XVII GIORNATA
FAI DI PRIMAVERA
28-29 MARZO 2009
SCHEDE ARTISTICHE
PER LA FORMAZIONE DEGLI
“APPRENDISTI CICERONI”
PASSEGGIANDO ATTORNO A
VILLA NECCHI CAMPIGLIO
Architetture tra Liberty e Decò a Milano
FAI – Fondo per l’Ambiente Italiano, Settore Scuola Educazione, Viale Coni Zugna 5,
20144 Milano Tel. 02467615285 – Fax 0248193631 - www.faiscuola.it - [email protected]
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SIMBOLOGIA UTILIZZATA
Gentili insegnanti, gentili studenti,
Questa scheda è il testo fondamentale per la preparazione degli Allievi Ciceroni, scritto appositamente per la Giornata di Primavera 2009. Essa ripercorre la storia del quartiere intorno a
Villa Necchi Campiglio, ed è strutturata in modo da essere più
funzionale possibile in vista dell’esposizione al pubblico. All’interno del testo sono presenti numerosi collegamenti e spunti di
discussione, che potranno essere approfonditi in classe.
Illustriamo le icone utilizzate all’interno della scheda:
Profili
storici
Citazioni da documenti
storico-letterari
Definizioni
Biografie degli artisti
2
Approfondimento
dell’insegnante
Approfondimento
PREMESSA: IL QUARTIERE DI PORTA ORIENTALE
TRA SETTECENTO E OTTOCENTO
Il tratto più esterno dell’attuale Corso di Porta Venezia
corrisponde all’antico Borgo di Porta Orientale, lo spazio
di terre collocate tra le mura medievali (all’altezza di Via
Senato) e le mura spagnole (all’altezza di Piazza Oberdan). Fuori dalla cerchia di mura si trovava il Lazzaretto,
all’interno la contrada, fino al XVIII secolo, era poco edificata, e destinata a rustici e ortaglie appartenenti ai vicini
conventi di San Dionigi, delle Carcanine e dei Cappuccini.
Ecco come Alessandro Manzoni descrive il borgo nel capitolo XI de “I Promessi Sposi”, ambientati nella Milano del
Seicento:
- Saprebbe insegnarmi la strada più corta,
per andare al convento de' cappuccini dove sta il padre Bonaventura? [...]
- Siete fortunato, bravo giovine; il convento che cercate è poco lontano di qui. Prendete per questa viottola a mancina: è una
scorciatoia: in pochi minuti arriverete a una cantonata d'una fabbrica lunga e bassa: è il lazzeretto;
costeggiate il fossato che lo circonda, e riuscirete a porta
orientale. Entrate, e, dopo tre o quattrocento passi, vedrete una piazzetta con de' begli olmi: là è il convento: non
potete sbagliare. Dio v'assista, bravo giovine -. E, accompagnando l'ultime parole con un gesto grazioso della mano, se n'andò. Renzo rimase stupefatto e edificato della
buona maniera de' cittadini verso la gente di campagna; e
non sapeva ch'era un giorno fuor dell'ordinario, un giorno in cui le cappe
s'inchinavano ai farsetti. Fece la strada che gli era stata insegnata, e si
trovò a porta orientale. Non bisogna
però che, a questo nome, il lettore si
lasci correre alla fantasia l'immagini
che ora vi sono associate. Quando
Renzo entrò per quella porta, la strada al di fuori non andava diritta che
per tutta la lunghezza del lazzeretto;
poi scorreva serpeggiante e stretta,
tra due siepi. La porta consisteva in
due pilastri, con sopra una tettoia,
per riparare i battenti, e da una parte,
una casuccia per i gabellini. I bastioni
scendevano in pendìo irregolare, e il
Già nel I
secolo avanti Cristo
fu edificata
la
prima
cinta muraria, completata da
Ottaviano Augusto, di forma
quadrangolare e in seguito a
pliata nel III secolo d.C. da
l’Imperatore Massimiano. A
questa prima costruzione
seguì quella medievale, prima in legno, intorno al 1156,
distrutta dal Barbarossa, e
ricostruita in muratura nel
1171. Resti della cinta muraria medievale sono osservabili in Via San Damiano, all’altezza di Via Mozart.
L’edificazione della cerchia
dei Bastioni (mura spagnole), la cinta muraria esterna che proteggeva la
città, iniziò intorno al 1550,
per ordine del governatore
Ferrante Gonzaga. Completata dopo dieci anni, la cinta
era di forma circolare, con
una marcata rientranza in
corrispondenza del Castello
Sforzesco, e si estendeva su
un perimetro di oltre 11 Km,
che la rendeva una delle più
lunghe d’Europa.
1. Marc’Antonio Dal Re, Il Lazzaretto
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terreno era una superficie aspra e inuguale di rottami e di
cocci buttati là a caso. La strada che s'apriva dinanzi a chi
entrava per quella porta, non si paragonerebbe male a
quella che ora si presenta a chi entri da porta Tosa. Un
fossatello le scorreva nel mezzo, fino a poca distanza dalla porta, e la divideva così in due stradette tortuose, ricoperte di polvere o di fango, secondo la stagione. Al punto
dov'era, e dov'è tuttora quella viuzza chiamata di Borghetto, il fossatello si perdeva in una fogna. Lì c'era una colonna, con sopra una croce, detta di san Dionigi: a destra e
a sinistra, erano orti cinti di siepe e, ad intervalli, casucce,
abitate per lo più da lavandai.
Dopo la soppressione degli ordini monastici promossa
dall’amministrazione austriaca, numerosi interventi urbanistici, affidati a Giuseppe Piermarini e condotti tra il 1770 e
il 1790, cambiarono la fisionomia del quartiere: il corso
divenne la radiale per Vienna e le Venezie, fu coperto il
fossato dell’Acqualonga, e la strada pavimentata e allargata per consentire il passaggio delle carrozze. L’area
dell’abbazia di San Dionigi e del convento delle Carcanine
venne trasformata nei primi giardini pubblici di Milano, destinati alla ricreazione collettiva, dove si posizionarono
giostre e spazi per il divertimento. Il quartiere divenne così
residenza dei ceti nobiliari e delle classi agiate milanesi
soppiantando il corso di Porta Romana come luogo di
passeggio della buona società. Ancor di più alla moda divenne in epoca napoleonica, quando diviene
sede di feste e sfilate, e la
cerchia dei bastioni venne
utilizzata come larga e ombrosa via di passeggio.
La riqualificazione della zona si completa con la costruzione, nel 1826, dell’ingresso trionfale in Porta
Orientale, con i due caselli
daziari in stile neoclassico
di Rodolfo Vantini.
