ELETTROTECNICA: LE MACCHINE ELETTRICHE PARTE PRIMA Lezioni di Delucca Ing. Diego Cominciamo con il definire cosa si intende per Macchina Elettrica. Una macchina elettrica è un dispositivo in grado di trasformare l’energia, il cui funzionamento si basa su due leggi fondamentali: la legge dell’induzione magnetica, ossia un circuito elettrico soggetto ad un flusso magnetico variabile nel tempo diventa sede di una tensione indotta, così esprimibile, e = - / t. Essa è nota come legge di Faraday, Neumann, Lenz. la legge dell’azione dinamica, ossia un conduttore percorso da una corrente I e posto in un campo magnetico di induzione B è soggetto ad una forza F data da, F = IBl, con l lunghezza del conduttore interessata dal campo magnetico. Le trasformazioni energetiche ci consentono di effettuare le seguenti considerazioni, utili per fornire una prima classificazione delle macchine elettriche: ( tenendo conto della seguente simbologia, con Pe si indica la potenza elettrica, Pm la potenza meccanica, Pp la potenza perduta o dissipata, Da un punto di vista generale si può anche parlare di Potenza assorbita o Pa, Potenza resa o restituita Pr e Potenza dispersa o perduta Pp. ) Pe TRASFORMATORE Pe Pp Il trasformatore opera sullo stesso flusso energetico, ossia assorbe potenza elettrica e la trasforma in potenza elettrica, variando semplicemente il legame fra tensione e corrente. Infatti, il trasformatore è distinto in elevatore di tensione, ossia tensione elevata e basso valore di corrente, oppure abbassatore di tensione ossia basso valore di tensione ed elevato valore di corrente. In questo caso, quindi, si può ammettere che 1 il trasformatore assorbe potenza elettrica e restituisce potenza elettrica, a spese di potenza dissipata in calore. Pe Pm MOTORE Pp Il motore elettrico assorbe potenza elettrica e restituisce potenza meccanica, come movimento rotatorio dell’albero della macchina stessa, ( scapito di potenza persa come calore ). Pm Pe GENERATORE Pp Il generatore elettrico assorbe potenza meccanica per restituire potenza elettrica. Pe Pm FRENO Pp Il freno è una macchina che assorbe sia potenza elettrica che meccanica per dissipare tutto in calore. 2 Cenno sul RENDIMENTO Un qualsiasi dispositivo non restituisce in toto tutto ciò che assorbe, poiché una parte viene persa, comunque, sotto forma di calore. Non è possibile eliminare completamente questa parte perduta. Pertanto, il rapporto fra la potenza resa o restituita dalla macchina e la potenza assorbita da essa, costituisce ciò che si indica col termine di rendimento η. E’ possibile dimostrare che il rendimento sia minore di 1? Sì è possibile attraverso queste semplici considerazioni. η = Pr / Pa = ( Pa – Pp ) / Pa = ( Pa / Pa ) – ( Pp / Pa ) = 1 – Pp / Pa. Da quanto visto fino ad ora una caratteristica peculiare delle macchine elettriche è la loro reversibilità, ossia la possibilità di invertire il verso o il senso del flusso energetico. CLASSIFICAZIONE delle MACCHINE ELETTRICHE Vedremo la loro classificazione sotto una forma grafica. MACCHINE ELETTRICHE DINAMICHE o ROTANTI STATICHE TRASFORMATORI MOTORI in CORRENTE CONTINUA GENERATORI ASINCRONI 3 in CORRENTE ALTERNATA MOTORI GENERATORI SINCRONI CIRCUITI ELETTRICI E MAGNETICI DI UNA MACCHINA ELETTRICA Nella struttura di base di ogni macchina elettrica si possono distinguere 2 circuiti elettrici, mutuamente accoppiati, da un circuito magnetico. I due circuiti elettrici si distinguono in: Circuito Induttore, che ha lo scopo di creare il campo magnetico, mediante la circolazione della corrente nei conduttori che lo costituiscono. Esso è spesso indicato col nome di circuito di eccitazione e la sua corrente, di conseguenza, prende il nome di corrente di eccitazione; Circuito Indotto, sul quale agisce il campo magnetico e che risente delle variazioni di quest’ultimo, diventando così sede di tensioni e di correnti indotte. L’insieme delle azioni prodotte dall’avvolgimento del circuito indotto si dice reazione di indotto. Nel trasformatore il circuito magnetico è unico ed è detto nucleo magnetico. In questo caso i due avvolgimenti sono avvolti sul nucleo e sono interessati al flusso magnetico che è presente nel nucleo stesso. Esempio di nucleo magnetico di un trasformatore monofase e mantello /2 /2 Nelle macchine rotanti sono presenti, invece, due parti. Una parte fissa detta statore e la parte mobile detta rotore o indotto. Il rotore è meccanicamente collegato con l’albero di rotazione della macchina elettrica. Lo statore ed il rotore sono separati tra loro da un sottile strato d’aria detto traferro. In questo caso le linee di flusso si sviluppano sia nel materiale ferromagnetico che nell’aria, ( esso perché si può parlare di circuito magnetico statorico e di circuito magnetico rotorico ). 4 Lo spessore del traferro dipende da due ragioni fondamentali, ossia per ragioni meccaniche che per il corretto dimensionamento elettromeccanico della macchina. A secondo del tipo di rotore impiegato, le macchine elettriche, si distinguono in: macchine a poli lisci, in cui non vi sono espansioni polari nei due nuclei e perciò, il traferro ha uno spessore costante lungo tutta la circonferenza. Queste macchine si dicono, pertanto, isotrope, poiché la riluttanza è costante secondo tutte le direzioni uscenti radialmente dal centro della circonferenza medesima. macchine a poli salienti o sporgenti, in cui vi sono delle espansioni polari, o nel rotore o nello statore, che sporgono dalla superficie cilindrica. In questo caso il traferro ha uno spessore variabile e proprio per questa ragione, questo tipo di macchina, prende il nome di macchina anisotropa, ( in quanto la riluttanza non ha valore costante, infatti il valore risulta minimo lungo la direzione dei poli, ossia nella zona in cui lo spessore del traferro risulta più contenuto. ) statore Nord traferro Nord rotore Sud Sud Macchina isotropa a poli Lisci Macchina anisotropa a poli salienti o sporgenti 5 PERDITE nelle MACCHINE ELETTRICHE Nelle macchine elettriche si possono considerare le seguenti perdite: Macchine elettriche Perdite negli avvolgimenti o per effetto Joule Perdite addizionali o per invecchiamento Perdite meccaniche: per attriti vari o per avviamento, per ventilazione, per contatto con le spazzole, ecc. Perdite nel nucleo magnetico: perdite per correnti parassite o di Foucault e perdite per ciclo di isteresi Le perdite negli avvolgimenti elettrici si esprimono attraverso la relazione: Pj = R( I )² = ( ρl / S ) I², ma I = densità per area attraversamento del conduttore = GS, di conseguenza sostituendo si ottiene, Pj = ( ρl / S ) G² S² = ρl G² S. Tenendo presente che, Sl = volume, potremo allora scrivere: Pj = ρl G² S = ρ G² V, da cui si deduce che le perdite specifiche per unità di volume del rame è, pV = Pj / V = ρ G² ed essa si misura in Watt / m3. Se si ricorda la definizione di densità d, ossia ricordando che la densità di un materiale è definita come: d = massa / volume, conseguentemente volume = massa / densità = M / d, ora se questa relazione la sostituiamo nella relazione, Pj = ρl G² S = ρ G² V = ρ G² M / d, ciò implica che, 6 pm = Pj / M = ρ G² / d, dove pm rappresenta la perdita specifica per unità di massa del rame, la quale si misura in Watt / Kg. Nel caso dei conduttori in rame, funzionanti con una densità di corrente G tra 2 e 4 A / mm2, la pm varia tra i 10 ed i 40 W / Kg. ESERCIZIO Calcolare la perdita pV e pm che si ha a 75 °C in un avvolgimento di rame, ( ρ20 = 0,0178 mm2 / m; = 3,81 . 10-3 ( °C-1 ) e d = densità = 8,9 Kg / dm3 = 8900 Kg / m3 ), funzionante con una densità di corrente G = 3,5 A / mm2 = 3,5 . 106 A / m2. Bisogna tenere presente che all’aumentare della temperatura, anche la resistività del rame si modifica. La formula che ci consente di tenere conto di questo fatto è: ρ75 = ρ20 ( 1 + T ). Pertanto si ottiene che: ρ75 = 0,0178( 1 + 3,81 . 10-3 ( 75 – 20 )) = 0,0178 ( 1 + 3,81 . 10-3 ( 55 )) = 0,02153 mm2 / m = 0,02153 . 10-6 m. A questo punto la perdita specifica per unità di volume si ottiene come: pV = ρ G² = 0,02153 . 10-6 . ( 3,5 . 106 )2 = 0,264 . 106 W / m3. Mentre la perdita specifica per unità di massa del rame si ottiene applicando la relazione: pm = ρ G² / d = 0,264 . 106 / 8900 = circa = 29,7 W / Kg. PERDITE ADDIZIONALI E’ possibile ammettere per le macchine elettriche delle perdite addizionali. Tutte le parti, anche se realizzate correttamente, non sono perfette e quindi si possono verificare dei fenomeni di perdita aggiuntivi. Si deve inoltre tenere conto che i materiali, invecchiando, possono assolvere meno bene al loro compito e dare luogo ad perdite maggiori di quelle preventivate all’inizio. Tenendo presente i termini simbolici è possibile introdurre: RDC = resistenza ohmica del conduttore nel funzionamento in direct current, ossia in regime continuo; RAC = resistenza ohmica, dello stesso conduttore, in regime alternato, ( alternat current ). Si ricordi che la resistenza RAC > RDC ossia, in regime alternato lo stesso conduttore assume una resistenza maggiore di quella che presenta in regime continuo, ( per il cosiddetto fenomeno o effetto Pelle ). Pertanto, è possibile ammettere: RAC – RDC = RADD. A questo punto le perdite totali negli avvolgimenti di rame possono essere così schematizzate: Pcu = Pj + PADD = RAC I2 = RDC I2 + RADD I2 . 7 In definitiva è come ammettere che: Pcu = RAC I2 ; Pj = RDC I2 ; PADD = RADD I2 . In conclusione, è possibile ammettere che: PADD = RADD I2 = Pcu – RDC I2 . E’ necessario tenere presente, infine, che nelle situazioni reali i comportamenti degli elementi conduttori sono molto diverse. Comunque i comportamenti più significativi sono: al variare della frequenza le perdite principali rimangono costanti, mentre quelle addizionali aumentano col quadrato della frequenza; all’aumentare della temperatura le perdite principali aumentano, mentre quelle addizionali diminuiscono; infatti le prime sono direttamente proporzionali alla resistività ρ, mentre le seconde sono inversamente proporzionali a ρ stesso. ESERCIZIO Sull’avvolgimento di una M E sono state effettuate le seguenti prove: misura in corrente alternata Pcu = 350 W e I = 50 A; misura della resistenza elettrica in regime continuo RDC = 0,112 . Si calcolino le perdite principali, quelle addizionali e le resistenze RAC , RADD . Tenendo conto che: Pcu = Pj + PADD = RAC I2 = RDC I2 + RADD I2 . Si possono calcolare i valori richiesti dall’esercizio. RAC = Pcu / I2 = 350 / ( 50 )2 = 0,14 ; RADD = RAC – RDC = 0,14 – 0,112 = 0,028 ; PADD = RADD I2 = 0,028 ( 50 )2 = 70 W; Pj = RDC I2 = 0,112 ( 50 )2 = 280 W. Verifica: Pj = Pcu – PADD = 350 – 70 = 280 W, c.v.d. LE PERDITE NEI NUCLEI MAGNETICI Le perdite nel ferro o nei circuiti magnetici, come già anticipato, dipendono da due particolari fenomeni: le perdite per ciclo di isteresi e le perdite per correnti parassite o di Foucault. Queste perdite si manifestano solo se i nuclei magnetici o ferromagnetici sono soggetti a flussi variabili nel tempo. Nel caso di flusso magnetico costante tali perdite sono nulle. Le perdite per ciclo di isteresi dipendono dai seguenti fattori: dal tipo di materiale; dalla frequenza; valore dell’induzione massima Bm. Tutto questo si può sintetizzare con la formula di Steinmetz: Pci = Ki f ( Bm )n, 8 con l’indice n uguale a 1,6 se Bm è minore di 1 Tesla, oppure n = 2 se Bm è maggiore o uguale ad 1 Tesla. NB. 1 T = 1 Wb / m2. Le perdite per correnti parassite dipendono dal fatto che i circuiti magnetici sono realizzati con lamierini di ferro o leghe di ferro. Questi lamierini quindi sono, a tutti gli effetti, dei conduttori di corrente elettrica, ( anche se pessimi ). Proprio le variazioni di flusso magnetico determinano in essi delle tensioni indotte e conseguentemente, delle correnti indotte. Le correnti tendono a scaldare, ( per la legge di Joule ), i lamierini, ( poiché incontrano una resistenza al loro passaggio ). Pertanto, il riscaldamento dei lamierini comporta una perdita sottoforma di calore. In poche parole, per ovviare a questo inconveniente, il nucleo magnetico si ottiene dalla sovrapposizione di un certo numero di lamierini, isolati l’uno rispetto all’altro, con uno spessore ridotto. Spesso, nella lega, si inserisce del silicio, in opportuna percentuale, ( il silicio, nella lega non può mai essere superiore al 4% o al massimo il 4,5 % , infatti esso ha la tendenza ad infragilire la lamiera. Il silicio però occorre per aumentare la resistività del lamierino stesso ). In definitiva, se un circuito magnetico è costituito da n lamierini, di spessore s e resistività ρ le perdite per correnti parassite assumono il seguente valore: Pcp = n Kl s2 f2 ( Bm )2 = Ke f2 ( Bm )2. Ovviamente risulterà: relazione A) PFE = Pci + Pcp = Ki f ( Bm )n + Ke f2 ( Bm )2 CIFRA di PERDITA Se si sommano le perdite per ciclo di isteresi e per correnti parassite si ottiene la perdita nel ferro totale. Quest’ultima, però, è riferita all’unità di volume o di massa. In questo caso si parla di perdite specifiche del lamierino ferromagnetico. Queste perdite si ottengono impiegando l’apparecchio di Epstein. Con l’apparecchio di Epstein si rileva la somma delle perdite per ciclo di isteresi e per correnti parassite in condizioni specifiche o predeterminate, ossia applicando una sollecitazione o un’induzione magnetica, di tipo sinusoidale, a 50 Hz. Inoltre, il valore dell’induzione massima, ossia Bm, risulta essere predeterminato. Il valore di Bm in questa prova è 1 Tesla oppure 1,5 Tesla. La perdita così rilevata costituisce un valore caratteristico di ogni materiale ferromagnetico, che viene indicato col nome di cifra di perdita, cP. Ora se indichiamo con B0 l’induzione massima, nella valutazione del cP0, di un materiale ferromagnetico, allora considerando n = 2 potremo scrivere , la relazione A: cP0 = Ki f ( B0 )2 + Ke f2 ( B0 )2= ( B0 )2 f ( Ki + Ke f ). Mentre, per un valore di induzione Bm qualsivoglia potremo scrivere: cPS = Ki f ( Bm )2 + Ke f2 ( Bm )2 = ( Bm )2 f ( Ki + Ke f ). Se effettuiamo il rapporto membro a membro, fra la seconda e la prima otterremo: 9 cPS / cP0 = (( Bm )2 f ( Ki + Ke f ) ) / (( B0 )2 f ( Ki + Ke f )) = ( Bm / B0 )2. In definitiva si può ammettere che: cPS / cP0 = ( Bm / B0 )2. Questa relazione è utile poiché se è nota la cP0 , B0 e Bm, siamo in grado di determinare la perdita specifica, della lamiera ferromagnetica, per un valore di induzione Bm qualsiasi; infatti risulterà: relazione B) cPS = cP0 . ( Bm / B0 )2. Si ricordi che la cifra di perdita cPS è riferita, in genere, a lamiere vergini o appena uscite dalla fabbrica, perciò risulta necessario prevedere un aumento compreso fra il 5% e 10%, della perdita complessiva, per tenere conto dell’invecchiamento del materiale o per il trattamento meccanico da esse ricevuto durante le lavorazioni. ESERCIZIO Un nucleo magnetico di massa M = 50 Kg è realizzato con materiale ferromagnetico, avente una cifra di perdita cP0 = 1,5 W / Kg se l’induzione nella prova, con l’apparecchio di Epstein, vale 1 T. Si calcoli la sua perdita specifica e la perdita nel ferro totale, se l’induzione di lavoro vale 1,2 T. Per quanto detto in precedenza, la perdita specifica per unità di massa, si può determinare applicando la relazione B: cPS = cP0 . ( Bm / B0 )2 = 1,5 ( 1,2 / 1 )2 = 1,5 ( 1,2 )2 = 2,16 W / Kg. La perdita complessiva del ferro si ottiene moltiplicando questo valore per il valore della massa M del materiale ferromagnetico. In questo caso risulterà: PFE = M cPS = 50 ( 2,16 ) = 108 W. Prevedendo un aumento dell’8% per tenere conto dell’invecchiamento del materiale, potremo ammettere che la perdita complessiva di questo materiale ferromagnetico sia: PFE tot = 1,08 . PFE = 1,08 . 108 = 116,64 W. PERDITE NEGLI ISOLANTI Esistono perdite anche negli isolanti delle M E, che per il momento trascureremo. Si possono tenere conto nel computo delle perdite addizionali. PERDITE MECCANICHE Nelle macchine rotanti è necessario tenere conto delle perdite di tipo meccanico, che si manifestano per i seguenti motivi: perdite per attrito, nei cuscinetti di supporto dell’albero motore, che dipendono dal tipo di cuscinetto stesso, dal peso della parte rotante e dalla velocità di rotazione; 10 perdite per ventilazione, ossia per attrito fra rotore e l’aria circostante, essa è proporzionale al cubo della velocità di rotazione; perdite per attrito fra spazzola e collettore, per le macchine in corrente continua, per effetto dello strisciamento delle spazzole. Queste perdite sono proporzionali alla superficie di contatto, alla pressione della spazzola sul collettore ed alla velocità di rotazione. RENDIMENTO EFFETTIVO E CONVENZIONALE DI UNA M E Il concetto di rendimento lo abbiamo già introdotto, come rapporto fra la potenza di uscita o utile o resa e la potenza di ingresso o assorbita della macchina, cioè η = Pu / Pa. Questo è il cosiddetto rendimento effettivo della M E. Il rendimento percentuale si ottiene moltiplicando per 100 il valore di η, ossia: η% = 100 η = 100 Pu / Pa = 100 ( 1 – Pp / Pa ). E’ altrettanto vero che sarà: η = Pu / Pu + Pp = ( dividendo sia numeratore che denominatore per Pu ) = η = 1 / ( 1 + ( Pp / Pu )), da cui si deduce che, η% = 100 / ( 1 + ( Pp / Pu )). ESERCIZIO Caso a) Caso b) Caso c) Calcolare il rendimento percentuale delle seguenti macchine: a) trasformatore con Pu = 850 W e Pa = 1 kW; b) motore elettrico con Pa = 3400 W e Pp = 350 W; c) generatore elettrico con Pu = 120 kW e Pp = 3,6 kW. In questo caso possiamo calcolare direttamente il rendimento η = Pu / Pa = 850 / 1000 = 0,85, ossia η% = 85% ; Qui è necessario dedurre la potenza utile, come: Pu = Pa – Pp = 3400 – 350 = 3050 W, da cui si deduce che, η = Pu / Pa = 3050 / 3400 = 0,897 da cui si ha η% = 89,7% ; in questo caso è necessario risalire alla potenza assorbita dalla macchina. Ciò si ottiene tenendo conto che: Pa = Pu + Pp = ( 120 + 3,6 ) = 123,6 kW e da ciò si ottiene, η = Pu / Pa = 120 / 123,6 = 0,971 circa e quindi η% = 97,1% . CENNO SULLE CURVE DI RAFFREDDAMENTO E RISCALDAMENTO DELLE M E. TIPI DI SERVIZIO = temperatura r regime termico I tipi di servizio sono normalizzati. I più significativi sono quello continuo e quello intermittente 11 A t = tempo curva di riscaldamento curva di raffreddamento POTENZA NOMINALE E DIAGRAMMA DI CARICO Una macchina elettrica, per tutto il periodo di funzionamento, non lavora mai a potenza costante. Facendo riferimento ad un periodo di tempo prefissato ed alla potenza utile Pu, il diagramma cartesiano che descrive l’andamento della potenza in funzione del tempo, si dice diagramma di carico. L’andamento del diagramma di carico dipende dalla modalità con la quale la macchina viene impiegata nel periodo di tempo considerato. Un esempio potrebbe essere il seguente: Pu P2 P1 P3 t1 t2 t3 t L’andamento del diagramma di carico ha influenza sul comportamento termico della M E, poiché il valore della potenza utile della macchina, risulta legato alla potenza perduta o dissipata. Infatti, noi sappiamo che: η = Pu / Pa = Pu / ( Pu + Pp) = Pu + Pp – Pp / Pu + Pp = 1 – Pp / Pa, di conseguenza posso scrivere Pp / Pa = 1 – η Pp = Pa ( 1 – η ) = che posso anche scrivere = Pp = Pu ( Pa / Pu ) (1 – η ) = ( Pu / Pu / Pa ) ( 1 – η ), ma Pu / Pa corrisponde a 1 / η e di conseguenza potremo scrivere, Pp = Pu ( 1 – η ) / η. Quest’ultima relazione mette in luce il legame diretto fra potenza perduta e potenza utile, ed il coinvolgimento del rendimento nella medesima relazione. Si tenga presente che per ogni macchina elettrica, fra i dati di targa, viene indicata la potenza nominale Pn. La potenza nominale Pn rappresenta la potenza che la macchina può erogare, in condizioni specifiche di funzionamento elettrico, meccanico e di servizio, senza che essa superi i limiti termici ammessi dalle norme, in relazione alla classe di isolamento per la quale essa risulta costruita. Viene poi indicato col nome di fattore di carico o di utilizzazione il seguente rapporto: Ku = Pu / Pn = potenza utile / potenza nominale. Il fattore di carico percentuale, Ku %, risulta allora dato da: Ku % = 100 Ku = 100 Pu / Pn. A seconda del valore del fattore di carico Ku si possono avere i seguenti tipi di funzionamento: 12 se Ku = 1 Pu = Pn e ciò implica il funzionamento nominale o a carico nominale; se Ku < 1 Pu < Pn e ciò implica un funzionamento sotto carico o a carico ridotto; se Ku > 1 Pu > Pn e ciò implica un funzionamento in sovraccarico. ESERCIZIO Un motore elettrico di potenza nominale Pn = 20 kW ha un ciclo di funzionamento di otto ore, con le seguenti modalità: 4 ore con Ku % = 80% e rendimento η1 = 0,80; 2 ore con Ku % = 100% e rendimento η2 = 0,90; 2 ore con Ku % = 120% e rendimento η3 = 0,75. Si disegni il diagramma di carico e quello delle potenze Perdute. Prima di procedere alla costruzione dei due diagrammi, effettuiamo alcune considerazioni di mero calcolo numerico. Noi sappiamo che per definizione: Ku % = 100 Ku e di conseguenza Ku = Ku % / 100, perciò sarà, Ku1 = 80 / 100 = 0,8; Ku2 = 100 / 100 = 1; Ku3 = 120 / 100 = 1,2. Si noti che il primo fattore di carico ci indica che la macchina lavora in regime di carico ridotto, nel secondo a carico nominale ed infine, nel terzo lavora in regime di sovraccarico. Inoltre, sapendo che Ku = Pu / Pn si desume che: Pu = Ku Pn. Nel nostro caso si ricava che: Pu1 = Ku1 Pn = 0,8 . 