluid flow into the lung interstitium and alveolus, exceeding the ability of the
pulmonary lymphatics to remove the increased interstitial fluid.
Unclassified form cardiomyopathy, a disease problem in cats, is characterized by changes that fail to fit outside of the normal definitions of DCM or
HCM. Wall thickness may be normal, chamber size may be normal or dilated, contractility may be normal or decreased, and there is typically a dilated
left atrium.
When heart disease results in poor forward flow, the organs experience inadequate perfusion. Compensatory mechanisms are activated in the systemic
circulation, including vasopressin secretion, renin-angiotensin-aldosterone
system stimulation, and sympathetic stimulation. The result is sodium and
water retention and venoconstriction increasing preload, systemic vascular resistance, and afterload. Although initially compensatory, the increase in preload and afterload exacerbate myocardial failure by increasing congestion and
impeding forward flow in the already compromised ventricle.
Arrhythmogenic right ventricular cardiomyopathy, a disease affecting
the right ventricular myocardium has been described in cats and boxers. Atrophy of the right ventricle and fibrous/fatty replacement leads to right heart
atrial and ventricular enlargement and reduced cardiac reserves resulting in
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right heart failure. The disease can progress to involve the left side of the
heart. A variety of arrhythmias can also be found.
Clinical signs associated with heart failure are related to the low cardiac
output and pulmonary hypoxemia. Weakness, lethargy, pale mucous membranes, and prolonged capillary refill time may be evident. Increased filling
pressures (preload) on the left side of the heart results in signs of pulmonary
congestion: tachypnea, labored breathing, cough, tachycardia, heart murmur,
and moist lung sounds may be heard on auscultation. Increased filling pressures on the right side of the heart result in signs of systemic congestion: pleural effusion, ascites, tricuspid murmur, vomiting, jugular venous distension,
and hepatomegaly.
INITIAL RESUSCITATION
On presentation a primary survey is rapidly performed while supplemental oxygen is administered. Severe CHF can result in perfusion deficits, inadequate oxygenation and significant work of breathing. Significant pulmonary
edema, alveolar edema and overflow of fluid into the major airways can result in coughing with expectoration of serous fluid, significant airway obstruction and respiratory collapse. Catastrophic CHF will require intubation,
positive pressure ventilation with 100% oxygen supplementation, airway suctioning, and postural drainage until congestion has been resolved.
Medication used to obtain airway control should not compromise the cardiovascular system. Etomidate (0.5-2.0 mg/kg IV), or a neuromuscular blocker (pancuronium 0.02-0.04 mg/kg IV) in combination with a sedative (diazepam 0.2 mg/kg IV) has the least effect on the cardiovascular system when
used for obtaining an immediate airway.
The goal of acute CHF therapy is to improve gas exchange and forward
flow. If respiratory distress is not imminently catastrophic, oxygen is administered and the animal is allowed to adjust to its surroundings. Many times a
step-wise approach to the evaluation and treatment is required to minimize
added stress. Sedatives, such as butorphanol (0.2-0.4 mg/kg IV or IM), can be
safely used to reduce anxiety and the work of breathing. Thoracocentesis is
performed when pleural effusion is suspected. An intravenous catheter is
placed for administration of medication.
Poor tissue perfusion will delay absorption of medication administered
via IM/SC injection and via the oral route. If IV injections are unable to be
administered the IM route is used into the epaxial muscles, which have a concentrated blood supply.
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Initial treatment of CHF is essentially the same, regardless of the underlying myocardial disease and focuses on improving pulmonary function. Oxygen as well as preload and afterload reducers are the cornerstone treatments
of acute CHF. Antiarrhythmic medication may be required when arrhythmias
are contributing to poor perfusion.
PRELOAD REDUCTION
Preload is effectively reduced by the administration of diuretics, which
work in the renal tubule and promote excretion of sodium and water through
the urine. Furosemide (4 mg/kg IV initial dose, followed by 2 mg/kg at 2 and
4 hours later, then 1-2 mg every 8 hours) is commonly used and quite effective at inducing diuresis. A constant rate infusion (CRI) may also be effective,
at a rate of 1mg//kg/min after a 2 mg/kg bolus injection. Side effects of aggressive diuretic administration include dehydration, hypokalemia, hypomagnesemia, and further exacerbation of the renin-angiotensin-aldoseterone systema conditions that can further exacerbate myocardial disease. Providing
maintenance fluid administration with replacement or maintenance isotonic
crystalloids, and monitoring hydration and correcting electrolyte abnormalities is important for limiting these side effects.
Venodilators pool blood in the capacitance veins, decreasing the volume of
venous return to the heart. Ventricular filling pressure decrease and congestive
signs improve. Some clinicians will apply nitroglycerin paste (0.5 cm for
cats and small dogs, 1 cm for medium to large sized-dogs every 6 hours, followed by a 12 hour break) can be topically applied to the ears, directly on the
skin or on the oral mucous membranes for rapid absorption. Injectable nitroglycerin is used in humans, but there is limited clinical experience in animals.
AFTERLOAD REDUCTION
Arterial dilators are also used in stabilizing the acutely decompensated
CHF animal. In a normal animal, an increase in ventricular filling pressure
produces an increase in cardiac output, until a high filling pressure is reached.
In an animal with a failing heart, cardiac output plateaus at a lower filling
pressure. Systemic vascular resistance increases significantly due to the low
cardiac output, increasing myocardial work during ejection. Arterial dilators
facilitate unloading of the left ventricle and improves pumping performance.
A systolic pressure >90 mmHg is ideal prior to administration.
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Hydralazine (1-2 mg/kg orally every 12 hours) can be administered during
the recovery phase to the animal accepting oral medication. However, when oral
administration is not possible, or respiratory distress is moderate to severe, a
balanced injectable vasodilator such as nitroprusside is recommended.
Nitroprusside infusions are particularly helpful in treating the animal
with acute heart failure that is severely decompensated (lungs have a radiographic appearance of a “white out”, respiratory failure is imminent), such
as is seen with a ruptured chordae tendinae. Nitroprusside provides the benefit of rapid initiation and upward titration, as well as gradual down titration
until oral vasodilator therapy can begin. Continuous arterial blood pressure
monitoring is essential to prevent significant hypotension. Response may be
poor in the animal that is volume depleted, or is truly end-stage. Potential
side-effects with chronic nitroprusside administration include hypotension
and cyanosis. These are usually self-limiting once the nitroprusside is discontinued, due to its rapid half-life.
A continuous rate infusion (0.5-10 mcg/kg/min) is administered, with frequent (every 5 minute) arterial blood pressure monitoring. The rate is increased by 0.5-1 mcg/kg/min every 5-10 minutes as long as the systolic arterial blood pressure remains above 90 mmHg. Once the respiratory effort and
perfusion improves, the dose is maintained until oral medications can be instituted. The drug is then weaned over 4-6 hours to prevent rebound hypertension. If the blood pressure falls below 90 mmHg, the dose is decreased to the
previous dose given, and an assessment of intravascular volume made.
In animals with MVI and severe CHF, decreasing afterload may be particularly beneficial because this decreases the regurgitant fraction, producing an increase in forward flow without change in left ventricular function. Hypotension
and renal insufficiency are potential side effects of vasodilator treatments.
Prior to using vasodilators, adequate ventricular volume is necessary or vasodilation can further compromise perfusion. Hypovolemia is most commonly seen in chronic heart failure animals receiving daily diuretics and vasodilators that may have stopped eating and drinking. Careful assessment of intravascular volume may expose an underlying hypovolemia requiring careful
fluid administration, and rarely fluid resuscitation using small boluses of a
synthetic colloid.
Although treatment of CHF is initially the same (using preload and afterload reducers), definitive treatment of the pump failure in systolic and diastolic dysfunction is entirely different. Systolic dysfunction may require the
use of a positive inotrope, and diastolic dysfunction may require the use of a
negative inotrope to control pump function. Basic knowledge and availability
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Il paziente ospedalizzato dalla terapia intensiva alla riabilitazione
of cardiac ultrasound evaluation becomes essential for definitive treatment of
the pump failure. This is especially the case in the cat, which can present with
either systolic or diastolic pump failure.
POSITIVE INOTROPES
Additional administration of positive inotropes is necessary for animals
with decompensating systolic failure, such as occurs with DCM, decompensating MVI, and systemic inflammatory response syndrome.
Intravenous dobutamine is primarily a synthetic beta1-agonist, and increases stroke volume. Its effect on blood pressure is primarily indirect, with
an increase in pulse pressure. Dobutamine (cat: 1-5 mcg/kg/min, dog: 5-10
mcg/kg/min) will increase cardiac output and blood pressure, and can be followed by nitroprusside administration (see above) once hypotension is resolved. The dose is increased every 3-5 minutes when the desired effect is
not reached, and after the effect of the previous dose has been recorded. The
goal is to maintain a systolic arterial blood pressure > 90 mmHg, and limit
tachycardia. When used in combination with nitroprusside, the reduction in
filling pressure with the increase in stroke volume effectively reverses the
signs of CHF.
Intravenous dopamine also has beta1-agonist effects at a rate > 5 mcg/kg/
min. It can be effective at increasing stroke volume, however it tends to increase left ventricular filling pressures due to its alpha1-agonist effects. Therefore, dopamine is ideal for treating cardiogenic shock, where profound hypotension and myocardial failure both exist.
Oral inotropes, such as digoxin are administered when patient stabilization
has occurred, and prior to reduction in intravenous medication.
INODILATOR
Pimobendan (Vetmedin) is a benzimidazole pyridazinone derivative. It
causes vasodilation through phosphodiesterase III inhibition and it causes an
increase in cardiac contractility through increased Ca++ sensitization of the
cardiac myofilaments. There is also mild inhibition of phosphodiesterase V
activity. The increase in contractility is achieved by increasing the efficiency
within the cardiac myofibrils without an increase in myocardial energy requirements. This is an important distinction from adrenergic agents that increase contractility but cause the cardiac myocyte to use more ATP. The va114
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sodilator effect of pimobendan reduces both afterload and preload. The vasodilation that occurs involves both the peripheral and coronary vasculature.
Pimobendan should be used only in dogs that are symptomatic for heart
failure (modified NYHA class II-IV). The recommended dose is 0.250.35mg/kg BID. The drug is used in both dogs with DCM and chronic valvular heart disease. It probably should not be used in conjunction with other
phosphodiesterase inhibitors (e.g. theophylline, aminophylline, etc) and
should not be used concurrently with sympathomimetic inotropic agents (e.g.
dobutamine). Adverse side effects that have been reported after clinical use include: tachycardia, vomiting, diarrhea, inappetence, incoordination, convulsions, polyuria and polydypsia.
NEGATIVE INOTROPES
Beta-adrenergic blockers, such as atenolol, esmolol and propranol, as well
as calcium channel blockers, such as diltiazem are used in cases of diastolic
failure (HCM) to decrease heart rate, prolong diastole, and increase passive
filling. Because of their vasodilating ability, they are used cautiously during
the acute congestive failure. Unfortunately DCM cannot be readily distinguished from other forms of cardiomyopathy in the cat with radiographic interpretation alone, and there is still a significant incidence of DCM in the feline population. Therefore, once congestive signs have improved with diuretics and venodilators, an echocardiogram is recommended to determine if
there is an absolute requirement for these medications.
Address for correspondence:
Animal Emergency Center & Specialty Services
414-540-6710
Glendale, WI
E-mail: [email protected]
www.animalemergencycenter.com
www.veccs.org
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Il paziente ospedalizzato dalla terapia intensiva alla riabilitazione
Elke Rudloff
DVM, Dipl ACVECC
Glendale, Wisconsin
Gestione
del distress respiratorio
e versamento pleurico
Respiratory Distress.
Localization of lesion and Interventions
Sabato, 6 marzo 2010, ore 9.50
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Il paziente ospedalizzato dalla terapia intensiva alla riabilitazione
Primary survey of the emergent animal consists of evaluating the “ABC’s”
- Airway, Breathing, and Circulation. Performing chest or cardiac compressions without establishing an airway and positive pressure ventilation is
counter-productive, unless agonal respirations are occurring. The process of
obtaining radiographs or performing other diagnostic techniques in the patient
with respiratory failure can be life-threatening. It may be necessary to sedate
or lightly anesthetize a patient with acute respiratory distress (ARD) in order
to provide a patent airway and adequate oxygenation and ventilation during
assessment and treatment.
Preparation is the key to success. For respiratory emergencies, the triage
area should have the following tools within easy reach, either in a crash cart
or crash box:
• Stethoscope
• Oxygen connected to tubing that can be attached to an ambu bag
• Foreign body retrieval forceps: Sponge or Velsellum forceps
• Suction apparatus with Yankauer tip and flexible rubber tip
• Endotracheal and tracheostomy tubes of varying size with cuff-inflating syringes and stylets in place
• Laryngoscope with various blade sizes
• Several sized ambu bags
• Minor surgical packs for performing thoracic tube placement or tracheostomies
• Thoracocentesis apparatus
• Syringes and heparin for taking arterial blood gas samples
• ECK, pulse oximeter, end-tidal CO2 monitor
• Several sized red rubber or polypropylene tubes for nasal cannulation and
suture material to place them
• Several sized hood oxygen and nasal oxygen prongs
• Furosemide and nitroglycerin paste
• Several sized catheters, 1.5” 18 and 22g needles
• Local anesthetics, injectable sedatives, anesthetics and analgesics
Triage involves prioritizing incoming patients according to severity of injury. Primary survey consists of assessing airway, breathing, and circulation
(ABC), level of consciousness (LOC), and extent of external injuries. Immediate triage and treatment is required for patients suffering ARD. One of the
greatest challenges facing the emergency veterinarian is quickly localizing the
region of respiratory distress. By utilizing basic observation techniques, rapid assessment and appropriate treatment can be initiated.
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Clinical signs suggesting respiratory disease can be subtle or obvious. Initially there may be an increased respiratory rate and/effort. The animal may
appear anxious. Animals may start to breathe through their mouth, pulling
back their lips to maximize air exchange, and the nostrils may flare with each
inhalation. The dog may refuse to lay recumbent, and stand with the thoracic
limbs abducted. Cats may sit up or with their sternum off the table. When respiratory distress becomes more severe, there may be visible scalloping of the
ribs as the intercostal muscles are recruited in the effort.
Regardless of the initiating cause, or localization of lesion, the emergency team should always provide oxygen while the animal is being evaluated. The animal should be allowed to maintain a position of comfort. Restraint and stressful procedures are minimized, or performed in a step-wise
fashion, allowing the animal to recover in-between procedures. Localization
of the distress and immediate treatment is preferred over extensive diagnostics. For example, radiographs should not be performed on an animal with
a distressing pneumothorax or pleural effusion until thoracocentesis has
been performed.
Is there an open airway?
NO: If there is an obvious foreign body causing an oropharyngeal obstruction, it should be removed digitally or using a sponge forcep. The Heimlich
maneuver is performed if there is difficulty in removing it. A fist is placed under the xyphoid and quick, short thrusts are made in a cranio-dorsal direction
and the oropharynx swept with the finger or forcep.
If there is functional obstruction (e.g. oropharyngeal or cervical swelling)
then oral or tracheal intubation should be performed and 100% oxygen administered. In situations of a partially conscious animal, mild sedation utilizing intravenous titrated doses of propofol or etomidate, with diazepam/midazolam
may be necessary to facilitate intubation. Bilateral pulmonary auscultation after intubation is essential to ensure that inadvertent bronchial intubation has
not occurred. Breathing is then assessed.
YES: Breathing is assessed.
Is the animal breathing?
NO: The animal should receive 2 full breaths with mouth to nose administration. If spontaneous breathing does not occur, orotracheal intubation is
performed and positive pressure ventilation initiated with 100% oxygen administration. Positive pressure ventilation by hand bagging to an inspiratory
pressure of 15-20 cmH2O for the dog and 10-15 cmH2O for the cat is required.
Fluid in the airways will increase pressure requirements, and suctioning
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should be performed. Respiratory arrest is not always associated with cardiac
arrest. When it is determined that there is no heartbeat, then CPCR measures
are instituted. When the heart is beating, the chest is evacuated of air or blood.
If pleural fluid or air is suspected, careful thoracocentesis should be performed before any radiographs are taken. A negative tap does not necessarily
indicate a normal pleural space. Persistent pneumo- or hemo-thorax requires
thoracostomy tube placement. In cases of tension pneumothorax, a small incision is made for immediate release of pleural air until a chest tube can be
placed and continuous suctioning supplied. Mechanical ventilation will insure
adequate tidal volume in this case.
YES: Breathing pattern is assessed.
BREATHING PATTERNS
Breathing heard without a stethoscope
A. Loud inspiratory stridor: This pattern suggests upper airway disease
involving the pharynx, larynx, nose or extrathoracic trachea. Many times the
respiratory rate is normal, unless there is hyperthermia. Auscult the trachea
and lung fields. An increased inspiratory sound will be heard over the trachea
and larynx. Partial obstruction involving the upper airway is the main rule out.
Causes include swelling of the oropharynx, foreign body, mass, pharyngeal
polyp, laryngeal paralysis, epiglottic entrapment, lymph node enlargement, or
cervical tracheal collapse. Treatment includes providing O2 by nasotracheal or
transtracheal catheter and identifying the underlying cause. Many times a
good pharyngeal exam is not possible without sedation, at which point the clinician should be prepared to intubate or perform a tracheostomy until a normal airway passage can be established.
B. Loud expiratory stridor: This pattern suggests intrathoracic airway
disease affecting the intrathoracic trachea, and primary and secondary
bronchi. Many times the respiratory rate is normal, unless there is hyperthermia. Causes include intrathoracic tracheal collapse, foreign body, or mass lesion. Initial treatment includes providing O2 by nasotracheal or transtracheal
catheter and identifying the underlying cause. Sedation with butorphanol (0.4
mg/kg IV) or midazolam (0.2 mg/kg IV) may be necessary to reduce the anxiety of respiratory distress. It is possible that rapid airway control is necessary.
A long endotracheal tube is used, and gently inserted past the obstruction if
possible. Emergency parasternotomy may be necessary if extrathoracic orotracheal intubation is unsuccessful.
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Breathing sounds heard with a stethoscope
C. Labored inspiration with outward abdominal movement during inspiration: This pattern suggests pulmonary parenchymal disease. Many times
the respiratory rate is increased. Auscultation of the pulmonary fields may localize a problem, and careful cardiac auscultation may suggest underlying
myocardial disease (heart murmur, arrhythmia). Moist lung sounds suggest
fluid in the parenchymal space such as edema or blood. Fluid can overflow into the alveolar space, and upper airway noises may be heard. Normal lung
sounds coupled with normal radiographs, but a low pO2 may suggest pulmonary thromboembolism. Supplying nasal or hood O2 is ideal, and treatment
of the underlying cause is required. Radiographs, pulse oximetry, and blood
gas analysis may help determine the cause. Occasionally intubation and positive pressure ventilation (+/- positive end expiratory pressure) is required to
provide adequate oxygenation, allow a means to suction the airway, and control pCO2.
D. Labored inspiration with inward abdominal movement during inspiration: This pattern suggests pleural space disease. Pulmonary auscultation in
the cat can be varied. The ventral neck should be clipped, and the jugular veins
visualized and palpated. Jugular distension can occur in situations of right heart
failure or increased pleural pressure, such as with pericardial effusion, pneumothorax, hemothorax, pseudochylothorax, and chylothorax. The neck should
be palpated for crepitus suggesting subcutaneous emphysema from an external
wound, or a pneumomediastinum. In general the lung sounds will be decreased
or friction rubs may be heard. Oxygen should be supplied and thoracocentesis
performed prior to radiographs and/or echocardiogram. If repeated taps are required, or a negative suction is not established, then thoracostomy tube placement is indicated. If chylous or clear fluid is retrieved, a standing lateral radiograph will give a good picture of the mediastinal area. Cytology and fluid
analysis is performed on any retrieved fluid. Thoracic ultrasound may identify
mediastinal or intrathoracic masses.
E. Short inspiration and prolonged expiration: This pattern suggests
small airway disease (bronchi and bronchioles). Pulmonary auscultation may
reveal high pitched wheezes and clicks. Inflammatory or allergic bronchitis,
asthma, bronchopneumonia, chronic obstructive pulmonary disease, smoke
inhalation, and anaphylaxis are considered as causative diseases. Immediate
treatment consists of O2 supplementation, bronchodilators, +/- steroids and
pursuing an underlying cause. Radiographs help distinguish asthma from a
potential infectious cause. Allergic bronchitis may be overshadowed by an infectious infiltrate.