Porta Tosa era
un altro accesso
alla città che si
apriva nei bastioni. Al suo posto
ora possiamo ammirare l’obelisco
celebrativo delle 5 giornate
di Milano, costruito nel 1895
da Giuseppe Grandi
San Dionigi,
in origine Basilica Salvatoris et prophetarum,
era una della
quattro basiliche fondate da Sant’Ambrogio, insieme alla Basilica
Apostolorum, San Nazaro,
posta sulla strada verso Roma, la Basilica Martyrum, S.
Ambrogio, sulla via per le
Gallie e la Basilica Virginum,
San Simpliciano. Esse formavano una cinta di santuari che contenevano le reliquie di martiri locali e stranieri trasportati in città.
2. R. Vantini, Caselli daziari di Porta Venezia, 1826
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PASSEGGIANDO PER IL QUARTIERE
Tra palazzi e giardini: il sito di Villa Necchi Campiglio
(di Ornella Selvafolta, tratto da Villa Necchi Campiglio, a
cura di L. Borromeo, Milano, Electa, 2008, pagg. 15-19)
Non c’è cronaca o articolo di rivista milanese degli anni
Trenta che, parlando dell’area compresa tra via San Damiano (fiancheggiata dal Naviglio interno fino al 1929),
corso Venezia e corso Monforte, trascuri di sottolineare
l’eccezionale carattere di un sito «centralissimo» e pur tuttavia «sereno e tranquillo», plongé dans le vert, come aveva scritto Stendhal estasiato dai bei giardini milanesi.
Ed è effettivamente il connubio tra verde, quiete e prossimità al centro cittadino, tradizionale luogo di traffico e dinamismo, a costituire, allora come oggi, un’innegabile prerogativa del quartiere ove si situa la residenza Necchi
Campiglio con la sua peculiare architettura di villa.
La realizzazione, avvenuta tra il 1932 e il 1935, rappresenta quasi un punto di arrivo per le trasformazioni di una
zona che, contrassegnata dalla presenza di antiche proprietà monastiche e di palazzi nobiliari sette-ottocenteschi
dotati di grandi giardini, è stata ulteriormente edificata nel
corso del tempo subendo una graduale erosione delle sue
aree verdi.
I Navigli milanesi sono
canali artificiali costruiti
a partire dal
medioevo
per il trasporto delle merci e il collegamento tra Milano e la periferia. La fossa interna,
coperta negli anni venti del
Novecento, costeggiava le
mura medievali, e corrispondeva all’attuale circonvallazione interna (vie Fatebenefratelli, Senato, San Damiano, Visconti di Modrone,
Francesco Sforza, Santa
Sofia, Molino delle Armi,
Carducci, De Amicis, Piazza
Castello e Pontaccio).
“Avere una
bella
casa
contribuisce
al prestigio
personale
assai più di
un portafoglio gonfio di milioni. Se la casa si fa notare
per la sua bellezza, prende
subito il nome del proprietario. L’ambizione segreta di
tutti i Milanesi è di costruirsi
un palazzo, o per lo meno di
rinnovare la facciata di quello ereditato dai padri.”
Stendhal
(Sthendal, Roma Napoli Firenze, Bari, Laterza, 1990,
pag.22)
3. P. Portaluppi, Villa Necchi Campiglio, 1932-1935
5
Percorsa solamente dagli stretti e tortuosi passaggi del
vicolo dei Cappuccini (così chiamato per l’esistenza del
convento dei frati) e della «strada del Vivaio» (dove si
“allevavano” e vendevano piante), l’area si qualificava infatti per gli ampi spazi a ortaglie e giardino compresi tra
corso Venezia, con palazzo Serbelloni (poi Sola Busca) e
corso Monforte, con i palazzi Cicogna, Diotti (oggi sede
della Prefettura) e Isimbardi (oggi sede della Provincia):
dietro le loro facciate il verde privato si estendeva senza
soluzione di continuità intersecando i confini delle proprietà e formando una delle straordinarie oasi di verzura che
qualificavano lo scenario della Milano ottocentesca.
Nel 1890 - 1892 la costruzione della nuova sede dell’Istituto dei Ciechi (architetto Giuseppe Pirovano), allora con
unico affaccio su via Vivaio, segnava la prima
“occupazione” degli spazi verdi facendo seguito alla vendita di parte del giardino Cicogna all’ente assistenziale ;
nel contempo l’entrata in vigore del Piano Regolatore
del 1889 portava con sé una serie di cambiamenti che,
pur avvenendo principalmente nella fascia esterna ai Bastioni, ebbero conseguenze sull’intero tessuto urbano e
sulla stessa cultura della città, prospettandone un futuro
più favorevole al cambiamento, allo sviluppo e alla messa
in valore che alla conservazione e alla difesa degli antichi
equilibri.
In questa prospettiva si inseriva nel 1907 la convenzione
stipulata tra il Comune di Milano e la contessa Antonietta
Sola Busca (proprietaria del palazzo e giardino già Serbelloni) per «l’apertura di nuove strade tra le vie Cappuccini, Vivajo e S. Damiano»; in base a tale accordo la proprietà privata cedeva all’ente pubblico parte dei terreni
necessari alla nuova viabilità, ottenendo in cambio la possibilità di costruire lungo gli affacci. La convenzione, denominata «Piano Regolatore Speciale», stabiliva i termini di una prassi non inusuale che assecondava le tendenze edificatorie attraverso l’infittirsi della maglia viaria: da
un lato facilitando la circolazione e i collegamenti e, dall’altro, provvedendo l’impianto dei futuri quartieri.
Sulle mappe di Milano degli anni dieci del Novecento iniziano così a comparire le vie Michele Barozzi, Gabrio
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Lo sviluppo
urbanistico e
demografico
della Milano
post-unitaria
accentuò il
dibattito architettonico dell’epoca: per
riordinare le costruzioni ed
evitare speculazioni, l’Ing.
Cesare Beruto venne incaricato di redigere il primo Piano Regolatore. Il piano prevedeva lo sviluppo di grandi
insediamenti produttivi nei
comuni vicini a Milano, e
l’accentramento amministrativo tra piazza della Scala, il
Cordusio e la Biblioteca Ambrosiana. Per collegare le
zone centrali venne progettato e attuato lo sventramento dell’asse Duomo Castello
in favore della’apertura di
Via Dante.
Le scelte di Beruto vennero
confermata anche dal Secondo Piano Regolatore,
redatto dagli ingegneri Angelo Pavia e Giovanni Masera nel 1912.