20 kW = 16 kW; Pu2 = Ku2 Pn = 1 . 20 kW = 20 kW ; Pu3 = Ku3 Pn = 1,2 . 20 kW = 24 kW; Infine, tenendo conto che : Pp = Pu ( 1 – η ) / η si ottiene che nei tre funzionamenti di macchina indicati, le potenze rispettivamente perdute saranno: Pp1 = Pu1 ( 1 – η1 ) / η1 = 16 ( 1 – 0,8 ) / 0,8 = 4 kW ; Pp2 = Pu2 ( 1 – η2 ) / η2 = 20 ( 1 – 0,9 ) / 0,9 = 2,22 kW; Pp3 = Pu3 ( 1 – η3 ) / η3 = 24 ( 1 – 0,75 ) / 0,75 = 8 kW . Pu (kW) Pp ( kW) 8 24 20 4 16 2,22 13 4 6 8 t (ore) 4 6 8 t ( ore) TRASFORMATORE IDEALE Il trasformatore è una macchina elettrica di tipo statico, ossia tale macchina non presenta alcun organo in movimento o nessuna parte rotorica. Il trasformatore fonda il suo funzionamento, esclusivamente, sull’effetto dell’induzione magnetica. Dal punto di vista tecnico il trasformatore monofase è costituito da due avvolgimenti avvolti attorno alle colonne del nucleo magnetico, si veda lo schema di riferimento: i1 i2 v1 v2 Il lato che viene alimentato con una tensione sinusoidale, normalmente, si indica col nome di primario, mentre l’altro lato si dice semplicemente secondario, ( ma essa è una macchina reversibile, poiché posso alimentare indifferentemente sia l’uno che l’altro ). Il flusso magnetico prodotto dal lato alimentato, investe gli avvolgimenti costituenti il secondario, producendo una tensione e conseguentemente un corrente indotta. Il valore sia della tensione indotta primaria che secondaria dipende dal flusso e dal numero di spire che costituiscono i due stessi avvolgimenti. Ne risulta allora che: E1 = E1m / √ 2 = N1 m / √ 2 = 2 f N1 m / √ 2 = = 4,44 f N1 m; E2 = E2m / √ 2 = N2 m / √ 2 = 2 f N2 m / √ 2 = = 4,44 f N2 m. Inizialmente tratteremo del trasformatore ideale, poiché le semplici considerazioni su di esso, ci aiuteranno a comprendere il trasformatore reale. Nelle condizioni ideali si utilizzano le ipotesi di Kap, che si possono così sintetizzare: 14 gli avvolgimenti sono ideali, ossia la loro resistenza risulta praticamente nulla; il flusso è ideale, ossia tutte le linee di forza , prodotto dall’avvolgimento primario, ( che risulta l’avvolgimento alimentato ), si concatena completamente co l’avvolgimento secondario. In definitiva è come ammettere nullo il flusso disperso; il nucleo magnetico è perfetto, ossia è come ammettere che la riluttanza del circuito magnetico risulta nulla. Ciò ci consente di ammettere che le perdite per ciclo di isteresi e per correnti parassite siano uguali a zero. Inoltre per la legge di Hopkinson, Fmm = NI = = 0, per cu la forza magnetomotrice risulta nulla. Si ricorda che la Fmm è necessaria per creare il flusso magnetico. Conseguenza di questo fatto: applicando la tensione all’avvolgimento primario sorgerà un flusso magnetico senza necessità di una corrente di magnetizzazione. Lo schema grafico del trasformatore ideale è il seguente: V1 E1 E2 V2 Applicando alle maglie il secondo principio di Kirchoff si deduce: V1 + E1 = 0 V1 = – E1 ; V2 – E2 = 0 V2 = E2 . Nelle condizioni ideali risulta allora che: V1 = E1 = 4,44 N1 m f; V2 = E2 = 4,44 N2 m f; ora se dividiamo membro a membro, ossia se effettuiamo la divisione, V1 / V2 = E1 / E2 = ( 4,44 N1 m f ) / ( 4,44 N2 m f ) = N1 / N2. 15 In definitiva la quantità V1 / V2 = N1 / N2 = Kt si dice rapporto di trasformazione del trasformatore. FUNZIONAMENTO A VUOTO DEL TRASFORMATORE IDEALE Questa situazione si può schematizzare nel modo seguente I1 circa zero I2 = 0 V1 E1 E2 V2 Come si osserva dallo schema di principio, ai morsetti del secondario non è applicato alcun carico, proprio per questo si parla di funzionamento a vuoto. La rappresentazione vettoriale di questa situazione si riassume nel modo seguente: V1 = - E1 V2 = E2 E1 FUNZIONAMENTO A CARICO DEL TRASFORMATORE IDEALE La situazione è così rappresentabile: I1 0 I2 16 V1 E1 E2 V2 Zc In questo caso ai morsetti del secondario risulta applicato un carico con impedenza Zc. Si capisce che, V2 / Zc = E2 / Zc = I2. Inoltre visto che deve risultare nulla la forza magnetomotrice totale, ossia la somma delle f m m prodotte dalle due correnti I1 ed I2 deve essere uguale a zero: N1 I1 + N2 I2 = 0 da cui si deduce che I1 = ( - N2 / N1 ) I2. Conseguentemente il diagramma vettoriale assume la seguente forma: V1 = - E1 φ1 I1 = ( - N2 / N1 ) I2 = - I2 / Kt I2 φ2 V2 = E2 E1 Infine, si osserva dal grafico che: φ1 = φ2. BILANCIO DELLE POTENZE Le potenze apparenti nei due lati del trasformatore sono uguali a: S1 = V1 I1 ed S2 = V2 I2, ma S2 = V2 I2 = ( V1 / Kt ) ( Kt I1 ) = V1 I1 = S1, in definitiva risulta S1 = S2, oppure, V1 I1 = V2 I2. Si noti che V1 / V2 = Kt, di conseguenza V2 = V1 / Kt e dalla relazione in modulo N1 I1 = N2 I2 si ricava che I2 = ( N1 / N2 ) I1 = Kt I1, ( come indicato nelle relazioni superiori. Inoltre, visto che φ1 = φ2 e avendo dimostrato che, S1 = S2, allora si deduce che: 17 P1 = V1 I1 cos φ1 = V2 I2 cos φ2 = P2, ossia P1 = P2, Q1 = V1 I1sen φ1 = V2 I2 sen φ2 = Q2, ossia Q1 = Q2. Le potenze attive e reattive sono anch’esse uguali fra loro. CIRCUITO REALE DI UN TRASFORMATORE MONOFASE Per descrivere il comportamento reale di un trasformatore è necessario abbandonare le ipotesi di Kap e tenere conto che: il rame ha per effetto Joule, in quanto sia la resistenza degli avvolgimenti primari che secondari, non risulta uguale a zero; il nucleo del circuito magnetico non possiede riluttanza nulla e pertanto, bisogna tenere conto delle perdite sia per ciclo di isteresi che per correnti parassite. Inoltre, visto che il circuito magnetico non ha comportamento ideale è necessario tenere conto che il flusso totale presenta una parte che viene dispersa all’esterno del circuito stesso, ( NB. il flusso disperso dipende dal valore dell’induttanza primaria e secondaria dei due avvolgimenti ). Lo schema equivalente di un trasformatore monofase reale è allora il seguente: R1 j X1d V1 R2 jB0 jX2d V2 G0 E1 E2 I termini o parametri R1, X1d, R2 ed X2d si dicono i parametri longitudinali del circuito equivalente del trasformatore, mentre G0 e B0 i parametri trasversali. Dal circuito equivalente di un trasformatore monofase reale si osservi che: R1 ed R2 sono rispettivamente le resistenze degli avvolgimenti primario e secondario; X1d e X2d le reattanze di dispersione del primario e del secondario ed infine, la G0 e la B0 ci occorrono per tenere conto delle perdite per correnti parassite e per ciclo di isteresi nel ferro. 18 Si conclude questo argomento, ricordando che, complessivamente sarà: Z1 = R1 + jX1d = impedenza del circuito primario; Z2 = R2 + jX2d = impedenza circuito secondario . Ritorniamo un attimo sull’accoppiamento magnetico tra il primario ed il secondario. Visto che tale accoppiamento non è perfetto possiamo fare queste considerazioni, per chiarire il concetto di flusso disperso. Possiamo dunque ammettere che il flusso sia caratterizzato dalle seguenti linee di forza: I II i1 i2 v1 v2 Dalla figura di riferimento si constata che il flusso è così costituito: tutte le linee di forza che stanno all’interno del nucleo magnetico del trasformatore, linee di colore blu, ( le quali costituiranno il flusso principale ); tutte quelle linee di forza che concatenano completamente o parzialmente il solo avvolgimento primario o secondario, vedi linee di forza rosse e verdi. In altri termini sono quelle linee di forza che si richiudono in aria. Esse costituiranno ciò che è indicato col nome di flusso disperso. Normalmente si indica con 0 il flusso principale, rappresentato da tutte le linee di forza che concatenano contemporaneamente il primario ed il secondario, mentre con 1d e con 2d si indicano rispettivamente, il flusso disperso primario e secondario. Calcoliamo in modo semplice l’induttanza di dispersione. Noi sappiamo che : 1d = L1d I1 / N1 ed 2d = L2d I2 / N2, di conseguenza 19 L1d = N1 1d / I1; L2d = N2 2d / I2. Infine, si ricorda che: X1d = L1d = 2 f L1d; X2d = L2d = 2 f L2d. Il circuito magnetico del trasformatore reale viene pertanto investito da un flusso variabile nel tempo. La legge di Lenz – Faraday – Neumann dell’induzione, ci consente di capire che, in queste condizioni, il ferro ha perdite sia per ciclo di isteresi che per correnti parassite. Potremo, quindi, effettuare le seguenti considerazioni: PFE = perdita nel ferro = Massa per perdita specifica per unità di massa = M pFE = = cP0 ( Bm / B0 )2 = cP0 Bm2 / B02, ma Bm si può pensare uguale a, Bm = m / SFE, dove SFE è la sezione del ferro effettiva ed, inoltre, m = E1 / 4,44 f N1 e di conseguenza sarà, PFE = M (cP0 / B02 ) 2m / S2FE = M (cP0 / B02 ) E12 / S2FE( 4,44 f N1 )2. Tutte le grandezze che compaiono nella relazione superiore , eccetto la E1, sono costanti durante il funzionamento del trasformatore, in quanto esse dipendono solo da fattori costruttivi e dalla frequenza. Si ricorda che il rapporto: Potenza / (Tensione)2 = conduttanza = G, perciò il termine M cP0 / ( B02 S2FE( 4,44 f N1 )2 = G0, di conseguenza sarà, PFE = G0 E12 =( spesso si ritiene ) = G0 V12. La legge di Hopkinson ci dice, inoltre, che per magnetizzare il nucleo di ferro, con riluttanza diversa da zero, è necessaria una forza magnetomotrice. In altri termini deve risultare: Fmm = = Ni. Ipotizzando che il secondario sia aperto, ossia ad esso non sia applicato alcun carico, quindi risulterà I2 = 0, possiamo ammettere che: N1 I = , dove la I è la cosiddetta, corrente di magnetizzazione o corrente magnetizzante. ( Si noti che la I dipende dalla corrente I1 ). Ora, è possibile scrivere: I = / N1 = ( / N1 ) m / √ 2 = 20 = I = ( / √ 2 N1 ) E1 / 4,44 f N1 = ( sapendo che 4,44 = √ 2 ) = = I = ( / √ 2 N1 ) E1 / ( √ 2 f N1 ) = ( E1 ) / 2 f N12 = ( E1 ) / ( N12 ) Risulta infine che: I10 Ia G0 j B0 I E1 Ia = G0 E1 = componente attiva ; I = componente reattiva = B0 E1. Si completa il discorso ricordando che: Y0 = 1 / Z0 = G0 + j B0 , dove Y0 si dice ammettenza, ed essa per definizione è il reciproco dell’impedenza, mentre G0 è la conduttanza, ( che è il reciproco di una resistenza ), e B0 si dice suscettanza, ( ed essa è equivalente al reciproco di una reattanza ). In particolare la Y0 si dice ammettenza trasversale di un trasformatore reale. TRASFORMAZIONE DELLE IMPEDENZE Noi sappiamo che: V1 / V2 = - E1 / E2 = - Kt di conseguenza è possibile effettuare la seguente considerazione, Z1 = V1 / I1 = - Kt V2 / ( - 1 / Kt ) I2 = Kt2 V2 / I2 = Kt2 Z2, in altri termini, è possibile ridurre o riportare a primario, l’impedenza secondaria, moltiplicandola per il quadrato del rapporto di trasformazione del trasformatore. Più precisamente scriveremo: Z2’ = Kt2 Z2 = Kt2 R2 + j Kt2 X2d, diremo che Z2’ è l’impedenza secondaria ridotta a primario. Corrispondentemente il circuito equivalente di un trasformatore reale ridotto a primario è il seguente: R1 j X1d R2’ j X2d’ 21 V1 jB0 E1 G0 R1 + R2’ = R1 + Kt2 R2 = R1cc; Si noti pure che: X1d + X2d’ = X1d + Kt2 X2d = X2cc. Risulta possibile attuare la trasformazione inversa, ossia riportare a secondario l’impedenza primaria. Ma come ? Seguiamo lo stesso ragionamento fatto in precedenza e scriviamo: Z2 = V2 / I2 = ( V1 / Kt ) / Kt I1 = V1 / Kt2 I1 = Z1 / Kt2, cioè l’impedenza primaria si può ridurre o riportare a secondario, dividendola per il quadrato del rapporto di trasformazione del trasformatore. In definitiva risulterà: Z1” = impedenza primaria ridotta a secondario = Z1 / Kt2 = = R1 / Kt2 + j X1d / Kt2 = R1” + j X1d”, ed ovviamente risulterà, R2 + R1” = R2cc e X2d + X1d” = X2cc . Il circuito equivalente di un trasformatore reale ridotto a secondario assume la seguente forma: R2 V1 jX2d R1” j X1d” jB0 G0 NB. Anche la conduttanza G0 e la suscettanza B0 possono essere riportai a secondario, in modo tale che tutti i parametri, sia longitudinali che trasversali, possono essere riportati a secondario. ESERCIZIO Un trasformatore ideale con tensione V2 = 25 V, alimenta un carico ohmico – induttivo, con fattore di potenza cosφ2 = 0,8. Il carico assorbe una corrente I2 = 4 A. Sapendo che il 22 trasformatore è alimentato con una tensione V1 = 230 V, si calcoli la corrente primaria, l’impedenza del carico e le potenze erogate al carico. Si calcoli I1, come rapporto fra tensione primaria e impedenza secondaria riportata a primario. Quantità note V2 = 25 V V1 = 230 V Valori da ricavare Kt = N1 / N2 = V1 / V2 = = 230 / 25 = 9,2 S2 = V2 I2 = 25 . 4 = 100 VA cosφ2 = 0,8 I2 = 4 senφ2 = 0,6 P2 = S2 cosφ2 = = 100 ( 0,8 ) = = 80 W Q2 = S2 senφ2 = = 100 ( 0,6 ) = 60 VAR R2 = P2 / I2² = 80 / 16 = 5 X2d = √ ( Z2² - R2² ) = √ ( 6,25²- 5² ) = 3,75 Z2 = V2 / I2 = 25 / 4 = 6,25 Z2’ = Kt² Z2 = ( 9,2 )² . 6,25 = = 529 X2d’ = Kt² X2d = = ( 9,2 )² . 3,75 = 317,4 R2’ = Kt² R2 = ( 9,2 )² . 5 = = 423,2 I1 = V1 / Z1 = V1 / Z2’ = = 230 / 529 = 0,435 A FUNZIONAMENTO A VUOTO DI UN TRASFORMATORE REALE Lo schema di principio o il circuito equivalente del trasformatore reale è il seguente: I10 j X1d R2 R1 I jX2d I2 = 0 Ia jB0 V1 V2 G0 E1 23 E2 Nel funzionamento a vuoto il primario risulta alimentato alla tensione V1, mentre il secondario risulta aperto, ossia ai suoi morsetti non è collegato alcun carico, conseguentemente la corrente secondaria I2 è nulla. Il fatto che la corrente secondaria sia uguale a zero, ci consente di ammettere che, le cadute di tensione su R2 e su X2d siano nulle e perciò, in queste condizioni, ai morsetti del secondario la tensione, che si presenta, risulta identica alla tensione indotta nell’avvolgimento secondario, cioè: E2 = V20 = V2. Nel circuito primario, invece, alla tensione V1 fa riscontro una corrente I10, ossia la corrente primaria a vuoto, ( poiché il secondario è aperto ), il cui valore sarà dato da: I10 = Y0 E1= I0. Visto che il modulo della corrente I10 è modesto, è possibile ammettere, senza commettere errore grave, che le cadute la resistenza e la reattanza di dispersione primaria, siano trascurabili. Di conseguenza è possibile considerare V1 = E1 e possiamo così scrivere, I10 = Y0 E1= I0 = Y0 V1, ( a meno del segno ). Inoltre, la corrente I10 = I0 si può decomporre nelle sue componenti Ia e I, cosicché risulta: I10 = I0 = Ia + I, dove la Ia si dice componente attiva e la I si dice componente reattiva o di magnetizzazione. Ora tenendo conto che la tensione è positiva se il vettore ha senso o verso: allora ne risulta, Ia = - G0 E1 e I = - jB0 ( - E1 ) = j B0 E1. Se si considera il secondo principio di Kirchoff, applicato al circuito primario, si può desumere il diagramma vettoriale di un trasformatore reale durante il funzionamento a vuoto: j X1d I10 R1 I10 V1 - E1 I10 Ia I E1 V2 = V20 = E2 24 FATTORE DI TRASFORMAZIONE A VUOTO In questo caso possiamo ammettere che: K0 = E1 / E2 = V1 / V2 = circa = Kt, in altri termini si ritiene che il rapporto di trasformazione o il fattore di trasformazione del trasformatore sia circa uguale al rapporto fra le tensioni primaria e secondaria, che equivale al rapporto N1 / N2, che è il rapporto spire che è un dato costruttivo della macchina stessa. BILANCIO DELLE POTENZE Per quanto riguarda il secondario, visto che la corrente I2 è nulla ne scende che: S2 = 0, P2 = 0, Q2 = 0, in conclusione non ci sono potenze erogate al carico, per fatto che i morsetti secondari sono aperti. Il primario durante il funzionamento a vuoto, assorbe dalla rete le cosiddette potenze a vuoto, ossia: S10 = V1 I10 = √ ( P02 + Q02 ) P0 = V1 I10 cosφ0, Q0 = V1 I10 senφ0. Osservando il circuito equivalente del trasformatore si può verificare che, la potenza attiva P0, è somma della potenza dissipata nel rame primario e la potenza perduta nel ferro del nucleo magnetico. In altri termini potremo scrivere: P0 = R1 I10² + G0 E1², ma il valore della corrente assorbita dal trasformatore, durante il funzionamento a vuoto, è molto piccola, perciò la perdita dissipata nel rame primario è trascurabile e di conseguenza sarà P0 = G0 E1². Ciò significa che durante il funzionamento a vuoto, il trasformatore dissipa una potenza che equivale alla perdita che si verifica nel nucleo magnetico o nel ferro. La conclusione importante è dunque che: P0 = PFE = circa = G0 E1² = G0 V1². E’ altrettanto vero che: Q0 = X1d I10² + B0 E1² = circa = B0 E1², in altri termini la potenza reattiva, assorbita dal trasformatore reale durante il funzionamento a vuoto, è circa uguale a potenza di magnetizzazione del nucleo ferromagnetico. PROVA A VUOTO 25 Il costruttore di un trasformatore effettua la prova a vuoto, con lo scopo di ottenere le seguenti informazioni: le perdite nel ferro; il fattore di potenza a vuoto cosφ0 = P0 / ( V1 I10 ); il valore percentuale della corrente a vuoto, I0% = 100 I10 / I1n dove I1n è la corrente nominale primaria; i valori dei parametri trasversali G0 e B0. Si tenga presente che: PFE = circa = P0 e Q0 = P0 tgφ0 = PFE tgφ0. ESERCIZIO Un trasformatore assorbe nel funzionamento a vuoto, con tensione V1n = 3000 V, la potenza P0 = 105 W e la corrente I0 = 0,113 A. Si calcoli la corrente a vuoto percentuale, riferita alla corrente Nominale I1n = 2,8 A, il fattore di potenza a vuoto ed i parametri Trasversali G0 e B0. Quantità note V1n = 3000 V I0 = 0,113 P0 = 105 W Valori da ricavare I0% = 100 ( 0,113 ) / 2,8 = cosφ0 = P0 / ( V1 I10 ) = = 4,04 % = 105 / ( 3000 . 0,113 ) = = 0,31 senφ0 = 0,95 G0 = P0/ V1n² = tgφ0 = 3,07 = 105 / ( 3000 )² =11,7 S B0 = Q0 / V1n² = = P0 tgφ0 / V1n² = = 105 . 