LA
BUONA
EDUCAZIONE
Istituito da Napoleone, poi dimora nobiliare,
l’ex COLLEGIO DELLE FANCIULLE a Milano
non è una gabbia dorata. Piuttosto,
un’ inattesa eccellenza italiana
in cui, tra soffitti affrescati,
statue, stucchi, generazioni
di alunni...
testo di CRISTINA FUMARCO* — fotografie di MASSIMO LISTRI
D
a quasi duecento anni, ogni mattina, mani
pazienti aprono le circa 250 finestre di
Palazzo Archinto, nel cuore di Milano,
accanto al Conservatorio Giuseppe
Verdi e alla cinquecentesca Chiesa di
Santa Maria della Passione. E la prima
luce del giorno si riflette sugli stucchi
dorati di queste stanze affrescate, che hanno osservato dal
loro nascosto privilegio lo scorrere della storia cittadina e sono
miracolosamente sopravvissute agli eventi, non senza qualche
pesante ferita che rende però ancor più affascinante questo luogo
e la sua storia. Già dal 1865 il palazzo è sede del Collegio Reale
delle Fanciulle (poi rinominato Educandato statale Emanuela
Setti Carraro dalla Chiesa); istituito nel 1808 da Napoleone per le
figlie della nuova nobiltà e degli ufficiali e inizialmente ospitato in
un convento soppresso vicino alla Rotonda della Besana. Qui si
fine del Settecento con i Giardini Pubblici del Piermarini e
la Villa Belgioioso (nota come Reale) del Pollack: terreni di
conventi e orti tra le mura spagnole e la cerchia interna dei
Navigli erano contesi dai grandi della città alla ricerca di nuovi
spazi. Il maestoso palazzo quadrato cinge un cortile d’onore ed è
affiancato da ali di servizio con altri cortili, mentre sul retro vi è
il parco privato più grande di Milano, con tanto di laghetto (oggi
prosciugato). Severa l’architettura tardoneoclassica, realizzata in
soli quattro anni dal professore di Brera Gaetano Besia in tipico
giallo teresiano, con la lunga facciata stretta dalla via Passione e
ritmata da lesene corinzie e finestre timpanate. Ricca invece la
decorazione interna, ai limiti dell’opulenza, affidata ai disegni
di Nicolas-Auguste Thumeloup, professore di disegno all’École
Centrale des Arts et Manufactures di Parigi, che gestì tutto a
distanza (venne solo una volta a Milano), spedendo disegni e
poi correggendoli secondo i capricci del padrone, affidando a
Con la storia del palazzo (e del suo incredibile parco) continua il viaggio
di «AD» tra i gioielli nascosti del patrimonio architettonico italiano.
può compiere tutto il corso di studi dalle elementari fino al liceo
classico, classico-europeo o linguistico: i tempi di una scuola
tutta femminile per le signorine della Milano bene sono finiti
e dal 2008 anche i licei sono misti; ma ciò che non è cambiato
è l’attenzione all’educazione e al rispetto per un ambiente di
studio e lavoro del tutto eccezionale: si cammina su pavimenti
di marmo e mosaico, si appoggiano i gomiti sulle mensole dei
camini con specchiera, si aprono porte dipinte e decorate con
delicati putti in stucco e cartapesta – le cui maniglie sono ancora
quelle originali ottocentesche –, si chiudono imposte alte quattro
metri con la delicatezza di chi maneggia una fragile conchiglia.
Eppure non siamo in una gabbia dorata e miracolosamente tutto
resiste e anzi continua a vivere grazie alla naturale vivacità degli
alunni. Agli studenti viene raccontata la storia dell’edificio, così
che possano amarlo e difenderlo e si scherza sul fantasma del
primo proprietario, l’ambizioso e troppo prodigo conte Giuseppe
Archinto, che per questo palazzo e per la mala gestione di
qualche amministratore si giocò il patrimonio, così che alla sua
morte tutto fu svenduto fino all’ultimo candelabro.
