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Il sentiero Mascarellotti
Progetto realizzato
con il contributo di
voi sie
te qui
Percorso Colceresa
• su sentiero
• su asfalto
© COMPAGNIA GENERALE RIPRESE AEREE SPA
In ordine, da sinistra a destra:
· Vista aerea del centro di Mure
· Vegetazione
· La costa Mascarellotti
Inizio del sentiero dei Mascarellotti
e, sotto, cavalli al pascolo lungo il sentiero
Percorsi complementari
• su sentiero
• su asfalto
IL sentiero Mascarellotti
percorre la piccola vallata
omonima che, iniziando da
via Tibalda, si apre a sud tra
Costavernese e Mure, dando
il nome anche alla contrada.
Il toponimo deriva dall’appellativo Mascarus, registrato
nel luogo in epoca antica. Nel
1262 il Regestum cita il colono Mascarinus. Il termine
deriva dal latino medioevale
Masca, che significa “strega”
e “guancia”, più il suffisso
-arius. Nel 1600 si trova citata un’interpretazione popolare che vede nel nome
Mascarello una derivazione
da “maschera” o mascarina.
Anche questo tratto del
Percorso Colceresa è particolarmente bello
e interessante dal punto di vista naturalistico.
Scendendo da Via Tibalda, si costeggia
sulla destra Costavernese e sulla sinistra
il maneggio che sorge al di sopra di una
scarpata formata da terreno argilloso e rocce
tufacee. La zona di destra è umida e particolarmente ricca di acqua anche in estate, con
una folta e rigogliosa vegetazione costituita da
robinie, ontani, pioppi, salici, aceri, ornielli,
sambuchi, noccioli e noci ed è soggetta a lenti
smottamenti del terreno, visibili nelle piante
inclinate o rovesciate e nelle fratture della
superficie prativa. È un terreno ricco di argilla che scivola verso valle su una base rocciosa di arenaria
e calcari. Questa zona, ora incolta, in passato ospitava un ciliegeto di cui rimangono solo pochi esemplari mescolati alla vegetazione spontanea. Nel sottobosco crescono molti rovi, mentre l’edera spesso
ricopre quasi interamente i tronchi. Qui si possono udire i cinguettìi incessanti degli uccelli che popolano numerosi le chiome degli alberi e il frinire delle cicale. A valle scorre un ruscello denominato dal
Catasto austriaco, del 1829, Perrone, mentre il Regestum Possessionum, del 1262, indicava la valle e
il ruscello con il termine Tortolara (Torculara). Il significato più attendibile del termine Tortolara è quello di ricovero dei torchi per l’uva e le olive; infatti i terreni della valle erano coltivati a vigneto e oliveto.
Sulla sinistra si possono ammirare diversi gelsi con la tipica potatura a capitozza e, in primavera, anche
l’abbondante fioritura delle primule, delle viole e degli anemoni.
Proseguendo lungo il sentiero si incontrano coltivazioni di olivi, viti, peschi, susini
e naturalmente molti ciliegi. Sulla sinistra,
in prossimità di un’abitazione, c’è una piccola costa molto particolare di tera togarea,
habitat ideale per piante grasse del genere
Sempervivum, sulla cui sommità crescono
piante di spacasassi e noccioli. Sulla destra
è possibile ammirare il campanile di San
Giorgio e più avanti sulla sinistra c’è un bel
punto panoramico che apre su Mure.
Il sentiero percorre una parte di strada asfaltata, ed è costeggiato in entrambi
i lati da giovani oliveti, da piante isolate di
spacasassi, gelsi, pioppi, ornielli, aceri,
Percorsi in fase
di completamento
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Punto sosta
Il pioppo nero ( a l b a r a , p i o p a )
Il gelso ( m o r a r o )
querce con il diametro anche di 80 cm, da cespugli di profumato calicanto, canavera e da alberi di cachi. Lungo il
ruscello che scorre in lontananza a destra, ci sono grandi
ontani che crescono rigogliosi assieme a noccioli e numerosi ornielli.
Pioppo nero ai margini del sentiero
Il moraro è stato introdotto dall’Oriente (Cina) insieme al
baco da seta perché in tutte le case si allevavano i cavalieri (bachi da seta) che richiedevano, per la loro nutrizione, grandi quantità di foglie di gelso. Era quindi l’albero
caratterizzante il panorama rurale della zona nella forma
a capitozza e veniva usato anche per sostenere la vite. Un
moraro era spesso presente vicino al punàro delle galline
per i frutti e per l’ombra. Le foglie fresche venivano anche
utilizzate come integratore minerale nell’alimentazione di
pecore, capre, mucche, conigli e maiali. Decotti di frutti
immaturi e sciroppi di more nere servivano per la cura
della tosse, della bronchite e del mal di denti. Il legno,
duro e molto resistente, è utilizzato per mastelli, secchi,
barili, doghe per botti, per lavori da tornio e intarsio e
come legna da ardere.
