XVII GIORNATA FAI DI PRIMAVERA 28-29 MARZO 2009 SCHEDE ARTISTICHE PER LA FORMAZIONE DEGLI “APPRENDISTI CICERONI” PASSEGGIANDO ATTORNO A VILLA NECCHI CAMPIGLIO Architetture tra Liberty e Decò a Milano FAI – Fondo per l’Ambiente Italiano, Settore Scuola Educazione, Viale Coni Zugna 5, 20144 Milano Tel. 02467615285 – Fax 0248193631 - www.faiscuola.it - [email protected] 1 SIMBOLOGIA UTILIZZATA Gentili insegnanti, gentili studenti, Questa scheda è il testo fondamentale per la preparazione degli Allievi Ciceroni, scritto appositamente per la Giornata di Primavera 2009. Essa ripercorre la storia del quartiere intorno a Villa Necchi Campiglio, ed è strutturata in modo da essere più funzionale possibile in vista dell’esposizione al pubblico. All’interno del testo sono presenti numerosi collegamenti e spunti di discussione, che potranno essere approfonditi in classe. Illustriamo le icone utilizzate all’interno della scheda: Profili storici Citazioni da documenti storico-letterari Definizioni Biografie degli artisti 2 Approfondimento dell’insegnante Approfondimento PREMESSA: IL QUARTIERE DI PORTA ORIENTALE TRA SETTECENTO E OTTOCENTO Il tratto più esterno dell’attuale Corso di Porta Venezia corrisponde all’antico Borgo di Porta Orientale, lo spazio di terre collocate tra le mura medievali (all’altezza di Via Senato) e le mura spagnole (all’altezza di Piazza Oberdan). Fuori dalla cerchia di mura si trovava il Lazzaretto, all’interno la contrada, fino al XVIII secolo, era poco edificata, e destinata a rustici e ortaglie appartenenti ai vicini conventi di San Dionigi, delle Carcanine e dei Cappuccini. Ecco come Alessandro Manzoni descrive il borgo nel capitolo XI de “I Promessi Sposi”, ambientati nella Milano del Seicento: - Saprebbe insegnarmi la strada più corta, per andare al convento de' cappuccini dove sta il padre Bonaventura? [...] - Siete fortunato, bravo giovine; il convento che cercate è poco lontano di qui. Prendete per questa viottola a mancina: è una scorciatoia: in pochi minuti arriverete a una cantonata d'una fabbrica lunga e bassa: è il lazzeretto; costeggiate il fossato che lo circonda, e riuscirete a porta orientale. Entrate, e, dopo tre o quattrocento passi, vedrete una piazzetta con de' begli olmi: là è il convento: non potete sbagliare. Dio v'assista, bravo giovine -. E, accompagnando l'ultime parole con un gesto grazioso della mano, se n'andò. Renzo rimase stupefatto e edificato della buona maniera de' cittadini verso la gente di campagna; e non sapeva ch'era un giorno fuor dell'ordinario, un giorno in cui le cappe s'inchinavano ai farsetti. Fece la strada che gli era stata insegnata, e si trovò a porta orientale. Non bisogna però che, a questo nome, il lettore si lasci correre alla fantasia l'immagini che ora vi sono associate. Quando Renzo entrò per quella porta, la strada al di fuori non andava diritta che per tutta la lunghezza del lazzeretto; poi scorreva serpeggiante e stretta, tra due siepi. La porta consisteva in due pilastri, con sopra una tettoia, per riparare i battenti, e da una parte, una casuccia per i gabellini. I bastioni scendevano in pendìo irregolare, e il Già nel I secolo avanti Cristo fu edificata la prima cinta muraria, completata da Ottaviano Augusto, di forma quadrangolare e in seguito a pliata nel III secolo d.C. da l’Imperatore Massimiano. A questa prima costruzione seguì quella medievale, prima in legno, intorno al 1156, distrutta dal Barbarossa, e ricostruita in muratura nel 1171. Resti della cinta muraria medievale sono osservabili in Via San Damiano, all’altezza di Via Mozart. L’edificazione della cerchia dei Bastioni (mura spagnole), la cinta muraria esterna che proteggeva la città, iniziò intorno al 1550, per ordine del governatore Ferrante Gonzaga. Completata dopo dieci anni, la cinta era di forma circolare, con una marcata rientranza in corrispondenza del Castello Sforzesco, e si estendeva su un perimetro di oltre 11 Km, che la rendeva una delle più lunghe d’Europa. 1. Marc’Antonio Dal Re, Il Lazzaretto 3 terreno era una superficie aspra e inuguale di rottami e di cocci buttati là a caso. La strada che s'apriva dinanzi a chi entrava per quella porta, non si paragonerebbe male a quella che ora si presenta a chi entri da porta Tosa. Un fossatello le scorreva nel mezzo, fino a poca distanza dalla porta, e la divideva così in due stradette tortuose, ricoperte di polvere o di fango, secondo la stagione. Al punto dov'era, e dov'è tuttora quella viuzza chiamata di Borghetto, il fossatello si perdeva in una fogna. Lì c'era una colonna, con sopra una croce, detta di san Dionigi: a destra e a sinistra, erano orti cinti di siepe e, ad intervalli, casucce, abitate per lo più da lavandai. Dopo la soppressione degli ordini monastici promossa dall’amministrazione austriaca, numerosi interventi urbanistici, affidati a Giuseppe Piermarini e condotti tra il 1770 e il 1790, cambiarono la fisionomia del quartiere: il corso divenne la radiale per Vienna e le Venezie, fu coperto il fossato dell’Acqualonga, e la strada pavimentata e allargata per consentire il passaggio delle carrozze. L’area dell’abbazia di San Dionigi e del convento delle Carcanine venne trasformata nei primi giardini pubblici di Milano, destinati alla ricreazione collettiva, dove si posizionarono giostre e spazi per il divertimento. Il quartiere divenne così residenza dei ceti nobiliari e delle classi agiate milanesi soppiantando il corso di Porta Romana come luogo di passeggio della buona società. Ancor di più alla moda divenne in epoca napoleonica, quando diviene sede di feste e sfilate, e la cerchia dei bastioni venne utilizzata come larga e ombrosa via di passeggio. La riqualificazione della zona si completa con la costruzione, nel 1826, dell’ingresso trionfale in Porta Orientale, con i due caselli daziari in stile neoclassico di Rodolfo Vantini. Porta Tosa era un altro accesso alla città che si apriva nei bastioni. Al suo posto ora possiamo ammirare l’obelisco celebrativo delle 5 giornate di Milano, costruito nel 1895 da Giuseppe Grandi San Dionigi, in origine Basilica Salvatoris et prophetarum, era una della quattro basiliche fondate da Sant’Ambrogio, insieme alla Basilica Apostolorum, San Nazaro, posta sulla strada verso Roma, la Basilica Martyrum, S. Ambrogio, sulla via per le Gallie e la Basilica Virginum, San Simpliciano. Esse formavano una cinta di santuari che contenevano le reliquie di martiri locali e stranieri trasportati in città. 