RESEARCH REPORT N.003 | 11
AUTONOMIA STATUTARIA E RECESSO DEL
SOCIO NELLE SOCIETÀ COOPERATIVE
Antonio Fici, Università del Molise / Euricse
AUTONOMIA STATUTARIA E RECESSO DEL SOCIO NELLE
SOCIETA’ COOPERATIVE
Antonio Fici
Abstract
Il recesso nelle società cooperative costituisce un tema di straordinaria
attualità per ragioni ben comprensibili, poiché esso rappresenta terreno di
confronto tra esigenza di stabilità e sviluppo dell’impresa cooperativa e
interesse dei soci alla riacquisizione della libertà contrattuale e al
disinvestimento del capitale. Tali interessi possono entrare in conflitto
soprattutto nei periodi di difficoltà dell’impresa e di crisi economica.
Questo rapporto presenta il quadro giuridico sul recesso del socio
cooperatore, con particolare riferimento alle cause che consentono di
recedere e al ruolo che l’autonomia statutaria può assumere in questo
ambito. La conoscenza del sistema normativo applicabile al recesso è
condizione necessaria per l’adozione di qualsiasi strategia sistematica in
materia di recesso. In particolare, l’analisi conferma che l’ordinamento
giuridico italiano guarda con un certo sfavore al recesso del socio
cooperatore. È pertanto da questo punto di partenza che occorre muovere
per valutare criteri e modalità di disciplina statutaria del recesso del socio,
anche nella prospettiva di politiche sul recesso che riguardino il sistema
cooperativo nel suo complesso.
Euricse, 2011
L’autore di questo rapporto di ricerca è Professore associato di Diritto privato presso
l’Università del Molise, di Diritto dell’impresa cooperativa e sociale presso l’Università di
Trento e collaboratore di Euricse.
Questo scritto rappresenta la sintesi e contiene le conclusioni dell’omonima ricerca
svolta per Euricse nel corso dell’anno 2010. Alcuni fatti successivi al momento in cui
questa ricerca era già quasi completata, fatti interni al movimento cooperativo trentino
(cfr. infra nel testo), hanno reso in un certo senso inevitabile un commento dell’autore
sulle modalità con cui il recesso era lì trattato: ciononostante, la ricerca si propone
obiettivi più ampi che superano le limitate vicende interne alla cooperazione trentina,
poiché analizza il tema del recesso in prospettiva più generale.
Si ringrazia la dott.ssa Donatella Palumbo, dottoranda di ricerca presso l’Università del
Molise, per la preziosa collaborazione.
2
Indice
1 INTRODUZIONE .................................................................................... 4
2 IL PROBLEMA DEL RECESSO NELLE SOCIETÀ COOPERATIVE..................... 6
3 LE FONTI DI DISCIPLINA DEL RECESSO .................................................. 15
4 LA LEGITTIMITÀ DEL RECESSO PRESUPPONE L’ESISTENZA DI UNA
SPECIFICA CAUSA, LEGALE O STATUTARIA, CHE SIA FONTE DEL RELATIVO
DIRITTO. INAPPLICABILITÀ ALLE SOCIETÀ COOPERATIVE DELL’ART. 24, 2° CO.,
C.C.
.......................................................................................................... 17
5 LE CAUSE LEGALI DI RECESSO .............................................................. 22
5.1 CAUSE LEGALI DI RECESSO TIPICHE DELLE SOCIETÀ COOPERATIVE....................... 23
5.2 CAUSE LEGALI DI RECESSO NELLE S.P.A. E NELLE S.R.L. APPLICABILI ALLE COOPERATIVE
........................................................................................................ 25
5.3 INAPPLICABILITÀ ALLE SOCIETÀ COOPERATIVE DELL’ART. 2285, 2° CO., C.C......... 29
6 AUTONOMIA STATUTARIA E RECESSO DEL SOCIO. CONTENUTO E LIMITI
DELL’AUTONOMIA STATUTARIA NELLA DISCIPLINA DEL RECESSO .................... 31
6.1 ASSENZA DI DISPOSIZIONI STATUTARIE IN TEMA DI RECESSO ............................ 32
6.2 CLAUSOLE CHE LIMITANO IL RECESSO ......................................................... 32
6.3 CLAUSOLE CHE AMPLIANO LA FATTISPECIE DEL RECESSO ................................. 40
7 PROFILI DI NATURA PROCEDIMENTALE ............................................... 44
8 CONCLUSIONI ..................................................................................... 48
9 TABELLE RIASSUNTIVE ........................................................................ 51
10 BIBLIOGRAFIA ................................................................................... 55
3
1
Introduzione
In generale, il recesso consiste in una dichiarazione di volontà
mediante la quale il suo autore si svincola unilateralmente da un rapporto
giuridico, valido ed efficace, di cui è parte nel momento in cui la emette1.
Nel particolare ambito del diritto delle società, il recesso è pertanto,
più precisamente, quella dichiarazione unilaterale di volontà con cui il
socio interrompe il rapporto che lo lega alla propria società, cioè il rapporto
sociale o societario, in tal modo cessando di farne parte, cioè “uscendo” da
essa (si parla anche di exit soprattutto negli studi di analisi economica del
diritto)2.
Allorché, poi, la società in questione sia una società cooperativa,
nell’analizzare il tema del recesso occorre tenere conto del duplice rapporto
che lega la società al socio cooperatore, il quale non solo è parte del
rapporto sociale, ma anche del rapporto mutualistico, ciò che costituisce
fenomeno essenziale di una società cooperativa, l’elemento che la connota e
più la distingue da tutti gli altri tipi societari3. Diviene necessario pertanto
1
Se, da un lato, questa definizione coglie gli elementi strutturali comuni a tutte le
diverse fattispecie di recesso, essa però non è in grado di coglierne altresì gli aspetti
funzionali, anche perché, quando è riconosciuto dal legislatore, il recesso, come
spiegato dalla migliore dottrina, persegue una pluralità di funzioni (Gabrielli e Padovini,
1988, p. 27 s.). D’altro canto, ci sono fattispecie diversamente denominate dal
legislatore (disdetta, revoca, ecc.) che in realtà sono riconducibili al recesso (Gabrielli e
Padovini, 1988, p. 28); e al contrario casi (come il recesso di cui all’art. 64 c. cons.) in
cui, nonostante il legislatore parli di recesso, può in realtà dubitarsi che la fattispecie sia
tale in senso stretto (per mancanza di un contratto perfezionatosi, ciò che fa sì che il
recesso possa in realtà considerarsi elemento impeditivo del perfezionamento del
contratto piuttosto che strumento di exit da un contratto già concluso).
2
In dottrina si discute altresì talvolta di scioglimento del rapporto sociale
limitatamente ad un socio, al fine di distinguere questa fattispecie da quella dello
scioglimento della società.
L’art. 2532, 2° co., c.c. non toglie validità alla qualificazione del recesso come
dichiarazione unilaterale, poiché, come diremo, il controllo degli amministratori ivi
previsto non costituisce “accettazione” in senso stretto. Alla medesima conclusione
deve giungersi con riguardo all’improvvido (o generico) impiego del termine
“domanda” (e del conseguente suo “accoglimento”) nell’art. 2532, 3° co., c.c. Si può
invece discutere della possibilità di configurare il recesso come proposta da accettarsi
da parte degli amministratori con limitato riferimento ai casi di recesso convenzionale
(v. oltre § 6.3).
In giurisprudenza, al fine di sottolineare la unilateralità del recesso, lo si qualifica
talvolta come diritto potestativo (cfr. Cass., 2.5.2006, n. 10135, in Foro it., 2007, I, 546).
Ovviamente, la natura di diritto (potestativo) non comporta che la legge o lo statuto
non possano fissare presupposti e condizioni per la sua insorgenza o per il suo
esercizio.
3
Sullo specifico punto cfr. Fici, 2010, 2484 ss., e la bibliografia e la giurisprudenza ivi
4
interrogarsi anche (e in particolar modo) sulle conseguenze del recesso sul
rapporto mutualistico.
Il tema del recesso nelle società cooperative si colora pertanto di
sfumature particolari proprio in ragione dello scopo mutualistico che
contraddistingue questo tipo societario e della conseguente duplicità di
rapporti, sociale e mutualistico, che legano cooperativa e socio cooperatore,
e che fanno sì che quest’ultimo sia non soltanto colui che conferisce le
risorse finanziarie (mediante sottoscrizione e versamento del capitale
sociale), ma anche e soprattutto colui dal quale dipende il funzionamento e
la sopravvivenza della cooperativa (anche sotto il più limitato profilo della
conservazione della qualifica di “cooperativa a mutualità prevalente”) in
ragione degli apporti mutualistici (in termini di prestazioni lavorative,
pagamento di corrispettivi, fornitura di beni o servizi) che si obbliga a
fornire a quest’ultima.
A ciò va aggiunto il fatto che le cooperative non costituiscono una
realtà unitaria, sussistendo (come già si evince sul piano legislativo dalla
lettura dell’art. 2513 c.c.) diverse tipologie di cooperative a seconda del tipo
di scambio mutualistico e dunque della natura dei soci: lavoratori,
consumatori o fornitori di beni o servizi, e in quest’ultimo caso (potenziali)
imprenditori ai sensi dell’art. 2082 c.c. Probabilmente, la fattispecie più
diffusa di cooperative i cui soci sono imprenditori che conferiscono beni
alla cooperativa è quella delle cooperative agricole (cioè di conservazione,
trasformazione, commercializzazione di prodotti agricoli). Parimenti,
cooperative tra imprenditori sono per definizione i consorzi di cooperative,
cioè le cooperative di secondo grado formate da cooperative ai fini dello
svolgimento in comune di una fase d’attività d’impresa o di un’impresa
strumentale4. Per le ragioni che meglio si comprenderanno tra breve, le
riflessioni contenute in questo scritto interessano prevalentemente le
cooperative tra imprenditori e i consorzi di cooperative, poiché il recesso
costituisce una circostanza rischiosa e un profilo molto delicato soprattutto
con riferimento a queste ultime tipologie di cooperative.
Né va trascurato che, a prescindere da quale sia la tipologia
cooperativa sul piano dello scambio mutualistico, il problema del recesso
può presentarsi diversamente a seconda delle caratteristiche concrete della
cooperativa. Infatti, per motivi che in seguito diverranno più chiari, c’è da
attendersi che una cooperativa (o un consorzio) con un numero limitato di
soci non omogenei tra loro (ed in cui qualcuno di essi assuma una
citate.
4
Il medesimo discorso vale con riguardo ai consorzi di secondo grado, ovverosia ai
consorzi formati da consorzi di cooperative.
5
posizione di preminenza in ragione della quantità di capitale sottoscritto o
della quantità e/o qualità di scambi mutualistici) sia più sensibile al tema
del recesso rispetto ad una cooperativa formata da un numero ampio di
soci omogenei tra loro.
Sempre al fine di delimitare l’ambito dell’indagine, si deve altresì
precisare che l’analisi avrà ad oggetto la posizione del socio cooperatore e
dunque non terrà conto di quegli aspetti specifici che possano riguardare il
recesso di quel socio di cooperativa la cui causa di partecipazione non
consista (quanto meno prevalentemente) nello scambio mutualistico con la
società,
ma
sia
diversamente
individuabile
(unicamente)
nella
remunerazione del capitale conferito (soci finanziatori) o in altro (ad
esempio, soci volontari nelle cooperative sociali). Parimenti, non si
approfondirà qui il tema del recesso della cooperativa dal gruppo
cooperativo paritetico ai sensi dell’art. 2545 septies, 2° co., c.c.5.
2
Il problema del recesso nelle società cooperative
Nel discutere gli aspetti problematici del recesso del socio nelle
società cooperative occorre porre in primo piano il particolare scopo
mutualistico che (soprattutto con riferimento alle cooperative a mutualità
prevalente) contraddistingue questo tipo societario.
Lo
scopo
mutualistico,
infatti,
si
attua mediante
rapporti
mutualistici fra cooperativa e soci cooperatori che possono, a seconda dei
casi, consistere in rapporti di lavoro o di scambio. Tanto la cooperativa
quanto i soci sono, nei più precisi termini in cui la legge e lo statuto lo
richiedano, obbligati a porre in essere contratti tra di loro, di lavoro o di
scambio, così realizzando lo scopo mutualistico.
Ciò crea una dipendenza reciproca tra soci e cooperativa (nonché tra
i soci), soprattutto allorché gli statuti della cooperativa siano chiari nel
porre un obbligo dei soci di operare esclusivamente con la propria
5
La disposizione citata stabilisce che “la cooperativa può recedere dal contratto
senza che ad essa possano essere imposti oneri di alcun tipo qualora, per effetto
dell’adesione al gruppo, le condizioni dello scambio risultino pregiudizievoli per i propri
soci”. Può notarsi come la norma in questione favorisca il recesso, ancorandolo a pure
ragioni di utilità, ovvero sopravvenuta onerosità, della partecipazione, seppur in un
contesto diverso, che è prevalentemente contrattuale (il contratto di gruppo) e non già
organizzativo. Naturalmente, la possibilità di recedere adducendo questa motivazione
può rendere il gruppo cooperativo paritetico alternativa da tenere in considerazione in
luogo di strumenti di aggregazione più tradizionali, come il consorzio, in cui la
possibilità di recedere non è (come vedremo) riconosciuta dalla legge con così tale
ampiezza.
6
cooperativa (ovvero di non intrattenere rapporti di analogo contenuto o
concorrenziali con altri soggetti) e della cooperativa di assorbire tutto
l’apporto che il socio può offrire (ovvero di non operare con terzi non soci o
di operare con terzi non soci solo nel caso in cui gli apporti mutualistici dei
soci non siano sufficienti)6. L’interesse dei soci, infatti, si realizza
esclusivamente scambiando con la propria cooperativa, mentre l’interesse
sociale della cooperativa può realizzarsi solo se i soci forniscano gli apporti
necessari all’esercizio dell’impresa. Sono queste le ragioni alla base della
costituzione di una cooperativa, ma anche e allo stesso tempo le ragioni che
rendono la stessa un soggetto economico sui generis, il quale per sua stessa
natura e vocazione dispone di un mercato di utenti o di fattori della
produzione più ristretto di quanto non accada alle imprese non
mutualistiche7.
