15 Il sentiero Mascarellotti Progetto realizzato con il contributo di voi sie te qui Percorso Colceresa • su sentiero • su asfalto © COMPAGNIA GENERALE RIPRESE AEREE SPA In ordine, da sinistra a destra: · Vista aerea del centro di Mure · Vegetazione · La costa Mascarellotti Inizio del sentiero dei Mascarellotti e, sotto, cavalli al pascolo lungo il sentiero Percorsi complementari • su sentiero • su asfalto IL sentiero Mascarellotti percorre la piccola vallata omonima che, iniziando da via Tibalda, si apre a sud tra Costavernese e Mure, dando il nome anche alla contrada. Il toponimo deriva dall’appellativo Mascarus, registrato nel luogo in epoca antica. Nel 1262 il Regestum cita il colono Mascarinus. Il termine deriva dal latino medioevale Masca, che significa “strega” e “guancia”, più il suffisso -arius. Nel 1600 si trova citata un’interpretazione popolare che vede nel nome Mascarello una derivazione da “maschera” o mascarina. Anche questo tratto del Percorso Colceresa è particolarmente bello e interessante dal punto di vista naturalistico. Scendendo da Via Tibalda, si costeggia sulla destra Costavernese e sulla sinistra il maneggio che sorge al di sopra di una scarpata formata da terreno argilloso e rocce tufacee. La zona di destra è umida e particolarmente ricca di acqua anche in estate, con una folta e rigogliosa vegetazione costituita da robinie, ontani, pioppi, salici, aceri, ornielli, sambuchi, noccioli e noci ed è soggetta a lenti smottamenti del terreno, visibili nelle piante inclinate o rovesciate e nelle fratture della superficie prativa. È un terreno ricco di argilla che scivola verso valle su una base rocciosa di arenaria e calcari. Questa zona, ora incolta, in passato ospitava un ciliegeto di cui rimangono solo pochi esemplari mescolati alla vegetazione spontanea. Nel sottobosco crescono molti rovi, mentre l’edera spesso ricopre quasi interamente i tronchi. Qui si possono udire i cinguettìi incessanti degli uccelli che popolano numerosi le chiome degli alberi e il frinire delle cicale. A valle scorre un ruscello denominato dal Catasto austriaco, del 1829, Perrone, mentre il Regestum Possessionum, del 1262, indicava la valle e il ruscello con il termine Tortolara (Torculara). Il significato più attendibile del termine Tortolara è quello di ricovero dei torchi per l’uva e le olive; infatti i terreni della valle erano coltivati a vigneto e oliveto. Sulla sinistra si possono ammirare diversi gelsi con la tipica potatura a capitozza e, in primavera, anche l’abbondante fioritura delle primule, delle viole e degli anemoni. Proseguendo lungo il sentiero si incontrano coltivazioni di olivi, viti, peschi, susini e naturalmente molti ciliegi. Sulla sinistra, in prossimità di un’abitazione, c’è una piccola costa molto particolare di tera togarea, habitat ideale per piante grasse del genere Sempervivum, sulla cui sommità crescono piante di spacasassi e noccioli. Sulla destra è possibile ammirare il campanile di San Giorgio e più avanti sulla sinistra c’è un bel punto panoramico che apre su Mure. Il sentiero percorre una parte di strada asfaltata, ed è costeggiato in entrambi i lati da giovani oliveti, da piante isolate di spacasassi, gelsi, pioppi, ornielli, aceri, Percorsi in fase di completamento 1 Punto sosta Il pioppo nero ( a l b a r a , p i o p a ) Il gelso ( m o r a r o ) querce con il diametro anche di 80 cm, da cespugli di profumato calicanto, canavera e da alberi di cachi. Lungo il ruscello che scorre in lontananza a destra, ci sono grandi ontani che crescono rigogliosi assieme a noccioli e numerosi ornielli. Pioppo nero ai margini del sentiero Il moraro è stato introdotto dall’Oriente (Cina) insieme al baco da seta perché in tutte le case si allevavano i cavalieri (bachi da seta) che richiedevano, per la loro nutrizione, grandi quantità di foglie di gelso. Era quindi l’albero caratterizzante il panorama rurale della zona nella forma a capitozza e veniva usato anche per sostenere la vite. Un moraro era spesso presente