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F. Aggressive attempts to inhale with less than expected chest expansion:
This breathing pattern is seen most commonly with respiratory neuromuscular
abnormalities. Pulmonary auscultation may reveal gut sounds in the thorax or
unilaterally quiet lung sounds with a diaphragmatic hernia. Radiographs may
confirm a tear in the diaphragm, or a diaphragmatic abnormality. An “anxious”
expression and tetraparalysis may suggest a C4-6 lesion with paralysis of the
phrenic nerve. Other causes include an infectious or toxic myopathy/neuropathy,
chest and abdominal pain, and metabolic diseases. Treatment consists of O2 supplementation, and ventilation support if necessary. Diaphragmatic hernias require immediate surgical repair if they are compromising ventilation.
Thoracocentesis
• Equipment: clippers, sterile prep, local anesthetic injection, 18-22g 1.5” needle,
extension tubing connected to a 3-way stop cock and 60cc syringe, bowl and
sterile lab collection tubes for fluid analysis
• An area is clipped and prepared bilaterally over the lateral 8th-9th intercostal spaces
• A local anesthetic block is placed
• The hub of an 18-22g 1.5” needle is filled with sterile saline and inserted into the skin
• The needle is inserted slowly in between the ribs until the fluid is sucked in
or expelled, indicating the pleural space has been entered
• The needle is positioned against the pleural wall to minimize trauma to lung
• The collection apparatus is attached
• Gentle suction is applied to the syringe and air/fluid removed
Thoracostomy tube placement
• Equipment: clippers, sterile prep, drape, sterile gloves, local anesthetic injection,
sterile blade, large hemostats, needle holder, suture material, polyurethane tubing the size of the mainstem bronchus with a fitted stylet, dressing material, continuous underwater suction apparatus
• Administer sedative/analgesic or heavily sedate and intubate animal providing assisted ventilation
• Surgically prepare the side for chest tube placement by clipping and cleaning the skin from the dorsal 1/3 to the ventral 1/3 of the thorax and from the
point of the elbow to mid inguinal area
• Have an assistant pull the skin forward, and hold in place until chest tube is
positioned in thorax. This will provide a tunnel once the skin is released over
the tube
• Place a local anesthetic block in the pleura, thoracic muscle and skin over
the area to be penetrated
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• Make an incision at the mid thorax in the 6th-8th intercostal space through
the skin and thoracic wall muscle
• Penetrate the pleural space with a large hemostat
• Guide the chest tube containing the stylet, using the hemostat to hold it, in
through the hole
• Position the tube cranially and dorsally for air, or ventrally for fluid, twisting the tube and stylet as it is advanced
• Remove the stylet and turn the tube to make sure that there are no kinks
• Insure that all the holes in the tubing are within the chest cavity
• Release the skin and suture the tube, anchoring it to rib periosteum if possible
• Connect the tube to continuous underwater suction apparatus providing 1020 cmH2O negative pressure
• Place a snug, sterile dressing over the tube entrance
Emergent (slash) tracheostomy
• Equipment: clippers, sterile prep, drape, sterile gloves, local anesthetic injection, sterile blade and hemostat, endotracheal tube or tracheostomy tube
• Administer sedative/analgesic or heavily sedate and intubate animal providing assisted ventilation
• Surgically prepare and area along the ventral cervical neck
• Place a local anesthetic block
• Using the blade, incise the skin from the crycothyroid region to the thoracic
inlet
• Separate the sternohyoideus muscles near the midline with a hemostat or
blade
• Incise the trachea, between tracheal rings distal to the 3rd cartilage ring, less
than 50% of the lumen diameter
• Insert the tracheostomy tube and provide supplemental oxygen or assisted
ventilation
• Place retracting sutures around the distal and proximal rings over the tracheal incision
• Secure the ends of the tube to the neck using tie gauze
• Using suture, close any skin edges to minimize subcutaneous exposure,
leaving a generous opening around the tracheostomy tube
Emergent (slash) parasternotomy for thoracic tracheal
exposure
• Equipment: minor surgical pack
• Heavily sedate and provide analgesia for intubation and positive pressure
ventilation
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• Surgically prepare ventral cervical region and thoracic midline
• Incise the ventral midline and use a Mayo scissors to separate the costochondral junctions and soft tissues beginning at the manubrium and extending
caudally to the 4th-5th sternebra
• Take care to avoid the brachycephalic vessels and other great vessels by tipping the Mayo scissors ventrally
• Severance of the internal thoracic vein will require ligation after an airway
is established
Treatment of congestive heart failure
• Provide oxygen supplementation
• Administer IV furosemide 2-4 mg/kg followed by 1 mg/kg/h continuous
rate infusion
• Place nitroglycerin paste directly on the skin or the oral mucosa-1/4” for cat,
1/2-1” for the dog. Cover with a patch to avoid removal or contact with personnel
• Perform thoracocentesis if necessary
• Perform echocardiography as soon as possible to determine the type of failure present and whether or not positive or negative inotropes are required
• If respiratory effort is considerable consider nitroprusside constant rate infusion
• If respiratory failure is eminent, heavily sedate and intubate, suction the airways and provide positive pressure ventilation with 100% O2
End-points in respiratory resuscitation
MM: pink
PaO2: >60 mmHg is adequate, >80 mmHg ideal
PaCO2: 35-45 mmHg
SaO2: >97%
RR: 15-30 bpm PCV: 25-50%, Hg: >8 mg/dL
Address for correspondence:
Animal Emergency Center & Specialty Services
414-540-6710
Glendale, WI
E-mail: [email protected]
www.animalemergencycenter.com
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Elke Rudloff
DVM, Dipl ACVECC
Glendale, Wisconsin
Rebecca Kirby
DVM, Dipl ACVIM, Dipl ACVECC, Wisconsin
Sirs e sepsi
in terapia intensiva
The Septic Patient in the ICU:
the Rule of 20
Sabato, 6 marzo 2010, ore 14.30
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The critical patient presents a particular challenge to the critical care veterinarian. Not only does the patient present with problems significant enough
to require intensive treatment, complications can develop during the course of
treatment. These complications are related to the disease process, to the treatment itself, or iatrogenic mistakes. Definitions that describe the disease/
pathology are in Table 1.
TABLE 1. DEFINITIONS
Term
Definition
Bacteremia
Presence of viable bacteria in the blood
SIRS
Generalized hyperinflammatory response to several impacts
Sepsis
SIRS caused by infection
Septic shock
Sepsis associated with arterial hypotension
MODS
Parallel or sequential dysfunction of > 2 organs
Crit Care Med 1992; 20:864-874.
The septic patient is one that has an infection manifesting in a systemic inflammatory response syndrome (SIRS). Types of infection include bacterial,
viral, protozoal, fungal, and parasitic. Any break in the host’s normal defense
systems or weakened immune system can produce a life-threatening infection
in the critical patient. This includes catheterization (vascular, urinary tract,
etc.), surgical or traumatic wounds, dermatitis from urine scald, treatment
with corticosteroid or chemotherapeutic drugs, gastrointestinal inflammation,
oral disease, and hepatic or splenic disease.
Although there are a myriad of inciting causes, the septic process follows
a common pathway. Organism antigens (cell wall products, bacterial DNA,
viral RNA) as well as bacterial endo- and exo-toxins will stimulate an aggressive immune response (hyper-inflammation). Gram negative bacterial sepsis
is mediated primarily by the endotoxin lipopolysacharide (LPS) released from
the bacterial cell wall.
Gram positive bacteria lack endotoxin, but stimulate the immune system
by exposure of cell wall components (peptidoglycans) and exotoxins. Activated white blood cells (macrophages, neutrophils, dendritic cells, and T-cells)
release mediators (pathogen-associated molecular patterns) in their effort to
maximize clearance of foreign material (Table 2).
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TABLE 2. MEDIATORS IMPLICATED IN THE INDUCTION OF SIRS
Mediator
Definition
TNF-α
Tumor necrosis alpha
IL-1β, -6,-8
Interleukin-1 beta, 6, 8
PAF
Platelet activating factor
C5a
Compliment fragment 5a
MIF
Migration inhibition factor
HMGB1
High mobility group B protein
These mediators are sensed by pattern-recognition proteins which initiate
host cell response. These proteins can be on the cell membrane (Toll-like receptors) or within the cell and cause activation of neutrophils, lymphocytes
and vascular endothelium, up-regulate cellular adhesion molecules, induce
the synthesis of prostaglandins, nictric oxide synthase and acute-phase proteins, as well as produce a fever. In addition, they can activate vascular endothelium, regulate vascular tone, and activate the coagulation cascade. Mediators produced locally will act globally and affect distant organs. This is
part of the definition of SIRS, although an infection may not always be the inciting cause of the SIRS, sepsis always will produce a SIRS.
In addition to the pro-inflammatory cascade of events, the host will experience a counteraction to inflammation, a compensatory anti-inflammatory response, which not only works to control inflammation, but it may also contribute to morbidity. Anti-inflammatory events will be mediated by cytokines
IL-4, IL-10, and soluble TNF as well as IL-1 receptor antagonists and type 2
helper T-cells. Also, induction of apoptosis can impair the function of surviving
immune cells. If the balance tips the scale in favor of a hypo-immune state, then
the host may not be able to eradicate the organism and succumb to death.
Loss of hemostatic balance, endothelial dysfunction, cardiocirculatory
dysfunction, endocrine dysfunction and the 2-hit theory with trauma and prolonged shock are sequellae to unbalances and amplified hyper- and hypo-inflammation. Clinically SIRS can manifest with peripheral vascular dilatation,
increased capillary permeability, depressed cardiac function, hypovolemia,
adrenal, vasopressin and insulin insufficiency, and activation of the coagulation cascade. The lungs can fail within 24-72 hours when increased capillary
permeability results in overwhelming pulmonary edema (acute respiratory
distress syndrome; ARDS). And although the lungs can be successfully supported with mechanical ventilation, little can be done to reverse uncontrol127
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lable dysfunction of the liver, gastrointestinal tract, kidney, heart and brain.
Organ failure secondary to SIRS is termed multiple organ dysfunction syndrome (MODS).
When there are diagnostic criteria of SIRS (Table 3) as well as a clinical
suspicion, a septic focus must be investigated for. The respiratory tract, oral
cavity, reproductive tract, and heart valves are evaluated for signs of infection.
Bacterial and/or fungal culture samples of tissue, urine and blood may be submitted. Rickettsial and Bartonella infections are tested for, and urine can be
submitted for blastomycosis antigen analysis.
TABLE 3. DIAGNOSTIC CRITERIA FOR SIRS
Clinical Parameters
Dogs
Cats
Heart rate
> 120 bpm
> 140 bpm or >225 bpm
Respiratory rate
> 40 bpm or PaCO2 <30 mmHg
> 40 bpm
Temperature
< 100.4º F or >104.0º F
< 100.0º F or >104.0º F
Leukogram
> 18,000 or <5000 cells/mm3
> 19,000 or < 5000 cells/mm3
There is a never-ending search for the best treatment of SIRS/MODS using mediator/receptor inhibitors, alteration of host response, etc., however
morbidity and mortality remain unchanged. The best defense at this point includes anticipation of potential complications, optimal patient management,
appropriate treatment of any infection, and diligent patient care. The Rule of
20 is a list of 20 critical parameters to evaluate 1-2 times daily in the critically ill animal. This check-off list is pasted into the patient record with the daily SOAP to prompt the clinician to assess and intervene as required. Comments are written regarding the status and therapeutic strategy for each. The
following is a brief synopsis of these 20 parameters. The order of priority will
differ depending upon the clinical situation.
RULE OF 20
1. Fluid balance: Inadequate replacement and maintenance of intravascular and interstitial volume is the number one cause of patient decompensation
and death in the critical patient. Animals with systemic inflammatory response syndromes (SIRS) or large third body fluid spaces will have massive
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loss of fluids from the intravascular compartment into the interstitial and third
body fluid spaces.
Dehydration and poor perfusion are different problems, requiring different
therapeutic strategies. Perfusion deficits are due to a loss of intravascular fluid volume (though heart failure and anemia must be ruled out as the cause).
Replacement of these deficits should occur rapidly and involves giving
enough solution to expand and maintain the intravascular space. Dehydration
is an extravascular primarily interstitial) volume deficit. This must be replaced
with crystalloids, such as lactated ringers, Plasmalyte-A® or Normosol-R®. If
the interstitial loss has been over an extended period of time, then replacement
can occur slowly (over 8-12 hours). If the interstitial volume is rapidly lost,
then the interstitial fluid deficit should be rapidly replaced (1-4 hours). It is
quite possible to have perfusion deficits without significant dehydration and
dehydration without significant perfusion deficits.
Cats are difficult to resuscitate from hypotensive episodes. In the cat, when
the baroreceptors have detected inadequate arterial stretch, vagal fibers are
stimulated simultaneously with sympathetic fibers (Schwartz, 1973). As a result, the heart rate is normal or slow, instead of the typical tachycardia demonstrated by other species. In the authors’ experience hypotensive cats (blood
pressure by Doppler ≤ 80 mmHg systolic) present with normal or slow heart
rates. The heart rates of normotensive (noncardiac failure) cats presented for
emergency examination are typically 180-200 bpm.
Because cardiac output is a function of contractility and rate, this compensatory response to shock is blunted. The hyperdynamic signs of shock seen in
other species are not typically seen in the cat. Shock in the cat is most commonly decompensatory, manifested by normal or slow heart rate, severe hypothermia (≤ 98 F), weak or non palpable peripheral pulses, and profound
mental depression. The mucous membranes are gray or white and capillary
refill is not evident. The bradycardia and low cardiac output leads to hypothermia, and hypothermia accentuates the bradycardia.
Hypothermia most likely plays a significant role in the poor compensatory response and difficulty resuscitating without causing pulmonary edema.
As rectal temperatures fall in the cat, the adrenergic receptors become refractory to catecholamines. This leads to the normal or slow heart rate and most
likely impaired compensatory vasoconstriction. Part of the resuscitation plan
in the cat MUST include re-warming. Once the rectal temperature approaches 100 F, the adrenergic receptors will be more responsive to catecholamines
again.
Resuscitation from hypovolemic shock is best accomplished with a combination of crystalloids and colloids, and rewarming procedures. Immediate
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intravascular volume replacement to correct hypovolemia requires the placement of peripheral IV catheters and administration of a balanced isotonic
crystalloid (10-15 ml/kg incremental boluses) and colloid (hetastarch 5 ml/kg
incremental boluses) until end-point resuscitation parameters are reached.
Significant anemia may require a blood transfusion or administration of a hemoglobin-based oxygen carrier (Oxyglobin®). End-point parameters desired
during resuscitation include normal perfusion parameters, heart rate and mean
arterial pressure 60-80 mmHg.
Maintenance fluid therapy is delivered utilizing a balanced isotonic crystalloid solution. It can be necessary to increase maintenance rate of infusion
2-7 times the normal amount, when using crystalloids alone, to compensate
for extravasation of fluids, increased metabolic rate, and hyperthermia.
Vascular access
Multiple peripheral venous catheters are placed when rapid volume resuscitation is necessary. Long term vascular access is best obtained from the
jugular vein in the dog and/or medial saphenous vein in the cat. Multi-lumen,
flexible IV catheters are threaded so that the tip of the catheter is resting just
proximal to the right atrium (with jugular access) or in the thoracic vena cava (with saphenous access). Central venous pressure (CVP) measured from
this location have been found to be an adequate reflection of CVP measurements. In addition, blood samples can be taken from the catheter, avoiding the
stress of restraint for multiple venipuncture.
2. Colloid osmotic pressure: The administration of isotonic colloids with
isotonic crystalloids during resuscitation and maintenance fluid therapy will
restore and maintain intravascular colloid osmotic pressure and intravascular
fluid volume while minimizing interstitial fluid accumulation. Choices of colloids that can be utilized include whole blood, frozen plasma, hydroxyethyl
starch (hetastarch) and Oxyglobin®. Immediately after the initial resuscitation
with hetastarch as a bolus, hetastarch, 0.8ml/kg/hr IV CRI is part of the daily
maintenance fluids.
3. Glucose: The blood glucose should be maintained between 100-200
mg/dl. Blood glucose is frequently monitored when initial data base reveals a
blood glucose level <100 mg/dL, when a septic process is suspected, or when
unexplained hypotension or central neurological signs develop. Treatment of
hypoglycemia starts with the administration of 0.25-0.5 gm/kg IV of a 25%
glucose solution followed by a 1.25-2.5% concentration in the maintenance
fluids. Initial volume resuscitation fluids should not contain glucose. When
glucose is added to the IV fluids on a maintenance basis, it is important to rec130
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ognize that this does not meet the animal’s caloric requirements. This is only
to provide a readily available substrate for energy production on a continuing
basis. The stress response in the cat frequently results in a transient hyperglycemia, requiring recheck to rule out diabetes mellitus. Hyperglycemia is
prevented in head injured animals.
4. Electrolytes (calcium, sodium, chloride, potassium, magnesium) and
acid-base balance: Alterations in potassium concentrations are to be expected in the critical animal. Though ventroflexion of the neck and generalized
weakness can occur with hypokalemia in the cats, these signs are rare. This
requires that serum potassium levels be monitored and maintenance intravenous fluids supplemented (5-20 mEq/250ml of fluids). Rate of replacement
depends on the severity of the hypokalemia and clinical signs. A good rule of
thumb is to avoid exceeding 0.5mEq/kg/hr.
Hyophosphatemia can lead to red blood cell hemolysis and energy depletion. It is most commonly seen in the anorexic cat that is beginning to receive
nutritional supplementation. Careful monitoring is required and replacement
therapy given as required (potassium or sodium phosphate 0.01-0.06 mmol/
kg/hr IV).
Magnesium depletion has been identified as a common electrolyte abnormality in critically ill veterinary patients. Less than 1% of total body magnesium is found in the serum. Therefore, serum levels may not accurately reflect
total body magnesium status. A low serum level indicates magnesium deficiency and the need for supplementation, however a normal serum level can
occur in the presence of a total body magnesium deficiency. Magnesium deficiency should be suspected and empirically treated in patients with refractory hypocalemia or hypokalemia. Magnesium is available as a sulfate or chloride salt for IV supplementation. The intravenous dose is 0.5-1.0 mEq/kg/day.
The dose should be administered slowly over 2-4 hours or by CRI.
A persistent metabolic acidosis may reflect poor tissue perfusion. Bicarbonate therapy is reserved for the patient with persistently low HCO3 (<10
mmol/L) despite adequate reperfusion and rehydration. This is most typically
seen in critical cats suffering diabetic ketoacidosis.
5. Oxygenation and ventilation: Arterial blood gases should be evaluated to show any evidence of hypoxemia, hypercarbia, or hyperventilation. This
is important for early detection of pulmonary edema or acute respiratory distress syndrome (ARDS) common to animals with systemic inflammatory response diseases. Oxygen supplementation is needed if there are perfusion or
breathing problems. Oxygen is supplied best by nasal cannula or hood. Ob131
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servation of the breathing pattern of the cat can determine the location of the
problem and allow intervention without stressful diagnostics. Administration
of a mild sedative (butorphanol 0.4mg/kg IV) may be required while giving
oxygen support.
Animals with significant work of breathing must have their airway and
breathing controlled with positive pressure ventilation on 100% oxygen early
in the disease process. Do not wait until they are agonal! Early intervention is
the key to success. Animals with SIRS commonly develop pulmonary edema
and pleural fissure lines. There are no obvious signs until the edema is advanced. Initially, they will have an increase in respiratory rate and poor mucous membrane color. Auscultation finds louder than normal lung sounds and
occasionally a pleural friction rub. When moist crackles are ausculted, pulmonary edema is severe.
6. Level of consciousness and mentation: A decline in the level of consciousness or mentation warrants immediate investigation for hypotension
and hypoglycemia. Hypoxia, hypocarbia, hypercarbia, hypernatremia, hyponatremia, hyperglycemia, hypoglycemia, hepatic encephalopathy, hyperosmolality, severe fever, severe dehydration, shock, overwhelming sepsis, medication overdose, hypokalemia, hyperkalemia, tachyarrhythmias, bradyarrhythmias, and thiamin deficiency must be considered in the list of etiologies for changing consciousness.
Depressed mentation or level of consciousness requires that precautions be
taken to protect the airway from aspiration of gastric or esophageal contents
and monitoring for vasovagal reflex. The cause is aggressively pursued and
therapy instituted to treat the underlying cause. Specific therapeutics may be
required to reduce the intracranial pressure while the cause is being determined. The patient’s osmolality should be monitored, especially if the animal
is being given parenteral nutrition. Glucose levels must be maintained, and
appropriate nursing procedures employed (turn every 4 hours, lubricate eyes,
elevate head, etc.)
