RESEARCH REPORT N.003 | 11 AUTONOMIA STATUTARIA E RECESSO DEL SOCIO NELLE SOCIETÀ COOPERATIVE Antonio Fici, Università del Molise / Euricse AUTONOMIA STATUTARIA E RECESSO DEL SOCIO NELLE SOCIETA’ COOPERATIVE Antonio Fici Abstract Il recesso nelle società cooperative costituisce un tema di straordinaria attualità per ragioni ben comprensibili, poiché esso rappresenta terreno di confronto tra esigenza di stabilità e sviluppo dell’impresa cooperativa e interesse dei soci alla riacquisizione della libertà contrattuale e al disinvestimento del capitale. Tali interessi possono entrare in conflitto soprattutto nei periodi di difficoltà dell’impresa e di crisi economica. Questo rapporto presenta il quadro giuridico sul recesso del socio cooperatore, con particolare riferimento alle cause che consentono di recedere e al ruolo che l’autonomia statutaria può assumere in questo ambito. La conoscenza del sistema normativo applicabile al recesso è condizione necessaria per l’adozione di qualsiasi strategia sistematica in materia di recesso. In particolare, l’analisi conferma che l’ordinamento giuridico italiano guarda con un certo sfavore al recesso del socio cooperatore. È pertanto da questo punto di partenza che occorre muovere per valutare criteri e modalità di disciplina statutaria del recesso del socio, anche nella prospettiva di politiche sul recesso che riguardino il sistema cooperativo nel suo complesso. Euricse, 2011 L’autore di questo rapporto di ricerca è Professore associato di Diritto privato presso l’Università del Molise, di Diritto dell’impresa cooperativa e sociale presso l’Università di Trento e collaboratore di Euricse. Questo scritto rappresenta la sintesi e contiene le conclusioni dell’omonima ricerca svolta per Euricse nel corso dell’anno 2010. Alcuni fatti successivi al momento in cui questa ricerca era già quasi completata, fatti interni al movimento cooperativo trentino (cfr. infra nel testo), hanno reso in un certo senso inevitabile un commento dell’autore sulle modalità con cui il recesso era lì trattato: ciononostante, la ricerca si propone obiettivi più ampi che superano le limitate vicende interne alla cooperazione trentina, poiché analizza il tema del recesso in prospettiva più generale. Si ringrazia la dott.ssa Donatella Palumbo, dottoranda di ricerca presso l’Università del Molise, per la preziosa collaborazione. 2 Indice 1 INTRODUZIONE .................................................................................... 4 2 IL PROBLEMA DEL RECESSO NELLE SOCIETÀ COOPERATIVE..................... 6 3 LE FONTI DI DISCIPLINA DEL RECESSO .................................................. 15 4 LA LEGITTIMITÀ DEL RECESSO PRESUPPONE L’ESISTENZA DI UNA SPECIFICA CAUSA, LEGALE O STATUTARIA, CHE SIA FONTE DEL RELATIVO DIRITTO. INAPPLICABILITÀ ALLE SOCIETÀ COOPERATIVE DELL’ART. 24, 2° CO., C.C. .......................................................................................................... 17 5 LE CAUSE LEGALI DI RECESSO .............................................................. 22 5.1 CAUSE LEGALI DI RECESSO TIPICHE DELLE SOCIETÀ COOPERATIVE....................... 23 5.2 CAUSE LEGALI DI RECESSO NELLE S.P.A. E NELLE S.R.L. APPLICABILI ALLE COOPERATIVE ........................................................................................................ 25 5.3 INAPPLICABILITÀ ALLE SOCIETÀ COOPERATIVE DELL’ART. 2285, 2° CO., C.C......... 29 6 AUTONOMIA STATUTARIA E RECESSO DEL SOCIO. CONTENUTO E LIMITI DELL’AUTONOMIA STATUTARIA NELLA DISCIPLINA DEL RECESSO .................... 31 6.1 ASSENZA DI DISPOSIZIONI STATUTARIE IN TEMA DI RECESSO ............................ 32 6.2 CLAUSOLE CHE LIMITANO IL RECESSO ......................................................... 32 6.3 CLAUSOLE CHE AMPLIANO LA FATTISPECIE DEL RECESSO ................................. 40 7 PROFILI DI NATURA PROCEDIMENTALE ............................................... 44 8 CONCLUSIONI ..................................................................................... 48 9 TABELLE RIASSUNTIVE ........................................................................ 51 10 BIBLIOGRAFIA ................................................................................... 55 3 1 Introduzione In generale, il recesso consiste in una dichiarazione di volontà mediante la quale il suo autore si svincola unilateralmente da un rapporto giuridico, valido ed efficace, di cui è parte nel momento in cui la emette1. Nel particolare ambito del diritto delle società, il recesso è pertanto, più precisamente, quella dichiarazione unilaterale di volontà con cui il socio interrompe il rapporto che lo lega alla propria società, cioè il rapporto sociale o societario, in tal modo cessando di farne parte, cioè “uscendo” da essa (si parla anche di exit soprattutto negli studi di analisi economica del diritto)2. Allorché, poi, la società in questione sia una società cooperativa, nell’analizzare il tema del recesso occorre tenere conto del duplice rapporto che lega la società al socio cooperatore, il quale non solo è parte del rapporto sociale, ma anche del rapporto mutualistico, ciò che costituisce fenomeno essenziale di una società cooperativa, l’elemento che la connota e più la distingue da tutti gli altri tipi societari3. Diviene necessario pertanto 1 Se, da un lato, questa definizione coglie gli elementi strutturali comuni a tutte le diverse fattispecie di recesso, essa però non è in grado di coglierne altresì gli aspetti funzionali, anche perché, quando è riconosciuto dal legislatore, il recesso, come spiegato dalla migliore dottrina, persegue una pluralità di funzioni (Gabrielli e Padovini, 1988, p. 27 s.). D’altro canto, ci sono fattispecie diversamente denominate dal legislatore (disdetta, revoca, ecc.) che in realtà sono riconducibili al recesso (Gabrielli e Padovini, 1988, p. 28); e al contrario casi (come il recesso di cui all’art. 64 c. cons.) in cui, nonostante il legislatore parli di recesso, può in realtà dubitarsi che la fattispecie sia tale in senso stretto (per mancanza di un contratto perfezionatosi, ciò che fa sì che il recesso possa in realtà considerarsi elemento impeditivo del perfezionamento del contratto piuttosto che strumento di exit da un contratto già concluso). 2 In dottrina si discute altresì talvolta di scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio, al fine di distinguere questa fattispecie da quella dello scioglimento della società. L’art. 2532, 2° co., c.c. non toglie validità alla qualificazione del recesso come dichiarazione unilaterale, poiché, come diremo, il controllo degli amministratori ivi previsto non costituisce “accettazione” in senso stretto. Alla medesima conclusione deve giungersi con riguardo all’improvvido (o generico) impiego del termine “domanda” (e del conseguente suo “accoglimento”) nell’art. 2532, 3° co., c.c. Si può invece discutere della possibilità di configurare il recesso come proposta da accettarsi da parte degli amministratori con limitato riferimento ai casi di recesso convenzionale (v. oltre § 6.3). In giurisprudenza, al fine di sottolineare la unilateralità del recesso, lo si qualifica talvolta come diritto potestativo (cfr. Cass., 2.5.2006, n. 10135, in Foro it., 2007, I, 546). Ovviamente, la natura di diritto (potestativo) non comporta che la legge o lo statuto non possano fissare presupposti e condizioni per la sua insorgenza o per il suo esercizio. 3 Sullo specifico punto cfr. Fici, 2010, 2484 ss., e la bibliografia e la giurisprudenza ivi 4 interrogarsi anche (e in particolar modo) sulle conseguenze del recesso sul rapporto mutualistico. Il tema del recesso nelle società cooperative si colora pertanto di sfumature particolari proprio in ragione dello scopo mutualistico che contraddistingue questo tipo societario e della conseguente duplicità di rapporti, sociale e mutualistico, che legano cooperativa e socio cooperatore, e che fanno sì che quest’ultimo sia non soltanto colui che conferisce le risorse finanziarie (mediante sottoscrizione e versamento del capitale sociale), ma anche e soprattutto colui dal quale dipende il funzionamento e la sopravvivenza della cooperativa (anche sotto il più limitato profilo della conservazione della qualifica di “cooperativa a mutualità prevalente”) in ragione degli apporti mutualistici (in termini di prestazioni lavorative, pagamento di corrispettivi, fornitura di beni o servizi) che si obbliga a fornire a quest’ultima. A ciò va aggiunto il fatto che le cooperative non costituiscono una realtà unitaria, sussistendo (come già si evince sul piano legislativo dalla lettura dell’art. 2513 c.c.) diverse tipologie di cooperative a seconda del tipo di scambio mutualistico e dunque della natura dei soci: lavoratori, consumatori o fornitori di beni o servizi, e in quest’ultimo caso (potenziali) imprenditori ai sensi dell’art. 2082 c.c. Probabilmente, la fattispecie più diffusa di cooperative i cui soci sono imprenditori che conferiscono beni alla cooperativa è quella delle cooperative agricole (cioè di conservazione, trasformazione, commercializzazione di prodotti agricoli). Parimenti, cooperative tra imprenditori sono per definizione i consorzi di cooperative, cioè le cooperative di secondo grado formate da cooperative ai fini dello svolgimento in comune di una fase d’attività d’impresa o di un’impresa strumentale4. Per le ragioni che meglio si comprenderanno tra breve, le riflessioni contenute in questo scritto interessano prevalentemente le cooperative tra imprenditori e i consorzi di cooperative, poiché il recesso costituisce una circostanza rischiosa e un profilo molto delicato soprattutto con riferimento a queste ultime tipologie di cooperative. Né va trascurato che, a prescindere da quale sia la tipologia cooperativa sul piano dello scambio mutualistico, il problema del recesso può presentarsi diversamente a seconda delle caratteristiche concrete della cooperativa. Infatti, per motivi che in seguito diverranno più chiari, c’è da attendersi che una cooperativa (o un consorzio) con un numero limitato di soci non omogenei tra loro (ed in cui qualcuno di essi assuma una citate. 4 Il medesimo discorso vale con riguardo ai consorzi di secondo grado, ovverosia ai consorzi formati da consorzi di cooperative. 5 posizione di preminenza in ragione della quantità di capitale sottoscritto o della quantità e/o qualità di scambi mutualistici) sia più sensibile al tema del recesso rispetto ad una cooperativa formata da un numero ampio di soci omogenei tra loro. Sempre al fine di delimitare l’ambito dell’indagine, si deve altresì precisare che l’analisi avrà ad oggetto la posizione del socio cooperatore e dunque non terrà conto di quegli aspetti specifici che possano riguardare il recesso di quel socio di cooperativa la cui causa di partecipazione non consista (quanto meno prevalentemente) nello scambio mutualistico con la società, ma sia diversamente individuabile (unicamente) nella remunerazione del capitale conferito (soci finanziatori) o in altro (ad esempio, soci volontari nelle cooperative sociali). Parimenti, non si approfondirà qui il tema del recesso della cooperativa dal gruppo cooperativo paritetico ai sensi dell’art. 2545 septies, 2° co., c.c.5. 2 Il problema del recesso nelle società cooperative Nel discutere gli aspetti problematici del recesso del socio nelle società cooperative occorre porre in primo piano il particolare scopo mutualistico che (soprattutto con riferimento alle cooperative a mutualità prevalente) contraddistingue questo tipo societario. Lo scopo mutualistico, infatti, si attua mediante rapporti mutualistici fra cooperativa e soci cooperatori che possono, a seconda dei casi, consistere in rapporti di lavoro o di scambio. Tanto la cooperativa quanto i soci sono, nei più precisi termini in cui la legge e lo statuto lo richiedano, obbligati a porre in essere contratti tra di loro, di lavoro o di scambio, così realizzando lo scopo mutualistico. Ciò crea una dipendenza reciproca tra soci e cooperativa (nonché tra i soci), soprattutto allorché gli statuti della cooperativa siano chiari nel porre un obbligo dei soci di operare esclusivamente con la propria 5 La disposizione citata stabilisce che “la cooperativa può recedere dal contratto senza che ad essa possano essere imposti oneri di alcun tipo qualora, per effetto dell’adesione al gruppo, le condizioni dello scambio risultino pregiudizievoli per i propri soci”. Può notarsi come la norma in questione favorisca il recesso, ancorandolo a pure ragioni di utilità, ovvero sopravvenuta onerosità, della partecipazione, seppur in un contesto diverso, che è prevalentemente contrattuale (il contratto di gruppo) e non già organizzativo. Naturalmente, la possibilità di recedere adducendo questa motivazione può rendere il gruppo cooperativo paritetico alternativa da tenere in considerazione in luogo di strumenti di aggregazione più tradizionali, come il consorzio, in cui la possibilità di recedere non è (come vedremo) riconosciuta dalla legge con così tale ampiezza. 6 cooperativa (ovvero di non intrattenere rapporti di analogo contenuto o concorrenziali con altri soggetti) e della cooperativa di assorbire tutto l’apporto che il socio può offrire (ovvero di non operare con terzi non soci o di operare con terzi non soci solo nel caso in cui gli apporti mutualistici dei soci non siano sufficienti)6. L’interesse dei soci, infatti, si realizza esclusivamente scambiando con la propria cooperativa, mentre l’interesse sociale della cooperativa può realizzarsi solo se i soci forniscano gli apporti necessari all’esercizio dell’impresa. Sono queste le ragioni alla base della costituzione di una cooperativa, ma anche e allo stesso tempo le ragioni che rendono la stessa un soggetto economico sui generis, il quale per sua stessa natura e vocazione dispone di un mercato di utenti o di fattori della produzione più ristretto di quanto non accada alle imprese non mutualistiche7. In conseguenza dello scopo mutualistico e delle sue modalità attuative, il socio di una cooperativa riveste dunque una doppia qualità: quella di parte del rapporto societario, che deriva e dipende dalla sottoscrizione del capitale sociale, e quella di controparte della cooperativa nei rapporti mutualistici. Non soltanto egli è il sottoscrittore del capitale sociale della cooperativa, ma anche colui che ponendo in essere con la cooperativa scambi mutualistici contribuisce all’attuazione della causa mutualistica e al perseguimento dell’interesse sociale della propria società. Il problema del recesso del socio va dunque esaminato in questa duplice dimensione, che è estranea alle società non mutualistiche e di 6 Ciò si verifica (almeno senz’altro con riguardo al primo aspetto) nelle cooperative agricole, come risulta dall’analisi di alcuni statuti esaminati ai fini di questo studio (cfr. art. 7, S. Orsola; art. 7, Cantina sociale di Trento; art. 7, Melinda; art. 7, Caseificio Val di Fiemme Cavalese), anche per effetto in taluni casi della loro natura di organizzazione di produttori e della relativa disciplina applicabile. Meno categorica, perché più indeterminata, è a tal riguardo la formula che si trova ad esempio nell’art. 7, 1° co., lett. a), dello statuto di Sait, secondo cui i soci “*hanno l’obbligo+ di usufruire dell’attività, delle prestazioni e dei servizi in genere forniti dalla società”. In tal senso anche l’art. 7, Cavit, che rinvia ad un regolamento da approvarsi da parte dell’assemblea dei soci (a sua volta, tale regolamento del 26.5.2005 affida la determinazione dell’obbligo di conferimento dei soci al direttore generale della società mediante un piano conferimenti annuale). 7 Deve naturalmente tenersi conto del fatto che, se previsto nel proprio statuto, la cooperativa potrebbe altresì operare con terzi non soci (art. 2521, 2° co., c.c.), ciò che ridimensiona, anche se soltanto parzialmente, il problema evidenziato nel testo. Infatti, un soggetto abituato ad operare con i propri soci ci si può attendere che faccia maggior fatica a reperire terzi non soci che sostituiscano i primi, soprattutto allorché il difetto dell’apporto dei soci, sia dovuto ad un’improvvisa restrizione della base sociale. Peraltro, l’attività con i terzi non soci, almeno nelle cooperative a mutualità non prevalente, non può essere prevalente rispetto all’attività con i soci. Da questo punto di vista, potrebbe dunque significativamente tracciarsi una distinzione tra cooperative a mutualità prevalente e cooperative diverse, perché il problema evidenziato nel testo si pone soprattutto (se non esclusivamente) con riguardo alle prime. 