In conseguenza dello scopo mutualistico e delle sue modalità
attuative, il socio di una cooperativa riveste dunque una doppia qualità:
quella di parte del rapporto societario, che deriva e dipende dalla
sottoscrizione del capitale sociale, e quella di controparte della cooperativa
nei rapporti mutualistici. Non soltanto egli è il sottoscrittore del capitale
sociale della cooperativa, ma anche colui che ponendo in essere con la
cooperativa scambi mutualistici contribuisce all’attuazione della causa
mutualistica e al perseguimento dell’interesse sociale della propria società.
Il problema del recesso del socio va dunque esaminato in questa
duplice dimensione, che è estranea alle società non mutualistiche e di
6
Ciò si verifica (almeno senz’altro con riguardo al primo aspetto) nelle cooperative
agricole, come risulta dall’analisi di alcuni statuti esaminati ai fini di questo studio (cfr.
art. 7, S. Orsola; art. 7, Cantina sociale di Trento; art. 7, Melinda; art. 7, Caseificio Val di
Fiemme Cavalese), anche per effetto in taluni casi della loro natura di organizzazione di
produttori e della relativa disciplina applicabile. Meno categorica, perché più
indeterminata, è a tal riguardo la formula che si trova ad esempio nell’art. 7, 1° co., lett.
a), dello statuto di Sait, secondo cui i soci “*hanno l’obbligo+ di usufruire dell’attività,
delle prestazioni e dei servizi in genere forniti dalla società”. In tal senso anche l’art. 7,
Cavit, che rinvia ad un regolamento da approvarsi da parte dell’assemblea dei soci (a
sua volta, tale regolamento del 26.5.2005 affida la determinazione dell’obbligo di
conferimento dei soci al direttore generale della società mediante un piano
conferimenti annuale).
7
Deve naturalmente tenersi conto del fatto che, se previsto nel proprio statuto, la
cooperativa potrebbe altresì operare con terzi non soci (art. 2521, 2° co., c.c.), ciò che
ridimensiona, anche se soltanto parzialmente, il problema evidenziato nel testo. Infatti,
un soggetto abituato ad operare con i propri soci ci si può attendere che faccia maggior
fatica a reperire terzi non soci che sostituiscano i primi, soprattutto allorché il difetto
dell’apporto dei soci, sia dovuto ad un’improvvisa restrizione della base sociale.
Peraltro, l’attività con i terzi non soci, almeno nelle cooperative a mutualità non
prevalente, non può essere prevalente rispetto all’attività con i soci. Da questo punto di
vista, potrebbe dunque significativamente tracciarsi una distinzione tra cooperative a
mutualità prevalente e cooperative diverse, perché il problema evidenziato nel testo si
pone soprattutto (se non esclusivamente) con riguardo alle prime.
7
capitali, e che rende pertanto il tema del recesso dotato di tratti di
peculiarità se affrontato nell’ambito delle società cooperative. A tal fine è
necessario innanzitutto verificare quali siano gli interessi coinvolti nella
vicenda del recesso.
Il recesso del socio può pregiudicare l’interesse della cooperativa, e
conseguentemente degli altri soci, sia sotto il profilo più strettamente
finanziario, perché è destinato a privare la cooperativa delle quote di
capitale da liquidarsi al socio receduto, sia sotto il profilo gestionale, nella
misura in cui è altresì destinato a privare la cooperativa dell’apporto
mutualistico del socio, a seconda dei casi in termini di prestazione
lavorativa o di cessione/acquisto di beni o servizi8. La cooperativa il cui
socio receda potrebbe dunque andare incontro ad una situazione di “crisi”,
per il fatto di vedersi costretta a fronteggiare una più o meno rilevante
restrizione tanto delle risorse finanziarie quanto dell’offerta di fattori della
produzione (nelle cooperative di lavoro e di produzione) o della domanda
di beni o servizi (nelle cooperative di consumo).
V’è da credere che il secondo elemento di rischio sia normalmente
(anche se non già sempre ed esclusivamente) quello più rilevante, e ciò per
8
Che il recesso del socio produca effetti tanto sul rapporto sociale quanto sul
rapporto mutualistico risulta pacificamente dalla lettura della norma generale di cui
all’art. 2532, 3° co., c.c., ma anche dalla lettura di norme particolari come l’art. 5, 2°
co., l. 142/2001, in tema di cooperative di lavoro, dove si prevede che “il rapporto di
lavoro si estingue con il recesso o l’esclusione del socio deliberati nel rispetto delle
previsioni statutarie e in conformità con gli articoli 2526 e 2527 del codice civile”.
D’altronde, i due rapporti, sociale e mutualistico, sono tra loro distinti ma anche
collegati talché le loro sorti si influenzano a vicenda, come appunto nelle ipotesi di
collegamento negoziale, cioè di atti giuridici formalmente distinti ma tutti preordinati al
perseguimento di un’unica e sola funzione economica. Anche le vicende che
riguardano il rapporto mutualistico possono avere effetti sul rapporto sociale,
determinandone l’estinzione (cfr. la disciplina dell’esclusione del socio ai sensi dell’art.
2533 c.c.). Naturalmente, non è da escludere che, venuto meno il rapporto sociale per
qualsivoglia ragione, lo scambio tra cooperativa e socio prosegua, anche se tale
scambio non potrà più definirsi “mutualistico” in senso stretto, perché l’ex socio è
ormai rispetto alla cooperativa (e ai suoi soci) un terzo che non può essere ammesso ai
benefici della mutualità (e che come terzo rileva ai fini, ad esempio, del calcolo della
mutualità prevalente). Probabilmente, invece, non dovrebbe considerarsi (ancora)
“terzo” il socio receduto il quale, ai sensi dell’art. 2532, 3° co., c.c., continui a scambiare
con la cooperativa, non avendo il recesso prodotto ancora effetti sui rapporti
mutualistici.
Va da sé che quanto affermato nel testo presuppone l’esistenza di un obbligo del
socio di intrattenere rapporti mutualistici con la società (derivante dalla causa
mutualistica in sé, anche alla luce di quanto disposto dall’art. 2527, 2° co., c.c.; dallo
statuto o dai regolamenti mutualistici, che fissano chiaramente questo obbligo e ne
stabiliscono anche le esatte dimensioni; da altre leggi, quali quelle in tema di
organizzazioni di produttori: cfr. art. 3, 2° co., d.lg. 102/2005, nonché art. 125 bis, Reg.
CE 1234/2007) e di non poter recedere ad nutum da questi rapporti mutualistici, perché
altrimenti il rischio di perdere gli apporti mutualistici sussisterebbe a prescindere dal
recesso societario, e questo tema perderebbe molta della sua attuale importanza.
8
diverse ragioni. Innanzitutto perché in una cooperativa, com’è noto, il
capitale sociale (sottoscritto dai soci cooperatori, poiché diverso discorso
potrebbe farsi con riferimento ai soci finanziatori) assume un rilievo
limitato nell’ambito delle diverse forme di finanziamento dell’impresa,
laddove, tra i mezzi propri, è il patrimonio la principale risorsa finanziaria
di tale tipo societario. In secondo luogo perché la relazione mutualistica è
connotata da quella specificità e personalità che non contraddistingue
invece l’aspetto finanziario della partecipazione del socio. Per la
cooperativa non è indifferente la persona del socio, poiché la prestazione
mutualistica da questi resa non è normalmente fungibile9.
Il rischio di perdere l’apporto mutualistico del socio a seguito di
recesso è direttamente proporzionale alla quantità e/o alla qualità degli
scambi mutualistici del socio, nonché alla natura personale e specifica della
relazione, che rende più complesso per la cooperativa il reperimento di
un’alternativa sul mercato. Ecco perché, come già si anticipava, il problema
del recesso dovrebbe essere più avvertito nelle cooperative (e nei consorzi)
la cui base sociale non sia ampia e in cui non vi sia piena omogeneità della
base sociale, talché uno o più soci risultino in concreto più importanti di
altri (se non indispensabili) ai fini dell’attuazione della causa societaria10.
Sulla misura di tale rischio incide anche il momento in cui il recesso
(rectius, i suoi effetti) si verifica, perché la conseguente restrizione di
finanza e di domanda/offerta di beni o servizi può produrre effetti negativi
maggiori allorché la cooperativa abbia deliberato un progetto di espansione
dell’attività d’impresa (con riferimento ad esempio a nuovi prodotti o
nuovi mercati) ed abbia a tal fine posto in essere investimenti la cui
redditività dipenda dalla possibilità di poter usufruire del contributo
mutualistico nella dimensione attesa e prospettata nel momento in cui il
progetto era stato programmato o l’investimento effettuato.
9
Come dimostra, a tacer d’altro, la disciplina dei requisiti dei soci, dell’esclusione
del socio e della circolazione della partecipazione.
10
D’altronde, quello della disomogeneità della base sociale di una cooperativa (o di
un consorzio) è problema di governance che investe non soltanto il tema del recesso,
ma anche altri temi quali la distribuzione del potere di voto e la scelta della struttura di
amministrazione e controllo. Un tema che richiederebbe più ampia indagine (anche
perché è costantemente causa di criticità all’interno di un movimento cooperativo) è
quello dei limiti e delle dimensioni, e dunque della composizione, di una società
cooperativa, ovverosia in che misura sia preferibile avere una cooperativa che inglobi e
mantenga soci con diverse caratteristiche piuttosto che più cooperative con base
sociale omogenea. Questo profilo assume importanza anche per lo specifico tema del
recesso, poiché un’apertura verso il recesso dei soci può essere funzionale alla
moltiplicazione delle cooperative e all’aggregazione (o ri-aggregazione) tra cooperatori
omogenei, laddove invece limiti al potere di recedere si muovono in direzione
contraria.
9
Altri elementi incidono sulla misura del rischio, quali il settore di
mercato in cui la cooperativa opera, le condizioni del mercato, la misura e
la specificità degli investimenti effettuati, ma anche la tipologia di
cooperativa, perché il problema coinvolge meno le cooperative di consumo
e di lavoro e più le cooperative di produzione tra imprenditori (ad
esempio, nell’agricoltura) e i consorzi di cooperative, dal momento che per
le prime deve ritenersi in teoria più agevole il reperimento di nuovi soci o
di terzi disponibili ad offrire le prestazioni del socio receduto,
compensando così il deficit momentaneo avvertito dalla cooperativa.
In definitiva, il recesso del socio può influenzare negativamente la
stabilità e la crescita dell’impresa cooperativa, sia per la perdita di capitale
che causa (elemento che è comune agli altri tipi societari) sia soprattutto per
la perdita di fattori della produzione o per la riduzione della domanda dei
beni o servizi prodotti dalla cooperativa (elemento tipico del recesso nelle
società cooperative).
Vedremo in seguito in che modo la legge tuteli l’interesse della
cooperativa rispetto alle criticità che il recesso del socio può determinare,
anche se può essere subito significativo rilevare come in subiecta materia
anche per il legislatore il profilo del rapporto mutualistico acquisti
predominanza rispetto a quello del rapporto sociale e della conservazione
del capitale sociale. Infatti, l’art. 2532, 3° co., c.c., mentre sancisce l’efficacia
immediata del recesso rispetto al rapporto sociale, posticipa l’efficacia del
recesso rispetto ai rapporti mutualistici alla chiusura dell’esercizio in corso
(se il recesso è comunicato almeno tre mesi prima di questo momento) o
alla chiusura dell’esercizio successivo (se è comunicato successivamente),
sul presupposto evidente che per l’impresa cooperativa sia più semplice far
fronte all’improvvisa riduzione del capitale sociale piuttosto che
all’improvvisa riduzione degli apporti mutualistici dei soci11.
L’art. 2532, 3° co., manifesta non solo la consapevolezza da parte del
legislatore dei potenziali effetti negativi del recesso sulla stabilità
dell’impresa cooperativa, ma anche la sua volontà di tutelarla contro questo
rischio. È dunque una norma importante perché fornisce all’interprete una
imprescindibile chiave di lettura per interpretare la disciplina nel suo
complesso.
11
Non è chiaro, quanto alle cooperative di lavoro (che non sono al centro di questa
indagine), se il recesso produca effetti immediati sul rapporto di lavoro oppure se
debba applicarsi l’art. 2532, 3° co., c.c. L’esistenza di una norma speciale (l’art. 5, 2° co.,
l. 142/2001) che non parla di differimento degli effetti fa propendere verso la prima
soluzione (anche alla luce di quanto previsto dall’art. 2520, 1° co., c.c.), anche in
considerazione della rilevanza personale del rapporto di lavoro, e dunque per ragioni di
tutela della personalità del lavoratore.
10
Anche il movimento cooperativo, attraverso i suoi organismi di
rappresentanza, è apparso di recente interessato al tema.
Infatti, sul presupposto dell’esistenza di una relazione tra il tema
del recesso, la stabilità dell’impresa cooperativa e il suo sviluppo in termini
di possibilità di effettuare nuovi investimenti, la Federazione Trentina delle
Cooperative, nella bozza del 14.2.2011 del documento “Per un nuovo patto
associativo della cooperazione trentina”, puntando sul compito che il
proprio statuto sociale le riconosce di “favorire il miglioramento ed il
potenziamento della struttura imprenditoriale delle associate” (art. 4),
propone alle cooperative associate di adottare la seguente misura:
“C) Consentire all’assemblea della società, su proposta del consiglio
di amministrazione, di escludere il diritto di recesso dei soci dalle cooperative
agricole – e delle cooperative di primo grado dai consorzi e dalle società di
supporto cui le stesse aderiscono – per un certo numero di anni
dall’esecuzione di deliberazioni assunte con il parere favorevole
dell’assemblea stessa nei casi di cui al punto B), fermo restando – in tali casi
– il diritto dei singoli soci di trasferire a terzi la rispettiva quota di
partecipazione alla società, a condizione che il terzo acquirente sia in
possesso dei requisiti previsti dallo statuto per essere socio, e che garantisca
alla cooperativa lo stesso livello di partecipazione allo scambio mutualistico
del socio receduto. Ai soci assenti o dissenzienti in occasione della delibera
assembleare dovrà essere comunque concesso un congruo termine per
recedere dalla cooperativa, prima che sia stata data concreta esecuzione alla
delibera dell’assemblea”12.