vicino al punàro delle galline per i frutti e per l’ombra. Le foglie fresche venivano anche utilizzate come integratore minerale nell’alimentazione di pecore, capre, mucche, conigli e maiali. Decotti di frutti immaturi e sciroppi di more nere servivano per la cura della tosse, della bronchite e del mal di denti. Il legno, duro e molto resistente, è utilizzato per mastelli, secchi, barili, doghe per botti, per lavori da tornio e intarsio e come legna da ardere. L’ontano nero ( o n a r o ) Lungo il ruscello dei Mascarellotti crescono grandi ontani, dalle tipiche foglie verde scuro, rotondeggianti e smussate all’apice. Le loro radici impediscono l’erosione delle rive e contengono noduli capaci di fissare l’azoto. La tipica infiorescenza femminile, piccola e bruna, diviene una sorta di pignetta, particolarmente gradita ai lucherini. Il legno, molto scuro, acquista notevole resistenza se viene immerso in acqua per lungo tempo. Una volta veniva usato anche per fare sgalmare, giocattoli, barili e vasi da cucina, perché è forte e facilmente lavorabile. L’ontano viene anche chiamato “chinino nostrano” per le sue proprietà febbrifughe. Le foglie hanno potere cicatrizzante, tolgono la stanchezza e l’eccessiva sudorazione, moderano la secrezione del latte, curano i reumatismi e sono un ottimo rimedio contro i parassiti. Nel passato era considerato l’albero delle streghe perché vive vicino all’acqua come le anguane (le fate dell’acqua). Il suo legno non fa fumo quando brucia e si tinge di rosso quando viene tagliato. Secondo la tradizione le sue foglie “rubano” il latte alla gestante come le streghe lo rubano alle mucche nelle stalle. Albero imponente, dalla chioma arrotondata e dalla corteccia liscia e grigia che si fessura con l’età. Produce le noci che sono molto nutrienti e gustose poiché contengono zuccheri, proteine, vitamine, sali minerali e un’elevata percentuale di olio (per uso alimentare, medicinale come vermifugo, industriale). Con i frutti ancora immaturi si prepara il nocino, un pregiato liquore digestivo, ricostituente e depurativo. Dalle foglie fresche si otteneva in passato il colore nero, da quelle secche il beige e dal mallo il marrone. Le foglie e il mallo sono efficaci contro la caduta dei capelli e contro la forfora. Per il suo odore il noce era considerato una pianta maledetta: si diceva che le streghe Frutti del noce tenessero consiglio sotto la sua chioma e che la pianta rimanesse impregnata del loro odore. Il legno è semiduro, di facile lavorazione, pregiato, usato per mobili, pavimenti, lavori di intaglio, calci di fucile, stecche da biliardo ed è anche un ottimo combustibile. L’edera Gelso con frutti Il susino ( b r o n b a r o ) Edera selvatica e, sotto, more di rovo Le russe sono un elemento comune delle nostre zone. A seguito dei ripetuti tagli del bosco, sono divenute piante invadenti, sintomo di abbandono e di condizioni ambientali degradate. I rovi sono arbusti perenni, vigorosi, con fiori rosei e producono le more, che si utilizzano per preparare marmellate, sciroppi ad azione astringente, per gargarismi o infezioni della bocca, lozioni per il viso. Le foglie e lo stelo venivano usati una volta per curare bruciature e gonfiori. Fiori di susino e, sotto, i frutti del nocciolo Il nocciolo è un arbusto cespuglioso con chioma allargata e densa e fiori molto ricercati dalle api. Produce frutti che sono molto nutritivi e più digeribili delle noci. Le nosele nel passato venivano seccate e utilizzate nell’alimentazione umana oppure per estrarre un olio che favoriva la ricrescita dei capelli. Venivano anche schiacciate e aggiunte al latte dei bambini, nella convinzione che avessero un’azione vermifuga e che rinforzassero la vescica. Il legno, usato anche come combustibile e per la fabbricazione delle ceste o per costruire il manico della fionda, veniva tagliato alla caduta delle foglie. Un ramo di nocciolo veniva utilizzato dai rabdomanti per trovare l’acqua e, durante le rogazioni, croci fatte con il suo legno