7 capitali, e che rende pertanto il tema del recesso dotato di tratti di peculiarità se affrontato nell’ambito delle società cooperative. A tal fine è necessario innanzitutto verificare quali siano gli interessi coinvolti nella vicenda del recesso. Il recesso del socio può pregiudicare l’interesse della cooperativa, e conseguentemente degli altri soci, sia sotto il profilo più strettamente finanziario, perché è destinato a privare la cooperativa delle quote di capitale da liquidarsi al socio receduto, sia sotto il profilo gestionale, nella misura in cui è altresì destinato a privare la cooperativa dell’apporto mutualistico del socio, a seconda dei casi in termini di prestazione lavorativa o di cessione/acquisto di beni o servizi8. La cooperativa il cui socio receda potrebbe dunque andare incontro ad una situazione di “crisi”, per il fatto di vedersi costretta a fronteggiare una più o meno rilevante restrizione tanto delle risorse finanziarie quanto dell’offerta di fattori della produzione (nelle cooperative di lavoro e di produzione) o della domanda di beni o servizi (nelle cooperative di consumo). V’è da credere che il secondo elemento di rischio sia normalmente (anche se non già sempre ed esclusivamente) quello più rilevante, e ciò per 8 Che il recesso del socio produca effetti tanto sul rapporto sociale quanto sul rapporto mutualistico risulta pacificamente dalla lettura della norma generale di cui all’art. 2532, 3° co., c.c., ma anche dalla lettura di norme particolari come l’art. 5, 2° co., l. 142/2001, in tema di cooperative di lavoro, dove si prevede che “il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l’esclusione del socio deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformità con gli articoli 2526 e 2527 del codice civile”. D’altronde, i due rapporti, sociale e mutualistico, sono tra loro distinti ma anche collegati talché le loro sorti si influenzano a vicenda, come appunto nelle ipotesi di collegamento negoziale, cioè di atti giuridici formalmente distinti ma tutti preordinati al perseguimento di un’unica e sola funzione economica. Anche le vicende che riguardano il rapporto mutualistico possono avere effetti sul rapporto sociale, determinandone l’estinzione (cfr. la disciplina dell’esclusione del socio ai sensi dell’art. 2533 c.c.). Naturalmente, non è da escludere che, venuto meno il rapporto sociale per qualsivoglia ragione, lo scambio tra cooperativa e socio prosegua, anche se tale scambio non potrà più definirsi “mutualistico” in senso stretto, perché l’ex socio è ormai rispetto alla cooperativa (e ai suoi soci) un terzo che non può essere ammesso ai benefici della mutualità (e che come terzo rileva ai fini, ad esempio, del calcolo della mutualità prevalente). Probabilmente, invece, non dovrebbe considerarsi (ancora) “terzo” il socio receduto il quale, ai sensi dell’art. 2532, 3° co., c.c., continui a scambiare con la cooperativa, non avendo il recesso prodotto ancora effetti sui rapporti mutualistici. Va da sé che quanto affermato nel testo presuppone l’esistenza di un obbligo del socio di intrattenere rapporti mutualistici con la società (derivante dalla causa mutualistica in sé, anche alla luce di quanto disposto dall’art. 2527, 2° co., c.c.; dallo statuto o dai regolamenti mutualistici, che fissano chiaramente questo obbligo e ne stabiliscono anche le esatte dimensioni; da altre leggi, quali quelle in tema di organizzazioni di produttori: cfr. art. 3, 2° co., d.lg. 102/2005, nonché art. 125 bis, Reg. CE 1234/2007) e di non poter recedere ad nutum da questi rapporti mutualistici, perché altrimenti il rischio di perdere gli apporti mutualistici sussisterebbe a prescindere dal recesso societario, e questo tema perderebbe molta della sua attuale importanza. 8 diverse ragioni. Innanzitutto perché in una cooperativa, com’è noto, il capitale sociale (sottoscritto dai soci cooperatori, poiché diverso discorso potrebbe farsi con riferimento ai soci finanziatori) assume un rilievo limitato nell’ambito delle diverse forme di finanziamento dell’impresa, laddove, tra i mezzi propri, è il patrimonio la principale risorsa finanziaria di tale tipo societario. In secondo luogo perché la relazione mutualistica è connotata da quella specificità e personalità che non contraddistingue invece l’aspetto finanziario della partecipazione del socio. Per la cooperativa non è indifferente la persona del socio, poiché la prestazione mutualistica da questi resa non è normalmente fungibile9. Il rischio di perdere l’apporto mutualistico del socio a seguito di recesso è direttamente proporzionale alla quantità e/o alla qualità degli scambi mutualistici del socio, nonché alla natura personale e specifica della relazione, che rende più complesso per la cooperativa il reperimento di un’alternativa sul mercato. Ecco perché, come già si anticipava, il problema del recesso dovrebbe essere più avvertito nelle cooperative (e nei consorzi) la cui base sociale non sia ampia e in cui non vi sia piena omogeneità della base sociale, talché uno o più soci risultino in concreto più importanti di altri (se non indispensabili) ai fini dell’attuazione della causa societaria10. Sulla misura di tale rischio incide anche il momento in cui il recesso (rectius, i suoi effetti) si verifica, perché la conseguente restrizione di finanza e di domanda/offerta di beni o servizi può produrre effetti negativi maggiori allorché la cooperativa abbia deliberato un progetto di espansione dell’attività d’impresa (con riferimento ad esempio a nuovi prodotti o nuovi mercati) ed abbia a tal fine posto in essere investimenti la cui redditività dipenda dalla possibilità di poter usufruire del contributo mutualistico nella dimensione attesa e prospettata nel momento in cui il progetto era stato programmato o l’investimento effettuato. 9 Come dimostra, a tacer d’altro, la disciplina dei requisiti dei soci, dell’esclusione del socio e della circolazione della partecipazione. 10 D’altronde, quello della disomogeneità della base sociale di una cooperativa (o di un consorzio) è problema di governance che investe non soltanto il tema del recesso, ma anche altri temi quali la distribuzione del potere di voto e la scelta della struttura di amministrazione e controllo. Un tema che richiederebbe più ampia indagine (anche perché è costantemente causa di criticità all’interno di un movimento cooperativo) è quello dei limiti e delle dimensioni, e dunque della composizione, di una società cooperativa, ovverosia in che misura sia preferibile avere una cooperativa che inglobi e mantenga soci con diverse caratteristiche piuttosto che più cooperative con base sociale omogenea. Questo profilo assume importanza anche per lo specifico tema del recesso, poiché un’apertura verso il recesso dei soci può essere funzionale alla moltiplicazione delle cooperative e all’aggregazione (o ri-aggregazione) tra cooperatori omogenei, laddove invece limiti al potere di recedere si muovono in direzione contraria. 9 Altri elementi incidono sulla misura del rischio, quali il settore di mercato in cui la cooperativa opera, le condizioni del mercato, la misura e la specificità degli investimenti effettuati, ma anche la tipologia di cooperativa, perché il problema coinvolge meno le cooperative di consumo e di lavoro e più le cooperative di produzione tra imprenditori (ad esempio, nell’agricoltura) e i consorzi di cooperative, dal momento che per le prime deve ritenersi in teoria più agevole il reperimento di nuovi soci o di terzi disponibili ad offrire le prestazioni del socio receduto, compensando così il deficit momentaneo avvertito dalla cooperativa. In definitiva, il recesso del socio può influenzare negativamente la stabilità e la crescita dell’impresa cooperativa, sia per la perdita di capitale che causa (elemento che è comune agli altri tipi societari) sia soprattutto per la perdita di fattori della produzione o per la riduzione della domanda dei beni o servizi prodotti dalla cooperativa (elemento tipico del recesso nelle società cooperative). Vedremo in seguito in che modo la legge tuteli l’interesse della cooperativa rispetto alle criticità che il recesso del socio può determinare, anche se può essere subito significativo rilevare come in subiecta materia anche per il legislatore il profilo del rapporto mutualistico acquisti predominanza rispetto a quello del rapporto sociale e della conservazione del capitale sociale. Infatti, l’art. 2532, 3° co., c.c., mentre sancisce l’efficacia immediata del recesso rispetto al rapporto sociale, posticipa l’efficacia del recesso rispetto ai rapporti mutualistici alla chiusura dell’esercizio in corso (se il recesso è comunicato almeno tre mesi prima di questo momento) o alla chiusura dell’esercizio successivo (se è comunicato successivamente), sul presupposto evidente che per l’impresa cooperativa sia più semplice far fronte all’improvvisa riduzione del capitale sociale piuttosto che all’improvvisa riduzione degli apporti mutualistici dei soci11. L’art. 2532, 3° co., manifesta non solo la consapevolezza da parte del legislatore dei potenziali effetti negativi del recesso sulla stabilità dell’impresa cooperativa, ma anche la sua volontà di tutelarla contro questo rischio. È dunque una norma importante perché fornisce all’interprete una imprescindibile chiave di lettura per interpretare la disciplina nel suo complesso. 11 Non è chiaro, quanto alle cooperative di lavoro (che non sono al centro di questa indagine), se il recesso produca effetti immediati sul rapporto di lavoro oppure se debba applicarsi l’art. 2532, 3° co., c.c. L’esistenza di una norma speciale (l’art. 5, 2° co., l. 142/2001) che non parla di differimento degli effetti fa propendere verso la prima soluzione (anche alla luce di quanto previsto dall’art. 2520, 1° co., c.c.), anche in considerazione della rilevanza personale del rapporto di lavoro, e dunque per ragioni di tutela della personalità del lavoratore. 10 Anche il movimento cooperativo, attraverso i suoi organismi di rappresentanza, è apparso di recente interessato al tema. Infatti, sul presupposto dell’esistenza di una relazione tra il tema del recesso, la stabilità dell’impresa cooperativa e il suo sviluppo in termini di possibilità di effettuare nuovi investimenti, la Federazione Trentina delle Cooperative, nella bozza del 14.2.2011 del documento “Per un nuovo patto associativo della cooperazione trentina”, puntando sul compito che il proprio statuto sociale le riconosce di “favorire il miglioramento ed il potenziamento della struttura imprenditoriale delle associate” (art. 4), propone alle cooperative associate di adottare la seguente misura: “C) Consentire all’assemblea della società, su proposta del consiglio di amministrazione, di escludere il diritto di recesso dei soci dalle cooperative agricole – e delle cooperative di primo grado dai consorzi e dalle società di supporto cui le stesse aderiscono – per un certo numero di anni dall’esecuzione di deliberazioni assunte con il parere favorevole dell’assemblea stessa nei casi di cui al punto B), fermo restando – in tali casi – il diritto dei singoli soci di trasferire a terzi la rispettiva quota di partecipazione alla società, a condizione che il terzo acquirente sia in possesso dei requisiti previsti dallo statuto per essere socio, e che garantisca alla cooperativa lo stesso livello di partecipazione allo scambio mutualistico del socio receduto. Ai soci assenti o dissenzienti in occasione della delibera assembleare dovrà essere comunque concesso un congruo termine per recedere dalla cooperativa, prima che sia stata data concreta esecuzione alla delibera dell’assemblea”12. Sembra di poter dire che questa posizione della Federazione – che sarà oggetto di ulteriore valutazione e commento nel prosieguo (dopo aver esaminato la complessiva disciplina del fenomeno sotto osservazione)13 – non solo sia ragionevole, ma anche rispettosa dei diritti e degli interessi dei 12 Corsivo aggiunto. I casi di cui al punto B) riguardano delibere dell’assemblea (che la Federazione, in questo documento, auspica siano previste statutariamente) di determinazione annuale dell’importo massimo degli impegni passivi di carattere finanziario che la società può assumere, essendo gli amministratori obbligati a chiedere l’autorizzazione per quelle operazioni che nel corso dell’anno superino detto limite. Nelle linee guida del 20.12.2010 la misura di cui nel testo era così giustificata: “si ritiene che in presenza di investimenti impegnativi delle cooperative e dei consorzi, decisi con il pieno e consapevole coinvolgimento della base sociale, sia giustificata una temporanea limitazione del diritto di recesso dei singoli soci, allo scopo di garantire alla società la stabilità necessaria ad affrontare serenamente la delicata fase di realizzazione dei nuovi progetti”. 13 Naturalmente il documento è stato oggetto di analisi e dibattito non solo giuridici: cfr. ad es., di recente, Gaddo, Nuove regole per le coop sotto esame, in L’Adige del 26.1.2011. 11 singoli soci, mirando a realizzare un equo contemperamento degli interessi dei soci e della cooperativa coinvolti nel fenomeno del recesso14. Sia nell’affrontare concretamente sia nell’approfondire teoricamente il tema del recesso, non bisogna infatti trascurare che, così come esso costituisce una possibile fonte di pregiudizio per la cooperativa, costituisce allo stesso tempo uno strumento a tutela dell’interesse dei soci15, e che, pertanto, la sua regolamentazione (anche a livello statutario) deve tenere in considerazione non soltanto la posizione della società ma anche dei soci che intendano recedere16. Diversi sono i motivi che possono spingere un socio a voler uscire dalla società cooperativa e che incidono dunque sull’individuazione della funzione concreta del recesso a seconda delle circostanze: - l’interesse ad ottenere la restituzione del capitale investito (recesso come strumento di disinvestimento); - l’interesse ad interrompere i rapporti mutualistici con la società (recesso come strumento di riacquisizione della libertà contrattuale); - l’interesse a negoziare con gli amministratori e/o con i soci di maggioranza (recesso come strumento di negoziazione endosocietaria e dunque indirettamente di voice). È interessante innanzitutto osservare in che modo il riconoscimento e la disciplina del recesso possano influenzare l’adesione in una cooperativa. Si potrebbe pensare che più ampio sia il diritto di recesso, maggiori siano gli incentivi che si trasmettono all’adesione ad una cooperativa, dal momento che il socio insoddisfatto può sempre uscire da essa riacquisendo 14 Sembra anzi di poter dire, come meglio si osserverà in seguito, che la posizione della Federazione presupponga che viga un sistema di default di libero recesso del socio, quando la legge in realtà tale libertà non riconosce al socio di una cooperativa (cfr. infra § 4). 15 Non ci sembra che invece sia coinvolto qui direttamente anche l’interesse dei creditori, perché la variabilità del capitale esclude l’aspettativa di questi ultimi sulla conservazione del capitale; tuttavia, anche i creditori sono indirettamente interessati dalla vicenda del recesso, nella misura in cui esso ha incidenza sulla stabilità dell’impresa cooperativa, sicché la disciplina statutaria del recesso potrebbe essere oggetto di valutazione da parte dei creditori della cooperativa in termini di sua affidabilità. 16 La nostra opinione è del resto che lo sviluppo del movimento cooperativo presupponga attenzione non soltanto verso l’interesse delle cooperative (e dei consorzi) ma anche verso l’interesse dei soci che, in fin dei conti, sono coloro che alimentano il movimento cooperativo sia finanziariamente sia mediante gli apporti mutualistici. Ecco perché, anche in tema di recesso, il giusto contemperamento degli interessi in gioco può rivelarsi strategia efficiente in una prospettiva di sistema di lungo periodo. 12 così la sua libertà sia patrimoniale sia con riferimento agli apporti mutualistici17. Qualcuno potrebbe al limite ritenere che nessuno farebbe ingresso in una cooperativa il cui statuto (nei limiti in cui ovviamente ciò sia possibile, come si avrà modo di specificare) impedisca del tutto il recesso del socio, sicché un’eccessiva rigidità rispetto al recesso potrebbe avere per la cooperativa effetti negativi pari a quelli che si avrebbero qualora il recesso fosse eccessivamente libero. D’altro canto, però, per le ragioni sopra esposte, la libertà di recesso rende la cooperativa più fragile e ne può limitare la capacità di sviluppo, sicché l’adesione in una cooperativa in cui il recesso sia ampiamente riconosciuto in favore dei soci potrebbe anche essere disincentivata da quest’ultima circostanza18. In ogni caso, deve ritenersi più probabile che in una società cooperativa, stanti i noti limiti di rilevanza del capitale (sia sotto il profilo dei diritti amministrativi sia di quelli patrimoniali, specie in una cooperativa a mutualità prevalente), la possibilità di recedere sia considerata dal socio (o aspirante tale) più nell’eventuale prospettiva della riacquisizione della libertà contrattuale che del disinvestimento del capitale. In fondo, se il motivo predominante di adesione in cooperativa è lo svolgimento di scambi mutualistici, è del tutto naturale attendersi che questo sia il profilo oggetto di maggiore considerazione allorché si valuti se recedere da una cooperativa. In merito al recesso quale strumento di negoziazione endosocietaria e dunque di governance interna, deve osservarsi che le ragioni della negoziazione intrapresa dal socio minacciando il recesso possono essere più o meno legittime; potrebbero essere collegate ad un comportamento illegittimo o abusivo della maggioranza o degli amministratori, a loro scelte meramente sgradite, oppure al contrario ad un comportamento abusivo del socio che miri con ciò ad ottenere vantaggi cui (per legge o per statuto) non abbia diritto. Pertanto, se da un lato disciplinare il recesso in modo tale da escluderlo o limitarlo potrebbe ridurre il potere di (controllo e di) reazione dei soci nei confronti della maggioranza e del management aumentando il rischio di comportamenti abusivi da parte di questi ultimi; dall’altro, estendere il diritto di recesso significherebbe attribuire al socio un’arma da 17 Cfr. Galletti, sub art. 2532, 2005, p. 2748, secondo cui l’ampiezza delle cause di recesso svolge una residuale funzione incentivante dell’adesione, poiché gli aspiranti cooperatori sono rassicurati dalla possibilità di poter smobilizzare le risorse allorché le condizioni dell’iniziativa dovessero rivelarsi non più sostenibili. 18 Come già si osservava (retro nt. 15), la fragilità dovuta alla libertà di recedere potrebbe essere altresì oggetto di valutazione (negativa) da parte dei potenziali creditori della cooperativa. 13 utilizzare contro la società e il suo management per perseguire egoisticamente i propri interessi (in certi casi anche abusivamente) con pregiudizio dell’interesse collettivo del gruppo dei cooperatori, ovvero dell’interesse sociale della cooperativa19. Sulla superiore questione incidono naturalmente le condizioni del mercato, perché è evidente che il recesso costituisce una minaccia credibile (ovvero più efficace) là dove la cooperativa non abbia alternative possibili per il caso di perdita del socio, perché incontri difficoltà a trovare nuovi soci o a ottenere maggiori prestazioni mutualistiche da parte dei soci esistenti e/o perché abbia effettuato investimenti che richiedono che il contributo del socio alla causa mutualistica non si interrompa. D’altra parte, il recesso non costituisce minaccia credibile (ovvero è meno efficace) allorché il socio non abbia alternative di mercato, come nel caso in cui la sua produzione non possa (o possa solo con minor vantaggio) essere dirottata verso altre cooperative o altri acquirenti (ciò che può dipendere da varie circostanze, quali la quantità o qualità che produce, il luogo di produzione, ecc.). Un’ultima notazione prima di cominciare ad esaminare i profili giuridici del recesso riguarda i temi che in qualche modo sono collegati a quello del recesso. I problemi del recesso del socio di cooperativa non possono infatti essere adeguatamente intesi ed affrontati senza tenere quanto meno in considerazione alcuni profili connessi quali quello dell’ammissione di nuovi soci; della circolazione e della cessione delle quote; della concorrenza; nonché degli usi specifici della forma cooperativa in determinati mercati, settori di mercato o fasi della produzione o commercializzazione di beni o servizi. 