7. Blood pressure: Systolic pressure must be maintained above 90 mmHg,
and more importantly, the mean arterial pressure is maintained above 60
mmHg. Poor perfusion that is non-responsive to adequate intravascular volume resuscitation necessitates a search for on-going fluid loss, hypoglycemia,
hypoxemia, cardiac dysfunction, prolonged hypothermia and bradycardia, arrhythmias, electrolyte imbalances, cardiac tamponade, brain stem pathology,
cortisol deficiency, and hypertension. Persistent hypotension, not attributable
to these complications, requires assessment of central volume, oxygen sup132
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plementation, pain control, evaluation of cardiac function with treatment as
indicated, and evaluation for vasopressor therapy.
Myocardial depressant factor release may affect animals suffering a SIRS
condition. Dilation of the left ventricle and decreased contractility may contribute to hypotension. Though this improves as the disease resolves, positive
inotropic support (dobutamine 5-10 ug/kg/min) can be required in the interim. An echocardiogram is essential in assessing the need for positive inotropes in the cat.
When the intravascular volume and cardiac contractility are adequate, and
hypotension persists, dopamine at 5-15 ug/kg/min is infused for its vasopressor effects. The dose is initially 5 ug/kg/min and can be increased by 2
ug/kg/min intervals (up to 15 ug/kg/min) until the desired effect is seen. When
blood pressures appear to be stable for 2-4 hours, the pressor drugs are gradually weaned to prevent volume overload and ischemic renal damage.
Hypertension is suspected when systolic/diastolic blood pressures are >
160/100 mmHg. Significant hypertension can lead to poor peripheral perfusion, retinal hemorrhage and detachment, renal damage, and myocardial wall
thickening. The underlying cause is treated and a vasodilator chosen based on
the cause; fluid overload: Furosemide 1-2 mg/kg q 8h; chronic renal disease:
amlodipine at 0.625mg q 24h; hyperthyroidism: atenolol at 0.2-0.5mg/kg q
24h; and glomerulonephropathy: enalapril /benazapril at 0.5 mg/kg q 12-24hr
+/- amlodipine.
8. Heart rate, rhythm and contractility: Careful auscultation of the heart
is required to detect murmurs and gallop rhythms, suggestive of underlying cardiac disease. Anemia and hypoviscosity can promote murmurs. Arrhythmias
most often have a definable and treatable underlying cause, such as pain, hyperkalemia, hypokalemia, hypoxemia, hypercarbia, hypercalcemia, hypocalcemia,
acidosis, hypomagnesemia, cardiomyopathy, splenic disease or endogenous
toxins from organ failure such as liver or kidney. The ultimate response is to
treat the underlying disease process. When arrhythmias are affecting perfusion,
oxygen supplementation and antiarrhythmic agents can be required.
9. Albumin: Serum albumin is necessary to maintain adequate intravascular oncotic pressure and for transport of cations, drugs and hormones. Serum
albumin concentration should be maintained close to 2.0 g/dl in the acutely ill
animal. Hypoalbuminemia can result from increased membrane permeability,
glomerular or intestinal loss, liver failure, and cytokine suppression. When
serum albumin concentration falls below 1.5-2.0 g/dl, albumin is administered
using plasma.
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10. Coagulation: Disseminated intravascular coagulation (DIC) is a hypercoagulable condition that is to be anticipated in any animal that has: capillary abnormalities or stasis, severe hypotension, massive tissue damage, red
blood cell hemolysis, or pansystemic disease. During the acute decompensatory phase of the underlying disease process, DIC can be present without
outward signs. The goal is to detect DIC as early as possible so that bleeding
and microvascular occlusion from microthrombi and multiple organ dysfunction are prevented.
Typically, the order of change of monitored laboratory parameters in DIC
are: 1) decrease anti-thrombin (AT), 2) decrease platelet number (usually requires several assessments to detect a declining trend in numbers) 3) shortened coagulation times (PT, PTT, ACT), 4) decrease fibrinogen, 5) prolongation of coagulation times (PT, PTT, ACT) and 6) elevated fibrin degradation
products and d-dimer. Because DIC is a dynamic process, evaluation of these
parameters is initiated early and repeated once to twice daily, so that a trend
of change can be established and success of therapy determined.
Therapeutics for DIC has three components. First, it is vital that oxygenation and perfusion be improved and capillary stasis be eliminated.
Second, the underlying disease must be treated. Third, the target organs of
the underlying disease and the target organs of DIC must be supported. The
lungs, kidney, heart, brain, and intestines are vulnerable to microthrombi
and ischemia.
11. Red blood cell/hemoglobin concentration: Frequent blood sampling
of critical small dogs and cats can cause anemia severe enough to require
blood transfusion by day 3 or 4 of hospitalization. The use of blood tubes and
blood culture tubes designed for neonatal humans will minimize the quantities of blood withdrawn. Microhematocrit tubes can be used to harvest small
aliquots of serum for in-house biochemical testing.
Hemoglobin is the most significant factor responsible for oxygen concentration of the blood. When the red blood concentration is too low, hemoglobin is low and oxygen delivery is compromised. However, when the red blood
concentration is too high, the viscosity of the blood is increased, compromising blood flow and tissue oxygen delivery. The packed cell volume should be
maintained above 20%, and ideally between 25-35%. When red blood cell
and hemoglobin are deficient, whole blood or packed red cell transfusion or
Oxyglobin® infusion may be indicated. Infusion of erythrocytes may be beneficial not only in terms of oxygen delivery, but also because these cells contain high concentrations of endogenous enzyme antioxidants, particularly
catalase and glutathione.
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12. Renal function: Shock, severe dehydration, hypotension, hypoxia, and
nephrotoxic drugs can each contribute to renal dysfunction or failure. Baseline blood urea nitrogen (BUN), creatinine, and urinalysis are obtained prior
to fluid resuscitation when possible. Creatinine and BUN will elevate as
glomerular filtration is reduced.
Urine output is assessed on an ongoing basis as a reflection of renal function, blood pressure and fluid balance. Glycosuria without hyperglycemia and
proteinuria in the absence of urinary tract inflammation reflects proximal tubular cell damage, a complication of nephrotoxic drugs or renal hypoxia.
Urine sediment is evaluated daily in animals on nephrotoxic drugs (such as
aminoglycosides) for the appearance of renal tubular or granular casts. These
will appear before there are significant elevations in BUN and creatinine.
Should these be seen, the drug is stopped and a decision is made whether to
treat the kidneys with mannitol.
In addition, urine sediment is monitored for signs of infection. It is important to determine whether it was present initially or has occurred in-hospital.
Hospital acquired infections suggest nosocomial bacteria, which are often resistant to first line antibiotics (see Immune status, antibiotic dosage and selection, WBC count).
13. Immune status, antibiotic dosage and selection, WBC count: The
ability of the body to fight infection is assessed through white blood cell count
and differential, fever response, and globulin levels. Immunocompromise can
be the result of the underlying disease, viral infection, or the therapy. Animals
that are on immunosuppressive drugs or have neutropenia require isolation
and strict aseptic procedures and minimal invasive monitoring and therapeutic techniques.
Prior to the administration of antibiotics, samples should be collected from
infected tissue/fluids for culture and sensitivity. If sepsis is suspected, but no
focus obvious, urine, blood, +/- sputum samples are collected. For bacterial
infections, antibiotic selection is confirmed by microbiological culture and
antibiotic sensitivity results. The capability of the critically ill pet to metabolize and eliminate the antibiotic, as well as potential untoward side-effects of
the drug, are considered in the antibiotic selection process.
Most gram positive cocci and gram negative rods are susceptible to first
generation cephalosporins. Cefazolin and ampicillin (20 mg/kg IV q 8hr)
have few toxic side effects and can be given slowly intravenously. When a
more aggressive approach is required, amikacin (3-5 mg/kg IV q24hr) is given with the cephalosporin after hydration and renal function are determined
adequate. Fluroquinolones and third generation cephalosporins are reserved
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for patients unable to tolerate aminoglycosides. Urine dipstick and sediment
are monitored for proteins, glucose and casts daily as early signs of nephrotoxicity. The dose and milliliter amount administered should be double
checked at each administration. Suspected anaerobic pathogens are treated
with metronidizole (20-30 mg/kg/day divided into 3 doses) by IV slow infusion (reduce dose by 25% with hepatic insufficiency).
14. GI motility and mucosal integrity: Critical illness is frequently complicated by gastric paresis, ileus and gastric ulceration. Stress gastric ulcerations may be subclinical but predispose the patient to bacterial translocation,
gastric paresis and blood and fluid loss. Any patient that is post-anesthetic,
post-operative (especially abdominal surgery - and particularly gastrointestinal), hypokalemic, suffering from gastrointestinal, reticuloendothelial, or
neuromuscular diseases, or on narcotic analgesics has a probability of having
gastrointestinal paresis. Ileus predisposes the patient to bacterial and endotoxin translocation, poor intestinal nutrient digestion and absorption, gastrointestinal ulceration and vomiting.
The patient should be ausculted at least three times daily for bowel sounds.
Ileus is best treated by nasogastric tube suctioning and relief of fluid and gas
accumulation. This reduces vomiting and subsequent aspiration pneumonia.
A small amount (0.6 - 2 ml/kg q1-2h) of oral glucose solution (e.g. Resorb®) helps protect against gastric micro-ulceration. The use of H2 antagonists is controversial, with literature supporting the idea that altering the gastric pH predisposes to gastric bacterial translocation and more severe aspiration pneumonia. Some criticalists advocate the use of sucralfate to cover microulcerations.
Antiemetics are needed in the patient with protracted vomiting, predisposition to vasovagal reflex, altered level of consciousness, abnormal or depressed gag reflex, or abnormal breathing, particularly if the animal is critical, recumbent, or has a depressed gas reflex. Antiemetic selection should be
based on the suspected mechanism of vomiting. Motility enhancers such as
metoclopramide (0.2-0.4 mg/kg SQ q6-8hr or 1.0-2.0 mg/kg/day IV CRI) or
cisapride (0.1-0.5 mg/kg PO q8-12hr in the dog; 0.5-1mg/kg q8hr in the cat)
can be administered if an unobstructed ileus is occurring. Chlorpromazine
(0.05 mg/kg IV in dogs and 0.01-0.025 mg/kg IV in cats) or prochlorperazine
(0.05-0.25 mg/kg IV TID-QID) can be administered provided the patient is
cardiovascularly stable. Serotonin inhibitors, such as maropitant (2-8 mg/kg
PO; 1mg/kg SQ q 24h), ondansetron (0.1-0.3 mg/kg SQ TID, or 0.5 mg IV
load then 0.5 mg/kg/hr CRI) or dolasetron (0.5 mg/kg IV, SQ q 24h), may also be helpful and can be used in combination with promotility agents. Drugs
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inhibiting GI motility (e.g. anticholinergics, such as centrine or lomotil) are
never used as antiemetics because of the potential of promoting buildup of
toxins and affecting nutrient absorption.
If gastric or esophageal ulceration are suspected, H2-blockers reduce acid
secretion and reflux as well as promote mucosal healing. Protonix (1mg/kg IV
q 24h) or omeprazole (0.7 mg/kg up to 20 mg q24 hours PO) affect gastric pH
better than other agents, however the effects can take up to 48 hours to start,
so famotidine (0.5 mg/kg IM/SQ q12hr is administered initially. Ranitidine
has not been found to be as effective in increasing gastric pH in dogs. In addition, liquid sucralfate (0.5-1g PO q6-8hr) will coat the area of erosion/ulcer
once vomiting is controlled. Sucralfate requires an acid environment, and
should be given at a separate time from H2-blockers.
15. Drug dosages and metabolism: Dogs and cats vary with respect their
pharmacokinetic reaction to drugs. Many drug dosages in the cat have been
extrapolated from studies done in the dog. Cats have a greater body surface
area per unit of body weight when compared to the dog and dosage extrapolation between these species can be inaccurate. Hypoalbuminemia and
renal/hepatic dysfunction can alter drug pharmacokinetics and plasma halflife.
The liver plays a key role in the unique metabolism of many drugs in the
cat. Lipid soluble drugs must be converted to water soluble by-products before excretion. Cats lack many of the hepatic glucuronyl transferases that normally enable conjugation and excretion of these drugs. Toxic levels of these
drugs or metabolites can accumulate. Commonly used drugs in critical patients that may require dose adjustments in patients with liver disease include
metoclopramide and metronidazole. Based on the route of elimination,
dosage and dosing intervals must be altered with renal or hepatic disease.
16. Nutrition: Unwillingness to eat as well as increased metabolism during sepsis rapidly lead to a negative energy balance leading to catabolism of
protein stores (preferred to lipid metabolism) exacerbation of a compromised
immune system, visceral organ atrophy and dysfunction, and gastrointestinal
barrier dysfunction followed by bacterial translocation. In addition, the cat
will rapidly develop hepatic lipidosis.
Initial support, after rehydration, can be done with an intravenous 3.5%
amino acid solution with glucose in a balanced electrolyte solution
(FreAmine® - requires the addition of glucose; ProcalAmine® - has 3% glycerin). These solutions provide ~30% of the caloric requirements. Partial parenteral nutrition is also preferred to oral feeding when initially treating pan137
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creatitis or gastroduodenal conditions to prevent pancreatic secretions. This
can be given as a portion of the maintenance fluids. These solutions are hyperosmolar and rapid infusions are not recommended.
The patient is weaned onto enteral nutrient by giving small amounts of
glucose and electrolyte solution (e.g. Resorb®) and a liquid diet (CliniCare®).
Continuous infusion is generally started at 1 ml/kg/h and increased to 2
ml/kg/h over 24 hours. When vomiting does not occur and gastric retention is
minimal. the animal is weaned onto enteral nutrition.
If the patient is unwilling to eat, then feeding must occur either by assisted feeding or by tube feeding. Warming the food sometimes increased the
palatability. Force feeding can prove to be very stressful and is not to be attempted if there is depressed mentation, difficulty swallowing, or potential of
stress induced complications. Tube feeding is most safely done on a shortterm basis (7-10 days) by naso-esophageal/gastric intubation. If facial trauma
or nasal diseases are present, if prolonged anorexia is anticipated, or if anesthesia/celiotomy procedure is planned then an esophagostomy, gastrostomy,
or jejunostomy tube can be placed. The authors prefer esophagostomy intubation, finding it to be easily placed and well tolerated.
Whichever tube method is selected, nutritional support is first provided by
a dilute solution of low volume. If the animal experiences vomiting with this
procedure, the clinician should first consider decreasing the concentration or
the volume being administered prior to administering antiemetics. The pet can
then be weaned onto bolus administration of the solution prior to discharge if
tube feeding is still required.
17. Pain control: Pain can manifest in mental depression, tachycardia,
restlessness, unwillingness to move, irritable attitude, and/or reaction to palpation of the injured area. It is vital to the maintenance of cardiovascular function and the mental well being to provide pain control. It is best to titrate analgesics and sedatives to effect, as responses are variable and can be affected by
underlying renal and hepatic dysfunction.
In addition to the analgesic recommendations previously discussed, the
use of fentanyl and lidocaine patches next to the incision site can be used.
18. Nursing care and patient mobilization: The nursing staff should
speak kindly and softly when working with the critical animal, using minimal
restraint to accomplish any task. The patient must be removed from the cage
and thoroughly examined at least twice daily. Changes in their physical condition, even pulmonary function, may be very subtle and occur rapidly.
Catheter sites must be checked daily, and each catheter labeled appropri138
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ately to avoid confusion of lines and misuse of the tubes. When catheters are
removed, the tips should be saved for culture and sensitivity. The paw distal
to the peripheral catheter must be checked multiple times during the day for
evidence of paw edema, requiring re bandaging of the catheter. Elizabethan
collars are often necessary for catheter security as well as an aid in handling
aggressive animals.
Hypothermia is a component of most critical diseases and is of most importance in the cat. The patient is initially warmed passively. Warm fluids are
administered and the pet can be wrapped in towels and blankets. Once intravascular volume has been replaced, warm water circulating blankets can be
used, making sure the animal can move off of the heating blanket if it desires.
The recumbent patient must be turned every 4 hours or maintained sternal
when possible. Physical therapy will assist in maintaining muscle tone and
blood flow to the limbs. Urine scalding and fecal soiling is prevented by providing absorbent bedding and cleaning the animal immediately.
19. Wound care/bandage change: When the patient’s underlying disease
requires wound debridement or surgical correction, the incision site or wound
should be examined daily to insure that appropriate healing is occurring. Anytime a bandage is moist or soiled, it must be changed.
20. Tender Loving Care: The mental health of the patient is often more
important than the physical health. Visits by the owners are to be encouraged
when it benefits the pet and having familiar items in their cage will make the
owner feel better, if not the pet. It is important for cats and ferrets to have
fresh litter and a place for their food away from their litter box. Blankets or
bedding make them more comfortable. Providing a box for the cat to hide in
or using other techniques of obstructing their view of strange animals, when
their condition allows, reduces their level of fear and stress.
REFERENCES AND SUGGESTED READINGS
1. Kirby, R: Septic shock. In: Bonagura J, ed: Kirk’s Current Veterinary Therapy XII. Philadelphia, WB Saunders, 1995, p 139.
2. Kohn CW, DiBartola SP: Composition and distribution of body fluids in dogs and cats,
In: DiBartola SP, ed: Fluid Therapy In Small Animal Practice. Philadelphia: WB Saunders, 1989, p 1.
3. Chew D: Disorders of calcium and magnesium. In Rush JE, ed: IVECCS Proceedings
1994, p.175.
4. Kobayshi DL, Peterson ME, Graves TK, et al: Hypertension in cats with chronic renal fai139
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lure or hyperthyroidism. J Vet Intern Med 4:58, 1990.
5. Olsen RG, Krakowka S: Immune dysfunction associated with viral infections. Comp
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7. Members of the American College of Chest Physicians/Society of Critical care Medicine
Consensus Conference Committee. Definitions for sepsis and organ failure and guidelines for the use of innovative therapies in sepsis. Crit Care Med. 1992; 20:864-74.
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9. Purvis D, Kirby R. Systemic Inflammatory Response Syndrome: Septic Shock: In The
Veterinary Clinics of North America, Small Animal Practice; Emergency Medicine. Philadelphia, PA Saunders, 1994, p 1225.
Address for correspondence:
Animal Emergency Center & Specialty Services
414-540-6710
Glendale, WI
E-mail: [email protected]
www.animalemergencycenter.com
www.veccs.org
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Elke Rudloff
DVM, Dipl ACVECC
Glendale, Wisconsin
Gestione
dell’insufficienza renale
Management
of Acute Renal Failure
Sabato, 6 marzo 2010, ore 15.20
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Reduced urine output in the critical patient can represent a functional
kidney that is conserving water (e.g. dehydrated patient), reduced renal
blood flow (hypovolemic or hypotensive state), or renal damage. The first 2
situations can lead to renal damage, but are preventable and easily reversed
when immediately corrected. Once renal damage has occurred, it is more
difficult to reverse. In dogs, acute renal failure has a mortality rate of up to
60%, with 60% of survivors developing chronic renal failure and 40% having a return to normal function. In cats, the mortality rate is 40-50%, with
50% of survivors developing chronic renal failure. This lecture will review
definitions used, basic renal physiology, discuss common causes of ARF,
the diagnosis of ARF, prevention of ARF and treatment of ARF in critical
animals.
DEFINITIONS
Acute renal failure (ARF) is an abrupt decrease in renal function leading
to alterations in the excretory, regulatory, and endocrine function of the kidney resulting in retention of nitrogenous solutes and abnormalities in acidbase, electrolyte and fluid balance. ARF occurs when >75% of the nephron
population is nonfunctioning. Intrinsic ARF results in a reduction in glomerular filtration rate (GFR) secondary to damage of the renal tubules, interstitium, glomeruli and/or vasculature.
Clinically, ARF is manifest as an abrupt increase in serum creatinine above
normal range with a reduced (oliguria or anuria) or increased (polyuria)
urine output. Azotemia is an increase in non-protein nitrogenous compounds
(e.g. urea and creatinine) in the blood. There can be prerenal, intrinsic renal
and post renal causes of azotemia. Uremia is a term used to describe clinical
signs and biochemical abnormalities associated with ARF, such as uremic
gastroenteritis and hyperparathyroidism.
RENAL PHYSIOLOGY
The kidney receives 20-25% of the cardiac output, and in dogs, 90% of renal blood flow supplies the renal cortex, 10% supplies the outer medulla, and
2-3% supplies the inner medulla. The renal arteries bring blood to the
glomerulus, a complex network of capillaries and a filtering membrane
through which plasma contents pass into the renal tubules. The kidney is the
only organ possessing a capillary bed in the glomerulus interposed between
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two arterioles, and a second capillary bed supplying the renal interstitium.