2. R. Vantini, Caselli daziari di Porta Venezia, 1826 4 PASSEGGIANDO PER IL QUARTIERE Tra palazzi e giardini: il sito di Villa Necchi Campiglio (di Ornella Selvafolta, tratto da Villa Necchi Campiglio, a cura di L. Borromeo, Milano, Electa, 2008, pagg. 15-19) Non c’è cronaca o articolo di rivista milanese degli anni Trenta che, parlando dell’area compresa tra via San Damiano (fiancheggiata dal Naviglio interno fino al 1929), corso Venezia e corso Monforte, trascuri di sottolineare l’eccezionale carattere di un sito «centralissimo» e pur tuttavia «sereno e tranquillo», plongé dans le vert, come aveva scritto Stendhal estasiato dai bei giardini milanesi. Ed è effettivamente il connubio tra verde, quiete e prossimità al centro cittadino, tradizionale luogo di traffico e dinamismo, a costituire, allora come oggi, un’innegabile prerogativa del quartiere ove si situa la residenza Necchi Campiglio con la sua peculiare architettura di villa. La realizzazione, avvenuta tra il 1932 e il 1935, rappresenta quasi un punto di arrivo per le trasformazioni di una zona che, contrassegnata dalla presenza di antiche proprietà monastiche e di palazzi nobiliari sette-ottocenteschi dotati di grandi giardini, è stata ulteriormente edificata nel corso del tempo subendo una graduale erosione delle sue aree verdi. I Navigli milanesi sono canali artificiali costruiti a partire dal medioevo per il trasporto delle merci e il collegamento tra Milano e la periferia. La fossa interna, coperta negli anni venti del Novecento, costeggiava le mura medievali, e corrispondeva all’attuale circonvallazione interna (vie Fatebenefratelli, Senato, San Damiano, Visconti di Modrone, Francesco Sforza, Santa Sofia, Molino delle Armi, Carducci, De Amicis, Piazza Castello e Pontaccio). “Avere una bella casa contribuisce al prestigio personale assai più di un portafoglio gonfio di milioni. Se la casa si fa notare per la sua bellezza, prende subito il nome del proprietario. L’ambizione segreta di tutti i Milanesi è di costruirsi un palazzo, o per lo meno di rinnovare la facciata di quello ereditato dai padri.” Stendhal (Sthendal, Roma Napoli Firenze, Bari, Laterza, 1990, pag.22) 3. P. Portaluppi, Villa Necchi Campiglio, 1932-1935 5 Percorsa solamente dagli stretti e tortuosi passaggi del vicolo dei Cappuccini (così chiamato per l’esistenza del convento dei frati) e della «strada del Vivaio» (dove si “allevavano” e vendevano piante), l’area si qualificava infatti per gli ampi spazi a ortaglie e giardino compresi tra corso Venezia, con palazzo Serbelloni (poi Sola Busca) e corso Monforte, con i palazzi Cicogna, Diotti (oggi sede della Prefettura) e Isimbardi (oggi sede della Provincia): dietro le loro facciate il verde privato si estendeva senza soluzione di continuità intersecando i confini delle proprietà e formando una delle straordinarie oasi di verzura che qualificavano lo scenario della Milano ottocentesca. Nel 1890 - 1892 la costruzione della nuova sede dell’Istituto dei Ciechi (architetto Giuseppe Pirovano), allora con unico affaccio su via Vivaio, segnava la prima “occupazione” degli spazi verdi facendo seguito alla vendita di parte del giardino Cicogna all’ente assistenziale ; nel contempo l’entrata in vigore del Piano Regolatore del 1889 portava con sé una serie di cambiamenti che, pur avvenendo principalmente nella fascia esterna ai Bastioni, ebbero conseguenze sull’intero tessuto urbano e sulla stessa cultura della città, prospettandone un futuro più favorevole al cambiamento, allo sviluppo e alla messa in valore che alla conservazione e alla difesa degli antichi equilibri. In questa prospettiva si inseriva nel 1907 la convenzione stipulata tra il Comune di Milano e la contessa Antonietta Sola Busca (proprietaria del palazzo e giardino già Serbelloni) per «l’apertura di nuove strade tra le vie Cappuccini, Vivajo e S. Damiano»; in base a tale accordo la proprietà privata cedeva all’ente pubblico parte dei terreni necessari alla nuova viabilità, ottenendo in cambio la possibilità di costruire lungo gli affacci. La convenzione, denominata «Piano Regolatore Speciale», stabiliva i termini di una prassi non inusuale che assecondava le tendenze edificatorie attraverso l’infittirsi della maglia viaria: da un lato facilitando la circolazione e i collegamenti e, dall’altro, provvedendo l’impianto dei futuri quartieri. Sulle mappe di Milano degli anni dieci del Novecento iniziano così a comparire le vie Michele Barozzi, Gabrio 6 Lo sviluppo urbanistico e demografico della Milano post-unitaria accentuò il dibattito architettonico dell’epoca: per riordinare le costruzioni ed evitare speculazioni, l’Ing. Cesare Beruto venne incaricato di redigere il primo Piano Regolatore. Il piano prevedeva lo sviluppo di grandi insediamenti produttivi nei comuni vicini a Milano, e l’accentramento amministrativo tra piazza della Scala, il Cordusio e la Biblioteca Ambrosiana. Per collegare le zone centrali venne progettato e attuato lo sventramento dell’asse Duomo Castello in favore della’apertura di Via Dante. Le scelte di Beruto vennero confermata anche dal Secondo Piano Regolatore, redatto dagli ingegneri Angelo Pavia e Giovanni Masera nel 1912. Il Piano Regolatore Speciale aveva: «il precipuo intento di eliminare […] l’inconveniente della eccessiva ristrettezza e tortuosità del tratto di via Cappuccini in prossimità al corso Venezia […] e di formare