19 A tal proposito, ancorché nella sua particolare visione della cooperativa quale società sostanzialmente non dissimile da una società lucrativa (visione certo favorita dalla mancata considerazione della legislazione applicabile alle società cooperative, che fortemente contribuisce a marcare sotto vari profili la loro differenza dalle società lucrative), un illustre economista osservava ormai più di cento anni fa: “Ciascun individuo che fa parte della cooperativa, fa il calcolo del proprio tornaconto e non eleva lo sguardo al di là o al di sopra di questo. Finché egli ha convenienza di restare nella società, ci sta; se il conto non gli torna, ne esce; e siccome tutti quanti ragionano così, la società esiste finché c’è convenienza individuale per tutti quanti di tenerla in vita e cessa se quella viene meno”: così Pantaleoni, 1897, p. 209. 14 3 Le fonti di disciplina del recesso Nella disciplina generale delle cooperative, la principale disposizione in tema di recesso è l’art. 2532 c.c., che a questa specifica fattispecie è interamente dedicato20. Il 1° co. dell’art. 2532 c.c. stabilisce che “il socio cooperatore può recedere dalla società nei casi previsti dalla legge e dall’atto costitutivo”21. Legge e atto costitutivo sono dunque le due fonti di disciplina del recesso del socio di cooperativa. Le principali questioni che si pongono e che saranno successivamente analizzate sono: 1. quali siano, oltre all’art. 2532 c.c., le norme di legge cui l’art. 2532 fa riferimento; 2. quale sia la relazione tra legge e atto costitutivo (o statuto)22 nella disciplina del recesso, e segnatamente quali spazi di autonomia la legge riservi allo statuto nella regolamentazione di questa materia. Il punto sub 2) rappresenta il cuore e l’obiettivo di questa indagine: esso sarà pertanto oggetto di successivo approfondimento, per il quale tuttavia è necessario svolgere preliminarmente il punto sub 1). Là dove non esista una disciplina speciale ai sensi dell’art. 2520, 1° co., c.c.23, il recesso del socio di cooperativa è innanzitutto disciplinato dalle norme di cui agli artt. 2511 ss. c.c., che compongono la disciplina generale delle società cooperative. Nell’ambito di questa disciplina generale, oltre all’art. 2532 c.c., che, come detto, costituisce la norma principale in materia, ci sono altre disposizioni che si occupano di recesso, e segnatamente: l’art. 2521, 3° co., n. 7, che, nel fissare il contenuto obbligatorio dell’atto costitutivo, fa riferimento alle “condizioni per l’eventuale recesso” dei soci; l’art. 2526, 3° 20 Ciò naturalmente vale con riguardo al recesso del socio cooperatore, perché con riferimento al recesso dei soci finanziatori la disposizione principale è l’art. 2526, 3° co., c.c., che rinvia integralmente agli artt. 2437 e ss., c.c. 21 Sempre nel 1° co. dell’art. 2532 c.c. si trova il divieto di recesso parziale, che è comprensibile alla luce della natura non capitalistica della società cooperativa e dunque dell’interesse non speculativo dei soci; per questa ragione, è invece naturalmente ammissibile il recesso parziale da parte del socio finanziatore (anche perché, con riguardo al socio finanziatore, l’art. 2526, 3° co., esclude l’applicazione dell’art. 2532, dovendosi dunque applicare l’art. 2437, 1° co., che espressamente attribuisce al socio il diritto di recedere per tutte o parte delle azioni). 22 Nonostante l’art. 2532, 1° co., c.c. parli di “atto costitutivo” (in sintonia, peraltro, con quanto disposto dall’art. 2521, 3° co., n. 7) è più probabile che la disciplina convenzionale del recesso si trovi nello “statuto”, ovverosia in quell’atto “contenente le norme relative al funzionamento della società”, il quale, ancorché separato dall’atto costitutivo, “si considera parte integrante” dello stesso (art. 2521, 4° co., c.c.). 23 Cfr., ad esempio, l’art. 5, 2° co., l. 142/2001. 15 co., sulla disciplina del recesso dei possessori di strumenti finanziari forniti del diritto di voto (cioè dei soci finanziatori); l’art. 2530, 6° co., che prevede una causa legale di recesso collegata all’eventuale previsione statutaria della incedibilità delle quote o delle azioni; l’art. 2535, che individua i criteri di liquidazione della quota del socio che abbia cessato di far parte della società, anche per effetto di recesso (oltre che di esclusione e morte); l’art. 2536 sulla responsabilità del socio uscente (anche a seguito di recesso); l’art. 2544, 1° co., che esclude la possibilità da parte degli amministratori, indipendentemente dal sistema di amministrazione adottato dalla cooperativa, di delegare ad un comitato esecutivo o ad un singolo amministratore (tra gli altri anche) i poteri in materia di recesso; l’art. 2545 septies, 2° co., dedicato alla diversa e particolare fattispecie del recesso di una cooperativa dal gruppo cooperativo paritetico. La normativa generale sulle cooperative potrebbe però non costituire l’unica fonte legale di disciplina del recesso: ciò perché, com’è noto, la disciplina delle cooperative non costituisce un sistema “chiuso” in virtù del rinvio operato dagli artt. 2519 e 2522, 2° co., c.c. alle disposizioni sulle società per azioni o alternativamente (in taluni casi con la mediazione dello statuto che operi una scelta in tal senso) a quelle sulle società a responsabilità limitata, le quali disposizioni si applicano alle cooperative “per quanto non previsto dal presente titolo” e “in quanto compatibili”. È pertanto opinione pacifica in dottrina che il recesso del socio di cooperativa, oltre che dalle norme specifiche sulle cooperative sopra richiamate, sia disciplinato anche dalle norme che si applicano al recesso del socio di s.p.a. e al recesso del socio di s.r.l., naturalmente in quanto non derogate dalle prime e compatibili con la struttura e la funzione delle società cooperative, cioè con la loro particolare natura giuridica24. Non ha invece trovato sostenitori la tesi, pure prospettabile, secondo cui, essendo il recesso oggetto di disciplina specifica, anche mediante rinvio all’atto costitutivo della cooperativa (art. 2532, 1° co., c.c.), non sussiste quella lacuna di previsione che, stando alla lettera dell’art. 2519, 1° co., c.c., giustifica il ricorso suppletivo alle norme sulle s.p.a. o sulle s.r.l.25. 24 Di orientamento pacifico al riguardo parla ad es. Bonfante, 2008, p. 1098; e cfr. infatti tra i tanti Stella Richter, 2004, I, p. 414; Giorgi, sub art. 2532, 2006, p. 276; Ibba, 2007, p. 856. Alla medesima conclusione si giungeva prima della riforma del diritto societario del 2003 con riferimento all’art. 2526 c.c. (nonostante, peraltro, l’art. 2516 c.c., nel testo anteriore alla riforma, non richiamasse espressamente il recesso come materia di rinvio alla disciplina delle s.p.a.): cfr., per tutti, Bonfante, 1999, p. 494. 25 Tale tesi potrebbe anche sostenersi sulla base della previsione di cui all’art. 2526, 3° co., interpretata a contrario: se infatti il legislatore ha fatto riferimento alla disciplina della s.p.a. con riguardo al recesso del socio finanziatore, potrebbe sostenersi che, a 16 Ne consegue che l’analisi del tema del recesso del socio di cooperativa dovrà tenere conto anche delle norme riferibili a s.p.a. e s.r.l., e ciò soprattutto con riguardo alle cause che legittimano il recesso, che è forse l’aspetto più importante del tema e da cui muoverà l’approfondimento giuridico che ci si propone di svolgere in questa sede. 4 La legittimità del recesso presuppone l’esistenza di una specifica causa, legale o statutaria, che sia fonte del relativo diritto. Inapplicabilità alle società cooperative dell’art. 24, 2° co., c.c. È opportuno cominciare con lo smentire una falsa convinzione, ovvero forse un presupposto erroneo che talvolta sembra agitarsi nei discorsi che riguardano il recesso nelle cooperative, ma che non trova (come vedremo) corrispondenza alcuna né nella legislazione applicabile né nei suoi principi ispiratori, e cioè che la cooperativa sia una società caratterizzata dalla “porta aperta”, tanto “in entrata” quanto “in uscita”, e che pertanto il recesso del socio di cooperativa sia libero, non soggetto né assoggettabile a vincoli. In realtà, la già richiamata disposizione principale in materia, cioè l’art. 2532, 1° co., c.c., è chiara nello stabilire che il socio di cooperativa può recedere soltanto “nei casi previsti dalla legge e dall’atto costitutivo”. Ciò significa che il diritto di recedere sorge soltanto in presenza di una specifica causa identificata dalla legge o dallo statuto; comporta che il socio di una cooperativa non può recedere liberamente e incondizionatamente (cioè ad nutum), bensì soltanto in presenza di fatti, circostanze, condizioni previsti dalla legge (c.d. cause legali di recesso) o dallo statuto (c.d. cause statutarie di recesso), come anche i giudici hanno avuto modo correttamente di sottolineare26. contrario, egli non abbia voluto fare riferimento a questa disciplina con riguardo al recesso del socio cooperatore, che sarebbe dunque sottoposto unicamente alle norme particolari sulle cooperative (oltre che alle disposizioni statutarie, così come previsto dall’art. 2532, 1° co., c.c.). Ma per un’interpretazione completamente diversa dell’art. 2526, 3° co., nel senso che esso confermi la sottoposizione del recesso del socio di cooperativa alle regole sulle s.p.a., cfr. Giorgi, sub art. 2532, 2006, p. 276. 26 Il fatto che le pronunce della Cassazione si riferiscano all’art. 2526, c.c., ante riforma non muta i termini della questione, perché l’art. 2526, nel testo anteriore alla riforma, aveva un contenuto sostanzialmente analogo all’attuale art. 2532, 1° co., facendo rinvio ai “casi in cui *il recesso+ è ammesso dalla legge o dall’atto costitutivo”: cfr. Cass., 21.7.1992, n. 8802, Rep. Foro it., 1992, “Cooperativa”, n. 60: “l’art. 2526 c.c., che disciplina il recesso dalla società cooperativa regolandone modalità di esercizio ed 17 Né, come diremo, le norme di legge applicabili in virtù del rinvio di cui all’art. 2532, 1° co., c.c. statuiscono che il socio di cooperativa sia libero di recedere27. Quanto invece alle possibili disposizioni statutarie, da un lato si discute se lo statuto di una cooperativa possa contemplare il recesso ad nutum28; dall’altro, qualora concretamente non lo preveda, di sicuro il socio della cooperativa non potrebbe recedere liberamente, ciò che implica che il recesso libero richiede comunque una previsione statutaria in tal senso (la cui legittimità, come detto, è peraltro dibattuta). Nella cooperativa, non v’è dunque simmetria tra “porta aperta in entrata” e “porta aperta in uscita”, poiché se è libera l’ammissione di nuovi soci, non è invece libera l’uscita dei soci29. Né la variabilità del capitale deve essere intesa come regola tecnica che agevola la fuoriuscita di soci dalla società, perché semmai è regola tecnica congegnata per agevolare l’ampliamento della base sociale. D’altro canto, tale asimmetria tra porta aperta in entrata ed in uscita ben si spiega anche nella prospettiva della funzione sociale della cooperativa, poiché l’ammissione di nuovi soci è un modo mediante il quale la cooperativa diffonde i benefici che è in grado di produrre, laddove il libero recesso può costituire un modo mediante il quale il socio, in una prospettiva individualistica, si sottrae alla condivisione dei benefici, delle effetti, non configura il recesso come un diritto accordato in via generale ad ogni socio, ma rinviando a fonti ad esso esterne, riconosce tale diritto solo in presenza di una specifica norma di legge o dell’atto costitutivo”; Cass., 23.6.1988, n. 4274, ibidem, 1988, n. 44: “nelle società cooperative, il recesso del socio, che l’art. 2526, c.c. si limita a disciplinare con riguardo a modalità di esercizio ed effetti, non configura un diritto accordato in via generale, né può considerarsi spettante in tutte le ipotesi previste dall’art. 2285, c.c., per le società di persone, ma va riconosciuto solo in presenza di una specifica norma di legge (come quella contenuta nell’art. 2523, 2º comma, quando vi sia divieto di cessione delle quote od azioni) o dell’atto costitutivo”; nella giurisprudenza di merito: T. Napoli, 12.11.2008, in Rep. Foro it., 2008, “Merito extra”, n. 128; T. Milano, 6.2.1995, in Società, 1995, 1331: “non esiste nella società cooperativa un diritto assoluto del socio di incondizionatamente recedere dalla società: il recesso è consentito nei soli casi tassativi in cui questo è ammesso dalla legge o dall’atto costitutivo”; T. Prato, 24.3.1987, ibidem, 1987, 1152. 27 Cfr. Galletti, sub art. 2532, 2005, p. 2751: “la legge non impone mai il recesso ad nutum, a meno che ci sia un divieto statutario di cessione” (sul divieto statutario di cessione come causa legittimante il recesso cfr. oltre nel testo). 28 Cfr. infra § 6.3. 29 Cfr. Galletti, sub art. 2532, 2005, p. 2750: “[v]i è poi asimmetria, nonostante quel che spesso si pensa, fra porta aperta all’ingresso ed all’uscita: la libertà di entrare non comporta infatti necessariamente la stessa libertà per uscire”; alla cui prospettiva aderisce Ibba, 2007, p. 861. 18 perdite e dei rischi che derivano dallo svolgimento di un’impresa comune in forma cooperativa30. Non a caso, non v’è traccia del recesso, né tanto meno della libera recidibilità dei soci, nella definizione, nei valori e nei principi legislativi dell’International Co-operative Alliance (“ICA”), dove piuttosto l’accento è posto sulla formazione volontaria della cooperativa, il suo carattere solidaristico (rispetto al quale, come rilevato, la libertà di recesso può anzi porsi in conflitto) e la sua apertura a tutte le persone capaci di utilizzare i servizi offerti dalla cooperativa e di accettare le responsabilità connesse all’adesione (e non, evidentemente, di sottrarsi ad esse esercitando il recesso)31. Parimenti, volgendo lo sguardo alla legislazione straniera, ancorché non possa dirsi che in generale il recesso sia oggetto della medesima cautela (quasi sfavore32) cui invece è fatto oggetto nella legislazione italiana33, in nessuna legge si afferma sic et simpliciter che il socio di 30 Da questo punto di vista è interessante porre in luce le osservazioni cui giunge Cass., 28.3.1990, n. 2524, in Banca dati De Jure, ancorché con specifico riguardo ad una clausola di recesso in una cooperativa edilizia che consentiva al socio cui già fosse stato assegnato l’alloggio di recedere e trattenere l’immobile. La Suprema Corte osserva infatti che questa clausola è nulla anche perché “mutualità vuol dire reciprocità” e consentire al socio di recedere prima che lo scopo mutualistico sia interamente realizzato “significherebbe legittimare ogni socio a perseguire il proprio personale interesse, senza alcun riguardo per quello degli altri”. Naturalmente, questa decisione (che peraltro anche con riguardo al caso di specie dà adito a diverse questioni e molti dubbi) non si presta ad essere estesa al recesso in altre tipologie cooperative in cui lo scopo mutualistico non si attua in un unico e solo momento bensì continuativamente, ma le parole della Corte sono utili per capire il problema del recesso, quale soluzione individuale rispetto a quella condivisa, quale sottrazione rispetto allo scopo comune, che, però, come si dice nel testo, può essere un utile strumento di governance dell’impresa cooperativa, sicché non deve essere in sé demonizzato, bensì regolato secondo una prospettiva attenta agli interessi coinvolti e al loro adeguato bilanciamento. Cfr. anche T. Sassari, 27.12.2007, in Rep. Foro it., 2010, “Cooperativa”, n. 56: “Il recesso parziale, ossia attuato solo da coloro cui sono stati assegnati alcuni appartamenti, mentre la cooperativa è ancora impegnata nella costruzione e/o assegnazione di altri alloggi, si pone in contrasto con lo scopo mutualistico che caratterizza e distingue la società cooperativa, in quanto il nesso d’interdipendenza funzionale che collega lo scopo sociale alle assegnazioni globalmente e non individualmente considerate impedisce che il singolo socio possa perseguire esclusivamente il proprio personale interesse, senza alcun riguardo per quello degli altri”. 31 Cfr. Statement on the Co-operative Identity del 1995, spec. il 1° principio in tema di Voluntary and Open Membership. I principi dell’ICA sono stati recepiti nella Raccomandazione dell’ILO n. 193 del 2002 sulla promozione delle cooperative, la quale si concentra molto sul rafforzamento e lo sviluppo imprenditoriale delle cooperative, rispetto a cui, come rilevato nel testo, la libertà di recesso ci sembra porsi in potenziale contrasto. 32 In tal senso cfr. Bonfante, 1999, p. 490, secondo cui il recesso“non è mai stato considerato con particolare favore dal nostro legislatore”. 