Sembra di poter dire che questa posizione della Federazione – che
sarà oggetto di ulteriore valutazione e commento nel prosieguo (dopo aver
esaminato la complessiva disciplina del fenomeno sotto osservazione)13 –
non solo sia ragionevole, ma anche rispettosa dei diritti e degli interessi dei
12
Corsivo aggiunto. I casi di cui al punto B) riguardano delibere dell’assemblea (che
la Federazione, in questo documento, auspica siano previste statutariamente) di
determinazione annuale dell’importo massimo degli impegni passivi di carattere
finanziario che la società può assumere, essendo gli amministratori obbligati a chiedere
l’autorizzazione per quelle operazioni che nel corso dell’anno superino detto limite.
Nelle linee guida del 20.12.2010 la misura di cui nel testo era così giustificata: “si ritiene
che in presenza di investimenti impegnativi delle cooperative e dei consorzi, decisi con
il pieno e consapevole coinvolgimento della base sociale, sia giustificata una
temporanea limitazione del diritto di recesso dei singoli soci, allo scopo di garantire alla
società la stabilità necessaria ad affrontare serenamente la delicata fase di realizzazione
dei nuovi progetti”.
13
Naturalmente il documento è stato oggetto di analisi e dibattito non solo
giuridici: cfr. ad es., di recente, Gaddo, Nuove regole per le coop sotto esame, in L’Adige
del 26.1.2011.
11
singoli soci, mirando a realizzare un equo contemperamento degli interessi
dei soci e della cooperativa coinvolti nel fenomeno del recesso14.
Sia nell’affrontare concretamente sia nell’approfondire teoricamente
il tema del recesso, non bisogna infatti trascurare che, così come esso
costituisce una possibile fonte di pregiudizio per la cooperativa, costituisce
allo stesso tempo uno strumento a tutela dell’interesse dei soci15, e che,
pertanto, la sua regolamentazione (anche a livello statutario) deve tenere in
considerazione non soltanto la posizione della società ma anche dei soci che
intendano recedere16.
Diversi sono i motivi che possono spingere un socio a voler uscire
dalla società cooperativa e che incidono dunque sull’individuazione della
funzione concreta del recesso a seconda delle circostanze:
-
l’interesse ad ottenere la restituzione del capitale investito
(recesso come strumento di disinvestimento);
-
l’interesse ad interrompere i rapporti mutualistici con la società
(recesso
come
strumento
di
riacquisizione della
libertà
contrattuale);
-
l’interesse a negoziare con gli amministratori e/o con i soci di
maggioranza
(recesso
come
strumento
di
negoziazione
endosocietaria e dunque indirettamente di voice).
È interessante innanzitutto osservare in che modo il riconoscimento
e la disciplina del recesso possano influenzare l’adesione in una
cooperativa.
Si potrebbe pensare che più ampio sia il diritto di recesso, maggiori
siano gli incentivi che si trasmettono all’adesione ad una cooperativa, dal
momento che il socio insoddisfatto può sempre uscire da essa riacquisendo
14
Sembra anzi di poter dire, come meglio si osserverà in seguito, che la posizione
della Federazione presupponga che viga un sistema di default di libero recesso del
socio, quando la legge in realtà tale libertà non riconosce al socio di una cooperativa
(cfr. infra § 4).
15
Non ci sembra che invece sia coinvolto qui direttamente anche l’interesse dei
creditori, perché la variabilità del capitale esclude l’aspettativa di questi ultimi sulla
conservazione del capitale; tuttavia, anche i creditori sono indirettamente interessati
dalla vicenda del recesso, nella misura in cui esso ha incidenza sulla stabilità
dell’impresa cooperativa, sicché la disciplina statutaria del recesso potrebbe essere
oggetto di valutazione da parte dei creditori della cooperativa in termini di sua
affidabilità.
16
La nostra opinione è del resto che lo sviluppo del movimento cooperativo
presupponga attenzione non soltanto verso l’interesse delle cooperative (e dei
consorzi) ma anche verso l’interesse dei soci che, in fin dei conti, sono coloro che
alimentano il movimento cooperativo sia finanziariamente sia mediante gli apporti
mutualistici. Ecco perché, anche in tema di recesso, il giusto contemperamento degli
interessi in gioco può rivelarsi strategia efficiente in una prospettiva di sistema di lungo
periodo.
12
così la sua libertà sia patrimoniale sia con riferimento agli apporti
mutualistici17. Qualcuno potrebbe al limite ritenere che nessuno farebbe
ingresso in una cooperativa il cui statuto (nei limiti in cui ovviamente ciò
sia possibile, come si avrà modo di specificare) impedisca del tutto il
recesso del socio, sicché un’eccessiva rigidità rispetto al recesso potrebbe
avere per la cooperativa effetti negativi pari a quelli che si avrebbero
qualora il recesso fosse eccessivamente libero.
D’altro canto, però, per le ragioni sopra esposte, la libertà di recesso
rende la cooperativa più fragile e ne può limitare la capacità di sviluppo,
sicché l’adesione in una cooperativa in cui il recesso sia ampiamente
riconosciuto in favore dei soci potrebbe anche essere disincentivata da
quest’ultima circostanza18.
In ogni caso, deve ritenersi più probabile che in una società
cooperativa, stanti i noti limiti di rilevanza del capitale (sia sotto il profilo
dei diritti amministrativi sia di quelli patrimoniali, specie in una
cooperativa a mutualità prevalente), la possibilità di recedere sia
considerata dal socio (o aspirante tale) più nell’eventuale prospettiva della
riacquisizione della libertà contrattuale che del disinvestimento del
capitale. In fondo, se il motivo predominante di adesione in cooperativa è
lo svolgimento di scambi mutualistici, è del tutto naturale attendersi che
questo sia il profilo oggetto di maggiore considerazione allorché si valuti se
recedere da una cooperativa.
In merito al recesso quale strumento di negoziazione endosocietaria
e dunque di governance interna, deve osservarsi che le ragioni della
negoziazione intrapresa dal socio minacciando il recesso possono essere
più o meno legittime; potrebbero essere collegate ad un comportamento
illegittimo o abusivo della maggioranza o degli amministratori, a loro scelte
meramente sgradite, oppure al contrario ad un comportamento abusivo del
socio che miri con ciò ad ottenere vantaggi cui (per legge o per statuto) non
abbia diritto. Pertanto, se da un lato disciplinare il recesso in modo tale da
escluderlo o limitarlo potrebbe ridurre il potere di (controllo e di) reazione
dei soci nei confronti della maggioranza e del management aumentando il
rischio di comportamenti abusivi da parte di questi ultimi; dall’altro,
estendere il diritto di recesso significherebbe attribuire al socio un’arma da
17
Cfr. Galletti, sub art. 2532, 2005, p. 2748, secondo cui l’ampiezza delle cause di
recesso svolge una residuale funzione incentivante dell’adesione, poiché gli aspiranti
cooperatori sono rassicurati dalla possibilità di poter smobilizzare le risorse allorché le
condizioni dell’iniziativa dovessero rivelarsi non più sostenibili.
18
Come già si osservava (retro nt. 15), la fragilità dovuta alla libertà di recedere
potrebbe essere altresì oggetto di valutazione (negativa) da parte dei potenziali
creditori della cooperativa.
13
utilizzare contro la società e il suo management per perseguire
egoisticamente i propri interessi (in certi casi anche abusivamente) con
pregiudizio dell’interesse collettivo del gruppo dei cooperatori, ovvero
dell’interesse sociale della cooperativa19.
Sulla superiore questione incidono naturalmente le condizioni del
mercato, perché è evidente che il recesso costituisce una minaccia credibile
(ovvero più efficace) là dove la cooperativa non abbia alternative possibili
per il caso di perdita del socio, perché incontri difficoltà a trovare nuovi
soci o a ottenere maggiori prestazioni mutualistiche da parte dei soci
esistenti e/o perché abbia effettuato investimenti che richiedono che il
contributo del socio alla causa mutualistica non si interrompa. D’altra
parte, il recesso non costituisce minaccia credibile (ovvero è meno efficace)
allorché il socio non abbia alternative di mercato, come nel caso in cui la
sua produzione non possa (o possa solo con minor vantaggio) essere
dirottata verso altre cooperative o altri acquirenti (ciò che può dipendere da
varie circostanze, quali la quantità o qualità che produce, il luogo di
produzione, ecc.).
Un’ultima notazione prima di cominciare ad esaminare i profili
giuridici del recesso riguarda i temi che in qualche modo sono collegati a
quello del recesso. I problemi del recesso del socio di cooperativa non
possono infatti essere adeguatamente intesi ed affrontati senza tenere
quanto meno in considerazione alcuni profili connessi quali quello
dell’ammissione di nuovi soci; della circolazione e della cessione delle
quote; della concorrenza; nonché degli usi specifici della forma cooperativa
in determinati mercati, settori di mercato o fasi della produzione o
commercializzazione di beni o servizi.
19
A tal proposito, ancorché nella sua particolare visione della cooperativa quale
società sostanzialmente non dissimile da una società lucrativa (visione certo favorita
dalla mancata considerazione della legislazione applicabile alle società cooperative, che
fortemente contribuisce a marcare sotto vari profili la loro differenza dalle società
lucrative), un illustre economista osservava ormai più di cento anni fa: “Ciascun
individuo che fa parte della cooperativa, fa il calcolo del proprio tornaconto e non eleva
lo sguardo al di là o al di sopra di questo. Finché egli ha convenienza di restare nella
società, ci sta; se il conto non gli torna, ne esce; e siccome tutti quanti ragionano così,
la società esiste finché c’è convenienza individuale per tutti quanti di tenerla in vita e
cessa se quella viene meno”: così Pantaleoni, 1897, p. 209.
14
3
Le fonti di disciplina del recesso
Nella
disciplina
generale
delle
cooperative,
la
principale
disposizione in tema di recesso è l’art. 2532 c.c., che a questa specifica
fattispecie è interamente dedicato20.
Il 1° co. dell’art. 2532 c.c. stabilisce che “il socio cooperatore può
recedere dalla società nei casi previsti dalla legge e dall’atto costitutivo”21.
Legge e atto costitutivo sono dunque le due fonti di disciplina del
recesso del socio di cooperativa. Le principali questioni che si pongono e
che saranno successivamente analizzate sono:
1. quali siano, oltre all’art. 2532 c.c., le norme di legge cui l’art. 2532
fa riferimento;
2. quale sia la relazione tra legge e atto costitutivo (o statuto)22
nella disciplina del recesso, e segnatamente quali spazi di
autonomia la legge riservi allo statuto nella regolamentazione di
questa materia.
Il punto sub 2) rappresenta il cuore e l’obiettivo di questa indagine:
esso sarà pertanto oggetto di successivo approfondimento, per il quale
tuttavia è necessario svolgere preliminarmente il punto sub 1).
Là dove non esista una disciplina speciale ai sensi dell’art. 2520, 1°
co., c.c.23, il recesso del socio di cooperativa è innanzitutto disciplinato dalle
norme di cui agli artt. 2511 ss. c.c., che compongono la disciplina generale
delle società cooperative.
Nell’ambito di questa disciplina generale, oltre all’art. 2532 c.c., che,
come detto, costituisce la norma principale in materia, ci sono altre
disposizioni che si occupano di recesso, e segnatamente: l’art. 2521, 3° co.,
n. 7, che, nel fissare il contenuto obbligatorio dell’atto costitutivo, fa
riferimento alle “condizioni per l’eventuale recesso” dei soci; l’art. 2526, 3°
20
Ciò naturalmente vale con riguardo al recesso del socio cooperatore, perché con
riferimento al recesso dei soci finanziatori la disposizione principale è l’art. 2526, 3° co.,
c.c., che rinvia integralmente agli artt. 2437 e ss., c.c.
21
Sempre nel 1° co. dell’art. 2532 c.c. si trova il divieto di recesso parziale, che è
comprensibile alla luce della natura non capitalistica della società cooperativa e
dunque dell’interesse non speculativo dei soci; per questa ragione, è invece
naturalmente ammissibile il recesso parziale da parte del socio finanziatore (anche
perché, con riguardo al socio finanziatore, l’art. 2526, 3° co., esclude l’applicazione
dell’art. 2532, dovendosi dunque applicare l’art. 2437, 1° co., che espressamente
attribuisce al socio il diritto di recedere per tutte o parte delle azioni).
22
Nonostante l’art. 2532, 1° co., c.c. parli di “atto costitutivo” (in sintonia, peraltro,
con quanto disposto dall’art. 2521, 3° co., n. 7) è più probabile che la disciplina
convenzionale del recesso si trovi nello “statuto”, ovverosia in quell’atto “contenente le
norme relative al funzionamento della società”, il quale, ancorché separato dall’atto
costitutivo, “si considera parte integrante” dello stesso (art. 2521, 4° co., c.c.).
23
Cfr., ad esempio, l’art. 5, 2° co., l. 142/2001.
15
co., sulla disciplina del recesso dei possessori di strumenti finanziari forniti
del diritto di voto (cioè dei soci finanziatori); l’art. 2530, 6° co., che prevede
una causa legale di recesso collegata all’eventuale previsione statutaria
della incedibilità delle quote o delle azioni; l’art. 2535, che individua i criteri
di liquidazione della quota del socio che abbia cessato di far parte della
società, anche per effetto di recesso (oltre che di esclusione e morte); l’art.
2536 sulla responsabilità del socio uscente (anche a seguito di recesso); l’art.
2544, 1° co., che esclude la possibilità da parte degli amministratori,
indipendentemente dal sistema di amministrazione adottato dalla
cooperativa, di delegare ad un comitato esecutivo o ad un singolo
amministratore (tra gli altri anche) i poteri in materia di recesso; l’art. 2545
septies, 2° co., dedicato alla diversa e particolare fattispecie del recesso di
una cooperativa dal gruppo cooperativo paritetico.