The glomerular capillary bed lies between the afferent and efferent arterioles.
Smooth muscle in the arteriolar walls causes arteriolar constriction or dilation
secondary to a variety of causes. Changes in arteriolar diameter may occur
from influence of locally produced or circulating substances, and will increase or decrease glomerular filtration rate and renal blood flow. Afferent arteriolar (AA) dilation can be caused by prostacyclin and prostaglandin E2. Efferent arteriolar (EA) dilation can be caused by angiotensin II and thromboxane A2.
The hydrostatic and plasma colloid osmotic pressure within the glomerulus regulate the force with which plasma contents pass across the glomerular
membrane into the renal tubules. The blood passing into the EA then passes
into the peri-tubular capillaries (post-glomerular and vasa recta). Here the renal tubular cells and the plasma exchange substances serving to maintain plasma acid-base, fluid, and electrolyte balance in the blood.
Damage to the glomerulus will result in elevated protein in the urine, many
times in absence of azotemia. Persistent glomerular damage will result in altered renal blood flow and tubular damage. Immune-mediated diseases and
amyloidosis are examples. “Lyme nephritis” is an entity that is currently being recognized as a potentially fatal cause of ARF, where immune complexes
containing borrelia antibodies are depositing in the glomerulus. Damage to
the tubules will result in isosthenuria and azotemia, and occasionally glucosurea and cellular cylindriuria. Tubular function is normal when urine specific gravity is highly concentrated or extremely dilute. An extremely dilute
urine (<1.007) is caused by the action of antidiuretic hormone on functioning
distal tubular cells.
The rich blood supply makes the kidney highly susceptible to the effects of
reduced blood flow, and blood-borne toxins and infections. Acute tubular
necrosis will result when untreated conditions such as hypovolemia, hypotension, systemic inflammatory response syndrome (SIRS), infections, and toxic
exposure result in abrupt and sustained reductions in GFR. Reduced GFR results from a combination of vascular (renal vasoconstriction and reduced
glomerular ultrafiltration coefficient) and tubular (renal tubular obstruction and
back-leak of glomerular filtrate) effects. Causes of ARF are listed in Table 1.
DIAGNOSIS
A diagnosis of ARF needs to be considered when there is the presence of
azotemia and an inappropriate isosthenuria (USG 1.007-1.015). Urine sam143
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TABLE 1. CAUSES OF ARF
Ischemic
Shock
Decreased cardiac output
Hypotension
Hyperthermia/hypothermia
Renal vessel thrombosis
Hyperviscosity syndromes
Nonsteroidal anti-inflammatory agents
Toxic
Aminoglycosides
Cisplatin
Heavy metals
Pesticides
Raisins/Grapes
Trauma
Extensive cutaneous burns
Pain
Cephalosporins
Acetaminophen
Ethylene glycol
Herbicides
Lily- Easter, Day
Tetracycline
Amphotericin B
Aspirin
Ibuprofen
Radiographic contrast agents
Envenomation
Hemoglobin/Myoglobin
Melamine
Other
Leptospirosis
Glomerulonephritis
Hypercalcemia
Ureteral obstruction
Systemic immune-mediated disease
Pyelonephritis (ascending or hematogenous)
Urethral obstruction
Systemic inflammatory response syndrome
ples are ideally collected prior to rehydration. Medications such as lasix may
result in isosthenuria, and should be considered when evaluating urine specific gravity.
In addition, urine dipstick and sediment examination may reveal glucosuria (in the absence of hyperglycemia), proteinuria (in the absence of the
presence of inflammatory cells), microscopic hematuria, white and red
blood cells, and casts. A laboratory database should also be evaluated for
electrolyte abnormalities (particularly potassium, phosphorus, and calcium), venous acid-base disorders, and baseline BUN and creatinine values.
The earlier the intervention, the better the outcome in animals presenting
with signs of ARF.
Additional diagnostic testing should include a urine culture, indirect arterial blood pressure, snap 4DX cite test (Borrelia/Anaplasma/Ehrlichia/
heartworm), and Leptospirosis serology. If ethylene glycol toxicosis is suspected, a diagnosis may be made by using the REACT strips, which can detect ethylene glycol levels as low as 0.6 mg/dL (toxic dose in the cat is 18
mg/dL, dog 50 mg/dl).
Abdominal radiographs may identify calculi involving the urinary tract
and abnormal kidney size. Abdominal ultrasound is useful for detecting
pylectasia, calculi, mass lesions, and other intraabdominal abnormalities that
may be related to azotemia. Occasionally a ureteral obstruction may require
contrast pyelography to diagnose.
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PREVENTION
All critically ill animals are at risk for sustaining ARF. Uncorrected hypotension as well as nephrotoxic medications can induce ARF. Maintaining
hydration and renal perfusion will reduce risk of renal toxicity, and all critically ill patients should have renal parameters monitored daily (BUN, UO,
electrolytes). When potentially nephrotoxic agents are used in the critical dog,
daily comparison of urine GGT to creatinine ratio to baseline values may uncover early renal toxicity.
TREATMENT
As with any emergent and critically ill patient, the systems of the primary
survey must be assessed and abnormalities immediately corrected. Persistent
vomiting in the weakened patient can result in aspiration pneumonia, and any
animal with respiratory signs should be treated with oxygen supplementation.
Circulatory abnormalities (hypotension, poor perfusion, arrhythmias) caused
by hypovolemia and hyperkalemia must be rapidly corrected. The mainstay to
therapy of ARF is fluid therapy- to reperfuse the kidneys and promote diuresis of toxic substances. Because ARF and hypovolemia generally cause an
acidosis, a balanced buffered isotonic crystalloid (such as Normosol-R or
Plasmalyte-A) is chosen for resuscitation and rehydration. A synthetic colloid
such as hetastarch can also augment intravascular volume replacement and
maintenance. Small volume resuscitation techniques to normal perfusion endpoints are used until urine output is better characterized. For example, a rapid infusion of 10-20 ml crystalloid with 5 ml/kg hetastarch is injected over 510 minutes and perfusion parameters reassessed. If heart rate, blood pressure,
and gum color/capillary refill time are still abnormal, the rapid infusions are
repeated until adequate perfusion parameters are attained. If a dose of 60-90
ml/kg crystalloid (dog-cat) and 20-30 ml/kg hetastarch have been infused
without adequate perfusion parameters being reached, then a close look at
causes of non-responsive shock should be investigated for.
Once perfusion has been restored, tissue hydration deficits are calculated
and replaced over 4-10 hours. The calculated volume to replace is based on
hydration status and laboratory parameters (Table 2).
In addition to the volume being administered for rehydration, sensible and
insensible losses need to be accounted for (1-2 ml/kg/hr). Finally, ongoing
losses from vomiting, diarrhea, respiratory disease, polyuria, etc. need to be
calculated and replaced. These fluids are estimated, or can be measured.
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TABLE 2. CLINICAL PARAMETERS USED TO EVALUATE
INTERSTITIAL DEHYDRATION
Estimated % Dehydration
Clinical Signs
4-6
Dry mucous membranes
6-8
As above with
Loss of skin moisture
↑ PCV/TP
8-10
As above with
Retracted globes within orbits
10-12
As above with
Persistent skin tent due to complete loss of skin elasticity
Dull corneas
> 12
As above with
Signs of perfusion deficits
PCV = packed cell volume; TP = total protein.
% dehydration × body weight (kg) = L of fluid required for replacement.
Urine output can be monitored by a variety of ways: 1. a urinary catheter can
be placed and attached to a closed collection system, 2. the urine can be collected during walks, 3. the urine can be quantified using a metabolic cage, 4.
the bedding can be weighed (1g=1ml urine), and 5. weighing the animal.
Fluid balance can be complicated in the ARF patient. Inadequately replacing fluid deficits is likely more detrimental than mildly overhydrating.
Determination of fluid rates is best determined by closely monitoring and
comparing fluid losses with infusion volumes, and monitoring central venous pressure.
Pharmacological intervention may also be necessary when uremia is present, infection is suspected or hypertension is present. H2-blockers reduce acid
secretion and reflux as well as promote mucosal healing when gastritis or uremic ulcers are suspected. Omeprazole (0.7 mg/kg up to 20 mg q24 hours PO)
or pantoprazole (0.7 mg/kg IV q 24h) is the preferred drug by the authors
when vomiting frequency is reduced. Other agents include ranitidine (2mg/kg
IV q8hr in the dog; 2.5 mg/kg IV q12hr in the cat) and famotidine (0.5 mg/kg
IM/SQ q12hr). In addition, liquid sucralfate (0.5-1g PO q6-8hr) will coat the
area of erosion/ulcer once vomiting is controlled. Sucralfate requires an acid
environment, and should be given at a separate time from H2-blockers. When
vomiting from stimulation of the chemoreceptor trigger zone in the brain is
suspected, substance-p and serotonin inhibitors, such as maropitant (2-8
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mg/kg PO; 1mg/kg SQ q 24h), and ondansetron (0.1-0.3 mg/kg SQ TID, or
0.5 mg IV load then 0.5 mg/kg/hr CRI) or dolasetron (0.5 mg/kg IV, SQ q
24h), may also be helpful. Placement of a nasogastric tube can aid in decompressing the stomach and reducing nausea, as well as provide a means for administering medications and nutritional support. Early feeding using liquid
diets can improve gastrointestinal function and recovery rate. When it is periodically suctioned, the volume can be used in calculation for ongoing fluid
losses.
Phosphate binders (aluminum hydroxide, aluminum carbonate, calcium
acetate) may decrease phosphate absorption when the patient is hyperphosphatemic. Hyperkalemia- induced cardiac arrhythmias needs to be acutely
treated with 10% calcium gluconate (50 – 150 mg/kg, or 0.5 – 1.5 ml IV) as
well as regular insulin (0.25 – 0.5 units/kg) and dextrose (1 gram IV dextrose
per unit of insulin administered, followed by 1.25% dextrose in IV fluids). Insulin and dextrose drive serum potassium intracellularly, lowering serum
potassium concentrations. Calcium gluconate does not change serum potassium concentration, but rather, has a cardioprotective effect by re-establishing
the threshold for myocardial depolarization. Acid base disorders generally
correct with adequate fluid resuscitation and reestablishing urine output.
Sodium bicarbonate is only administered when a metabolic acidosis persists
despite reperfusion and rehydration.
For cases suspected to have a urinary tract infection, broad spectrum antibiotics covering for many aerobic infections is administered intravenously.
Ampicillin (22 mg/kg IV q6hr), ampicillin-sulbactam (22 mg/kg IV q6hr),
and cefazolin (22 mg/kg IV q 8h) are good choices. It is preferred that a urine
sample for culture is obtained prior to starting antibiotics.
For cases suspected to have Leptospirosis spp infection, ampicillin (22
mg/kg IV q6hr) is used to treat the leptospiremic phase (first 48-72h) followed by doxycycline (5 mg/kg IV or PO q 12h X 14 days) for the elimination of the carrier state. In the cardiovascularly stable patient, diltiazem
(0.3–0.5 mg/kg slow push (10 min) followed by 3–5 µg/kg/min constant rate
infusion (CRI) X 48 to 96 hours) can also lower the creatinine more effectively that diuresis alone in dogs with Leptospirosis infection (Mathews). A lowering of ~15 mmHg systolic blood pressure is expected, and heart rate and
blood pressure must be frequently monitored.
Hypertension is not unexpected once fluid replacement has been achieved.
If the systolic blood pressure exceeds 150 mm Hg or diastolic blood pressure
exceeds 90 mmHg, an antihypertensive agent should be considered. Angiotensin converting enzyme inhibitors (benazapril 0.5-1 mg/kg PO q 12-24h)
and/or calcium channel blocker (dilatiazem as listed above or oral hydralazine
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0.5 – 2 mg/kg PO Q12h or amlodipine 0.2 – 0.4 mg/kg PO Q12h in dogs, ¼
of a 2.5 mg tablet PO once daily in cats can be administered. Hydralazine usually has an effect within hours of administration, while amlodipine may not
decrease blood pressure for 24 hours after administration.
Diuretics such as furosemide and mannitol will not improve outcome, but
are occasionally given to increase urine volume when overhydration is a complication in the face of oliguria (<0.27 -1 ml/kg/h). Furosemide, 2 mg/kg bolus infusion followed by a continuous rate infusion of 1 mg/kg/hr. Mannitol,
an osmotic diurectic, can reduce swelling of salvageable renal tubular cells,
unobstruct tubules, and have antioxidant effects. It can be infused at 0.25-1
g/kg by slow infusion over 20 minutes every 4 hours. Diuretics can result in
dehydration and hypovolemia if urine output is not monitored and fluid balance adjusted. When anuria exists (<0.27 ml/kg/hr) mannitol may exacerbate
increased hydrostatic pressure, and result in additional fluid loss into the interstitium.
Renal replacement therapy is a final method which can rapidly eliminate
toxic byproducts in the plasma. Indications for dialysis include severe, intractable uremia, severe hyperkalemia, intractable volume overload, and acute
toxicosis.
BIBLIOGRAPHY
Langston CE. Acute renal failure. In Textbook of Small Animal Critical Care, Silverstein D,
Hopper K (ed). Philadelphia: WB Saunders, 2009, pp494-497.
Mathews KA, Monteith G. Evaluation of adding diltiazem therapy to standard treatment of
acute renal failure caused by Leptospirosis: 18 dogs (1998-2003). J Vet Emerg Crit Care
2006;17(2):149-158.
Tonozzi C, Kirby R, Rudloff E. Perfusion versus Hydration: Impact on the fluid therapy plan.
Comp Cont Ed. On Line Publication 2009.
Rivers BJ, Walter PA, O’Brien TD, King VL, Polzin DJ. Evaluation of urine gamma-glutamyl transpeptidase-to-creatinine ratio as a diagnostic tool in an experimental model of aminoglycoside-induced acute renal failure in the dog. Am Anim Hosp Assoc. 1996 32(4):323-336.
Address for correspondence:
Animal Emergency Center & Specialty Services
414-540-6710
Glendale, WI
E-mail: [email protected]
www.animalemergencycenter.com
www.veccs.org
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Il paziente ospedalizzato dalla terapia intensiva alla riabilitazione
Chiara Valtolina
Med Vet, PhD, Dipl ACVECC, Utrecht
Ventilazione meccanica
in terapia intensiva
Sabato, 6 marzo 2010, ore 11.20
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La ventilazione meccanica non deve essere considerata una disperata ed
ultima alternativa alla terapia medica nei pazienti con problemi respiratori, ma
una vera e propria modalità di supporto e scelta terapeutica in tutti i pazienti
che, a causa di una patologia polmonare, neurologica o neuromuscolare non
sono in grado di mantenere un’adeguata ossigenazione o ventilazione. La decisione di cominciare la ventilazione meccanica deve essere basata sulle condizioni cliniche dell’animale, il grado di dispnea, i valori dell’emogas arterioso, la risposta dell’animale alla semplice somministrazione di ossigeno tramite maschera o sonda nasale e la prognosi, legata alla patologia sottostante. Un
outcome migliore può essere raggiunto se la ventilazione meccanica viene
considerata ed intrapresa all’inizio della patologia, prima che le condizioni
cliniche dell’animale deteriorino. Se la condizione clinica dell’animale suggerisce, come possibile modalità terapeutica, la ventilazione polmonare, allora, molto probabilmente, il problema polmonare è di una certa gravità da necessitare realmente la ventilazione.
INDICAZIONI PER LA VENTILAZIONE MECCANICA
I pazienti che possono beneficiare della ventilazione meccanica possono
essere divisi in due gruppi: pazienti con problemi dell’ossigenazione e pazienti con problemi della ventilazione.
Nella insufficienza respiratoria ipossiemica, l’ipossiemia può essere causata da un’inadeguata frazione di ossigeno inspirata, dalla presenza di insufficienti scambi gassosi a livello alveolare e a livello della circolazione polmonare, dalla presenza di V/Q mistmatch e shunt a livello polmonare. Patologie
comuni che possono causare ipossiemia sono la contusione polmonare, atelettasia, pneumonia, edema polmonare cardiogenico e neurogenico, inalazione
di sostanze tossiche e la sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS).
Ipossiemia viene solitamente classificata come: PaO2 < 80 mmHg suggerisce la presenza di ipossiemia, < 60 mmHg ipossiemia severa. Se la sola somministrazione di ossigeno non è in grado di aumentare la PaO2, allora la ventilazione meccanica a pressione positiva deve essere considerata. L’ossigenzione del sangue può anche essere valutata con l’utilizzo della pulsiossimetria
(SpO2); ricordate che valori di SpO2 96% corrispondono ad una PaO2 di 80
mmHg, 91% corrisponde ad una PaO2 di 60 mmHg!!
Nell’insufficienza respiratoria ipercapnica, i polmoni sono normali, ma il
paziente non è in grado di mantenere una ventilazione adeguata; si assiste al
graduale aumento della CO2 (ipercapnia) e allo sviluppo di ipossiemia secondaria. Patologie in grado di alterare la ventilazione sono: patologie del siste150
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ma nervoso centrale, farmaci (oppioidi, anestetici, fenobarbitale), alterazioni
delle vie nervose della respirazione (patologie della colonna cervicale, polineuropatie), patologie neuromuscolari (miastenia, botulismo). Nell’ipoventilazione: PaCO2 > 45 mmHg è indicativa di ipoventilazione, PaCO2 > 60 mmHg
è indicativa di ipoventilazione severa. La valutazione della CO2 a fine espirazione (ETCO2) è in grado di fornirci una stima della PaCO2, anche se il valore è lievemente inferiore; valori di ETCO2 > 50 mmHg suggeriscono ipoventilazione.
Un aumento dell’attività della muscolatura della respirazione viene richiesto per superare le aumentate resistenze delle vie aeree e patologie del parenchima polmonare. L’aumentato lavoro della muscolatura porta ad un aumento del consumo di ossigeno e allo sviluppo di ipertermia. Se lo sforzo respitratorio persiste per lungo tempo, l’animale può andare incontro ad esaurimento da fatica muscolare e questo porta, secondariamente, ad ipoventilazione ed ipossiemia. L’ipercapnia severa ed esaurimento da fatica muscolare possono portare ad arresto respiratorio.
Il fine della ventilazione meccanica è di migliorare lo scambio gassoso aumentando la ventilazione alveolare, di aumentare l’ossigenazione arteriosa, di
aumentare il volume polmonare e prevenire lo sviluppo di atelettasia. Questi
fini possono essere raggiunti stabilizzando la ventilazione e cercando di mantenere la PaCO2 tra valori da 35 a 50 mmHg e stabilizzando l’ossigenazione
mantenendo una PaO2 80 mmHg fino a 120 mmHg. Idealmente, poiché la
ventilazione meccanica non è scevra da complicanze, bisognerebbe cercare di
stabilizzare il paziente utilizzando la più bassa frazione di ossigeno inspirato
che ci permetta di mantenere una buona ossigenzione (60 mmHg o meno) e
cercando di prevenire e diminuire gli effetti deleteri di questa procedura.
VENTILAZIONE MECCANICA
Un ventilatore è una macchina che supporta alcune o tutte le fasi della respirazione. Un flusso inspiratorio deve essere generato dal ventilatore per
muovere l’aria all’interno degli alveoli. In medicina veterinaria si tende a usare esclusivamente ventilatori meccanici a pressione positiva (PPV). Queste
macchine utilizzano una pressione positiva all’inizio delle vie respiratorie per
muovere aria all’interno degli alveoli.
Quattro fattori sono coinvolti nella ventilazione meccanica polmonare: il
volume, la pressione, il flusso respiratorio ed il tempo. Il fattore che viene utilizzato per terminare l’atto inspiratorio, viene utilizzato per classificare la modalità di ventilazione. In medicina veterinaria i due fattori che vengono mag151
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giormente utilizzati per regolare la modalità di ventilazione sono: il volume
tidalico (determinato volume somministrato dalla macchina durante il tempo
di inspirazione), o la pressione nelle vie aeree (determinata pressione somministrata durante il tempo di inspirazione). La ventilazione viene quindi definita a volume o a pressione controllata. Volume e pressione non sono però due
parametri separati tra di loro, ma sono legati dalla relazione di compliance
polmonare. La compliance polmonare, che è determinata dalle variazioni del
volume data una certa pressione, definisce il grado di distensiblità del polmone stesso. Quindi se scegliamo una ventilazione a volume controllato, il nostro ventilatore fornirà al paziente un atto respiratorio con un determinato volume tidalico e la pressione, all’interno delle vie respiratorie, sarà determinata dalla compliance polmonare e viceversa. Studi in medicina umana e veterinaria hanno dimostrato che non esiste differenza a livello di scambi gassosi
alveolari tra le due differenti modalità di ventilazione. La ventilazione a volume controllato, può a volte causare la sovradistensione alveolare ed un secondario danno al parenchima polmonare stesso, se la pressione necessaria per
fornire quel determinato volume diventa troppo elevata. Lo svantaggio della
ventilazione a pressione controllata è che il volume tidalico potrebbe diminuire con la diminuzione della compliance, causando una minore ossigenazione,
un aumento della CO2 ed ipossiemia.