33 Anche se questo sfavore si è in parte attenuato con la riforma del 2003, dove ci sono state aperture verso il recesso del socio di società di capitali, e dunque anche del socio di cooperativa, in virtù del rinvio di cui all’art. 2519, c.c., 19 cooperativa abbia il diritto incondizionato ed incondizionabile di recedere. Infatti, anche nelle leggi straniere più liberali sul punto (dove il principio è quello della libera recedibilità del socio) si consente allo statuto di limitare in qualche modo, direttamente o indirettamente, anche se talvolta soltanto entro certi limiti, la libertà del socio di recedere, con modalità simili a quelle che più avanti saranno messe in risalto allorché si presenteranno i possibili limiti statutari al recesso del socio34. L’unica eccezione è rappresentata dalla legge austriaca, ma riguarda il caso (che nel nostro, come in molti altri ordinamenti, non sarebbe configurabile) di cooperativa con responsabilità illimitata dei soci (in questo caso, secondo la legge austriaca, il socio ha sempre diritto di recedere dalla cooperativa anche se essa è costituita a tempo determinato)35. Molte leggi straniere affidano allo statuto la competenza a regolare il recesso, prevedendo altresì alcune cause specifiche di recesso legale. Anche nel regolamento europeo sulla Società cooperativa europea (“SCE”) del 2003 non si assegna al socio di cooperativa il diritto generale di recedere, ma si prevedono alcuni casi specifici in cui egli ha diritto di recedere (artt. 7, 5° co.; 15, 2° co.) e, per il resto, si affida allo statuto il potere di disciplinare la fattispecie (art. 16, 3° co.). Nel nostro ordinamento giuridico, l’unica forma organizzativa in cui il recesso è di regola libero è l’associazione (riconosciuta o non riconosciuta). L’art. 24, 2° co., c.c., infatti, stabilisce che “l’associato può sempre recedere dall’associazione se non ha assunto l’obbligo di farne parte per un tempo determinato”. Le ragioni che spiegano questa previsione legislativa non possono tuttavia estendersi ad organizzazioni, come le cooperative, che hanno forma societaria e sono dirette allo svolgimento di attività d’impresa e al perseguimento di finalità prevalentemente economiche (lo si sottolinea perché l’idea che nelle cooperative il recesso debba essere libero costituisce forse un’eredità dell’accostamento delle cooperative alle associazioni, che in Italia si deve principalmente alla nota tesi ascarelliana, ma che è presente anche in altri paesi: se è senz’altro vero che nelle cooperative, a differenza che nelle società di capitali, l’elemento personale assume particolare rilevanza poiché la persona del socio conta in sé a prescindere dal capitale 34 Tra le non poche leggi straniere che espressamente riconoscono il diritto di recesso del socio (ancorché, come riferito nel testo, consentono allo statuto di limitarlo) figurano la legge dell’Estonia del 2001 (cfr. art. 17 e 18), la legge finlandese del 2001 (cap. 3, sez. 24), la legge tedesca del 1889 (art. 65), la legge ungherese del 2006 (sez. 62), la legge norvegese del 2007 (sez. 22), la legge spagnola del 1999 (art. 17), la legge svedese del 1987 (cap. 3, sez. 4). 35 Cfr. art. 54, 1° co., della legge austriaca del 1873. 20 conferito, è anche vero però che ciò non basta a renderle omologabili alle associazioni da cui le separa il necessario svolgimento di un’impresa, il perseguimento di finalità economiche da parte della società e dei soci, e la presenza di scambi economici mutualistici tra società e soci)36. L’art. 24, 2° co., vuole infatti assicurare la libertà di associarsi nel suo aspetto negativo (cioè di non associarsi), che è garantita dall’art. 18 Cost.37; e non si fa scrupolo di riconoscere il recesso ad nutum dell’associato poiché evidentemente si riferisce ad una forma organizzativa (com’è noto, quanto meno inizialmente e prevalentemente) pensata dal legislatore per lo svolgimento di attività non imprenditoriali e il perseguimento di finalità ideali (sindacali, politiche, religiose, ecc.). In tal caso, da un lato il recesso libero non rappresenta un rischio per l’organizzazione sotto il profilo della stabilità dell’impresa, che l’organizzazione appunto non esercita; dall’altro, l’orientamento ideologico dell’organizzazione giustifica la massima libertà in uscita, pena altrimenti una forte limitazione dei diritti della personalità dell’associato. Diverso discorso vale invece per le organizzazioni che, pur perseguendo finalità di interesse generale, svolgono un’attività d’impresa. Qui il legislatore si guarda bene dal prevedere una generale libertà del socio di recedere, come testimonia la legislazione sull’impresa sociale (che non menziona il recesso, pur occupandosi di ammissione ed esclusione)38, poiché evidentemente la materia richiede una disciplina più equilibrata in ragione del fatto che l’interesse del socio a svincolarsi (che peraltro è prevalentemente economico) si scontra con l’interesse alla stabilità dell’impresa, tanto più quando questa impresa è capace di produrre esternalità positive, che il legislatore intende preservare. Quanto sopra naturalmente non significa che il venir meno della volontà del socio di partecipare non sia un elemento da tenere in considerazione, anche perché, come spiegato in precedenza, la minaccia di recesso può costituire un incentivo alla maggioranza e agli amministratori a tenere conto degli interessi dei soci di minoranza (in una prospettiva di negoziazione endosocietaria) e dunque a non abusare dei propri poteri. La prospettiva da cui guardare il fenomeno dovrebbe però essere diversa, e cioè: non sussiste un diritto generale del socio di recedere dalla cooperativa, ma è permesso recedere solo quando una disposizione di 36 Cfr. Ascarelli, in 1949, II, pp. 425 ss.; Ascarelli, 1959, pp. 379 ss.; ma v. le repliche di G. Ferri, 1951, I, pp. 99 ss.;Ferri 1957, pp. 249 ss. Quanto agli altri paesi, si allude a quei paesi, come la Svezia e l’Olanda, in cui la cooperativa è considerata una forma associativa e il suo statuto giuridico ripreso da quello delle associazioni. 37 Cfr. in questo senso Galgano, 2006, pp. 361 s. 38 Cfr. art. 9, d.lg. 155/2006. 21 legge o di statuto attribuisca al socio tale diritto in presenza di determinati casi e circostanze. L’analisi deve dunque proseguire con l’individuare i casi in cui la legge attribuisce al socio il diritto di recesso, per poi verificare che poteri ha lo statuto da un lato nel prevedere cause aggiuntive di recesso, dall’altro nel derogare alle cause previste dalla legge. 5 Le cause legali di recesso Come sopra si è già avuto modo di osservare, l’ordinamento italiano non riconosce al socio di cooperativa un diritto generale ed assoluto di recedere dalla società, ma al contrario adotta la prospettiva opposta per cui il recesso è legittimo solo quando sussista una causa legale o statutaria che attribuisca al socio il diritto di recedere (cfr. art. 2532, 1° co., c.c.). In questo paragrafo si passeranno in rassegna le cause legali di recesso in una società cooperativa, cioè quei casi in cui la legge consente al socio di cooperativa di recedere, tenendo conto che, come spiegato, anche in subiecta materia la disciplina applicabile non sarà soltanto quella di cui agli artt. 2511 ss., ma anche, per quanto non previsto, quella in tema di s.p.a. e s.r.l. purché compatibile (cfr. art. 2519 e 2522, 2° co., c.c.). Conseguentemente, in ragione della loro fonte, le cause legali di recesso si possono distinguere nel seguente modo: a) cause legali di recesso tipiche delle società cooperative; b) cause legali di recesso nelle s.p.a. applicabili alle cooperative; c) cause legali di recesso nelle s.r.l. applicabili alle cooperative39. 39 Per semplicità, non facciamo qui riferimento ad un’altra possibile categoria, cioè quella delle cause legali di recesso che si applicano a tutte le società, come quella di cui all’art. 34, 6° co., d.lg. 5/2003. Tale articolo dispone che “le modifiche dell'atto costitutivo, introduttive o soppressive di clausole compromissorie, devono essere approvate dai soci che rappresentino almeno i due terzi del capitale sociale. I soci assenti o dissenzienti possono, entro i successivi novanta giorni, esercitare il diritto di recesso”. Si tratta di una causa legale (ritenuta) inderogabile di recesso dalle società. T. Verona, 12.4.2005, in Giur. comm., 2007, 633, ha ritenuto che si applichi anche nel caso di significativo ampliamento di una clausola compromissoria già esistente (ciò potrebbe accadere, ad esempio, in una società cooperativa qualora la clausola compromissoria, dapprima limitata alle questioni inerenti il rapporto societario, fosse estesa anche a quelle inerenti il rapporto mutualistico: sul punto cfr. in generale Muroni, 2008, p. 45). Dubbia la possibilità di applicare in concreto alle società cooperative la causa legale di recesso di cui all’art. 2497 quater c.c., dal momento che la cooperativa per sua natura non può essere sottoposta a direzione e coordinamento esterni, essere cioè parte di un gruppo gerarchico. 22 La distinzione è importante perché solo le cause sub a) sono senz’altro applicabili alle cooperative; mentre per quanto riguarda le cause sub b) e c) rimane pur sempre da verificare se siano compatibili con la natura della società cooperativa (giudizio che, però, dà quasi sempre esito positivo). Naturalmente, in una cooperativa si cumuleranno le cause sub a) alternativamente con quelle sub b) o sub c), poiché una cooperativa o è soggetta residualmente alle norme sulla s.p.a. o a quelle sulla s.r.l. (è vero, peraltro, che sul punto la disciplina di s.p.a. e di s.r.l. non è molto differente nella sostanza). Una distinzione importante, e di cui nel prossimo paragrafo si metteranno meglio a fuoco le conseguenze, è quella tra cause legali inderogabili (in assoluto o solo unilateralmente)40 e cause legali derogabili dallo statuto della cooperativa, perché questa distinzione evidentemente influenza gli spazi di autonomia dello statuto nel regolare la fattispecie sotto osservazione. 5.1 Cause legali di recesso tipiche delle società cooperative 1) Divieto statutario di trasferimento della partecipazione (art. 2530, 6° co., c.c.) Se si esclude l’art. 2545 septies, 2° co., c.c., che è norma dedicata alla specifica ipotesi del recesso di una cooperativa da un gruppo cooperativo paritetico, l’unica causa legale di recesso presente nella disciplina delle società cooperative (e perciò applicabile tanto alle “cooperative s.p.a.” quanto alle “cooperative s.r.l.”) è quella di cui all’art. 2530, 6° co., c.c., che peraltro presuppone la presenza di una particolare disposizione statutaria. L’art. 2530, 6° co., attribuisce diritto di recesso al socio di una cooperativa il cui statuto vieti la cessione delle quote o delle azioni. In tal caso, il socio deve dare preavviso di almeno novanta giorni. Ed in ogni caso il diritto di recesso può essere esercitato solo decorsi due anni dall’ingresso del socio nella società. 40 L’inderogabilità assoluta si ha nel caso in cui lo statuto non possa in alcun modo incidere sulla fattispecie legale modificandola; l’inderogabilità unilaterale si ha invece quando lo statuto possa intervenire sulla fattispecie ma solo mediante deroghe che si muovano in una certa direzione (ad esempio, in senso più favorevole al socio), ciò perché la norma di legge imperativa è diretta a tutelare solo una parte del rapporto (ad esempio, il socio nei confronti della società), sicché nulla osta ad una sua modifica che la renda più favorevole alla parte tutelata. 23 Il divieto di cessione della partecipazione non è ipotesi rara nelle cooperative41. Per ridimensionare, almeno parzialmente, l’importanza di questa causa legale di recesso, occorre peraltro ricordare che l’art. 2530, 1° co., c.c., subordina il trasferimento della partecipazione all’autorizzazione degli amministratori, là dove l’eventuale diniego deve essere motivato e contro di esso il socio può proporre opposizione al tribunale (art. 2530, 5° co., c.c.). Ciò renderebbe necessario, pertanto, giustificare la disposizione statutaria che vieti in assoluto il trasferimento della partecipazione, dal momento che, per tutelarsi contro ingressi ragionevolmente sgraditi dal punto di vista dell’attività esercitata e del perseguimento dello scopo mutualistico, la cooperativa può già contare sul ricordato meccanismo autorizzatorio previsto dalla legge (c.d. gradimento ex lege)42. A meno di non ipotizzare che questa clausola statutaria sia proprio diretta a consentire il libero recesso dei soci decorsi due anni dal loro ingresso in società, e che quindi sia deliberatamente e strategicamente contenuta negli statuti delle cooperative al fine di favorire l’uscita dei propri soci. Ciò che può essere interessante domandarsi è se al divieto totale possano essere equiparate quoad effectum clausole statutarie che ostacolino sostanzialmente la cessione (senza tuttavia vietarla formalmente), ad esempio individuando alcune categorie di soggetti in cui favore soltanto il trasferimento della partecipazione può avvenire43. La causa legale di recesso di cui all’art. 2530, 6° co., è da ritenersi inderogabile nell’interesse del socio, sicché lo statuto di una cooperativa non potrebbe né direttamente né indirettamente (ad esempio obbligando il 41 Tra gli statuti esaminati nell’ambito di questa ricerca, cfr. art. 10, 3° co., Melinda; art. 10, S. Orsola; art. 9, Cavit. 42 Se infatti si considera il cessionario alla stregua di un nuovo socio (ciò che è corretto in una società, come la cooperativa, a capitale variabile), dovrebbe trovare applicazione anche in questo caso l’art. 2527 c.c., sicché la cooperativa potrebbe negare la cessione, ad esempio, quando il cessionario non abbia i requisiti per l’ammissione ma non già senza addurre giustificazione o sulla base di criteri discriminatori (sostanzialmente in questi termini Chieffi, 2006, p. 264. Sul punto, anche per riferimenti al dibattito ante riforma, cfr. Iocca, 2004, pp. 351 ss.). 43 Sembra rispondere negativamente, in virtù della prevalenza della regola di cui all’art. 2530, 6° co., sulle regole applicabili ad s.p.a. e s.r.l., Ibba, 2007, p. 857. Cfr. art. 9, Caseificio Val di Fiemme Cavalese, che consente la cessione solo in favore del coniuge e a parenti o affini entro il terzo grado. Di certo, non può considerarsi clausola che rende più difficoltosa la cessione, anche se sicuramente ne rallenta gli effetti, quella ad esempio adottata dalla Cantina Sociale di Trento, il cui statuto prevede: “per salvaguardare l’unitarietà e continuità dell’annata agraria, la comunicazione di trasferimento della quota deve essere eseguita entro il 30 (trenta) aprile di ogni esercizio. Se presentata oltre tale termine avrà effetto a partire dall’anno successivo” (art. 9 bis). 24 socio ad un termine minimo di permanenza in società che sia maggiore di due anni) escludere il diritto di recesso, bensì soltanto (così favorendo il socio, nel cui interessa la norma imperativa è dettata) ridurre il termine legale di preavviso o il termine di due anni entro cui il recesso non può essere esercitato. Ovviamente il termine minimo di due anni vale soltanto con riguardo al recesso di cui all’art. 2530, 6° co., e non anche con riferimento ad ogni altra ipotesi di recesso legale. 5.2 Cause legali di recesso nelle s.p.a. e nelle s.r.l. applicabili alle cooperative a) Cause legali di recesso nelle s.p.a. applicabili alle cooperative Si indicano di seguito i casi di recesso legale previsti dalla disciplina delle s.p.a., che riguardano le cooperative cui è residualmente (e nei limiti della compatibilità) applicabile ex art. 2519 c.c. la disciplina delle s.p.a. (cosiddette, impropriamente, cooperative s.p.a.). Bisogna sottolineare che con la riforma del 2003 le ipotesi legali di recesso del socio di società di capitali sono state ampliate: il legislatore della riforma ha in parte modificato l’atteggiamento di grande sfavore (che si manifestava altresì nella disciplina dei termini, degli effetti e dei poteri dello statuto) con cui precedentemente, soprattutto per ragioni di stabilità dell’impresa e di tutela dei creditori, si guardava all’istituto44. La conseguenza, per quanto più direttamente ci riguarda, è che anche il socio di cooperativa (cui si applica la disciplina delle s.p.a.) vede incrementarsi rispetto al passato i casi in cui la legge lo autorizza a recedere. Ciononostante, come vedremo, si tratta pur sempre di casi-limite, riguardanti profonde trasformazioni (strutturali o funzionali) dell’organizzazione o dell’impresa, che perciò non riguardano puramente e semplicemente le scelte gestionali degli amministratori (neanche quando 44 Cfr. Rordorf, 2003, p. 923; Chiappetta, 2005, p. 487 ss.; Bergamo, 2006, pp. 5 ss.; Galletti, 2010, p. 1621, il quale mette in luce come le ragioni principali di questa strategia di ampliamento dei casi di recesso siano da individuarsi innanzitutto nella volontà del legislatore di incentivare l’investimento azionario (evidentemente sul presupposto che le maggiori possibilità di recedere stimolino gli investimenti in capitale di rischio), anche se ciò può incidere negativamente sulla valutazione della società da parte di finanziatori “esterni”; in secondo luogo, nella tutela “reale” delle minoranze. Prima della riforma, cfr. sul tema per tutti Galletti, 2000, passim. 25 queste, dal punto di vista del socio che intenda recedere, violino norme di legge o statutarie). Il diritto di recesso è attribuito ai soci che non hanno concorso (perché assenti, astenuti o dissenzienti) alle deliberazioni (dell’assemblea) riguardanti: 2a) la modifica della clausola determinativa dell’oggetto sociale, quando ciò consente un cambiamento significativo dell’attività della società (art. 2437, 1° co., lett. a); 3a) la trasformazione della società (art. 2437, 1° co., lett. b)45; 4a) il trasferimento della sede sociale all’estero (art. 2437, 1° co., lett. c); 5a) la revoca dello stato di liquidazione (art. 2437, 1° co., lett. d); 6a) l’eliminazione di una o più cause di recesso previste dallo statuto o dall’art. 2437, 2° co., c.c. (art. 2437, 1° co., lett. e)46; 7a) la modifica dei criteri di determinazione del valore dell’azione in caso di recesso (art. 2437, 1° co., lett. f); 8a) la modifica dei diritti di voto o di partecipazione (art. 2437, 1° co., lett. g); 9a) la proroga del termine (art. 2437, 2° co., lett. a); 10a) l’introduzione o la rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari (art. 2437, 2° co., lett. b). Infine, ha diritto di recedere: 11a) il socio di una società costituita a tempo indeterminato quando le sue azioni non sono quotate in un mercato regolamentato e con preavviso di almeno 180 giorni (che lo statuto della società può elevare fino ad un anno) (artt. 2437, 3° co., e 2328, 2° co., n. 13). Le cause di recesso di cui all’art. 2437, 1° co, c.c. (cioè punti da 2a a 8a del superiore elenco) sono inderogabili, come si evince dall’art. 2437, 6° co., che stabilisce: “è nullo ogni patto volto ad escludere o rendere più gravoso l’esercizio del diritto di recesso nelle ipotesi previste dal primo 45 Oggi consentita alle società cooperative diverse da quella a mutualità prevalente dall’art. 2545 decies c.c. Naturalmente anche le cooperative a mutualità prevalente possono trasformarsi, ma evidentemente solo dopo aver perso la qualifica di mutualità prevalente ai sensi dell’art. 2545 octies c.c. 46 Non può farsi a meno di osservare che un eventuale mutamento di strategia della cooperativa, del consorzio o del sistema cooperativo con riguardo al recesso dei soci cooperatori nel senso del passaggio da un sistema statutario aperto ad un sistema chiuso, in cui il recesso fosse limitato o consentito solo in determinati casi, dovrebbe fare i conti con questa norma inderogabile di legge. I soci della cooperativa o delle cooperative coinvolte avrebbero infatti per legge diritto di recedere. 