Il Piano Regolatore Speciale aveva:
«il precipuo intento di eliminare […] l’inconveniente della eccessiva ristrettezza e
tortuosità del tratto di via
Cappuccini in prossimità al
corso Venezia […] e di formare un incrocio di strade
abbastanza ampio, delimitanti regolari isolati, sui quali
non mancheranno di sorgere
decorosi edifici».
Serbelloni e Volfango Mozart, approvate con Decreto Reale nel 1908, poi inserite nel Piano Regolatore Pavia Masera del 1912 come base planimetrica per le future costruzioni. L’edificazione procedette veloce e intensiva nei
tratti in direzione di corso Venezia e i Bastioni Monforte
(oggi viale Majno), ma abbisognava di maggiori attenzioni
nelle parti contigue ai giardini verso la via San Damiano,
in virtù del loro pregio ambientale. Via Mozart, in particolare, che tagliava in due l’ex giardino Sola-Busca e che risultava completamente attorniata dal verde, fu oggetto di
una specifica riflessione che, in un certo senso, intendeva
“compensare” la futura occupazione del suolo con la qualità e il decoro degli interventi architettonici.
Ne è testimonianza la proposta di lottizzazione, elaborata
in diverse varianti tra il 1924 e il 1930, dall’architetto Aldo
Andreani su incarico della proprietà Sola Busca: proposta,
non a caso soggetta all’approvazione della Soprintendenza ai Monumenti della Lombardia. Pur «mettendo a frutto
buona parte dell’ex parco patrizio», il progetto
(parzialmente realizzato) si premurava così di lasciare
ampie zone libere e a verde, stabiliva un’area di rispetto
tra il palazzo e le nuove costruzioni, “giocava” sull’alternanza tra edifici alti e bassi e su una complessiva cifra architettonica che, nella variazione di volumi e materiali, colori e dettagli, sembrava tradurre in pietra l’animazione pittoresca propria all’estetica dei giardini.
Casa Necchi Campiglio andava quindi ad insediarsi in un
contesto di grande fascino architettonico-paesaggistico
dove, nei primi anni Trenta, erano già presenti architetture
tre le più rappresentative dell’opera di Andreani. Si vedano in via Mozart palazzo Fidia (1926-1930), inconfondibile
per l’altezza, il volume movimentato, le superfici ondulate
e il colore acceso del rivestimento in mattoni; e più oltre,
lungo la via Serbelloni, il complesso ai numeri 10-12
(1927-1930) dove la pietra modellata e le parti a intonaco
si compongono in un’architettura scultorea, quasi evocata
dall’orecchio in bronzo posto a lato della porta di ingresso.
Nel quartiere in costruzione si segnala già anche il nome
di Piero Portaluppi che di lì a breve sarà l’architetto di villa
Necchi Campiglio: sua è infatti in via Mozart 9, a lato di
7
palazzo Fidia, la palazzina, in origine villa Zanoletti e oggi
sede del Circolo Mozart (1927-1930), e sue sono alcune
realizzazioni nelle vicinanze che, a buon diritto, si possono considerare tra le più significative e qualificanti non soltanto della zona, bensì della Milano a cavallo fra gli anni
Venti e Trenta, testimoni del suo sviluppo edilizio e insieme della sua cultura architettonica e avanzamento scientifico: in via Salvini i palazzi della Società Excelsior riuniti
dal grande arco in affaccio su corso Venezia (1926-1930),
sorti, insieme agli edifici di piazza Duse, sulle aree verdi
del soppresso convento dei Cappuccini; ai giardini pubblici, il Planetario, aperto nel 1930 grazie alla donazione dell’editore Ulrico Hoepli: un’architettura nel parco per conoscere «la scienza degli Astronomi» e per contemplare il
cielo stellato.
E’ uno tra «più signorili quartieri
della città», «uno scenario di
architetture originali» nato «tra
le verdi quinte delle piante superstiti» dagli antichi parchi,
scriveva nel 1931 l’architetto
Renzo Gerla sulla rivista municipale «Milano», sintetizzando così il quadro d’assieme che doveva aver subito attratto i Necchi
Campiglio per la costruzione
della loro casa milanese: un vero luogo d’elezione dove l’aura
dell’aristocrazia milanese, dei
suoi palazzi e dei suoi giardini
poteva trasmettersi alla qualità
delle nuove architetture e conferire alla moderna élite imprenditoriale il compito di continuarne
la signorilità e la bellezza.
4. P. Portaluppi, Villa Necchi Campiglio, 1932-1935
8
PALAZZO CASTIGLIONI (1901-1903)
Palazzo Castiglioni rappresenta il manifesto del liberty a
Milano: la sua edificazione ebbe un’eco pari ai padiglioni
dell’Esposizione di Torino del 1902, e divenne il palazzo
più citato dalla critica italiana (sia contemporanea che
successiva) per le sue caratteristiche progettuali e decorative. Proprietaria e committente del palazzo fu la famiglia Castiglioni, esponente della borghesia imprenditoriale
milanese: nel 1900 Ermenegildo Castiglioni ereditò le fortune del nonno, l’industriale filantropo che face costruire
opifici industriali e case operaie, e commissionò il mausoleo della famiglia presso il Cimitero Monumentale di Milano. Proprio nel 1900, per celebrare la famiglia e dimostrare il suo interesse per la modernità, fece costruire la sua
grandiosa residenza in Corso Venezia, collocazione non
casuale, proprio perché sul Corso si affacciano tuttora le
ville nobiliari costruite nel Settecento e nell’Ottocento: palazzo Castiglioni, in un tessuto urbano già strutturato, diventa una provocatoria chiamata a confrontarsi con la
modernità.
Ermenegildo Castiglioni, in preparazione alla costruzione
del palazzo, partì con l’architetto Giuseppe Sommaruga
per un viaggio studio in Francia e Gran Bretagna, alla
scoperta di tecniche, materiali e tipologie delle nuove correnti architettoniche. Sommaruga assimilò la lezione dell’Art Nouveau tradizionale, ma reinterpretandolo in chiave
totalmente personale, soprattutto negli elementi formali e
decorativi, per cui fornì alle maestranze cartoni e disegni
esecutivi. Sommaruga colse soprattutto le forme slittanti e
a serpentello dello stile Art Nouveau europeo, tralasciando però le astrazioni moderniste, che compariranno successivamente nelle architetture Art Decò.
Il Palazzo occupa un’area di 3500 metri quadri, con corpi
di fabbrica alti 22 metri e due facciate di 35, una su Corso
Venezia, l’altra su via Marina, con il giardino e la scuderia.