un incrocio di strade abbastanza ampio, delimitanti regolari isolati, sui quali non mancheranno di sorgere decorosi edifici». Serbelloni e Volfango Mozart, approvate con Decreto Reale nel 1908, poi inserite nel Piano Regolatore Pavia Masera del 1912 come base planimetrica per le future costruzioni. L’edificazione procedette veloce e intensiva nei tratti in direzione di corso Venezia e i Bastioni Monforte (oggi viale Majno), ma abbisognava di maggiori attenzioni nelle parti contigue ai giardini verso la via San Damiano, in virtù del loro pregio ambientale. Via Mozart, in particolare, che tagliava in due l’ex giardino Sola-Busca e che risultava completamente attorniata dal verde, fu oggetto di una specifica riflessione che, in un certo senso, intendeva “compensare” la futura occupazione del suolo con la qualità e il decoro degli interventi architettonici. Ne è testimonianza la proposta di lottizzazione, elaborata in diverse varianti tra il 1924 e il 1930, dall’architetto Aldo Andreani su incarico della proprietà Sola Busca: proposta, non a caso soggetta all’approvazione della Soprintendenza ai Monumenti della Lombardia. Pur «mettendo a frutto buona parte dell’ex parco patrizio», il progetto (parzialmente realizzato) si premurava così di lasciare ampie zone libere e a verde, stabiliva un’area di rispetto tra il palazzo e le nuove costruzioni, “giocava” sull’alternanza tra edifici alti e bassi e su una complessiva cifra architettonica che, nella variazione di volumi e materiali, colori e dettagli, sembrava tradurre in pietra l’animazione pittoresca propria all’estetica dei giardini. Casa Necchi Campiglio andava quindi ad insediarsi in un contesto di grande fascino architettonico-paesaggistico dove, nei primi anni Trenta, erano già presenti architetture tre le più rappresentative dell’opera di Andreani. Si vedano in via Mozart palazzo Fidia (1926-1930), inconfondibile per l’altezza, il volume movimentato, le superfici ondulate e il colore acceso del rivestimento in mattoni; e più oltre, lungo la via Serbelloni, il complesso ai numeri 10-12 (1927-1930) dove la pietra modellata e le parti a intonaco si compongono in un’architettura scultorea, quasi evocata dall’orecchio in bronzo posto a lato della porta di ingresso. Nel quartiere in costruzione si segnala già anche il nome di Piero Portaluppi che di lì a breve sarà l’architetto di villa Necchi Campiglio: sua è infatti in via Mozart 9, a lato di 7 palazzo Fidia, la palazzina, in origine villa Zanoletti e oggi sede del Circolo Mozart (1927-1930), e sue sono alcune realizzazioni nelle vicinanze che, a buon diritto, si possono considerare tra le più significative e qualificanti non soltanto della zona, bensì della Milano a cavallo fra gli anni Venti e Trenta, testimoni del suo sviluppo edilizio e insieme della sua cultura architettonica e avanzamento scientifico: in via Salvini i palazzi della Società Excelsior riuniti dal grande arco in affaccio su corso Venezia (1926-1930), sorti, insieme agli edifici di piazza Duse, sulle aree verdi del soppresso convento dei Cappuccini; ai giardini pubblici, il Planetario, aperto nel 1930 grazie alla donazione dell’editore Ulrico Hoepli: un’architettura nel parco per conoscere «la scienza degli Astronomi» e per contemplare il cielo stellato. E’ uno tra «più signorili quartieri della città», «uno scenario di architetture originali» nato «tra le verdi quinte delle piante superstiti» dagli antichi parchi, scriveva nel 1931 l’architetto Renzo Gerla sulla rivista municipale «Milano», sintetizzando così il quadro d’assieme che doveva aver subito attratto i Necchi Campiglio per la costruzione della loro casa milanese: un vero luogo d’elezione dove l’aura dell’aristocrazia milanese, dei suoi palazzi e dei suoi giardini poteva trasmettersi alla qualità delle nuove architetture e conferire alla moderna élite imprenditoriale il compito di continuarne la signorilità e la bellezza. 4. P. Portaluppi, Villa Necchi Campiglio, 1932-1935 8 PALAZZO CASTIGLIONI (1901-1903) Palazzo Castiglioni rappresenta il manifesto del liberty a Milano: la sua edificazione ebbe un’eco pari ai padiglioni dell’Esposizione di Torino del 1902, e divenne il palazzo più citato dalla critica italiana (sia contemporanea che successiva) per le sue caratteristiche progettuali e decorative. Proprietaria e committente del palazzo fu la famiglia Castiglioni, esponente della borghesia imprenditoriale milanese: nel 1900 Ermenegildo Castiglioni ereditò le fortune del nonno, l’industriale filantropo che face costruire opifici industriali e case operaie, e commissionò il mausoleo della famiglia presso il Cimitero Monumentale di Milano. Proprio nel 1900, per celebrare la famiglia e dimostrare il suo interesse per la modernità, fece costruire la sua grandiosa residenza in Corso Venezia, collocazione non casuale, proprio perché sul Corso si affacciano tuttora le ville nobiliari costruite nel Settecento e nell’Ottocento: palazzo Castiglioni, in un tessuto urbano già strutturato, diventa una provocatoria chiamata a confrontarsi con la modernità. Ermenegildo Castiglioni, in preparazione alla costruzione del palazzo, partì con l’architetto Giuseppe Sommaruga per un viaggio studio in Francia e Gran Bretagna, alla scoperta di tecniche, materiali e tipologie delle nuove correnti architettoniche. Sommaruga assimilò la lezione dell’Art Nouveau tradizionale, ma reinterpretandolo in chiave totalmente personale, soprattutto negli elementi formali e decorativi, per cui fornì alle maestranze cartoni e disegni esecutivi. Sommaruga colse soprattutto le forme slittanti e a serpentello dello stile Art Nouveau europeo, tralasciando però le astrazioni moderniste, che compariranno successivamente nelle architetture Art Decò. Il Palazzo occupa un’area di 3500 metri quadri, con corpi di fabbrica alti 22 metri e due facciate di 35, una su Corso Venezia, l’altra su via Marina, con il giardino e la scuderia. I piani