26 comma del presente articolo”47. Ciò significa che eventuali clausole statutarie di tenore generale con cui si negasse al socio il diritto di recedere (o glielo si negasse per un certo periodo di tempo o glielo si accordasse solo con il consenso degli amministratori) comunque non sottrarrebbero al socio (anche di cooperativa) il diritto di recedere nei casi di cui all’art. 2437, 1° co., c.c. Inderogabili non significa invece che, come diremo, lo statuto non possa ampliarne la portata in favore del socio, ad esempio prevedendo che costituisce causa (statutaria) di recesso il trasferimento della sede sociale in altro comune o provincia. Sicuramente derogabili per statuto sono invece le cause di recesso di cui all’art. 2437, 2° co., c.c. (cioè punti 9a e 10a del superiore elenco), poiché è lo stesso articolo 2437, 2° co. a precisare che nei casi indicati il socio ha diritto di recedere “salvo che lo statuto disponga diversamente”48. Piuttosto, il problema rispetto ad una di queste due cause legali di recesso, ovverosia quella di cui al punto 10a), è che è dubbia la sua applicabilità alle società cooperative. Qualcuno infatti lo esclude sulla base del fatto che la fattispecie sarebbe già disciplinata dall’art. 2530, 6° co., che avrebbe precedenza in forza di quanto prescritto dall’art. 2519, 1° co., c.c.. Altri, invece, correttamente chiariscono che uno spazio di autonoma operatività della causa di recesso di cui al punto 10a) esiste anche nelle cooperative, poiché l’art. 2530, 6° co., fa riferimento ad una clausola già esistente (sin dall’inizio o comunque) al momento dell’ingresso del socio in società, laddove l’art. 2437, 2° co., lett. b) riguarda invece la successiva introduzione di questa clausola49. Si discute circa la derogabilità o inderogabilità della causa di recesso di cui all’art. 2437, 3° co. (cioè punto 11a del superiore elenco). In assenza di puntuale disposizione di legge, la dottrina ha per lo più optato per la sua inderogabilità alla luce del principio generale per cui l’ordinamento rifiuta i vincoli obbligatori di durata perpetua50. Il problema è però se a monte questa causa di recesso si applichi alle società cooperative. Qualcuno infatti 47 Si tratta di una conclusione pacifica in dottrina: cfr. per tutti Galletti, 2010, p. 1629. 48 Anche questa è una conclusione pacifica in dottrina: cfr. per tutti Galletti, 2010, p. 1624. 49 Cfr. Gandini, sub art. 2530, 2009, p. 1421. Naturalmente il discorso varrebbe solo per le clausole che escludono la circolazione, perché le clausole che soltanto la limitano sarebbero assorbite dalla previsione di cui all’art. 2530, 6° co., che concede il recesso solo nel caso di divieto assoluto di cessione (e non anche di sue limitazioni): cfr. Gandini, sub art. 2532, 2009, p. 1425. In sostanza, alle cooperative non si applicano gli artt. 2469, 2 co., e 2355 bis c.c. 50 Cfr. per tutti Ibba, 2007, p. 859; cfr. art. 2285, 1° co., con riguardo alle società di persone. 27 lo nega sulla base del fatto che ex art. 2521 c.c. la cooperativa (a differenza della s.p.a., a norma dell’art. 2528, 2° co., n. 13, c.c.) non è obbligata ad indicare nell’atto costitutivo la durata della società, sicché sarebbe possibile una cooperativa costituita senza limiti temporali e dove il recesso del socio sia escluso dallo statuto (Ibba, 2007, pp. 860s.). Ma, a dire il vero, questo ragionamento non intacca la validità della tesi che nei rapporti senza termine il recesso è sempre possibile e svolge anzi la funzione determinativa dell’elemento temporale mancante. Pertanto, anche nelle cooperative la causa di recesso legale di cui all’art. 2437, 3° co., opera e deve considerarsi inderogabile dallo statuto51. Ciononostante non può non rilevarsi come nella prospettiva della continuità dell’impresa la soluzione della sostanziale perpetuità sia di fatto ugualmente perseguibile costituendo una società a tempo determinato (eventualmente lungo anche se non eccessivamente tale) il cui statuto escluda (come è consentito dall’art. 2437, 2° co.) il recesso di cui al punto 9a), cioè per proroga del termine di durata della società. b) Cause legali di recesso nelle s.r.l. applicabili alle cooperative Si indicano di seguito i casi di recesso legale contenuti nella disciplina delle s.r.l. che riguardano le cooperative cui è residualmente (e nei limiti della compatibilità) applicabile ex artt. 2519, 2° co., e 2522, 2° co., c.c. la disciplina delle s.r.l. (cosiddette, impropriamente, cooperative s.r.l.). Ha diritto di recedere il socio che non abbia consentito (perché assente, astenuto o dissenziente52): 2b) al cambiamento dell’oggetto della società (art. 2473, 1° co.); 3b) al cambiamento del tipo di società (ibidem); 4b) alla fusione o scissione (ibidem); 5b) alla revoca dello stato di liquidazione (ibidem); 6b) al trasferimento della sede all’estero (ibidem); 7b) all’eliminazione di una o più cause di recesso previste dallo statuto (ibidem)53; 8b) al compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale (ibidem); 51 Cfr. per questa conclusione Gandini, sub art. 2521, 2009, p. 1383. Ma sul particolare profilo della legittimazione a recedere in una s.r.l., cfr. più ampiamente H Revigliono, 2010, pp. 1901 s. 53 Cfr. quanto già osservato in 46 con riguardo alle cooperative cui si applica la disciplina delle s.p.a. 52 28 9b) al compimento di operazioni che comportano una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci a norma dell’art. 2468, 4° co., c.c. (ibidem). Il socio ha inoltre diritto di recedere: 10b) nel caso di società contratta a tempo indeterminato con un preavviso di almeno 180 giorni (che lo statuto della società può elevare fino ad un anno) (art. 2473, 2° co.). Può notarsi come le cause legali di recesso in una s.r.l. siano sostanzialmente equivalenti per funzione e tipologia a quelle contenute nella disciplina della s.p.a., anche se ci sono differenze di non poco conto tanto nel contenuto specifico di ciascuna causa legale di recesso quanto nel numero di ipotesi complessive di recesso legale (Revigliono, 2010, pp. 1894 ss.). Le cause di cui all’art. 2473, 1° co., c.c. (sopra individuate con i punti da 2b a 9b) sono (secondo la prevalente dottrina) inderogabili, dal momento che la legge precisa che in presenza di tali situazioni il socio ha diritto di recedere “in ogni caso”, ovverosia a prescindere da ciò che dispone lo statuto54. Per la causa di recesso sub 10b) del superiore elenco valga quanto già osservato con riguardo alla causa di recesso sub 11a). La causa sub 9a) non figura espressamente tra le cause di recesso del socio di una s.r.l., ma la dottrina ritiene o che sia applicabile analogicamente anche alle s.r.l. o che comunque il socio di s.r.l. possa recedere ex art. 2473, 2° co.55. Neanche la causa sub 10a) figura tra i casi di recesso legale in una s.r.l., anche se, come ricordato, la sua applicabilità alle società cooperative è dubbia. 5.3 Inapplicabilità alle società cooperative dell’art. 2285, 2° co., c.c. L’art. 2285, 2° co., c.c. stabilisce che nelle società di persone ogni socio può recedere “quando sussiste una giusta causa”. Si tratta di una 54 Cfr. Revigliono, 2010, p. 1897, dove anche però il riferimento ad una tesi minoritaria secondo cui invece tali cause di recesso sarebbero derogabili poiché manca nella disciplina delle s.r.l. una norma analoga all’art. 2437, 6° co., c.c. 55 Riferimenti in Revigliono, 2010, pp. 1900 s. 29 causa di recesso molto importante, perché, essendo ampia ed elastica, amplia notevolmente la tutela del socio, dal momento che potenzialmente (poiché tale causa di recesso richiede un accertamento in concreto da parte del giudice, non sindacabile in Cassazione) gli consente di recedere a fronte di gravi inadempimenti degli amministratori, conclusione di operazioni particolarmente rischiose, dissidio insanabile con gli altri soci, grave inadempimento del rapporto mutualistico, ecc.(Mangiapane, 2010, pp.262 ss.). In passato si è discusso della possibilità di applicare questa disposizione, dettata per le società di persone, alle società cooperative, in virtù della particolare rilevanza che la persona assume anche in quest’ultimo tipo societario, soprattutto se posto a confronto con i tipi societari capitalistici. La giurisprudenza e la dottrina prevalenti lo hanno escluso56, ed anche oggi, soprattutto dopo la riforma del diritto societario, l’opinione negativa al riguardo può ritenersi pacifica57. Le fonti del diritto di recesso, infatti, sono chiaramente individuate dall’art. 2519 e 2522, 2° co., nelle norme applicabili alle s.p.a. o alle s.r.l., e nessuno spazio residua dunque per l’applicazione di una norma dettata in tema di società personali58. Qualcuno ritiene che comunque un’ipotesi di recesso per giusta causa nelle cooperative potrebbe o dovrebbe essere (de iure condendo) la perdita dei requisiti per essere soci (che peraltro costituisce causa di esclusione dalla società), dovendosi attribuire una via d’uscita al socio che non possa più contribuire alla realizzazione della causa mutualistica. (Ibba, 2007, pp. 886 ss.; 2005, pp. 131 ss.). Naturalmente, il fatto che la giusta causa non costituisca una causa di recesso prevista dalla legge non impedisce che la medesima sia assunta quale causa di recesso dallo statuto, il quale, nell’ambito del potere che l’art. 2532, 1° co., gli riconosce di prevedere ulteriori cause di recesso, ben potrebbe autorizzare il recesso del socio per giusta causa (altro discorso è se 56 Cfr. per riferimenti Usai, 2004, p. 376; Cannavò, 2010, p. 2585; in giurisprudenza Cass., 23.6.1988, n. 4274, cit.; A. Bologna, 4.3.2002, in Giur. it., 2002, 2350. Ma per la diversa opinione Capobianco, 1982, II, pp.405 ss. 57 Alla dottrina che espressamente conclude in questo senso va ovviamente aggiunta quella che discute tutt’al più della introduzione del recesso per giusta causa per via statutaria; in giurisprudenza T. Napoli, 12.11.2008, cit. Ma per un’opinione isolata di segno contrario cfr. Morleo, 2003, p. 52. 58 In modo diverso cfr. invece la legge estone del 2001, la quale (in un contesto normativo senz’altro molto favorevole al recesso del socio, poiché il principio generale è la libera recedibilità) riconosce al socio di cooperativa il diritto di recedere in presenza di good reasons anche qualora lo statuto abbia posto limiti al libero recesso (limiti che peraltro valgono entro il termine massimo di cinque anni), essendovi però in questo caso l’obbligo del socio di pagare una compensation alla società (art. 18, 2° co.). 30 questa disposizione opportuna in statutaria, termini di pur stabilità legittima, sia dell’impresa economicamente e perseguimento dell’interesse sociale). 6 Autonomia statutaria e recesso del socio. Contenuto e limiti dell’autonomia statutaria nella disciplina del recesso L’art. 2532, 1° co., c.c. attribuisce allo statuto della cooperativa il potere di regolare la materia del recesso del socio. Si tratta di una scelta in linea con quanto previsto dal reg. SCE 1435/2003 e dalla legislazione straniera59. Il problema principale è però di stabilire quali siano i limiti che tale potere incontra (qualora esercitato in concreto), dal momento che, da un lato, come verificato nelle pagine precedenti, anche la legge disciplina la materia del recesso e dunque sussiste un concorso di fonti della disciplina che può dar luogo a regole incompatibili tra loro, dall’altro, lo statuto deve pur sempre muoversi nel quadro dei principi generali applicabili alle società cooperative. Al fine di esaminare contenuto e limiti dell’autonomia statutaria nella disciplina del recesso del socio di cooperativa, è necessario ed opportuno: - distinguere tra disposizioni statutarie che ampliano la fattispecie del recesso e disposizioni che la limitano rispetto a quanto previsto dalla legge; - considerare che alcune norme di legge in materia di recesso sono inderogabili (se non, eventualmente, in favore del socio) ed altre derogabili; - tenere conto dell’ambito di incidenza della disposizione di legge o statutaria, ovverosia: sulle cause di recesso, sul procedimento, sugli effetti del recesso. 59 Cfr. Reg. SCE (art. 16, 3° co.); cfr., tra le altre, le leggi austriaca, belga (art. 367, dove si prevede che lo statuto può derogare alla regola della libera recedibilità dei soci), bulgara (art. 2), francese, maltese, lettone, ungherese, ecc. 31 6.1 Assenza di disposizioni statutarie in tema di recesso È fondamentale in primo luogo sottolineare che, in assenza di previsioni statutarie relative al recesso, ovverosia allorché la cooperativa non si avvalga della facoltà accordatale dall’art. 2532, 1° co., c.c., il recesso del socio sarà interamente disciplinato dalle disposizioni di legge, e pertanto: - il socio potrà recedere nei soli casi previsti dalla legge: l’assenza di regole statutarie sul recesso non legittima il recesso del socio per giusta causa o tanto meno ad nutum, ma lo sottopone interamente alla disciplina legale, che, come verificato, non contempla tali ipotesi generali, ma soltanto prevede alcuni specifici casi in cui il socio può recedere; - il procedimento del recesso sarà disciplinato dall’art. 2532, 2° co., c.c.; - gli effetti del recesso saranno disciplinati dall’art. 2532, 3° co., c.c. 6.2 Clausole che limitano il recesso L’importanza di questa categoria di clausole statutarie risiede nel fatto che la loro eventuale introduzione nello statuto della cooperativa produce l’effetto di realizzare l’interesse della cooperativa alla stabilità della compagine sociale e dunque del flusso di apporti mutualistici. Si è già detto in precedenza quanto ciò possa essere funzionale al raggiungimento da parte della cooperativa di determinati obiettivi, soprattutto quando si tratti di una cooperativa di produzione tra imprenditori o di un consorzio. D’altro canto, ponendosi nella prospettiva del socio o del soggetto aspirante tale, è evidente che clausole di questo tipo sono clausole sfavorevoli per questi ultimi, le quali potrebbero costituire oggetto di valutazione (negativa) nel momento di effettuare la decisione se entrare o meno a far parte della cooperativa60. 60 Il che naturalmente ha tanto più rilevanza quanto più vi sia concorrenza tra cooperative rispetto alle suddette clausole. In un sistema cooperativo in cui gli statuti delle cooperative abbiano il medesimo contenuto regolamentare quanto ad esempio al profilo del recesso, si attenua la concorrenza (almeno tra cooperative) e si riduce il margine di scelta dell’aspirante socio, soprattutto nel caso in cui il mercato o organizzazioni non cooperative non costituiscano per lui un’alternativa soddisfacente. 32 Nel valutare questa tipologia di clausole occorre tenere conto delle seguenti circostanze: - che la legge individua diverse cause di recesso del socio (dette appunto cause legali); - che alcune di queste cause sono inderogabili e non possono pertanto essere eliminate o indirettamente aggirate dallo statuto, essendo nulla e quindi priva di effetti ogni disposizione statutaria volta ad escludere la loro operatività; - che le clausole limitative del recesso potrebbero riguardare o le sue cause o i suoi effetti; - che di conseguenza è necessario altresì verificare se la disciplina legislativa degli effetti del recesso (soprattutto sul rapporto mutualistico) sia derogabile (ed eventualmente in che misura e in che direzione) oppure inderogabile. 1) Divieto assoluto di recedere Una clausola di cooperativa che impedisse in assoluto il recesso del socio potrebbe realizzare solo in minima parte gli obiettivi che si propone. Tale clausola, infatti, da un lato sarebbe inefficace nella parte in cui contrasta con le norme imperative di legge che determinano i casi legali di recesso (cause legali inderogabili)61; dall’altro, poiché il recesso del socio, come detto, è consentito soltanto quando la legge e lo statuto lo prevedano, nulla aggiungerebbe al dato per cui il socio non è libero di recedere se non, appunto, quando legge o statuto individuano una causa di recesso62. Questa eventuale clausola, pertanto, sarebbe idonea ad escludere il recesso del socio soltanto nei casi di cui agli artt. 2437, 2° co., lett. a) (proroga del termine di durata della società) e 2437, 2° co., lett. b) (introduzione o rimozione di vincoli alla circolazione delle partecipazioni), sempre ammesso che quest’ultima norma si applichi alle cooperative (il che è discusso). 61 Cfr. Usai, 2004, p. 389, dove si mette in generale rilievo che “la disciplina statutaria del recesso da cooperativa non potrà incidere in senso peggiorativo sulle ipotesi di recesso di cui al nuovo art. 2437, comma 1, c.c.”. 62 In ogni caso è da rilevare che i problemi di stabilità della società cooperativa, cui una clausola come quella menzionata nel testo potrebbe proporsi di risolvere, non sono certo posti dalle cause legali inderogabili di recesso, bensì dalle eventuali clausole statutarie che ampliano questa fattispecie, come le clausole che attribuiscono il recesso ad nutum, o che possono essere interpretate in questo senso, come le clausole sul termine minimo di permanenza in società (su cui v. oltre nel testo). 