I piani del palazzo sono tre: il piano superiore era suddiviso in appartamenti dati in affitto, mentre il piano terra e il
piano nobile erano riservati alla famiglia Castiglioni, che
aveva a disposizione ambienti privati e sale di ricevimento
9
Il “Liberty” (o stile
floreale) è un movimento artistico
che, tra la fine dell’Ottocento e gli
inizi del Novecento, interessò l’architettura e le arti decorative
in Europa e negli Stati Uniti.
Ebbe una vasta e veloce diffusione, grazie ai processi di
industrializzazione, che rafforzarono la classe borghese, e le grandi esposizioni
mondiali, che favorivano la
circolazione delle esperienza
artistiche.
In architettura il liberty rifiutò
il recupero degli stili storici
del passato, per ispirarsi direttamente alla natura e alle
forme vegetali: questo portò
alla creazione di uno stile
nuovo, totalmente originale
rispetto all’eclettismo allora
in voga, caratterizzato da un
accentuato linearismo, eleganza decorativa e carattere
metamorfico.
Il Liberty in Europa:
Art Nouveau;
Jugendstil;
Secessione;
Modern Style.
5. Dettaglio di una finestra in ferro
battuto al pian terreno del palazzo
e di soggiorno, come il jardin d’hiver con veranda a vetrata, un salone, il salotto, sala da
pranzo e da gioco, sala da biliardo.
La facciata sul corso come appare oggi è
parzialmente alterata rispetto al progetto originale: rimane immutata rispetto al disegno
di Sommaruga la suddivisione dei piani, con
una base a bugnato rustico (pietre fortemente aggettanti rispetto al livello della facciata)
e finestre ad oblò, con ampie finestre rettangolari sormontate da putti al piano nobile, e
tripartite da colonne all’ultimo piano.
I materiali utilizzati sono marmo di Carrara
per le sculture e travertino nel rivestimento.
6. Ingresso di Palazzo Castiglioni
Il palazzo venne inaugurato nel maggio del
Il marmo di Car1903, provocando grande scalpore, sia per gli elementi
rara, estratto dalle Alpi Apuane in
decorativi innovativi (angioletti in pietra, rocce di cemento,
prossimità di Carfoglie modellate nel ferro battuto), ma soprattutto per la
rara è uno dei
presenza, ai lati del portale d’ingresso, di due provocatorie
marmi più pregiati
e utilizzati nella
figure allegoriche della Pace e dell’Industria, duramente
storia dell’arte.
criticate per l’incomprensibilità del loro significato in relaIl travertino è una roccia
sedimentaria calcarea di tipo
zione alla collocazione, e per il realismo nella resa dei corchimico, molto utilizzata in
pi (tanto che il palazzo venne soprannominato dai milanesi
edilizia, in particolare a Ro“Cà di Ciapp”).
ma, fin dal I millennio AC.
Le aspre critiche nei confronti delle
sculture (realizzate da Ernersto Bazzaro, lo stesso autore del Mausoleo
Castiglioni al Monumentale), indussero Ermenegildo a rimuovere le statue, che vennero collocate nel 1914
sulla facciata verso il giardino privato
della Villa Faccanoni, opera del
Sommaruga, ora Clinica Columbus,
in via Buonarroti.
L’equilibrio di pieni e vuoti in prossimità del portale venne quindi alterato: questo portò Sommaruga a chiudere la finestra aperta al di sopra
dell’ingresso, e a sostituirla con un
pannello in marmo decorato con ele7. Le sculture di Bazzaro spostate alla Clinica Columbus
10
menti vegetali in pietra scolpita (opera di Ambrogio Pirovano), che possiamo ammirare ancora oggi.
Gli interni del palazzo sono stati in parte rimaneggiati: rimangono inalterate poche sale, come la “Sala dei Pavoni”
e la monumentale scala d’ingresso a due rampe, impreziosita dalle vetrate policrome, dal corrimano in ferro battuto dal disegno floreale, dal fregio continuo movimentato
da putti che giocano con animali marini e intagli in stucco.
8. Facciata e ingresso di Palazzo Castiglioni
11
Per un percorso
liberty al Cimitero
Monumentale cerca:
- L. Bistolfi, Il sogno, Tomba Cairati Vogt, 1900
- M. Vedani, L’ultimo bacio,
Edicola Bonelli, 1907
- E. Bazzaro, Edicola di Romolo Squadrelli, 1910
- F. Penna, I gigli del cielo,
Monumento Elisi, 1916
CASE BERRI MEREGALLI (1910-1919)
Se Palazzo Castiglioni rappresenta l’inizio
dell’architettura Liberty a Milano, le opere di
Giulio Ulisse Arata ne rappresentano la conclusione, con il suo stile eclettico caratterizzato da un incipiente razionalismo, che si
manifesterà soprattutto con il suo ultimo progetto, l’Ospedale Niguarda.
Nel 1910 realizzò la prima delle case Berri
Meregalli, in via Barozzi angolo via Mozart,
una costruzione tradizionale nelle forme, ma
9. G.U. Arata, Ospedale Niguarda, Milano, 1939
con una potente struttura ingentilita da teste
di animali poste nell’incorniciatura delle finestre e come
sostegno alle balaustre dei balconi.
Razionalismo
10-11. G.U. Arata, Casa Berri
Meregalli in via Barozzi angolo
via Mozart, 1910.
A fianco la facciata, sotto il particolare di una finestra con balcone.
La facciata della seconda casa Berri Meregalli (numero 21
di via Mozart) è rivestita in mattonelle di diverse dimensioni, ed è caratterizzata da un’imponente balconata sostenuta da teste di ariete, cornici in calcestruzzo, piccoli balconi con colonnine e pilastri dai capitelli floreali e maschere di animali mostruosi, dalle cui fauci fuoriescono i pluviali. Il complesso di questi elementi, insieme alla diversa
12
trattazione delle superfici in pietra, acuisce gli effetti
chiaroscurali. Adeguati allo stile magniloquente della facciata sono le due figure dipinte ad affresco ai
lati della balconata centrale, opera di Pietro Adamo
Rimoldi. Questa costruzione è databile tra il 1910 e
il 1912.
L’anno successivo Arata costruisce il terzo palazzo
Berri Meregalli, non molto lontano dai precedenti, in
via Cappuccini 8, angolo via Vivaio.
La facciata, lontana dai modi floreali del primo liberty, è un insieme eclettico di ascendenze romaniche, gotiche e rinascimentali (Arata viene spesso
paragonato allo spagnolo Gaudì), con una particolare cura nella scelta dei materiali, che danno luogo
a volumetrie articolate, ricche di effetti cromatici e
plastici. Lo schema utilizzato è quello della casa
d’angolo, molto frequente nelle costruzioni del periodo, con un portone angolare inserito in grandi
blocchi di pietra, e due facciate decorate con putti (vedi
Palazzo Castiglioni), teste d’ariete e di bovino. I ferri battuti sono opera del famoso “fabbro ornamentista” Alessandro Mazzuccotelli. Nell’ingresso del palazzo, costruito come l’antro di una caverna, è collocata la Vittoria Alata di
Adolfo Wildt (1919).