3,07 / ( 3000 )² = 35,8 S FUNZIONAMENTO A CARICO DI UN TRASFORMATORE REALE Il trasformatore funziona a carico, quando il secondario è collegato ad un carico avente impedenza Zc. Lo schema di principio risulta essere il seguente: I1 j X1d R1 R2 I jX2d I2 Zc Ia jB0 V1 V2 G0 E1 26 E2 Ipotizzando che: Zc = Rc + j Xc, possiamo dire che la tensione indotta E2 determina la circolazione della corrente secondaria I2, da cui si ricava: ( per il secondo principio di Kirchoff applicato al circuito secondario ) E2 – ( R2 + jX2d ) I2 – ( Rc + j Xc ) I2 = 0, oppure E2 = (( R2 + Rc ) + j ( X2d + Xc )) I2, da cui deduco I2 = E2 / (( R2 + Rc )) + j( X2d + Xc )). L’angolo di sfasamento 2, fra E2 ed I2 si ottiene come: 2 = tg-1 (( X2d + Xc ) / ( R2 + Rc )). Il modulo del vettore I2 si esprime nel modo seguente: I2 = E2 / ( √ (( R2 + Rc )² + ( X2d + Xc )²). Per quanto riguarda il secondario, il secondo principio di Kirchoff, può anche essere scritto nel modo seguente: E2 – ( R2 + j X2d ) I2 – V2 = 0, di conseguenza, V2 = E2 – ( R2 + j X2d ) I2. Per meglio capire il comportamento del primario, quando al secondario è collegato un carico, bisogna tenere conto qi questi fatti: nel passaggio da vuoto a carico il flusso magnetico rimane costante; l’ipotesi che il flusso rimanga costante, comporta ammettere che, la forza magnetomotrice totale, in questo passaggio, si mantenga anch’essa costante; la forza magnetomotrice a vuoto risulta uguale a N1 I10, mentre quella a carico risulta uguale a: N1 I1 + N2 I2 . La supposta costanza della forza magnetomotrice totale comporta quindi che risulti: N1 I1 + N2 I2 = N1 I10, da cui ricavando I1, N1 I1 = N1 I10 – N2 I2, dividendo ambo i membri per N1, si deduce che, I1 = I10 – N2 / N1 I2 = I10 – I2 / Kt = I10 + I2’, dove I2’ = corrente secondaria ridotta a primario. La I2’ viene anche detta corrente di reazione primaria, ed è il “surplus” di corrente che deve essere assorbita dai morsetti del primario, per compensare la forza magnetomotrice secondaria, dovuta alla corrente I2, assorbita dal carico collegato al trasformatore. 27 Ciò è dovuto al fatto che la forza magnetomotrice totale deve risultare costante, come precedentemente indicato. Ricordando che: ( applicando Kirchoff al primario ) V1 = R1 I1 + j X1d I1 – E1, possiamo tracciare il diagramma vettoriale del trasformatore, durante il suo funzionamento a carico. Si veda il diagramma nella pagina successiva: j X1d I1 V1 R1 I1 - E1 I1 I2’ I10 Ia I E2 I2 R2 I2 E1 V2 J X2d I2 Questo è il diagramma di un trasformatore a carico. BILANCIO DELLE POTENZE Le potenze erogate dal trasformatore al carico, ( sia la potenza apparente, che attiva e reattiva ), si possono ricavare, ad esempio nota la corrente I2 del secondario, ( e assorbita dal carico ), nota la tensione V2 ai morsetti del secondario e noto il fattore di potenza o cosφ2, dalle seguenti relazioni: 28 S2 = V2 I2 = √ ( P2² + Q2² ); P2 = S2 cosφ2 = V2 I2 cosφ2; Q2 = S2 senφ2 = V2 I2 senφ2 = P2 tgφ2. Mentre la potenze assorbite dal primario sono date da: P1 = V1 I1 cosφ1= S1 cosφ1 ; Q1 = V1 I1 senφ1= S1 senφ1 ; S1 = V1 I1 = √ ( P1² + Q1² ), ed infine si ricorda che Q1 è anche esprimibile come, Q1 = P1 tgφ1. Si osserva che: la potenza attiva assorbita dal primario, si può pensare come somma delle perdite negli elementi resistivi del circuito, dalla potenza erogata al carico e dalla potenza dissipata nel ferro. In definitiva potremo scrivere: P1 = R1 I1² + R2 I2² + P2 + PFE = P2 + PCU + PFE = P2 + PCU + G0 (E1)². Per le potenze reattive vale un discorso analogo, ossia risulterà: Q1 = X1d I1² + X2d I2² + Q2 + QFE = X1d I1² + X2d I2² + Q2 + P1 tgφ1 = = X1d I1² + X2d I2² + Q2 + B0 (E1)² = Q2d + Q2 + Q0. ESERCIZIO Un trasformatore eroga al carico la potenza S2 = 500VA con tensione V2 = 25 V, e cosφ2 = 0,8, ( il carico è allora ohmico – induttivo ). Le perdite nel ferro sono pari a 15 W con cosφ0 = 0,3 ed i parametri dei due avvolgimenti valgono: R1 = 2,27 , R2 = 0,0325 , X1d = 4 e X2d = 0,0573 . Calcolare le Potenze, ( attiva, reattiva ed apparente ), assorbite dal primario, sapendo che la corrente da esso assorbita vale I1 = 2,3 A. Quantità note S2 = V2 I2 = 500 VA PFE = 15 W = P0 X1d = 4 V2 = 25 V cosφ0 = 0,3 X2d = 0,0573 I1 = 2,3 A cosφ2 = 0,8 R1 = 2,27 R2 = 0,0325 Quantità incognite con relativo calcolo per la loro determinazione I2 = S2 / V2 = 500/ 25 = senφ2 = 0,6 P2 = S2 cosφ2 = = 20 A tgφ2 = 0,75 = 500 . 0,8 = 400 W Q0 = PFE tgφ0 = senφ0 = 0,954; tgφ0 = 3,18 Q2 = P2 tgφ2 = = 15 ( 3,18 ) = 47,7 W = 400 ( 0,75 ) = 300 VAR S0 = √( P0²+Q0² ) = 50 VA PCU1= R1 I1² = PCU2= R2 I2² = PCUtot = PCU1+ PCU2 = = 2,27 ( 2,3 )² = 12 W = 0,0325 ( 20 )² = 13 W = 12 + 13 = 25 W X1d I1² = 4 ( 2,3 )² = X2d I2² = 0,0573 ( 20 )² = = Q2d = X1d I1² + X1d I1² = = 21,16 VAR 22,92 VAR 44,08 VAR Sulla base dei risultati ottenuti si determina infine che: P1 = PCU1+ PCU2 + P2 + PFE = 12 + 13 + 400 + 15 = 440 W Q1 = Q2d + Q0 + Q2 = 44,08 + 47,7 + 300 = 391,78 VAR S1 = √ ( P1² + Q1² ) = 589,14 29 cosφ1 = P1 / S1 = 440 / 589,14 = 0,747, con φ1 = 41,7° Nelle ipotesi indicate, il primario risulta soggetto alla tensione V1 ottenuta come: V1 = S1 / I1 = 589,14 / 2,3 = circa = 256,15 V ed il rapporto di trasformazione risulta circa uguale a, Kt = V1 / V2 = 256,15 / 25 = 10,246. Se ne deduce pure che: I10 = I1 – I2/ Kt = 2,3 – ( 20 / 10,246 ) = 0,348 A Conclusione, ricordando la definizione di rendimento, questo trasformatore risulta avere η = P2 / P1 = 400 / 440 = 0,9. CIRCUITO EQUIVALENTE PRIMARIO Come abbiamo visto in precedenza è possibile riportare i parametri o tutti a primario o tutti a secondario. Pertanto, è possibile ricorrere, per un trasformatore reale, o al circuito equivalente primario o al circuito equivalente secondario. Ad esempio, sfruttando la possibilità di riportare tutti i parametri del secondario al primario, è possibile ammettere il circuito equivalente primario, tenendo conto che, per riportare a primario i parametri del secondario, occorre considerare le seguenti relazioni: R2’ = resistenza secondaria ridotta a primario = Kt² R2; X2d’ = reattanza secondaria riportata a primario = Kt² X2d; essendo Kt il rapporto di trasformazione del trasformatore. Il circuito equivalente primario, per quanto detto assumerà la seguente forma: Lo schema di principio risulta essere il seguente: I1 j X1d R2’ jX2d’ R1 I Zc Ia jB0 V1 G0 OPPURE I1 R1cc j X1cc I10 Zc’ V1 Y0 30 Si osservi infine che: R1cc = R1 + R2’ = R1 + Kt² R2 ; Y0 = G0 + j B0 ; X1cc = X1d + X2d’ = X1d + Kt² X2d; Zc’ = Kt² Rc + Kt² Xc = Rc’ + j Xc’ . CIRCUITO EQUIVALENTE SECONDARIO In modo perfettamente analogo è possibile riportare tutti i parametri a secondario e realizzare il cosiddetto, circuito equivalente secondario. In questo caso bisognerà tenere conto delle seguenti relazioni: R1” = resistenza primaria ridotta a secondario = R1 / Kt² e X1d” = reattanza primaria ridotta a secondario = X1d / Kt². Il circuito equivalente, ridotto a secondario, assumerà la seguente forma: I1 I2’ I2 R2 R1” J X1d” jX2d I10 V2 Zc Y0 V1 OPPURE I1 R2cc I10 j X2cc I2 Zc Y0 V1 Si osservi pure che: V20 V2 R2cc = R2 + R1” = R2 + R1 / Kt² ; X2cc = X2d + X1” = X2d + X1d / Kt²; 31 I2 = V2 / Zc; V20 = ( R2cc + j X2cc )I2 + V2 = R2cc I2 + j X2cc I2 + V2. Si noti anche il seguente schema vettoriale: NB. V20 V2 I2 φ2 ESERCIZIO j X2cc I2 R2ccI2 In questo caso si ritiene V2 con sfasamento nullo, ossia con forma polare: V2 = V2 0° Per un trasformatore, con rapporto di trasformazione a vuoto, Kt = 20, i parametri longitudinali hanno i seguenti valori: R1 = 1,85 X1d = 3,5 R2 = 6 m X2d = 8,5 m Si calcolino le impedenze equivalenti sia a primario che a secondario ed i relativi fattori di potenza, ( cosφcc ). Per circuito equivalente PRIMARIO Noi sappiamo che: R1cc = R1 + R2’ con R2’ = Kt² R2 = ( 20 )² . 6 . 10-3 = 2,4 ed X1cc = X1d + X2d’ con X2d’ = Kt² X2d = 400 . 8,5 . 10-3 = 3,4 . In conclusione risulterà: R1cc = R1 + R2’= 1,85 + 2,4 = 4,25 X1cc = X1d + X2d’ = = 3,5 + 3,4 = 6,9 Sapendo che R1cc = Z1cc cosφ1cc si ottiene cosφ1cc = R1cc / Z1cc = = 4,25 / 8,1 = 0,525 Z1cc = √ R1cc² + X1cc² = √ ( 4,25² + 6,9² = 8,1 Per circuito equivalente SECONDARIO Noi sappiamo che: R2cc = R2 + R1” con R1” = R1 / Kt² = 1,85 / 400 = 4,63 . 10-3 ed X2cc = X2d + X1d” con X1d” = X1d / Kt² = 3,5 / 400 = 8,75 . 10-3 . In conclusione risulterà: R2cc = R2 + R1”= ( 6 + 4,63 ) m = = 10,63 m X2cc = X1d + X2d’ = 32 Z2cc = √ R2cc² + X2cc² = = ( 8,5 + 8,75 ) m = 17,25 m Sapendo che R2cc = Z2cc cosφ2cc si ottiene cosφ2cc = R2cc / Z2cc = = 10,63 / 20,26 = 0,525 Ne consegue che: √ ( 10,63² + 17,25² ) = 20,26 m φ1cc = φ2cc = cos-1 ( 0,525 ) = 58,33°. FUNZIONAMENTO IN CORTO CIRCUITO Un trasformatore funziona in corto circuito quando l’impedenza di carico si può ritenere praticamente uguale a zero. Questo tipo di funzionamento non è desiderato, ma risulta una prova a cui viene sottoposto il trasformatore reale per valutare quelli che sono indicati col nome di parametri di corto circuito; infatti la prova si dice prova in corto circuito. I parametri di corto circuito forniscono informazioni utili sul trasformatore stesso. Questo funzionamento può verificarsi nella realtà se il trasformatore è in guasto o si trova in condizioni di guasto. Lo schema di principio di questa prova è il seguente: I1cc j X1d R2 R1 jX2cc I2cc V2cc = 0 V1cc E1cc E2cc La corrente secondaria, in questo caso, aumenta notevolmente, ( anche fino a trenta volta la corrente nominale, non essendo limitata dall’impedenza di carico ). Se aumenta la corrente secondaria aumenta di conseguenza la corrente I1 richiamata dal primario; infatti rimane pressoché costante la I10, ma aumenta molto la I2’. Tenendo conto che: I1 = I10 + I2’ si deducono i seguenti grafici fi riferimento: I1 I2’ I1 I2’ 33 I10 notevolmente I2’ aumenta osserva dai grafici. A parità di I10 se aumenta altrettanto fortemente I1, come si I10 Ovviamente se questo funzionamento perdura nel tempo, il trasformatore si danneggia, a causa delle notevolissime sollecitazioni termiche ed elettrodinamiche. Ritenendo trascurabile la corrente I10, nel funzionamento di corto circuito, rispetto la I2’, nello schema grafico, del trasformatore, è possibile trascurare l’ammettenza Y0, ( peraltro nel nostro schema ciò è già stato attuato ). Le equazioni simboliche che legano le grandezze elettriche sono le seguenti: E2cc – ( R2 + j X2cc ) I2cc = 0 e ciò implica, I2cc = E2cc / ( R2 + j X2cc ) e V2cc per effetto del corto circuito si può ritenere uguale a zero. Infine, per quanto detto se ne deduce pure che: I1cc = I10 – I2cc / Kt = circa = – I2cc / Kt e V1cc = ( R1 + j X1d ) I1cc – E1cc. Il diagramma vettoriale del corto circuito assume il seguente aspetto: j X1d I1cc V1cc R1 I1cc - E1cc I1cc I2cc E2cc E1cc 34 Anche il caso del corto circuito può essere trattato o riducendo tutti i parametri a primario o a secondario, come è visibile negli schemi di pagina 35. Parametri riferiti a primario I1cc R1cc j X1cc V1 Si noti che: I1cc = V1 / Z1cc da cui I1cc = V1 / √ ( R1cc² + X1cc² ). Parametri riferiti a secondario I2cc R2cc j X2cc V20 Si noti che: I2cc = V20 / Z2cc da cui I2cc = V20 / √ ( R2cc² + X2cc² ). 35 L’esercizio precedente ci ha concesso di ricavare i parametri di corto circuito di un trasformatore. I dati sono così riassumibili: R1cc = 4,25 ; X1cc = 6,9 ; Z1cc = 8,1 ; R2cc = 10,6 m; X2cc = 17,25 m; Z2cc = 20,25 m; Si calcolino i valori delle correnti di corto circuito, nell’ipotesi che V1 = 5 kV. ( NB. Per esso è Kt = 20 ) Le formule poco superiori ci consentono di ricavare i seguenti valori, ( si veda pagina 36 ): I1cc = V1 / Z1cc = 5000 / 8,1 = 617,3 A V20 = V1 / Kt = 5000 / 20 I2cc = V20 / Z2cc = 250 / ( 20,25 . 10-3 ) = 12,4 kA = 250 V ESERCIZIO PROVA IN CORTO CIRCUITO La prova in corto circuito di un trasformatore, non è eseguita per calcolare le correnti di corto circuito a primario e a secondario, ma per determinare le correnti nominali sia del lato primario che secondario, in quanto la prova stessa è condotta applicando una tensione a primario notevolmente ridotta rispetto alla tensione nominale, ( 5 % 10% ). Proprio per questo in questa prova si indica con: V1cc la tensione di alimentazione del primario che consente la circolazione delle correnti I1n, a primario, e I2n, a secondario; stesso discorso se si alimenta il secondario con la V2cc; la potenza dissipata Pcc, nella prova in corto circuito, rappresenta la potenza assorbita dal trasformatore per compensare le perdite che si sviluppano nel rame del primario, ( PCU1 ) e nell’avvolgimento del secondario, ( PCU2 ). In altri termini, per quanto scritto risulterà: Pcc = PCU1 + PCU2 = R1 I1n² + R2 I2n². Pertanto dalla prova in corto circuito si possono ricavare i seguenti dati: Z1cc / V1cc / I1n R1cc = Pcc / I1n² X1cc = √ ( Z1cc² - R1cc²) Z2cc / V2cc / I2n R2cc = Pcc / I2n² X2cc = √ ( Z2cc² - R2cc²) cosφcc = Pcc / V1cc I1n cosφcc = Pcc / V2cc I2n ESERCIZIO Dalla prova in corto circuito di un trasformatore sono stati ricavati i seguenti valori: V1cc = 9,2 V; V2cc = 2 V; Pcc = 35 W; I1n = 6,5 A ed infine I2n = 30 A. Si calcolino i parametri di corto circuito primari e secondari ed il fattore di potenza cosφcc. Quantità note V1cc = 9,2 V I1n = 6,5 A V2cc = 2 V Pcc = 35 W I2n = 30 A Quantità incognite con relativo calcolo per la loro determinazione 36 Z1cc = V1cc / I1n = = 9,2 / 6,5 = 1,415 Z2cc = V2cc / I2n = = 2 / 30 = 0,067 cosφcc = Pcc / V1cc I1n = = 35 / ( 9,2 . 6,5 ) = = 0,585 DATI DI TARGA R1cc = Pcc / I1n² = = 35 / ( 6,5 )² = 0,828 R2cc = Pcc / I2n² = = 35 / 30² = 0,039 X1cc = √ ( Z1cc² - R1cc²) = = √ 1,415² - 0,828² = 1,147 X2cc = √ ( Z2cc² - R2cc²) = = √ 0,067² - 0,039² = 0,0545 cosφcc = Pcc / V2cc I2n = = 35 / ( 2 . 30 ) = = 0,584 circa I trasformatori, come tutte le macchine elettriche, sono contraddistinti dai dati di targa, ossia presentano una targa sulla quale viene riportato non solo il nome dl costruttore ed il numero di serie della macchina, ma tutti i valori nominali delle grandezze elettriche che la caratterizzano la macchina e per la quale il costruttore l’ha costruita. Tali valori vengono ottenuti, dal costruttore, effettuando le prove a vuoto e di corto circuito. I dati di targa più significativi sono: Potenza apparente Sn Tensione nominale primaria Tensione nominale secondaria V1n V20n Frequenza f Rapporto di Trasformazione Kt Corrente Nominale Corrente nominale secondaria I1n = Sn / V1n I2n = Sn / V20n P0% = 100 P0 / Sn P0 = P0% . Sn / 100 I0% = 100 I0 / In I0 = I0% . In / 100 cosφ0 = P0% / I0% Vcc % = 100 V1cc / V1n Vcc % = 100 . V2cc / V20n V1cc = Vcc% . V1n / 100 V2cc = Vcc% .V20n / 100 Pcc % = 100 . Pcc / Sn Pcc = Pcc % . Sn / 100 cosφcc = Pcc % / Vcc % ESERCIZIO Un trasformatore monofase ha i seguenti dati di targa: Sn = 7,5 kVA f = 50 Hz Kt = 3000 / 230 = 13 V1n = 3000 V P0% = 1,5 % Pcc % = 2,7 % V2n = 230 V I0 % = 6 % Vcc % = 4,5 % Calcolare per esso, i fattori di potenza a vuoto ed in corto circuito, le perdite nel ferro, nel rame, le tensioni di corto circuito, le correnti nominali ed i parametri trasversali, considerati sul lato primario o ad alta tensione ( V1n = 3000 V ). Quantità incognite con relativo calcolo per la loro determinazione I1n = Sn / V1n = I2n = Sn / V20n = = 7500 / 3000 = 2,5 A = 7500 / 230 = 32,6 P0 = P0% . Sn / 100 = cosφ0 = P0% / I0% = senφ0 = 0,968 = 1,5 . 7500 / 100 = = 1,5 / 6 = 0,25 = 112,5 W tgφ0 = 3,873 37 B0 = P0 tgφ0 / V1n² = = 112,5 ( 3,873 ) / ( 3000 )² = = 48,4 S G0 = P0 / V1n² = 112,5 / ( 3000 )² = 12,5 S Pcc = Pcc % . Sn / 100 = cosφcc = Pcc % / Vcc % = 2,7 . 7500 / 100 = = = 202,5 W = 2,7 / 4,5 = 0,6 V1cc = Vcc% . V1n / 100 = V2cc = Vcc% . V20n / 100 = = 4,5 . 3000 / 100 = 135 V = 4,5 . 230 / 100 = 10,35 V VARIAZIONE DI TENSIONE DA VUOTO A CARICO La tensione secondaria dipende dal carico, o più precisamente, dalla corrente I2 assorbita dal carico e dal fattore di carico secondario cosφ2. Per studiarne il comportamento è necessario, ( in realtà per motivi di comodità 9, al circuito equivalente secondario del trasformatore. Impiegando il circuito equivalente secondario è possibile dedurre il seguente diagramma vettoriale, ( sono ammesse alcune linee di costruzione ): V20 Z2cc I2 C A O φ2 V2 2 j X2cc I2 R2ccI2 B D E Dal diagramma così rappresentato è possibile ricavare le seguenti relazioni: V20² = OC² = OE² + EC² dove OE = OD + DE = V2 cosφ2 + R2cc I2 = V20 cos 2, EC = EB + BC = V2 senφ2 + X2cc I2 = V20 sen 2, tg2 = EC / OE = V20 sen 2 / V20 cos 2. Applicando il principio di Kirchoff si deduce che: V2 = V20 – ( R2cc + j X2cc ) I2 = V20 – Z2cc I2, ( col metodo simbolico si ottiene V2 ). Se non si vuole applicare il metodo simbolico e di conseguenza evitare l’uso dei numeri complessi, si può ricorrere al teorema di Pitagora; infatti V20² = ( V2 cosφ2 + R2cc I2 )² + ( V2 senφ2 + X2cc I2 )², relazione che consente di ricavare V2 o I2 o V20 a seconda delle grandezze note. Dallo stesso diagramma vettoriale se ne deduce che: 38 2 = tg-1 ( ( V2 senφ2 + X2cc I2 ) / ( V2 cosφ + R2cc I2 ) ). Si definisce, infine, variazione di tensione da vuoto a carico, la differenza tra i valori efficaci della tensione a vuoto V20 e della tensione a carico V2: V = V20 – V2 e di conseguenza, ne risulta che V20 = V2 + V. La V rappresenta la caduta di tensione interna del trasformatore, nel passaggio da vuoto a carico, e solitamente viene espressa in valore percentuale: V % = 100 V / V20 = 100 ( V20 – V2 ) / V20 = 100 ( 1 – V2 / V20 ). Un metodo veloce per determinare il valore della caduta di tensione, consiste nel calcolarla ritenendo trascurabile l’angolo = 2 – φ2. Nella maggioranza dei casi trascurando questo valore, i valori ottenuti nel calcolo della V, in quasi tutti i casi pratici, ( per carichi ohmici – induttivi ), e per fattori di potenza compresi fra 0,5 – 0,9 è ottenibile dalla seguente relazione approssimata: V = circa = I2 ( R2cc cosφ2 + X2cc senφ 2 ). Introduciamo ora la frazione di carico . Essa rappresenta il rapporto fra la corrente erogata al carico e la corrente nominale secondaria: = I2 / I2n. E’ possibile ora definire la caduta di tensione percentuale, nel passaggio da vuoto a carico come: V% = circa = ( 100 I2 ( R2cc cosφ2 + X2cc senφ 2 ) ) / V20 = = V% = ( 100 I2n / V20 ) ( R2cc cosφ2 + X2cc senφ 2 ) = = V% = ( 100 I2 / V20 ) ( ( Z2cc cosφ2cc ) cosφ2 + ( Z2cc senφ2cc ) senφ2 ) = = ( 100 I2 / V20 ) ( ( V2cc / I2n ) cosφ2 cosφ2cc ) + ( V2cc / I2n ) senφ2 senφ2cc ). Ma, noi sappiamo anche che: cosφ1cc = cosφ2cc = cosφcc, senφ1cc = senφ2cc = senφcc. In base a quanto ricordato è possibile ammettere, in definitiva che: V% = ( 100 / V20 ) ( V2cc / I2n ) I2 ( cosφcc . cosφ2 + senφcc . senφ2 ), ma tenendo presente che, = I2 / I2n e che 100 V2cc / V20 = 100 V2cc / V20n = Vcc%, se ne conclude che, V% = circa = Vcc% ( cosφcc . cosφ2 + senφcc . senφ2 ). ESERCIZIO Un trasformatore ha i seguenti dati di targa: Sn = 7,5 kVA f = 50 Hz Kt = 3000 V / 230 V P0 % = 1,5 % Pcc % = 2,7 % I0% = 6 % Vcc% = 4,5 % Se ne determini la tensione V2, quando la corrente erogata al carico, ( ohmico – induttivo ), vale I2 = 30 A a cosφ2 = 0,8. Se ne calcoli anche la caduta di tensione percentuale. Quantità incognite con relativo calcolo per la loro determinazione Kt = 3000 / 230 = 13 cosφ2 = 0,8 V2cc = Vcc% . V20n / 100 = senφ2 = 0,6 = 4,5 . 230 / 100 = 10,35 V I2n = Sn / V20n = Z2cc = V2cc / I2n = 39 = 7500 / 230 = 32,6 = I2 / I2n = 30 / 32,6 = 0,92 cosφcc = Pcc% / Vcc% = = 2,7 / 4,5 = 0,6 senφcc = 0,8 = 10,35 / 32,6 = 0,3175 R2cc = Z2cc cosφcc = = 0,3175 . 0,6 = 0,19 X2cc = Z2cc senφcc = = 0,3175 . 0,8 = 0,254 La caduta di tensione di questo trasformatore si ottiene applicando la relazione: V = circa = I2 ( R2cc cosφ2 + X2cc senφ 2 ). Pertanto, inserendo i dati si ottiene per esso: V = circa = 30 ( 0,19 . 0,8 + 0,254 . 0,6 ) = 9,132 V. Risulta ovvio che: V2 = V20 – V = 230 – 9,132 = 220,868 V. La caduta di tensione percentuale sarà allora: V % = 100 V / V20 = 100 ( 9,132 ) / 230 = 3,97 % Per questo stesso trasformatore si calcoli la tensione primaria V1, per avere una tensione secondaria V2, con corrente secondaria I2 = 32,6 e fattore di potenza pari a 0,85, ( il carico risulta ancora ohmico – induttivo ). La prima operazione da fare è quella di calcolare la V20. La V20 si può determinare applicando la seguente relazione: V20 = √ ( V2 cosφ2 + R2cc I2 )² + ( V2 senφ2 + X2cc I2 )², dove V2 = 220 V cosφ2 = 0,85 senφ2 = 0,527 I2 = I2n = 32,6 R2cc = 0,19 X2cc = 0,254 V20 = √ ( V2 cosφ2 + R2cc I2 )² + ( V2 senφ2 + X2cc I2 )² = = √( 220 . 0,85 + 0,19 . 32,6 )² + ( 220 . 0,527 + 0,254 . 32,6 )² = 229,7 V V = V20 – V2 = 229,7 – 220 = 9,7 V V % = 100 V / V20 = 100 . 