La normativa generale sulle cooperative potrebbe però non
costituire l’unica fonte legale di disciplina del recesso: ciò perché, com’è
noto, la disciplina delle cooperative non costituisce un sistema “chiuso” in
virtù del rinvio operato dagli artt. 2519 e 2522, 2° co., c.c. alle disposizioni
sulle società per azioni o alternativamente (in taluni casi con la mediazione
dello statuto che operi una scelta in tal senso) a quelle sulle società a
responsabilità limitata, le quali disposizioni si applicano alle cooperative
“per quanto non previsto dal presente titolo” e “in quanto compatibili”.
È pertanto opinione pacifica in dottrina che il recesso del socio di
cooperativa, oltre che dalle norme specifiche sulle cooperative sopra
richiamate, sia disciplinato anche dalle norme che si applicano al recesso
del socio di s.p.a. e al recesso del socio di s.r.l., naturalmente in quanto non
derogate dalle prime e compatibili con la struttura e la funzione delle
società cooperative, cioè con la loro particolare natura giuridica24.
Non ha invece trovato sostenitori la tesi, pure prospettabile,
secondo cui, essendo il recesso oggetto di disciplina specifica, anche
mediante rinvio all’atto costitutivo della cooperativa (art. 2532, 1° co., c.c.),
non sussiste quella lacuna di previsione che, stando alla lettera dell’art.
2519, 1° co., c.c., giustifica il ricorso suppletivo alle norme sulle s.p.a. o sulle
s.r.l.25.
24
Di orientamento pacifico al riguardo parla ad es. Bonfante, 2008, p. 1098; e cfr.
infatti tra i tanti Stella Richter, 2004, I, p. 414; Giorgi, sub art. 2532, 2006, p. 276; Ibba,
2007, p. 856. Alla medesima conclusione si giungeva prima della riforma del diritto
societario del 2003 con riferimento all’art. 2526 c.c. (nonostante, peraltro, l’art. 2516
c.c., nel testo anteriore alla riforma, non richiamasse espressamente il recesso come
materia di rinvio alla disciplina delle s.p.a.): cfr., per tutti, Bonfante, 1999, p. 494.
25
Tale tesi potrebbe anche sostenersi sulla base della previsione di cui all’art. 2526,
3° co., interpretata a contrario: se infatti il legislatore ha fatto riferimento alla disciplina
della s.p.a. con riguardo al recesso del socio finanziatore, potrebbe sostenersi che, a
16
Ne consegue che l’analisi del tema del recesso del socio di
cooperativa dovrà tenere conto anche delle norme riferibili a s.p.a. e s.r.l., e
ciò soprattutto con riguardo alle cause che legittimano il recesso, che è forse
l’aspetto più importante del tema e da cui muoverà l’approfondimento
giuridico che ci si propone di svolgere in questa sede.
4
La legittimità del recesso presuppone l’esistenza di una
specifica causa, legale o statutaria, che sia fonte del
relativo diritto. Inapplicabilità alle società cooperative
dell’art. 24, 2° co., c.c.
È opportuno cominciare con lo smentire una falsa convinzione,
ovvero forse un presupposto erroneo che talvolta sembra agitarsi nei
discorsi che riguardano il recesso nelle cooperative, ma che non trova
(come vedremo) corrispondenza alcuna né nella legislazione applicabile né
nei suoi principi ispiratori, e cioè che la cooperativa sia una società
caratterizzata dalla “porta aperta”, tanto “in entrata” quanto “in uscita”, e
che pertanto il recesso del socio di cooperativa sia libero, non soggetto né
assoggettabile a vincoli.
In realtà, la già richiamata disposizione principale in materia, cioè
l’art. 2532, 1° co., c.c., è chiara nello stabilire che il socio di cooperativa può
recedere soltanto “nei casi previsti dalla legge e dall’atto costitutivo”. Ciò
significa che il diritto di recedere sorge soltanto in presenza di una specifica
causa identificata dalla legge o dallo statuto; comporta che il socio di una
cooperativa non può recedere liberamente e incondizionatamente (cioè ad
nutum), bensì soltanto in presenza di fatti, circostanze, condizioni previsti
dalla legge (c.d. cause legali di recesso) o dallo statuto (c.d. cause statutarie
di recesso), come anche i giudici hanno avuto modo correttamente di
sottolineare26.
contrario, egli non abbia voluto fare riferimento a questa disciplina con riguardo al
recesso del socio cooperatore, che sarebbe dunque sottoposto unicamente alle norme
particolari sulle cooperative (oltre che alle disposizioni statutarie, così come previsto
dall’art. 2532, 1° co., c.c.). Ma per un’interpretazione completamente diversa dell’art.
2526, 3° co., nel senso che esso confermi la sottoposizione del recesso del socio di
cooperativa alle regole sulle s.p.a., cfr. Giorgi, sub art. 2532, 2006, p. 276.
26
Il fatto che le pronunce della Cassazione si riferiscano all’art. 2526, c.c., ante
riforma non muta i termini della questione, perché l’art. 2526, nel testo anteriore alla
riforma, aveva un contenuto sostanzialmente analogo all’attuale art. 2532, 1° co.,
facendo rinvio ai “casi in cui *il recesso+ è ammesso dalla legge o dall’atto costitutivo”:
cfr. Cass., 21.7.1992, n. 8802, Rep. Foro it., 1992, “Cooperativa”, n. 60: “l’art. 2526 c.c.,
che disciplina il recesso dalla società cooperativa regolandone modalità di esercizio ed
17
Né, come diremo, le norme di legge applicabili in virtù del rinvio di
cui all’art. 2532, 1° co., c.c. statuiscono che il socio di cooperativa sia libero
di recedere27.
Quanto invece alle possibili disposizioni statutarie, da un lato si
discute se lo statuto di una cooperativa possa contemplare il recesso ad
nutum28; dall’altro, qualora concretamente non lo preveda, di sicuro il socio
della cooperativa non potrebbe recedere liberamente, ciò che implica che il
recesso libero richiede comunque una previsione statutaria in tal senso (la
cui legittimità, come detto, è peraltro dibattuta).
Nella cooperativa, non v’è dunque simmetria tra “porta aperta in
entrata” e “porta aperta in uscita”, poiché se è libera l’ammissione di nuovi
soci, non è invece libera l’uscita dei soci29. Né la variabilità del capitale deve
essere intesa come regola tecnica che agevola la fuoriuscita di soci dalla
società, perché semmai è regola tecnica congegnata per agevolare
l’ampliamento della base sociale.
D’altro canto, tale asimmetria tra porta aperta in entrata ed in uscita
ben si spiega anche nella prospettiva della funzione sociale della
cooperativa, poiché l’ammissione di nuovi soci è un modo mediante il
quale la cooperativa diffonde i benefici che è in grado di produrre, laddove
il libero recesso può costituire un modo mediante il quale il socio, in una
prospettiva individualistica, si sottrae alla condivisione dei benefici, delle
effetti, non configura il recesso come un diritto accordato in via generale ad ogni socio,
ma rinviando a fonti ad esso esterne, riconosce tale diritto solo in presenza di una
specifica norma di legge o dell’atto costitutivo”; Cass., 23.6.1988, n. 4274, ibidem,
1988, n. 44: “nelle società cooperative, il recesso del socio, che l’art. 2526, c.c. si limita
a disciplinare con riguardo a modalità di esercizio ed effetti, non configura un diritto
accordato in via generale, né può considerarsi spettante in tutte le ipotesi previste
dall’art. 2285, c.c., per le società di persone, ma va riconosciuto solo in presenza di una
specifica norma di legge (come quella contenuta nell’art. 2523, 2º comma, quando vi
sia divieto di cessione delle quote od azioni) o dell’atto costitutivo”; nella
giurisprudenza di merito: T. Napoli, 12.11.2008, in Rep. Foro it., 2008, “Merito extra”, n.
128; T. Milano, 6.2.1995, in Società, 1995, 1331: “non esiste nella società cooperativa
un diritto assoluto del socio di incondizionatamente recedere dalla società: il recesso è
consentito nei soli casi tassativi in cui questo è ammesso dalla legge o dall’atto
costitutivo”; T. Prato, 24.3.1987, ibidem, 1987, 1152.
27
Cfr. Galletti, sub art. 2532, 2005, p. 2751: “la legge non impone mai il recesso ad
nutum, a meno che ci sia un divieto statutario di cessione” (sul divieto statutario di
cessione come causa legittimante il recesso cfr. oltre nel testo).
28
Cfr. infra § 6.3.
29
Cfr. Galletti, sub art. 2532, 2005, p. 2750: “[v]i è poi asimmetria, nonostante quel
che spesso si pensa, fra porta aperta all’ingresso ed all’uscita: la libertà di entrare non
comporta infatti necessariamente la stessa libertà per uscire”; alla cui prospettiva
aderisce Ibba, 2007, p. 861.
18
perdite e dei rischi che derivano dallo svolgimento di un’impresa comune
in forma cooperativa30.
Non a caso, non v’è traccia del recesso, né tanto meno della libera
recidibilità dei soci, nella definizione, nei valori e nei principi legislativi
dell’International Co-operative Alliance (“ICA”), dove piuttosto l’accento è
posto sulla formazione volontaria della cooperativa, il suo carattere
solidaristico (rispetto al quale, come rilevato, la libertà di recesso può anzi
porsi in conflitto) e la sua apertura a tutte le persone capaci di utilizzare i
servizi offerti dalla cooperativa e di accettare le responsabilità connesse
all’adesione (e non, evidentemente, di sottrarsi ad esse esercitando il
recesso)31.
Parimenti, volgendo lo sguardo alla legislazione straniera, ancorché
non possa dirsi che in generale il recesso sia oggetto della medesima
cautela (quasi sfavore32) cui invece è fatto oggetto nella legislazione
italiana33, in nessuna legge si afferma sic et simpliciter che il socio di
30
Da questo punto di vista è interessante porre in luce le osservazioni cui giunge Cass.,
28.3.1990, n. 2524, in Banca dati De Jure, ancorché con specifico riguardo ad una clausola
di recesso in una cooperativa edilizia che consentiva al socio cui già fosse stato assegnato
l’alloggio di recedere e trattenere l’immobile. La Suprema Corte osserva infatti che questa
clausola è nulla anche perché “mutualità vuol dire reciprocità” e consentire al socio di
recedere prima che lo scopo mutualistico sia interamente realizzato “significherebbe
legittimare ogni socio a perseguire il proprio personale interesse, senza alcun riguardo per
quello degli altri”. Naturalmente, questa decisione (che peraltro anche con riguardo al
caso di specie dà adito a diverse questioni e molti dubbi) non si presta ad essere estesa al
recesso in altre tipologie cooperative in cui lo scopo mutualistico non si attua in un unico e
solo momento bensì continuativamente, ma le parole della Corte sono utili per capire il
problema del recesso, quale soluzione individuale rispetto a quella condivisa, quale
sottrazione rispetto allo scopo comune, che, però, come si dice nel testo, può essere un
utile strumento di governance dell’impresa cooperativa, sicché non deve essere in sé
demonizzato, bensì regolato secondo una prospettiva attenta agli interessi coinvolti e al
loro adeguato bilanciamento. Cfr. anche T. Sassari, 27.12.2007, in Rep. Foro it., 2010,
“Cooperativa”, n. 56: “Il recesso parziale, ossia attuato solo da coloro cui sono stati
assegnati alcuni appartamenti, mentre la cooperativa è ancora impegnata nella
costruzione e/o assegnazione di altri alloggi, si pone in contrasto con lo scopo mutualistico
che caratterizza e distingue la società cooperativa, in quanto il nesso d’interdipendenza
funzionale che collega lo scopo sociale alle assegnazioni globalmente e non
individualmente considerate impedisce che il singolo socio possa perseguire
esclusivamente il proprio personale interesse, senza alcun riguardo per quello degli altri”.
31
Cfr. Statement on the Co-operative Identity del 1995, spec. il 1° principio in tema di
Voluntary and Open Membership. I principi dell’ICA sono stati recepiti nella
Raccomandazione dell’ILO n. 193 del 2002 sulla promozione delle cooperative, la quale si
concentra molto sul rafforzamento e lo sviluppo imprenditoriale delle cooperative, rispetto
a cui, come rilevato nel testo, la libertà di recesso ci sembra porsi in potenziale contrasto.
32
In tal senso cfr. Bonfante, 1999, p. 490, secondo cui il recesso“non è mai stato
considerato con particolare favore dal nostro legislatore”.
33
Anche se questo sfavore si è in parte attenuato con la riforma del 2003, dove ci sono
state aperture verso il recesso del socio di società di capitali, e dunque anche del socio di
cooperativa, in virtù del rinvio di cui all’art. 2519, c.c.,
19
cooperativa abbia il diritto incondizionato ed incondizionabile di recedere.
Infatti, anche nelle leggi straniere più liberali sul punto (dove il principio è
quello della libera recedibilità del socio) si consente allo statuto di limitare
in qualche modo, direttamente o indirettamente, anche se talvolta soltanto
entro certi limiti, la libertà del socio di recedere, con modalità simili a quelle
che più avanti saranno messe in risalto allorché si presenteranno i possibili
limiti statutari al recesso del socio34. L’unica eccezione è rappresentata dalla
legge austriaca, ma riguarda il caso (che nel nostro, come in molti altri
ordinamenti, non sarebbe configurabile) di cooperativa con responsabilità
illimitata dei soci (in questo caso, secondo la legge austriaca, il socio ha
sempre diritto di recedere dalla cooperativa anche se essa è costituita a
tempo determinato)35. Molte leggi straniere affidano allo statuto la
competenza a regolare il recesso, prevedendo altresì alcune cause
specifiche di recesso legale.
Anche nel regolamento europeo sulla Società cooperativa europea
(“SCE”) del 2003 non si assegna al socio di cooperativa il diritto generale di
recedere, ma si prevedono alcuni casi specifici in cui egli ha diritto di
recedere (artt. 7, 5° co.; 15, 2° co.) e, per il resto, si affida allo statuto il
potere di disciplinare la fattispecie (art. 16, 3° co.).
Nel nostro ordinamento giuridico, l’unica forma organizzativa in
cui il recesso è di regola libero è l’associazione (riconosciuta o non
riconosciuta). L’art. 24, 2° co., c.c., infatti, stabilisce che “l’associato può
sempre recedere dall’associazione se non ha assunto l’obbligo di farne
parte per un tempo determinato”.