Altri importanti setting del ventilatore meccanico che il clinico deve considerare, oltre al volume tidalico e alla pressione delle vie inspiratorie, sono
la frequenza respiratoria, il trigger inspiratorio (cioè il setting che fa cominciare l’atto inspiratorio), la relazione tra inspirazione ed espirazione (I:E), la
frazione di ossigeno inspirato e la PEEP, o pressione positiva a fine espirazione. I setting del ventilatore sono determinati dalla condizione clinica dell’animale e dalla patologia sottostante.
Gli atti inspiratori possono essere inoltre spontanei, supportati dal ventilatore o controllati dal ventilatore stesso. Un atto inspiratorio spontaneo è iniziato dal paziente ed il paziente stesso ne determina il volume tidalico e la frequenza respiratoria. Nella respirazione assistita il paziente inizia l’atto inspiratorio, che viene riconosciuto dalla macchina, che lo assiste a sua volta con
una certa pressione o volume. Un atto inspiratorio controllato è quando il ventilatore decide volume tidalico e frequenza respiratoria.
A seconda del grado di supporto effettuato dal ventilatore, il clinico può
scegliere diverse modalità di ventilazione. La ventilazione assistita/contollata
fornisce un determinato volume tidalico o pressione, ad un predefinito intervallo di tempo (ventilazione controllata), o permette al paziente di iniziare
l’atto inspiratorio, che viene poi assistito dal ventilatore (ventilazione assistita). È la tecnica che viene scelta nei pazienti incapaci di generare un adegua152
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to volume tidalico, pur mantenendo lo stimolo inspiratorio. Questa modalità
supporta ogni atto inspiratorio. In un animale con eccessiva frequenza respiratoria, può però causare álkalosi respiratoria e ipocapnia e, se i setting del
trigger non sono adeguati al paziente, potrebbe causare un aumento del lavoro svolto dai muscoli della respirazione. La respirazione sincronizzata intermittente mandatoria (SIMV), sincronizza lo sforzo inspiratorio del paziente al
ventilatore. Con il SIMV il paziente può avere tre tipi di respiro: respiro spontaneo, un atto inspiratorio controllato dal ventilatore o un atto respiratorio
spontaneo con supporto pressorio. Se la frequenza respiratoria del paziente
scende al di sotto di un certo numero di atti inspiratori, il ventilatore fornirà
un certo numero di atti inspiratori indipendentemente dal paziente.
Per iniziare la ventilazione a pressione positiva nei nostri animali è solitamente necessaria l’anestesia generale e l’intubazione tracheale; solo nei pazienti con patologie neurologiche gravi da causare depressione del sensorio, è
possibile effettuare la ventilazione meccanica semplicemente con una sedazione.
Se i polmoni sono normali, indipendentemente dal metodo di ventilazione
utilizzato, i setting iniziali sono:
• Pressione picco delle vie aeree di 10-20 cm H2O
• Volume tidalico 8-12 ml/kg
• Tempo inspiratorio 1 sec
• Frequenza respiratoria di 10-20 pm
• Ventilazione minuto di 150-250 ml/kg/min
• Pressione positiva a fine espirazione di 0 + 2 cm H2O
• Frazione di ossigeno inspirato < 0.6
• Alcuni animali possono richiedere una manovra di reclutamento di 30
cm di acqua per minimizzare le aree di atelettasia
Ovviamente questi setting sono solo delle linee guida ed i setting dovranno essere aggiustati ed adattati alle diverse esigenze dell’animale e al variare
della patologia polmonare. È fondamentale monitorare intensamente l’animale durante la ventilazione meccanica e modificare i setting ed eventualmente
la modalità di ventilazione, in modo da ottenere una buona ossigenazione ed
eucapnia con la tecnica ventilatoria meno aggressiva e con una bassa concentrazione inspirata di ossigeno.
La pressione positiva a fine espirazione (PEEP) ha l’importante funzione
di mantenere aperti gli alveoli a fine espirazione, riducendo le aree di atelettasia, aumentando la capacità funzionale respiratoria residua e riducendo il
continuo chiudersi e riaprirsi degli alveoli a fine espirazione, riducendo l’atelettrauma. Può essere utilizzata nei soggetti in cui è difficile mantenere una
buona ossigenazione. La frazione di ossigeno inspirato dovrebbe essere man153
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tenuta a <0.6 per ridurre al minimo il rischio di tossicità da ossigeno; nel caso di persistente ipossiemia, la FIO2 può essere aumentata per brevi periodi fino a 100%.
Quando i polmoni sono patologici, diventano meno complianti e più rigidi e l’utilizzo di un volume tidalico “normale” di 10-12 ml/kg, può produrre
un aumento della pressione delle vie espiratorie fino a 50-60 cmH2O. Questo
può causare numerosi problemi e danni secondari al parenchima polmonare,
come mostrato da numerosi studi nell’uomo e negli animali, dove i danni al
parenchima polmonare possono verificarsi anche con una pressione delle vie
aeree superiore ai 30 cmH2O (VILI- ventilator induced lung injuries).
Questi danni includono, rilascio di mediatori dell’infiammazione, rottura
degli alveoli, sviluppo di pneumotorace. Diversi studi in medicina umana,
specialmente nei pazienti con ARDS hanno portato allo sviluppo di quelle che
vengono definite tecniche protettive di ventilazione polmonare. Le tecniche
protettive di ventilazione polmonare si basano sull’utilizzo di un volume tidalico minimo (6-8 ml/kg), una pressione delle vie aeree inferiore ai 30 cmH2O
e all’utilizzo di elevata PEEP fino a 20-30 cmH2O. Elevati livelli di PEEP sono utilizzati per reclutare nuovi alveoli nelle aree collassate, prevenendo l’atelettrauma. L’utilizzo di bassi volumi tidalici porta però ad un aumento dello
spazio morto e della CO2, causando una lieve ipercapnia. In medicina umana
si parla di “ipercapnia permissiva”, ovvero lo sviluppo graduale (nei giorni)
di un’acidosi respiratoria, allo scopo di mantenere bassi pressione nelle vie
aeree e volume tidalico. Questi studi sono stati effettuati nell’uomo e le tecniche protettive di ventilazione hanno ridotto la mortalità a 28 giorni nei pazienti con ARDS, ma non esiste nessuno studio effettuato in medicina veterinaria. Queste informazioni e questi setting devono essere presi e considerati
con le dovute precauzioni nei nostri pazienti.
Quando iniziamo la ventilazione a pressione positiva, dobbiamo sempre ricordare che è una modalità di supporto del paziente invasiva, ed è in grado di
causare, se non viene effettuata nel migliore dei modi, delle lesioni al parenchima polmonare normale o peggiorare le lesioni al parenchima polmonare
già traumatizzato (VILI o ventilator induced lung injury).
Tra le lesioni riportate ricordiamo:
• Il barotrauma
Lesione/rottura alveolare secondaria ad una pressione eccessiva delle vie
aeree (PIP). Aria fuoriesce dall’albero tracheobronchiale, presumibilmente secondariamente a rottura alveolare. La rottura degli alveoli avviene secondariamente ad eccessiva pressione inspiratoria o ad eccessivo volume
o ad entrambi. L’aria, che fuoriesce dagli alveoli, segue la via con minore
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resistenza, ovvero tra le fasce muscolari. Lesioni associate al barotrauma
sono:
- Pneumotorace
- Pneumomediastino
- Pneumoperitoneo
- Enfisema sottocutaneo
• L’atelettrauma
L’atelettrauma è dovuto alla continua chiusura e apertura degli alveoli a fine espirazione ed inizio inspirazione. Questi continui traumi provocano
un’alterazione della permeabilità capillare, il rilascio di mediatori infiammatori e l’accumulo di fluidi all’interno degli alveoli.
Il rischio può essere diminuito se evitiamo la completa chiusura degli alveoli mantenendo una pressione positiva a fine espirazione (PEEP)
• Volutrauma
Causato dall’eccessiva sovradistensione alveolare a fine espirazione. L’eccessiva sovradistensione provoca un aumento della permeabilità alveolocapillare, con fuoriuscita di fluidi e proteine che si accumulano nello spazio interstiziale ed alveolare e la formazione di edema polmonare non cardiogenico, accumulo di neutrofili e riduzione del surfattante. È un elemento predisponente per lo sviluppo di ARDS.
• Biotrauma o rilascio di mediatori dell’infiammazione
• Polmonite associata alla ventilazione
La ventilazione meccanica a pressione positiva inoltre, provoca un’alterazione fisiologica delle pressioni intratoraciche, creando una pressione intratoracica positiva durante l’inspirazione. Queste alterazioni sono ancora più evidenti nei soggetti in cui vengono utilizzate elevate pressioni delle vie respiratorie (PIP > 30 cm H2O) o elevata PEEP. Durante la respirazione normale fisiologica, il ritorno venoso al cuore viene favorito dall’instaurarsi di una pressione intratoracica negativa durante l’atto inspiratorio. L’aumento della pressione a livello pleurico, nella ventilazione a pressione positiva, crea un effetto avverso, riducendo il ritorno venoso al cuore, e, nei casi più gravi, è in grado di ridurre la portata cardiaca. Questo effetto viene sentito maggiormente
nella fase inspiratoria e soprattutto nei soggetti che già presentano alterazioni
del cardiocircolo, per esempio se ipovolemici. L’instabilità cardiovascolare
può essere riconosciuta nei soggetti che sviluppano tachicardia ed ipotensione durante la ventilazione. La ventilazione a pressione positiva, è in grado di
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diminuire la produzione urinaria, per effetto sull’ormone antidiuretico e predispone il paziente ad ulcerazioni gastrointestinali.
L’animale in ventilazione meccanica deve essere monitorato attentamente
e la cura del soggetto anestetizzato e ventilato (prevenzione di piaghe da decubito, di atelettasia, cura della vescica, pulizia della bocca, cura del tubo endotracheale etc) deve essere intensa e continua.
La scelta di interrompere la ventilazione è legata o al miglioramento delle
condizioni cliniche dell’animale (miglioramento di ossigenazione e ventilazione con una ventilazione meccanica mini-invasiva, con ridotto supporto e
con basse FI02, o secondaria al peggioramento delle condizioni cliniche dell’animale.
La prognosi per un animale che necessita del supporto ventilatorio dipende, nella maggior parte dei casi, dalla patologia sottostante; animali che richiedono la ventilazione polmonare per patologie che riducono l’ossigenazione hanno solitamente una prognosi più sfavorevole, quando paragonati ad animali con problemi esclusivamente di ventilazione.
BIBLIOGRAFIA
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Chiara Valtolina
Med Vet, PhD, Dipl ACVECC, Utrecht
Squilibri elettrolitici
e del gucosio più comuni
(sodio, potassio, glicemia)
Domenica, 7 marzo 2010, ore 9.00
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La valutazione degli elettroliti nei pazienti ospedalizzati è estremamente importante, poiché alterazioni della loro concentrazione plasmatica possono contribuire alla sintomatologia clinica, specialmente peggiorando debolezza muscolare, inappetenza e contribuendo ad alterazioni neurologiche e dello stato del
sensorio. I pazienti ricoverati possono presentare alterazioni elettrolitiche secondarie alla loro patologia primaria, o possono svilupparle a seguito della somministrazione di una fluidoterapia non bilanciata. Patologie che coinvolgono i
reni, il tratto gastrointestinale e patologie endocrine sono spesso associate ad alterazioni del sodio, potassio e del glucosio. Le alterazioni possono essere minimali tali da non richiedere nessuna correzione, ma a volte, se severe, possono
portare a significativo peggioramento della sintomatologia clinica del paziente
e richiedono una pronta correzione ed un attento monitoraggio.
GLUCOSIO NEI PAZIENTI IN TERAPIA INTENSIVA
Il glucosio viene prodotto dalla digestione dei carboidrati nell’intestino,
dalla glicogenolisi a livello muscolare ed epatico e dalla gliconeogenesi nel
fegato. Un numero elevato di ormoni è coinvolto nel mantenimento della normoglicemia (insulina, glucagone, cortisolo, GH). Il livello ematico del glucosio riflette la relazione tra produzione epatica del glucosio ed il suo consumo
da parte di cellule e tessuti. Il trasporto massimo renale del glucosio e di 180220 mg/dl nel cane e di 260-310 mg/dl nel gatto.
IPERGLICEMIA
Nel cane e nel gatto si definisce iperglicemia lieve quando il valore del glucosio è tra i 130 ed i 180 mg/dl ed iperglicemia severa quando la concentrazione del glucosio è al di sopra dei 180 mg/dl. L’iperglicemia è associata a numerosi effetti negativi come la riduzione della funzione immunitaria, aumento dell’infiammazione e attivazione della coagulazione dell’endotelio. L’iperglicemia
è comune nei pazienti in terapia intensiva in medicina umana. Studi in gruppi
specifici di pazienti ricoverati, hanno dimostrato un beneficio clinico nel regolare, con la somministrazione di insulina, la glicemia entro range ristretti.
Anche nei nostri animali studi recenti hanno riportato l’iperglicemia come
comune complicanza di alcune patologie (fasi iniziali nella sepsi, infiammazione, trauma cranico, diabete mellito e ketoacidosi diabetica), secondaria all’attivazione del sistema nervoso simpatico e alla risposta a situazioni di
stress, secondaria alla somministrazione di farmaci anestestici, beta agonisti,
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metilxantine, farmaci vasopressori, soluzioni glucosate e di nutrizione parenterale. Negli animali da compagnia l’utilizzo dell’insulina per il controllo della glicemia è stato valutato; l’insulina è comunemente utilizzata, solo nel trattamento della ketoacidosi diabetica ed il controllo stretto della glicemia non è
mai stato utilizzato né valutato. Uno studio sullo stretto controllo della glicemia in un gruppo eterogeneo di pazienti in terapia intensiva (“The NICE Sugar Study”), pubblicato in medicina umana nel 2009, ha messo in evidenza
come lo stretto controllo della glicemia fino al raggiungimento di un valore di
glucosio tra i 100-150 mg/dl, con la somministrazione di insulina, possa avere un effetto negativo sull’outcome dei pazienti, aumentandone mortalità
e morbidità, se paragonato alla regolazione del glucosio nei range dei 180
mg/dl. Ulteriori studi sono necessari in medicina veterinaria per valutare se i
pazienti con severa iperglicemia possano trarre beneficio clinico dal controllo stretto della glicemia con la somministrazione di insulina.
IPOGLICEMIA
Poiché il SNC ha una scarsa abilità nell’utilizzare altri substrati energetici e ha poche capacità di riserva, il glucosio viene considerato una fonte obbligata di energia per il cervello. L’ipoglicemia è in grado di causare neuroglicopenia del sistema nervoso centrale e questo spiega perché la sintomatologia associata ad ipoglicemia è primariamente neurologica. I segni clinici
includono alterazioni del sensorio, irritabilità debolezza, letargia, atassia, alterazione della visione e crisi convulsive. L’ipoglicemia cronica può produrre dei danni neurologici permanenti, specialmente la perdita della visione.
Altri segni clinici sono vocalizzazioni, vomito, diarrea, iperventilazione.
Bradicardia e colasso circolatorio sono anche stati documentati in soggetti
ipoglicemici. Si definisce ipoglicemia quando la concentrazione del glucosio
è al di sotto dei 60 mg/dl ed i segni clinici si possono manifestare a concentrazioni inferiori a 50 mg/dl. La triade di Whipple fornisce una linea guida
per l’identificazione dell’ipoglicemia e consiste in: presenza documentabile
di ipoglicemia, segni clinici ad essa associati e miglioramento dei segni clinici con la correzione del glucosio.
Le cause di ipoglicemia sono molteplici:
• Eccesso di insulina
Solitamente iatrogenico nei pazienti diabetici che ricevono una dose eccessiva di insulina, o nei soggetti diabetici che diventano anoressici o iporessici.
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• Insulinoma
Tumore delle cellule beta secernente insulina. Solitamente si verifica nei
pazienti adulti/anziani ed i segni clinici sono solitamente debolezza e collasso.
• Ipoglicemia paraneoplastica
Tumori come epatoma, carcinoma epatocellulare e leiomiosarcoma o altri
adenocarcinomi, linfoma e adenocarcinoma possono causare ipoglicemia
per la secrezione di insulina o peptidi che hanno un effetto insulino-simile o per consumo del glucosio dalle cellule tumorali.
• Tossine e farmaci
Alcuni ipoglicemizzanti orali possono causare ipoglicemia (sulfonilurea).
Beta bloccanti possono interferire con il rilascio di insulina. Il sostituto
dello zucchero, xilitolo è stato associato a severa ipoglicemia per rilascio
acuto di elevate dosi di insulina nei soggetti dopo ingestione.
• Ipoglicemia nelle razze di piccola taglia e nei cuccioli
Sia nei cuccioli che nei cani di piccola taglia l’ipoglicemia si sviluppa per
ridotta gluconeogenesi e inadeguati substrati per la glicogenolisi.
• Patologie epatiche
Shunt portosistemico, insufficienza epatica acuta, lipidosi epatica e neoplasia epatica sono associati con anormale accumulo del glicogeno, e capacità gluconeogenetiche.
• Ipoadrenocorticismo e ipocortisolismo possono causare ipoglicemia per la
perdita di meccanismi contro-regolatori della glicemia.
• Un aumento dell’utilizzo del glucosio durante sepsi:
Ipoglicemia può verificarsi per aumentato consumo del glucosio da parte
delle cellule e dei mediatori infiammatori, soprattutto macrofagi e neutrofili in organi come fegato, milza e la causa fisiopatologica sembra essere non –insulino dipendente.
Il glucosio deve essere misurato in tutti i soggetti a rischio e molto frequentemente nei cuccioli e cani di piccola taglia, specialmente quando l’assunzione di cibo è diminuita. In caso di ipoglicemia severa, il glucosio deve
essere immediatamente corretto. Si utilizza un bolo di 0,5-1 ml/kg di una soluzione di destrosio al 50%, diluito 1:4 con soluzione fisiologica e sommini160
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strato per via endovenosa in 10 minuti. In alcuni soggetti la somministrazione del bolo di glucosio è sufficiente a correggere i segni clinici e ristabilire
l’euglicemia; in altri soggetti alla somministrazione del bolo, deve seguire la
somministrazione di una soluzione glucosata al 5% alla velocità di 2-3 ml/kg/
ora ed il glucosio costantemente monitorato.
SODIO NEI PAZIENTI IN TERAPIA INTENSIVA
Il sodio è l’elettrolita extracellulare più importante, mentre la sua concentrazione intracellulare è mantenuta bassa dalla presenza della pompa sodio/potassio ATPasi sulla membrana cellulare. La concentrazione del sodio a livello extracellulare è fondamentale per il mantenimento della pressione osmotica del liquido extracellulare. La concentrazione sierica del sodio è un riflesso della concentrazione del sodio relativa al volume di distribuzione dell’acqua nell’organismo e non direttamente legata alla concentazione totale del sodio nell’organismo. Alterazioni della distribuzione dell’acqua tra i vari compartimenti dei fluidi corporei, sono in grado di influenzare la concentrazione del sodio, e la concentrazione del sodio, a sua volta, influenza il movimento e la distribuzione dell’acqua tra il compartimento vascolare ed intracellulare. La sua concentrazione
è mantenuta in un range costante prevalentemente dal rene, che ne facilita il
riassorbimento o l’eliminazione. Il range normale della natremia nel cane è di
10-150 mmol/l e nel gatto di 145-155 mmol/l.
IPONATREMIA
Iponatremia può essere associata a perdite del sodio in eccesso, a perdite
di acqua, all’accumulo di una sostanza osmoticamente attiva a livello plasmatico, all’accumulo in eccesso di acqua o da un minor riassorbimento del sodio
a livello renale. Alcune tecniche di laboratorio, nei pazienti con iperlipidemia,
possono causare una falsa iponatremia che viene definita pseudoiponatremia.
Cause di iponatremia con ipoosmolarità sono divise in base alla causa sottostante e agli effetti sul volume intravascolare:
• Iponatremia associata ad ipervolemia: solitamente causata da patologie che
provocano un’alterata eliminazione di acqua, dovuta alla percezione, da parte dell’organismo, di un deficit del volume effettivo circolante e attivazione
delle risposte omeostatiche di riassorbimento di acqua e sodio a livello renale (attivazione del sistema RAAS e del rilascio dell’ormone antidiuretico).