9,7 / 229,7 = 4,22% , infine, sapendo che Kt = circa = 13, se ne ricava che: V1 = Kt V20 = 2996 V CARATTERISTICA ESTERNA DEL TRASFORMATORE La caratteristica volt – ampermetrica di un trasformatore o la sua caratteristica esterna, è il grafico cartesiano che rappresenta l’andamento della tensione secondaria V2 in funzione della corrente I2 erogata al carico. Nell’ipotesi che la tensione di alimentazione primaria V1 sia costante, per un determinato valore del fattore di potenza cosφ2, ( ciò implica che anche V20 è costante, ma anche φ2 è costante ), sarà allora: V2 V20 V A V1 = cost. 40 V2 I2 I2 I2n Un caso particolarmente significativo è il caso in cui φ2 = φ2cc, ossia nel caso in cui il carico ha un fattore di potenza, pari a quello intrinseco o proprio del,trasformatore, ( è il caso del corto circuito ). Ebbene in questa situazione risulterà: V2 = – Z2cc I2 + V20, la quale rappresenta nel piano cartesiano, l’equazione di una retta con coefficiente angolare – Z2cc. Tale retta è contraddistinta da due valori notevoli o di particolare importanza: a vuoto con I2 = 0 e V2 = V20; in corto circuito con I2 = I2cc e V20 = 0. V2 φ2 < 0 V20 φ2 = 0 φ2 > 0 φ2 = φ2cc I2cc I2 Caso particolarmente interessante è il caso in cui φ2 < 0, ossia per un carico ohmico – capacitivo, in cui la tensione secondaria V2 risulta superiore alla tensione a vuoto, V20, del trasformatore stesso. PERDITE E RENDIMENTO In un trasformatore, non essendoci parti in movimento, non vi sono perdite meccaniche. Ritenendo inoltre trascurabili le perdite dielettriche o negli isolanti, è possibile ammettere che: Pp = PFE + PCU = perdite nel ferro + perdite nel rame. Le perdite nel ferro, applicando la tensione nominale V1n, si possono ritenere uguali alle perdite misurate durante il funzionamento a vuoto del trasformatore, ossia: PFE = circa = P0 = G0 V1n². 41 Se al trasformatore fosse applicata una tensione diversa da quella nominale, ( a cui si riferisse la P0, allora occorre dedurre le perdite nel ferro, attraverso la seguente relazione: PFE = circa = P0 ( V1 / V1n )². Le perdite nel rame si possono, invece, ritenere uguali a: PCU = circa = Pcc = R2cc I2² = R2cc ( I2n )² = ² R2cc I2n², ma Pccn = R2cc I2n² e di conseguenza PCU = circa = ² Pccn. Il termine , come già sappiamo, rappresenta la frazione di carico con cui lavora il trasformatore. Al variare della frazione di carico e quindi, della corrente erogata I2, le perdite nel ferro rimangono costanti, mentre quelle del rame aumentano con legge parabolica, si veda il grafico di riferimento: Pfe, Pcu, Pp 0 0,5 1 Il rendimento effettivo del trasformatore si calcola con la seguente relazione: η = P2 / P1 = P2 / ( P2 + Pfe + Pcu ) = = V2 I2 cosφ2 / ( V2 I2 cosφ2 + Pfe + Pcu ). Il rendimento convenzionale può essere anche calcolato, con la relazione: η = P2 / P1 = η = P2 / ( P2 + P0 + ² Pccn ). Tenendo conto delle relazioni superiori, è possibile dedurre un grafico del rendimento η in funzione della frazione di carico . ( In sede di progetto di dimensiona il trasformatore, in modo tale da avere il massimo rendimento intorno al 70% - 80 % del carico nominale, ossia per = 0,7 – 0,8 = 1 ). η η max 42 0 0,5 1 1 Nel caso di carichi di tipo R – L, il rendimento η diminuisce al calare del fattore di potenza o del cosφ: ( si veda il grafico sotto riportato quale riferimento a quanto or ora detto ) η cosφ2 = 1 = carico puramente resistivo cosφ2 < 1 Si può anche ammettere: 1 = √ ( P0 / Pccn ), per cosφ2 = 1 o quando il carico è puramente ohmico. 0 0,5 1 1 Si conclude ricordando che il trasformatore è una macchina ad elevato rendimento; infatti i trasformatori monofasi possono avere rendimenti maggiori del 90 %, quelli trifasi si spingono fino al 99 %, ( trasformatori trifasi a grande potenza e con circuito magnetico a cristalli orientati ). ESERCIZIO Per un trasformatore monofase siano i seguenti dati di targa: Sn = 500 VA Kt = 230 / 50 P0 = 15 W Pccn = 20 W Si calcoli il suo rendimento η, quando lavora a pieno carico, con un fattore di potenza di valore 0,8 ed ipotizzando una caduta di tensione del 4% della tensione V2. Determinare anche il suo massimo rendimento ritenendo V2 costante. Ammettendo il funzionamento a pieno carico con I2 = I2n, possiamo determinare V2 e P2: V = V% V20n / 100 = V2 = V20 – V = 50 – 2 = = 4 . 50 / 100 = 2 V = 48 V Se I2 = I2n allora, I2 = Sn / V20n = P2 = V2 I2 cosφ2 = = 500 / 50 = 10 A = 48 . 10 . 0,8 = 384 W 43 Con i dati ricavati è possibile dedurre anche il rendimento a pieno carico e soddisfare alle ulteriori richieste dell’esercizio: η = P2 / ( P2 + P0 + Pccn ) = 1 = √ ( P0 / Pccn ) = = 384 / ( 384 + 15 + 20 ) = η % = 91,6 % = √ ( 15 / 20 ) = 0,866 = 384 / 419 = 0,916 cosφ2 = 1 ηMAX = P2 / ( P2 + P0 + 1 Pccn² ) = I2 = 1 I2n = 0,866 ( 10 ) = P2 = V2 I2 cosφ2 = = 415,7 / ( 415,7 + 15 +( 0,866²) 20 ) = = 48 . ( 8,66 ) . 1 = = 8,66 A = 415 / 445,7 = 0,933 = 415,7 W ηMAX % = 93,3 % Concludiamo questa parte di teoria, sul trasformatore monofase, con un esercizio dato agli allievi nella prova del 2010. ESERCIZIO Un trasformatore abbia i seguenti dati di targa: Sn = 220 kVA f = 50 Hz Kt = 4800 / 400 = 12 P0% = 1,2 % R1 = 1,95 X1d = 4,5 I0% = 8 % R2 = 8 m X2d = 12 m Pcc = 3,2 % Vcc% = 4 % cosφ2 = 0,8 ; senφ2 = 0,6 Si calcolino: 1) i parametri dell’impedenza equivalente primaria e secondaria; 2) la corrente di corto circuito primaria e secondaria, ( I1cc ed I2cc ); 3) le perdite nel ferro ed il corrispondente fattore di potenza cosφ0, le perdite nel rame, la tensione di corto circuito primaria e secondaria, ( I1cc ed I2cc ), la corrente nominale primaria e secondaria, ( I1n ed I2n ), ed infine i parametri trasversali G0 e B0; 4) la caduta di tensione V e la corrispondente caduta di tensione percentuale V% ; 5) il rendimento η. R1cc = R1 + R2’ = R2cc = R2 + R1” = I1n = Sn / V1n = -3 = 1,95 + ( 12² ) . 8 . 10 = = 220000 / 4800 = 45,83 A = 8 . 10-3 + ( 1,95 / 12²) = = 1,95 + 1,152 = 3,102 = 21,5 m X1cc = X1 + X2d’ = X2cc = X2 + X1d” = I2n = Sn / V20n = ( I2 ) = -3 = 4,5 + ( 12² ) . 12 . 10 = = 12 . 10-3 + ( 4,5 / 12²) = = 220000 / 400 = 550 A = 4,5 + 1,728 = 6,228 = 43,2 m Z1cc = √ 3,102² + 6,228² = cosφcc = R1cc / Z1cc = Z2cc = √ 21² + 43,2² = = 3,102 / 6,96 = 0,446 = 6,96 = 48,2 m φcc = 63,5° cosφ0 = P0% / I0% = P0 = P0% Sn / 100 = φ0 = 81,4° = 1,2 / 8 = 0,15 = 1,2 . 220000 / 100 = sen φ0 = 0,989 = 2640 W tg φ0 = 6,59 Q0 = P0 tg φ0 = G0 = P0 / V1n² = B0 = Q0 / V1n² = = 2640 . 6,59 = 17397,6 = 2640 / ( 4800 )² = = 17397,6 / ( 4800 )² = VAR = 114,6 S = 755,1 S V1cc = Vcc% V1n / 100 = V2cc = Vcc% V20n / 100 = V = V20n – V2 = circa = 44 = 4 . 4800 / 100 = = 192 V = 4 . 400 / 100 = 16 V Pcc = Pcc% Sn / 100 = = 220000 . 3,2 / 100 = = 7040 W I2cc = V20n / Z2cc = 400 / 48,2 . 10-3 = 8298,75 A P2 = V2 I2 cosφ2 = I1cc = V1n / Z1cc = = 4800 / 6,96 = 689,65 A V2 = V20n – V = = 400 – 23,72 = 376,28 V = ( 376,28 ) 550 ( 0,8 ) = 165563,2 W = 165,56 kW = I2 ( R2cc cosφ2 + X2cc senφ2 ) = = 550 ( 0,0215 . 0,8 + 0,0432 . 0,6 ) = = 550 ( 0,0172 + 0,02592 ) = = circa = 23,72 V V % = 100 V / V20n = = 100 . 23,72 / 400 = 5,93 % η= P2 / ( P2 + P0 + Pcc ) = in kW = = 165,56 / ( 165,56 + 2,64 + 7,04 ) = = 165,56 / 175,24 = 94,5 = η IL PARALLELO DEI TRASFORMATORI MONOFASE Il funzionamento in parallelo dei trasformatori viene adottato nel caso di un aumento notevole della potenza richiesta da un carico o da un impianto in espansione. La richiesta, durante questa fase di espansione, diviene nettamente superiore a quella che può fornire un unico trasformatore. Un’altra situazione in cui si utilizza questa soluzione è quella per garantire il servizio o meglio, la continuità del servizio, in caso di guasto di un trasformatore. Il parallelo di due macchine avviene collegando i morsetti primari alle sbarre dell’Alta Tensione e i corrispondenti morsetti secondari alle sbarre di Bassa Tensione. Utilizzeremo la seguente schematizzazione grafica: SBARRE DI ALTA TENSIONE 1.1 1.2 1.1 2.1 2.2 2.1 1.2 2.2 SBARRE DI BASSA TENSIONE Visto che i trasformatori hanno avvolgimenti di alta e di bassa tensione che possono essere avvolti nello stesso senso oppure in senso tra loro opposto, di conseguenza le forze elettromotrici indotte possono risultare tra loro in fase oppure in opposizione di 45 fase. La connessione in parallelo, allora, tra due trasformatori monofase, può avvenire a patto che si colleghino fra loro gli avvolgimenti corrispondenti delle due macchine, ossia devono avere la stessa polarità, per garantire che le tensioni secondarie siano in concordanza di fase. Le tensioni secondarie devono risultare in concordanza di fase per impedire che, nel funzionamento a vuoto, scaturiscano pericolose circolazioni di correnti. La normativa impone che gli avvolgimenti dei trasformatori monofasi, ( ma anche quelli trifasi ), siano identificati con un numero progressivo, con obbligo di marcare con 1 gli avvolgimenti di alta tensione. Se le polarità, indicate dal costruttore, vengono rispettate, una volta effettuato il parallelo, si evitano di avere elevate circolazioni di corrente tra i due trasformatori, ( si veda la figura superiore ). Per analizzare il funzionamento a vuoto di due trasformatori monofasi, collegati in parallelo si consideri la seguente figura: SBARRE DI ALTA TENSIONE I1A I1B 1.1 TR A 2.1 I2A 1.2 2.2 E2A 1.1 TR B 2.1 j XA” 1.2 2.2 E2B RB” I2B RA” ZC j XB” SBARRE DI BASSA TENSIONE Il funzionamento in parallelo dei trasformatori monofasi è garantito,anche, per evitare gravi problemi di riscaldamento degli avvolgimenti e quindi problemi di isolamento, nelle seguenti condizioni: funzionanti alla stessa frequenza; stessa tensione primaria. In queste condizioni però, la connessione in parallelo determinerà il passaggio o la circolazione di una corrente a vuoto, nelle maglie dei due circuiti secondari, dati dalla legge di OHM: IC0 = ( E2A – E2B ) / ( ZA” + ZB” ), 46 questa corrente è tanto più grande quanto più lo è la differenza fra le tensioni secondarie e quanto più piccola la differenza fra le impedenze interne delle due macchine. In questa situazione, il trasformatore con rapporto di trasformazione a vuoto minore, erogherà all’altro una potenza. Nel funzionamento a vuoto questo comporterà una dissipazione di potenza per effetto Joule che si somma a quella nel ferro. In queste ipotesi, il funzionamento dei due trasformatori in parallelo si può così semplicemente schematizzare: vedi nella pagina successiva XA” I2A XB” I2B RB” RA” E2A V2 I2 ZC E2B Se applica la legge di Ohm alle maglie del circuito superiore si desume che: E2A = V2 + ZA” I2A, E2B = V2 + ZB” I2B. Sottraendo membro a membro le due relazioni precedenti so ottiene: E2A – E2B = ZA” I2A – ZB” I2B, ma noi sappiamo che, I2 = I2A + I2B. Se combiniamo le relazioni precedenti fra loro possiamo esprimere le correnti I2A e I2B nel modo che vedremo: E2A – E2B = ZA” I2A – ZB” I2B = ZA” ( I2 – I2B ) – ZB” I2B = ZA”I2 – ( ZA” + ZB” ) I2B E2A – E2B = ZA”I2 – ( ZA” + ZB” ) I2B OPPURE E2A – E2B = ZA” I2A – ZB” I2B = ZA” I2A – ZB” ( I2 – I2A ) = ( ZA” + ZB” ) I2A – ZB” I2 E2A – E2B = ( ZA” + ZB” ) I2A – ZB” I2 47 E DI CONSEGUENZA I2B = ( – E2A + E2B + ZA”I2 ) / ( ZA” + ZB” ); I2A = ( E2A – E2B + ZB”I2 ) / ( ZA” + ZB” ). Ora ricordando che: IC0 = ( E2A – E2B ) / ( ZA” + ZB” ), le relazioni superiori possono venire scritte come: I2A = IC0 + ( ZB”I2 / ( ZA” + ZB” )); I2B = – IC0 + ( ZA”I2 / ( ZA” + ZB” )). INDICANDO CON IA = ZB”I2 / ( ZA” + ZB” ), IB = ZA”I2 / ( ZA” + ZB” ), SE NE CONCLUDE CHE le frazioni di corrente erogate dai due trasformatori al carico valgono, I2A = IC0 + IA , I2B = – IC0 + IB . Le relazioni finali mettono in evidenza che la corrente erogata, da ogni trasformatore al carico è la risultante della corrente di circolazione a vuoto IC0 con quella di carico, ( IA ed IB ), ripartita in ragione diretta alle impedenze secondarie equivalenti dei trasformatori. Si può osservare che la corrente erogata da ogni trasformatore dipende dall’impedenza equivalente dell’altro, come per la corrente che si divide su due rami in parallelo. Conclusione Nel parallelo di due trasformatori la corrente erogata al carico, da ogni trasformatore, dipende dall’impedenza secondaria dell’altro, quindi in relazione diretta con questa. Il trasformatore con maggiore impedenza interna, ( ed esso avrà una maggiore variazione di tensione nel passaggio da vuoto a carico ), erogherà la corrente minore e ciò può comportare un sovraccarico dell’altro, ossia di quello con minore impedenza interna. ESERCIZIO Due trasformatori monofase sono collegati in parallelo ed alimentati alla tensione nominale e frequenza nominale, ( 50 Hz ). I dati di targa delle due macchine sono: TRASFORMATORE A TRASFORMATORE B SA = 100 kVA SB = 50 kVA V1n = 20 kV V2n = 20 kV V20A = 500 V V20B = 490 V vccA% = 6,5 % vccB% = 3,5 % cosφccA = 0,5 cosφccB = 0,45 La corrente erogata al carico è I2 = 220 – j 180 = = 284,25- 39,29 A. Determinare la corrente di circolazione a 48 vuoto e le correnti erogate dai due trasformatori al carico. SOLUZIONE Inizialmente, procederemo alla determinazione dei parametri del circuito equivalente secondario, di entrambe le macchine. Il primo calcolo riguarda la determinazione delle correnti secondarie nominali: I2nA = SA / V20A = 100000 / 500 = I2nB = SB / V20B = 50000 / 490 = = 200 A = 102,04 A Calcoliamo di seguito, le tensioni di corto circuito, le impedenze, le resistenze e le induttanze del circuito equivalente secondario di ciascuna delle macchine: vccA = ( vccA% V20A ) / 100 = = 6,5 . 500 / 100 = 32,5 V ZA” = vccA / I2nA = = 32,5 / 200 = 0,1625 RA” = ZA” cosφccA = = 0,1625 . 0,5 = 0,08125 XA” = √ ( ZA”)² - ( RA”)² = = 0,141 φccA” = cos-1 ( 0,5) = 60° vccB = ( vccB% V20B ) / 100 = = 3,5 . 490 / 100 = 17,15 V ZB” = vccB / I2nB = = 17,15 / 102,04 = 0,1681 RB” = ZB” cosφccB = = 0,1681 . 0,45 = 0,07564 XB” = √ ( ZB”)² - ( RB”)² = = 0,150 φccB” = cos-1 ( 0,45) = 63,26° Noi sappiamo che la corrente di circolazione a vuoto si determina dalla seguente relazione: IC0 = ( E2A – E2B ) / ( ZA” + ZB” ), da cui nel nostro caso si otterrà, IC0 = ( 500 – 490 ) / ( 0,08125 + j 0,141 + 0,07564 + j 0,150 ) = = 10 / ( 0,15689 + j 0,291 ) = ( 10 0 ) / ( 0,3306 61,67 ) = 30,25 - 61,67 = = 14,355 – j 26,627 A. Le correnti erogate dai due trasformatori si ottengono, invece, attraverso le seguenti relazioni: I2A = IC0 + ( ZB”I2 / ( ZA” + ZB” )); I2B = – IC0 + ( ZA”I2 / ( ZA” + ZB” )). Conseguentemente otterremo: I2A = (14,355 – j 26,627) + ((0,168163,26) / (0,330661,67 )) . (284,25- 39,29) = = ( 14,355 – j 26,627 ) + 144,532 - 37,7 ° = = 14,355 – j 26,627 + 114,357 – j 88,385 = 128,71 – j 115 = = 172,6 - 41,78 A; I2B = (-14,355 + j 26,627) + ((0,162560) / (0,330661,67 )) . (284,25- 39,29) = (-14,355 + j 26,627) + 139,72 - 40,96 = 49 = - 14,355 + j 26,627 + 105,512 – j 91,6 = 91,16 – j 65 = = 111,96 - 35,5 A. Dai risultati ottenuti, si può osservare che il trasformatore A eroga una corrente minore della sua corrente nominale, ( 200 – 172,6 = 27,4 A in meno. Circa il 13,7 % in meno della sua corrente nominale reale ). Mentre, il trasformatore B eroga una corrente maggiore di quella nominale, ossia 111,96 – 102,04 = 9,92 A in più della sua corrente nominale reale. La corrente erogata dal trasformatore B, è dunque circa del 9% maggiore di quella nominale, pertanto esso risulta leggermente sovraccaricato. ESERCIZIO Si supponga che i dati di targa siano i seguenti: TRASFORMATORE A TRASFORMATORE B SA = 100 kVA SB = 50 kVA V1n = 20 kV V2n = 20 kV V20A = 500 V V20B = 490 V vccA% = 6,5 % vccB% = 6,5 % cosφccA = 0,5 cosφccB = 0,5 SOLUZIONE In questo caso ne risulterà: I2nA = SA / V20A = 100000 / 500 = = 200 A vccA = ( vccA% V20A ) / 100 = = 6,5 . 500 / 100 = 32,5 V ZA” = vccA / I2nA = = 32,5 / 200 = 0,1625 RA” = ZA” cosφccA = = 0,1625 . 0,5 = 0,08125 XA” = √ ( ZA”)² - ( RA”)² = = 0,141 φccA” = cos-1 ( 0,5) = 60° I2nB = SB / V20B = 50000 / 490 = = 102,04 A vccB = ( vccB% V20B ) / 100 = = 6,5 . 490 / 100 = 31,85 V ZB” = vccB / I2nB = = 31,85 / 102,04 = 0,312 RB” = ZB” cosφccB = = 0,312 . 0,5 = 0,156 XB” = √ ( ZB”)² - ( RB”)² = = 0,270 φccB” = cos-1 ( 0,5) = 60° Inoltre risulterà: IC0 = ( E2A – E2B ) / ( ZA” + ZB” ) = ( 10 0 ) / ( 0,08125 + j 0,141 + 0,156 + j 0,27 = = ( 10 0 ) / ( 0,237 + j 0,411 ) = = ( 10 0 ) / 0,474 60,03 = = 21,1 - 60,03 A = 10,54 – j 18,28 A; I2A = IC0 + ( ZB”I2 / ( ZA” + ZB” )) = ( 10,54 – j 18,28 ) + ((( 0,31260 ) / (0,474 60,03)) 284,25- 39,29 ) = (10,54 – j 18,28) + 187,1 - 39,32 = 50 = 10,54 – j 18,28 + 144,744 – j 118,56 = 155,28 – j 136,84 = = 207 - 41,39 A; I2B = = – IC0 + ( ZA”I2 / ( ZA” + ZB” )) = = (- 10,54 + j 18,28 ) + ((( 0,162560) / (0,474 60,03)) 284,25- 39,29 ) = = (- 10,54 + j 18,28 ) + 97,45 - 39,32 = = - 10,54 + j 18,28 + 75,39 – j 61,75 = 64,85 – j 43,47 = = 78,1 - 33,83 A. In questo caso il trasformatore B eroga una corrente compatibile con la sua corrente nominale, mentre il trasformatore A è lievemente sovraccaricato. Comunque, la ripartizione della corrente di carico, avviene in ragione diretta alla potenza nominale delle macchine, infatti risulta: IA = ZB”I2 / ( ZA” + ZB” ) = = ((( 0,31260 ) / (0,474 60,03)) 284,25- 39,29 ) = = 187,1 - 39,32; I2B = = ZA”I2 / ( ZA” + ZB” ) = = ((( 0,162560) / (0,474 60,03)) 284,25- 39,29 ) = = 97,45 - 39,32. Infine, si nota che: IA / IB = 187,1 / 97,45 = circa a 2, COME SA / SB = 100 / 50 = 2. Si ricordi che, il PARALLELO PERFETTO, si ottiene quando i trasformatori soddisfano le seguenti condizioni: esiste una corrispondenza tra i morsetti primari e secondari; sono costruiti per la stessa frequenza; hanno lo stesso rapporto di trasformazione a vuoto, ossia hanno la stessa tensione primaria e secondaria a vuoto; hanno la stessa tensione di corto circuito; hanno lo stesso fattore di potenza di corto circuito. 