Le ragioni che spiegano questa previsione legislativa non possono
tuttavia estendersi ad organizzazioni, come le cooperative, che hanno
forma societaria e sono dirette allo svolgimento di attività d’impresa e al
perseguimento di finalità prevalentemente economiche (lo si sottolinea
perché l’idea che nelle cooperative il recesso debba essere libero costituisce
forse un’eredità dell’accostamento delle cooperative alle associazioni, che
in Italia si deve principalmente alla nota tesi ascarelliana, ma che è presente
anche in altri paesi: se è senz’altro vero che nelle cooperative, a differenza
che nelle società di capitali, l’elemento personale assume particolare
rilevanza poiché la persona del socio conta in sé a prescindere dal capitale
34
Tra le non poche leggi straniere che espressamente riconoscono il diritto di
recesso del socio (ancorché, come riferito nel testo, consentono allo statuto di
limitarlo) figurano la legge dell’Estonia del 2001 (cfr. art. 17 e 18), la legge finlandese
del 2001 (cap. 3, sez. 24), la legge tedesca del 1889 (art. 65), la legge ungherese del
2006 (sez. 62), la legge norvegese del 2007 (sez. 22), la legge spagnola del 1999 (art.
17), la legge svedese del 1987 (cap. 3, sez. 4).
35
Cfr. art. 54, 1° co., della legge austriaca del 1873.
20
conferito, è anche vero però che ciò non basta a renderle omologabili alle
associazioni da cui le separa il necessario svolgimento di un’impresa, il
perseguimento di finalità economiche da parte della società e dei soci, e la
presenza di scambi economici mutualistici tra società e soci)36.
L’art. 24, 2° co., vuole infatti assicurare la libertà di associarsi nel
suo aspetto negativo (cioè di non associarsi), che è garantita dall’art. 18
Cost.37; e non si fa scrupolo di riconoscere il recesso ad nutum dell’associato
poiché evidentemente si riferisce ad una forma organizzativa (com’è noto,
quanto meno inizialmente e prevalentemente) pensata dal legislatore per lo
svolgimento di attività non imprenditoriali e il perseguimento di finalità
ideali (sindacali, politiche, religiose, ecc.). In tal caso, da un lato il recesso
libero non rappresenta un rischio per l’organizzazione sotto il profilo della
stabilità dell’impresa, che l’organizzazione appunto non esercita; dall’altro,
l’orientamento ideologico dell’organizzazione giustifica la massima libertà
in uscita, pena altrimenti una forte limitazione dei diritti della personalità
dell’associato.
Diverso discorso vale invece per le organizzazioni che, pur
perseguendo finalità di interesse generale, svolgono un’attività d’impresa.
Qui il legislatore si guarda bene dal prevedere una generale libertà del
socio di recedere, come testimonia la legislazione sull’impresa sociale (che
non menziona il recesso, pur occupandosi di ammissione ed esclusione)38,
poiché evidentemente la materia richiede una disciplina più equilibrata in
ragione del fatto che l’interesse del socio a svincolarsi (che peraltro è
prevalentemente economico) si scontra con l’interesse alla stabilità
dell’impresa, tanto più quando questa impresa è capace di produrre
esternalità positive, che il legislatore intende preservare.
Quanto sopra naturalmente non significa che il venir meno della
volontà del socio di partecipare non sia un elemento da tenere in
considerazione, anche perché, come spiegato in precedenza, la minaccia di
recesso può costituire un incentivo alla maggioranza e agli amministratori a
tenere conto degli interessi dei soci di minoranza (in una prospettiva di
negoziazione endosocietaria) e dunque a non abusare dei propri poteri. La
prospettiva da cui guardare il fenomeno dovrebbe però essere diversa, e
cioè: non sussiste un diritto generale del socio di recedere dalla
cooperativa, ma è permesso recedere solo quando una disposizione di
36
Cfr. Ascarelli, in 1949, II, pp. 425 ss.; Ascarelli, 1959, pp. 379 ss.; ma v. le repliche
di G. Ferri, 1951, I, pp. 99 ss.;Ferri 1957, pp. 249 ss. Quanto agli altri paesi, si allude a
quei paesi, come la Svezia e l’Olanda, in cui la cooperativa è considerata una forma
associativa e il suo statuto giuridico ripreso da quello delle associazioni.
37
Cfr. in questo senso Galgano, 2006, pp. 361 s.
38
Cfr. art. 9, d.lg. 155/2006.
21
legge o di statuto attribuisca al socio tale diritto in presenza di determinati
casi e circostanze. L’analisi deve dunque proseguire con l’individuare i casi
in cui la legge attribuisce al socio il diritto di recesso, per poi verificare che
poteri ha lo statuto da un lato nel prevedere cause aggiuntive di recesso,
dall’altro nel derogare alle cause previste dalla legge.
5
Le cause legali di recesso
Come sopra si è già avuto modo di osservare, l’ordinamento italiano
non riconosce al socio di cooperativa un diritto generale ed assoluto di
recedere dalla società, ma al contrario adotta la prospettiva opposta per cui
il recesso è legittimo solo quando sussista una causa legale o statutaria che
attribuisca al socio il diritto di recedere (cfr. art. 2532, 1° co., c.c.).
In questo paragrafo si passeranno in rassegna le cause legali di
recesso in una società cooperativa, cioè quei casi in cui la legge consente al
socio di cooperativa di recedere, tenendo conto che, come spiegato, anche
in subiecta materia la disciplina applicabile non sarà soltanto quella di cui
agli artt. 2511 ss., ma anche, per quanto non previsto, quella in tema di
s.p.a. e s.r.l. purché compatibile (cfr. art. 2519 e 2522, 2° co., c.c.).
Conseguentemente, in ragione della loro fonte, le cause legali di recesso si
possono distinguere nel seguente modo:
a)
cause legali di recesso tipiche delle società cooperative;
b)
cause legali di recesso nelle s.p.a. applicabili alle cooperative;
c)
cause
legali
di
recesso
nelle
s.r.l.
applicabili
alle
cooperative39.
39
Per semplicità, non facciamo qui riferimento ad un’altra possibile categoria, cioè
quella delle cause legali di recesso che si applicano a tutte le società, come quella di cui
all’art. 34, 6° co., d.lg. 5/2003. Tale articolo dispone che “le modifiche dell'atto
costitutivo, introduttive o soppressive di clausole compromissorie, devono essere
approvate dai soci che rappresentino almeno i due terzi del capitale sociale. I soci
assenti o dissenzienti possono, entro i successivi novanta giorni, esercitare il diritto di
recesso”. Si tratta di una causa legale (ritenuta) inderogabile di recesso dalle società. T.
Verona, 12.4.2005, in Giur. comm., 2007, 633, ha ritenuto che si applichi anche nel caso
di significativo ampliamento di una clausola compromissoria già esistente (ciò potrebbe
accadere, ad esempio, in una società cooperativa qualora la clausola compromissoria,
dapprima limitata alle questioni inerenti il rapporto societario, fosse estesa anche a
quelle inerenti il rapporto mutualistico: sul punto cfr. in generale Muroni, 2008, p. 45).
Dubbia la possibilità di applicare in concreto alle società cooperative la causa legale di
recesso di cui all’art. 2497 quater c.c., dal momento che la cooperativa per sua natura
non può essere sottoposta a direzione e coordinamento esterni, essere cioè parte di un
gruppo gerarchico.
22
La distinzione è importante perché solo le cause sub a) sono
senz’altro applicabili alle cooperative; mentre per quanto riguarda le cause
sub b) e c) rimane pur sempre da verificare se siano compatibili con la
natura della società cooperativa (giudizio che, però, dà quasi sempre esito
positivo). Naturalmente, in una cooperativa si cumuleranno le cause sub a)
alternativamente con quelle sub b) o sub c), poiché una cooperativa o è
soggetta residualmente alle norme sulla s.p.a. o a quelle sulla s.r.l. (è vero,
peraltro, che sul punto la disciplina di s.p.a. e di s.r.l. non è molto differente
nella sostanza). Una distinzione importante, e di cui nel prossimo paragrafo
si metteranno meglio a fuoco le conseguenze, è quella tra cause legali
inderogabili (in assoluto o solo unilateralmente)40 e cause legali derogabili
dallo statuto della cooperativa, perché questa distinzione evidentemente
influenza gli spazi di autonomia dello statuto nel regolare la fattispecie
sotto osservazione.
5.1
Cause legali di recesso tipiche delle società cooperative
1) Divieto statutario di trasferimento della partecipazione (art. 2530,
6° co., c.c.)
Se si esclude l’art. 2545 septies, 2° co., c.c., che è norma dedicata alla
specifica ipotesi del recesso di una cooperativa da un gruppo cooperativo
paritetico, l’unica causa legale di recesso presente nella disciplina delle
società cooperative (e perciò applicabile tanto alle “cooperative s.p.a.”
quanto alle “cooperative s.r.l.”) è quella di cui all’art. 2530, 6° co., c.c., che
peraltro presuppone la presenza di una particolare disposizione statutaria.
L’art. 2530, 6° co., attribuisce diritto di recesso al socio di una
cooperativa il cui statuto vieti la cessione delle quote o delle azioni. In tal
caso, il socio deve dare preavviso di almeno novanta giorni. Ed in ogni caso
il diritto di recesso può essere esercitato solo decorsi due anni dall’ingresso
del socio nella società.
40
L’inderogabilità assoluta si ha nel caso in cui lo statuto non possa in alcun modo
incidere sulla fattispecie legale modificandola; l’inderogabilità unilaterale si ha invece
quando lo statuto possa intervenire sulla fattispecie ma solo mediante deroghe che si
muovano in una certa direzione (ad esempio, in senso più favorevole al socio), ciò
perché la norma di legge imperativa è diretta a tutelare solo una parte del rapporto (ad
esempio, il socio nei confronti della società), sicché nulla osta ad una sua modifica che
la renda più favorevole alla parte tutelata.
23
Il divieto di cessione della partecipazione non è ipotesi rara nelle
cooperative41.
Per ridimensionare, almeno parzialmente, l’importanza di questa
causa legale di recesso, occorre peraltro ricordare che l’art. 2530, 1° co., c.c.,
subordina il trasferimento della partecipazione all’autorizzazione degli
amministratori, là dove l’eventuale diniego deve essere motivato e contro
di esso il socio può proporre opposizione al tribunale (art. 2530, 5° co., c.c.).
Ciò renderebbe necessario, pertanto, giustificare la disposizione statutaria
che vieti in assoluto il trasferimento della partecipazione, dal momento che,
per tutelarsi contro ingressi ragionevolmente sgraditi dal punto di vista
dell’attività esercitata e del perseguimento dello scopo mutualistico, la
cooperativa può già contare sul ricordato meccanismo autorizzatorio
previsto dalla legge (c.d. gradimento ex lege)42. A meno di non ipotizzare
che questa clausola statutaria sia proprio diretta a consentire il libero
recesso dei soci decorsi due anni dal loro ingresso in società, e che quindi
sia deliberatamente e strategicamente contenuta negli statuti delle
cooperative al fine di favorire l’uscita dei propri soci.
Ciò che può essere interessante domandarsi è se al divieto totale
possano essere equiparate quoad effectum clausole statutarie che ostacolino
sostanzialmente la cessione (senza tuttavia vietarla formalmente), ad
esempio individuando alcune categorie di soggetti in cui favore soltanto il
trasferimento della partecipazione può avvenire43.
La causa legale di recesso di cui all’art. 2530, 6° co., è da ritenersi
inderogabile nell’interesse del socio, sicché lo statuto di una cooperativa
non potrebbe né direttamente né indirettamente (ad esempio obbligando il
41
Tra gli statuti esaminati nell’ambito di questa ricerca, cfr. art. 10, 3° co., Melinda;
art. 10, S. Orsola; art. 9, Cavit.
42
Se infatti si considera il cessionario alla stregua di un nuovo socio (ciò che è
corretto in una società, come la cooperativa, a capitale variabile), dovrebbe trovare
applicazione anche in questo caso l’art. 2527 c.c., sicché la cooperativa potrebbe
negare la cessione, ad esempio, quando il cessionario non abbia i requisiti per
l’ammissione ma non già senza addurre giustificazione o sulla base di criteri
discriminatori (sostanzialmente in questi termini Chieffi, 2006, p. 264. Sul punto, anche
per riferimenti al dibattito ante riforma, cfr. Iocca, 2004, pp. 351 ss.).
43
Sembra rispondere negativamente, in virtù della prevalenza della regola di cui
all’art. 2530, 6° co., sulle regole applicabili ad s.p.a. e s.r.l., Ibba, 2007, p. 857. Cfr. art.
9, Caseificio Val di Fiemme Cavalese, che consente la cessione solo in favore del
coniuge e a parenti o affini entro il terzo grado. Di certo, non può considerarsi clausola
che rende più difficoltosa la cessione, anche se sicuramente ne rallenta gli effetti,
quella ad esempio adottata dalla Cantina Sociale di Trento, il cui statuto prevede: “per
salvaguardare l’unitarietà e continuità dell’annata agraria, la comunicazione di
trasferimento della quota deve essere eseguita entro il 30 (trenta) aprile di ogni
esercizio. Se presentata oltre tale termine avrà effetto a partire dall’anno successivo”
(art. 9 bis).
24
socio ad un termine minimo di permanenza in società che sia maggiore di
due anni) escludere il diritto di recesso, bensì soltanto (così favorendo il
socio, nel cui interessa la norma imperativa è dettata) ridurre il termine
legale di preavviso o il termine di due anni entro cui il recesso non può
essere esercitato.
Ovviamente il termine minimo di due anni vale soltanto con
riguardo al recesso di cui all’art. 2530, 6° co., e non anche con riferimento
ad ogni altra ipotesi di recesso legale.
5.2
Cause legali di recesso nelle s.p.a. e nelle s.r.l. applicabili alle
cooperative
a) Cause legali di recesso nelle s.p.a. applicabili alle cooperative
Si indicano di seguito i casi di recesso legale previsti dalla disciplina
delle s.p.a., che riguardano le cooperative cui è residualmente (e nei limiti
della compatibilità) applicabile ex art. 2519 c.c. la disciplina delle s.p.a.