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-
Insufficienza cardiaca
Disordini epatici cronici
Sindrome nefrosica
Iponatremia associata a normovolemia
Polidipsia psicogena
Sindrome della secrezione inappropriata di ADH (SIADH)
Mixedema, coma
Somministrazione di fluidi ipotonici (glucosata al 5% e 0,45% NaCl)
• Iponatremia associata ad ipovolemia: perdita di fluidi corporei ed attivazione dei meccanismi omeostatici per il riassorbimento di sodio e acqua a
livello renale
- Perdite gastrointestinali severe (vomito e diarrea)
- Pedita nel terzo spazio (peritonite, effusione pleurica)
- Perdite cutanee (ustioni)
- Ipoadrencorticismo
- Somministrazione di diuretici d’ansa
L’iponatremia è spesso associata ad ipoosmolarità e, se severa (sodio < 120
mmol/l) ed acuta, può dare origine alla sintomatologia clinica. Segni clinici sono atassia, crisi convulsive, coma e occorrono secondariamente allo sviluppo di
edema cerebrale ed all’aumento della pressione intracranica. Se l’iponatremia si
sviluppa lentamente le cellule, per proteggersi dal cambio di osmolarità plasmatica, perdono molecole intracellulari (sodio, cloro e potassio); purtroppo questa
modalità di protezione espone il tessuto nervoso ad una disidratazione iperosmotica nel caso la correzione del sodio plasmatico avvenga troppo rapidamente. Il
trattamento dell’iponatremia deve focalizzarsi sul trattamento delle patologie
sottostanti. Una correzione rapida dell’iponatremia può causare danni secondari
e neurologici gravi per lo sviluppo della mielinolisi centrale pontina. Il sodio sierico dovrebbe essere aumentato con una concentrazione non superiore a 0,5
mmol Na/l/ora. La correzione dovrebbe avvenire con l’utilizzo di soluzioni cristalloidi isotoniche (Ringer lattato/acetato o soluzione fisiologica). Nei pazienti
con iponatremia ipervolemica, lo sviluppo dell’iponatremia è solitamente un segno prognostico sfavorevole e l’utilizzo di una dieta povera di sodio e di diuretici fanno spesso parte della terapia in questi casi.
IPERNATREMIA
L’ipernatremia è sempre associata ad un aumento dell’osmolarità plasmatica e solitamente è associata ad una perdita dell’acqua libera corporea.
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Le cause di ipernatremia sono classificate in base alla patologia sottostante e all’effetto che possono avere sul volume intravascolare:
• Aumento del sodio – associato ad ipervolemia
- Intossicazione da sale
- Iatrogenico (utilizzo della soluzione salina ipertonica, sodio bicarbonato, nutrizione parenterale)
- Iperaldosteronismo/iperadrenocorticismo
• Perdita di acqua pura – normovolemia
- Ipo/adipsia primaria (Staffordshire Bull terrier/ Miniature Schnauzer)
- Diabete insipido (centrale e nefrogenico)
- Ipertermia
- Mancato accesso all’acqua da bere
- Elevate temperature ambientali
• Perdita di fluidi ipotonici – ipovolemia
- Perdite gastrointestinali (vomito, diarrea)
- Perdita nel terzo spazio (peritonite)
- Ustioni
- Perdite renali (diuresi osmotica, post-ostruttiva, insufficienza renale cronica)
Segni clinici dell’ipernatremia sono associati alla disidratazione delle cellule del sistema nervoso centrale, a seguito dello stimolo osmotico che favorisce la fuoriuscita dell’acqua dalle cellule nervose, per andare nello spazio
interstiziale. La gravità dei segni clinici è associata alla rapidità con la quale
l’ipernatremia si sviluppa. Segni clinici sono principalmente neurologici e
includono crisi convulsive, irritabilità depressione del sensorio e coma. Se
l’ipernatremia si sviluppa rapidamente, i segni clinici possono essere visibili
quando la concentrazione del sodio raggiunge i 170 mmol/l; se la concentrazione aumenta in modo più cronico, le cellule del sistema nervoso centrale si
adattano al cambio dell’osmolarità plasmatica producendo osmoli idiogeni ed
aumentando la loro osmolarità intracellulare.
Il trattamento dell’ipernatremia si deve basare sulla velocità con la quale
si è instaurata e sulla valutazione del volume plasmatico del paziente. Poiche
molte volte, quando ci troviamo a valutare un paziente ipernatremico non possiamo essere sicuri della velocità con la quale si è sviluppato il problema, è
sempre opportuno cercare di diminuire il sodio plasmatico molto lentamente,
con una velocità che non deve superare 0,5-1 mmol/l/ora, per evitare lo sviluppo di iponatremia e disidratazione cellulare.
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Se ci troviamo di fronte ad un paziente ipernatremico ed ipovolemico, la
volemia deve essere sempre corretta per prima; è bene utilizzare soluzioni isotoniche contenenti un normale livello di sodio (NaCl 0,9% o Ringer
Lattato/Acetato) per evitare una diminuzione rapida dell’elettrolita. Nel momento in cui la volemia è ristabilita, con un corretto ed accurato uso di soluzioni bilanciate isotoniche e soluzioni ipotoniche, si deve cercare di diminuire la natremia lentamente, monitorando attentamente il valore plasmatico del
sodio, almeno ogni due ore, nelle fasi iniziali. Esistono diverse formule per
valutare il quantitativo di acqua libera che deve essere somministrata per ridurre l’ipernatremia, per esempio:
Deficit di acqua libera (L) =
0,6 x peso corporeo (kg) x [Na+] (paziente) _ 1
[Na+] (normale)
Il valore stimato può essere rimpiazzato in 24-48 ore. È importante ricordare che una soluzione di NaCl 0,45% contiene il 50% di acqua libera, mentre una soluzione glucosata al 5% contiene il 100% di acqua libera.
IL POTASSIO NEI PAZIENTI IN TERAPIA INTENSIVA
Anomalie della concentrazione del potassio sono le più comunemente riconosciute nei pazienti ricoverati in terapia intensiva. Molte volte le alterazioni sono minimali e sebbene contribuiscano, in parte, alla sintomatologia clinica dell’animale, non richiedono un intervento immediato di correzione; solo quando le alterazioni sono severe il clinico deve essere pronto a riconoscere i segni clinici ad esse associati e deve essere pronto ad instaurare un trattamento aggressivo.
Il potassio è il maggior catione intracellulare, mentre la sua concentrazione plasmatica è tenuta entro limiti molto stretti dalla funzione della pompa
Na/K ATPasi dipendente, sulle membrane cellulari. La sua concentrazione intracellulare è di 140 mEq/l, mentre la plasmatica è 3,6-4,5 mEq/l nel cane e
nel gatto. La quantità di potassio corporea dipende dall’assorbimento del potassio prevalentemente per via enterale e dalla sua regolazione (assorbimento
ed eliminazione) a livello renale. La regolazione del potassio a livello renale
è sotto l’influenza di ormoni come l’aldosterone. La funzione principale del
potassio è il mantenimento del potenziale a riposo delle membrane delle cellule neuromuscolari e specialmente delle cellule cardiache. Il potenziale a riposo delle membrane è determinato dalla relazione tra la concentrazione del
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potassio intracellulare ed extracellulare (vedi figura sottostante). L’ipokaliemia rende il potenziale a riposo più negativo e quindi rende la depolarizzazione delle cellule più difficile; l’iperkaliemia rende il potenziale di riposo meno
negativo rendendo le cellule inizialmente più eccitabili, ma diminuendo il gradiente tra potenziale di riposo e potenziale d’azione rende la cellula incapace
di ripolarizzarsi. Alla fine, la diminuzione dell’eccitabilità di membrana, porta
ad alterazioni della conduzione cardiaca e a debolezza muscolare o paralisi.
-70
-90
↑K
↓ K+
↓ Ca2+
↑ Ca2+
L’equilibrio acido-base influenza la concentrazione plasmatica del potassio; l’alkalosi metabolica provoca l’entrata del potassio nel compartimento intracellulare in scambio con ioni H+, mentre acidosi metaboliche inorganiche
acute (es. acidosi metabolica da insufficienza renale) causano la fuoriuscita
del potassio dal compartimento intracellulare all’extracellulare.
IPOKALIEMIA
L’ipokaliemia può essere causata da:
• Ridotta assunzione del potassio per via enterale in situazioni di anoressia
e disoressia. Una ridotta assunzione può essere comune anche nei pazienti ricoverati anorettici che ricevono fluidoterapia con soluzioni povere in potassio.
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• Perdita del potassio. È la causa più comune di ipopotassiemia. Le perdite
possono avvenire
- per via enterale (vomito, diarrea, malassorbimento)
- per via renale (molto comune); insufficienza renale cronica, iperaldosteronismo, somministrazione di diuretici d’ansa, diuresi osmotica e post
ostruttiva, acidosi tubulare e nefropatia ipokaliemica del gatto.
- traslocazione intracellulare dopo somministrazione di insulina, bicarbonato di sodio, in corso di alkalosi metabolica grave.
I segni clinici associati a ipokaliemia lieve o moderata possono essere vaghi e
poco distinguibili dalla patologia primaria. Nell’ipokaliemia moderata e grave i
segni clinici sono legati all’anormale depolarizzazione di membrana ed includono
vomito, diarrea, nausea, anoressia, ileo, debolezza muscolare, ventroflessione del
collo, soprattutto nei gatti, atassia. Alterazioni dell’elettrocardiogramma mostrano un appiattimento dell’onda T, una depressione del segmento ST, la comparsa
(raro) di onde U e alterazioni del ritmo (tachicardia e bradicardia). Bisogna ricordare che l’ipokaliemia potenzia la tossicità di alcuni farmaci -come la digossinae rende refrattario il miocardio all’utilizzo dei farmaci antiaritmici di classe I.
Il trattamento dell’ipokaliemia può essere effettuato per via orale, con la
somministrazione di potassio in polvere o compresse, ma questa via è raccomandata solo nei soggetti con alterazioni lievi del potassio plasmatico e se
non sussitono controindicazioni (vomito o mal assorbimento intestinale). Nei
casi di ipokaliemia da moderata a grave è sempre raccomandata la somministrazione del potassio per via endovenosa. La soluzione di potassio cloruro è
fortemente ipertonica rispetto al plasma, quindi deve essere sempre diluita almeno 1:4 - 1:5 con soluzione fisiologica prima della sua somministrazione.
Quando si corregge il potassio, è importante non superare 0,5 mEq/kg/ora per
evitare l’insorgenza di complicazioni e lo sviluppo di iperkaliemia.
Esistono diverse tabelle che possono essere utilizzate per la correzione del
potassio. Nelle raccomandazioni delle tabelle, il potassio viene aggiunto al
fluido di mantenimento in concentrazioni diverse a seconda della sua concentrazione plasmatica.
Potassio sierico (mmol/l)
Quantità in mmol di potassio da
aggiungere ad un litro di fluido
> 5,5
Nessuno
4,1-5,5
20
3,1-4
30
2,6-3
40
< 2,5
60-80
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Altre formule possono essere utilizzate per la correzione del potassio:
(4,3 - {concentrazione potassio attuale}) x 0,6 x peso dell’animale in kg =
mmol di potassio da somministrare per correggere il potassio fino a 4,3
mmol/l. Una volta calcolate le millimoli da somministrare, la velocità non deve mai eccedere 0,5 mEq/ora.
IPERKALIEMIA
L’iperkaliemia viene classificata in base alla concentrazione sierica del
potassio in lieve (fino a 6 mmol/l), moderata (6-7 mmol/l) e grave (> 7 mmol/l).
È poco comune avere iperkaliemia grave se la funzione renale del soggetto è normale.
Le cause possono essere:
• Aumentata somministrazione: rara. Molte volte iatrogenica da eccessiva
correzione del potassio
• Traslocazione dal compartimento intracellulare a plasmatico.
- Acidosi metabolica inorganica
- Trauma tissutale grave
- Danno da riperfusione (post-ATE)
- Sindrome da lisi tumorale
• Diminuita escrezione urinaria
- Insufficienza renale anurica/oligurica
- Ostruzione uretrale
- Uroaddome
- Ipoadrenocorticismo
- Ipoaldosteronismo
Le manifestazioni cliniche sono, anche in questo caso, legate all’alterazione della eccitabilità di membrana. I segni clinici includono nausea, vomito,
diarrea, depressione del sensorio, bradicardia. Le alterazioni dell’ECG secondarie ad iperkaliemia sono tipiche ma non sempre associate alla concentrazione del potassio sierico. È possibile riconoscere bradicardia, associata formazione di picchi delle onde T, seguita dall’accorciamento dell’intervallo QT e
dall’appiattimento dell’onda P seguito dalla scomparsa dell’onda P, alterazione del complesso QRS e sviluppo del ritmo “senoventricolare”. Questi animali sono a rischio di arresto cardiaco. Se l’ECG mostra severe alterazioni della
morfologia del ritmo cardiaco, la correzione del ritmo cardiaco deve avere la
precedenza su ogni altro trattamento.
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Il paziente ospedalizzato dalla terapia intensiva alla riabilitazione
Il trattamento dei soggetti con iperkaliemia dipende dalla presenza e gravità dei segni clinici e deve essere mirato alla ristabilizzazione del potenziale
di membrana. Nei soggetti con compromissione cardiovascolare (alterazioni
dell’ECG, bradicardia severa) è fondamentale la somministrazione del calcio
gluconato (1-1,5 ml/kg in 10 minuti IV). Il calcio gluconato non diminuisce
la concentrazione del potassio sierico, ma protegge il miocardio dagli effetti
tossici dell’iperkalcemia. Per cercare di diminuire la concentrazione plasmatica del potassio, è possibile somministrare 0,1-0,2 IU/kg di insulina regolare
per via endovenosa, associata alla somministrazione di 1-2 g di destrosio ipertonico per unità di insulina. La somministrazione di insulina e destrosio permette il trasferimento del potassio dal compartimento intravascolare, all’intracellulare. Se questa terapia viene utilizzata, è di fondamentale importanza
monitorare costantemente la glicemia e, se necessario, aggiungere del destrosio ai fluidi per mantenere l’euglicemia. La somministrazione di 1-2 mEq/kg
di bicarbonato di sodio, crea un’alkalosi iatrogenica, favorendo il trasferimento all’interno delle cellule del potassio. Ovviamente nei soggetti iperkaliemici nei quali l’alterazione è secondaria ad ostruzione uretrale od insufficienza
renale acuta, la ristabilizzazione del flusso urinario e della produzione urinaria è l’unico modo per correggere in modo definitivo l’alterazione.
Le alterazioni elettrolitiche e del glucosio sono comuni in terapia intensiva. Il clinico deve essere in grado di riconoscere dall’anamnesi e dalla visita
clinica, i soggetti che sono a rischio di alterazioni elettrolitiche e deve essere
in grado di prevenire e trattare prontamente, quando necessario, le alterazioni
elettrolitiche più gravi.
BIBLIOGRAFIA
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(2006)3rd ed. Saunders/Elsevier.
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Il paziente ospedalizzato dalla terapia intensiva alla riabilitazione
Fabio Viganò
Med Vet, SCMPA
San Giorgio su Legnano (MI)
Monitoraggio
in terapia intensiva
Venerdì, 5 marzo 2010, ore 15.20
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Il paziente ospedalizzato dalla terapia intensiva alla riabilitazione
Il monitoraggio in terapia intensiva è di fondamentale importanza per poter valutare lo stato del paziente durante tutto il ricovero e le terapie. Si possono distinguere due tipi di monitoraggio: clinico e strumentale. Il monitoraggio clinico permette di rilevare:
Parametri della perfusione: generalmente effettuato ogni 8 ore, se necessario ad intervalli più ravvicinati. Valutano principalmente la funzionalità cardiaca e respiratoria. I parametri clinici della perfusione sono:
• TRC (tempo di riempimento capillare): in condizioni normali è di circa
1,5-2 secondi.
• Colore delle mucose: può indicare stati di anemia, ittero, vasocostrizione o vasodilatazione e deficit di ossigenazione.
• Frequenza cardiaca: se aumentata può essere responsabile di deficit del
riempimento ventricolare, riduzione della gittata cardiaca e ridotta perfusione coronarica; se diminuita può causare riduzione della gittata cardiaca, ipotensione, riduzione della perfusione cerebrale e ipossia tessutale.
• Polso: deve valutata l’ampiezza (intensità) e la durata. Una discordanza
tra i suoni cardiaci auscultati ed il polso indica un’aritmia.
• Temperatura: deve essere rilevata sia centralmente (rettale o esofagea) e
perifericamente (interdigitale), controllando che la differenza tra le due
non superi i 3-4 gradi centigradi, il che può indicare vasocostrizione periferica ed eventuali deficit di perfusione.
Il monitoraggio strumentale può, a sua volta, essere distinto in emodinamico e respiratorio.
Attraverso il monitoraggio emodinamico strumentale è possibile misurare
la pressione arteriosa (BP). La BP deve essere rilevata in tutti i pazienti critici e/o emodinamicamente instabili più volte al giorno (2-3 o più). Attraverso la misurazione della BP si misura l’onda pulsatile che si muove dalla valvola aortica attraverso i vasi. La BP aumenta durante la sistole (pressione sistolica, SAP) e diminuisce durante la diastole (pressione diastolica, DAP). La
BP deve essere mantenuta entro i range fisiologici per assicurare il corretto
apporto di ossigeno ai tessuti e ottenere lo scambio e l’eliminazione dei prodotti del metabolismo cellulare. Un eccessivo aumento o una drastica riduzione della BP possono portare ad una insufficienza d’organo e quindi aumentare gli indici di morbilità e mortalità. La BP è influenzata da gittata cardiaca
(CO) e dalla vasocostrizione o vasodilatazione periferica (SVR):
BP= CO x SVR
Spesso SAP e DAP possono essere suscettibili di errori dovuti al sito di rilievo o ad errata manualità, per ovviare a questo problema è importante valutare la pressione arteriosa media (MAP), meno sensibile a questo tipo di erro170
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re. La MAP è il valore che meglio valuta lo stato della perfusione. La MAP si
calcola come:
MAP= DAP + (SAP/3 + DAP)
È importante che la MAP sia al di sopra di 70 mmHg per il mantenimento di una perfusione d’organo efficace.
Esistono tre principali tecniche per la rilevazione della pressione arteriosa:
• Non invasiva (NIBP): prevede l’utilizzo di manicotti pneumatici da applicare attorno agli arti o alla base della coda. La coda è il sito migliore
in quanto meno sensibile ad eventuali tremori della muscolatura scheletrica ed è meglio tollerato nel paziente vigile. Uno strumento che misura la BP deve essere in grado di fornire dati attendibili anche quando la
frequenza cardiaca è alterata (elevata o ridotta) ed in presenza di tremori muscolari. Non è necessaria la presenza continua dell’operatore per
effettuare le misurazioni.