33 Si può discutere se questa clausola possa avere automaticamente l’effetto di derogare, in favore della società ed entro i limiti consentiti dalla legge, il termine di cui agli artt. 2437, 3° co., e 2473, 2° co., c.c. 2) Divieto temporaneo di recedere (o termine minimo di permanenza obbligatoria nella società) Più frequente è l’uso nelle cooperative di clausole che fissano il divieto di recedere dalla società per un certo periodo di tempo dall’ingresso del socio in società (che può naturalmente essere contestuale alla costituzione della società o successivo) o, ciò che è lo stesso, che impongono un periodo minimo di permanenza nella società dal momento dell’ammissione63. A queste clausole possono essere parificate (come diremo) quelle che questo divieto temporaneo di recesso (o obbligo di permanenza minima) stabiliscono a partire da un momento o da un fatto diverso dall’ammissione, come ad esempio il compimento di una certa operazione o la realizzazione di un certo programma da parte degli amministratori, l’assunzione di una determinata delibera da parte dell’assemblea, ecc. Ancora, a queste clausole possono essere equiparate quelle che impongono un termine di preavviso per l’efficacia del recesso o, il che è praticamente lo stesso, differiscono gli effetti del recesso sul rapporto sociale e/o sul rapporto mutualistico. In questo contesto sembra inquadrarsi il progetto della Federazione Trentina delle Cooperative allorché nella sua bozza di documento del 14.2.2011 fa riferimento all’esclusione del diritto di recesso dei soci (di cooperative agricole o di consorzi o società di supporto) per un certo numero di anni dall’assunzione da parte dell’assemblea di determinate delibere, fermo restando peraltro in tali casi il diritto dei singoli soci di trasferire la propria partecipazione (a condizione che il terzo acquirente sia 63 Cfr. art. 10 bis, S. Orsola: “Con l’iscrizione l’associato assume, nei confronti della società, l’impegno a mantenere il vincolo per almeno un anno o diverso termine derivante dal programma operativo in corso, salvo autorizzazione al recesso da parte dell’organizzazione di produttori”; art. 7, Melinda: “Con l’iscrizione l’associato assume, nei confronti del consorzio, l’impegno a mantenere il vincolo per cinque anni. L’impegno s’intende rinnovato per uguale periodo qualora l’associato non abbia manifestato, a mezzo di raccomandata spedita almeno tre mesi prima della scadenza dell’esercizio sociale, la volontà di recedere dal rapporto. In tal caso, il vincolo sociale cessa alla scadenza dell’esercizio sociale, mentre il rapporto mutualistico cessa col 31 dicembre dell’anno in cui viene ad esaurirsi il programma pluriennale presentato ai sensi del Reg. CE n. 2200/1996”; art. 10, 3° co., Caseificio Val di Fiemme Cavalese: “Il recesso non può essere esercitato prima che siano trascorsi due anni dall’ingresso del socio in società”. 34 in possesso dei requisiti previsti dallo statuto per essere socio, e che garantisca alla cooperativa lo stesso livello di partecipazione allo scambio mutualistico del socio receduto) nonché di recedere dalla cooperativa qualora assenti o dissenzienti rispetto alla delibera che abbia assunto l’obbligo di permanenza. Per completare i riferimenti legislativi in materia va aggiunto che la legislazione speciale in tema di agricoltura obbliga una società ai fini del suo riconoscimento come organizzazione di produttori ad inserire nello statuto clausole che impegnino i soci ad un periodo di permanenza minima in società. Secondo l’art. 3, 2° co., lett. a), n. 4, d.lg. 102/2005 sulla regolazione dei mercati agroalimentari, gli statuti delle organizzazioni di produttori devono prevedere espressamente l’obbligo per i soci di “mantenere il vincolo associativo per almeno un triennio e, ai fini del recesso, osservare il preavviso di almeno sei mesi dall’inizio della campagna di commercializzazione”. E lo stesso prevede l’art. 6. 1° co., lett. a), n. 3, d.lg. 102/2005, con riguardo alle società di secondo grado (tra organizzazioni di produttori). Ai sensi dell’art. 125 bis, 3° co., lett. e), Reg. CE 1234/2007 sull’organizzazione comune dei mercati agricoli (c.d. Regolamento OCM), lo statuto delle organizzazioni di produttori (del settore ortofrutticolo) deve contenere regole relative all’ammissione di nuovi aderenti, stabilendo in particolare il periodo minimo di adesione64. Già l’art. 11, lett. d), n. 5, dell’abrogato (dall’art. 3 del reg. OCM) reg. CE 2200/96 sull’organizzazione comune dei mercati nel settore degli ortofrutticoli, imponeva agli statuti delle organizzazione di produttori di prevedere “regole relative all’ammissione di nuovi soci, e in particolare il periodo minimo d’adesione”65. Sulla scorta delle considerazioni già svolte rispetto al quadro legislativo in materia di recesso, sembra doversi concludere nel senso che le clausole appartenenti a questa categoria non sono comunque idonee a sterilizzare (ancorché soltanto limitatamente al periodo indicato) le cause legali inderogabili di recesso. Proprio la natura imperativa delle norme di legge rende infatti nulle ed inefficaci le clausole statutarie che direttamente le contrastino o siano con queste incompatibili66. Ne deriva che – come già riferito con riguardo ad eventuali clausole di divieto assoluto di recesso – 64 A questo regolamento fa riferimento l’art. 1, S. Orsola, e l’art. 1, Melinda. A questo regolamento fa riferimento l’art. 7, Melinda. 66 Il che non esclude che in determinati casi sia la stessa norma di legge inderogabile a fissare un periodo minimo di permanenza in società prima del quale il recesso non possa esercitarsi, come avviene nel caso dell’art. 2530, 6° co., c.c. 65 35 anche le clausole che prevedono il divieto temporaneo di recesso (o quelle che a queste ultime si possono equiparare) hanno un’utilità limitata sotto il profilo del rafforzamento della stabilità dell’impresa cooperativa, poiché da un lato le cause legali inderogabili di recesso operano comunque; dall’altro, tali clausole non sono necessarie per affermare che il socio di cooperativa non possa recedere a piacimento dalla cooperativa, poiché così è già (a meno che non sussista una causa legale o statutaria di recesso). Anche queste clausole, naturalmente, sarebbero invece idonee ad escludere il recesso del socio nei casi (derogabili) di cui agli artt. 2437, 2° co., lett. a) (proroga del termine di durata della società) e 2437, 2° co., lett. b) (introduzione o rimozione di vincoli alla circolazione delle partecipazioni), sempre ammesso che quest’ultima norma si applichi alle cooperative (il che, come detto, è discusso). Ciò detto, ci si deve chiedere allora che utilità possa avere sostenere e promuovere, come ad esempio fa la Federazione nel documento citato, l’introduzione negli statuti di clausole di questo genere. A noi sembra che simile strategia si possa comprendere e giustificare (oltre che puramente e semplicemente sul piano culturale67) soltanto alla luce di preesistenti prassi statutarie particolarmente liberali nei confronti del recesso del socio (secondo le possibili linee che tratteggeremo nel successivo § 6.3.) che s’intendono in tal modo modificare al fine di rendere la disciplina del recesso compatibile con l’esigenza di stabilità dell’impresa cooperativa soprattutto in determinati periodi o fasi di sviluppo68. Come anche dimostra (e a certi fini impone) la legislazione in materia di agricoltura, sopra richiamata. Quanto sopra, peraltro, non senza tenere conto dell’interesse del socio a recedere e dell’importante funzione di governance che il recesso può rivestire quale strumento di controllo indiretto dell’attività degli amministratori (nel senso della prevenzione e repressione di eventuali abusi o semplicemente di condotte eccessivamente rischiose o non in linea 67 Cioè per rendere noto e manifesto all’interno del movimento cooperativo quel che già la legge dispone, ovverosia l’assenza di libertà del socio di recedere ad nutum dalla cooperativa. 68 Diciamo questo perché, come verificato nel corso di quest’analisi, in assenza di previsioni statutarie in materia, il recesso del socio sarebbe consentito solo negli specifici casi previsti dalla legge e non già ad nutum o per giusta causa. Di conseguenza, se non ci fosse questa preesistente prassi statutaria, da un lato, la posizione della Federazione non sarebbe coerente rispetto all’obiettivo di limitare il recesso per favorire la stabilità dell’impresa cooperativa (poiché, anzi, formule statutarie del tipo proposto dalla Federazione potrebbero essere interpretate a contrario, come espansive del diritto di recesso: v. subito oltre nel testo); dall’altro, non si comprenderebbero reazioni, critiche, timori rispetto a questa posizione di recente assunta in tema di recesso dalla Federazione. 36 con l’effettivo interesse della società) o di reazione alle decisioni della maggioranza (abusive o semplicemente non condivise). Il punto è infatti che clausole che vietano il recesso per un certo periodo di tempo potrebbero essere interpretate a contrario nel senso di consentire il libero recesso del socio decorso il termine. Se così fosse, la preesistente prassi statutaria liberale non sarebbe del tutto sconvolta, ma soltanto temporaneamente limitata. Scaduto il termine entro cui non si può recedere (ovvero di permanenza obbligatoria in società), e se davvero formule statutarie di questo tipo possono così essere interpretate, potrebbe accadere che: o il recesso del socio diventi libero oppure nuovamente consentito secondo quello che prevede lo statuto. Altro aspetto da notare è che la Federazione, nel suddetto documento, correttamente menziona il diritto dei soci assenti o dissenzienti rispetto alla delibera che limita il recesso a recedere dalla società69. Ciò è in linea con la disciplina che comunque si sarebbe applicata alle delibere che eliminano cause legali o statutarie di recesso (artt. 2437, 1° co., lett. e), e 2473, 1° co.). Un’altra notazione deve farsi con riguardo alle modalità di fissazione del termine e della circostanza al ricorrere della quale il termine comincia a decorrere. Il problema può derivare da eventuali clausole statutarie che non fissano ex ante il termine (entro cui è vietato recedere) ma lo lasciano indeterminato ancorché determinabile per relationem a determinate circostanze quali “il perfezionamento del programma operativo in corso”70. Occorre in questo caso avvertire che, secondo i principi generali, se le modalità di determinazione non sono sufficientemente certe si corre il rischio che la clausola sia considerata nulla per indeterminatezza dell’oggetto. Infine, deve osservarsi come il programma di stabilità della base sociale possa essere ostacolato da altre clausole statutarie, quali quelle che vietano il trasferimento della partecipazione71, dal momento che in tal caso il recesso è libero ex art. 2530, 6° co., c.c. (che costituisce una causa legale inderogabile di recesso del socio di cooperativa). 3) Imposizione di un termine di preavviso o differimento degli effetti del recesso 69 Per completezza, manca forse il riferimento ai soci astenuti che dovrebbero essere inclusi nella categoria dei legittimati poiché anch’essi, ai sensi degli artt. 2437, 1° co., e 2473, 1° co., “non hanno concorso alla deliberazione” ovvero “non hanno consentito”. 70 Cfr. art. 10 bis, S. Orsola. 71 Cfr. art. 10, 3° co., Melinda; art. 10, S. Orsola; art. 9, Cavit. 37 Effetti analoghi a quelli conseguenti all’adozione delle clausole di cui al precedente punto 2) si potrebbero ottenere imponendo al socio che intenda recedere un determinato onere di preavviso o differendo gli effetti del recesso, anche solo con riguardo alla cessazione del rapporto mutualistico, ciò che può essere sufficiente alla cooperativa per tutelarsi, poiché la sua stabilità, come in precedenza spiegato, dipende più dalla continuità nel flusso degli apporti mutualistici che dal mantenimento dell’intero capitale sociale72. Ci si deve chiedere, pertanto, se lo statuto possa in tal modo validamente “aggirare” le cause legali inderogabili di recesso, ma la risposta è negativa nei termini che seguono. L’art. 2437, 6° co., c.c., dichiara nullo ogni atto non solo volto ad escludere ma anche a rendere più gravoso l’esercizio del diritto di recesso nei casi in cui la legge lo attribuisce al socio mediante norma imperativa inderogabile. Le clausole statutarie che introducano un obbligo di preavviso o che differiscano gli effetti del recesso (anche solo con riguardo alla cessazione del rapporto mutualistico) rendono più gravoso l’esercizio del recesso e pertanto ricadono nella previsione di cui all’art. 2437, 6° co., c.c., che si applica alle cooperative nella sua integralità, anche se la maggiore gravosità va valutata tenendo conto della disciplina particolare delle cooperative e segnatamente dell’art. 2532, c.c.73. Non costituisce dunque disposizione statutaria che rende più gravoso il recesso quella che si limiti a ribadire la procedura di cui all’art. 2532, 2° co., né quella che si limiti a ribadire che gli effetti del recesso decorrono secondo quanto stabilito dall’art. 2532, 3° co., c.c. Al contrario, una clausola statutaria che prevedesse che gli effetti del recesso sul rapporto mutualistico decorrano con la chiusura del terzo esercizio successivo a quello in cui il recesso è comunicato sarebbe nulla ex art. 2437, 6° co., c.c., nella misura in cui aggrava il recesso del socio in presenza di una causa legale inderogabile74. Diversamente, una disposizione statutaria 72 Cfr. ad es. art. 10 bis, 2° co., Cantina Sociale di Trento: “in considerazione dei rapporti mutualistici in essere tra soci e società per gli investimenti deliberati ed eseguiti, il recesso ha effetto, purché sia rispettato un preavviso di conferimento di anni tre a far tempo da quello in corso e purché la richiesta sia presentata nel termine di cui al precedente comma” 73 Cfr. Galletti, sub art. 2532, 2005, p. 2759. In dottrina si parla anche direttamente (ma forse non del tutto correttamente, considerato quanto poi si è costretti ad eccepire con riguardo alle cause statutarie di recesso, dove, come diremo, l’art. 2532, 2° co., si considera invece derogabile) di inderogabilità in senso più sfavorevole al socio dell’art. 2532, 3° co., c.c.: cfr. Ibba, 2007, p. 865 s. 74 Finirebbero dunque in tal caso per applicarsi i termini di cui all’art. 2532, 2° co., c.c. 38 di questo tipo sarebbe legittima con riferimento a cause legali derogabili o a cause statutarie di recesso75. Parimenti, in questa prospettiva deve altresì valutarsi l’eventuale intervento dello statuto sulla liquidazione della quota ad esito del recesso, poiché regole statutarie che incidessero negativamente sulla quota da liquidarsi al socio receduto potrebbero avere un effetto concretamente disincentivante il recesso. Ma anche qui vige la tendenziale inderogabilità delle norme di legge e segnatamente dell’art. 2535 c.c., che lascia ristretti margini di autonomia allo statuto (ovverosia, eventuale esclusione del rimborso del sovrapprezzo ed eventuale differimento fino a cinque anni del rimborso delle quote di capitale ricevute ex artt. 2545 quinquies e 2545 sexies c.c.)76. 4) Divieto di recesso nel caso di proroga del termine di durata della società Nella prospettiva della limitazione delle vie d’uscita dalla società, lo statuto di una cooperativa potrebbe legittimamente escludere il diritto di recesso del socio assente, astenuto o dissenziente rispetto alla delibera di proroga del termine di durata della società, poiché questa causa legale di recesso è posta da una norma di legge derogabile dallo statuto (art. 2437, 2° co., lett. a, c.c., considerato applicabile anche alle s.r.l. e dunque altresì alle cooperative cui si applichi la disciplina delle s.r.l.). 5) Divieto di recesso nel caso di introduzione o rimozione di vincoli alla circolazione delle partecipazioni Sempre nella prospettiva della limitazione delle vie d’uscita del socio dalla società, lo statuto di una cooperativa potrebbe legittimamente escludere il diritto di recesso del socio assente, astenuto o dissenziente rispetto alla delibera che introduca o rimuova vincoli alla circolazione delle partecipazioni poiché questa causa legale di recesso è posta da una norma di legge derogabile dallo statuto (art. 2437, 2° co., lett. b, c.c., di cui però ancor prima si discute se sia applicabile alle società cooperative). 75 Cfr. Ibba, 2007, p. 866; Stella Richter, 2004, p. 414. In questo senso può forse leggersi la precisazione contenuta nell’art. 10 bis, 1° co., Cantina Sociale di Trento, secondo cui la particolare disciplina del preavviso di cui a tale articolo si applica “salvi i casi inderogabili previsti dalla legge, che rimangono disciplinati dalla stessa”. 76 Cfr. sullo specifico punto Galletti, 2005, pp. 2774 ss.; Stella Richter, 2004, p. 415. 39 6) Fissazione di un maggior termine per il recesso nel caso di cui agli artt. 2437, 3° co., e 2473, 2° co., c.c. Nella prospettiva del differimento del recesso nell’interesse della società, lo statuto di una cooperativa potrebbe fissare un termine più lungo per il preavviso che il socio che intende recedere ai sensi degli artt. 2437, 3° co., e 2473, 2° co., c.c. (recesso nel caso di società contratta a tempo indeterminato), è tenuto a dare alla società. Tale termine non può comunque essere superiore ad un anno. 6.3 Clausole che ampliano la fattispecie del recesso Questa categoria di eventuali clausole statutarie si caratterizza per il fatto di favorire il recesso del socio rispetto a quanto previsto dalla legge. Nel valutare la loro introduzione occorrerebbe pertanto tenere conto dei possibili effetti negativi che possono seguire all’ampliamento delle vie d’uscita del socio dalla società (e capire se sono compensati dagli effetti positivi derivanti dal maggiore controllo degli amministratori e della maggioranza). D’altro canto, il potenziamento dell’exit può costituire incentivo all’adesione in una cooperativa, non tanto (o non solo) sotto il profilo della maggiore facilità di disinvestimento, quanto (o soprattutto) con riguardo all’aspetto della riacquisizione della libertà di contrarre. Per quanto riguarda le clausole che ampliano il diritto di recesso, bisogna dire che il principio generale è che l’autonomia statutaria non incontra limiti particolari (se si eccettua quello di cui al medesimo 2532, 1° co., cioè il divieto di consentire il recesso parziale), sicché in generale lo statuto di una cooperativa potrebbe contemplare ulteriori cause di recesso rispetto a quelle previste dalla legge, semplificare il procedimento di recesso, regolare il profilo degli effetti in modo più favorevole al socio che recede77. 