(cosiddette, impropriamente, cooperative s.p.a.).
Bisogna sottolineare che con la riforma del 2003 le ipotesi legali di
recesso del socio di società di capitali sono state ampliate: il legislatore della
riforma ha in parte modificato l’atteggiamento di grande sfavore (che si
manifestava altresì nella disciplina dei termini, degli effetti e dei poteri
dello statuto) con cui precedentemente, soprattutto per ragioni di stabilità
dell’impresa e di tutela dei creditori, si guardava all’istituto44. La
conseguenza, per quanto più direttamente ci riguarda, è che anche il socio
di cooperativa (cui si applica la disciplina delle s.p.a.) vede incrementarsi
rispetto al passato i casi in cui la legge lo autorizza a recedere.
Ciononostante, come vedremo, si tratta pur sempre di casi-limite,
riguardanti
profonde
trasformazioni
(strutturali
o
funzionali)
dell’organizzazione o dell’impresa, che perciò non riguardano puramente e
semplicemente le scelte gestionali degli amministratori (neanche quando
44
Cfr. Rordorf, 2003, p. 923; Chiappetta, 2005, p. 487 ss.; Bergamo, 2006, pp. 5 ss.;
Galletti, 2010, p. 1621, il quale mette in luce come le ragioni principali di questa
strategia di ampliamento dei casi di recesso siano da individuarsi innanzitutto nella
volontà del legislatore di incentivare l’investimento azionario (evidentemente sul
presupposto che le maggiori possibilità di recedere stimolino gli investimenti in capitale
di rischio), anche se ciò può incidere negativamente sulla valutazione della società da
parte di finanziatori “esterni”; in secondo luogo, nella tutela “reale” delle minoranze.
Prima della riforma, cfr. sul tema per tutti Galletti, 2000, passim.
25
queste, dal punto di vista del socio che intenda recedere, violino norme di
legge o statutarie).
Il diritto di recesso è attribuito ai soci che non hanno concorso
(perché assenti, astenuti o dissenzienti) alle deliberazioni (dell’assemblea)
riguardanti:
2a) la modifica della clausola determinativa dell’oggetto sociale, quando ciò
consente un cambiamento significativo dell’attività della società (art. 2437,
1° co., lett. a);
3a) la trasformazione della società (art. 2437, 1° co., lett. b)45;
4a) il trasferimento della sede sociale all’estero (art. 2437, 1° co., lett. c);
5a) la revoca dello stato di liquidazione (art. 2437, 1° co., lett. d);
6a) l’eliminazione di una o più cause di recesso previste dallo statuto o
dall’art. 2437, 2° co., c.c. (art. 2437, 1° co., lett. e)46;
7a) la modifica dei criteri di determinazione del valore dell’azione in caso
di recesso (art. 2437, 1° co., lett. f);
8a) la modifica dei diritti di voto o di partecipazione (art. 2437, 1° co., lett.
g);
9a) la proroga del termine (art. 2437, 2° co., lett. a);
10a) l’introduzione o la rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli
azionari (art. 2437, 2° co., lett. b).
Infine, ha diritto di recedere:
11a) il socio di una società costituita a tempo indeterminato quando le sue
azioni non sono quotate in un mercato regolamentato e con preavviso di
almeno 180 giorni (che lo statuto della società può elevare fino ad un anno)
(artt. 2437, 3° co., e 2328, 2° co., n. 13).
Le cause di recesso di cui all’art. 2437, 1° co, c.c. (cioè punti da 2a a
8a del superiore elenco) sono inderogabili, come si evince dall’art. 2437, 6°
co., che stabilisce: “è nullo ogni patto volto ad escludere o rendere più
gravoso l’esercizio del diritto di recesso nelle ipotesi previste dal primo
45
Oggi consentita alle società cooperative diverse da quella a mutualità prevalente
dall’art. 2545 decies c.c. Naturalmente anche le cooperative a mutualità prevalente
possono trasformarsi, ma evidentemente solo dopo aver perso la qualifica di mutualità
prevalente ai sensi dell’art. 2545 octies c.c.
46
Non può farsi a meno di osservare che un eventuale mutamento di strategia della
cooperativa, del consorzio o del sistema cooperativo con riguardo al recesso dei soci
cooperatori nel senso del passaggio da un sistema statutario aperto ad un sistema
chiuso, in cui il recesso fosse limitato o consentito solo in determinati casi, dovrebbe
fare i conti con questa norma inderogabile di legge. I soci della cooperativa o delle
cooperative coinvolte avrebbero infatti per legge diritto di recedere.
26
comma del presente articolo”47. Ciò significa che eventuali clausole
statutarie di tenore generale con cui si negasse al socio il diritto di recedere
(o glielo si negasse per un certo periodo di tempo o glielo si accordasse solo
con il consenso degli amministratori) comunque non sottrarrebbero al socio
(anche di cooperativa) il diritto di recedere nei casi di cui all’art. 2437, 1°
co., c.c. Inderogabili non significa invece che, come diremo, lo statuto non
possa ampliarne la portata in favore del socio, ad esempio prevedendo che
costituisce causa (statutaria) di recesso il trasferimento della sede sociale in
altro comune o provincia.
Sicuramente derogabili per statuto sono invece le cause di recesso di
cui all’art. 2437, 2° co., c.c. (cioè punti 9a e 10a del superiore elenco), poiché
è lo stesso articolo 2437, 2° co. a precisare che nei casi indicati il socio ha
diritto di recedere “salvo che lo statuto disponga diversamente”48.
Piuttosto, il problema rispetto ad una di queste due cause legali di
recesso, ovverosia quella di cui al punto 10a), è che è dubbia la sua
applicabilità alle società cooperative. Qualcuno infatti lo esclude sulla base
del fatto che la fattispecie sarebbe già disciplinata dall’art. 2530, 6° co., che
avrebbe precedenza in forza di quanto prescritto dall’art. 2519, 1° co., c.c..
Altri, invece, correttamente chiariscono che uno spazio di autonoma
operatività della causa di recesso di cui al punto 10a) esiste anche nelle
cooperative, poiché l’art. 2530, 6° co., fa riferimento ad una clausola già
esistente (sin dall’inizio o comunque) al momento dell’ingresso del socio in
società, laddove l’art. 2437, 2° co., lett. b) riguarda invece la successiva
introduzione di questa clausola49.
Si discute circa la derogabilità o inderogabilità della causa di recesso
di cui all’art. 2437, 3° co. (cioè punto 11a del superiore elenco). In assenza di
puntuale disposizione di legge, la dottrina ha per lo più optato per la sua
inderogabilità alla luce del principio generale per cui l’ordinamento rifiuta i
vincoli obbligatori di durata perpetua50. Il problema è però se a monte
questa causa di recesso si applichi alle società cooperative. Qualcuno infatti
47
Si tratta di una conclusione pacifica in dottrina: cfr. per tutti Galletti, 2010, p.
1629.
48
Anche questa è una conclusione pacifica in dottrina: cfr. per tutti Galletti, 2010, p.
1624.
49
Cfr. Gandini, sub art. 2530, 2009, p. 1421. Naturalmente il discorso varrebbe
solo per le clausole che escludono la circolazione, perché le clausole che soltanto la
limitano sarebbero assorbite dalla previsione di cui all’art. 2530, 6° co., che concede il
recesso solo nel caso di divieto assoluto di cessione (e non anche di sue limitazioni):
cfr. Gandini, sub art. 2532, 2009, p. 1425. In sostanza, alle cooperative non si
applicano gli artt. 2469, 2 co., e 2355 bis c.c.
50
Cfr. per tutti Ibba, 2007, p. 859; cfr. art. 2285, 1° co., con riguardo alle società di
persone.
27
lo nega sulla base del fatto che ex art. 2521 c.c. la cooperativa (a differenza
della s.p.a., a norma dell’art. 2528, 2° co., n. 13, c.c.) non è obbligata ad
indicare nell’atto costitutivo la durata della società, sicché sarebbe possibile
una cooperativa costituita senza limiti temporali e dove il recesso del socio
sia escluso dallo statuto (Ibba, 2007, pp. 860s.). Ma, a dire il vero, questo
ragionamento non intacca la validità della tesi che nei rapporti senza
termine il recesso è sempre possibile e svolge anzi la funzione
determinativa dell’elemento temporale mancante. Pertanto, anche nelle
cooperative la causa di recesso legale di cui all’art. 2437, 3° co., opera e deve
considerarsi inderogabile dallo statuto51. Ciononostante non può non
rilevarsi come nella prospettiva della continuità dell’impresa la soluzione
della sostanziale perpetuità sia di fatto ugualmente perseguibile
costituendo una società a tempo determinato (eventualmente lungo anche
se non eccessivamente tale) il cui statuto escluda (come è consentito
dall’art. 2437, 2° co.) il recesso di cui al punto 9a), cioè per proroga del
termine di durata della società.
b) Cause legali di recesso nelle s.r.l. applicabili alle cooperative
Si indicano di seguito i casi di recesso legale contenuti nella
disciplina delle s.r.l. che riguardano le cooperative cui è residualmente (e
nei limiti della compatibilità) applicabile ex artt. 2519, 2° co., e 2522, 2° co.,
c.c. la disciplina delle s.r.l. (cosiddette, impropriamente, cooperative s.r.l.).
Ha diritto di recedere il socio che non abbia consentito (perché
assente, astenuto o dissenziente52):
2b) al cambiamento dell’oggetto della società (art. 2473, 1° co.);
3b) al cambiamento del tipo di società (ibidem);
4b) alla fusione o scissione (ibidem);
5b) alla revoca dello stato di liquidazione (ibidem);
6b) al trasferimento della sede all’estero (ibidem);
7b) all’eliminazione di una o più cause di recesso previste dallo statuto
(ibidem)53;
8b) al compimento di operazioni che comportano una sostanziale
modificazione dell’oggetto sociale (ibidem);
51
Cfr. per questa conclusione Gandini, sub art. 2521, 2009, p. 1383.
Ma sul particolare profilo della legittimazione a recedere in una s.r.l., cfr. più
ampiamente H Revigliono, 2010, pp. 1901 s.
53
Cfr. quanto già osservato in 46 con riguardo alle cooperative cui si applica la
disciplina delle s.p.a.
52
28
9b) al compimento di operazioni che comportano una rilevante
modificazione dei diritti attribuiti ai soci a norma dell’art. 2468, 4° co., c.c.
(ibidem).
Il socio ha inoltre diritto di recedere:
10b) nel caso di società contratta a tempo indeterminato con un preavviso
di almeno 180 giorni (che lo statuto della società può elevare fino ad un
anno) (art. 2473, 2° co.).
Può notarsi come le cause legali di recesso in una s.r.l. siano
sostanzialmente equivalenti per funzione e tipologia a quelle contenute
nella disciplina della s.p.a., anche se ci sono differenze di non poco conto
tanto nel contenuto specifico di ciascuna causa legale di recesso quanto nel
numero di ipotesi complessive di recesso legale (Revigliono, 2010, pp. 1894
ss.).
Le cause di cui all’art. 2473, 1° co., c.c. (sopra individuate con i punti
da 2b a 9b) sono (secondo la prevalente dottrina) inderogabili, dal
momento che la legge precisa che in presenza di tali situazioni il socio ha
diritto di recedere “in ogni caso”, ovverosia a prescindere da ciò che
dispone lo statuto54.
Per la causa di recesso sub 10b) del superiore elenco valga quanto
già osservato con riguardo alla causa di recesso sub 11a).
La causa sub 9a) non figura espressamente tra le cause di recesso del
socio di una s.r.l., ma la dottrina ritiene o che sia applicabile
analogicamente anche alle s.r.l. o che comunque il socio di s.r.l. possa
recedere ex art. 2473, 2° co.55.
Neanche la causa sub 10a) figura tra i casi di recesso legale in una
s.r.l., anche se, come ricordato, la sua applicabilità alle società cooperative è
dubbia.
5.3
Inapplicabilità alle società cooperative dell’art. 2285, 2° co., c.c.
L’art. 2285, 2° co., c.c. stabilisce che nelle società di persone ogni
socio può recedere “quando sussiste una giusta causa”. Si tratta di una
54
Cfr. Revigliono, 2010, p. 1897, dove anche però il riferimento ad una tesi
minoritaria secondo cui invece tali cause di recesso sarebbero derogabili poiché manca
nella disciplina delle s.r.l. una norma analoga all’art. 2437, 6° co., c.c.
55
Riferimenti in Revigliono, 2010, pp. 1900 s.
29
causa di recesso molto importante, perché, essendo ampia ed elastica,
amplia notevolmente la tutela del socio, dal momento che potenzialmente
(poiché tale causa di recesso richiede un accertamento in concreto da parte
del giudice, non sindacabile in Cassazione) gli consente di recedere a fronte
di gravi inadempimenti degli amministratori, conclusione di operazioni
particolarmente rischiose, dissidio insanabile con gli altri soci, grave
inadempimento del rapporto mutualistico, ecc.(Mangiapane, 2010, pp.262
ss.).
In passato si è discusso della possibilità di applicare questa
disposizione, dettata per le società di persone, alle società cooperative, in
virtù della particolare rilevanza che la persona assume anche in
quest’ultimo tipo societario, soprattutto se posto a confronto con i tipi
societari capitalistici.
La giurisprudenza e la dottrina prevalenti lo hanno escluso56, ed
anche oggi, soprattutto dopo la riforma del diritto societario, l’opinione
negativa al riguardo può ritenersi pacifica57. Le fonti del diritto di recesso,
infatti, sono chiaramente individuate dall’art. 2519 e 2522, 2° co., nelle
norme applicabili alle s.p.a. o alle s.r.l., e nessuno spazio residua dunque
per l’applicazione di una norma dettata in tema di società personali58.
Qualcuno ritiene che comunque un’ipotesi di recesso per giusta
causa nelle cooperative potrebbe o dovrebbe essere (de iure condendo) la
perdita dei requisiti per essere soci (che peraltro costituisce causa di
esclusione dalla società), dovendosi attribuire una via d’uscita al socio che
non possa più contribuire alla realizzazione della causa mutualistica. (Ibba,
2007, pp. 886 ss.; 2005, pp. 131 ss.).