• Doppler: prevede l’utilizzo di un manicotto pneumatico collegato ad un
manometro aneroide. Per la misurazione della BP è necessario l’operatore. Il manicotto si applica solitamente a livello di metacarpo o di metatarso e distalmente ad esso si applica la sonda dello strumento che rileva il passaggio del sangue attraverso una arteria periferica (di solito la
digitale palmare comune anteriore o posteriore), avendo cura di eseguire una tricotomia dell’area, di applicare del gel per ecografia e di fissare la sonda con del cerotto a nastro. Si insuffla quindi la cuffia fino alla
scomparsa del suono generato dal passaggio del sangue (in genere 160220 mmHg) e si inizia una lenta deflazione fino alla sua ricomparsa, che
corrisponde alla SAP. Generalmente si utilizza questa metodica quando
la NIBP non è in grado di rilevare la BP, inoltre fornisce una valutazione diretta della perfusione periferica. Ha il vantaggio di poter effettuare
misurazioni anche nei pazienti molto piccoli e in quelli ipotesi, dà buone informazioni circa lo stato di perfusione, la gittata cardiaca ed il polso. Ha però lo svantaggio di rilevare solamente la SAP, è operatore-dipendente e a volte può essere difficoltoso rilevare l’arteria in pazienti
svegli, reattivi, ipotesi e vasocostretti. Ai valori misurati di SAP devono
essere aggiunti 14 mmHg. I vantaggi della tecnica doppler sono: è possibile misurare la pressione arteriosa sistolica nei gatti e nei soggetti gravemente ipotesi, è possibile ottenere la pressione arteriosa sistolica in
quei pazienti dove il metodo oscillometrico ha fallito a seguito di tremori muscolari, movimenti del paziente, aritmie e tachicardie, è utilizzata
correntemente in corso di rianimazione cardiopolmonare cerebrale per
valutare l’efficacia della rianimazione nel produrre un flusso ematico ce171
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rebrale. Si effettua posizionando la sonda sulla superficie corneale dell’occhio (preventivamente cosparso di apposito gel), è possibile misurare la pressione arteriosa anche nei conigli, è possibile udire il battito cardiaco anche nei serpenti molto piccoli, è possibile auscultare la riduzione di entità del suono emesso dallo strumento in corso di somministrazione di sostanze vasoattive, in corso di pneumotorace ed in tutti i casi
in cui si verifica una riduzione della gittata cardiaca, è possibile percepire il polso quando con la digitopressione non è possibile, è possibile
monitorare l’effetto vasodilatatore e vasocostrittore dei farmaci vasoattivi, è possibile avere informazioni circa lo stato della perfusione: suoni
pieni e continui indicano una buona perfusione, suoni assenti, molto deboli e/o discontinui indicano una insufficiente perfusione. Gli svantaggi
di questa tecnica sono: avere la sola pressione sistolica può non essere
sufficiente, essendo la MAP influenzata prevalentemente dalla DAP,
non avere quest’ultima costituisce un limite al suo utilizzo, in alcuni pazienti, ad esempio negli ipotesi, quando esiste un grave deficit della perfusione e nei gatti, posizionare la sonda può essere difficoltoso, ottenere la DAP è difficile, richiede esercizio, perciò è bene apprendere la tecnica in pazienti emodinamicamente stabili ed in anestesia generale, la
differenza di suoni esistente tra la pressione arteriosa sistolica e diastolica è esigua, è difficile ottenere le misurazioni quando la pressione è
bassa, i vasi sono piccoli e vasocostretti, è necessario un operatore per
misurare la BP.
La tecnica Invasiva (IBP): permette di ottenere una misurazione della BP
in modo continuativo in assenza di operatore e fornisce un grafico delle onde
pressorie ad ogni battito del cuore. Viene spesso utilizzata durante chirurgie
maggiori, terapia intensiva, ipotensione grave, riduzione di CO e grave vasocostrizione periferica. Si ottiene posizionando un catetere arterioso, inserito
con un’angolazione 45° rispetto al piano cutaneo, dotato di un sensore di pressione elettronico in un’arteria periferica (metatarsale o femorale) dopo aver
preparato la cute con tricotomia e disinfezione. È il metodo di elezione per la
misurazione della pressione arteriosa.
I valori medi normali della BP del cane sono: SAP 110-190, DAP 80-110,
MAP 90-110, mentre nel gatto sono: SAP 125-180, DAP 75-125, MAP 90-110.
Pressione venosa centrale (PVC): permette di valutare il volume circolante ed è prossima alla pressione di riempimento dell’atrio destro. La PVC
varia in funzione del volume intravascolare, della tonicità e dell’elasticità della parete venosa, della pressione intratoracica e dell’attività cardiaca. La misurazione della PVC trova la sua applicazione soprattutto quando si vuole determinare la velocità e la quantità di fluidi da somministrare in corso di insuf172
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ficienza renale o cardiaca, edema polmonare, shock settico e ipovolemia.
L’accesso alla vena centrale più utilizzato è quello giugulare, sebbene sia possibile anche incannulare la vena cava attraverso la vena safena caudale. I valori normali della PVC sono da -2 a +5 cm H2O.
Lattatemia: valuta la perfusione e l’ossigenazione tessutale. Il lattato viene prodotto in grande quantità in corso di acidosi lattica, che può originare da
una glicolisi anaerobica (in corso di shock, necrosi e ischemia di visceri,
tromboembolismo aortico, ipossiemia, anemia grave, eccessiva attività muscolare, epilessia) o da un’alterazione biochimica della glicolisi (in corso di
diabete, patologie epatiche, neoplasie maligne, sepsi, intossicazioni, miopatia
mitocondriale congenita, alcalosi/iperventilazione, ipocalcemia).
Il monitoraggio strumentale respiratorio valuta l’ossigenazione e la ventilazione e si avvale di due principali metodiche: pulsiossimetria ed emogasanalisi.
Ossigenazione e ventilazione: la quantità di ossigeno che viene trasportato nel torrente circolatorio dipende dalla quantità di emoglobina presente, di
conseguenza nei pazienti anemici l’ossigenazione dei tessuti è ridotta. La ventilazione rimuove dall’organismo la CO2 prodotta dal tessuti e veicolata all’apparato respiratorio con la circolazione. Le patologie che ostacolano la
ventilazione (ad es. patologie dello spazio pleurico, compressioni del diaframma, fratture costali, collezioni toraciche) determinano un aumento della
CO2 e un’acidosi respiratoria. La capnometria è la misurazione dell’anidride
carbonica (CO2) nelle fasi di espirazione ed inspirazione, essa si effettua con
la tecnica della spettroscopia ad infrarossi. In commercio esistono capnometri che misurano la CO2 durante la respirazione ed i capnografi che mostrano
su uno schermo i dati capnometrici rappresentati da un’onda. La EtCO2 (quantità di CO2 di fine espirazione) è la quantità di CO2 presente alla fine dell’espirazione, essa è dipendente dalla sua pressione parziale a livello alveolare e dal
rapporto ventilazione e perfusione polmonare (V/Q, ventilazione/perfusione).
La EtCO2 è prossima alla PaCO2 (pressione parziale di anidride carbonica arteriosa), infatti in soggetti normali è paragonabile alla PaCO2; ne differisce di
soli 4-5 mmHg (EtCO2 = 35-55 mmHg, PaCO2 = 30-50 mmHg). La capnografia è uno strumento molto utile in quanto fornisce informazioni circa la capacità del paziente di ventilare e l’efficacia dell’apparato cardio-circolatorio nel
rimuovere la CO2 dai tessuti (in caso di insufficienza la EtCO2 diminuisce), è
utilizzata anche durante la rianimazione cardiopolmonare per valutarne gli
esiti, se infatti si è in grado di ripristinare il circolo la EtCO2 aumenta progressivamente fino a vaolri normali. I capnografi possono essere classificati
in base alla metodica di campionatura dell’espirato: sidestream o capnometri
a flusso laterale e mainstream o capnometri a flusso principale.
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Attraverso l’esame emogasanalitico (EGA) arterioso è possibile documentare, specificare e quantificare le alterazioni dei gas disciolti nel sangue. Con
l’EGA è possibile distinguere i deficit di ventilazione da quelli di ossigenazione, mentre attraverso una capnografia è possibile ottenere la sola misurazione della CO2 e quindi identificare i soli deficit di ventilazione. Attraverso
la pulsiossimetria è possibile determinare esclusivamente la percentuale di saturazione dell’ossigeno (SaO2) nel letto arterioso e conoscendo questo dato è
possibile risalire alla pressione parziale di ossigeno nel sangue arterioso attraverso la curva di dissociazione dell’emoglobina. La SaO2 è correlata alla pressione parziale dell’ossigeno nel sangue arterioso, misurandone la sua entità è
possibile, estrapolare in maniera approssimativa ma clinicamente significativa la PaO2. Ottenuta la pressione parziale di ossigeno, è possibile stimare anche il CaO2 (contenuto di ossigeno totale) con la seguente formula: CaO2 =
[1,3 x Hb x SaO2] + [0,003 x PaO2]. La correlazione non è lineare, ma è disegnata dalla curva di dissociazione dell’emoglobina, realizzata per pazienti
umani, ma paragonabile a quella del cane e del gatto. Il problema interpretativo principale risiede nel fatto che a piccole variazioni della saturazione corrispondono grandi variazioni della pressione parziale dell’ossigeno in quanto
si collocano sulla parte più ripida della curva. Nei pazienti critici è bene mantenere una SaO2 maggiore del 95%. Misurando la SaO2, si valuta la capacità
dei polmoni di ossigenare il sangue, in presenza di scarsa perfusione lo strumento non è in grado di rilevare la SaO2.
Indirizzo per la corrispondenza:
Clinica Veterinaria San Giorgio
Via Roma, 54 - 20010 San Giorgio su Legnano (MI)
Tel. 0331-411555
E-mail: [email protected]
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Fabio Viganò
Med Vet, SCMPA
San Giorgio su Legnano (MI)
Nutrizione
in terapia intensiva
Domenica, 7 marzo 2010, ore 9.50
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Il paziente ospedalizzato dalla terapia intensiva alla riabilitazione
LA NUTRIZIONE ENTERALE E PARENTERALE
I pazienti affetti da processi morbosi acuti e gravi spesso hanno un insufficiente apporto calorico e proteico che può essere responsabile di alterazioni
delle funzioni vitali e del processo di guarigione. Viene considerato disoressico ogni paziente che non mangia da almeno 48 ore o che assume metà della
normale razione per almeno tre giorni consecutivi. Nel gatto è bene ricordare
che un digiuno prolungato superiore o uguale a 72 ore può causare una lipidosi epatica. Un’insufficiente nutrizione è causa di deficit energetici, riduzione
delle difese immunitarie, depressione del sistema nervoso centrale, riduzione
del volume dei visceri e della muscolatura scheletrica, disfunzioni respiratorie, della funzione cardiaca, epatica e renale. Nei pazienti critici è necessario
somministrare un’alimentazione adeguata che fornisca il giusto apporto calorico e proteico durante il ricovero. La scelta tra nutrizione enterale e parenterale o l’associazione di entrambe si effettua sulla base delle condizioni del paziente e caso per caso. È bene non escludere mai la nutrizione enterale ma cercare di preferirla sempre, solo quando essa non è possibile per particolari patologie gastroenteriche si dovrebbe ricorrere alla sola nutrizione parenterale.
Le diete liquide per l’alimentazione enterale, si dividono essenzialmente in
due grandi gruppi, quelle polimeriche, contenenti principi nutritivi che devono essere digeriti prima del loro assorbimento (es. polisaccaridi e polipeptidi)
e quelle monomeriche che non devono essere digerite (es. amminoacidi, monosaccaridi, dipeptidi e tripeptidi). L’utilizzo delle diete monomeriche ad uso
umano può provocare vomito o diarrea conseguente alla loro elevata osmolalità (600-800 mOsmol/l) inoltre a seguito dell’elevata concentrazione calorica
si possono riscontrare crolli della pressione arteriosa sistemica, sonnolenza ed
in alcuni casi shock ipovolemico scompensato con perdita della coscienza.
Come sostituto delle soluzioni monomeriche per uso umano, si possono utilizzare le soluzioni contenenti amminoacidi per uso parenterale, alle quali si aggiunge il glucosio (es. 70 ml di glucosio al 50% in 430 ml di soluzione amminoacidica all’8,5%). Le diete monomeriche sono state sostituite dalle diete appositamente realizzate per la nutrizione enterale del cane e del gatto. Le diete
utilizzate per la micronutrizione enterale si sommministrano alla velocità di
0,25-0,5 ml/kg/ora in infusione continua. Le diete liquide ad uso veterinario,
sono polimeriche, isoosmolari, o leggermente ipertoniche (350-450 mosmol/l)
ed hanno una concentrazione calorica di 1-1,2 kcal/ml. Devono essere diluite
con acqua nei primi tre giorni, oppure possiamo aggiungervi principi nutritivi
che innalzano notevolmente il contenuto calorico come l’olio di semi, di oliva
o di soia. La scelta del tipo di dieta può influenzare anche la scelta della sonda da adottare, specialmente per quanto riguarda il diametro. Quando si uti176
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lizzano le diete liquide è possibile utilizzare anche le sonde dal diametro più
piccolo (3-5 French), quando invece si scelgono diete più grossolane è bene
utilizzare sonde aventi il diametro più grande tollerato dal paziente. Possono
essere utilizzate anche le diete comunemente presenti in commercio per l’alimentazione normale, devono però essere frullate, diluite con acqua e setacciate con un comune colino da cucina (almeno due volte se si utilizza una sonda
avente un diametro inferiore agli 8 French).
Le componenti fondamentali per poter stabilire la possibilità di effettuare
una alimentazione enterale forzata sono: la percezione della fame e la possibilità di deglutire. Se il paziente non collabora, oppure quando sono presenti:
fratture della mandibola, fratture multiple del cranio, grave disfagia orofaringea o cricofaringea, debolezza muscolare grave (ad es. miastenia gravis, cachessia grave), fissurazione palato duro o molle, chirurgia del cavo orale o nasale, stomatiti gravi, faringiti (di origine chimica, batteriche, virale), lesioni
neurologiche (tetraplegia, lesioni del V e del XII nervo cranico), lesioni esofagee, è necessario utilizzare le sonde per la nutrizione enterale.
Nutrizione enterale: permette di fornire energia per le funzioni vitali e
alla mucosa gastroenterica. La nutrizione della mucosa gastroenterica è necessaria per mantenere integra la barriera mucosale ed evitare complicazioni
batteriche da traslocazione, spesso presenti in corso di processi morbosi gravi e shock. Inoltre la nutrizione enterale offre il vantaggio di poter scegliere
la via di somministrazione, eventualmente by-passando tratti dell’apparato
gastroenterico affetti da particolari patologie. Per stabilire la quantità e la
qualità dell’alimento da somministrare è necessario conoscere il fabbisogno
del paziente. La quantità si calcola dividendo il fabbisogno calorico giornaliero per la concentrazione calorica dell’alimento, mentre la qualità si stabilisce in base al processo morboso in atto. Il fabbisogno calorico si calcola
con la seguente formula:
30 x kg + 70 per pazienti superiori a 2 kg, mentre per pazienti inferiori a
2 kg si calcola con la seguente formula: kg0,75 x 70. I valori così ottenuti non
devono essere moltiplicati per alcun fattore. È necessario somministrare almeno il 50% delle kcal giornaliere. La nutrizione enterale si può effettuare in
modo forzato, con l’ausilio di una siringa, solamente se il paziente collabora
e se è in grado di deglutire, oppure con l’applicazione di sonde, posizionate
in modo da poter utilizzare il maggior tratto gastrointestinale possibile. Le
sonde per la nutrizione enterale, sono realizzate in diversi materiali e diametri. Le migliori sono in polivinilcloruro trasparente, flessibili e dotate di una
estremità arrotondata provvista di diversi fori e l’altra dotata di un tappo di
chiusura. Il diametro si sceglie in base al peso del paziente, al posizionamen177
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to della sonda ed al tipo di dieta. Le sonde devono essere sempre lavate con
acqua (almeno 10 ml) di bevanda dopo la somministrazione del bolo alimentare per evitarne l’occlusione. Durante l’applicazione della sonda devono essere evitate curve strette al fine di non facilitare la formazione di tappi alimentari che ostacolano il normale transito del cibo. Quando si ostruiscono
può essere tentato il ripristino della pervietà attraverso la somministrazione
di acqua sotto pressione utilizzando una siringa, se il metodo non è efficace
è possibile utilizzare qualche ml di coca cola (anche senza caffeina) somministrato sotto pressione affinché arrivi alla ostruzione e lasciato agire per alcuni minuti, quindi si somministrano alcuni ml di acqua per ripristinare la
pervietà. Non devono essere mai utilizzati fili di metallo da introdurre nella
sonda nel tentativo di disostruirla in quanto possono perforare la sonda o arrecare lesioni al paziente.
• Sonda naso-esofagea e naso-gastrica: è consigliabile utilizzare questa
tecnica per brevi periodi (da pochi giorni a una settimana al massimo).
Le sonde devono avere un diametro di 5-6 French ed essere trasparenti. È necessario premisurare la lunghezza del segmento da introdurre
nel paziente (dalla punta del naso e il quinto-sesto spazio intercostale
per l’applicazione esofagea o fino alla tredicesima costa per l’applicazione gastrica). È importante verificare il giusto posizionamento della
sonda per evitare l’erronea introduzione in trachea. Si può applicare
anche nel paziente sveglio. Si applicano contenendo il paziente (previa
sedazione se necessario) con la bocca chiusa, si instilla qualche goccia
di lidocaina al 2% nelle narici tenendo la testa parzialmente estesa sul
collo per facilitare la discesa del farmaco, si lubrifica con gel anestetico l’estremità della sonda, si posiziona la testa in modo che il paziente abbia il collo flesso per poter deglutire, quindi la si fa procedere delicatamente all’interno delle cavità nasali verso l’estremità aborale,
ventralmente e medialmente fino al raggiungimento del segno posto
sulla sonda. Nel cane, per facilitare l’introduzione, può essere spostato il tartufo verso l’alto. Per controllare se la procedura è stata eseguita correttamente, prima di somministrare la dieta, si può verificare il
corretto posizionamento esplorando la cavità orale con una sorgente
luminosa al fine di identificare il suo ingresso in esofago e non in trachea. Per verificare il corretto posizionamento della sonda nasogastrica si introduce dell’aria con una siringa da 40-50 ml e contemporaneamente si ausculta la parete dell’addome, se si percepisce un rumore di
bolle ciò testimonia la corretta collocazione. Successivamente si può
somministrare della soluzione salina sterile mentre si cercano reperti
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auscultatori (a livello gastrico) di un passaggio d’acqua, infine se rimangono ancora delle perplessità circa la sua posizione, si può eseguire un radiogramma toracoaddominale per accertare che la sonda non si
trovi nelle vie aeree. Quando si introduce erroneamente la sonda nelle
vie aeree, purtroppo il paziente può non manifestare alcun sintomo come la tosse o agitazione, perché il riflesso tussigeno può essere soppresso dal processo morboso (evenienza molto comune) oppure perché è
stato eliminato farmacologicamente dalla sedazione (soprattutto se effettuata con oppiacei). Quando è stata introdotta, la sonda deve essere
fissata al paziente con l’ausilio di punti da sutura cutanea, con una suturatrice automatica, con colle ad azione rapida. L’applicazione di punti di sutura nodosi staccati fissati alla cute rappresenta la metodica migliore, in emergenza può essere fissata provvisoriamente utilizzando
una suturatrice automatica (35R). In genere entrambe le sonde sono ben
tollerate dai cani e dai gatti tanto che in molti casi non è necessario applicare un collare elisabettiano.
• Sonda esofagostomica: è una procedura chirurgica semplice, che richiede l’anestesia generale. Viene utilizzata in pazienti che necessitano di
una nutrizione assistita per periodi di tempo tra una settimana fino a 2
anni. Vengono utilizzate sonde di 14-18 French nel gatto e 20-30 French
nel cane. Le diete somministrate sono generalmente liquide e possono
essere somministrate a boli ripetuti.
• Sonda gastrostomica: si può applicare con diverse metodologie: utilizzando un endoscopio, durante un intervento chirurgico o sfruttando un
tubo metallico curvo. Le sonde utilizzare devono essere provviste di un
sistema di ancoraggio autonomo alla parete gastrica sfruttando un palloncino (ad es. sonda tipo Foley) oppure un sistema in materiale sintetico a forma di fungo (ad es. sonda tipo Pezzer) e hanno un diametro superiore agli 8 French. In genere le sonde gastrostomiche vengono lasciate in situ per lunghi periodi e il periodo minimo deve essere di almeno
10 giorni per assicurare una buona cicatrizzazione della parete addominale. Viene somministrata una dieta per boli.
• Sonda digiunostomica: si applica quando è necessario non sovraccaricare il primo tratto dell’apparato gastroenterico (ad es. pancreatiti, vomito,
gastroparesi). Necessita di un intervento chirurgico per il suo posizionamento e già dopo 2 ore dall’applicazione è possibile alimentare il paziente con alimenti liquidi in infusione continua alla velocità di 2-4
ml/kg/h. Anche in questo caso il tempo minimo è di 10 giorni per garantire la corretta cicatrizzazione dei tessuti. Le sonde utilizzate hanno dimensioni che vanno da 3,5 a 8 French.
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Quando si inizia la somministrazione attraverso sonda è bene scegliere
diete liquide da diluire in acqua al 50% e si inizia somministrando una piccola quantità (1-2 ml/kg/h) per poi gradualmente aumentare il volume dei boli
riducendo la frequenza a 4-6 somministrazioni al giorno. Questo accorgimento serve per permettere all’apparato gastroenterico di adattarsi al nuovo tipo
di alimentazione e quindi le diete verranno somministrate secondo la seguente modalità:
1° giorno: 1/3 alimento + 2/3 acqua
2° giorno: 2/3 alimento + 1/3 acqua
3° giorno: alimento necessario.
Nutrizione parenterale (PN): offre il vantaggio di fornire il corretto apporto calorico e proteico in pazienti con problemi gastroenterici, lesioni localizzate nella regione facciale o in caso di alterazioni dello stato di coscienza.