1) Clausola che consente il recesso ad nutum (eventualmente dopo la scadenza di un certo termine o un periodo minimo di permanenza in società) 77 Si parla in dottrina di “massima libertà statutaria” a questo riguardo: cfr. in questo senso Ibba, 2007, p. 858. 40 Per recesso ad nutum (o libero) s’intende il recesso che può esercitarsi dal socio a suo mero volere e senza necessità di indicarne i motivi, e dunque sulla base di una pura valutazione soggettiva di convenienza, non essendo il recesso collegato al verificarsi di particolari fatti, atti o circostanze. Si è già verificato che la legge non attribuisce al socio di cooperativa il diritto di recedere ad nutum, che invece riconosce soltanto all’associato di un’associazione (art. 24, 2° co., cc.). La domanda è dunque se possa farlo lo statuto, nell’esercizio dell’autonomia che la legge gli riserva (art. 2532, 1° co., c.c.)78. Alla superiore domanda la dottrina dà generalmente risposta affermativa, in virtù sia dell’ampia formula utilizzata dall’art. 2532, 1° co., c.c., sia della considerazione che nelle cooperative la variabilità del capitale elimina l’unico ostacolo teorico alla riconoscibilità per statuto dell’assoluta libertà di uscita del socio dalla società, cioè la necessità di tutelare l’affidamento dei creditori79. In verità non sono mancate opinioni più caute, fondate sia su dati formali sia su considerazioni di opportunità. Si è sostenuto infatti, da un lato, che il riferimento nell’art. 2521, 3° co., n. 7, alle “condizioni per l’eventuale recesso” comunque rimanda ad un dato oggettivo esterno alla sfera del socio; dall’altro, che la concessione del recesso ad nutum non solo minaccia la stabilità della società ma produce altresì esternalità negative non sempre tollerabili soprattutto in una struttura a vocazione economica benché non speculativa80. Dal punto di vista interpretativo, pongono un problema quelle clausole statutarie che in modo molto generale dispongono nel senso che “è ammesso il recesso dalla cooperativa (o dal consorzio)”81. Non è chiaro infatti se in tal modo si voglia attribuire al socio il diritto di recesso ad nutum oppure soltanto genericamente ribadire per statuto che il socio può recedere ove ricorrano i casi previsti dalla legge o dallo statuto: 78 La medesima domanda si pone altresì con riguardo al socio di s.p.a. e di s.r.l., ma anche di società di persone. La dottrina prevalente sembra rispondere affermativamente, ma ci sono importanti eccezioni (cfr. anche per riferimenti Galletti, sub art. 2437, 2010, pp. 1626 s.; Revigliono, 2010, p, 1895; Mangiapane, 2010, pp. 264 s.). 79 Cfr. IBBA, 2007, p. 858; Giorgi, 2006, p. 273; Stella Richter, 2004, p 414. 80 In tal senso Galletti, sub art. 2532, 2005, pp. 2753 s. 81 Cfr. art. 10, Cavit, e art. 10, Sait. Occorre peraltro tenere conto del fatto che negli statuti di queste due società si prevede il divieto di trasferimento della partecipazione, sicché la libertà di recedere già deriva dalla previsione inderogabile di legge di cui all’art. 2530, 6° co., c.c., anche se l’importanza della questione in parte permane invariata perché quest’ultima norma di legge richiede un termine di preavviso e un periodo minimo di permanenza in società prima di poter recedere. 41 probabilmente, l’inutilità della seconda alternativa potrebbe spingere l’interprete a preferire la prima. Lo statuto potrebbe attribuire al socio il diritto di recesso ad nutum soltanto decorso un certo periodo di tempo dal suo ingresso in società. Ci si può chiedere (come già si è fatto in precedenza) se in tal senso debbano interpretarsi quelle clausole statutarie che fissano un periodo minimo di permanenza in società stabilendo che, trascorso questo, il socio può recedere. Qualora non fosse intenzione della società consentire altresì in casi simili il libero recesso dei soci, sarebbe opportuno che le clausole statutarie fossero attentamente formulate in modo tale da evitare che un divieto temporaneo di recesso si trasformi per via interpretativa in un diritto di recesso ad nutum successivamente alla scadenza del termine entro il quale non si può recedere. 2) Clausola che consente il recesso per giusta causa Si è già detto in precedenza del significato che il riferimento alla “giusta causa” del recesso può assumere. Si è anche detto che la dottrina prevalente e la giurisprudenza escludono il recesso legale per giusta causa nelle cooperative, poiché alle cooperative non è residualmente applicabile la disciplina delle società di persone bensì quella delle società di capitali (s.p.a. o s.r.l.) nel cui ambito la giusta causa non costituisce causa legale di recesso. Non si esclude però che (anche) nelle cooperative (come nelle s.p.a. e nelle s.r.l.) lo statuto possa contemplare il recesso per giusta causa82. 3) Previsione di specifiche cause di recesso Lo statuto è ovviamente libero di stabilire specifiche cause (statutarie) di recesso, diverse e ulteriori rispetto a quelle previste dalla legge. Ciò può costituire un’alternativa valida ed opportuna rispetto all’eccessiva (e perciò rischiosa per la società) ampiezza del recesso ad nutum e di quello per giusta causa. Tali cause potrebbero essere le più varie. Potrebbero ricondursi alla sfera economico-giuridica dei singoli soci (malattia, trasferimento sede, difficoltà di svolgere attività mutualistica, ecc); a quella endo-societaria (mancato pagamento di ristorni per un certo periodo di tempo o di 82 Si tratta di una soluzione generalmente condivisa dalla dottrina: cfr. per tutti GALLETTI, sub art. 2532, 2005, p, 2755. Quanto alle s.p.a. cfr. Galletti, sub art. 2437, 2010, p. 1627; quanto alle s.r.l. cfr. Revigliono, sub art. 2473, 2010, pp. 1895 s. 42 dividendi; delibere modificative di quorum; andamento negativo dell’attività sociale; alienazione o acquisto di aziende o rami; revoca di una determinata autorizzazione o licenza; ecc.); a situazioni extra-societarie (andamento economico negativo del mercato; provvedimenti normativi sfavorevoli; ecc.)83. 4) Clausola che condiziona il recesso all’approvazione degli amministratori Nulla impedisce che lo statuto della cooperativa individui una specifica causa statutaria (o legale derogabile) di recesso (anche ad nutum), subordinando però l’uscita del socio all’approvazione del recesso da parte degli amministratori84. In tal caso il recesso non costituisce un diritto potestativo bensì una proposta che gli amministratori possono accettare (perfezionandosi così l’uscita del socio dalla società) oppure no, sicché il recesso segue ad un accordo tra socio e società e non già ad un atto unilaterale del socio, con la conseguenza che più che di recesso in questo caso è corretto parlare di “mutuo dissenso” (ovverosia di mutuo consenso sullo scioglimento del vincolo). L’approvazione di cui qui si parla non ha niente a che vedere col “provvedimento di accoglimento della domanda” di cui all’art. 2532, 3° co., c.c., che ha un mera funzione di controllo della sussistenza dei requisiti legali o statutari del recesso. Tuttavia, al fine di evitare confusione e sovrapposizione può essere importante che lo statuto chiarisca il ruolo dell’approvazione degli amministratori. 5) Recesso penitenziale Altra possibilità è quella di subordinare il recesso statutario (o legale derogabile) al pagamento da parte del socio di una penale. È soluzione interessante perché evita l’esercizio pretestuoso o abusivo del recesso, ponendovi un freno nell’interesse della società, e allo stesso tempo non privando il socio della possibilità di vedere realizzati gli interessi sottostanti all’esercizio del recesso. 83 Cfr. Revigliono, sub art. 2473, 2010, pp. 1896 s. Un esempio si può scorgere nell’art. 10 bis, 4° co., Cantina Sociale di Trento, secondo cui “è consentito il recesso senza alcuna penalità nel caso di un socio che non sia più in grado di concorrere al conseguimento dell’oggetto sociale”. 84 Per la legittimità di queste clausole cfr. Cass., 6.4.2001, n. 5126, in Rep. Foro it., 2001, “Cooperativa”, n. 93; A. Napoli, 4.10.2008, in Rep. Foro it., 2009, “Cooperativa”, n. 58. 43 6) Clausola che consente il recesso anche anteriormente ai due anni nel caso di cui all’art. 2530, 6° co., c.c. Il termine di cui all’art. 2530, 6° co., c.c. deve considerarsi inderogabile solo in peius per il socio, il che vuol dire che lo statuto della società può prevedere un termine più breve per la legittimità del recesso legale di cui alla norma in questione. 7) Anticipazione della decorrenza degli effetti del recesso Anche l’art. 2532, 3° co., c.c. si presenta come una norma inderogabile solo in peius per il socio, sicché lo statuto della cooperativa potrebbe prevedere tempi più brevi per l’efficacia del recesso anche sul rapporto mutualistico. 8) Semplificazione del procedimento di uscita L’art. 2532, 2° co., deve considerarsi inderogabile solo in peius per il socio, sicché sarebbe legittima una procedura statutaria che contempli una procedura di exit più semplice o più rapida nell’interesse del socio all’uscita dalla società. 7 Profili di natura procedimentale Le modalità con cui il socio85 può esercitare il recesso sono indicate al 2° co. dell’art. 2532 c.c., alla stregua del quale “la dichiarazione di recesso deve essere comunicata con raccomandata alla società. Gli amministratori devono esaminarla entro sessanta giorni dalla ricezione. Se non sussistono i presupposti del recesso, gli amministratori devono darne immediata comunicazione al socio, che entro sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione, può proporre opposizione innanzi il tribunale”. 85 Solo il socio può esercitare il diritto di recesso; l’esercizio del potere surrogatorio, infatti, è escluso per i diritti connessi con una qualità del loro titolare. In tema di s.p.a., valevole a fortiori per le cooperative, cfr. Cass., 12.7.2002, n. 10144, in Giur. comm., 2004, II, 39, secondo cui “il diritto di recesso da una s.p.a., essendo strettamente personale al socio, non può essere esercitato in via surrogatoria, ex art. 2900 c.c., dal creditore particolare di lui”. 44 Molteplici le riflessioni che la citata disposizione suscita. Innanzitutto le innovazioni contenute in proposito nell’art. 2532 c.c., che ha sostituito il previgente art. 2526 c.c., non hanno modificato la natura di atto unilaterale recettizio del recesso86, non intendendo il legislatore porre sullo stesso piano (segnatamente di atti prenegoziali) la dichiarazione di volontà del socio e quella degli amministratori. Questi ultimi devono pertanto limitarsi ad accertare la sussistenza dei presupposti per l’esercizio del recesso, cioè la verifica della corrispondenza tra i motivi che hanno dato luogo alla dichiarazione di recesso e le ipotesi legali o statutarie in cui il recesso è consentito. Da quanto detto deriva che, nonostante si parli di “accoglimento domanda del socio” nel 3° co. dell’art. 2532, e nonostante il tenore complessivo del 2° co. del medesimo articolo possa far pensare ad una sorta di “accordo” tra socio ed amministratori o di “consenso” di questi ultimi, in realtà il recesso è un diritto potestativo (naturalmente quando ricorrono i presupposti di legge o statutari per il suo esercizio) e non già una proposta contrattuale suscettibile in quanto tale di essere accettata o rifiutata (a meno che, come già rilevato, lo statuto così non configuri il procedimento con riguardo al recesso statutario o a determinati casi statutari di recesso). Da questo punto di vista, qualora effettivamente sussistano le condizioni del recesso, il procedimento costituisce un mero espediente dilatorio nell’interesse della cooperativa; qualora invece tali condizioni non siano presenti, costituisce, sempre nell’interesse della cooperativa, un importante presidio contro il tentativo illegittimo e abusivo di recedere dalla società. In secondo luogo, in ordine ai poteri che hanno gli amministratori relativamente alla dichiarazione del socio, si evince che entro sessanta giorni gli stessi devono non solo esaminare la dichiarazione – verificando appunto l’esistenza o meno dei presupposti richiesti per il recesso – ma altresì provvedere su di essa. Sembrerebbero differenti i tempi di 86 Sulla stessa linea cfr. Cass., 2.5.2006, n. 10135, cit., secondo cui “essendo il recesso una manifestazione di volontà, corrispondente al diritto potestativo di uscire dalla società ovvero di rinunziare a conservare lo stato derivante dal rapporto giuridico nel quale il socio è inserito, nessuna compatibilità con tale categoria negoziale ha la configurazione dell’accordo prospettato da parte ricorrente, che, assegnando alla determinazione della società la funzione di accettazione di una sorta di proposta, attribuisce alla predetta dichiarazione mera rilevanza prenegoziale, in difetto della ipotizzata accettazione; e lascia così assolutamente libero il destinatario di essa persino di ricontrarla e comunque di aderirvi o meno, senza alcun onere di esplicitazione dei motivi di tale condotta”. Aggiunge poi la Suprema Corte: “posto che, invece, il recesso configura un negozio unilaterale, la deliberazione favorevole del Consiglio di amministrazione opera all’esterno, come condizione di efficacia, ed è regolata dall’art. 1359 c.c., in forza del quale essa si considera avverata, una volta che sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento”. 45 comunicazione al socio in merito al provvedimento adottato. La legge espressamente prevede, infatti, che se il provvedimento è negativo, esso va comunicato immediatamente al socio, affinché non si frappongano tempi morti all’eventuale opposizione dello stesso87. In caso di provvedimento positivo, invece, la legge è muta. Tuttavia, l’esigenza di una tempestiva comunicazione sussiste anche in presenza di una verifica dall’esito positivo, soprattutto con riferimento alla decorrenza degli effetti sul rapporto sociale, di cui si dirà a breve. In caso di mancata o tardiva comunicazione, inoltre, il socio ben potrebbe adire il tribunale a cui competerebbe in ultima analisi la verifica originariamente spettante agli amministratori88. Diversamente, una giurisprudenza di merito ritiene che operi il meccanismo del silenzioassenso89. Pertanto l’esigenza di tutelare il socio contro abusi e arbitri degli amministratori in presenza del legittimo esercizio del diritto di recesso, induce a ritenere preferibile l’interpretazione del disposto dell’art. 2532, 2° co., c.c. nel senso che il termine di sessanta giorni previsto per l’esame della dichiarazione di recesso debba essere inteso anche quale termine entro cui gli amministratori devono comunicare al socio la propria decisione favorevole o sfavorevole al recesso. (Usai, 2004, p. 389) Per quanto concerne l’onere della prova, secondo i principi generali sulla sua distribuzione, nel caso in cui la cooperativa, in un momento successivo, agisca per i danni derivanti dalla violazione degli obblighi inerenti alla qualità di socio del convenuto, essa è tenuta a dimostrare il fatto costitutivo del suo diritto, rappresentato dalla qualità di socio del convenuto; qualora quest’ultimo alleghi il fatto estintivo della sua qualità di socio, è tenuto a fornire la prova del recesso e della sua legittimità, mentre la società che contesti la sussistenza o efficacia del recesso può 87 Secondo Usai, 2004, p. 388: “seppur nel silenzio dell’art. 2532 c.c. – anche alla luce della giurisprudenza formatasi sotto il vigore dell’art. 2526 c.c. – che l’eventuale provvedimento di diniego dovrà essere motivato”. 88 In giurisprudenza cfr. A. Napoli, 6.2.2008, in Banca dati De Jure, secondo la quale “nella materia civilistica non può trovare ingresso l’istituto del silenzio-assenso; pertanto in difetto di un’espressa disposizione normativa, all’omesso invio da parte degli amministratori entro i termini previsti dall’art. 2532 co. 2 c.c. della comunicazione dell’insussistenza dei presupposti per esercitare il recesso non può essere ricollegato alcun effetto di decadenza. Né sotto altro profilo la mancata comunicazione nei termini può essere interpretata quale tacita accettazione della dichiarazione di recesso, posto che solo in determinati casi, ed in presenza di specifici presupposti, il silenzio di una delle parti può assumere il valore negoziale di consenso”. 89 Cfr. T. Benevento, 12.4.2005, in Rep. Foro it., 2006, “Cooperativa”, n. 87. 46 limitarsi a proporre una mera difesa, senza dover introdurre nel processo fatti ulteriori90. Un’ultima riflessione merita di essere sviluppata in ordine alla possibilità di applicare gli artt. 2437 bis e 2473 c.c., rispettivamente relativi ai termini e alle modalità di esercizio del recesso nelle s.p.a. e nelle s.r.l. 91. La disciplina procedimentale prevista dall’art. 2532 c.c. è predisposta per tutte le cause di recesso, siano esse di fonte legale o di fonte statutaria. Pertanto l’assunto in base al quale per le cause di recesso mutuate dalla s.p.a. o dalla s.r.l (a seconda del modello adottato dalla cooperativa) si applicherebbe la disciplina di cui agli artt. 2437 bis e 2473 c.c. non può trovare accoglimento, dal momento che l’art. 2532 c.c., permettendo il recesso “nei casi previsti dalla legge” ma regolandone le modalità e gli effetti, consente di importare dalla disciplina della s.p.a. o della s.r.l. le cause ma non ciò che attiene al procedimento o all’efficacia del recesso92. Né in tal caso opera il rinvio di cui all’art. 2519 c.c., in quanto lo stesso si applica, nei limiti della compatibilità, solo in relazione a ciò che non viene disciplinato espressamente nell’ambito del titolo specificamente dedicato alle cooperative. Dunque, potrebbe tutt’al più, secondo una 90 Cfr. Cass., 3.4.2008, n. 8531, in Banca dati De Jure, in cui la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza della corte territoriale, la quale aveva rigettato la domanda risarcitoria sul presupposto che la società attrice non avesse fornito la relativa prova, invertendo in tal modo l’onere della prova che, in virtù del principio sopra enunciato, incombeva sul socio che aveva eccepito l’esistenza di un valido recesso. 