La storica dimora di famiglia in via Olmetto, con gli affreschi
del Tiepolo, non lo soddisfaceva più e così si fece costruire
dal 1833 questo palazzo, nella nuova zona di corso di Porta
Orientale (oggi Venezia), la cui espansione era iniziata dalla
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scultori francesi l’esecuzione dei decori, poi inviati in fragili
casse in Italia, in modo che un operaio, pure lui giunto da Parigi,
li mettesse in opera. Alle ingiustamente neglette maestranze
lombarde furono affidati solo gli affreschi e i pochi marmi del
palazzo, cioè la balaustra dello scalone, pavimenti e camini.
Questa costruzione, infatti, pur divenendo la principale causa
della bancarotta di famiglia, basa gran parte del suo fasto su una
materia povera mirabilmente vestita a festa: le statue sono gessi
finissimi, i basamenti sfoggiano l’antica tecnica del marmorino,
lucido e freddo come se fosse vero e molti decori sono persino
in cartapesta. Del resto, così era un po’ anche il conte, che
accumulava debiti ma teneva otto camerieri in anticamera e
un giorno, insoddisfatto di un pranzo alla corte di Vienna,
osò invitarne i membri per mostrare che dall’imperatore si
“mangiava”, mentre da lui si “pranzava”.
Al centro del cortile d’onore campeggia una statua bronzea
di Napoleone, che di certo non sarebbe piaciuta all’A rchinto,
(segue a pagina 130)
Ricordi. A destra: salotto al piano nobile (attuale IV Liceo classico),
pavimento in mosaico e seminato, pareti con zoccolo in marmorino.
Doppia pagina precedente: lo scalone d’onore, con balaustra in marmo,
sculture di Apollo, busti di sapienti, statue delle Muse, pareti in marmorino.
Memorie. In alto: nel Salone della caccia e della pesca, con soffitto affrescato, spicca una stufa con un busto
di Napoleone. Sopra: le scuderie, che ospitano il re­fettorio, caratterizzate da colonne doriche in granito.
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Prezioso. In alto: l’ambulacro dell’ala sud, dalla volta affrescata. Sopra: la Sala delle ballerine con porte in cuoio
e rame dorato, pareti con cornici in stucco, specchi, camini in marmo, affreschi con ballerine pompeiane.
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filoasburgico fin nel midollo, e infatti venne fusa nel 1932 da un
gesso del 1808 di Angelo Pizzi, allievo di Canova: uno scherzo
della storia così come quel figlio Luigi, che partecipò alle Cinque
Giornate del 1848 convincendo persino la servitù del palazzo
ad arruolarsi. Gli ospiti lasciavano le carrozze in scuderie con
colonne doriche di granito al piano terreno, dove si trovavano
anche cappella, uffici amministrativi e cucine, e salivano al piano
nobile attraverso lo scalone d’onore, sorpassando il nascosto
mezzanino della servitù. Ci pensavano le statue della Sapienza,
di Apollo e delle Muse e i busti di dotti e filosofi incombenti
sulla doppia rampa a presentare il conte Giuseppe come un
protettore della cultura, mentre l’enorme Salone delle feste era
destinato a balli e concerti, decorato più sobriamente rispetto
alle altre stanze – come una porcellana di Limoges – perché qui
Thumeloup non riuscì a far realizzare il suo fastoso progetto.
