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CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE
GIURISDIZIONALE
SEZIONE SESTA
Sentenza n. 07007
del 20 luglio 2010
Destituzione Vice Prefetto
CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
SEZIONE SESTA
Un Vice Prefetto è stata Destituita dal servizio per aver effettuato complessivamente giorni 540 di
assenza dal lavoro. La ricorrente aveva in precedenza provveduto ad effettuare ricorso al Tar contro
tale provvedimento, ma il Tar competente aveva ritenuto non fondati i motivi e che contro tale
sentenza aveva presentato opposizioni per il tramite del II° grado di giudizio che ha visto
nuovamente soccombere la ricorrente.
N. 07007/2010 REG.SEN.
N. 06101/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul
ricorso
numero
di
registro
generale
6101
del
2009,
proposto
da:
__________________, rappresentata e difesa dagli avvocati Filippo Lattanzi e Franco Gaetano Scoca,
con domicilio eletto presso il secondo in Roma, via G.Paisiello, 55;
contro
Ministero dell'interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria per
legge presso la sede di Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE I TER, n. 05203/2009, resa tra le
parti, concernente DECADENZA DALL'IMPIEGO.
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Destituzione Vice Prefetto
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'interno;
Viste le memorie difensive delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 luglio 2010 il consigliere Gabriella De Michele e uditi per
le parti l’avv. Vetrò per delega dell'avv. Scoca e l'avvocato dello Stato Noviello;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con l’atto di appello in esame – notificato il 10.7.2009 e depositato il 16.7.2009 – è stata impugnata la
sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Roma, sez. I^ ter, con la quale veniva
respinto il ricorso proposto dalla dottoressa ___________, già Vice Prefetto aggiunto, avverso la
decadenza della medesima dall’impiego, decadenza disposta con decreto dipartimentale del Ministero
dell’interno in data 28.11.2007, a norma dell’art. 127, lettera c) del D.P.R. n. 3/1957.
Nella citata sentenza si sottolineava come la ricorrente – appartenente alla categoria dei pubblici
funzionari con qualifica e competenze dirigenziali – avesse maturato 540 giorni di assenze per
malattia nel periodo 20.8.2001 – 26.11.2004, con illegittima sottrazione alle successive convocazioni
del Collegio medico, incaricato di accertare la sussistenza delle ragioni di salute addotte, ed avesse
ulteriormente richiesto periodi di aspettativa per ragioni di famiglia (con domanda non accolta
dall’Amministrazione), assentandosi comunque dal lavoro senza giustificato motivo per innumerevoli
giorni fino al 2007.
Alla minuziosa ricostruzione della violazione degli obblighi di servizio, gravanti sulla ricorrente, si
aggiungevano nella medesima sentenza considerazioni relative alla contestata violazione di procedura,
da parte dell’Amministrazione, per non avere quest’ultima acquisito, prima di disporre la decadenza
della ricorrente dal rapporto di impiego, il parere del Consiglio di amministrazione, trattandosi di
parere non richiesto per atti di natura vincolata, come quello adottato nel caso di specie.
In sede di appello, avverso le conclusioni esposte nella sentenza in precedenza sintetizzata veniva
prospettato un unico, articolato motivo di gravame di “error in iudicando, per violazione o falsa
applicazione dell’art. 127 del D.P.R. n. 3/1957”.
A sostegno delle proprie ragioni l’appellante segnalava, in primo luogo, la mancata valutazione di vizi
procedurali, a partire dall’omessa acquisizione del parere del Consiglio di amministrazione del
Ministero, acquisizione prevista dal citato art. 127 D.P.R. n. 3/1957, per la fattispecie di cui alla lettera
c) del medesimo.
Il provvedimento impugnato, inoltre, sarebbe stato viziato da incompetenza, in quanto emanato dal
Capo del Dipartimento anziché dal Ministro, avendo il provvedimento stesso natura discrezionale e non
vincolata.
Quanto alle circostanze di fatto poste a base della deliberazione contestata, infine, si ricordava come
fosse cessato, nel gennaio 2007, l’incarico dell’appellante quale “dirigente in posizione di staff:
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responsabile presso la Direzione Centrale per i servizi demografici”, con assegnazione di un nuovo
incarico solo nel successivo mese di agosto; in quanto priva di funzioni, pertanto, la dottoressa
________________ non avrebbe potuto svolgere alcuna attività, mentre – dopo la diffida, pervenuta il
31 agosto, a riprendere servizio – sarebbero sopravvenute gravi esigenze familiari (malattia della
madre), tali da rendere necessaria la richiesta di permessi, aspettative e ferie, con finalità di assistenza
alla congiunta sopra indicata.
La diffida a riprendere servizio sarebbe stata inoltrata, pertanto, in concomitanza con la richiesta
fruizione di congedi e aspettative, con conseguente insussistenza di una assenza dal lavoro senza
giustificazione e di manifestata volontà di abbandonare l’impiego.
L’Amministrazione appellata, costituitasi in giudizio, ricostruiva l’ultima fase del rapporto di lavoro di
cui trattasi, dopo che – con telegramma in data 1.6.2007 – la dottoressa ___________ aveva
comunicato di essere impossibilitata, “dal punto di vista materiale e giuridico, a poter svolgere alcuna
prestazione lavorativa, non avendo ricevuto istruzioni al riguardo”.