12. G.U. Arata, Casa Berri Meregalli in via Mozart, 19101912.
13-14. G.U. Arata, Casa Berri Meregalli in via Cappuccini
8, 1910-1919. A fianco: l’ingresso ad angolo.
Sopra: dettaglio con le finestre in pietra, le lesene in mattone con mosaici, e i putti decorativi che sostengono i pluviali.
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IL COMPLESSO DEI SOLA BUSCA DELL’ANDREANI
(1924-1930)
L’area occupata dal giardino dei Sola Busca (già Serbelloni), avrebbe dovuto, secondo il piano regolatore speciale,
essere interamente occupato dalle costruzioni di Aldo Andreani, ma il progetto rimase incompiuto. Del programma
fanno parte le costruzioni realizzate sul lotto trapezoidale
delimitato dalle vie Mozart, Melegari, Maffei e Serbelloni.
Sull’angolo tra via Melegari e via Mozart, di fronte all’ingresso di Villa Necchi Campiglio, troviamo Palazzo Fidia,
ai tempi definito “folle”, per la trattazione dei volumi, estremamente mossa e frammentata, ma comunque strettamente connessa con i fabbricati adiacenti. Andreani annulla la distinzione tra facciata e retro dell’edificio, rompendo la tradizione di applicare una veste decorativa sulla
facciata principale: il rifiuto delle regole accademiche è
netto, mentre sono evidenti le suggestioni di matrice futurista. Il palazzo è ricco di elementi stilistici disparati (dal
costruttivismo al liberty), ma fusi in un complesso origina14
Dal “Manifesto dell’architettura futurista”, scritto da
Antonio Sant’Elia nel 1914.
Non si tratta di
trovare sagome,
nuove
marginature di
finestre e di
porte, di sostituire colonne, pilastri, mensole con cariatidi, mosconi,
rane; non si tratta di lasciare
la facciata a mattone nudo, o
di intonacarla, o di rivestirla
di pietra, né di determinare
differenze formali tra l’edificio nuovo e quello vecchio;
ma di creare di sana pianta
la casa futurista, di costruirla
con ogni risorsa della scienza e della tecnica, appagando signorilmente ogni esigenza del nostro costume e
del nostro spirito, calpestando quanto è grottesco, pesante e antitetico con noi
(tradizione, stile, estetica,
proporzione) determinando
nuove forme, nuove linee,
una nuova armonia di profili
e di volumi, un’architettura
che abbia la sua ragion d’essere solo nelle condizioni
speciali della vita moderna, e
la sua rispondenza come
valore estetico nella nostra
sensibilità. Quest’architettura
non può essere soggetta a
nessuna legge di continuità
storica. Deve essere nuova,
come è nuovo il nostro stato
d’animo.
Michelangelo Antonioni ambientò
una scena notturna del suo primo
lungometraggio,
“Cronaca di un
amore”, con Lucia
Bosè, proprio davanti a Palazzo Fidia.
le. Le superfici sono rivestite con tipici materiali lombardi,
il mattone, soprattutto, posato con differenti tessiture, ed il
ceppo nelle varietà cromatiche disponibili. La pareti sono
modulate mediante la diversa disposizione dei mattoni, i
tagli, le cesure improvvise, i balconi, i bovindo e le pensiline. Il vertice del palazzo coincide con il monumentale portale d'ingresso, incorniciato e preceduto da una scala mistilinea. Le reazioni delle critica del tempo furono contrastanti: per alcuni l’edificio fu considerato una "sarabanda
sfrenata", "jazz architettonico", per altri un "sonoro ceffone
a tutti i bigotti della tradizione", il riflesso di un artista a tutto tondo, autore di "esperimenti architettonici d'un pittoresco e d'un impensato veramente sconcertanti".
Gli altri due edifici del complesso presentano invece superfici lineari, con finestre rettangolari e cornici marcapiano, di natura costruttivista, in cui l’unico elemento decorativo è riscontabile nell’accostamento di materiali differenti
(palazzo di via Maffei-Serbelloni) e nella diversa posa dei
mattoni che provoca effetti chiaroscurali (palazzo di via
Maffei-Melegari)
Andreani era anche scultore, allievo di Adolfo Wildt a Brera, come testimonia anchel’orecchio-citofono in bronzo del
palazzo in via Serbelloni 10 (per questo motivo soprannominato dai milanesi Cà dell’orèggia).
15. A. Andreani, gli
altri due edifici del
complesso Sola Busca, 1924-1930. Il primo presenta un’alta
base in pietra (Palazzo
di
via
MaffeiSerbelloni), nel secondo si noti il rivestimento in cotto (Palazzo di
via Maffei- Melegari).
l termine bovindo
deriva dall'italianizzazione della
parola
inglese
bow
window
(trad. finestra ad
arco).
Il bow window
consiste in un
particolare tipo di finestratura,
in cui gli infissi e le ante vetrate
non sono allineate al muro ma
risultano seguire un percorso
ad arco orizzontale aggettante
dalla muratura, da cui il termine
inglese. Tale finestra è sempre
realizzata ad altezza superiore
rispetto alla quota di calpestio.
16. A. Andreani, Palazzo Fidia, 19291930.
15
VILLE RASINI (1924-1926) E ZANOLETTI (1927-1930)
Villa Rasini, al numero 5 di via Maffei, di fronte al nucleo
di edifici descritti in precedenza, occupa un’area irregolare, quasi un triangolo, e si affaccia direttamente sul giardino dei Sola Busca, già Serbelloni. Adiacente alla palazzina troviamo la villa, commissionata dall’industriale Alberto
Zanoletti, edificata da Piero Portaluppi rispettando il progetto originale sviluppato dall’Andreani. La richiesta di licenza edilizia assicura che l’edificio “sorgerà simmetrico e
letteralmente uguale a quello in corso di costruzione”, progettato da Andreani. Tale adeguamento investe l’”ordine
architettonico, le altezze dei piani, gli scomparti delle fronti, la distribuzione delle aperture, la natura del materiale di
costruzione”. Viene inoltre garantito che “tutti i minimi particolari decorativi esterni saranno la riproduzione fedele
ed esatta” di quelli che compongono l’esterno del palazzo
di Andreani. Le uniche variazioni riguardano la distribuzione interna e l’aggiunta di un portale e una terrazza verso il
giardino.