51 In queste condizioni i trasformatori, posti in parallelo, non danno luogo a correnti di circolazione a vuoto significative ed, essi si ripartiscono equamente il carico, o meglio in ragione diretta alla loro potenza nominale. Vista la non possibilità di creare, dal punto di vista costruttivo, trasformatori con caratteristiche identiche, solitamente non si pongono in parallelo trasformatori con un rapporto fra potenze nominali superiore a 3. AUTOTRASFORMATORE MONOFASE L’autotrasformatore è un particolare trasformatore, dotato di un unico avvolgimento, con il quale si ottengono il lato primario e secondario mediante una presa intermedia o più prese se si vuole modificare il rapporto di trasformazione. Per ottenere i due valori distinti della tensione si collegano i due lati in modo tale che a ciascuno di essi, corrisponda un numero diverso di spire della bobina. Anche l’autotrasformatore può essere o abbassatore di tensione o elevatore di tensione. Il caso dell’autotrasformatore abbassatore lo schema di principio è il seguente: N1 – N2 V1 N1 V2 N2 essendo N2 < N1 di conseguenza risulterà V2 < V1. Nel caso l’autotrasformatore sia elevatore di tensione lo schema di principio è, invece, il seguente: N2 – N1 V1 N2 N1 52 V2 essendo N2 > N1 di conseguenza risulterà V2 > V1. Come si osserva dallo schema, nel caso di autotrasformatore abbassatore, il primario è collegato alle spire totali dell’avvolgimento, mentre il secondario è connesso ad una sola parte di esso. Nel caso di elevatore di tensione, è il secondario che è collegato all’avvolgimento totale, mentre il primario ad una sua parte. Il vantaggio dell’autotrasformatore, è sostanzialmente legato al fatto che, esso si possa dimensionare per una potenza minore di quella che viene erogata effettivamente a secondario. Proprio per questa ragione che esso ha dimensioni più contenute, rispetto ad un trasformatore. Questo pregio è molto importante per macchine di elevata potenza. Lo svantaggio fondamentale è che i due avvolgimenti non sono separati elettricamente, a scapito della sicurezza dell’installatore. FUNZIONAMENTO A VUOTO Come per il trasformatore, durante il funzionamento a vuoto, il lato primario dell’autotrasformatore assorbe la corrente a vuoto I10. In particolare, nel nucleo si genera il flusso magnetico e vengono indotte le tensioni V1 = E1 e V20 = E2. Inoltre, la potenza assorbita dalla macchina è all’incirca uguale alle perdite nel ferro. FUNZIONAMENTO A CARICO In questa situazione, il primario viene alimentato alla tensione V1, mentre il secondario è chiuso sul carico, che alimenterà alla tensione V2 e corrente I2. La corrente I2 è dunque la corrente erogata al carico. Gli schemi di principio di questo funzionamento, sia nel caso di autotrasformatore abbassatore che elevatore, sono rappresentati qui di seguito: I1 I2 N1 – N2 Zc V1 N1 V2 I N2 53 I1 N2 – N1 I2 Zc V1 N2 V2 I N1 Per ricavare le espressioni delle correnti si deve partire dall’ipotesi che sia nulla la forza magnetomotrice totale, ossia N1 I1 + N2 I2 = 0. ( Tale ipotesi deve anche ammettere che sia trascurabile la f.m.m a vuoto N1 I10 ). Considerando solo il caso dell’autotrasformatore elevatore di tensione, la forza magnetomotrice totale è la somma vettoriale tra quella sviluppata dalle N1 spire percorse dalla corrente I e quella prodotta dalle N2 – N1 spire percorse dalla corrente I2, da cui si otterrà: N1 I – ( N2 – N1 ) I2 = 0, N1 I = ( N2 – N1 ) I2, da ciò, I = ( N2 – N1 ) I2 / N1 = ( 1 / Kt – 1 ) I2. In conclusione si desume che: I = ( 1 / Kt – 1 ) I2, dove il fattore ( 1 / Kt – 1 ) è positivo essendo Kt < 1. Inoltre, l’espressione superiore mostra che la corrente I, circolante nelle N1 spire è in fase con la corrente I2. Infine, la corrente I1 assorbita dalla macchina, tenendo conto dei versi indicati nella figura della pagina precedente, è data da: I1 = I + I2 = I2 / Kt – I2 + I2 = I2 / Kt, la corrente primaria risulta allora in fase con la corrente secondaria I2 e tra l’altro il rapporto I2 / I1 = Kt come nel caso dei trasformatori. POTENZE APPARENTI Ammettendo solo il funzionamento di elevatore, ( comunque le conclusioni sono analoghe anche nel caso di funzionamento di abbassatore ), la potenza apparente erogata al carico, detta Potenza passante, si esprime come: S2 = V2 I2, mentre la potenza apparente dell’avvolgimento primario, costituito dalle N1 spire soggette alla tensione V1 e percorse dalla corrente I, è invece, S1d = V1 I = Kt V2 I = Kt V2 ( 1 / Kt – 1 ) I2 = Kt V2 I2 / Kt – Kt V2 I2 = = V2 I2 – Kt V2 I2 = ( 1 – Kt ) V2 I2 = ( 1 – Kt ) S2. La potenza apparente dell’avvolgimento secondario, si calcola come prodotto della tensione V2 – V1 per la corrente I2, pertanto ne risulta che: S2d = ( V2 – V1 ) I2 = ( V2 – Kt V2 ) I2 = ( 1 – Kt ) V2 I2 = ( 1 – Kt ) S2. 54 In definitiva, le potenze apparenti dei due lati della macchina sono uguali e perciò si può scrivere che Sd = S2 ( 1 – Kt ), dove la potenza Sd rappresenta la potenza apparente di dimensionamento dell’autotrasformatore ed è evidente che essa risulta minore di quella nominale. Ciò comporta una riduzione delle dimensioni della macchina rispetto ad un trasformatore tradizionale. Il vantaggio di questa riduzione risulta tanto più evidente quanto più Kt si avvicina al valore 1; infatti per Kt = 1 risulterebbe Sd = 0 e ciò comporterebbe un trasferimento di potenza diretto fra primario e secondario senza interessare l’avvolgimento. Nel caso dell’autotrasformatore abbassatore procedendo in modo perfettamente analogo, si arriva alle seguenti relazioni, ( dove in questo caso Kt > 1 ): I = ( Kt – 1 )I1; I2 = Kt I1; Sd = S2 ( 1 – 1 / Kt ). ESERCIZIO Per collegare due fasi di un sistema trifase con V1 = 400 V ad un carico elettrico funzionante con tensione V2 = 230 V, si impiega un autotrasformatore monofase. Si calcoli la potenza apparente di dimensionamento della macchina e la corrente erogata ad un carico di potenza P2 = 800W con fattore di potenza 0,8, la corrente primaria e la corrente I nelle spire secondarie. Le formule richieste per la soluzione sono le seguenti: I = ( Kt – 1 )I1; I2 = Kt I1; Sd = S2 ( 1 – 1 / Kt ). Kt = V1 / V2 = = 400 / 230 = 1,739 P2 = V2 I2 cosφ2, da cui V2 I2 = S2 = P2 / cosφ2 = = 800 / 0,8 = 1000 VA I2 = S2 / V2 = 1000 / 230 = = circa = 4,35 A I1 = I2 / Kt = 4,35 / 1,739 = = 2,5 A Sd = S2 ( 1 – 1 / Kt ) = = 1000 ( 1 – 1 / 1,739 ) = = 1000 ( 1 – 0,575 ) = = 425 VA I = ( Kt – 1 )I1 = = ( 1,739 – 1 ) ( 2,5 ) = = circa = 1,85 A TRASFORMATORE TRIFASE I trasformatori trifasi vengono utilizzati per collegare due sistemi elettrici a tensioni distinte. Al secondario di questo trasformatore può essere semplicemente collegato un carico trifase, o con collegamento triangolo o con collegamento a stella. Questi stessi trasformatori sono molto impiegati per la trasmissione e la distribuzione dell’energia elettrica. Il principio di funzionamento di queste macchine è perfettamente analogo a quello dei trasformatori monofasi, ma queste macchine hanno anche caratteristiche proprie od esclusive. TIPI DI COLLEGAMENTO 55 Il modo più semplice, dal punto di vista teorico, per ottenere un trasformatore trifase, è quello di collegare opportunamente tre unità monofasi. Il modo opportuno di collegamento, detto poco sopra, equivale a dire che le tre unità devono alla fine costituire un sistema trifase. Gli schemi di principio che mostrerò, mettono in luce due condizioni importanti, ossia il collegamento non prevede il neutro oppure prevede il neutro. Ovviamente, dal punto di vista pratico, il trasformatore trifase è una macchina unica, con un unico nucleo magnetico e sei avvolgimenti,: tre per sul lato di Bassa Tensione e tre per il lato di Alta Tensione. Nei due lati gli avvolgimenti possono poi essere collegati a stella o a triangolo. Adesso mostriamo gli schemi di principio sopra indicati: ( vedi nella pagina successiva ) TR1 TR2 TR3 56 Il collegamento è privo di neutro ed è il collegamento triangolo – triangolo TR1 TR2 Centro stella TR3 In 57 Collegamento triangolo – stella con neutro Come si osserva dalle figure precedenti, nel collegamento a stella le tre bobine del lato secondario sono collegati ad un estremo comune, ( morsetto nero di figura precedente ), ossia al cosiddetto centro stella. In questo caso è possibile avere due valori di tensione , cioè la tensione di fase e la tensione concatenata. Nella connessione a triangolo le tre bobine del lato sia primario che secondario sono chiuse assieme, in modo tale da costituire un circuito chiuso. Normalmente il collegamento a stella si indica con i seguenti simboli: Y se il collegamento a stella è a primario, y se il collegamento a stella è a secondario. Mentre per il collegamento a triangolo si utilizzano i seguenti simboli: se il collegamento a triangolo è a primario, se il collegamento a triangolo è a secondario. Per il trasformatore trifase esiste un altro tipo di collegamento detto a zig – zag , con simbolo Z se tale avvolgimento è a primario e z se l’avvolgimento in questione è a secondario. Comunque, i trasformatori trifasi impiegati nella tecnica e nell’industria possono avere i seguenti collegamenti: Y – y ; - oppure D – d ; - y oppure D – y ; Y - oppure Y – d ; Y – z . Visto che gli avvolgimenti devono costituire un sistema trifase, senza ombra di dubbio, possiamo ammettere che le tensioni primarie e secondarie devono definire una terna simmetrica, in cui le tensioni di ogni fase hanno valori uguali e devono risultare ordinatamente sfasate di 120°. Si ricorda che dallo studi dei sistemi trifasi si è visto che: per il collegamento a stella, le tensioni tra ogni coppia di morsetti, si dicono tensioni concatenate, il cui valore in modulo E = (√ 3) V, con V tensione di fase; per il collegamento a triangolo le tensioni fra i morsetti sono coincidenti con le tensioni di ogni singola fase, ossia in modulo E = V. Si osserva, infine, che anche le tensioni concatenate costituiscono una terna simmetrica. 58 RAPPORTO DI TRASFORMAZIONE Anche per il trasformatore trifase viene definito, in modo perfettamente analogo a quello monofase, il rapporto di trasformazione o il rapporto spire N1 / N2: Kt = N1 / N2 = E1 / E2. In realtà, per i trasformatori trifasi il rapporto di trasformazione Kt dipende dal tipo di collegamento impiegato per gli avvolgimenti primari e secondari, pertanto sarà: Y – y : K0 = V1n / V20n = (√ 3) E1 / (√ 3) E2 = N1 / N2 = Kt, K0 = Kt ; D – d : K0 = E1 / E2 = N1 / N2 = V1n / V20n = Kt , K0 = Kt ; Y – d : K0 = V1n / V20n = (√ 3) E1 / E2 = (√ 3) N1 / N2 = (√ 3) Kt, ossia sarà, K0 = (√ 3) Kt ; D – y : K0 = V1n / V20n = E1 / (√ 3) E2 = ( 1 / √ 3 ) N1 / N2 = Kt / √ 3, ossia sarà K0 = Kt / √ 3 ; Y – z : K0 = V1n / V20n = (√ 3) E1 / ((√ 3 / 2 ) (√ 3) E2 = ( 2 / √ 3 ) Kt, ossia sarà K0 = ( 2 / √ 3 ) Kt. CIRCUITI EQUIVALENTI Lo studio dei trasformatori trifasi può avvenire adottando i circuiti equivalenti derivanti dal trasformatore monofase. Le regole, per trasferire i parametri, comunque, sono le stesse di quelle viste nel caso monofase. Nell’ipotesi di considerare un trasformatore trifase con collegamento stella – stella, ossia, Y – y, i circuiti equivalenti risultano i seguenti: ( in modo perfettamente analogo si ottengono le altre situazioni di collegamento ) A j X1cc R1cc a I1 I2’ I2 C E1 I10 j X1cc E2 A R R1cc b I B C j X1cc O R1cc c C Y0 Y0 Y0 59 Questo è il circuito equivalente di un trasformatore trifase ridotto a primario Nella pagina successiva introdurremo l’altro circuito equivalente. A j X2cc R2cc I1 I2’ E1 I10 a I2 E2 R2cc j X2cc b B R2cc j X2cc C A R I C O c C Y0 Y0 Y0 Questo schema rappresenta il circuito equivalente, di un trasformatore trifase, ridotto a secondario Affinché ci sia equivalenza è necessario rispettare le seguenti condizioni: Le tensione del trasformatore monofase, essendo le tensioni di fase, dovranno essere pari a E / (√ 3), essendo la E la corrispondente tensione concatenata; Le potenze del trasformatore monofase, essendo relative ad una sola fase, dovranno essere pari a P / 3, essendo P la corrispondenza potenza trifase; Il rapporto di trasformazione del trasformatore monofase dovrà essere uguale a quello del trasformatore trifase. E’ bene tenere presente che i valori percentuali, ossia, P0%, I0%, Vcc%, Pcc% ed il cosφcc rimangono uguali per entrambi. 60 Consideriamo i seguenti esercizi: Sia dato un trasformatore trifase con collegamento stella – stella e con K0 = 20. Si calcoli il valore che dovrebbe avere Kt per avere, nelle diverse configurazioni, lo stesso rapporto di trasformazione a vuoto. In questo caso bisogna tenere conto che nelle diverse configurazioni si ha che: Y – y : K0 = Kt che nel caso in oggetto vale 20; D – d : K0 = Kt = 20; Y – d : K0 = (√ 3) Kt che implica Kt = K0 / (√ 3) = 20 / √ 3 = 11,55; D – y : K0 = Kt / √ 3 da cui Kt = (√ 3) K0 = 20 (√ 3) = 34,64; Y – z : K0 = ( 2 / √ 3 ) Kt da cui ne segue, Kt = (√ 3) K0 / 2 = 20 (√ 3) / 2 = 17,32. Calcolare le caratteristiche del trasformatore monofase equivalente ad un trasformatore trifase avente i seguenti dati di targa: Sn = 63 kVA K0 = 6000 / 400 = 15 Pccn = 1200 W P0 = 225 W Vcc% = 4 % I0% = 1,8 % Per quanto detto poco sopra dovrà risultare: Sn’ = 63 / 3 kVA = P0’ = P0 / 3 = 225 / 3 = Pccn’ = Pccn / 3 = = 21 kVA = 75 W 1200 / 3 = 400 W V1n’ = V1n / (√ 3) = I0’ % = I0% = 1,8 % Vcc’ % = Vcc% = 4 % = 6000 / (√ 3) = 3464,1 V Ricordiamo, che in un V20n’ = V20n / (√ 3) = K0’ = V1n’ / V20n’ = sistema trifase, risulta : = 400 / (√ 3) = 230,94 V = 3464,1 / 230,94 = 15, ossia Sn = (√ 3) V1n I1n K0 = K0’ I0 = ( I0% ) I1n / 100 = I0’ = (I0’ %) I1n’ / 100 = = ( I0% / 100) Sn / √ 3 V1n = = ( I0’ % / 100) Sn / V1n = = (0,018) 63 / ( 6 . √ 3 ) = = ( 18 . 21 ) / 3464,1 = = 0,109 A = 0,109 A POTENZE, PERDITE E RENDIMENTO Per un trasformatore trifase, funzionante in regime sinusoidale simmetrico ed equilibrato, le potenze erogate al carico sono espresse dalle relazioni seguenti: S2 = (√ 3) V2 I2; P2 = (√ 3) V2 I2 cosφ2 = S2 cosφ2, Q2 = (√ 3) V2 I2 senφ2 = S2 senφ2, dove V2 è la tensione applicata al carico, I2 è la corrente di linea di una fase e φ2 è l’angolo di sfasamento del carico. Le potenze assorbite dal primario del trasformatore sono espresse da: S1 = (√ 3) V1 I1; 61 P1 = (√ 3) V1 I1 cosφ1 = S1 cosφ1, Q1 = (√ 3) V1 I1 senφ1 = S1 senφ1, dove la V1 è la tensione di alimentazione di una fase del primario, I1 è la corrente di linea assorbita da una fase del trasformatore e φ1 è l’angolo di sfasamento sul lato primario. Relativamente alle sole potenze attive potremo scrivere che: Potenza assorbita a primario = = potenza assorbita dal carico + potenza persa nel ferro + potenza persa nel rame = P1 = P2 + Pfe + Pcu. Le perdite nel ferro, come nel caso del trasformatore monofase, si possono ritenere uguali alla potenza assorbita dal trasformatore stesso, durante il funzionamento a vuoto, con tensione pari a quella nominale, ossia: P0 = circa = Pfe = (√ 3) V1 I10 cosφ0, e si può anche osservare che, P0 = 3 G0 ( E1 / √ 3 )² = G0 E1² = G0 V1², essendo trascurabili le perdite nei parametri trasversali durante il funzionamento a vuoto. Le perdite nel rame con correnti pari a quelle nominali si possono ritenere uguali alla potenza di corto circuito nominale: Pcu = circa = Pccn = (√ 3) V1cc I1n cosφcc, nell’ipotesi di chiudere il secondario in corto circuito, ( come nel caso del trasformatore monofase ). Tenendo conto che in questo caso stiamo facendo riferimento ad un trasformatore trifase, si può ammettere che la potenza di corto circuito nominale corrisponda al triplo della perdita di una singola fase, in altri termini sarà: Pccn = 3 R1cc I1n² oppure, Pccn = 3 R2cc I2n². Inoltre, le tensioni di corto circuito E1cc e E2cc, essendo tensioni concatenate, saranno esprimibili come: E1cc = (√ 3) Z1cc I1n e E2cc = (√ 3) Z2cc I2n. Infine, per il calcolo del rendimento η del trasformatore trifase, varranno le stesse relazioni viste per il trasformatore trifase: η = P2 / ( P2 + P0 + ² Pccn ) = = ( √ 3 V2 I2 cosφ2 ) / ( √ 3 V2 I2 cosφ2 + P0 + ² Pccn ). ESERCIZIO Si calcoli il rendimento e la potenza assorbita dal primario di un trasformatore trifase, sapendo che: V2 = 400 V P0 = 200 W = 0,85 I2n = 72 A cos φ2 = 0,8 Pccn = 1100 W Applicando le relazioni appena indicate si ottiene: Q2 = √ 3 V2 I2 senφ2 = Sapendo che, = I2 / I2n si P2 = √ 3 V2 I2 cosφ2 = = √ 3 . 400 . 61,2 . 0,8 = = √ 3 . 400 . 61,2 . 0,6 = ottiene I2 = I2n = = 33920,5 W = 25440,4 VAR = 0,85 ( 72 ) = 61,2 A 62 Pcu = ² Pccn = = (0,85)² . 1100 = 794,75 W S2 = √ ( P2² + Q2² ) = = 42400,64 VA In definitiva η vale: η = 33920,5 / ( 33920,5 + 200 + 794,75 ) = 0,9715 Visto che η = P2 / P1 si Ma è anche vero che: ottiene anche P1 = P2 / η = P1 = P2 + P0 + ² Pccn = P1 = 33920,5 / 0,9715 = = 33920,5 + 200 + 794,75 = = circa = 34915 W = circa = 34915 W VARIAZIONE DI TENSIONE DA VUOTO A CARICO Nel caso dei trasformatori trifasi, la caduta di tensione industriale riferita ai valori concatenati, si esprime calcola utilizzando la seguente relazione: E = √ 3 V = √ 3 I2 ( R2cc cosφ2 + X2cc senφ2 ). ESERCIZIO Determinare la caduta di tensione, ( c.d.t ), per un trasformatore Avente Sn = 160 kVA, K0 = Kt = 15/ 0,4, ( entrambe le tensioni sono espresse in kV ), Vcc% = 4, Pccn = 2350 W, funzionante a pieno carico con cosφ = 0,9. Per risolvere l’esercizio risulta necessario ricavare i seguenti valori: I2n poiché il trasformatore lavora a pieno carico, quindi con corrente erogata al carico uguale alla corrente secondaria nominale, la resistenza R2cc e la X2cc. In questo caso la c.d.t si calcola con la relazione: E = √ 3 V = √ 3 I2n ( R2cc cosφ2 + X2cc senφ2 ). I2n = Sn / (√ 3 V20n ) = = 160000 / (√ 3 . 400 ) = = 230,94 A V2cc = Vcc% . V20n / 100 = = 4 . 400 / 100 = 16 V Z2cc = V2cc / (√ 3 . I2n ) = = 16 / (√ 3 . 230,94 ) = = 0, 04 R2cc = Pccn / (I2n)² = = 2350 / 3 . (230,94)² = = circa = 0,0147 X2cc = √Z2cc² - R2cc² = = √ 0.04² - 0,0147² = = 0,0372 φ =cos-1 ( 0,9 ) = 25,84 ° senφ = sen25,84 = 0,436 In definitiva si ottiene che: c.d.t = V = (√ 3) . ( 230,94 ) ( 0,0147 . 0,9 + 0,0372 . 0,436 ) = circa = 11,78 V, da cui si ricava che, V% = 100 . V / V20n = 100 . 11,78 / 400 = 2,945 %. DATI DI TARGA DEL TRASFORMATORE TRIFASE Nel caso del trasformatore trifase i dati di targa visti per il trasformatore monofase valgono anche in questo caso, con le seguenti variazioni: potenza apparente nominale Sn = √ 3 V20n I2n; 63 correnti nominali I1n = Sn / √ 3 V1n ; I2n = Sn / √ 3 V20n Si ricorda che per la potenza e la tensione di corto circuito valgono le relazioni già introdotte, Pccn = 3 R1cc I1n² oppure, Pccn = 3 R2cc I2n², mentre per le tensioni di corto circuito le relazioni introdotte sono, V1cc = (√ 3) Z1cc I1n e V2cc = (√ 3) Z2cc I2n. Per quanto riguarda la potenza a vuoto0 vale la formula seguente: P0 = circa = Pfe = (√ 3) V1 I10 cosφ0. Un dato di targa tipico del trasformatore trifase è l’indicazione del tipo e del gruppo di collegamento. Il collegamento con cui si realizzano i due avvolgimenti vengono indicati con una coppia di lettere: la lettera maiuscola riguarda la tipologia dell’avvolgimento primario, mentre la lettera minuscola riguarda la tipologia dell’avvolgimento secondario. A questa coppia di lettere viene aggiunto un numero, che indica il gruppo di appartenenza o il gruppo di collegamento del trasformatore. Il gruppo di collegamento di un trasformatore trifase viene così definito: il numero che moltiplicato per 30°, fornisce l’angolo di sfasamento in ritardo della tensione di fase del lato BT, rispetto alla corrispondente tensione di fase del lato AT. Secondo le norme CEI i gruppi di collegamento dei trasformatori sono 4, il gruppo 0 a cui corrisponde lo sfasamento nullo; il gruppo 5 a cui corrisponde lo sfasamento di 150°; il gruppo 6 a cui corrisponde lo sfasamento di 180°; il gruppo 11 a cui corrisponde lo sfasamento di 330°. Dallo schema sotto riportato si può notare che il gruppo corrisponde alla lettura dell’ora di un orologio analogico, ossia: Gruppo 0 Gruppo 5 Gruppo 6 64 Gruppo 11 Il gruppo di collegamento dei trasformatori trifasi è importante per il loro funzionamento in parallelo, ossia il parallelo fra due trasformatori trifasi si può eseguire a patto che i due trasformatori appartengano allo stesso gruppo, per evitare di collegare fra loro punti a tensione distinta. AUTOTRASFORMATORE TRIFASE L’autotrasformatore trifase funziona sullo stesso principio dell’autotrasformatore monofase, visto precedentemente. L’impiego dell’autotrasformatore trifase è nel campo delle elevate potenze, con un ordine di grandezza pari alle centinaia di megavoltampere. Anche in questo caso, è possibile sfruttare la riduzione della potenza di dimensionamento rispetto a quella passante. Il collegamento normalmente utilizzato è quello a stella, poiché consente la connessione a terra del centro stella, per ragioni di sicurezza. Lo schema di principio è qui di seguito rappresentato: V1 A B C V1f V2f O 65 V2 a b c n LE MACCHINE ASINCRONE In questo caso si parla di macchine rotanti; infatti la parte rotorica ruota attorno al suo asse centrale. In poche parole, le macchine rotanti sono costituite da una parte fissa detta statore e da una parte rotante detta rotore o indotto. Proprio per questa ragione, iniziamo con introdurre alcune nozioni fondamentali del moto rotatorio. Per comodità ipotizziamo che il corpo, che esegue un moto rotatorio, attorno al suo asse, sia un cilindro. In questo caso tutti i punti del corpo rigido, durante la rotazione, compiono una circonferenza di raggio r, con raggio massimo per i punti appartenenti alla superficie esterna ed il raggio decresce con l’avvicinarsi dei punti all’asse di rotazione. I punti appartenenti all’asse di rotazione, non eseguono alcun movimento. F F b B con b = braccio di leva Asse di rotazione Se durante l’intervallo di tempo t, un qualsiasi punto, non appartenente all’asse di