A tale comunicazione l’Amministrazione stessa rispondeva con telegramma del 6.8.2007, in cui si
rendeva nota all’interessata la prevista assegnazione della medesima al Dipartimento per le politiche
del personale, quale dirigente in posizione di staff, consulente per l’analisi e lo sviluppo organizzativo;
sempre in via telegrafica, tuttavia, l’attuale appellante replicava il 10.8.2007 di non poter riprendere
servizio, comportando l’incarico preannunciato “una situazione logistica non adeguata alla propria
qualifica e alle proprie funzioni”.
Con lettera raccomandata, pervenuta il 31.8.2007, la funzionaria in questione veniva quindi invitata a
riprendere servizio il giorno successivo, a pena di avvio del procedimento di decadenza: procedimento
conclusosi con l’atto che è oggetto del presente giudizio, a seguito del protrarsi di un’assenza, ritenuta
non giustificabile con la richiesta di ulteriori periodi di congedo, poiché di durata superiore a quella
spettante o comunque perché non accordati dall’Ente datore di lavoro. Premesso quanto sopra,
l’Amministrazione resistente confutava le singole argomentazioni difensive di controparte e chiedeva il
rigetto dell’impugnativa.
DIRITTO
La questione sottoposta all’esame del Collegio concerne un provvedimento di destituzione dal
servizio, emesso a norma dell’art. 127, comma 1, lettera c) del D.P.R. 10.1.1957, n. 3, riferito ad una
situazione in cui il dipendente “senza giustificato motivo, non assuma o non riassuma servizio entro il
termine prefissatogli, ovvero rimanga assente dall’ufficio per un periodo non inferiore a quindici giorni,
ove gli ordinamenti particolari delle singole amministrazioni non stabiliscano un termine più breve”.
Avverso tale provvedimento vengono prospettate, in primo luogo, censure di carattere procedurale, per
incompetenza dell’organo emanante e per omessa acquisizione del parere del Consiglio di
Amministrazione.
Dette censure non appaiono condivisibili.
Quanto alla competenza, infatti, correttamente l’Amministrazione resistente ha ricordato come l’art. 4
del D.Lgs. 26.3.2001, n. 165 – nell’attribuire agli organi di governo le funzioni di indirizzo
politico/amministrativo – abbia conferito ai dirigenti il potere di adottare tutti gli atti e i provvedimenti
amministrativi, ivi compresi quelli inerenti alla gestione del personale, non escluse eventuali
dichiarazioni di decadenza dall’impiego (cfr. in tal senso anche Cons. St., sez. IV, 20.1.2006, n. 148;
Cons. St., sez. VI, 24.8.1999, n. 1115).
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Lo stesso D.Lgs. n. 165/2001, all’art. 70, comma 6, precisa che “a decorrere dal 23.4.1998, le
disposizioni che conferiscono agli organi di governo l’adozione di atti di gestione….si intendono nel
senso che la rispettiva competenza spetta ai dirigenti”.
Resta solo la possibilità – derogatoria ed eccezionale rispetto al principio generale – che singole norme
affidino agli organi di governo provvedimenti di nomina o designazione, ex art. 4, comma 1, lettera e)
dello stesso D.Lgs. n. 165/2001.
Deve ritenersi pertanto che legittimamente, nel caso di specie, il provvedimento impugnato sia stato
emesso dal Capo del Dipartimento.
Quanto al parere del Consiglio di Amministrazione, appare condivisibile la tesi della natura meramente
dichiarativa – e pertanto vincolata – del provvedimento emesso, in base ai presupposti di fatto di cui al
citato art. 127, lettera c) del D.P.R. n. 3/1957 (cfr. anche, in tal senso, Cons. St., sez. IV, 9.8.2005, n.
5253; Cons. St., sez.VI, 30.10.1985, n. 542 e 17.5.2004, n. 3153 e 25.11.1994, n. 1707; Cons. St., sez.
V, 13.10.1994, n. 1157); risulta ormai prassi costante dell’Amministrazione, del resto, in tal senso
interpretandosi la disposizione quella di acquisire il parere stesso solo ove sia richiesta una valutazione
discrezionale, con particolare riguardo ai provvedimenti inerenti la progressione in carriera, di cui al
D.Lgs. n. 139/2000.
In tale contesto, appare condivisibile la tesi recepita nella sentenza appellata, secondo cui – anche ove
rispondente ad un vizio di procedura – l’omessa acquisizione del parere di cui trattasi non
comporterebbe annullamento dell’atto impugnato, ai sensi dell’art. 21 octies della legge n. 241/1990
(nel testo introdotto dalla legge n. 15/2005), quando non potesse ipotizzarsi un contenuto diverso
dell’atto stesso, per la già ricordata natura vincolata del provvedimento, conclusivo di una procedura
che non prevede tardive giustificazioni e correlative valutazioni discrezionali, in presenza dei
presupposti di fatto indicati dal legislatore (cfr. anche, in tal senso, cons. St., sez. VI, 10.7.1996, n. 945;
Cons. St., sez. V, 18.1.1995, n. 85).