Naturalmente, il fatto che la giusta causa non costituisca una causa
di recesso prevista dalla legge non impedisce che la medesima sia assunta
quale causa di recesso dallo statuto, il quale, nell’ambito del potere che
l’art. 2532, 1° co., gli riconosce di prevedere ulteriori cause di recesso, ben
potrebbe autorizzare il recesso del socio per giusta causa (altro discorso è se
56
Cfr. per riferimenti Usai, 2004, p. 376; Cannavò, 2010, p. 2585; in giurisprudenza
Cass., 23.6.1988, n. 4274, cit.; A. Bologna, 4.3.2002, in Giur. it., 2002, 2350. Ma per la
diversa opinione Capobianco, 1982, II, pp.405 ss.
57
Alla dottrina che espressamente conclude in questo senso va ovviamente
aggiunta quella che discute tutt’al più della introduzione del recesso per giusta causa
per via statutaria; in giurisprudenza T. Napoli, 12.11.2008, cit. Ma per un’opinione
isolata di segno contrario cfr. Morleo, 2003, p. 52.
58
In modo diverso cfr. invece la legge estone del 2001, la quale (in un contesto
normativo senz’altro molto favorevole al recesso del socio, poiché il principio generale
è la libera recedibilità) riconosce al socio di cooperativa il diritto di recedere in presenza
di good reasons anche qualora lo statuto abbia posto limiti al libero recesso (limiti che
peraltro valgono entro il termine massimo di cinque anni), essendovi però in questo
caso l’obbligo del socio di pagare una compensation alla società (art. 18, 2° co.).
30
questa
disposizione
opportuna
in
statutaria,
termini
di
pur
stabilità
legittima,
sia
dell’impresa
economicamente
e
perseguimento
dell’interesse sociale).
6
Autonomia statutaria e recesso del socio. Contenuto e
limiti dell’autonomia statutaria nella disciplina del recesso
L’art. 2532, 1° co., c.c. attribuisce allo statuto della cooperativa il
potere di regolare la materia del recesso del socio. Si tratta di una scelta in
linea con quanto previsto dal reg. SCE 1435/2003 e dalla legislazione
straniera59.
Il problema principale è però di stabilire quali siano i limiti che tale
potere incontra (qualora esercitato in concreto), dal momento che, da un
lato, come verificato nelle pagine precedenti, anche la legge disciplina la
materia del recesso e dunque sussiste un concorso di fonti della disciplina
che può dar luogo a regole incompatibili tra loro, dall’altro, lo statuto deve
pur sempre muoversi nel quadro dei principi generali applicabili alle
società cooperative.
Al fine di esaminare contenuto e limiti dell’autonomia statutaria
nella disciplina del recesso del socio di cooperativa, è necessario ed
opportuno:
-
distinguere tra disposizioni statutarie che ampliano la fattispecie
del recesso e disposizioni che la limitano rispetto a quanto
previsto dalla legge;
-
considerare che alcune norme di legge in materia di recesso sono
inderogabili (se non, eventualmente, in favore del socio) ed altre
derogabili;
-
tenere conto dell’ambito di incidenza della disposizione di legge
o statutaria, ovverosia: sulle cause di recesso, sul procedimento,
sugli effetti del recesso.
59
Cfr. Reg. SCE (art. 16, 3° co.); cfr., tra le altre, le leggi austriaca, belga (art. 367,
dove si prevede che lo statuto può derogare alla regola della libera recedibilità dei
soci), bulgara (art. 2), francese, maltese, lettone, ungherese, ecc.
31
6.1
Assenza di disposizioni statutarie in tema di recesso
È fondamentale in primo luogo sottolineare che, in assenza di
previsioni statutarie relative al recesso, ovverosia allorché la cooperativa
non si avvalga della facoltà accordatale dall’art. 2532, 1° co., c.c., il recesso
del socio sarà interamente disciplinato dalle disposizioni di legge, e
pertanto:
-
il socio potrà recedere nei soli casi previsti dalla legge: l’assenza
di regole statutarie sul recesso non legittima il recesso del socio
per giusta causa o tanto meno ad nutum, ma lo sottopone
interamente alla disciplina legale, che, come verificato, non
contempla tali ipotesi generali, ma soltanto prevede alcuni
specifici casi in cui il socio può recedere;
-
il procedimento del recesso sarà disciplinato dall’art. 2532, 2°
co., c.c.;
-
gli effetti del recesso saranno disciplinati dall’art. 2532, 3° co.,
c.c.
6.2
Clausole che limitano il recesso
L’importanza di questa categoria di clausole statutarie risiede nel
fatto che la loro eventuale introduzione nello statuto della cooperativa
produce l’effetto di realizzare l’interesse della cooperativa alla stabilità
della compagine sociale e dunque del flusso di apporti mutualistici. Si è già
detto in precedenza quanto ciò possa essere funzionale al raggiungimento
da parte della cooperativa di determinati obiettivi, soprattutto quando si
tratti di una cooperativa di produzione tra imprenditori o di un consorzio.
D’altro canto, ponendosi nella prospettiva del socio o del soggetto
aspirante tale, è evidente che clausole di questo tipo sono clausole
sfavorevoli per questi ultimi, le quali potrebbero costituire oggetto di
valutazione (negativa) nel momento di effettuare la decisione se entrare o
meno a far parte della cooperativa60.
60
Il che naturalmente ha tanto più rilevanza quanto più vi sia concorrenza tra
cooperative rispetto alle suddette clausole. In un sistema cooperativo in cui gli statuti
delle cooperative abbiano il medesimo contenuto regolamentare quanto ad esempio al
profilo del recesso, si attenua la concorrenza (almeno tra cooperative) e si riduce il
margine di scelta dell’aspirante socio, soprattutto nel caso in cui il mercato o
organizzazioni non cooperative non costituiscano per lui un’alternativa soddisfacente.
32
Nel valutare questa tipologia di clausole occorre tenere conto delle
seguenti circostanze:
-
che la legge individua diverse cause di recesso del socio (dette
appunto cause legali);
-
che alcune di queste cause sono inderogabili e non possono
pertanto essere eliminate o indirettamente aggirate dallo statuto,
essendo nulla e quindi priva di effetti ogni disposizione
statutaria volta ad escludere la loro operatività;
-
che le clausole limitative del recesso potrebbero riguardare o le
sue cause o i suoi effetti;
-
che di conseguenza è necessario altresì verificare se la disciplina
legislativa degli effetti del recesso (soprattutto sul rapporto
mutualistico) sia derogabile (ed eventualmente in che misura e
in che direzione) oppure inderogabile.
1) Divieto assoluto di recedere
Una clausola di cooperativa che impedisse in assoluto il recesso del
socio potrebbe realizzare solo in minima parte gli obiettivi che si propone.
Tale clausola, infatti, da un lato sarebbe inefficace nella parte in cui
contrasta con le norme imperative di legge che determinano i casi legali di
recesso (cause legali inderogabili)61; dall’altro, poiché il recesso del socio,
come detto, è consentito soltanto quando la legge e lo statuto lo prevedano,
nulla aggiungerebbe al dato per cui il socio non è libero di recedere se non,
appunto, quando legge o statuto individuano una causa di recesso62.
Questa eventuale clausola, pertanto, sarebbe idonea ad escludere il
recesso del socio soltanto nei casi di cui agli artt. 2437, 2° co., lett. a)
(proroga del termine di durata della società) e 2437, 2° co., lett. b)
(introduzione o rimozione di vincoli alla circolazione delle partecipazioni),
sempre ammesso che quest’ultima norma si applichi alle cooperative (il che
è discusso).
61
Cfr. Usai, 2004, p. 389, dove si mette in generale rilievo che “la disciplina
statutaria del recesso da cooperativa non potrà incidere in senso peggiorativo sulle
ipotesi di recesso di cui al nuovo art. 2437, comma 1, c.c.”.
62
In ogni caso è da rilevare che i problemi di stabilità della società cooperativa, cui
una clausola come quella menzionata nel testo potrebbe proporsi di risolvere, non
sono certo posti dalle cause legali inderogabili di recesso, bensì dalle eventuali clausole
statutarie che ampliano questa fattispecie, come le clausole che attribuiscono il recesso
ad nutum, o che possono essere interpretate in questo senso, come le clausole sul
termine minimo di permanenza in società (su cui v. oltre nel testo).
33
Si può discutere se questa clausola possa avere automaticamente
l’effetto di derogare, in favore della società ed entro i limiti consentiti dalla
legge, il termine di cui agli artt. 2437, 3° co., e 2473, 2° co., c.c.
2) Divieto temporaneo di recedere (o termine minimo di
permanenza obbligatoria nella società)
Più frequente è l’uso nelle cooperative di clausole che fissano il
divieto di recedere dalla società per un certo periodo di tempo dall’ingresso
del socio in società (che può naturalmente essere contestuale alla
costituzione della società o successivo) o, ciò che è lo stesso, che impongono
un
periodo
minimo
di
permanenza
nella
società
dal
momento
dell’ammissione63.
A queste clausole possono essere parificate (come diremo) quelle
che questo divieto temporaneo di recesso (o obbligo di permanenza
minima) stabiliscono a partire da un momento o da un fatto diverso
dall’ammissione, come ad esempio il compimento di una certa operazione
o la realizzazione di un certo programma da parte degli amministratori,
l’assunzione di una determinata delibera da parte dell’assemblea, ecc.
Ancora, a queste clausole possono essere equiparate quelle che
impongono un termine di preavviso per l’efficacia del recesso o, il che è
praticamente lo stesso, differiscono gli effetti del recesso sul rapporto
sociale e/o sul rapporto mutualistico.
In questo contesto sembra inquadrarsi il progetto della Federazione
Trentina delle Cooperative allorché nella sua bozza di documento del
14.2.2011 fa riferimento all’esclusione del diritto di recesso dei soci (di
cooperative agricole o di consorzi o società di supporto) per un certo
numero di anni dall’assunzione da parte dell’assemblea di determinate
delibere, fermo restando peraltro in tali casi il diritto dei singoli soci di
trasferire la propria partecipazione (a condizione che il terzo acquirente sia
63
Cfr. art. 10 bis, S. Orsola: “Con l’iscrizione l’associato assume, nei confronti della
società, l’impegno a mantenere il vincolo per almeno un anno o diverso termine
derivante dal programma operativo in corso, salvo autorizzazione al recesso da parte
dell’organizzazione di produttori”; art. 7, Melinda: “Con l’iscrizione l’associato assume,
nei confronti del consorzio, l’impegno a mantenere il vincolo per cinque anni.
L’impegno s’intende rinnovato per uguale periodo qualora l’associato non abbia
manifestato, a mezzo di raccomandata spedita almeno tre mesi prima della scadenza
dell’esercizio sociale, la volontà di recedere dal rapporto. In tal caso, il vincolo sociale
cessa alla scadenza dell’esercizio sociale, mentre il rapporto mutualistico cessa col 31
dicembre dell’anno in cui viene ad esaurirsi il programma pluriennale presentato ai
sensi del Reg. CE n. 2200/1996”; art. 10, 3° co., Caseificio Val di Fiemme Cavalese: “Il
recesso non può essere esercitato prima che siano trascorsi due anni dall’ingresso del
socio in società”.
34
in possesso dei requisiti previsti dallo statuto per essere socio, e che
garantisca alla cooperativa lo stesso livello di partecipazione allo scambio
mutualistico del socio receduto) nonché di recedere dalla cooperativa
qualora assenti o dissenzienti rispetto alla delibera che abbia assunto
l’obbligo di permanenza.
Per completare i riferimenti legislativi in materia va aggiunto che la
legislazione speciale in tema di agricoltura obbliga una società ai fini del
suo riconoscimento come organizzazione di produttori ad inserire nello
statuto clausole che impegnino i soci ad un periodo di permanenza minima
in società.
Secondo l’art. 3, 2° co., lett. a), n. 4, d.lg. 102/2005 sulla regolazione
dei mercati agroalimentari, gli statuti delle organizzazioni di produttori
devono prevedere espressamente l’obbligo per i soci di “mantenere il
vincolo associativo per almeno un triennio e, ai fini del recesso, osservare il
preavviso
di
almeno
sei
mesi
dall’inizio
della
campagna
di
commercializzazione”. E lo stesso prevede l’art. 6. 1° co., lett. a), n. 3, d.lg.
102/2005, con riguardo alle società di secondo grado (tra organizzazioni di
produttori).
Ai sensi dell’art. 125 bis, 3° co., lett. e), Reg. CE 1234/2007
sull’organizzazione comune dei mercati agricoli (c.d. Regolamento OCM),
lo statuto delle organizzazioni di produttori (del settore ortofrutticolo) deve
contenere regole relative all’ammissione di nuovi aderenti, stabilendo in
particolare il periodo minimo di adesione64.
Già l’art. 11, lett. d), n. 5, dell’abrogato (dall’art. 3 del reg. OCM) reg.
CE 2200/96 sull’organizzazione comune dei mercati nel settore degli
ortofrutticoli, imponeva agli statuti delle organizzazione di produttori di
prevedere “regole relative all’ammissione di nuovi soci, e in particolare il
periodo minimo d’adesione”65.
Sulla scorta delle considerazioni già svolte rispetto al quadro
legislativo in materia di recesso, sembra doversi concludere nel senso che le
clausole appartenenti a questa categoria non sono comunque idonee a
sterilizzare (ancorché soltanto limitatamente al periodo indicato) le cause
legali inderogabili di recesso. Proprio la natura imperativa delle norme di
legge rende infatti nulle ed inefficaci le clausole statutarie che direttamente
le contrastino o siano con queste incompatibili66. Ne deriva che – come già
riferito con riguardo ad eventuali clausole di divieto assoluto di recesso –
64
A questo regolamento fa riferimento l’art. 1, S. Orsola, e l’art. 1, Melinda.
A questo regolamento fa riferimento l’art. 7, Melinda.
66
Il che non esclude che in determinati casi sia la stessa norma di legge
inderogabile a fissare un periodo minimo di permanenza in società prima del quale il
recesso non possa esercitarsi, come avviene nel caso dell’art. 2530, 6° co., c.c.