rotazione, si sposta di un angolo , si può introdurre il concetto di velocità angolare, dove per velocità angolare , si intende il rapporto seguente: 66 = / t, dove nel S. I si misura in rad / s. In altri termini la velocità angolare ha le dimensioni di una frequenza. Inoltre, se la velocità angolare varia nel tempo, ossia la quantità = / t = ² () / t² si dice accelerazione angolare. L’accelerazione angolare si misura in rad /s². La velocità angolare è legata alla velocità lineare periferica dalla relazione seguente: v = r, dove da quest’ultima relazione si deduce che i punti appartenenti alla periferia dell’asse di rotazione viaggiano con una velocità lineare più elevata, poiché devono percorrere circonferenze più lunghe. Si ricordi che dal moto circolare uniforme, si può dedurre che: v = velocità = spazio / tempo = ( se il raggio della circonferenza vale r ) = = perimetro della circonferenza / periodo del moto circolare = = 2 r / T, ma 1 / T = f = frequenza, da cui si deduce, v = 2 r / T = 2 r f. Dalla relazione precedentemente ricavata, si capisce che risulta, v = 2 r f = r, ossia risulta = 2 f. Spesso nelle macchine rotanti elettriche, la velocità angolare, viene espressa in numero di giri al minuto, ed indicata con il simbolo n. Tenendo presente che 1 giro corrisponde ad un angolo giro = 360°, ossia in radianti corrisponde all’angolo 2, e ricordando che ad ogni minuto corrispondono 60 s si ha: = 2 n / 60, ciò implica che, n = 60 / 2 = circa = 9,55 . Il moto rotatorio di un corpo si ottiene applicando una coppia. La coppia è l’insieme di due forze, uguali ed opposte, ( la cui risultante è nulla ), poste ad una distanza b dal corpo. In questo caso il prodotto F b produce, il cosiddetto momento di rotazione, ossia il momento prodotto dalla coppia di forze è in grado di porre in rotazione il corpo attorno ad un asse di rotazione. Ovviamente, la coppia motrice deve essere maggiore della coppia resistente, ossia della coppia di forze che si oppone al moto di rotazione del corpo, ( è sufficiente l’attrito dell’aria circostante il corpo ). In conclusione, un corpo in rotazione con velocità angolare , è sempre soggetto ad una coppia motrice Cm ed a una coppia resistente Cr: Cm Cr Per il moto rotatorio, esiste un’ equazione, di equilibrio dinamico, detta equazione di D’Alambert, che mette in relazione la coppia motrice con la coppia resistente attraverso la relazione qui riportata: Cm = Cr + J , ossia, 67 Coppia motrice = Coppia resistente + momento di Inerzia . (acceler . angolare). La grandezza J, cioè, il momento di Inerzia rispetto all’asse di rotazione, dipende dalla caratteristiche geometriche e fisiche del corpo posto in rotazione. La quantità J , costituisce la cosiddetta coppia d’inerzia del corpo, ed essa può essere così interpretata: la coppia motrice da applicare ad un corpo per poterlo fare ruotare con accelerazione angolare , deve essere uguale alla somma tra la coppia resistente, che si oppone al moto, e la coppia d’inerzia. Si osserva infine che: = ( Cm – Cr ) / J, che si traduce ammettendo che l’accelerazione angolare risulta inversamente proporzionale al momento di inerzia J del corpo; ( è una funzione analoga a quella della massa m sull’accelerazione dei moti rettilinei ). Molto importante è il segno della , perché si ha: > 0, in altri termini il corpo accelera, la velocità angolare aumenta, pertanto Cm > Cr e la differenza Cm – Cr rappresenta la coppia accelerante; < 0, in altri termini il corpo decelera, la velocità angolare diminuisce e quindi, Cm < Cr e la differenza Cr – Cm rappresenta la coppia decelerante; se = 0, il corpo ruota con velocità angolare costante, quindi il corpo non subisce accelerazioni. In questo caso si ha equilibrio, cioè Cm = Cr. Si aggiunge infine che il momento di inerzia J, dipende dalla massa e dalle dimensioni del corpo in rotazione, ad esempio per un cilindro retto di raggio r e di massa M, uniformemente distribuita, risulta che: J = ( 1 / 2 ) M r². Da quest’ultima relazione si capisce che, a parità di massa, il momento di inerzia risulta particolarmente elevato per corpi aventi raggio molto elevato o per punti aventi massa molto lontana dall’asse di rotazione. Per le parti rotanti o per i rotori delle macchine elettriche, viene utilizzata una grandezza equivalente al momento di inerzia. Questa grandezza viene indicata col termine di GD², dove D indica il diametro di inerzia che corrisponde al doppio del raggio di inerzia R . Il raggio di inerzia R viene definito come la distanza teorica che dovrebbe avere la massa M, supposta concentrata in un punto, rispetto all’asse di rotazione, per avere lo stesso momento di inerzia J: R M La distanza R è data da: R = √ ( J / M ). 68 In definitiva, la grandezza GD² prende il nome di momento dinamico, la quale si misura in Nm², la quale risulta calcolata in funzione del peso della parte rotante G e del già citato diametro di inerzia D. Dimostriamo ora il legame fra il momento dinamico ed il momento di inerzia J: GD² = G ( 2R )² = 4 GR², ma R = √ ( J / M ) e G = M g = = GD² = 4 G J / M = 4 Mg J / M = 4 g J. In definitiva risulta che: GD² = 4 g J. Esercizio Si calcoli il momento di inerzia e quello dinamico di un rotore, di un motore elettrico, avente una massa M = 100 Kg e un raggio r = 12 cm = = 0,12 m. Considerando la relazione J = ( 1 / 2 ) M r², possiamo ricavare il corrispondente momento di inerzia della macchina: J = 0,5 . 100 . ( 0,12)2 = 0,72 Kg m². Il diametro di inerzia D corrisponde 2R, con R = √ ( J / M ) = √ ( 0,72 / 100 ) = circa = 0,0848 m, da cui il diametro di inerzia D = 2R = circa = 0,17 m. Conseguentemente si ricava che, essendo G = M g = 100 . ( 9,81 ) = 981 N, GD² = 981 . ( 0,17 )² = 28,35 Nm². Procediamo questa introduzione alle macchine rotanti, tenendo conto che, le macchine stesse sono accoppiate a dei carichi meccanici. Il movimento del sistema si svolgerà in relazione agli andamenti della coppia motrice e della coppia resistente, in diretta connessione con la velocità e agli attriti che si oppongono al moto stesso. Il grafico cartesiano che descrive l’andamento della coppia al variare della velocità è detto caratteristica meccanica. Nel caso dei motori elettrici le caratteristiche meccaniche assumono varie forme. Esempio di accoppiamento motore elettrico – carico meccanico, mediante l’utilizzo di un giunto: Le caratteristiche meccaniche dei carichi, dipendenti dal carico stesso, possono essere ricondotte a tre forme particolari: a) coppia resistente costante con la velocità: Cr è una caratteristica tipica degli apparecchi di sollevamento, ( gru, montacarichi ), in cui il peso da sollevare è costante. 69 b) Cr coppia resistente proporzionale alla velocità: si ha quando il carico è costituito da un generatore elettrico chiuso su di una resistenza costante, ( dinamo freno ). Anche la coppia resistente sviluppata, dall’attrito viscoso ha un andamento di questo tipo. c) coppia resistente proporzionale al quadrato della velocità: Cr si ha per le macchine operatrici che operano con i fluidi, ( ventilatori, pompe centrifughe, ecc. ); nel caso di veicoli in movimento soggetti a resistenza aerodinamica, ( per esempio i treni ), è comunque un caso frequente. Nel grafico, sotto riportato, rappresentiamo le caratteristiche meccaniche di un motore con coppia meccanica Cm = Ca – K1 , decrescente con la velocità. Il grafico della Cm, come si osserva, parte dal valore Ca, per = 0, e per 1 = Ca / K1 risulta Cm = 0, inoltre il carico ha una coppia resistente Cr = K2 + K3 ², ossia una coppia resistente data dalla somma di un termine costante e di uno crescente con il quadrato della velocità angolare . C Cr Ca P In P si ha equilibrio meccanico Cm > Cr Cm < Cr stabile. P 1 Osservando il grafico si possono effettuare le seguenti osservazioni: all’avviamento, ossia per = 0, si ha la massima accelerazione, essendo massima la differenza Cm – Cr, inoltre la velocità del sistema aumenta con il diminuire dell’accelerazione, dato che diminuisce la coppia accelerante; nel punto P, alla velocità P, si ha l’equilibrio delle coppie, ossia Cm = Cr, e la velocità del motore resta costante. In questo caso si ottiene la seguente relazione, Ca – K1 P = K2 + K3 P², da cui si può ricavare la velocità. Inoltre, nel punto P il sistema è in equilibrio stabile, infatti se si verifica un piccolo spostamento rispetto a P, il sistema reagisce ripristinando l’equilibrio. Nell’intorno del punto P si rileva che o Cm > Cr a sinistra di P, oppure, Cm < Cr a destra di P, ed in queste situazioni l’equilibrio è instabile. 70 RELAZIONE TRA COPPIA E POTENZA L’applicazione di una coppia C ad un corpo rotante con velocità angolare costante , produce un lavoro meccanico che, nel tempo t, durante il quale si ha uno spostamento angolare , è pari a L = C . Pertanto si sviluppa una potenza data da: P = L / t = C / t = C , essendo il rapporto / t la velocità angolare. In definitiva la relazione che lega la potenza alla velocità angolare è: P = C . Esprimendo ora in funzione dei numeri di giri della macchina o della parte rotante, si ha che: P = 2 n C / 60, da cui si ricava, C = ( 60 / 2 ) ( P / n ) = 9,55 ( P / n ). Le relazioni precedenti mettono in luce che, a parità di coppia la potenza aumenta con la velocità angolare, mentre a parità di potenza la coppia diminuisce all’aumentare della velocità angolare. ASPETTI COSTRUTTIVI DELLA MACCHINA ASINCRONA La struttura di una macchina asincrona dipende da numerosi fattori. I principali fattori che possono influenzare le caratteristiche della macchina asincrona sono: la potenza, ( e questa influenza anche le dimensioni della macchina stessa ), la tensione di funzionamento, il sistema di raffreddamento, il collegamento meccanico con il carico, ( ad esempio con asse orizzontale, verticale, con un giunto, con un riduttore, ecc. ), il grado di protezione nei riguardi degli agenti esterni sia solidi che liquidi. Le parti costituenti di una macchina asincrona possono essere così schematizzate: cassa statorica, avente la funzione di contenere le parti interne della macchina, proteggerla dagli agenti esterni, permetterne il fissaggio, ecc.; morsettiera, per il collegamento al circuito esterno e a cui fanno capo le tre fasi dell’avvolgimento statorico; targhetta d’identificazione, sulla quale vengono riportati i dati forniti dal costruttore; circuito magnetico statorico, in cui si sviluppa il campo magnetico dello statore, ossia della parte fissa della macchina; circuito magnetico rotorico, che costituisce la parte mobile della macchina. La parte rotorica è accoppiata con l’albero della macchina. Inoltre, tale parte è separata dallo statore mediante uno strato d’aria, detto traferro. In tale parte si sviluppa il campo magnetico di indotto; avvolgimento rotorico, è l’avvolgimento realizzato all’interno della parte rotante, detto anche avvolgimento di indotto, in cui si sviluppa la coppia motrice della macchina; albero meccanico, per il collegamento col carico; ventola di raffreddamento, avente la funzione di autoventilare la macchina. MACCHINA ASINCRONA TRIFASE 71 La macchina asincrona trifase viene prevalentemente impiegata come motore, ma può funzionare anche come generatore. IL CAMPO MAGNETICO TRIFASE Il funzionamento del motore asincrono si fonda sul campo magnetico rotante, scoperto da Galileo Ferraris. Per ottenere un campo magnetico trifase rotante devono essere soddisfatte due condizioni: devono esservi tre avvolgimenti fissi nello spazio, uguali fra loro, con lo stesso numero di avvolgimenti e disposti secondo tre assi sfasati di 120°; nei tre avvolgimenti, così disposti, circolino tre correnti magnetizzanti alternate sinusoidali, aventi la stessa frequenza, lo stesso valore efficace e sfasate fra loro di 120° nel tempo. Costituiscono così una terna simmetrica ed equilibrata. Consideriamo, i tre avvolgimenti, ( costituiti ciascuno da N spire di rame ), su indicati, disposti su tre assi sfasati reciprocamente di 120°. Siano tali avvolgimenti interessati ad una terna simmetrica ed equilibrata di correnti, ( = tutte tre le correnti sono sinusoidali, isofrequenziali e sfasate di 120° ). Tale situazione può essere così schematizzata: r1 I1 1 Schema della distribuzione spaziale di 3 bobine a 120°. Le 3 bobine sono percorse da una terna equilibrata di correnti Im N I3 O + 2/3 I1 N N I3 I2 - 2/3 Re I2 3 2 r3 r2 Se la corrente I1 è presa come riferimento si deduce che le tre correnti sinusoidali sono, rispettivamente: i1 = IM sen ( t ) i2 = IM sen ( t – 2/3 ) i3 = IM sen ( t + 2/3 ). 72 Ogni bobina crea una forza magnetomotrice, espressa come F.m.m = Ni e perciò si avranno tre forze magnetomotrice sinusoidali, con lo stesso valore massimo FmM = NIM, in fase con le rispettive correnti e sfasate fra loro di 120° nel tempo: Fm1 = Ni1 = N IM sen ( t ) = FmM sen ( t ); Fm2 = Ni2 = N IM sen ( t – 2/3 ) = FmM sen ( t – 2/3 ); Fm3 = Ni3 = N IM sen ( t + 2/3 ) = FmM sen ( t + 2/3 ). Ogni forza magnetomotrice agirà nello spazio, secondo la direzione della bobina, ( vedi assi r1, r2 ed r3 ), che la produce e con il verso dipendente dal segno della f.m.m nell’istante considerato. Il campo magnetico che si sviluppa dipende dalla f.m.m TOTALE, che si ha istante dopo istante. Facciamo alcuni esempi, in istanti opportuni e verifichiamo il valore della f.m.m totale. Assumiamo per esempio l’istante t1 = 0, di conseguenza t1 = 0 e le tre f.m.m sono uguali rispettivamente a: Fm1 = 0; Fm2 = FmM sen ( - 2/3 ) = - ( √3 / 2) FmM; Fm3 = FmM sen ( 2/3 ) = ( √3 / 2) FmM . In questo modo la risultante vettoriale FmT si può dedurre dalla seguente composizione: r1 Fm2 = - ( √3 / 2) FmM FmT r3 Fm3 = ( √3 / 2) FmM r2 In definitiva, FmT è la somma vettoriale dei due vettori Fm2 ed Fm3, il cui modulo vale: FmT = 2 (( √3 / 2) FmM ) cos30° = 2 (( √3 / 2) FmM ) (√3 / 2) = 3/2 FmM. Consideriamo l’istante di tempo t2 tale che t2 = / 6, ( ovviamente deve risultare t2 = / 6 ), in questa situazione ne risulta che: Fm1 = FmM sen ( /6 ) = FmM / 2; Fm2 = FmM sen ( /6 – 2/3 ) = FmM sen ( - / 2 ) = - FmM ; Fm3 = FmM sen (/6 + 2/3 ) = FmM sen (5/6 ) = FmM / 2 . FmT r1 S Fm2 H Fm1 73 O Fm3 r3 r2 Si può verificare che la somma dei due vettori Fm1 ed Fm3, dà luogo ad un vettore risultante con modulo FmS = Fm1 = Fm3 = FmM / 2, ( basta osservare che il triangolo HOS è equilatero ) e perciò la somma dei tre vettori costituisce una forza magnetomotrice totale FmT il cui modulo vale FmT = Fm2 + FmS = FmM + FmM / 2 = 3/2 FmM. Se il tempo assume il valore, t3 = / 3, in altri termini è il caso in cui, t3 = / 3, si desume che: Fm1 = FmM sen ( /3 ) = ( √3 / 2 ) FmM; Fm2 = FmM sen ( /3 – 2/3 ) = FmM sen ( - / 3 ) = - ( √3 / 2) FmM ; Fm3 = FmM sen (/3 + 2/3 ) = FmM sen ( ) = 0 . FmT r1 Fm2 = - ( √3 / 2) FmM Fm1 = ( √3 / 2 ) FmM angolo di 120° r3 r2 In questo caso, si osserva che la somma dei due vettori Fm1 ed Fm2 è un vettore a 120° rispetto all’asse della x o a 150° rispetto all’asse della bobina 2 o asse r2. Il valore del modulo della FmT è dato come: 2 ( √3 / 2 ) FmM cos (/3) = 3/2 FmM. Infine, se si considera l’intervallo di tempo in cui t4 = / 2, ossia è t4 = / 2, si desume che: Fm1 = FmM sen ( /2 ) = FmM; Fm2 = FmM sen ( /2 – 2/3 ) = FmM sen ( - / 6 ) = - FmM / 2 ; Fm3 = FmM sen (/2 + 2/3 ) = FmM sen ( 7 / 6 ) = FmM sen ( - / 6 ) = - FmM / 2 . r1 FmT Fm1 = FmM Fm2 = -FmM / 2 Fm3 = - FmM / 2 r3 r2 74 In questo caso il vettore risultante è tutto appartenente all’asse della prima bobina o asse r1. Il valore del suo modulo vale: Fm2 + Fm3 = FmM / 2 con direzione asse r1, da cui il vettore risultante sarà con modulo Fm1+ Fm2 + Fm3 = FmM + FmM / 2 = ( 3 / 2 ) FmM . Si deve tenere presente che, abbiamo effettuato il ragionamento, solo per alcuni istanti, ma esso si dovrebbe ripetere ad ogni istante. Si giunge comunque alla seguente conclusione: la f.m.m risultante delle tre bobine ha, ad ogni istante, sempre lo stesso valore, ossia uguale a 1,5 volte quello massimo della f.m.m di fase, e ruota nello spazio con velocità angolare costante, pari alla pulsazione delle correnti magnetizzanti. Osservando che all’istante in cui corrisponde un angolo di 90° della sinusoide si ha uno spostamento angolare di 90°, allora si comprende che la pulsazione è uguale alla velocità angolare. Infine, si deve ricordare che la f.m.m produce un flusso magnetico legato alla legge di Hopkinson, f.m.m = e il flusso è legato a sua volta all’induzione dalla relazione, B = / S. In conclusione la f.m.m produce un campo magnetico rotante, le cui polarità N – S si muovono continuamente nello spazio, come si trattasse di un magnete posto in movimento da un qualche sistema meccanico. In base a quanto detto ne segue il seguente teorema di Galileo Ferraris: dalla composizione di n campi magnetici alternati prodotti da un sistema polifase equilibrato di n correnti sinusoidali circolanti in n bobine disposte a ( 360° / n ), nasce un campo magnetico di ampiezza costante pari a n / 2 l’ampiezza di ogni campo componente, rotante nello spazio con velocità pari alla pulsazione della corrente magnetizzante. CAMPO MAGNETICO ROTANTE NELLA MACCHINA ASINCRONA TRIFASE In questo tipo di macchina il campo magnetico rotante è creato dall’avvolgimento statorico, che risulta collegato con la rete elettrica di alimentazione. In questo caso le bobine dell’avvolgimento induttore sono disposte all’interno di cave prodotto sulla superficie circolare dello statore, con una distribuzione discontinua della f.m.m. Inoltre, a seconda della disposizione degli avvolgimenti il campo può avere più di due poli. In genere si indica con 2p il numero di poli e con p il numero delle coppie polari. Molto importante: per lo studio dei fenomeni elettromagnetici che interessano i conduttori statorici e rotorici, si farà riferimento ad un’induzione magnetica con distribuzione sinusoidale lungo il traferro e rotante lungo le circonferenze statorica e rotorica, ossia con posizione continuamente variabile nel tempo. VELOCITA’ DEL CAMPO MAGNETICO ROTANTE 75 Da quanto visto in precedenza, in una macchina a due poli, ossia ad una coppia polare, vi è corrispondenza fra l’angolo t della sinusoide e lo spostamento angolare del campo magnetico, in altri termini ad ogni periodo T il campo magnetico percorrerà un giro, pari a 2 radianti, con una velocità angolare, 0 = 2 / T = 2f, che corrisponde anche alla pulsazione della sinusoide. La velocità angolare del campo magnetico rotante, dipende dal numero delle coppie polari, pertanto essa è espressa in radianti al secondo la seguente relazione: 0 = 2 / p T = 2f / p. Spesso la velocità viene espressa in giri / minuto secondo la seguente relazione: n0 = 60 f / p. Le due espressioni precedenti, legate alla velocità del campo magnetico rotante, esprimono in realtà la cosiddetta velocità di sincronismo. Questo termine deriva dalla macchina sincrona nella quale la parte rotante della macchina, ( il rotore ), viaggia alla stessa velocità del campo magnetico rotante. Infine dalla relazione n0 = 60 f / p si capisce che la velocità delle machine diminuisce all’aumentare del numero delle coppie polari. TENSIONI INDOTTE NELL’AVVOLGIMENTO STATORICO Le varie spire costituenti l’avvolgimento statorico risultano, per quanto visto in precedenza, investite da un campo magnetico variabile nel tempo, con legge sinusoidale. Pertanto possiamo dire che: in ogni conduttore statorico viene indotta una tensione sinusoidale la cui fase dipende dalla posizione del conduttore rispetto alla distribuzione del campo magnetico. Si osserva che: le tensioni indotte nei conduttori, disposte in cave adiacenti risultano sfasate di un angolo ec = angolo elettrico di cava; i conduttori, intervallati di un passo polare, avranno tensioni in opposizione di fase; lo sfasamento di 360° elettrici corrisponde a due passi polari; l’angolo meccanico di cava mc , rappresenta in pratica lo spostamento angolare tra gli assi di due cave adiacenti. Tale angolo meccanico si ottiene dalla relazione: mc = 360° / Nc = 360° / Numero di cave statoriche. Si ricorda, infine, che esiste anche il seguente legame: ec = p mc . Si può ammettere che il valore efficace della tensione indotta in un singolo conduttore sia uguale a: Ec = 2 Kf f . La tensione totale di una fase è minore di quella che si otterrebbe con la semplice somma algebrica delle tensioni, a causa degli sfasamenti. Pertanto, per tenere conto di ciò, si deve esprimere la E1, cioè tensione di fase totale dello statore, come: E1 = KB N1 Ec, 76 dove KB è il fattore di Blondel ed N1 il numero di spire totali dell’avvolgimento statorico. Conseguentemente ne risulterà: E1 = KB N1 Ec = KB N1 2 Kf f . = K1 N1 f , avendo posto K1 = 2 KB Kf . Spesse volte si assume Kf = 1,11. Per il calcolo del coefficiente di Blondel si utilizza in genere la seguente relazione: KB = sen ( q ec / 2 ) / q sen ( ec / 2 ), con q numero di ( cave / polo . fase ). ESEMPIO L’avvolgimento statorico di un motore asincrono trifase ha i seguenti dati: Nc = numero delle cave = 36 Frequenza F = 50 Hz Numero poli = P = 2 p = 4 Esso è composto, inoltre, da 6 matasse in serie per fase di 50 spire l’una. Si calcoli il valore del flusso per polo per avere una f.e.m = 230 Volt. Come primo dato è necessario ricavare il numero di cave per polo fase q, che si ottiene dalla seguente relazione: q = num. di cave / num. di fasi . numero poli = = q = Nc / 3 . 