Detti presupposti – identificativi della volontà del dipendente di sottrarsi ai doveri d’ufficio – appaiono
sussistenti nella situazione in esame.
La sentenza appellata ricostruisce con puntuale esattezza, infatti, un quadro di inescusabile assenteismo
della dipendente di cui trattasi, tenuto conto delle ripetute astensioni dal servizio, in rapporto alle quali
l’interessata risulta essersi sottratta ai richiesti accertamenti clinici, con ulteriore ingiustificata assenza
dal lavoro dopo la scadenza di un incarico dirigenziale: scadenza non implicante certo una condotta di
tal genere, permanendo per i vice prefetti ed i vice prefetti aggiunti – ex art. 12 del D.Lgs. n. 139/2000
– la titolarità del posto di funzione assegnato, fino alla formale attribuzione di un nuovo incarico.
Con telegramma del 6.8.2007, peraltro, l’Amministrazione comunicava all’odierna appellante le nuove
funzioni dirigenziali assegnate, ma la medesima – dopo essersi presentata in ufficio il giorno 7 agosto,
già il successivo 10 agosto rendeva noto di ravvisare nell’incarico preannunciato “una situazione
logistica non adeguata alla propria qualifica e alle proprie funzioni”, con protratta successiva astensione
dal lavoro dal 3 settembre all’emanazione del provvedimento impugnato, nonostante l’intervenuta
comunicazione di avvio della procedura, finalizzata alla decadenza dall’impiego.
Le ragioni familiari addotte dall’interessata per giustificare le successive istanze di congedo e
aspettativa, in una situazione di evidente conflitto della dipendente con l’Amministrazione di
appartenenza, non costituiscono comunque giustificazione in ordine alla mancata ripresa del servizio, ai
sensi e per gli effetti del più volte citato art. 127, comma 1, lettera c) del D.P.R. n. 3/1957.
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Quanto alle ferie, infatti, l’art. 4, comma 6 del D.P.R. 23.5.2001, n. 316 chiarisce come sia obbligo del
funzionario della carriera prefettizia “programmare le proprie ferie in accordo con il responsabile della
struttura in cui presta servizio, in modo da garantirne la necessaria operatività”: appare evidente,
pertanto, che l’appellante non aveva facoltà di usufruire liberamente delle ferie in questione, senza
previo concerto con il diretto superiore; non è contestato in via di fatto, inoltre, che la medesima avesse
chiesto di usufruire di 29 giorni di congedo ordinario, avendone ancora a disposizione solo 19.
Con riferimento, poi, all’aspettativa per ragioni di famiglia, lo stesso D.P.R. n. 316/2001 dispone,
all’art. 6, comma 1, che al funzionario della carriera prefettizia “possano” essere concessi periodi di
aspettativa “previa formale e motivata richiesta…senza retribuzione e senza decorrenza dell’anzianità”:
appare evidente, pertanto, il carattere discrezionale della concessione dell’aspettativa stessa e la
necessità di adeguata motivazione al riguardo, sulla base anche di documentazione probatoria, che si
eccepisce (senza adeguate controdeduzioni al riguardo) non presentata nel caso di specie.
Nella situazione descritta la mancata ripresa del servizio, dopo la diffida inoltrata dall’Amministrazione
ex art. 127, comma 1, lettera c) del D.P.R. n. 3/1957, non può dunque ritenersi corrispondente a
“giustificato motivo”, con conseguente sussistenza dei presupposti per la declaratoria di decadenza
dall’impiego, emessa nel caso di specie.
Restano vaghe e confuse, nel quadro complessivo in precedenza delineato, le ragioni di doglianza della
dirigente in questione, in rapporto alle mansioni affidatele: in nessun caso comunque dette ragioni
potevano giustificare una protratta astensione dal servizio, come quella registrata nella situazione in
esame; non può non ravvisarsi in tale astensione dal servizio, pertanto, una condotta inescusabile, in
rapporto alla quale le accennate accuse di “mobbing”, nei confronti dell’Amministrazione, appaiono
destituite di qualsiasi fondamento, a maggior ragione dopo che – nonostante un già protratto periodo di
assenteismo – la medesima Amministrazione aveva comunque assegnato all’interessata un nuovo
incarico dirigenziale.
In base alle considerazioni esposte, in conclusione, il Collegio ritiene che l’appello debba essere
respinto; quanto alle spese giudiziali, tuttavia, le peculiarità della vicenda dedotta in giudizio ne
giustificano – ad avviso del Collegio stesso – la compensazione.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta, definitivamente pronunciando sul
ricorso in appello indicato in epigrafe, lo respinge; compensa le spese giudiziali.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 luglio 2010 con l'intervento dei Signori:
Giuseppe Barbagallo, Presidente - Paolo Buonvino, Consigliere - Maurizio Meschino, Consigliere Roberto Giovagnoli, Consigliere - Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore
Il Segretario - L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 21/09/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Dirigente della Sezione
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Destituzione Vice Prefetto - Sentenza 20 lug 2010.