Villa Zanoletti ha un rivestimento esterno in ceppo e granito (il medesimo materiale utilizzato per Villa Necchi
Campiglio) ed è articolato su due piani, con un sotterraneo per i locali di servizio
ed un sottotetto. Un piccolo edificio separato da
un giardino e prospettante su via Mozart ospita la
portineria e i garages.
22. A. Andreani, Villa Rasini, angolo via Mozart-Maffei (di fronte a Palazzo Fidia).
16
PIAZZA DUSE
Su Piazza Duse si affaccia l’edificio d’angolo con abitazioni e uffici, opera principale di Gigiotti Zanini (1933-1934), con due corpi
che si affacciano su via Salvini e
via Pietro Cossa, e due corti interne: fu innovativo sul piano tecnologico e per il rigore dell’impianto, e si valse nei prospetti e
negli interni di un linguaggio classico semplificato e stilizzato, ricondotto ad un mandato di razionalizzazione formale, di costruzione di un ordito; il fronte
principale è disegnato dividendo le superfici con elementi
architettonici e mediante l’uso di materiali differenti.
Sul lato opposto della piazza, al numero 3, possiamo vedere un palazzo novecentista di Pier Giulio Magistretti
(1925): partecipando al generale clima di “ritorno all’ordine” dopo l’esperienza delle avanguardie, gli architetti di
Novecento (G. Muzio, G. Ponti, E. Lancia, P. Portaluppi)
dichiaravano di considerare l’architettura neoclassica del
primo Ottocento lombardo come l’ultima esperienza di livello europeo vissuta dall’architettura italiana. Prendendo
le distanze dall’elaborata architettura liberty, ritornano in questo
edificio superfici regolari, scandite orizzontalmente da cornici
marcapiano e verticalmente dal
corpo centrale lievemente rientrato. La parte terminale della
facciata è decorata con un timpano con il bassorilievo del carro
del sole, e quattro sculture per
parte.
Sugli altri due lati della piazza
troviamo palazzi del 1922.
17. G. Zanini, Palazzo in Piazza Duse 2 con il proseguimento
in via Salvini. Sullo sfondo Palazzo Buonarroti Carpaccio
Giotto di Portaluppi.
18. P.G. Magistretti, Palazzo in Piazza Duse 3, 1925
17
PALAZZO DELLA SOCIETA’ BUONARROTI CARPACCIO
GIOTTO (1926-1930)
Questo palazzo fa parte di una grossa edificazione attorno a Piazza Duse del nuovo quartiere Excelsior, in seguito ad una convenzione stipulata con il comune di Milano
nel 1923. La convenzione sancì il diritto a risolvere l’accesso del Corso Venezia al nuovo quartiere tramite un’apertura coperta a volta, sotto i piani abitati. La destinazione del palazzo era prevalentemente residenziale, anche
se era previsto l’impiego commerciale del pian terreno e
del piano ammezzato.
L’edificio di Piero Portaluppi è costituito da tre grandi blocchi: due corpi simmetrici lungo via Salvini, ed un terzo affacciato su Corso Venezia con un grande arco centrale
voltato a botte. In origine Portaluppi aveva pensato ad una soluzione a tre aperture, due pedonali ed una per il
passaggio delle auto, ma, in seguito ad una controversia
con i proprietari dei palazzi adiacenti, le autorità giudiziarie imposero la realizzazione di un arco a fornice unico.
19. P. Portaluppi, Palazzo della Società Buonarroti Carpaccio
Giotto, 1926-1930.
18
Per “Art Decò” si
intende il gusto
della società borghese del primo
dopoguerra, e non
una vera e propria
corrente artistica
programmatica (come era
stato, ed esempio, lo stile
Liberty). Il termine deriva dall’”Exposition internationale
des arts décoratifs et industriles modernes”, tenutasi a
Parigi nel 1925. Lo stile decò
presenta caratteri marcatamente grafici, ed è caratterizzato da una forte sensibilità
disegnativa e decorativa:
questo è il principale legame
con i precedenti Art Nouveau. Si discosta invece nella
scelta di ritmiche simmetriche e geometriche, impostate su tagli compositivi ad angolo retto, derivati soprattutto
dalla scuola viennese, che
aveva elaborato strutture eleganti ma asciutte, adatte
soprattutto ad un utilizzo tipografico. La decorazione è
considerata inscindibile dalla
funzionalità, nel presupposto
che per tutti gli oggetti d’uso i
valori estetici sono basilari e
non secondari rispetto l’impiego pratico.
La facciata principale dell’edificio ha un’impostazione classica, rilevabile dalla tripartizione orizzontale mediante cornicioni marcapiano, che delimitano la base, corrispondente alle colonne centrali dell’arco, la parte centrale, corrispondente con la zona voltata a botte, e il piano mansardato. La scansione degli spazi è evidente anche a livello
verticale: il corpo centrale, caratterizzato da finestre ad
arco che richiamano il passaggio sottostante, è leggermente arretrato rispetto ai due laterali.
Gli elementi decorativi sono tratti dal linguaggio secessionista e decò, in particolare nella decorazione a zig zag
della volta, che ricorda delle losanghe (cifra stilistica di
Portaluppi, ampliamente utilizzata presso la Villa Necchi
Campiglio), i doppi quadrati nel basamento e le bande a
labirinto nelle facciate di via Salvini.
20-21. P. Portaluppi,
Palazzo della Società
Buonarroti Carpaccio
Giotto, 1926-1930.
A fianco: particolare
decorativo sul lato in
via Salvini;
Sotto: pianta del palazzo.
Roberto Papini,
introduzione da
“Le arti di oggi”,
Milano, 1930
Si delinearono fin da principio tre tendenze estetiche
principali:
una tendenza
occidentale [...];
nordico
una tendenza orientale [...];
una
tendenza
latina
rappresentata
quasi
esclusivamente da italiani,
eredi legittimi dello spirito
ellenico-italico, rifuggenti
altrettanto dall’astrazione
nordica quanto dalla
sensualità
orientale,
assimilatori ed equilibratori
incomparabili, lenti ad
accettare il nuovo ma pronti
poi a trasformarlo in atti di
lucida coscienza, in forme di
stile durevoli e definitive.
Una tendenza cioè sempre
intesa a fondere in unità di
organismo la costruzione
con la decorazione, a
rivestire e commentare gli
scheletri struttivi col
movimento delle masse
murarie concepite con spirito
plastico, sottolineate dal
colore.
La terza tendenza è quella
che comincia oggi a
prevalere.