del palazzo sono tre: il piano superiore era suddiviso in appartamenti dati in affitto, mentre il piano terra e il piano nobile erano riservati alla famiglia Castiglioni, che aveva a disposizione ambienti privati e sale di ricevimento 9 Il “Liberty” (o stile floreale) è un movimento artistico che, tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, interessò l’architettura e le arti decorative in Europa e negli Stati Uniti. Ebbe una vasta e veloce diffusione, grazie ai processi di industrializzazione, che rafforzarono la classe borghese, e le grandi esposizioni mondiali, che favorivano la circolazione delle esperienza artistiche. In architettura il liberty rifiutò il recupero degli stili storici del passato, per ispirarsi direttamente alla natura e alle forme vegetali: questo portò alla creazione di uno stile nuovo, totalmente originale rispetto all’eclettismo allora in voga, caratterizzato da un accentuato linearismo, eleganza decorativa e carattere metamorfico. Il Liberty in Europa: Art Nouveau; Jugendstil; Secessione; Modern Style. 5. Dettaglio di una finestra in ferro battuto al pian terreno del palazzo e di soggiorno, come il jardin d’hiver con veranda a vetrata, un salone, il salotto, sala da pranzo e da gioco, sala da biliardo. La facciata sul corso come appare oggi è parzialmente alterata rispetto al progetto originale: rimane immutata rispetto al disegno di Sommaruga la suddivisione dei piani, con una base a bugnato rustico (pietre fortemente aggettanti rispetto al livello della facciata) e finestre ad oblò, con ampie finestre rettangolari sormontate da putti al piano nobile, e tripartite da colonne all’ultimo piano. I materiali utilizzati sono marmo di Carrara per le sculture e travertino nel rivestimento. 6. Ingresso di Palazzo Castiglioni Il palazzo venne inaugurato nel maggio del Il marmo di Car1903, provocando grande scalpore, sia per gli elementi rara, estratto dalle Alpi Apuane in decorativi innovativi (angioletti in pietra, rocce di cemento, prossimità di Carfoglie modellate nel ferro battuto), ma soprattutto per la rara è uno dei presenza, ai lati del portale d’ingresso, di due provocatorie marmi più pregiati e utilizzati nella figure allegoriche della Pace e dell’Industria, duramente storia dell’arte. criticate per l’incomprensibilità del loro significato in relaIl travertino è una roccia sedimentaria calcarea di tipo zione alla collocazione, e per il realismo nella resa dei corchimico, molto utilizzata in pi (tanto che il palazzo venne soprannominato dai milanesi edilizia, in particolare a Ro“Cà di Ciapp”). ma, fin dal I millennio AC. Le aspre critiche nei confronti delle sculture (realizzate da Ernersto Bazzaro, lo stesso autore del Mausoleo Castiglioni al Monumentale), indussero Ermenegildo a rimuovere le statue, che vennero collocate nel 1914 sulla facciata verso il giardino privato della Villa Faccanoni, opera del Sommaruga, ora Clinica Columbus, in via Buonarroti. L’equilibrio di pieni e vuoti in prossimità del portale venne quindi alterato: questo portò Sommaruga a chiudere la finestra aperta al di sopra dell’ingresso, e a sostituirla con un pannello in marmo decorato con ele7. Le sculture di Bazzaro spostate alla Clinica Columbus 10 menti vegetali in pietra scolpita (opera di Ambrogio Pirovano), che possiamo ammirare ancora oggi. Gli interni del palazzo sono stati in parte rimaneggiati: rimangono inalterate poche sale, come la “Sala dei Pavoni” e la monumentale scala d’ingresso a due rampe, impreziosita dalle vetrate policrome, dal corrimano in ferro battuto dal disegno floreale, dal fregio continuo movimentato da putti che giocano con animali marini e intagli in stucco. 8. Facciata e ingresso di Palazzo Castiglioni 11 Per un percorso liberty al Cimitero Monumentale cerca: - L. Bistolfi, Il sogno, Tomba Cairati Vogt, 1900 - M. Vedani, L’ultimo bacio, Edicola Bonelli, 1907 - E. Bazzaro, Edicola di Romolo Squadrelli, 1910 - F. Penna, I gigli del cielo, Monumento Elisi, 1916 CASE BERRI MEREGALLI (1910-1919) Se Palazzo Castiglioni rappresenta l’inizio dell’architettura Liberty a Milano, le opere di Giulio Ulisse Arata ne rappresentano la conclusione, con il suo stile eclettico caratterizzato da un incipiente razionalismo, che si manifesterà soprattutto con il suo ultimo progetto, l’Ospedale Niguarda. Nel 1910 realizzò la prima delle case Berri Meregalli, in via Barozzi angolo via Mozart, una costruzione tradizionale nelle forme, ma 9. G.U. Arata, Ospedale Niguarda, Milano, 1939 con una potente struttura ingentilita da teste di animali poste nell’incorniciatura delle finestre e come sostegno alle balaustre dei balconi. Razionalismo 10-11. G.U. Arata, Casa Berri Meregalli in via Barozzi angolo via Mozart, 1910. A fianco la facciata, sotto il particolare di una finestra con balcone. La facciata della seconda casa Berri Meregalli (numero 21 di via Mozart) è rivestita in mattonelle di diverse dimensioni, ed è caratterizzata da un’imponente balconata sostenuta da teste di ariete, cornici in calcestruzzo, piccoli balconi con colonnine e pilastri dai capitelli floreali e maschere di animali mostruosi, dalle cui fauci fuoriescono i pluviali. Il complesso di questi elementi, insieme alla diversa 12 trattazione delle superfici in pietra, acuisce gli effetti chiaroscurali. Adeguati allo stile magniloquente della facciata sono le due figure dipinte ad affresco ai lati della balconata centrale, opera di Pietro Adamo Rimoldi. Questa costruzione è databile tra il 1910 e il 1912. L’anno successivo Arata costruisce il terzo palazzo Berri Meregalli, non molto lontano dai precedenti, in via Cappuccini 8, angolo via Vivaio. La facciata, lontana dai modi floreali del primo liberty, è un insieme eclettico di ascendenze romaniche, gotiche e rinascimentali (Arata viene spesso paragonato allo spagnolo Gaudì), con una particolare cura nella scelta dei materiali, che danno luogo a volumetrie articolate, ricche di effetti cromatici e plastici. Lo schema utilizzato è quello della casa d’angolo, molto frequente nelle costruzioni del periodo, con un portone angolare inserito in grandi blocchi di pietra, e due facciate decorate con putti (vedi Palazzo Castiglioni), teste d’ariete e di bovino. I ferri battuti sono opera del famoso “fabbro ornamentista” Alessandro Mazzuccotelli. Nell’ingresso del palazzo, costruito come l’antro di una caverna, è collocata la Vittoria Alata di Adolfo Wildt (1919). 