L’ontano nero ( o n a r o )
Lungo il ruscello dei Mascarellotti crescono grandi ontani,
dalle tipiche foglie verde scuro, rotondeggianti e smussate all’apice. Le loro radici impediscono l’erosione delle rive
e contengono noduli capaci di fissare l’azoto. La tipica
infiorescenza femminile, piccola e bruna, diviene una
sorta di pignetta, particolarmente gradita ai lucherini. Il
legno, molto scuro, acquista notevole resistenza se viene
immerso in acqua per lungo tempo. Una volta veniva
usato anche per fare sgalmare, giocattoli, barili e vasi da
cucina, perché è forte e facilmente lavorabile. L’ontano
viene anche chiamato “chinino nostrano” per le sue proprietà febbrifughe. Le foglie hanno potere cicatrizzante,
tolgono la stanchezza e l’eccessiva sudorazione, moderano la secrezione del latte, curano i reumatismi e sono un
ottimo rimedio contro i parassiti. Nel passato era considerato l’albero delle streghe perché vive vicino all’acqua
come le anguane (le fate dell’acqua). Il suo legno non fa
fumo quando brucia e si tinge di rosso quando viene
tagliato. Secondo la tradizione le sue foglie “rubano” il
latte alla gestante come le streghe lo rubano alle mucche
nelle stalle.
Albero imponente, dalla chioma arrotondata e dalla corteccia liscia e grigia che si fessura con l’età. Produce le
noci che sono molto nutrienti e gustose poiché contengono zuccheri, proteine, vitamine, sali minerali e un’elevata
percentuale di olio (per uso alimentare, medicinale come
vermifugo, industriale). Con i frutti ancora immaturi si
prepara il nocino, un pregiato liquore digestivo, ricostituente e depurativo. Dalle foglie fresche si otteneva in
passato il colore nero, da quelle secche il beige e dal mallo
il marrone. Le foglie e il mallo sono efficaci contro la caduta dei capelli e contro la forfora. Per il suo odore il noce era
considerato una pianta maledetta: si diceva che le streghe
Frutti del noce
tenessero consiglio sotto la sua chioma e che la pianta
rimanesse impregnata del loro odore. Il legno è semiduro, di facile lavorazione, pregiato, usato per mobili, pavimenti, lavori di intaglio, calci di fucile, stecche da biliardo ed è anche un ottimo combustibile.
L’edera
Gelso con frutti
Il susino ( b r o n b a r o )
Edera selvatica e, sotto, more di rovo
Le russe sono un elemento comune delle nostre zone. A
seguito dei ripetuti tagli del bosco, sono divenute piante
invadenti, sintomo di abbandono e di condizioni ambientali degradate. I rovi sono arbusti perenni, vigorosi, con
fiori rosei e producono le more, che si utilizzano per preparare marmellate, sciroppi ad azione astringente, per gargarismi
o infezioni della bocca, lozioni per il viso. Le foglie e lo stelo
venivano usati una volta per curare bruciature e gonfiori.
Fiori di susino e, sotto, i frutti del nocciolo
Il nocciolo è un arbusto cespuglioso con chioma allargata
e densa e fiori molto ricercati dalle api. Produce frutti che
sono molto nutritivi e più digeribili delle noci. Le nosele
nel passato venivano seccate e utilizzate nell’alimentazione umana oppure per estrarre un olio che favoriva la ricrescita dei capelli. Venivano anche schiacciate e aggiunte al
latte dei bambini, nella convinzione che avessero un’azione vermifuga e che rinforzassero la vescica. Il legno,
usato anche come combustibile e per la fabbricazione
delle ceste o per costruire il manico della fionda, veniva
tagliato alla caduta delle foglie. Un ramo di nocciolo veniva utilizzato dai rabdomanti per trovare l’acqua e, durante le rogazioni, croci fatte con il suo legno venivano piantate nei campi per proteggere le colture dalle avversità.