19
ALTRI EDIFICI TRA VIA
VIVAIO E CORSO VENEZIA
ISTITUTO DEI CIECHI VIA VIVAIO
(1892)
L'ideazione dell'Istituto
risale al lontano 1836 e
ha un nome: Michele Barozzi. Il Barozzi iniziò il
suo incarico presso la
"Pia Casa di Industria"
sita in Via S. Vincenzo,
organizzando un reparto
per i non vedenti. Il nascente Istituto trovò nei 23. G. Pirovano, Istituto dei ciechi in via Vivaio, 1892.
Conti Mondolfo i suoi
principali benefattori, essi acquistarono spazi presso Porta Nuova, ove l'Istituto si trasferì.
Nel 1864, l'Istituto di Milano aveva adottato, primo in Italia, l'alfabeto "Braille", destinato ad
assumere una così grande importanza nella istruzione dei ciechi. Il 12 ottobre del 1892 l'Istituto lasciava la sede di Porta Nuova per quella definitiva di Via Vivaio.
La sede dell'Istituto dei Ciechi fu progettata dall'Arch. Giuseppe Pirovano in stile eclettico, ed
edificata in seguito ad un importante lascito. La costruzione, inaugurata il 3 novembre 1892,
è sorta con lo scopo di ospitare i fanciulli non vedenti e curare la loro istruzione. Nel 1925
l'Istituto realizzò il pensionato Casa Famiglia. Nel 1926 l'Istituto dei Ciechi venne dichiarato
Istituto Scolastico ed fu posto alle dipendenze del Ministero della Pubblica Istruzione.
Nel 1939 vide l'istituzione della Scuola di Avviamento Professionale per ciechi: essa assorbiva il laboratorio di vimini, la falegnameria e il maglificio. Negli ultimi decenni molti cambiamenti sono intervenuti a ridare nuovo impulso all'operato dell'Istituto orientando le scelte verso nuovi servizi più aderenti ai moderni concetti di assistenza e di educazione.
PLANETARIO HOEPLI (1929-1930) - CORSO VENEZIA
Il planetario è una tra le più note architetture milanesi di Portaluppi, finanziato dall’editore di
origine svizzera Ulrico Hoepli, a cui venne l’idea di donare alla città proprio questo edificio,
ispirandosi alla costruzione nel 1926 del planetario di Roma, sostenuta da Mussolini.
Il planetario è concepito in forme classicheggianti, con una base ottagonale sormontata da
una cupola emisferica. Il chiaro riferimento ai templi classici è dato dal pronao con timpano
sostenuto da quattro colonne ioniche. L’esterno è rivestito in pietra, mentre il pronao è in
marmo di Crevola d’Ossola.
20
TORRE RASINI (1932-1935) - PIAZZA OBERDAN
La torre Rasini è l’ultima delle collaborazioni tra gli architetti Gio Ponti ed Emilio Lancia. L’edificio ad angolo è composto da due blocchi nettamente distinti per le forme e l’uso di diversi
materiali: la torre, rivestita di mattoncini di klinker (materiale ceramico inventato negli anni
Trenta, noto per la sua resistenza. Venne utilizzato in Italia per la prima volta da Giovanni
Muzio al Palazzo della Triennale) e l’edificio ad angolo coperto da lastre di marmo bianco.
La torre, alta dodici piani, presenta un bovindo semicircolare e terrazze pensili nella parte
superiore: la visione dai bastioni cela completamente la sua planimetria, in realtà allungata e
degradante verso i Giardini di Porta Venezia.
PALAZZO ISIMBARDI - VIA VIVAIO
Palazzo Isimbardi è oggi la sede dell’Amministrazione Provinciale di Milano. Il nucleo più antico ha origini quattrocentesche, poi ampliato e modificato nei secoli successivi. La facciata
su corso Monforte è settecentesca, con larghe cornici a stucco. Il cortile interno porticato risale al 1500, mentre verso il giardino la facciata è neoclassica.
24. G. Ponti, E. Lancia, Torre Rasini, 1932-1935. Di fronte all’edificio troviamo il casello daziario di Porta Venezia.
21
Dopo numerosi passaggi di
proprietà, negli anni Trenta
del 1900 la Provincia di Milano acquisì l’immobile, e
commissionò all’architetto
Ferdinando Reggiori il compito di restaurare il palazzo,
recuperando e valorizzando
gli elementi decorativi che
ogni secolo aveva lasciato.
L’opera di ampliamento
venne affidata a Giovanni
Muzio, che giustappose all’antica costruzione un nuovo edificio di stile razionalista, dotato degli elementi 25. G. Muzio, Ingresso e lato su via Vivaio di Palazzo Isimbardi, 1940-1942.
simbolici che un luogo del pubblico potere richiedeva, quali la torre, che ai tempi era una delle costruzioni più alte della zona, i portali colonnati, i pannelli scultorei. Il palazzo venne inaugurato nel 1942, ma circa mezz’ora dopo l’inaugurazione, su Milano si scatenò il primo bombardamento che causò la rottura dei vetri di tutte le finestre.
La facciata su via Vivaio è rivestita in marmo perpolito nella zona un tempo riservata agli amministratori dell’ente, e in parte in mattoncini di klinker, nella parte riservata agli uffici, con
bassorilievi di Salvatore Saponaro.
26-27. G. Muzio, Lato su via Vivaio di Palazzo Isimbardi con i
bassorilievi di S. Saponaro, 1940-1942
22
BREVI BIOGRAFIE DEGLI ARTISTI
Aldo Andreani (Mantova 1887- Milano 1971), architetto
Compì i primi studi nella città natale, Mantova, per poi trasferirsi a Milano. Si iscrisse anche
alla Regia scuola di applicazione per gli ingegneri di Roma. Ispirandosi ai palazzi dei mercanti con logge di tipo medievale, nei primi anni dieci avviò il cantiere della camera di Commercio di Mantova, che concluse nel 1914. Dopo la guerra ottenne l’importante incarico per il
“piano di edificazione in Terra Sola Busca”, che prevedeva la lottizzazione a Milano di una
vesta area di proprietà del Conte Gian Ludovico Sola Cabiati. Si dedicò successivamente a
lavori di restauro, svolti nella sua città natale.
Giulio Ulisse Arata (Piacenza 1881 - 1961), architetto
Dopo aver frequentato la scuola d’ornato a Piacenza e presso l’Accademia di Brera, iniziò ad
esercitare la professione di architetto dal 1906. Nel 1914 fondò con Antonio Sant’Elia e altri
artisti il gruppo di Nuove Tendenze. Contraddistinto da uno stile eclettico, in cui si fondono
elementi del modernismo, del secessionismo e della tradizione italiana, operò soprattutto a
Milano, Napoli, Bologna, Fidenza. Nel 1925 venne nominato accademico di San Luca.