12. G.U. Arata, Casa Berri Meregalli in via Mozart, 19101912. 13-14. G.U. Arata, Casa Berri Meregalli in via Cappuccini 8, 1910-1919. A fianco: l’ingresso ad angolo. Sopra: dettaglio con le finestre in pietra, le lesene in mattone con mosaici, e i putti decorativi che sostengono i pluviali. 13 IL COMPLESSO DEI SOLA BUSCA DELL’ANDREANI (1924-1930) L’area occupata dal giardino dei Sola Busca (già Serbelloni), avrebbe dovuto, secondo il piano regolatore speciale, essere interamente occupato dalle costruzioni di Aldo Andreani, ma il progetto rimase incompiuto. Del programma fanno parte le costruzioni realizzate sul lotto trapezoidale delimitato dalle vie Mozart, Melegari, Maffei e Serbelloni. Sull’angolo tra via Melegari e via Mozart, di fronte all’ingresso di Villa Necchi Campiglio, troviamo Palazzo Fidia, ai tempi definito “folle”, per la trattazione dei volumi, estremamente mossa e frammentata, ma comunque strettamente connessa con i fabbricati adiacenti. Andreani annulla la distinzione tra facciata e retro dell’edificio, rompendo la tradizione di applicare una veste decorativa sulla facciata principale: il rifiuto delle regole accademiche è netto, mentre sono evidenti le suggestioni di matrice futurista. Il palazzo è ricco di elementi stilistici disparati (dal costruttivismo al liberty), ma fusi in un complesso origina14 Dal “Manifesto dell’architettura futurista”, scritto da Antonio Sant’Elia nel 1914. Non si tratta di trovare sagome, nuove marginature di finestre e di porte, di sostituire colonne, pilastri, mensole con cariatidi, mosconi, rane; non si tratta di lasciare la facciata a mattone nudo, o di intonacarla, o di rivestirla di pietra, né di determinare differenze formali tra l’edificio nuovo e quello vecchio; ma di creare di sana pianta la casa futurista, di costruirla con ogni risorsa della scienza e della tecnica, appagando signorilmente ogni esigenza del nostro costume e del nostro spirito, calpestando quanto è grottesco, pesante e antitetico con noi (tradizione, stile, estetica, proporzione) determinando nuove forme, nuove linee, una nuova armonia di profili e di volumi, un’architettura che abbia la sua ragion d’essere solo nelle condizioni speciali della vita moderna, e la sua rispondenza come valore estetico nella nostra sensibilità. Quest’architettura non può essere soggetta a nessuna legge di continuità storica. Deve essere nuova, come è nuovo il nostro stato d’animo. Michelangelo Antonioni ambientò una scena notturna del suo primo lungometraggio, “Cronaca di un amore”, con Lucia Bosè, proprio davanti a Palazzo Fidia. le. Le superfici sono rivestite con tipici materiali lombardi, il mattone, soprattutto, posato con differenti tessiture, ed il ceppo nelle varietà cromatiche disponibili. La pareti sono modulate mediante la diversa disposizione dei mattoni, i tagli, le cesure improvvise, i balconi, i bovindo e le pensiline. Il vertice del palazzo coincide con il monumentale portale d'ingresso, incorniciato e preceduto da una scala mistilinea. Le reazioni delle critica del tempo furono contrastanti: per alcuni l’edificio fu considerato una "sarabanda sfrenata", "jazz architettonico", per altri un "sonoro ceffone a tutti i bigotti della tradizione", il riflesso di un artista a tutto tondo, autore di "esperimenti architettonici d'un pittoresco e d'un impensato veramente sconcertanti". Gli altri due edifici del complesso presentano invece superfici lineari, con finestre rettangolari e cornici marcapiano, di natura costruttivista, in cui l’unico elemento decorativo è riscontabile nell’accostamento di materiali differenti (palazzo di via Maffei-Serbelloni) e nella diversa posa dei mattoni che provoca effetti chiaroscurali (palazzo di via Maffei-Melegari) Andreani era anche scultore, allievo di Adolfo Wildt a Brera, come testimonia anchel’orecchio-citofono in bronzo del palazzo in via Serbelloni 10 (per questo motivo soprannominato dai milanesi Cà dell’orèggia). 15. A. Andreani, gli altri due edifici del complesso Sola Busca, 1924-1930. Il primo presenta un’alta base in pietra (Palazzo di via MaffeiSerbelloni), nel secondo si noti il rivestimento in cotto (Palazzo di via Maffei- Melegari). l termine bovindo deriva dall'italianizzazione della parola inglese bow window (trad. finestra ad arco). Il bow window consiste in un particolare tipo di finestratura, in cui gli infissi e le ante vetrate non sono allineate al muro ma risultano seguire un percorso ad arco orizzontale aggettante dalla muratura, da cui il termine inglese. Tale finestra è sempre realizzata ad altezza superiore rispetto alla quota di calpestio. 16. A. Andreani, Palazzo Fidia, 19291930. 15 VILLE RASINI (1924-1926) E ZANOLETTI (1927-1930) Villa Rasini, al numero 5 di via Maffei, di fronte al nucleo di edifici descritti in precedenza, occupa un’area irregolare, quasi un triangolo, e si affaccia direttamente sul giardino dei Sola Busca, già Serbelloni. Adiacente alla palazzina troviamo la villa, commissionata dall’industriale Alberto Zanoletti, edificata da Piero Portaluppi rispettando il progetto originale sviluppato dall’Andreani. La richiesta di licenza edilizia assicura che l’edificio “sorgerà simmetrico e letteralmente uguale a quello in corso di costruzione”, progettato da Andreani. Tale adeguamento investe l’”ordine architettonico, le altezze dei piani, gli scomparti delle fronti, la distribuzione delle aperture, la natura del materiale di costruzione”. Viene inoltre garantito che “tutti i minimi particolari decorativi esterni saranno la riproduzione fedele ed esatta” di quelli che compongono l’esterno del palazzo di Andreani. Le uniche variazioni riguardano la distribuzione interna e l’aggiunta di un portale e una terrazza verso il giardino. Villa Zanoletti ha un rivestimento esterno in ceppo e granito (il medesimo materiale utilizzato per Villa Necchi Campiglio) ed è articolato su due piani, con un sotterraneo per i locali di servizio ed un sottotetto. Un piccolo edificio separato da un giardino e prospettante su via Mozart ospita la portineria e i garages. 