2p = 36 / 3 . 4 = 36 / 12 = 3 cave / polo . fase. Inoltre, si ricava l’angolo meccanico di cava mc = 360° / Nc = 360° / 36 = 10°, ed ovviamente l’angolo elettrico di cava ec = p mc = 20°. Dai dati ottenuti è possibile risalire al coefficiente di Blondel, che per definizione è: ( bisogna tenere presente che E1 = KB N1 Ec = KB N1 2 Kf f . = K1 N1 f ), KB = sen ( q ec / 2 ) / q sen ( ec / 2 ) = = sen 30° / 3 sen 10° = 0,5 / 0,52 = circa = 0,96. Il numero di spire per fase statorica è dato dalla relazione seguente: N1 = num. di matasse per serie . num. di spire totali . num. di coppie polari = = N1 = 6 . 50 . ( P / 2 ) = 300 . 2 = 600 conduttori complessivi. Si deve tenere conto infine che: K1 = 2 Kf KB = 2 . 1,11 . 0,96 = 2,1312. In conclusione ricordando che: E1 = KB N1 Ec = KB N1 2 Kf f . = K1 N1 f , si deduce che, = E1 / K1 N1 f = 230 / ( 2,1312 . 600 . 50 ) = circa = 3,6 mWb SCORRIMENTO La caratteristica fondamentale della macchina asincrona è quella far ruotare la sua parte mobile ad una velocità n inferiore a quella di sincronismo n0 . Pertanto, si definisce scorrimento s di una macchina asincrona, il seguente rapporto: s = n0 – n / n0 = 1 – ( n / n0 ) = scorrimento. Spesso, la differenza n0 – n si dice velocità di scorrimento e si indica con ns. Lo scorrimento percentuale viene definito come: s% = 100 s = 100 ( n0 – n / n0 ) = 100 (1 – ( n / n0 ) ). Il valore dello scorrimento s è compreso fra 0 ed 1. Nel caso in cui s = 0, risulta 77 n0 = n ed è il caso ideale in cui la macchina ha campo rotante avente la stessa velocità del rotore, ossia è il caso del sincronismo. Mentre se s = 1 è il caso in cui è il rotore fermo o bloccato, ossia risulta n = 0. In definitiva, è la situazione nella fase di avviamento della macchina in cui la parte rotante è ancora ferma. E’ il cosiddetto caso a rotore bloccato. Sapendo che: s = n0 – n / n0 di conseguenza sarà, n0 s = n0 – n da cui posso anche scrivere, n = n0 – n0 s = n0 ( 1 – s ) oppure, n = ( 100 n0 ( 1 – s ) ) / 100 = = n = n0 ( 100 – 100s ) / 100 = n0 ( 100 – s% ) 100. ESERCIZIO Calcolare lo scorrimento di un motore a 6 poli, alimentato ad una frequenza di 50 Hz, quando funziona ad una velocità n = 960 giri / min. Noi sappiamo che, n0 = 60 f / p = 60 . 50 / 3 = 1000 giri / min. Di conseguenza possiamo dedurre il valore dello scorrimento s; infatti noi sappiamo che, s = n0 – n / n0 = ( 1000 – 960 / 1000 ) = 40 / 1000 = 0,04 e perciò lo scorrimento percentuale vale, s% = 100 s = 100 ( 0,04 ) = 4 %. Sempre in riferimento all’esercizio precedente, quale sarà la velocità di rotazione della macchina asincrona, nell’ipotesi che lo scorrimento sia pari al 3,2% ? In questo caso applichiamo la relazione nella quale si ha: n = n0 ( 100 – 100s ) / 100 = n0 ( 100 – s% ) 100 = 1000 ( 100 – 3,2 ) 100 = = 10 ( 96,8 ) = 968 giri / min. FREQUENZA ROTORICA La frequenza delle grandezze elettriche, ( tensione, corrente ), della parte rotorica di una macchina asincrona, dipende essenzialmente dalla velocità di scorrimento, ns = n0 – n, che è la velocità con la quale il rotore vede muoversi il campo magnetico rotante. Ne consegue che, fr = frequenza rotorica = ns p / 60 = ( n0 – n ) p / 60, ma risulta anche che, n = n0 ( 1 – s ) = n0 – n0 s , e sostituendo quest’ultimo valore nella relazione, fr = ns p / 60 = ( n0 – n ) p / 60, si ottiene: fr = ns p / 60 = (( n0 – n0 + n0 s )p) / 60 = ( n0 s ) p / 60, ma n0 = 60 f / p, che inserito nella relazione precedente fornisce la relazione finale, fr = ( n0 s ) p / 60 = ( 60 f / p ) s ( p / 60 ) = f s. La relazione finale ci dice che la frequenza rotorica si ottiene moltiplicando la frequenza f per lo scorrimento s: fr = f s. La frequenza rotorica è massima nell’ipotesi che lo scorrimento valga 1, ossia per s = 1, che è la situazione a rotore bloccato. Nelle condizioni di sincronismo, ossia per s = 0, è ovvio che la frequenza rotorica valga zero. Nel funzionamento normale la frequenza rotorica vale qualche Hertz. TENSIONI INDOTTE ROTORICHE 78 La tensione indotta in ogni fase rotorica dipende dalla frequenza rotorica fr e perciò potremo scrivere: E2 = K2 N2 fr = K2 N2 s f , ma spesso si indica E20 = K2 N2 f e perciò la relazione superiore diventa, E2 = s ( E20 ). OSSERVAZIONI La tensione indotta nel rotore risulterà massima nel caso in cui s = 1, ossia a rotore bloccato, mentre è nulla nell’ipotesi di s = 0, ossia al sincronismo. Se viene fornito il valore percentuale di s, ossia s %, bisogna ricordare che: s% = 100 s e da ciò s = s % / 100 ESERCIZIO Sia considerato un motore a 6 poli, con f = 50 Hz e sia n = 960 giri / min, con s% = 4 %. Si calcoli per esso la frequenza rotorica e la tensione E2, nell’ipotesi che a rotore bloccato E20 = 100 Volt. Dai dati del problema se ne deduce che: fr = s f = ( s % / 100 ) f = 0,04 . 50 = 2 Hz. Inoltre Noi sappiamo che: E2 = s E20 = ( s % / 100 ) . 100 = 0,04 . 100 = 4 Volt. CIRCUITO EQUIVALENTE DEL MOTORE ASINCRONO TRIFASE Rispetto al trasformatore, per tracciare il corrispondente circuito equivalente del motore asincrono trifase, è necessario tenere conto delle seguenti differenze: la frequenza rotorica è diversa da quella statorica; la macchina asincrona è una macchina rotante, caratterizzata dallo scorrimento; lo scorrimento incide sulla frequenza rotorica; il motore non alimenta un carico elettrico, ( come il trasformatore ), in quanto le fasi rotoriche sono chiuse in corto circuito; alimentando il motore con una terna simmetrica di tensioni, esso stesso si comporta come un carico equilibrato, ( proprio per questo è possibile studiare la macchina attraverso un’unica fase. Il circuito equivalente di una macchina asincrona trifase allora potrà essere così visto: I1 j X2d j X1d R1 R2 Z1 Z2 Y0 E1 Dallo schema si deduce facilmente che: 79 E2 Z1 = R1 + jX1d = R1 + j L1d = R1 + j 2 f L1d; Y0 = G0 + j B0; Z2 = R2 + j r L2d = R2 + j 2 fr L2d = R2 + j 2 s f L2d = R2 + j s X2d. RAPPRESENTAZIONE ELETTRICA DEL CARICO MECCANICO Il modulo della corrente rotorica I2 si calcola mediante la seguente relazione: I2 = E2 / √ ( R2² + ( s X2d )² ) = √ ( R2² + s² (X2d) ² = ( tenendo conto che E2 = s E20 ) = E2 = s E20 / √ ( R2² + s² (X2d) ² = s E20 / √ s² (R2² / s² + (X2d) ² = s E20 / ( s √ (R2² / s² + (X2d) ² ) , da cui in definitive risulta, I2 = E20 / √ (R2 / s)² + (X2d) ². La resistenza ( R2 / s ) si può anche scrivere nel modo seguente: R2 / s = R2 / s + R2 – R2 = R2 + R2 ( 1 / s – 1 ) = R2 = R2 + R2 ( (1 – s) / s ). In poche parole la resistenza ( R2 / s ) si può pensare come somma di due resistenze in serie, la resistenza R2 e la resistenza R2 ( (1 – s) / s ) che può essere interpretata come una resistenza fittizia che rappresenta il carico meccanico. Quanto qui indicato vale solo nella rappresentazione dei circuiti equivalenti, in quanto questa resistenza, nella realtà non esiste, ( ossia la resistenza elettrica del carico non esiste ): I2 R2 / s R2 j X2d j X2d I2 R2 ( 1 – s ) E20 E20 circuito a s circuito b La rappresentazione elettrica del carico meccanico è giustificabile anche, in sede di bilancio energetico delle potenze rotoriche. Infatti, la potenza attiva che trasmette lo statore al rotore, la quale viene anche detta potenza trasmessa o potenza elettromagnetica, si può rilevare dal circuito a di figura superiore, ( tenendo conto che il circuito equivalente si riferisce ad una singola fase ). Comunque, dal circuito a si rileva che l’unico elemento dissipativo è proprio R2 / s, non essendovi altri elementi dissipativi, perciò è: potenza trasmessa da una fase = Ptf = ( R2 / s ) I2². La stessa potenza vista dal circuito b è data da: Ptf = R2 I2² + R2 ( (1 – s) / s ) I2²,dove le due potenze possono essere così considerate, R2 I2² la potenza persa nell’avvolgimento rotorico; R2 ( (1 – s) / s ) I2² rappresenta, per ogni fase, la differenza fra la potenza trasmessa e quella persa dal rotore. Proprio per questo, ( per ogni fase ) rappresenta la potenza meccanica totale, fornita all’albero motore, o Pmf. La potenza meccanica totale si può pensare come somma della potenza meccanica utile, fornita al carico, e la potenza meccanica dissipata per attrito e ventilazione. 80 Nelle considerazioni precedenti si sono ritenute trascurabili le perdite nel ferro rotoriche, le quali dipendono dalla frequenza fr = s f, che risulta un valore molto piccolo e quindi trascurabili. Ma quando ciò non è possibile nel computo delle Pmf occorre considerare tali perdite. Vogliamo ora dimostrare il legame esistente fra la potenza meccanica totale Pmf e la potenza trasmessa Ptf . Partiamo dalle relazioni che ci sono note: Ptf = R2 I2² + R2 ( (1 – s) / s ) I2², ed inoltre è, Pmf = R2 ( (1 – s) / s ) I2², consideriamo la prima relazione e raccogliamo il termine comune R2 I2², da cui si deduce che, Ptf = R2 I2² ( 1 + ( (1 – s) / s ) ), considerando il denominatore comune si giunge ad ammettere che, Ptf = R2 I2² ( s + 1 – s ) / s = R2 I2² / s, in definitiva riesco a ricavare che, R2 I2² = s Ptf . Se riprendiamo la prima relazione si ha che: Ptf = R2 I2² + R2 ( (1 – s) / s ) I2² = R2 I2² + Pmf = s Ptf + Pmf . Di conseguenza deduco che, Ptf = s Ptf + Pmf , ma posso ricavare anche che, Pmf = Ptf - s Ptf = Ptf ( 1 – s ), ossia,Pmf = Ptf ( 1 – s ) che è il legame cercato. Le considerazioni svolte confermano, anche, la possibilità di introdurre nel circuito, equivalente, della macchina asincrona, la resistenza di carico Rm data da: Rm = R2 ( 1 – s ) / s. La resistenza di carico Rm tiene conto, per ogni fase, della potenza fornita al carico meccanico totale, equivalente al carico effettivo e alle varie resistenze meccaniche che si oppongono al moto. Si conclude mettendo in evidenza il circuito equivalente completo di una macchina asincrona: Z1 I1f V1f Z2 I2’ I0 Y0 I2 Rm = R2( 1 – s ) / s E1 E2 FUNZIONAMENTO A CARICO, BILANCIO DELLE POTENZE Il funzionamento a carico di una macchina asincrona trifase si può studiare mediante il circuito equivalente monofase disegnato poco sopra, ( nella rappresentazione superiore si ipotizza la configurazione base stella – stella ) . L’equazione della maglia rotorica può essere così scritta: E2 = ( R2 / s ) I2 + j X2d I2; bisogna inoltre tenere conto che, I2’ = - I2 / K0, ed infine è anche, I1 = I0 + I2’. L’equazione di Kirchoff, applicata alla maglia statorica, consente di scrivere: V1f = - E1 + R1 I1 + jX1d I1. 81 Trasferendo sul piano di Gauss le relazioni indicate si ottiene il diagramma vettoriale, di una singola fase, della macchina asincrona: jX1d I1 V1f R1I1 I2’ - E1 I1 I0 R2 I2 /s E20 jX2d I2 I2 E1 Come si osserva il diagramma vettoriale è molto simile a quello di un trasformatore, ma con delle differenze: il diagramma della macchina asincrona trifase cambia con lo scorrimento, dato che con lo scorrimento s si modifica il modulo e la fase della corrente I2, ( e di conseguenza si modificano tutte le altre grandezze ad essa legate ); la caduta di tensione della maglia statorica è percentualmente maggiore rispetto al trasformatore, perché lo statore della m. a. t vanta una reattanza di valore maggiore; non compare la tensione secondaria in quanto l’avvolgimento rotorico è chiuso in corto circuito. POTENZE E LORO BILANCIO La potenza complessivamente assorbita dalla m.a.t, ( considerando il contributo delle tre fasi ), vale: Pa = ( √3 ) V1 I1 cosφ1. Per arrivare alla potenza resa Pr in uscita dalla macchina è necessario considerare tutte le perdite che si sviluppano sia nello statore che nel rotore, seguendo questo diagramma di flusso: STATORE ROTORE Pt Pm Pa 82 Pr Pav PJ2 PJ1 + Padd PFE Le perdite nel ferro PFE sono rappresentate sul circuito equivalente dalla potenza attiva assorbita dal componente G0 dell’ammettenza Y0 e, risultano pari a: PFE = 3 G0 E1² = circa = 3 G0 (V1f )² = 3 G0 ( V1 / √3 )² = G0 V1², avendo considerato, E1 = circa = V1f = V1 / √3, a causa del valore ridotto della caduta di tensione sull’impedenza Z1. ( In realtà questa approssimazione è meno giustificata, rispetto alla stessa approssimazione fatta sul trasformatore, a causa di un valore maggiore di reattanza di dispersione ). Nel diagramma di flusso superiore si considerano solo le perdite nel ferro dello statore, poiché le medesime perdite nel rotore sono trascurabili. Le perdite nel rame dello statore, PJ1, sono date da : PJ1 = 3 R1 I1². Alle perdite nel rame statorico vanno aggiunte le perdite addizionali, che si considerano pari al 0,5 % della potenza assorbita: Padd = 0,005 Pa. Osservazione Le perdite addizionali sono state imputate nella parte statorica, ma in realtà si verificano in tutta la macchina. Si osserva dal diagramma di flusso che: Pt = Pa – ( PFE + PJ1 + Padd ), che rappresenta la potenza trasmessa da statore e rotore, mediante il campo magnetico rotante. Si osserva pure che: Pt = 3 Ptf = 3 R2 I2² / s. Le perdite nel rame del rotore sono date dalla seguente relazione: PJ2 = 3 R2 I2², dove R2 rappresenta la resistenza elettrica del rotore, relativa ad una singola fase. Confrontando queste due ultime relazioni si ricava un’importante relazione: Pt = 3 R2 I2² / s = PJ2 / s, da cu deduco, PJ2 = s Pt . La differenza Pt – PJ2 = Pm rappresenta, come si è già detto in precedenza, la potenza meccanica totale fornita all’albero. Questa potenza Pm depurata dalle perdite dovute ai vari attriti e per la ventilazione, della parte rotante, definisce infine, la potenza resa Pr, all’albero dalla macchina asincrona. In conclusione, si possono utilizzare nel bilancio delle potenze di una macchina asincrona, le seguenti relazioni, ( che risultano tutte equivalenti fra loro ): Pr = Pa – Pp = Pa – ( PFE + PJ1 + Padd + PJ2 + Pav ) oppure, Pa = Pr + Pp = Pr + PFE + PJ1 + Padd + PJ2 + Pav . RENDIMENTO Il rendimento η di una macchina asincrona si ottiene come rapporto fra la potenza resa e la potenza assorbita: η = Pr / Pa = ( Pa – Pp ) / Pa. In particolare si evidenzia che il rendimento di una macchina asincrona aumenta con la potenza e diminuisce col numero di poli, con valori a pieno carico che vanno dal 60% al 92%. 83 ESERCIZIO Una macchina asincrona alimentata da una tensione di V1 = 400 V assorbe una corrente I1 = 15 A con cosφ1 = 0,78. Sapendo che, s% = 3,5 %, la PFE = 110 W, PJ1 = 150 W, Pav = 120 W. Calcolare la potenza trasmessa, la potenza resa ed il rendimento. Noi sappiamo che la potenza assorbita si ottiene dalla relazione seguente: Pa = ( √3 ) V1 I1 cosφ1 = ( √3 ) 400 . 15 . 0,78 = 8106 W. La potenza addizionale si può così calcolare, ammettendo che essa valga lo 0,5 % della Pa stessa: Padd = 0,005 . 8106 = circa = 41 W. Ricordando che la potenza trasmessa si ottiene come: Pt = Pa – ( PFE + PJ1 + Padd ) = 8106 – ( 110 + 150 + 41 ) = 8106 – 301 = 7805 W. Noto il valore della potenza trasmessa siamo in grado di dedurre il valore delle perdite rotoriche, attraverso la relazione seguente: PJ2 = s Pt = ( s% / 100 ) Pt =( 3,5 / 100 ) 7805 = 0,035 . 7805 = circa = 273 W, di conseguenza la potenza resa Pr risulta data da, Pr = Pa – Pp = Pa – ( PFE + PJ1 + Padd + PJ2 + Pav ) = Pt – PJ2 – Pav = = 7805 – 273 – 120 = 7412 W. Il rendimento η sarà allora uguale a : η = Pr / Pa = 7412 / 8106 = 0,914 = 91,4%. FUNZIONAMENTO A VUOTO Il motore asincrono trifase funziona a vuoto quando non vi è alcun carico meccanico collegato all’albero. L’avvolgimento statorico è alimentato alla tensione V1 ed assorbe la corrente a vuoto I0, molto ridotta rispetto al valore nominale a carico e molto sfasata, poiché in questo funzionamento risulta prevalente la potenza reattiva rispetto a quella attiva. Si ricorda che le fasi rotoriche sono chiuse in corto circuito, a differenza del secondario del trasformatore i cui morsetti sono aperti. Inoltre, questo tipo di funzionamento si può pensare come un funzionamento in cui il motore deve vincere solo gli attriti meccanici, di ventilazione e risulta mancante il carico applicato all’albero. In questa situazione l’albero del motore raggiunge valori prossimi a quelli del sincronismo. In questo caso ne risulta che: P0 = ( √3 ) V1 I0 cosφ0 ; Q0 = ( √3 ) V1 I0 senφ0; S0 = V1 I0. La potenza Q0 è associata al campo magnetico, che si determina anche in questo funzionamento, mentre la potenza attiva P0, essendo nulla la potenza resa Pr, è la somma delle perdite che permangono nel funzionamento a vuoto, che sono: la perdita meccanica per attriti e ventilazione Pav; la perdita nel ferro, localizzata quasi per intero, nello statore e proporzionale a V², ( se la tensione del funzionamento a vuoto corrisponde a quella di funzionamento a carico, le perdite nel ferro rimangono costanti ); la perdita nel rame statorico a vuoto, ossia PJ10 = 3 R1 I0². In base a quanto detto il bilancio delle potenze durante il funzionamento a vuoto, risulta uguale a: P0 = Pfe + PJ10 + Pav, mentre il rendimento è nullo, essendo nulla la potenza resa Pr . La prova a vuoto viene condotta per determinare, in modo indiretto il valore del fattore di potenza a vuoto, ossia cosφ0: cosφ0 = P0 / (( √3 ) V1 I0 ). 84 ESERCIZIO Dalla prova a vuoto di una m.a.t si è ottenuto: V1 = 380 V, P0 = 350 W, I0 = 3,7 A; Pav = 60 W. Sapendo che R1 vale 1,2 , si calcoli il valore del cosφ0. Per la relazione poco sopra ricavata se ne ricava che: cosφ0 = P0 / (( √3 ) V1 I0 ) = 350 / ( √3 ) . 380 . 3,7 = 0,144. Possiamo anche calcolare la perdita nel rame statorico a vuoto, mediante la relazione: PJ10 = 3 R1 I0² = 3 . 