La nutrizione parenterale comporta i seguenti rischi: formazione di microtrombi, aumento dell’osmolalità ematica, sepsi, aumentare eccessivamente
l’attività epato-renale. È necessario monitorare costantemente (almeno 2 volte al giorno) l’accesso vascolare della linea di infusione per flebiti. Si può eseguire un’alimentazione parenterale solo quando il paziente è emodinamicamente stabile e la perfusione tessutale è normale. Si possono somministrare
contemporaneamente acqua, elettroliti, carboidrati, proteine, lipidi e vitamine. La nutrizione parenterale si distingue in totale quando viene somministrato tutto il fabbisogno del paziente attraverso la via venosa, mentre si definisce
parziale (PPN) quando si somministra una percentuale variabile del fabbisogno (40-90%). La PPN contenente il 50-60% del fabbisogno calorico grazie
alla sua osmolarità può essere somministrata attraverso una vena periferica riducendo così rischi e complicazioni.
Indirizzo per la corrispondenza:
Clinica Veterinaria San Giorgio
Via Roma, 54 - 20010 San Giorgio su Legnano (MI)
Tel. 0331-411555
E-mail: [email protected]
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COMUNICAZIONI
BREVI
Gli estratti sono elencati in ordine alfabetico secondo il cognome del relatore
e quindi in ordine cronologico di presentazione.
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STRATEGIE VENTILATORIE DOPO MANOVRA
DI RECLUTAMENTO ALVEOLARE NEL CANE
V. De Monte, DVM, PhD, A. Crovace, DVM,
M. A. Pastore, DVM, F. Staffieri, DVM, PhD
D.E.T.O. Sez. Chirurgia Veterinaria. Università degli Studi di Bari,
Valenzano (BA), Italia
Scopo del lavoro. Valutare gli effetti respiratori di due diverse strategie ventilatorie dopo l’esecuzione di una manovra di reclutamento alveolare (MR) in
cani in anestesia generale.
Materiali e metodi. Venti cani, da sottoporre ad anestesia generale per ovarioisterectomia, sono stati premedicati con acepromazina e morfina e l’induzione dell’anestesia è stata effettuata con propofol; dopo l’intubazione i cani
sono stati posizionati in decubito dorsale e connessi ad un ventilatore polmonare. Il mantenimento dell’anestesia è stato garantito mediante un’infusione
costante di propofol e boli di vecuronio.
Tutti i cani sono stati ventilati con un Volume Tidalico (VT) di 12 ml/kg, una
Pressione Positiva di Fine Espirazione (PEEP) di 0 cmH2O, una Frazione Inspirata di Ossigeno (FiO2) di 1 e un rapporto Inspirato/Espirato pari ad 1:2. A
40’ dal decubito dorsale è stata effettuata una MR, applicando al sistema respiratorio una pressione positiva di 40 cmH2O per 20 secondi. Successivamente nel gruppo ZEEP (zero end expiratory pressure) (n=10) è stata reimpostata la ventilazione iniziale, mentre nel gruppo PEEP (n=10), è stata aggiunta una PEEP di 5 cmH2O ai setting iniziali. Dieci minuti prima (baseline), 5’
e 30’ dopo la MR, sono stati valutati lo scambio gassoso mediante emogasanalisi, l’aerazione polmonare mediante Tomografia Computerizzata e la meccanica respiratoria. Il flusso nelle vie aeree è stato misurato con uno Pneumotacografo. La pressione all’apertura delle vie aeree è stata misurata a livello
della bocca attraverso un trasduttore di pressione. Per la stima della pressione
intrapleurica, è stato posizionato nel terzo distale dell’esofago un catetere esofageo cuffiato. Sulla base delle misurazioni effettuate, sono state calcolate la
compliance statica del sistema respiratorio (Cstatsr), del polmone (Cstatp), e
della parete toracica (Cstatpt).
I dati sono stati espressi come media ± DS e sono stati confrontati nell’ambito dello stesso gruppo e tra i due gruppi mediante il test dell’analisi della varianza (ANOVA), seguito dal test di Student-Newman-Kleus (P<0.05).
Risultati. Nel gruppo ZEEP a 5’ si è registrata una riduzione della percentuale di aree polmonari atelettasiche (3,29±1,25%) ed un aumento delle aree normoaerate (76,94±7,34%) rispetto a baseline (4,31±1,41% e 74,85±8,90%). A
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30’ le aree atelettasiche aumentano (4,59±1,24%) rispetto a 5’, raggiungendo
valori simili a baseline, mentre la aree normoaerate si riducono (74,71±7,15%)
rispetto a 5’ ritornando a valori simili a quelli di baseline.
Nel gruppo PEEP a 5’ si sono registrati una riduzione della percentuale di aree
atelettasiche (2,06±0,31%) e ipoaerate (11,93±2,91%) ed un aumento delle
aree normoaerate (84,52±2,57%) rispetto ai valori di baseline (73,60±6,90%).
Nello stesso gruppo, a 30’, la percentuale dei vari compartimenti polmonari
non ha mostrato differenze rispetto a 5’.
Nel confronto tra ZEEP e PEEP, la percentuale dei vari compartimenti polmonari non ha mostrato differenze al baseline. A 5’ e 30’ le aree atelettasiche e
iperaerate sono risultate maggiori in ZEEP rispetto a PEEP e le aree non aerate minori in ZEEP rispetto a PEEP.
Nel gruppo ZEEP a 5’ la PaO2 (568,40±69,24 mmHg) e la PaO2/FiO2 (568,40±
69,24) risultano maggiori, mentre il P(A-a)O2 (91,22±66,68 mmHg) minore rispetto a baseline (448,30±100,95 mmHg; 448,30±100,95 e 203,98±95,23 mmHg).
A 30’ si sono registrati: una diminuzione della PaO2 (475,00±54,87 mmHg) e della PaO2/FiO2 (475,00±54,87) che raggiungono i valori di baseline, ed un aumento del P(A-a)O2 (120,61±36,01 mmHg) rispetto ai 5’.
Nel gruppo PEEP a 5’ la PaO2 (581,33±19,65mmHg) ed il PaO2/FiO2 (581,33±
19,65) aumentano, mentre il P(A-a)O2 (65,59±29,79) si riduce rispetto a baseline (210,00±115,37). A 30’ i valori di PaO2, del P(A-a)O2 e del PaO2/FiO2 rimangono uguali rispetto ai dati ottenuti a 5’.
Nel confronto ZEEP e PEEP la PaO2, il P(A-a)O2 e la PaO2/FiO2 non hanno
mostrato differenze a baseline. A 5’ non si notano differenze nella PaO2 e nella PaO2/FiO2, mentre il P(A-a)O2 risulta più elevato in ZEEP rispetto a PEEP.
A 30’, la PaO2 e la PaO2/FiO2 risultano più basse in ZEEP rispetto a PEEP,
mentre il P(A-a)O2 è più elevato in ZEEP rispetto a PEEP. Nel gruppo ZEEP,
a 5’ e 30’, i valori di Cstatsr, Cstatp e Cstatpt risultano invariati rispetto a baseline. Nel gruppo PEEP la Cstatsr, (2,99±0,81 ml/cmH2O/kg) la Cstatp
(7,98±3,98 ml/cmH2O/kg) e la Cstatpt (6,42±3,17 ml/cmH2O/kg) aumentano
a 5’ rispetto a baseline (1,53±0,52 ml/cmH2O/kg; 2,49±1,38 ml/cmH2O/kg e
4,29±1,31 ml/cmH2O/kg) e rimangono invariate a 30’.
Nel confronto ZEEP e PEEP, i valori di Cstatsr, di Cstatp e di Cstatpt, non risultano differenti a baseline. A 5’ e 30’ la Cstatsr, la Cstatp e la Cstatpt, sono
più elevate in PEEP rispetto a ZEEP.
Conclusioni. L’atelettasia polmonare rappresenta una delle principali cause
di alterazione dello scambio gassoso durante l’anestesia generale nel cane. I
risultati di questo studio dimostrano che l’applicazione di bassi livelli di PEEP consente di prolungare gli effetti positivi della MR anche in presenza di
alte FiO2.
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Bibliografia
Staffieri F, Franchini D, Garella G L, Computed tomographic analysis of the effects of two pulmonary aeration in anesthetized and mechanically ventilated dogs. Am J Vet Res 2007;
68: 925-931.
Tusman G, Böhm S.H, Vazquez A.G.F, Alveolar recruitment strategy improves arterial oxygenation during general anaesthesia. 1999 British Journal of Anaesthesia 82 (1): 8-13.
Indirizzo per la corrispondenza:
Dott.Ssa Valentina De Monte - Università degli Studi di Bari, D.E.T.O. Sezione di Chirurgia
Veterinaria
S.P. per Casamassima Km 3, Valenzano, 70010 Valenzano (BA), Italia
Tel. 0804679890 - E-mail: [email protected]
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SHORT-TERM SEDATION AND TRANSLARYNGEAL
INTUBATION AFTER SOFT PALATE RESECTION
IN A FRENCH BULLDOG WITH BRACHYCEPHALIC
AIRWAY SYNDROME
L. Novello, Med Vet, Diploma ESRA, MRCVS1,
B. Carobbi, Med Vet, MRCVS2
1
Referenza Carobbi Novello, Venezia & Massa, Italia
2
Facoltà di Medicina Veterinaria, Università di Padova, Padova, Italia
Introduction. Elongated soft palate is a primary anatomical component of
brachycephalic airway syndrome and consists of the soft palate extending beyond the epiglottis. Airflow through the obstructed airway and the resulting
soft palate vibration induce inflammation and swelling that invite further obstruction.1 In addition, oedema and swelling following soft palate resection
are common, and may contribute to obstruction. Therefore, temporary tracheostomy has been recommended to prevent serious complications.2
Description of the case. A 18-month-old, male, French Bulldog, weighing 9
kg underwent resection of the elongated soft palate. After premedication with
intramuscular acepromazine and morphine, anaesthesia was induced with a
propofol target controlled infusion (TCI),3 and maintained with isoflurane in
oxygen and air through a translaryngeal 5 ID Murphy, low-pressure cuff, endotracheal tube. Fentanyl TCI provided intraoperative analgesia. Routine monitoring of electrocardiogram, invasive blood pressure, pulse oximetry and respiratory rate was instituted prior to induction, while temperature, inspired and
expired gases, and spirometry since intubation. Data were collected at 5-second intervals using a serial interface, and the infusion profile stored for off-line
analysis. Baseline readings were obtained prior to induction. Intraoperative hypothermia (34.5°C) was treated with warming mattress and overblanket. At
end of surgery, upper airway examination revealed marked swelling of the laryngeal mucosa regardless of corticosteroid administration. The dog was
moved to ICU, isoflurane discontinued, and propofol TCI resumed. Synchronous intermittent mandatory ventilation was delivered using a Siemens Servo
900B ventilator until recovery of effective spontaneous ventilation 45 minutes
later. Thereafter, the dog was allowed to breath spontaneously. Propofol TCI
was titrated to maintain a brisk eyelash reflex, eucapnia and haemodynamic
stability, and to prevent head lift in response to verbal stimulation. Corticosteroid administration was repeated. Heart and respiratory rates, systolic and
mean blood pressure, haemoglobin oxygen saturation (SpO2) and oesophageal
temperature varied between 61 and 98 beats-per-minutes, 16 and 38 breaths185
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per-minute, 106 and 156 mmHg, 68 and 107 mmHg, 96 and 100%, and 34.1
and 37.8 °C, respectively. Inspired oxygen and end-tidal carbon dioxide concentrations varied between 21 and 30%, and 37 and 48 mmHg, respectively.
Twelve hours after end of surgery swelling appeared significantly improved,
and propofol infusion was discontinued. The dog was extubated and recovered
sternal recumbency (RORR) 18 and 37 minutes after propofol was discontinued, respectively. At RORR predicted plasma concentration was 0.89 mcg ml1. After extubation, SpO2 remained above 97% at all times, and heart and respiratory rates, arterial blood pressure and temperature returned to baseline.
Neither sounds of airway obstruction nor an obstructive breathing pattern were
noticed during hospitalization, and the dog was discharged into owner’s care
12 hours later. Propofol predicted plasma target concentrations ranged between
0.8 and 3.5 mcg ml-1. The percentage time spent at the highest and lowest target concentrations were 7 and 11%, respectively. The predicted concentration
maintained for longer (i.e. 31%) was 2.1 mcg ml-1.
Conclusions. We provided 12-hour sedation and ventilatory support after soft
palate surgery, because respiratory obstruction due to swelling and oedema was
anticipated. The need for short term support prompted the use of translaryngeal
intubation. In addition, the availability of a TCI system implementing a validated pharmacokinetic dataset3 implied the use of propofol infusion. Complications related to tracheostomy have been reported after soft palate resection in
brachycephalic dogs,4 and the data concerning its use to prevent postoperative
complications after airway surgery are conflicting. In humans, early tracheostomy was preferred in the 1960s in an effort to minimize upper airway injury,
however the development of softer tubes has reduced the frequency of injury associated with prolonged intubation. Although the duration of translaryngeal intubation may contribute to the extent of laryngeal injury, thus supporting early
tracheostomy, data are conflicting.5 Compared to tracheostomy, translaryngeal
intubation significantly decreased durations of intubation and hospital stay in
children undergoing short term ventilatory support.6 Compared with isoflurane,
equipotent doses of propofol better maintains arterial pressure in dogs.7 Furthermore, TCI in dogs has been reported to provide easy and fast titration to effect,8
cardiopulmonary stability, and short recovery and discharge times.9
Bibliografia dispoonibile presso l’autore
Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Lorenzo Novello - Referenza Carobbi Novello
Via Melara 1, Caniparola, 54035 Fosdinovo (MS), Italia
E-mail: [email protected]
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DISTRESS RESPIRATORIO ACUTO
IN UN CANE AFFETTO DA ACROMEGALIA
P. Rocchi, DVM, P. Gaglio, DVM, A. Ruggeri, DVM, M. Pirolo, DVM
Liberi Professionisti - Ospedale Veterinario Gregorio VII, Roma, Italia
Introduzione. L’acromegalia nel cane deriva da un eccesso di produzione
di ormone della crescita (GH). Il GHRH (growth-hormone releasing hormone) è rilasciato a livello ipotalamico e stimola il rilascio di GH dalla
porzione anteriore dell’ipofisi e del GHIH (growth hormone inhibitor hormone). Il GH è rilasciato in modo pulsatile dall’ipofisi. L’attività ipotalamica subisce un feedback negativo da parte del IGF-1 (insulin like growth
factor) e del GH stesso. La biosintesi e liberazione di GH sono sensibili:
ai ritmi endogeni del sistema nervoso, alla dieta ed ai sistemi di retrocontrollo endocrino. Il progesterone, i glucocorticoidi e gli ormoni tiroidei influenzano il rilascio pulsatile di GH. Nel cane il GH è prodotto anche dalla ghiandola mammaria per azione degli ormoni progestinici, sia endogeni che esogeni; il GH origina da foci di epitelio iperplastico duttale della
ghiandola mammaria. I livelli di GH stimolati dagli ormoni progestinici
non hanno una secrezione pulsatile, non sono inibiti dal GHIH e producono aumenti di IGF-1. L’attività del GH si riflette in azione catabolica rapida (antagonizza l’azione dell’insulina, promuove lipolisi e gluconeogenesi, limita il trasporto di glucosio alle cellule) e azione ipertrofica lenta
(attraverso l’IGF-1 che viene prodotto da diversi tessuti, ed ha effetti di
crescita locale). Le più colpite sono femmine intere di età avanzata (8-11
anni). L’ipertrofia dei tessuti molli si traduce in organomegalia, e aumento delle mucose buccali, della lingua e del faringe con conseguente stridore inspiratorio fino alla dispnea grave. I soggetti interessati spesso si presentano con “aspetto maschile”. Se l’aumento di GH si verifica durante la
fase luteinica, i segni clinici predominanti sono poliuria/polidipsia
(PU/PD), polifagia in assenza di glicosuria. Se l’aumento del GH si presenta durante la fase metaestrale, abbiamo sintomi di diabete mellito.
Descrizione del caso. Un beagle femmina intera di 12 anni viene riferito
per difficoltà respiratoria delle alte vie da 10 giorni. Nelle settimane precedenti il cane mostrava anche segni di PU/PD, polifagia, intolleranza all’esercizio, alterazioni comportamentali, pelo unto. Al momento della presentazione, il paziente mostra grave dispnea inspiratoria. L’esame fisico
rivela: un aumento delle dimensioni della testa, delle estremità e delle
zampe; ipertrofia della mucosa orale e della lingua; ostruzione delle alte
vie per ipertrofia dei tessuti molli nei settori oro-faringo-laringei; ipertri187
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cosi, prognatismo, aspetto mascolinizzante. Come trattamento d’urgenza,
viene sottoposto ad ossigenoterapia (flow by) e Butorfanolo per via intramuscolare. Non ottenendo nessun miglioramento si procede all’intubazione e si esegue un Minimun Data Base che comprende: una radiografia in
proiezione l/l (pattern intestizio-alveolare compatibile con edema polmonare da ostruzione delle alte vie), emogas arterioso (grave acidosi respiratoria con acidosi metabolica), glicemia (560 mg/dl) ed esame delle urine
(chetonuria). Visto il grave distress respiratorio si sottopone il paziente a
ventilazione assistita. Durante la ventilazione si gestisce anche la crisi
chetoacidosica. Il paziente è rimesso in ventilazione spontanea dopo quattro ore (quadro radiografico nella norma). Dagli esami eseguiti si riscontra: lieve anemia non rigenerativa con leucocitosi matura, iperglicemia,
aumento delle fruttosamine ed enzimi epatici. L’esame ecografico è compatibile con iperplasia endometriale cistica (aumento delle dimensioni
uterine con lieve accumulo di fluido). Il livello aumentato di IGF-1 conferma la diagnosi di acromegalia. Una volta stabilizzato, il paziente viene
dimesso con terapia insulinica (Protaphane). Dopo una settimana la sintomatologia clinica migliora, i livelli di glicemia, seppur ridotti, non sono
rientrati nella norma lasciando il sospetto di insulino-resistenza, causata
da aumento del GH per gli ormoni progestinici endogeni. Pertanto il paziente viene sottoposto ad ovarioisterectomia (OHE) che conferma l’iperplasia endometriale cistica e adenomiosi. In rapida successione si osserva
risoluzione della sintomatologia clinica: iperglicemia dopo 15 giorni, perdita dello stridore inspiratorio dopo 18 giorni, normalizzazione aspetto fisico e comportamentale dopo circa 26 giorni. Il test IGF-1, ripetuto dopo
2 mesi, risulta nella norma.
Conclusioni. L’acromegalia è una patologia rara con cause diverse nel cane e nel gatto. Nella cagna la forma più comune è quella indotta da aumento di produzione di IGF-1. Nel nostro caso, il paziente, è stato presentato con sintomatologia da ostruzione delle alte vie respiratorie; nell’uomo la sintomatologia respiratoria è predominante fino a necessitare tracheotomia d’urgenza in caso di intubazione difficoltosa. Nel nostro caso,
un attento esame fisico e anamnestico ha rivelato che la patologia respiratoria era secondaria ad uno squilibrio metabolico-ormonale. IGF1, prodotto sotto lo stimolo del progesterone, viene attivamente prodotto dall’endotelio mammario iperplastico come sembra essere accaduto nel nostro caso. La OHE eseguita dopo stabilizzazione del paziente, ha portato alla risoluzione dei sintomi respiratori ed endocrini. A distanza di 1 mese, il cane è tornato alla normalità, con prestazioni fisiche eccellenti anche sotto
sforzo.
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Bibliografia
1. Ettinger S J, Feldman E C. Clinica Medica Veterinaria VI Edizione, Volume 2. Cap 235.
Kooistra H S, 1534-1536.
2. Kooistra H S, Okkens A C. Secretion of prolactin and growth hormone in relaton to ovarian activity in the dog. Reprod Dom Anim (2001) 36, 115-119.
3. Bhatti S F M, Duchateau L, Okkens A C, Van Ham L M L, Mol J a, Kooistra H S. Treatment of growth hormone exess in dogs with the progesterone receptor antagonist aglepristone. Theriogenology 66 (2006), 797-803.
4. Eigenmann JE. Agromegaly in the dog. Vet Clin North Am Small Anim Pract. 1984;
14(4): 827-36.
5. Saussez S, Mahillon V, Thill M P, Lequeux T. acromegaly presented as a cause of laryngeal
dispnea. Auris nasus laryx 2007; 34(4): 452-3.
Indirizzo per la corrispondenza:
Dott.sa Paola Rocchi - Ospedale Veterinario Gregorio VII, P.zza di villa Carpegna 52, 00165
Roma (RM), Italia
Tel. 06/660681 - E-mail: [email protected]
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