22. A. Andreani, Villa Rasini, angolo via Mozart-Maffei (di fronte a Palazzo Fidia). 16 PIAZZA DUSE Su Piazza Duse si affaccia l’edificio d’angolo con abitazioni e uffici, opera principale di Gigiotti Zanini (1933-1934), con due corpi che si affacciano su via Salvini e via Pietro Cossa, e due corti interne: fu innovativo sul piano tecnologico e per il rigore dell’impianto, e si valse nei prospetti e negli interni di un linguaggio classico semplificato e stilizzato, ricondotto ad un mandato di razionalizzazione formale, di costruzione di un ordito; il fronte principale è disegnato dividendo le superfici con elementi architettonici e mediante l’uso di materiali differenti. Sul lato opposto della piazza, al numero 3, possiamo vedere un palazzo novecentista di Pier Giulio Magistretti (1925): partecipando al generale clima di “ritorno all’ordine” dopo l’esperienza delle avanguardie, gli architetti di Novecento (G. Muzio, G. Ponti, E. Lancia, P. Portaluppi) dichiaravano di considerare l’architettura neoclassica del primo Ottocento lombardo come l’ultima esperienza di livello europeo vissuta dall’architettura italiana. Prendendo le distanze dall’elaborata architettura liberty, ritornano in questo edificio superfici regolari, scandite orizzontalmente da cornici marcapiano e verticalmente dal corpo centrale lievemente rientrato. La parte terminale della facciata è decorata con un timpano con il bassorilievo del carro del sole, e quattro sculture per parte. Sugli altri due lati della piazza troviamo palazzi del 1922. 17. G. Zanini, Palazzo in Piazza Duse 2 con il proseguimento in via Salvini. Sullo sfondo Palazzo Buonarroti Carpaccio Giotto di Portaluppi. 18. P.G. Magistretti, Palazzo in Piazza Duse 3, 1925 17 PALAZZO DELLA SOCIETA’ BUONARROTI CARPACCIO GIOTTO (1926-1930) Questo palazzo fa parte di una grossa edificazione attorno a Piazza Duse del nuovo quartiere Excelsior, in seguito ad una convenzione stipulata con il comune di Milano nel 1923. La convenzione sancì il diritto a risolvere l’accesso del Corso Venezia al nuovo quartiere tramite un’apertura coperta a volta, sotto i piani abitati. La destinazione del palazzo era prevalentemente residenziale, anche se era previsto l’impiego commerciale del pian terreno e del piano ammezzato. L’edificio di Piero Portaluppi è costituito da tre grandi blocchi: due corpi simmetrici lungo via Salvini, ed un terzo affacciato su Corso Venezia con un grande arco centrale voltato a botte. In origine Portaluppi aveva pensato ad una soluzione a tre aperture, due pedonali ed una per il passaggio delle auto, ma, in seguito ad una controversia con i proprietari dei palazzi adiacenti, le autorità giudiziarie imposero la realizzazione di un arco a fornice unico. 19. P. Portaluppi, Palazzo della Società Buonarroti Carpaccio Giotto, 1926-1930. 18 Per “Art Decò” si intende il gusto della società borghese del primo dopoguerra, e non una vera e propria corrente artistica programmatica (come era stato, ed esempio, lo stile Liberty). Il termine deriva dall’”Exposition internationale des arts décoratifs et industriles modernes”, tenutasi a Parigi nel 1925. Lo stile decò presenta caratteri marcatamente grafici, ed è caratterizzato da una forte sensibilità disegnativa e decorativa: questo è il principale legame con i precedenti Art Nouveau. Si discosta invece nella scelta di ritmiche simmetriche e geometriche, impostate su tagli compositivi ad angolo retto, derivati soprattutto dalla scuola viennese, che aveva elaborato strutture eleganti ma asciutte, adatte soprattutto ad un utilizzo tipografico. La decorazione è considerata inscindibile dalla funzionalità, nel presupposto che per tutti gli oggetti d’uso i valori estetici sono basilari e non secondari rispetto l’impiego pratico. La facciata principale dell’edificio ha un’impostazione classica, rilevabile dalla tripartizione orizzontale mediante cornicioni marcapiano, che delimitano la base, corrispondente alle colonne centrali dell’arco, la parte centrale, corrispondente con la zona voltata a botte, e il piano mansardato. La scansione degli spazi è evidente anche a livello verticale: il corpo centrale, caratterizzato da finestre ad arco che richiamano il passaggio sottostante, è leggermente arretrato rispetto ai due laterali. Gli elementi decorativi sono tratti dal linguaggio secessionista e decò, in particolare nella decorazione a zig zag della volta, che ricorda delle losanghe (cifra stilistica di Portaluppi, ampliamente utilizzata presso la Villa Necchi Campiglio), i doppi quadrati nel basamento e le bande a labirinto nelle facciate di via Salvini. 20-21. P. Portaluppi, Palazzo della Società Buonarroti Carpaccio Giotto, 1926-1930. A fianco: particolare decorativo sul lato in via Salvini; Sotto: pianta del palazzo. Roberto Papini, introduzione da “Le arti di oggi”, Milano, 1930 Si delinearono fin da principio tre tendenze estetiche principali: una tendenza occidentale [...]; nordico una tendenza orientale [...]; una tendenza latina rappresentata quasi esclusivamente da italiani, eredi legittimi dello spirito ellenico-italico, rifuggenti altrettanto dall’astrazione nordica quanto dalla sensualità orientale, assimilatori ed equilibratori incomparabili, lenti ad accettare il nuovo ma pronti poi a trasformarlo in atti di lucida coscienza, in forme di stile durevoli e definitive. Una tendenza cioè sempre intesa a fondere in unità di organismo la costruzione con la decorazione, a rivestire e commentare gli scheletri struttivi col movimento delle masse murarie concepite con spirito plastico, sottolineate dal colore. La terza tendenza è quella che comincia oggi a prevalere. 