1,2 . ( 3,7 )² = 49,3 W. Le perdite nel ferro Pfe si possono determinare nel modo seguente: Pfe = P0 – PJ10 – Pav = 350 – 49,3 – 60 = 240,7 W. FUNZIONAMENTO A ROTORE BLOCCATO Questo tipo di funzionamento si verifica quando il rotore è fermo, per cui la sua velocità è nulla e lo scorrimento è unitario, ( s = 1 ). In pratica questo funzionamento si verifica nell’istante iniziale dell’avviamento del motore, oppure, in caso di guasto meccanico, in cui si blocca la rotazione dell’albero. Questo tipo di funzionamento è anche detto, in corto circuito, ma la dicitura è ambigua, in quanto le fasi rotoriche sono collegate in corto circuito, anche durante il funzionamento normale. Il circuito equivalente, tracciato a pag. 81, in questo funzionamento si modifica, essendo per s = 1, Rm = 0, nel modo seguente: I1cc R1 R2 X1d I0 I2cc’ X2d V1f Y0 E1 E02 I2cc La corrente rotorica di corto circuito è data dalla relazione seguente: I2cc = E02 / ( √ R2² + X2d ² ), il cui valore è Notevolmente più elevato di quello che si ha durante il funzionamento normale. Nello statore viene richiamata la corrente I2cc’ = I2cc / K0, anch’essa di valore elevato. La corrente statorica di corto circuito è data dalla somma vettoriale: I1cc = I0 + I2cc’. In questo caso la corrente I2cc’ prevale nettamente su quella a vuoto, la quale si può anche trascurare ed ammettere: I1cc = circa = I2cc’ = I2cc / K0. A questo punto, posso considerare di riportare a statore tutti i parametri rotorici e trascurare i parametri trasversali, ottenendo il seguente circuito equivalente: Lo schema di principio risulta essere il seguente: I1cc j X1d R2’ jX2d’ 85 R1 V1f dove, R2’ = K0² R2 e X2d’ = K0² X2d, oppure posso ammettere anche questo circuito : con R1cc = R1 + R2’ R1cc e j X1cc X1cc = X1d + X2d’ V1f Z1cc Come si osserva i circuiti equivalenti sono analoghi a quelli relativi al trasformatore. La corrente I1cc è data da: I1cc = V1f / Z1cc = V1f / √( R1cc² + X1cc² ) = V1 / ( √3 . √( R1cc² + X1cc² ) ), ed il suo valore rappresenta, nella pratica, il valore della corrente all’avviamento o allo spunto, della macchina asincrona trifase. In definitiva, è il valore di corrente che viene assorbita dal motore nella fase iniziale del suo avviamento, ( normalmente il valore di questa corrente, per i rotori a gabbia semplice, è dell’ordine di 8 – 10 volte superiore al valore nominale della corrente o di I1n ). Il diagramma vettoriale, sotto riportato, sintetizza il funzionamento a rotore bloccato del motore asincrono: La corrente I1cc, come si osserva dal grafico, è sfasata in ritardo φcc rispetto alla V1f dell’angolo di I1cc corto circuito φcc. j X1cc I1cc V1f R1cc I1cc Per quanto riguarda le potenze, nel funzionamento a rotore bloccato si possono effettuare le seguenti considerazioni: la potenza resa e le perdite meccaniche sono nulle, essendo il rotore fermo; le potenze perse negli avvolgimenti in rame sono massimi, essendo proporzionali a I². La perdita complessiva negli avvolgimenti statorici e rotorici assumono la forma: Pjt = 3 R1 I1cc² + 3 R2 I2cc² = 3 R1cc I1cc²; si hanno anche le perdite nel ferro, dato che il motore è alimentato. Si osserva che le perdite nel ferro rotoriche sono massime, in quanto fr = f poiché s = 1; si hanno anche le perdite addizionali Padd. 86 La potenza assorbita, Pacc, dal motore nelle condizioni di funzionamento a rotore bloccato, sono date da: Pacc = Pjt + Pfe + Padd. In questo caso il rendimento è nullo essendo la potenza resa Pr nulla. Il funzionamento a rotore bloccato viene eseguito in laboratorio, nella cosiddetta prova a rotore bloccato o prova in corto circuito, alimentando il motore asincrono ad una tensione ridotta, in modo tale che negli avvolgimenti di statore circoli la corrente nominale I1n. Normalmente, si indica con V1cc la tensione di corto circuito, che è in grado di far circolare nelle fasi statoriche la corrente nominale I1n e, normalmente, assume un valore pari al 20 % – 30 % della tensione nominale V1n. Come si vede è una tensione di corto circuito nettamente superiore a quella del trasformatore, ciò perché nelle macchine asincrone si ha una reattanza X1cc di valore nettamente superiore. In questa prova, essendo la tensione di alimentazione di valore ridotto, è possibile trascurare le perdite nel ferro, le perdite addizionali e ritenere che la potenza assorbita, nel funzionamento a rotore bloccato, corrisponda alle sole perdite nel rame totali. Infine da questa prova si deducono le seguenti grandezze: Z1cc = V1cc / ((√3) I1n) ; R1cc = Pccn / 3 I1n², avendo indicato con Pccn la potenza di corto circuito con corrente nominale I1n ; X1cc = √( Z1cc² - R1cc²) ; ed infine si ha cosφcc = Pccn / ((√3) V1cc I1n), oppure, cos φcc = R1cc / Z1cc. ESERCIZIO Nella prova a rotore bloccato di una m.a.t sono stati misurati i seguenti valori: V1cc = 38 v; Pccn = 350 W; I1n = 24 A. Sapendo che: R1 = 0,12 e K0 = 2,8, calcolare il fattore di potenza di corto circuito, i parametri equivalenti longitudinali statorici, la resistenza R2 di ogni fase rotorica. Calcolare la corrente I1cc con tensione V1 = 380 V. Applicando le formule appena introdotte si ricavano i valori incogniti richiesti. Z1cc = V1cc / ((√3) I1n) = 38 / (√3) 24 = R1cc = Pccn / 3 I1n² = 350 / 3 . 24² = = 0,914 = 0,203 X1cc = √( Z1cc² - R1cc²) = cosφcc = Pccn / ((√3) V1cc I1n) = = 350 / (√3) . 38 . 24 = = √ 0,914² - 0,203² = 0,891 = 0,222 Se cosφcc = 0,222 circa l’angolo φcc è circa di 77,2°. Viene richiesta anche la resistenza rotorica R2. Ricordando che, R1cc = R1 + K0² R2 possiamo dedurre la relazione con la quale ricavare R2. Infatti si desume che: R2 = ( R1cc – R1 ) / K0². Nel nostro caso si avrà allora che: R2 = ( 0,203 – 0,12 ) / 2,8² = 0,0106 = 10,6 m. Infine la corrente di corto circuito con tensione pari a 380 V si ricava, applicando la seguente relazione: I1cc = V1f / Z1cc = V1 / ( √3 . Z1cc ) = 380 / √3 . 0,914 = circa = 240 A. 87 Come si osserva il suo valore è pari a 10 I1n; infatti risulta circa uguale a 10 il rapporto fra V1n / V1cc. Nel nostro caso è: V1n = 380 V e V1cc = 38, di conseguenza è proprio, 380 / 38 = 10. non prendo in considerazione il circuito equivalente statorico. In questi miei appunti DATI DI TARGA DEL MOTORE ASINCRONO TRIFASE Anche i motori asincroni trifasi sono caratterizzati dai dati riportati sulla targhetta dal costruttore. La targhetta riporta i valori nominali delle grandezze elettriche più significative. I principali dati di targa sono: il numero di poli 2p; la tensione nominale V1n; la frequenza nominale f; la velocità nominale nn, che corrisponde alla velocità angolare rotorica a cui il motore ruota nel funzionamento nominale, Ad essa risulta legato lo scorrimento nominale sn, mediante la seguente relazione: nn = n0 ( 1 – sn ). La potenza nominale Pn, che corrisponde alla potenza meccanica resa al carico; la corrente nominale I1n; il fattore di potenza nominale cosφn; il rendimento nominale ηn, che corrisponde al rapporto fra la potenza resa e la potenza assorbita, durante il funzionamento nominale. Si tenga conto che, la potenza assorbita, nelle condizioni nominali vale: Pan = √ 3 . V1n . I1n cosφn = √ 3 . Vn . In cosφn . Infine un dato di targa importante è la coppia nominale Cn, dove si ha: Cn = ( 60 / 2 ) ( Pn / nn ). Spesso, vengono aggiunte altre informazioni, che riguardano il tipo di collegamento delle fasi statoriche, la classe di isolamento della macchina ed il grado di protezione IP dell’involucro, della macchina stessa e della morsettiera. ESERCIZIO Una m.a.t risulta avere i seguenti dati: Pn = 30 kW; 2p = 4 poli; Vn = 380 V; In = 60 A; cosφn = 0,83; nn = 1440 giri / min. Si calcoli la potenza da essa assorbita, il rendimento e la coppia Nominale. Pan = √ 3 . Vn . In cosφn = ηn = Pn / Pan = = √ 3 . 380 . 60 . 0,83 = = 30000 / 32777 = 0,915 = circa = 32777 W ηn % = 91,5 % Cn = ( 60 / 2 ) ( Pn / nn ) = = ( 60 / 2 ) ( 30000 / 1440 ) = = 9,55 . 20,83 = circa = 199 Nm CURVE CARATTERISTICHE DEL MOTORE ASINCRONO TRIFASE Queste curve si dicono anche caratteristiche di funzionamento della macchina asincrona e si determinano sperimentalmente sia con metodi diretti che indiretti. Queste curve caratteristiche descrivono l’andamento di alcune grandezze 88 tipiche, in funzione della frazione di carico = Pr / Pn. In pratica la frazione di carico si determina dal rapporto fra la potenza resa e la potenza nominale della macchina. Il valore = 0 indica il funzionamento a vuoto, mentre = 1 indica il funzionamento a carico nominale o a pieno carico. Infine, se è > 1, il motore asincrono risulta sovraccaricato. Si ricorda che % = 100 Pr / Pn. L’andamento qualitativo del rendimento e del fattore di potenza, in funzione della frazione di carico, è visibile dalla seguente figura: η ; cosφ η Dalla figura si osserva che il 1 cosφn rendimento parte da zero e raggiunge ηn il valore massimo intorno al 50% del 0,8 pieno carico. Per % = 100% si ha il 0,6 cosφ rendimento nominale. Si osserva, 0,5 inoltre, che ai bassi carichi i 0,4 corrispondenti valori del rendimento sono molto bassi, in quanto hanno 0,2 un’incidenza notevole le perdite nel cosφ0 % ferro e meccaniche rispetto alla 25 50 75 100 potenza Per quanto riguarda il fattore di potenza si osserva che laresa. curva parte dal cosφ0, che è alquanto ridotto, aumentando con il valore di , mantenendo comunque un valore abbastanza costante, ( circa pari a quello nominale ). Ai bassi carichi il f.d.p assume valori piccoli, poiché prevale la potenza induttiva assorbita dal motore. Nelle figure sotto riportate sono rappresentate due caratteristiche importanti, ossia rispettivamente, l’andamento della corrente assorbita dalle fasi statoriche, in funzione della frazione di carico , e, l’andamento dello scorrimento percentuale, sempre in funzione della frazione di carico . I1 s% In sn % I0 % 0 25 50 75 % 100 La corrente come si osserva, dalla curva superiore, parte dal valore I0, corrispondente al valore della corrente a vuoto, ed aumenta con la potenza resa, in quanto cresce la potenza attiva assorbita, e di conseguenza anche la corrente. 0 89 25 50 75 100 Come si osserva dalla curva superiore, l’andamento dello scorrimento percentuale risulta crescere all’aumentare della frazione di carico, più propriamente da un valore circa zero a vuoto, dove s = s0 fino a valori del 3% - 4% a pieno carico. CARATTERISTICA MECCANICA DEL MOTORE ASINCRONO TRIFASE La caratteristica meccanica di un motore asincrono è un grafico che rappresenta l’andamento della coppia C sviluppata dal motore in funzione della sua velocità n. Tale caratteristica si può descrivere anche in funzione dello scorrimento s, in quanto lo scorrimento s è legato alla velocità n. La relazione che lega la coppia alla velocità, attraverso la seguente relazione generale: C = P / . In relazione ai valori associati alla P ed alla si hanno diversi tipi di coppia: la coppia trasmessa Ct, detta anche coppia elettromagnetica, ed è data dal rapporto Ct = Pt / 0 = PJ2 / s 0 , in quanto è la coppia che esercita lo statore sul rotore per mezzo del campo magnetico rotante a velocità 0 ; la coppia meccanica totale Cm, che è data dal rapporto Cm = Pm / . Essa rappresenta la coppia associata alla potenza meccanica fornita all’albero con velocità . Si osserva che essa non è ancora la coppia utile, dato che la Pm comprende anche le perdite per attrito e ventilazione. Si può verificare che le due coppie introdotte hanno lo stesso valore: Cm = Pm / = Pt – PJ2 / , ma = 2 n / 60 e ricordando che, s = n0 – n / n0, da cui n0 s = n0 – n e da ciò posso anche ammettere, che n = n0 – n0 s = n0 ( 1 – s ). Ora se moltiplico ambo i membri della relazione ottenuta per 2 / 60 si ottiene: ( 2 / 60 ) n = ( 2 / 60 ) n0 ( 1 – s ), ossia = 0 ( 1 – s ). Quest’ultima relazione ci consente di scrivere: Cm = Pm / = Pt – PJ2 / = ( Pt – PJ2 ) / (0 ( 1 – s ) ), ma è anche vero che, PJ2 = s Pt e perciò scriverò, Cm = Pm / = ( Pt – PJ2 ) / (0 ( 1 – s ) ) = ( Pt – s Pt ) / (0 ( 1 – s ) ) = = Cm = Pt ( 1 – s ) / (0 ( 1 – s ) ) = = Cm = Pt / 0 = Ct , come volevasi dimostrare. La coppia meccanica resa Cr è la coppia che il motore fornisce al carico meccanico ad esso applicato, ossia i tratta della cosiddetta potenza utile. Essa si ottiene dal rapporto fra la potenza resa Pr e la velocità dell’albero. Questa coppia risulta leggermente minore della coppia meccanica totale Cm, essendo la potenza resa data da: Pr = Pm – Pav < Pm. Tenendo conto che il circuito equivalente semplificato statorico assume la seguente forma: 90 I2’ I1 j X1d R2’ jX2d’ R1 V1f I0 Rm’ Y0 oppure si può considerare lo schema, I1 R1cc j X1cc I0 V1f I2’ Rm’ Y0 possiamo ricordare che, R2’ + Rm’ = R2’/ s ed inoltre si ha, PJ2 = 3 R2’ I2’²; I2’ = ( V1 / √ 3 ) / √ ( ( R1 + R2’/s )² + ( X1d + X2d’ )² ). Scriveremo allora la Ct, che d’ora innanzi indicheremo solo come C, in questo modo: C = Ct = Pt / 0 = PJ2 / s 0 = 3 R2’ I2’² / s 0 = ( tenendo conto che è possibile esprimere 0 come 2 f / p ) = 3 R2’ I2’² / ( s 2 f / p ) = ( 3 p R2’ I2’² ) / ( 2 f s ) = = C = ( 3 p R2’ / 2 f s ) . ( V1 / √ 3 )² / √ ( ( R1 + R2’/s )² + ( X1d + X2d’ )² )² = p R2’ V1² =C= ( 2 f s ) . (( R1 + R2’/s )² + ( X1d + X2d’ )² ) Quest’ ultima relazione fornisce un’ottima approssimazione del legame esistente fra la coppia e lo scorrimento. In altri termini fornisce la caratteristica meccanica del motore nell’ipotesi di un funzionamento a tensione costante. Analizzando il legame fra la coppia e lo scorrimento si possono dedurre le seguenti conclusioni: per s = 0, ( sincronismo ), la coppia C risulta nulla; per s = 1, ( avviamento ), si ottiene la coppia di avviamento o di spunto, il cui valore è: Ca = ( p R2’ V1² ) / (( 2 f ) . (( R1 + R2’ )² + ( X1d + X2d’ )² )), che come si osserva dipende dal quadrato della tensione di alimentazione; esiste un valore di scorrimento, detto scorrimento critico ed indicato con scr, per il quale la coppia assume il valore massimo CM, i cui valori sono dati dalle seguenti relazioni: scr = R2’ / ( √ (R1² + ( X1d + X2d’ )² ) e ne segue che per CM è, CM = ( p V1² ) / ( 4 f ) ( R1 + √ ( R1² + ( X1d + X2d’ )² ). Nell’ipotesi, 91 come spesso accade che la resistenza R1 sia trascurabile, allora le relazioni precedenti assumono la seguente forma semplificata, scr = R2’/ ( X1d + X2d’ ) e CM = ( p V1² ) / ( 4 f ( X1d + X2d’ )). L’andamento della caratteristica meccanica è riportata nella figura qui di seguito tracciata: C CM Cn Ca = coppia di avviamento s 0 sn scr 0,5 1 n = n0 n=0 Spesso lungo l’asse delle ascisse viene posta la velocità n. Si osservi dallo stesso grafico che nei punti limiti s = 0 ed s = 1 corrispondono rispettivamente n = n0 e n = 0. Vogliamo qui invece, rappresentare l’andamento della coppia C in funzione del numero di giri n: C punto critico CM Caratteristica di Caratteristica di funzionamento funzionamento Cn P Cr INSTABILE STABILE Ca 0 ncr nn n0 n La retta di colore blu rappresenta la coppia resistente che viene determinata dal carico. Inoltre il punto P, visibile nel grafico superiore, rappresenta il punto di lavoro della macchina. La velocità critica ncr per la quale si ha la coppia massima CM si ha per. ncr = n0 ( 1 – scr ). E’ importante notare che sul valore dello scorrimento critico influisce notevolmente la resistenza R2’ = K0² R2. In altri termini sullo scorrimento critico incide molto il valore della resistenza rotorica, di conseguenza: all’aumentare della resistenza rotorica aumenta lo scorrimento critico e diminuisce la velocità critica, mentre la coppia massima rimane costante, 92 essendo indipendente da R2’. Si osserva pure che, all0aumentare della resistenza rotorica aumenta la coppia di spunto del motore. Nel funzionamento normale è bene che la resistenza rotorica sia di valore piccolo, per avere perdite più contenute nel rame rotorico e per consentire al rotore di viaggiare a velocità prossime a quelle di sincronismo. Normalmente il valore dello scorrimento critico varia tra il 10% - 20%. In questo grafico vengono rappresentate le caratteristiche meccaniche relative a diversi, ( a tre ), valori della resistenza rotorica: C CM 3 Ca3 2 Ca2 1 Ca1 0 scr1 scr2 scr3 Il punto di lavoro meccanico è determinato dal punto di intersezione tra la caratteristica meccanica del motore e quella della coppia resistente del carico. Se la velocità corrispondente al punto P è quella nominale, l’ordinata Cn, del punto P, costituisce la coppia nominale. Tenendo conto delle considerazioni svolte anche in precedenza possiamo dire che: per velocità comprese tra ncr ed n0 si è in condizioni di equilibrio meccanico stabile, in quanto ad un rallentamento corrisponde una aumento della coppia motrice e viceversa; per velocità inferiori a ncr si è in condizioni di equilibrio meccanico instabile; la velocità di coppia massima costituisce il valore critico di confine tra le due condizioni. ESERCIZIO Per un motore asincrono trifase con rotore avvolto valgono i seguenti dati: V1 = 380; f = 50 Hz; p = 2 coppie polari; K0 = 2,5. Inoltre con R2 = 20 m si ha ncr = 1350 giri /min. Se ne calcoli il valore della coppia massima ed il nuovo valore della resistenza rotorica R2 per avere la coppia massima all’avviamento. Inizialmente è necessario determinare il valore dello scorrimento critico, per poi risalire al valore della reattanza di dispersione totale utilizzando le relazioni precedenti e il valore della coppia massima. Calcoliamo la velocità di sincronismo: n0 = 60 f / p = 60 . 50 / 2 = = 1500 giri / min Lo scorrimento critico è dato da: scr = n0 - ncr / n0 = 1500 – 1350 / 1500 = = 0,1 93 X1d + X2d’ = R2’ / scr = K0² . R2 / scr = = 2,5² . 20 . 10-3 / 0,1 = 1,25 Per calcolare la coppia massima teniamo conto della seguente equazione: CM = ( p V1² ) / ( 4 f ( X1d + X2d’ )), che nel nostro caso risulterà uguale a, CM = ( 2 . 380² ) / ( 628,32 . 1,25) = = 367,71 Nm Infine, per avere la coppia massima all’avviamento, deve risultare scr = 1, ossia R2’ = X1d + X2d’ = 1,25 e da ciò scriveremo: R2 = R2’ / K0² = 1,25 / 2,5² = 0,2 . Il nuovo valore di R2 è 10 volte più grande di quello iniziale, essendo proprio uguale a 10 il rapporto fra i due scorrimenti critici; infatti 10 . 20 m = 200 m = 0,2, mentre 20 m corrispondono a 0,02 , e concludendo se scr = 0,1 per ottenere scr = 1, devo moltiplicare il valore precedente per 10. CENNI SUL FUNZIONAMENTO DA GENERATORE E DA FRENO DELLA MACCHINA ASINCRONA La macchina asincrona trifase può anche funzionare da generatore, anche se questa sua utilizzazione non è molto frequente. Il generatore asincrono può trovarsi in due configurazioni di funzionamento, ossia collegato ad una rete già in tensione a frequenza costante per la presenza di altri generatori prevalenti: motore primo G 3 oppure funziona in modo autonomo con collegamento ad un carico isolato, vedi schema di principio qui sotto riportato: motore primo Carico G 3 94 C Affinché la macchina funzioni da generatore devono verificarsi le seguenti condizioni: o il rotore deve essere posto in rotazione mediante un motore primo, nello stesso verso e con velocità superiore a quella del campo magnetico rotante, in modo tale da avere uno scorrimento negativo; o le fasi statoriche devono essere collegate alla rete o al carico, a cui forniscono la potenza elettrica attiva in uscita. Il funzionamento non avviene se alla macchina non viene fornita potenza reattiva induttiva, ( di tipo magnetizzante ). Nel caso in cui la macchina sia collegata ad una rete, la potenza induttiva è fornita dalla rete stessa, in quanto essa vede il generatore asincrono come un carico reattivo induttivo. Nel funzionamento da generatore isolato si devono inserire dei condensatori, collegati al circuito statorico che, assorbendo potenza reattiva capacitiva Qc, è come se fornissero alla macchina potenza reattiva induttiva QL. La caratteristica meccanica del generatore si ottiene prolungando per s < 0 la caratteristica vista per il motore asincrono, come si può osservare dal grafico di figura qui sotto riportato. La coppia nel funzionamento da generatore viene considerata negativa. Nel tratto in cui è s > 1, ed è una condizione in cui risulta n < 0, ossia è il caso in cui la macchina viene fatta ruotare forzatamente in senso opposto al campo magnetico rotante il suo comportamento è equivalente a quello di un freno. Questo è proprio il suo regime di funzionamento da freno. La figura, sotto riportata, rappresenta l’andamento qualitativo della caratteristica meccanica della macchina asincrona trifase nei vari regimi di funzionamento: C 95 s 1 funzionamento da generatore con s<0 funzionamento da motore con 0 s 1 96 freno con s >1