Ernesto Bazzaro (Milano 1859 - 1937) - scultore
Fu allievo di Giuseppe Grandi (autore del monumento in Piazza Cinque Giornate a Milano)
all’Accademia di Brera, del quale si rileva l’influenza in numerosi ritratti dal modellato nervoso e dai piani sfaldati. Bazzaro fu uno dei principali esponenti della Scapigliatura lombarda e
fu attivo soprattutto a Milano: tra le sue opere ricordiamo il monumento a Felice Cavallotti
(1906).
Piero Portaluppi (Milano 1888 - 1967) - architetto
Si laureò in architettura nel 1910, e iniziò la sua carriera nel campo dell’arredamento e di edifici che denunciano l’influenza del gusto neo medievalista in voga all’epoca. Nel 1922 iniziò
la collaborazione con le imprese elettriche Conti, per conto delle quali costruì un gran numero di centrali idroelettriche, ispirate ai più diversi stili. Degli stessi anni sono il progetto per il
grattacielo SKNE di New York e il piano regolatore di Milano, ideato con l’ingegnere Semenza, primo classificato nel concorso del1926, e attuato nel 1934. Tra gli anni 20 e 30 fu attivissimo a Milano per numerosi palazzi per appartamenti signorili, edifici pubblici (il planetario
Hoepli in Corso Venezia), arredamenti e restauri di edifici storici (Casa degli Atellani in Corso
Magenta, Santa Maria delle Grazie e la Pinacoteca di Brera).
Gli anni trenta sono impegnati nello sviluppo del razionalismo italiano, assecondandone la
propensione alla semplificazione formale in un’avvertita sensibilità per una decorazione ancora ispirata al decò e per i valori di superficie nell’uso dei materiali.
23
Giuseppe Sommaruga (Milano 1867 - 1917) architetto
Compì gli studi all’Accademia di Brera e al Politecnico di Milano, dove fu allievo di Camillo Boito e Alfredo Melani, mentre il suo iter professionale ebbe
inizio nello studio dell’affermato Luigi Broggi (dal
1887 al 1892). Nel 1890 ottenne il primo premio al
Concorso Internazionale di Architettura di Torino e
dal quel momento partecipò a numerosi concorsi,
divenne collaboratore della rivista “L’architettura
italiana” ed ebbe una nutrita serie di incarichi pubblici. Nella seconda metà degli anni ottanta dell’Ottocento edificò le prime abitazioni private a Milano,
di tono modesto, quando non popolare, ed edicole
funebri. Celeberrima tappa della sua produzione è il
Palazzo Castiglioni, che realizzò in collaborazione
con artisti di fama, quali Ernesto Bazzaro e Ambrogio Pirovano. Da questa data in poi la sua attività
non ebbe soste, lavorando soprattutto per le ricche
famiglie borghesi di Milano, tra cui i Cirla, i Salmoiraghi e i Faccanoni. Tra gli edifici pubblici ricordia- 28. G. Sommaruga, Clinica Columbus, già Villa
mo il complesso alberghiero di campo dei Fiori, per Faccanoni, 1912-1914, via Buonarroti.
la Società Grandi Alberghi Varesini (1908-1912), e
la linea elettrica Ghirba-Ponte Tresa per la Socvcietà Imprese Elettriche Varesine (19111915).
Adolfo Wildt (Milano, 1868 - 1931) - scultore
Durante il suo apprendistato nello studio di Giuseppe Grandi sviluppò un’eccezionale abilità
tecnica e il gusto di levigare fino all’estremo le superfici di marmo, la materia a lui più congeniale. Ottenne per le sue sculture la medaglia d’oro all’Esposizione di Monaco del 1896, dove fece la conoscenza dell’industriale tedesco Franz Rose, che divenne il suo mecenate e gli
permise di dedicarsi solo all’arte. Tra le sue opere ricordiamo alcuni ritratti (Mussolini, 1923,
Arturo Toscanini, 1923, Pio XI, 1926), i monumenti funebri per il Cimitero Monumentale di
Milano (Monumento Bistoletti, 1927, Edicola Korner, 1929-1932), il gigantesco Sant’Ambrogio per il Monumento
ai Caduti di Milano (1928), e
la scultura conservata presso la Villa Necchi Campiglio,
il Puro Folle o Parsifal
(1930), Collezione Gianferrari .
Nel 1921 pubblicò il trattato
sulla scultura l’Arte del marmo, dal 1923 insegnò scultura a Brera, e l’anno seguente divenne membro del Consiglio Superiore delle Belle
29. A. Wildt, Arturo Toscanini, 1923, Roma, Galleria Nazionale di Arte MoArti.
derna
24
BIBLIOGRAFIA
B. Pellegrino, Così era Milano, Libreria Milanese, Milano, 1986
Sthendal, Roma Napoli Firenze, Bari, Laterza, 1990
APT, Liberty, Decò e Stile Novecento, itinerari di Milano e Provincia, EdiNodo, Milano, 1999
R. Bossaglia, V. Terraroli (a cura di), Milano Dèco. La fisionomia della città negli anni Venti, Milano,
Skira, 1999
Enciclopedia dell’Arte, Milano, Garzanti, 2002
R. Bossaglia, V. Terraroli (a cura di), Il Liberty a Milano, Milano, Skira, 2003
L. Molinari, Fondazione Piero Portaluppi, Piero Portaluppi: linea errante nell’architettura del novecento, Milano, Skira, 2003
Milano, Touring Club Italiano, 2005
Provincia di Milano, Palazzo Isimbardi, Milano, Erregi, 2007
Il testo di Ornella Selvafolta è pubblicato in:
L. Borromeo (a cura di), Villa Necchi Campiglio, Milano, Skira, 2008, pagg. 15-19
I siti:
http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/
http://www.storiadimilano.it/
http://www.istciechimilano.it/
FONTI ICONOGRAFICHE
Frontespizio: Milano Dèco. La fisionomia della città negli anni Venti, pag.22
1.
Marcantonio Dal Re, vedute di Milano, www.storiadimilano.it
2.
Fotografia dell’autrice
3.
Fotografia dell’autrice
4.
Il Liberty a Milano, pag. 18
5.
Il Liberty a Milano, pagg. 25-26
6.
Il Liberty a Milano, pag. 64
7.
Il Liberty a Milano, pagg. 23-24
8.
www.ospedaleniguarda.it
9-20 Fotografie dell’autrice
21 Piero Portaluppi: linea errante nell’architettura del novecento, pag. 83
22-27Fotografie dell’autrice
28 Il Liberty a Milano, pag. 132
29 Milano Dèco. La fisionomia della città negli anni Venti, pag.100
Testo a cura di: Arianna Mascetti
25
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