91 L’art. 2437 bis c.c. recita: “Il diritto di recesso è esercitato mediante lettera raccomandata che deve essere spedita entro quindici giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese della delibera che lo legittima, con l’indicazione delle generalità del socio recedente, del domicilio per le comunicazioni inerenti al procedimento, del numero e della categoria delle azioni per le quali il diritto di recesso viene esercitato. Se il fatto che legittima il recesso è diverso da una deliberazione, esso è esercitato entro trenta giorni dalla sua conoscenza da parte del socio” (1° co.); aggiunge che “le azioni per le quali è esercitato il diritto di recesso non possono essere cedute e devono essere depositate presso la sede sociale” (2° co.) e conclude disponendo che “il recesso non può essere esercitato e, se già esercitato, è privo di efficacia, se, entro novanta giorni, la società revoca la delibera che lo legittima ovvero se è deliberato lo scioglimento della società” (3° co.). L’art. 2473 c.c. prevede che “il rimborso delle partecipazioni per cui è stato esercitato il diritto di recesso deve essere eseguito entro centottanta giorni dalla comunicazione del medesimo fatta alla società. Esso può avvenire anche mediante acquisto da parte degli altri soci proporzionalmente alle loro partecipazioni oppure da parte di un terzo concordemente individuato da soci medesimi. Qualora ciò non avvenga, il rimborso è effettuato utilizzando riserve disponibili o, in mancanza, corrispondentemente riducendo il capitale sociale; in quest’ultimo caso si applica l’art. 2482 c.c. e, qualora sulla base di esso non risulti possibile il rimborso della partecipazione del socio receduto, la società viene posta in liquidazione” (4° co.); aggiunge che “il recesso non può essere esercitato e, se già esercitato, è privo di efficacia, se la società revoca la delibera che lo legittima ovvero se è deliberato lo scioglimento della società” (ult. co.). 92 Cfr. Ibba, 2007, p. 863; contra Racugno, 2006, p. 158; Callegari, 2004. 47 dottrina, residuare una marginale operatività solo per quelle cause legali mutuate dalla s.p.a., la cui disciplina procedimentale verrebbe integrata da quella di cui all’art. 2437-bis c.c., nei limiti in cui la stessa non sia derogata dal 2532 c.c. e risulti con essa compatibile93. Si può discutere se la procedura di cui all’art. 2532, 2° co., c.c., sia sempre inderogabile dallo statuto (se non eventualmente in favore del socio) o possa essere derogata, anche in senso sfavorevole al socio, qualora verta su casi di recesso statutario o di recesso legale derogabile. 8 Conclusioni Intorno alla materia del recesso ruotano interessi diversi tra loro contrapposti, ciò che rende il tema uno dei più delicati nell’ambito della disciplina delle società cooperative e della sua governance. Si fronteggiano equilibrio dell’impresa, da un lato, e libertà del socio, dall’altro, vale a dire interesse sociale ed interesse individuale, rispetto al cui potenziale contrasto tanto la legge quanto lo statuto, nel regolare il fenomeno, dovrebbero effettuare scelte non già nel segno della prevalenza assoluta dell’uno rispetto all’altro interesse, bensì del contemperamento degli opposti interessi, poiché la tutela dell’interesse sociale finisce per beneficiare anche i soci e la tutela dell’interesse del socio può essere altresì d’ausilio all’interesse sociale, come in questa ricerca si è avuto modo di porre in luce. Del resto, nei rapporti di lungo periodo, il clima di fiducia e di collaborazione costituisce un presupposto necessario affinché essi proseguano nel segno del vantaggio comune, laddove i costi derivanti da una prosecuzione “coattiva” del rapporto, in un certo senso imposta da una parte all’altra ancorché con il supporto delle norme di legge applicabili al caso di specie, possono essere superiori ai benefici attesi, rendendo lo scioglimento del rapporto una conseguenza inevitabile. In questa prospettiva, la legge né esclude il recesso né lo ammette incondizionatamente, ma lo subordina al verificarsi di casi che sia la legge 93 Ad esempio con riferimento alla possibilità di revocare la delibera che legittima il recesso, la quale rende lo stesso privo di efficacia a norma degli artt. 2437 bis, ult. co. e 2473 ult. co. Sul punto, Giorgi, 2006, p. 277; secondo GallettI, sub art. 2532, 2005, p. 2755, l’art. 2437 bis c.c., nei limiti di cui sopra, può ritenersi applicabile anche con riferimento alle clausole statutarie introdotte dall’autonomia privata che non statuiscano espressamente sul punto. 48 sia lo statuto della società individuano o possono individuare, cumulativamente o in concorrenza tra loro. Nel diritto italiano il socio di cooperativa non ha dunque di per sé diritto di recedere, come invece accade in alcune legislazioni straniere (salva peraltro possibile limitazione statutaria). Il recesso è possibile solo là dove la legge o lo statuto della società lo consentano (art. 2532, 1° co., c.c.). È quest’ultimo il punto di equilibrio individuato dal legislatore nazionale da cui occorre muovere nell’affrontare il tema. Pertanto, anche quando si discute di “riforma” del sistema del recesso, ovverosia di modifica delle prassi statutarie vigenti, lo si dovrebbe fare tenendo conto che ciò di cui si va alla ricerca è un nuovo punto di equilibrio, più vicino a quello individuato dal legislatore, che le esigenze di stabilità dell’impresa cooperativa ha ben tenuto in considerazione. L’eccessiva libertà di recedere, infatti, se accordata dagli statuti, può pregiudicare l’interesse sociale, ciò che alla fine si traduce in una prevalenza dei benefici individuali su quelli collettivi di cui la società si fa portatrice. L’eccesso di libertà può avere effetti patologici, oltre al fatto di rendere poco chiara la distinzione (che invece deve sussistere nella misura in cui la cooperativa costituisce un soggetto sui generis) tra soci fornitori e fornitori non soci, soci consumatori e consumatori non soci, soci lavoratori e lavoratori non soci. È qui in gioco il profilo della solidarietà non solo nella divisione dei benefici ma anche dei rischi e delle perdite che un’impresa comune può porre a carico dei suoi partecipanti specie in determinate congiunture economiche. Ciò rilevato, il “blocco” del recesso per un certo periodo di tempo – che sostanzialmente costituisce oggetto della proposta sistematica avanzata dalla Federazione Trentina delle Cooperative – senz’altro non è una proposta contraria a legge (anzi, come detto, non è di per sé idonea ad annullare i casi legali inderogabili di recesso) né tanto meno è una proposta incomprensibile da un punto di vista economico, ma soltanto costituisce una proposta di revisione di prassi statutarie forse troppo liberiste sul punto, che in tal modo finiscono per riconoscere come predominante l’interesse individuale del socio (di cui pure, come spiegato, è necessario tenere conto della disciplina statutaria del recesso) rispetto all’interesse sociale della cooperativa e a quello collettivo di tutti i restanti soci. Costituisce, questa proposta, la ricerca di un nuovo e diverso (rispetto al passato) equilibrio tra interesse sociale ed interesse individuale, che appare più coerente con l’idea e i principi della mutualità. La mutualità presuppone ed implica il potenziale scambio di posizioni, e perciò costituisce per ciascuno dei partecipanti all’impresa comune, una sorta di assicurazione sul futuro. Il recesso, da questo punto di vista ponendosi in 49 netto contrasto con l’ammissione, è momento in cui il socio fa prevalere la ricerca del proprio interesse su quello comune, di gruppo, sicché costituisce, se non adeguatamente regolato, una misura non cooperativa, anti-mutualistica. Quanto detto non significa, come già spiegato, che l’interesse del socio a recedere non debba essere tutelato dalla legge e dagli statuti, perché la minaccia di recesso disincentiva maggioranza ed amministratori ad abusare dei propri poteri o a perseguire interessi diversi da quello sociale, e perché il recesso è uno strumento di concorrenza e dunque produce tutti i benefici (in termini di efficienza dell’azione della cooperativa) che la concorrenza è in grado di generare. Il recesso potrebbe infatti costituire occasione, da un lato, di una riorganizzazione della cooperativa su basi più omogenee, dall’altro, della costituzione di una nuova cooperativa a sua volta fondata da soci il cui grado di omogeneità sia superiore che in precedenza. Non è detto dunque che in assoluto il recesso danneggi il sistema cooperativo, poiché ciò dipende dalle conseguenze concrete derivanti dalla scelta del socio recedente, dai motivi effettivi del recesso e dalla composizione e struttura della cooperativa da cui si recede. Il punto è piuttosto se e quando consentire al socio di recedere, e da questa prospettiva la proposta della Federazione mira a realizzare un equilibrio nuovo rispetto al passato, poiché non esclude la possibilità di recedere ma soltanto la condiziona temporalmente per finalità di equilibrio e conservazione dell’impresa cooperativa. Nell’ottica del contemperamento degli interessi, è poi significativo leggere nella proposta della Federazione il riferimento alla possibilità di soci assenti o dissenzienti di recedere nonché alla possibilità di trasferire la partecipazione: elementi che rendono la proposta ancor di più conforme a legge. Naturalmente, anche considerato quanto emerso da questa ricerca, la proposta sarebbe ancora più valida qualora, stabilito il nuovo principio generale in tema di recesso (così individuando il nuovo punto di equilibrio tra gli interessi contrapposti), accordasse agli statuti delle singole cooperative (o consorzi) la possibilità di adattare la disciplina del recesso alle proprie esigenze particolari, magari suggerendo opzioni statutarie che la cooperativa può adattare. Si è detto infatti, tra le altre cose, come rilevanza ed intensità del problema del recesso varino a seconda della tipologia giuridica di cooperativa e delle sue caratteristiche concrete (anche nel solo ambito dell’agricoltura), sicché diverse soluzioni possono essere opportune, anche tenendo conto degli altri strumenti di governance che lo statuto della cooperativa attribuisce ai soci, soprattutto sotto il profilo della partecipazione alla gestione dell’impresa e del controllo dell’attività degli amministratori. In fondo, il recesso non è che uno dei diversi strumenti di 50 governance dell’impresa, sicché qualsiasi valutazione che lo riguardi non può essere avulsa dall’analisi complessiva degli altri ed ulteriori strumenti di governance e dal modo in cui sono regolati nello statuto di una cooperativa (o di un consorzio). Di questa proposta della Federazione andrebbero infine esaminati con maggiore attenzione alcuni aspetti procedurali. Il recesso, infatti, alla luce dell’art. 2532, 1° co., c.c., non potrebbe che essere disciplinato dallo statuto della cooperativa, talché un “blocco” del recesso per un certo periodo di tempo non potrebbe essere disposto di volta in volta dall’assemblea in assenza di copertura da parte dello statuto, che qualora volesse delegare tale potere all’assemblea dovrebbe allora quanto meno indicare con sufficiente determinatezza le ipotesi in cui una delibera assembleare possa disporre il “blocco”, nonché, così ci sembra, anche il numero massimo di anni in cui esso produca i suoi effetti. 9 Tabelle riassuntive Tabella 1. Il recesso nelle organizzazioni: un quadro delle regole generali in materia Associazioni Società di persone Società di capitali Cooperative Libertà di recedere (salvo che non si assuma l’obbligo di partecipazione per un tempo determinato) Si può recedere solo quando la società è contratta a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno dei soci, per giusta causa, o negli altri casi previsti dallo statuto Si può recedere solo nei casi previsti dalla legge o dallo statuto. Si può recedere solo nei casi previsti dalla legge o dallo statuto. Tra i casi previsti dalla legge non figura la giusta causa di recesso Tra i casi previsti dalla legge non figura la giusta causa di recesso Art. 24, 2° co., c.c. Art. 2285, c.c. Artt. 2437 e 2473, c.c. Art. 2532, 1° co., c.c. 51 Tabella 2. Società cooperative: i casi di recesso previsti dalla legge (loro derogabilità o inderogabilità) Tutte le cooperative Causa di recesso Articolo Lo statuto della coop. vieta al 2530, 6° co. socio di trasferire la propria partecipazione Inderogabile (derogabile il termine ma solo in favore del socio) Cooperative s.p.a. Modifica della clausola 2437, 1° co., lett. a) determinativa dell’oggetto sociale, quando ciò consente un Inderogabile cambiamento significativo dell’attività della società Trasformazione della società art. 2437, 1° co., lett. b) Trasferimento della sede sociale all’estero Revoca dello stato di liquidazione Eliminazione di una o più cause di recesso previste dallo statuto o dall’art. 2437, 2° co., c.c. Modifica dei criteri di determinazione del valore dell’azione in caso di recesso Proroga del termine di durata della società Introduzione o rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari Società costituita a tempo indeterminato quando le sue azioni non sono quotate in un mercato regolamentato Inderogabile art. 2437, 1° co., lett. c) Inderogabile art. 2437, 1° co., lett. d) Inderogabile art. 2437, 1° co., lett. e) Inderogabile art. 2437, 1° co., lett. f) Inderogabile art. 2437, 2° co., lett. a) Derogabile art. 2437, 2° co., lett. b) Derogabile artt. 2437, 3° co. Inderogabile (derogabile in peius il termine ma solo entro certi limiti) Cooperative s.r.l. Cambiamento dell’oggetto della società art. 2473, 1° co. Cambiamento del tipo di società Inderogabile art. 2473, 1° co. Fusione o scissione Inderogabile art. 2473, 1° co. Revoca dello stato di liquidazione Trasferimento della sede all’estero Eliminazione di una o più cause di recesso previste dallo statuto Inderogabile art. 2473, 1° co. Inderogabile art. 2473, 1° co. Inderogabile art. 2473, 1° co. 52 Compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale Compimento di operazioni che comportano una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci a norma dell’art. 2468, 4° co., c.c. Società costituita a tempo indeterminato Proroga del termine di durata della società Inderogabile art. 2473, 1° co. Inderogabile art. 2473, 1° co. Inderogabile Art. 2473, 2° co. Inderogabile (derogabile in peius il termine ma solo entro certi limiti) art. 2437, 2° co., lett. a) (applicazione analogica) Derogabile 53 Tabella 3. Società cooperative: ipotesi di clausole statutarie in tema di recesso e loro effetti Clausole limitative del recesso Effetti Divieto assoluto di recesso Non impedisce il recesso nei casi in cui la legge lo preveda con norma imperativa inderogabile; impedisce il recesso nei casi in cui la legge lo preveda con norma derogabile Divieto temporaneo di recesso Non impedisce (neanche temporaneamente) il recesso (o permanenza minima nei casi in cui la legge lo preveda con norma imperativa obbligatoria) inderogabile; impedisce temporaneamente il recesso nei casi in cui la legge lo preveda con norma derogabile Imposizione di un termine di Qualora peggiori la situazione del socio rispetto a preavviso o differimento degli quanto previsto dall’art. 2532, non produce effetti effetti del recesso rispetto ai casi di recesso legale inderogabile ma solo con riguardo ai casi di recesso legale derogabile (ed eventualmente ai casi di recesso statutario) Divieto di recesso nel caso di Impedisce di recedere qualora il termine di durata della proroga del termine di durata società sia prorogato della società Divieto di recesso nel caso della Impedisce di recedere qualora siano introdotti o introduzione o della rimozione rimossi vincoli alla circolazione delle partecipazioni di vincoli alla circolazione delle partecipazioni Fissazione di un maggior Impone un termine più lungo per il preavviso cui la termine per il recesso nel caso legge obbliga il socio che intenda recedere nel caso in di cui agli artt. 2437, 3° co., e cui la società sia costituita a tempo indeterminato 2473, 2° co., c.c. Clausole ampliative del recesso Effetti Recesso ad nutum (anche dopo Consente al socio di recedere (in qualsiasi momento o un certo termine) dopo un certo termine) liberamente dalla società, senza necessità del ricorrere di particolari circostanze o di indicazione dei motivi del recesso Recesso per giusta causa Consente al socio di recedere in presenza di una “giusta causa” (che il giudice dovrà ritenere sussistente in concreto) Previsione di specifiche cause di Consente al socio di recedere in presenza delle recesso specifiche cause previste dallo statuto Recesso condizionato Consente il recesso del socio per cause statutarie o all’approvazione degli legali derogabili solo in presenza del consenso degli amministratori amministratori Recesso penitenziale Consente il recesso del socio per cause statutarie o legali derogabili solo contro versamento di un corrispettivo alla società Abbreviazione del termine di cui Consente il recesso del socio nel caso di cui all’art. all’art. 2530, 6° co., c.c. 2530, 6° co., c.c., anteriormente ai due anni di cui è menzione nella norma di legge (derogabile sotto questo profilo in favore del socio) Anticipazione della decorrenza Anticipa gli effetti del recesso rispetto a quanto degli effetti del recesso previsto dall’art. 2532, 3° co., c.c. (derogabile sotto questo profilo in favore del socio) Semplificazione del Semplifica il procedimento di uscita dalla società così procedimento di uscita come previsto dall’art. 2532, 2° co., c.c. (derogabile sotto questo profilo in favore del socio) 54 10 Bibliografia Ascarelli, Società, associazione, consorzio, cooperativa e trasformazione, in Riv. dir. comm., 1949, II, 425 ss. Ascarelli, Cooperativa e società. Concettualismo giuridico e magia delle parole, in Problemi giuridici, II, Milano, 1959, 379 ss. Bergamo, Il diritto di recesso nella riforma del diritto societario, in Giur. it., 2006, 6. Bonavera, Recesso del socio di cooperativa condizionato all’approvazione del CdA, in Società, 2007, 308. Bonfante, Delle imprese cooperative, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, a cura di Galgano, Bologna-Roma, 1999. Bonfante, Società cooperative, in Enc. Dir. Annali, Giuffrè Editore, 2007. 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