19 ALTRI EDIFICI TRA VIA VIVAIO E CORSO VENEZIA ISTITUTO DEI CIECHI VIA VIVAIO (1892) L'ideazione dell'Istituto risale al lontano 1836 e ha un nome: Michele Barozzi. Il Barozzi iniziò il suo incarico presso la "Pia Casa di Industria" sita in Via S. Vincenzo, organizzando un reparto per i non vedenti. Il nascente Istituto trovò nei 23. G. Pirovano, Istituto dei ciechi in via Vivaio, 1892. Conti Mondolfo i suoi principali benefattori, essi acquistarono spazi presso Porta Nuova, ove l'Istituto si trasferì. Nel 1864, l'Istituto di Milano aveva adottato, primo in Italia, l'alfabeto "Braille", destinato ad assumere una così grande importanza nella istruzione dei ciechi. Il 12 ottobre del 1892 l'Istituto lasciava la sede di Porta Nuova per quella definitiva di Via Vivaio. La sede dell'Istituto dei Ciechi fu progettata dall'Arch. Giuseppe Pirovano in stile eclettico, ed edificata in seguito ad un importante lascito. La costruzione, inaugurata il 3 novembre 1892, è sorta con lo scopo di ospitare i fanciulli non vedenti e curare la loro istruzione. Nel 1925 l'Istituto realizzò il pensionato Casa Famiglia. Nel 1926 l'Istituto dei Ciechi venne dichiarato Istituto Scolastico ed fu posto alle dipendenze del Ministero della Pubblica Istruzione. Nel 1939 vide l'istituzione della Scuola di Avviamento Professionale per ciechi: essa assorbiva il laboratorio di vimini, la falegnameria e il maglificio. Negli ultimi decenni molti cambiamenti sono intervenuti a ridare nuovo impulso all'operato dell'Istituto orientando le scelte verso nuovi servizi più aderenti ai moderni concetti di assistenza e di educazione. PLANETARIO HOEPLI (1929-1930) - CORSO VENEZIA Il planetario è una tra le più note architetture milanesi di Portaluppi, finanziato dall’editore di origine svizzera Ulrico Hoepli, a cui venne l’idea di donare alla città proprio questo edificio, ispirandosi alla costruzione nel 1926 del planetario di Roma, sostenuta da Mussolini. Il planetario è concepito in forme classicheggianti, con una base ottagonale sormontata da una cupola emisferica. Il chiaro riferimento ai templi classici è dato dal pronao con timpano sostenuto da quattro colonne ioniche. L’esterno è rivestito in pietra, mentre il pronao è in marmo di Crevola d’Ossola. 20 TORRE RASINI (1932-1935) - PIAZZA OBERDAN La torre Rasini è l’ultima delle collaborazioni tra gli architetti Gio Ponti ed Emilio Lancia. L’edificio ad angolo è composto da due blocchi nettamente distinti per le forme e l’uso di diversi materiali: la torre, rivestita di mattoncini di klinker (materiale ceramico inventato negli anni Trenta, noto per la sua resistenza. Venne utilizzato in Italia per la prima volta da Giovanni Muzio al Palazzo della Triennale) e l’edificio ad angolo coperto da lastre di marmo bianco. La torre, alta dodici piani, presenta un bovindo semicircolare e terrazze pensili nella parte superiore: la visione dai bastioni cela completamente la sua planimetria, in realtà allungata e degradante verso i Giardini di Porta Venezia. PALAZZO ISIMBARDI - VIA VIVAIO Palazzo Isimbardi è oggi la sede dell’Amministrazione Provinciale di Milano. Il nucleo più antico ha origini quattrocentesche, poi ampliato e modificato nei secoli successivi. La facciata su corso Monforte è settecentesca, con larghe cornici a stucco. Il cortile interno porticato risale al 1500, mentre verso il giardino la facciata è neoclassica. 24. G. Ponti, E. Lancia, Torre Rasini, 1932-1935. Di fronte all’edificio troviamo il casello daziario di Porta Venezia. 21 Dopo numerosi passaggi di proprietà, negli anni Trenta del 1900 la Provincia di Milano acquisì l’immobile, e commissionò all’architetto Ferdinando Reggiori il compito di restaurare il palazzo, recuperando e valorizzando gli elementi decorativi che ogni secolo aveva lasciato. L’opera di ampliamento venne affidata a Giovanni Muzio, che giustappose all’antica costruzione un nuovo edificio di stile razionalista, dotato degli elementi 25. G. Muzio, Ingresso e lato su via Vivaio di Palazzo Isimbardi, 1940-1942. simbolici che un luogo del pubblico potere richiedeva, quali la torre, che ai tempi era una delle costruzioni più alte della zona, i portali colonnati, i pannelli scultorei. Il palazzo venne inaugurato nel 1942, ma circa mezz’ora dopo l’inaugurazione, su Milano si scatenò il primo bombardamento che causò la rottura dei vetri di tutte le finestre. La facciata su via Vivaio è rivestita in marmo perpolito nella zona un tempo riservata agli amministratori dell’ente, e in parte in mattoncini di klinker, nella parte riservata agli uffici, con bassorilievi di Salvatore Saponaro. 26-27. G. Muzio, Lato su via Vivaio di Palazzo Isimbardi con i bassorilievi di S. Saponaro, 1940-1942 22 BREVI BIOGRAFIE DEGLI ARTISTI Aldo Andreani (Mantova 1887- Milano 1971), architetto Compì i primi studi nella città natale, Mantova, per poi trasferirsi a Milano. Si iscrisse anche alla Regia scuola di applicazione per gli ingegneri di Roma. Ispirandosi ai palazzi dei mercanti con logge di tipo medievale, nei primi anni dieci avviò il cantiere della camera di Commercio di Mantova, che concluse nel 1914. Dopo la guerra ottenne l’importante incarico per il “piano di edificazione in Terra Sola Busca”, che prevedeva la lottizzazione a Milano di una vesta area di proprietà del Conte Gian Ludovico Sola Cabiati. Si dedicò successivamente a lavori di restauro, svolti nella sua città natale. Giulio Ulisse Arata (Piacenza 1881 - 1961), architetto Dopo aver frequentato la scuola d’ornato a Piacenza e presso l’Accademia di Brera, iniziò ad esercitare la professione di architetto dal 