venivano piantate nei campi per proteggere le colture dalle avversità. Frutti di orniello Riveste spesso piante e muri producendo numerose bacche nere di cui si nutrono gli uccelli. Le foglie fresche possono essere applicate sulle piaghe infette per farle cicatrizzare. Mucche, capre e pecore in prossimità del parto mangiano foglie d’edera per facilitare il travaglio e aumentare la produzione di latte. Il succo delle foglie d’edera macerate nell’aceto può servire per guarire calli, duroni e verruche. Nel passato le ragazze si fasciavano i seni con le sue foglie per averli più proporzionati, mentre i decotti di foglie venivano usati per gli ingorghi mammari e per curare la rogna. Il succo ottenuto con le bacche nere veniva utilizzato per lavare gli abiti scuri, per tingere i capelli di nero e per curare la pazzia e l’ubriachezza. I rovi ( r u s s e ) Il bronbaro si presenta in forma arbustiva nelle siepi miste e nei boschi incolti o come piccolo albero nei broli. Fiorisce tra marzo e aprile, con fiori bianchi che compaiono prima delle foglie. I frutti sono drupe commestibili ovoidali di vario colore (violaceo, nero, rosso, giallo), che maturano da giugno a settembre a seconda delle varietà; si consumano fresche o essiccate e con esse si ottengono buone marmellate. In medicina si usano i fiori, le foglie e soprattutto i frutti perché hanno proprietà diuretiche, stimolanti e lassative. Il nocciolo ( n o s e l a r o ) Sempervivum Il noce ( n o g a r a ) È una pianta spontanea diffusa specialmente nei terreni umidi e lungo i corsi d’acqua, ma è anche largamente coltivata per lo sviluppo rapido e la possibilità di utilizzare il legno per tavolame, imballaggi e fiammiferi. Il pioppo nel passato era considerato l’albero del popolo perchè dal suo legno poco pregiato si ottenevano le sgalmare, tipiche calzature invernali. Ha la chioma molto espansa e rada, tronco nodoso e gemme vischiose, foglie con lamina triangolare coriacea che diventano decisamente gialle in autunno. Si usavano corteccia e gemme per curare la febbre e le emorroidi. Ruderi lungo il sentiero Mascarellotti e a fianco, in ordine: violette, ginestrino selvatico, primule, frutti di ontano nero Tabellone informativo Il ciavardello ( s o r b o l a r o ) E’ una pianta presente in tutta Italia, dalla pianura fino ai 1000 metri. Cresce in genere sui terreni calcarei e in luoghi assolati, prediligendo i suoli freschi e ricchi di humus; raggiunge altezze fino ai 20 metri. Le foglie sono lobate ed assumono una tipica colorazione porpora in autunno. I fiori, raccolti in una specie di ombrella, sono bianco-crema e sbocciano in maggio-giugno. E’ una specie molto utile: le api e gli insetti sono fortemente attirati dai suoi fiori ricchi di nettare. I frutti sono pomi dal sapore acidulo, di colore marrone, commestibili e molto ricercati dagli uccelli; si possono consumare appassiti e se ne può ricavare anche una buona acquavite. Un tempo erano somministrati per curare le coliche e la dissenteria. Il legno, pesante e compatto, ha un colore rossastro ed è adatto per lavori di ebanisteria e tornitura; in liuteria è utilizzato per le ottime proprietà acustiche. Frutti di ciavardello Un tratto del sentiero tra boschetti e vigneti Progetto realizzato da Comune di Mason Vicentino Comune di Molvena Comune di Pianezze San Lorenzo Pro Loco Mason Vicentino Pro Loco Pianezze San Lorenzo Consulta delle Associazioni Consulta Associazioni di Molvena MOLVENA Istituto Comprensivo “Don L. Milani” Mason Vic.no Regione del Veneto Provincia di Vicenza Comunità Montana dall’Astico al Brenta UNPLI Veneto Comitato Regionale UNPLI Vicenza Comitato Provinciale Protezione Civile Intercomunale Colceresa Cavalieri delle Colline Molvena Gruppo Escursionisti B.M. Bedont Pianezze S.L. Gruppo Podisti “Il Ciliegio” Mason Vic.no Consorzio di tutela Ciliegia di Marostica I.G.P. © testo ed immagini Istituto Comprensivo “Don Lorenzo Milani”, Mason Vic. • Editing grafico / produzione: MCS.Com/Carlo Stella - [email protected]