Frutti di orniello
Riveste spesso piante e muri producendo numerose bacche nere di cui si nutrono gli uccelli. Le foglie fresche possono essere applicate sulle piaghe infette per farle cicatrizzare. Mucche, capre e pecore in prossimità del parto
mangiano foglie d’edera per facilitare il travaglio e aumentare la produzione di latte. Il succo delle foglie d’edera
macerate nell’aceto può servire per guarire calli, duroni e
verruche. Nel passato le ragazze si fasciavano i seni con
le sue foglie per averli più proporzionati, mentre i decotti
di foglie venivano usati per gli ingorghi mammari e per
curare la rogna. Il succo ottenuto con le bacche nere veniva utilizzato per lavare gli abiti scuri, per tingere i capelli
di nero e per curare la pazzia e l’ubriachezza.
I rovi ( r u s s e )
Il bronbaro si presenta in forma arbustiva nelle siepi miste
e nei boschi incolti o come piccolo albero nei broli. Fiorisce
tra marzo e aprile, con fiori bianchi che compaiono prima
delle foglie. I frutti sono drupe commestibili ovoidali di
vario colore (violaceo, nero, rosso, giallo), che maturano
da giugno a settembre a seconda delle varietà; si consumano fresche o essiccate e con esse si ottengono buone
marmellate. In medicina si usano i fiori, le foglie e soprattutto i frutti perché hanno proprietà diuretiche, stimolanti
e lassative.
Il nocciolo ( n o s e l a r o )
Sempervivum
Il noce ( n o g a r a )
È una pianta spontanea diffusa specialmente nei terreni
umidi e lungo i corsi d’acqua, ma è anche largamente coltivata per lo sviluppo rapido e la possibilità di utilizzare il
legno per tavolame, imballaggi e fiammiferi. Il pioppo nel
passato era considerato l’albero del popolo perchè dal suo
legno poco pregiato si ottenevano le sgalmare, tipiche calzature invernali. Ha la chioma molto espansa e rada, tronco nodoso e gemme vischiose, foglie con lamina triangolare coriacea che diventano decisamente gialle in autunno. Si usavano corteccia e gemme per curare la febbre e
le emorroidi.
Ruderi lungo il sentiero Mascarellotti e a fianco, in ordine:
violette, ginestrino selvatico, primule, frutti di ontano nero
Tabellone informativo
Il ciavardello ( s o r b o l a r o )
E’ una pianta presente in tutta Italia, dalla pianura fino ai
1000 metri. Cresce in genere sui terreni calcarei e in luoghi
assolati, prediligendo i suoli freschi e ricchi di humus; raggiunge altezze fino ai 20 metri. Le foglie sono lobate ed
assumono una tipica colorazione porpora in autunno. I fiori,
raccolti in una specie di ombrella, sono bianco-crema e sbocciano in maggio-giugno. E’ una specie molto utile: le api e
gli insetti sono fortemente attirati dai suoi fiori ricchi di nettare. I frutti sono pomi dal sapore acidulo, di colore marrone, commestibili e molto ricercati dagli uccelli; si possono
consumare appassiti e se ne può ricavare anche una buona
acquavite. Un tempo erano somministrati per curare le coliche e la dissenteria. Il legno, pesante e compatto, ha un colore rossastro ed è adatto per lavori di ebanisteria e tornitura;
in liuteria è utilizzato per le ottime proprietà acustiche.
Frutti di ciavardello
Un tratto del sentiero tra boschetti e vigneti
Progetto realizzato da
Comune di
Mason
Vicentino
Comune di
Molvena
Comune di
Pianezze
San Lorenzo
Pro Loco
Mason
Vicentino
Pro Loco
Pianezze
San Lorenzo
Consulta
delle
Associazioni
Consulta
Associazioni di Molvena
MOLVENA
Istituto
Comprensivo
“Don L. Milani”
Mason Vic.no
Regione
del Veneto
Provincia
di Vicenza
Comunità
Montana
dall’Astico
al Brenta
UNPLI
Veneto
Comitato
Regionale
UNPLI
Vicenza
Comitato
Provinciale
Protezione
Civile
Intercomunale
Colceresa
Cavalieri
delle
Colline
Molvena
Gruppo
Escursionisti
B.M. Bedont
Pianezze S.L.
Gruppo
Podisti
“Il Ciliegio”
Mason Vic.no
Consorzio
di tutela
Ciliegia di
Marostica I.G.P.
© testo ed immagini
Istituto Comprensivo
“Don Lorenzo Milani”, Mason Vic.
• Editing grafico / produzione:
MCS.Com/Carlo Stella - [email protected]
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