1906. Nel 1914 fondò con Antonio Sant’Elia e altri artisti il gruppo di Nuove Tendenze. Contraddistinto da uno stile eclettico, in cui si fondono elementi del modernismo, del secessionismo e della tradizione italiana, operò soprattutto a Milano, Napoli, Bologna, Fidenza. Nel 1925 venne nominato accademico di San Luca. Ernesto Bazzaro (Milano 1859 - 1937) - scultore Fu allievo di Giuseppe Grandi (autore del monumento in Piazza Cinque Giornate a Milano) all’Accademia di Brera, del quale si rileva l’influenza in numerosi ritratti dal modellato nervoso e dai piani sfaldati. Bazzaro fu uno dei principali esponenti della Scapigliatura lombarda e fu attivo soprattutto a Milano: tra le sue opere ricordiamo il monumento a Felice Cavallotti (1906). Piero Portaluppi (Milano 1888 - 1967) - architetto Si laureò in architettura nel 1910, e iniziò la sua carriera nel campo dell’arredamento e di edifici che denunciano l’influenza del gusto neo medievalista in voga all’epoca. Nel 1922 iniziò la collaborazione con le imprese elettriche Conti, per conto delle quali costruì un gran numero di centrali idroelettriche, ispirate ai più diversi stili. Degli stessi anni sono il progetto per il grattacielo SKNE di New York e il piano regolatore di Milano, ideato con l’ingegnere Semenza, primo classificato nel concorso del1926, e attuato nel 1934. Tra gli anni 20 e 30 fu attivissimo a Milano per numerosi palazzi per appartamenti signorili, edifici pubblici (il planetario Hoepli in Corso Venezia), arredamenti e restauri di edifici storici (Casa degli Atellani in Corso Magenta, Santa Maria delle Grazie e la Pinacoteca di Brera). Gli anni trenta sono impegnati nello sviluppo del razionalismo italiano, assecondandone la propensione alla semplificazione formale in un’avvertita sensibilità per una decorazione ancora ispirata al decò e per i valori di superficie nell’uso dei materiali. 23 Giuseppe Sommaruga (Milano 1867 - 1917) architetto Compì gli studi all’Accademia di Brera e al Politecnico di Milano, dove fu allievo di Camillo Boito e Alfredo Melani, mentre il suo iter professionale ebbe inizio nello studio dell’affermato Luigi Broggi (dal 1887 al 1892). Nel 1890 ottenne il primo premio al Concorso Internazionale di Architettura di Torino e dal quel momento partecipò a numerosi concorsi, divenne collaboratore della rivista “L’architettura italiana” ed ebbe una nutrita serie di incarichi pubblici. Nella seconda metà degli anni ottanta dell’Ottocento edificò le prime abitazioni private a Milano, di tono modesto, quando non popolare, ed edicole funebri. Celeberrima tappa della sua produzione è il Palazzo Castiglioni, che realizzò in collaborazione con artisti di fama, quali Ernesto Bazzaro e Ambrogio Pirovano. Da questa data in poi la sua attività non ebbe soste, lavorando soprattutto per le ricche famiglie borghesi di Milano, tra cui i Cirla, i Salmoiraghi e i Faccanoni. Tra gli edifici pubblici ricordia- 28. G. Sommaruga, Clinica Columbus, già Villa mo il complesso alberghiero di campo dei Fiori, per Faccanoni, 1912-1914, via Buonarroti. la Società Grandi Alberghi Varesini (1908-1912), e la linea elettrica Ghirba-Ponte Tresa per la Socvcietà Imprese Elettriche Varesine (19111915). Adolfo Wildt (Milano, 1868 - 1931) - scultore Durante il suo apprendistato nello studio di Giuseppe Grandi sviluppò un’eccezionale abilità tecnica e il gusto di levigare fino all’estremo le superfici di marmo, la materia a lui più congeniale. Ottenne per le sue sculture la medaglia d’oro all’Esposizione di Monaco del 1896, dove fece la conoscenza dell’industriale tedesco Franz Rose, che divenne il suo mecenate e gli permise di dedicarsi solo all’arte. Tra le sue opere ricordiamo alcuni ritratti (Mussolini, 1923, Arturo Toscanini, 1923, Pio XI, 1926), i monumenti funebri per il Cimitero Monumentale di Milano (Monumento Bistoletti, 1927, Edicola Korner, 1929-1932), il gigantesco Sant’Ambrogio per il Monumento ai Caduti di Milano (1928), e la scultura conservata presso la Villa Necchi Campiglio, il Puro Folle o Parsifal (1930), Collezione Gianferrari . Nel 1921 pubblicò il trattato sulla scultura l’Arte del marmo, dal 1923 insegnò scultura a Brera, e l’anno seguente divenne membro del Consiglio Superiore delle Belle 29. A. Wildt, Arturo Toscanini, 1923, Roma, Galleria Nazionale di Arte MoArti. derna 24 BIBLIOGRAFIA B. Pellegrino, Così era Milano, Libreria Milanese, Milano, 1986 Sthendal, Roma Napoli Firenze, Bari, Laterza, 1990 APT, Liberty, Decò e Stile Novecento, itinerari di Milano e Provincia, EdiNodo, Milano, 1999 R. Bossaglia, V. Terraroli (a cura di), Milano Dèco. La fisionomia della città negli anni Venti, Milano, Skira, 1999 Enciclopedia dell’Arte, Milano, Garzanti, 2002 R. Bossaglia, V. Terraroli (a cura di), Il Liberty a Milano, Milano, Skira, 2003 L. Molinari, Fondazione Piero Portaluppi, Piero Portaluppi: linea errante nell’architettura del novecento, Milano, Skira, 2003 Milano, Touring Club Italiano, 2005 Provincia di Milano, Palazzo Isimbardi, Milano, Erregi, 2007 Il testo di Ornella Selvafolta è pubblicato in: L. Borromeo (a cura di), Villa Necchi Campiglio, Milano, Skira, 2008, pagg. 15-19 I siti: http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/ http://www.storiadimilano.it/ http://www.istciechimilano.it/ FONTI ICONOGRAFICHE Frontespizio: Milano Dèco. La fisionomia della città negli anni Venti, pag.22 1. Marcantonio Dal Re, vedute di Milano, www.storiadimilano.it 2. Fotografia dell’autrice 3. Fotografia dell’autrice 4. Il Liberty a Milano, pag. 18 5. Il Liberty a Milano, pagg. 25-26 6. Il Liberty a Milano, pag. 64 7. Il Liberty a Milano, pagg. 23-24 8. www.ospedaleniguarda.it 9-20 Fotografie dell’autrice 21 Piero Portaluppi: linea errante nell’architettura del novecento, pag. 83 22-27Fotografie dell’autrice 28 Il Liberty a Milano, pag. 132 29 Milano Dèco. La fisionomia della città negli anni Venti, pag.100 Testo a cura di: Arianna Mascetti 25