Al piano nobile si rincorrono vasti ambulacri, sale private e di
rappresentanza, per un totale di quasi trenta ambienti, che nelle
ali nord ed est hanno perduto quasi tutta la loro decorazione,
anche a causa di un incendio per un bombardamento del 1943,
mentre le educande e il personale con tutte le suppellettili erano
sfollati. Spicca qui la Sala delle ballerine, scrigno del lusso
annesso al grande salone e forse in principio usata come fumoir
o salotto: vi si accede da porte rivestite in cuoio stampato e
borchiato; le pareti sono coperte di affreschi, dominati da otto
figure femminili danzanti, in un tripudio di specchi, ori e ricche
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cornici floreali in stucco. L’ala sud del piano nobile affacciata
sul parco è quella meglio conservata. I restauri, iniziati nel
1999 grazie al finanziamento degli Amici del Collegio e oggi
condotti dalla sapiente mano di Carlotta Beccaria e dalla
Sovrintendenza, hanno riportato all’antico splendore la Sala
pompeiana, il Salone della caccia e della pesca, con la sua grande
stufa cilindrica coronata da un busto napoleonico e le pareti in
spatolato giallo lucente; la Saletta da pranzo, con putti e vivande
sulla volta, sotto la quale oggi i ragazzi giocano accanitamente a
calcio-balilla in ogni minuto libero, e infine l’ambulacro vicino
alle scale, il cui grigio e scrostato soffitto è tornato ad avere girali
a monocromo e preziosi stucchi dorati. Rimane da restaurare la
ricca camera da letto della contessa, mentre pesanti infiltrazioni
stanno consumando altre stanze, battendo sul tempo la
raccolta dei fondi necessari a salvarle. Ovunque, in modo quasi
prepotente e ossessivo, compaiono le iniziali dell’A rchinto o lo
stemma di famiglia con l’aquila bicipite imperiale, persino sulle
maniglie in bronzo delle porte, miracolosamente resistenti al
quotidiano uso. Le decorazioni, realizzate tra il 1837 e il 1849,
costarono 10.250 franchi, compresi lampadari, candelabri e
Rarità. Sopra: saletta da pranzo (oggi atrio di passaggio), con pavimento
in seminato, pareti con rilievi in stucco. Pagina accanto: particolare della
cornice di una delle specchiere della camera da letto della contessa,
decorata da stucchi con stemmi di famiglia e draghi che reggono ghirlande.
mobili, sempre disegnati da Thumeloup. A eccezione delle parti
inamovibili, tutto è andato disperso sul mercato antiquario:
gli arredi, la ricca collezione lapidaria e scultorea posta in un
portico verso il giardino (resti al Museo Archeologico), quella di
dipinti di scuola lombarda di Cinque e Seicento, quella di arazzi,
armature, gioielli, strumenti metrici, stampe e carte geografiche,
che era conservata al secondo e ultimo piano, dove si trovavano
anche la celebre biblioteca e le camere degli ospiti. La fedeltà
dell’A rchinto agli Asburgo, premiata da riconoscimenti, tra cui
che era stato il salone da ballo le educande ricevevano i familiari
nei giorni di visita, dormendo dapprima in una parte del
medesimo piano e poi in apposite camerette a quello superiore.
Nell’ala di servizio destra sono state ricavate palestra e cucine,
mentre in una parte del parco sono sorti campi sportivi. Arrivò
la Prima guerra mondiale e qui si insediarono un ospedale civile
e la Croce Rossa, mentre dal 1942 al 1958 vi si trasferì parte
dell’Università Statale. Vent’anni fa si cercò di separare la vita
del Collegio dal palazzo, ma una tenace raccolta di firme sventò
I tempi della scuola tutta femminile per le signorine dalla Milano bene
sono finiti, ma non è cambiato il rispetto per un luogo di studio eccezionale.
quello di consigliere di Sua Maestà e cavaliere dell’Ordine del
Toson d’Oro, fu punita con l’avvento del Regno d’Italia, tanto
che quando il conte morì nel suo palazzo, il 16 gennaio 1861,
era socialmente isolato.
Gli eredi dovettero svendere in pochi anni un patrimonio
accumulato in sette secoli di successioni e matrimoni, stimato
20 milioni di lire di allora. Il palazzo, statalizzato e dato al
Collegio Reale delle Fanciulle, si trasformò nel tempo: le
scuderie divennero refettorio, gli ambienti al piano terreno
segreteria e aule, nel mezzanino si alloggiarono biblioteca e
archivio, le sale al piano nobile divennero altre aule e in quello
il pericolo e rivelò alla città l’attaccamento a un’istituzione che,
con la sua tradizione a lungo immutabile, non solo ha salvato
l’edificio ma lo ha reso strumento di educazione al rispetto
e alla valorizzazione del Bello: gli studenti, pur figli del loro
tempo, qui non scrivono sui muri, non sbattono le porte, ma
al contrario raccontano agli ospiti le vicende della loro scuola.
E se ogni tanto indugiano a guardare per aria, forse hanno
dei buoni motivi.
FINE
* Cristina Fumarco, docente di Storia dell’arte, è la responsabile
della valorizzazione del patrimonio artistico del Collegio.
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articolo di presentazione del Palazzo