65
35
anche le clausole che prevedono il divieto temporaneo di recesso (o quelle
che a queste ultime si possono equiparare) hanno un’utilità limitata sotto il
profilo del rafforzamento della stabilità dell’impresa cooperativa, poiché da
un lato le cause legali inderogabili di recesso operano comunque; dall’altro,
tali clausole non sono necessarie per affermare che il socio di cooperativa
non possa recedere a piacimento dalla cooperativa, poiché così è già (a
meno che non sussista una causa legale o statutaria di recesso). Anche
queste clausole, naturalmente, sarebbero invece idonee ad escludere il
recesso del socio nei casi (derogabili) di cui agli artt. 2437, 2° co., lett. a)
(proroga del termine di durata della società) e 2437, 2° co., lett. b)
(introduzione o rimozione di vincoli alla circolazione delle partecipazioni),
sempre ammesso che quest’ultima norma si applichi alle cooperative (il
che, come detto, è discusso).
Ciò detto, ci si deve chiedere allora che utilità possa avere sostenere
e promuovere, come ad esempio fa la Federazione nel documento citato,
l’introduzione negli statuti di clausole di questo genere.
A noi sembra che simile strategia si possa comprendere e
giustificare (oltre che puramente e semplicemente sul piano culturale67)
soltanto alla luce di preesistenti prassi statutarie particolarmente liberali nei
confronti del recesso del socio (secondo le possibili linee che tratteggeremo
nel successivo § 6.3.) che s’intendono in tal modo modificare al fine di
rendere la disciplina del recesso compatibile con l’esigenza di stabilità
dell’impresa cooperativa soprattutto in determinati periodi o fasi di
sviluppo68. Come anche dimostra (e a certi fini impone) la legislazione in
materia di agricoltura, sopra richiamata.
Quanto sopra, peraltro, non senza tenere conto dell’interesse del
socio a recedere e dell’importante funzione di governance che il recesso può
rivestire quale strumento di controllo indiretto dell’attività degli
amministratori (nel senso della prevenzione e repressione di eventuali
abusi o semplicemente di condotte eccessivamente rischiose o non in linea
67
Cioè per rendere noto e manifesto all’interno del movimento cooperativo quel
che già la legge dispone, ovverosia l’assenza di libertà del socio di recedere ad nutum
dalla cooperativa.
68
Diciamo questo perché, come verificato nel corso di quest’analisi, in assenza di
previsioni statutarie in materia, il recesso del socio sarebbe consentito solo negli
specifici casi previsti dalla legge e non già ad nutum o per giusta causa. Di conseguenza,
se non ci fosse questa preesistente prassi statutaria, da un lato, la posizione della
Federazione non sarebbe coerente rispetto all’obiettivo di limitare il recesso per
favorire la stabilità dell’impresa cooperativa (poiché, anzi, formule statutarie del tipo
proposto dalla Federazione potrebbero essere interpretate a contrario, come espansive
del diritto di recesso: v. subito oltre nel testo); dall’altro, non si comprenderebbero
reazioni, critiche, timori rispetto a questa posizione di recente assunta in tema di
recesso dalla Federazione.
36
con l’effettivo interesse della società) o di reazione alle decisioni della
maggioranza (abusive o semplicemente non condivise).
Il punto è infatti che clausole che vietano il recesso per un certo
periodo di tempo potrebbero essere interpretate a contrario nel senso di
consentire il libero recesso del socio decorso il termine. Se così fosse, la
preesistente prassi statutaria liberale non sarebbe del tutto sconvolta, ma
soltanto temporaneamente limitata. Scaduto il termine entro cui non si può
recedere (ovvero di permanenza obbligatoria in società), e se davvero
formule statutarie di questo tipo possono così essere interpretate, potrebbe
accadere che: o il recesso del socio diventi libero oppure nuovamente
consentito secondo quello che prevede lo statuto.
Altro aspetto da notare è che la Federazione, nel suddetto
documento, correttamente menziona il diritto dei soci assenti o dissenzienti
rispetto alla delibera che limita il recesso a recedere dalla società69. Ciò è in
linea con la disciplina che comunque si sarebbe applicata alle delibere che
eliminano cause legali o statutarie di recesso (artt. 2437, 1° co., lett. e), e
2473, 1° co.).
Un’altra notazione deve farsi con riguardo alle modalità di
fissazione del termine e della circostanza al ricorrere della quale il termine
comincia a decorrere. Il problema può derivare da eventuali clausole
statutarie che non fissano ex ante il termine (entro cui è vietato recedere) ma
lo lasciano indeterminato ancorché determinabile per relationem a
determinate circostanze quali “il perfezionamento del programma
operativo in corso”70. Occorre in questo caso avvertire che, secondo i
principi
generali,
se
le
modalità
di
determinazione
non
sono
sufficientemente certe si corre il rischio che la clausola sia considerata nulla
per indeterminatezza dell’oggetto.
Infine, deve osservarsi come il programma di stabilità della base
sociale possa essere ostacolato da altre clausole statutarie, quali quelle che
vietano il trasferimento della partecipazione71, dal momento che in tal caso
il recesso è libero ex art. 2530, 6° co., c.c. (che costituisce una causa legale
inderogabile di recesso del socio di cooperativa).
3) Imposizione di un termine di preavviso o differimento degli
effetti del recesso
69
Per completezza, manca forse il riferimento ai soci astenuti che dovrebbero
essere inclusi nella categoria dei legittimati poiché anch’essi, ai sensi degli artt. 2437, 1°
co., e 2473, 1° co., “non hanno concorso alla deliberazione” ovvero “non hanno
consentito”.
70
Cfr. art. 10 bis, S. Orsola.
71
Cfr. art. 10, 3° co., Melinda; art. 10, S. Orsola; art. 9, Cavit.
37
Effetti analoghi a quelli conseguenti all’adozione delle clausole di
cui al precedente punto 2) si potrebbero ottenere imponendo al socio che
intenda recedere un determinato onere di preavviso o differendo gli effetti
del recesso, anche solo con riguardo alla cessazione del rapporto
mutualistico, ciò che può essere sufficiente alla cooperativa per tutelarsi,
poiché la sua stabilità, come in precedenza spiegato, dipende più dalla
continuità nel flusso degli apporti mutualistici che dal mantenimento
dell’intero capitale sociale72.
Ci si deve chiedere, pertanto, se lo statuto possa in tal modo
validamente “aggirare” le cause legali inderogabili di recesso, ma la
risposta è negativa nei termini che seguono.
L’art. 2437, 6° co., c.c., dichiara nullo ogni atto non solo volto ad
escludere ma anche a rendere più gravoso l’esercizio del diritto di recesso
nei casi in cui la legge lo attribuisce al socio mediante norma imperativa
inderogabile. Le clausole statutarie che introducano un obbligo di
preavviso o che differiscano gli effetti del recesso (anche solo con riguardo
alla cessazione del rapporto mutualistico) rendono più gravoso l’esercizio
del recesso e pertanto ricadono nella previsione di cui all’art. 2437, 6° co.,
c.c., che si applica alle cooperative nella sua integralità, anche se la
maggiore gravosità va valutata tenendo conto della disciplina particolare
delle cooperative e segnatamente dell’art. 2532, c.c.73.
Non costituisce dunque disposizione statutaria che rende più
gravoso il recesso quella che si limiti a ribadire la procedura di cui all’art.
2532, 2° co., né quella che si limiti a ribadire che gli effetti del recesso
decorrono secondo quanto stabilito dall’art. 2532, 3° co., c.c. Al contrario,
una clausola statutaria che prevedesse che gli effetti del recesso sul
rapporto mutualistico decorrano con la chiusura del terzo esercizio
successivo a quello in cui il recesso è comunicato sarebbe nulla ex art. 2437,
6° co., c.c., nella misura in cui aggrava il recesso del socio in presenza di
una causa legale inderogabile74. Diversamente, una disposizione statutaria
72
Cfr. ad es. art. 10 bis, 2° co., Cantina Sociale di Trento: “in considerazione dei
rapporti mutualistici in essere tra soci e società per gli investimenti deliberati ed eseguiti,
il recesso ha effetto, purché sia rispettato un preavviso di conferimento di anni tre a far
tempo da quello in corso e purché la richiesta sia presentata nel termine di cui al
precedente comma”
73
Cfr. Galletti, sub art. 2532, 2005, p. 2759. In dottrina si parla anche direttamente (ma
forse non del tutto correttamente, considerato quanto poi si è costretti ad eccepire con
riguardo alle cause statutarie di recesso, dove, come diremo, l’art. 2532, 2° co., si considera
invece derogabile) di inderogabilità in senso più sfavorevole al socio dell’art. 2532, 3° co.,
c.c.: cfr. Ibba, 2007, p. 865 s.
74
Finirebbero dunque in tal caso per applicarsi i termini di cui all’art. 2532, 2° co., c.c.
38
di questo tipo sarebbe legittima con riferimento a cause legali derogabili o a
cause statutarie di recesso75.
Parimenti, in questa prospettiva deve altresì valutarsi l’eventuale
intervento dello statuto sulla liquidazione della quota ad esito del recesso,
poiché regole statutarie che incidessero negativamente sulla quota da
liquidarsi al socio receduto potrebbero avere un effetto concretamente
disincentivante il recesso. Ma anche qui vige la tendenziale inderogabilità
delle norme di legge e segnatamente dell’art. 2535 c.c., che lascia ristretti
margini di autonomia allo statuto (ovverosia, eventuale esclusione del
rimborso del sovrapprezzo ed eventuale differimento fino a cinque anni del
rimborso delle quote di capitale ricevute ex artt. 2545 quinquies e 2545 sexies
c.c.)76.
4) Divieto di recesso nel caso di proroga del termine di durata della
società
Nella prospettiva della limitazione delle vie d’uscita dalla società, lo
statuto di una cooperativa potrebbe legittimamente escludere il diritto di
recesso del socio assente, astenuto o dissenziente rispetto alla delibera di
proroga del termine di durata della società, poiché questa causa legale di
recesso è posta da una norma di legge derogabile dallo statuto (art. 2437, 2°
co., lett. a, c.c., considerato applicabile anche alle s.r.l. e dunque altresì alle
cooperative cui si applichi la disciplina delle s.r.l.).
5) Divieto di recesso nel caso di introduzione o rimozione di vincoli
alla circolazione delle partecipazioni
Sempre nella prospettiva della limitazione delle vie d’uscita del
socio dalla società, lo statuto di una cooperativa potrebbe legittimamente
escludere il diritto di recesso del socio assente, astenuto o dissenziente
rispetto alla delibera che introduca o rimuova vincoli alla circolazione delle
partecipazioni poiché questa causa legale di recesso è posta da una norma
di legge derogabile dallo statuto (art. 2437, 2° co., lett. b, c.c., di cui però
ancor prima si discute se sia applicabile alle società cooperative).
75
Cfr. Ibba, 2007, p. 866; Stella Richter, 2004, p. 414. In questo senso può forse
leggersi la precisazione contenuta nell’art. 10 bis, 1° co., Cantina Sociale di Trento,
secondo cui la particolare disciplina del preavviso di cui a tale articolo si applica “salvi i
casi inderogabili previsti dalla legge, che rimangono disciplinati dalla stessa”.
76
Cfr. sullo specifico punto Galletti, 2005, pp. 2774 ss.; Stella Richter, 2004, p. 415.
39
6) Fissazione di un maggior termine per il recesso nel caso di cui
agli artt. 2437, 3° co., e 2473, 2° co., c.c.
Nella prospettiva del differimento del recesso nell’interesse della
società, lo statuto di una cooperativa potrebbe fissare un termine più lungo
per il preavviso che il socio che intende recedere ai sensi degli artt. 2437, 3°
co., e 2473, 2° co., c.c. (recesso nel caso di società contratta a tempo
indeterminato), è tenuto a dare alla società. Tale termine non può
comunque essere superiore ad un anno.
6.3
Clausole che ampliano la fattispecie del recesso
Questa categoria di eventuali clausole statutarie si caratterizza per il
fatto di favorire il recesso del socio rispetto a quanto previsto dalla legge.
Nel valutare la loro introduzione occorrerebbe pertanto tenere conto dei
possibili effetti negativi che possono seguire all’ampliamento delle vie
d’uscita del socio dalla società (e capire se sono compensati dagli effetti
positivi derivanti dal maggiore controllo degli amministratori e della
maggioranza). D’altro canto, il potenziamento dell’exit può costituire
incentivo all’adesione in una cooperativa, non tanto (o non solo) sotto il
profilo della maggiore facilità di disinvestimento, quanto (o soprattutto)
con riguardo all’aspetto della riacquisizione della libertà di contrarre.
Per quanto riguarda le clausole che ampliano il diritto di recesso,
bisogna dire che il principio generale è che l’autonomia statutaria non
incontra limiti particolari (se si eccettua quello di cui al medesimo 2532, 1°
co., cioè il divieto di consentire il recesso parziale), sicché in generale lo
statuto di una cooperativa potrebbe contemplare ulteriori cause di recesso
rispetto a quelle previste dalla legge, semplificare il procedimento di
recesso, regolare il profilo degli effetti in modo più favorevole al socio che
recede77.
1) Clausola che consente il recesso ad nutum (eventualmente dopo la
scadenza di un certo termine o un periodo minimo di permanenza in
società)
77
Si parla in dottrina di “massima libertà statutaria” a questo riguardo: cfr. in questo
senso Ibba, 2007, p. 858.
40
Per recesso ad nutum (o libero) s’intende il recesso che può
esercitarsi dal socio a suo mero volere e senza necessità di indicarne i
motivi, e dunque sulla base di una pura valutazione soggettiva di
convenienza, non essendo il recesso collegato al verificarsi di particolari
fatti, atti o circostanze.
Si è già verificato che la legge non attribuisce al socio di cooperativa
il diritto di recedere ad nutum, che invece riconosce soltanto all’associato di
un’associazione (art. 24, 2° co., cc.). La domanda è dunque se possa farlo lo
statuto, nell’esercizio dell’autonomia che la legge gli riserva (art. 2532, 1°
co., c.c.)78.
Alla superiore domanda la dottrina dà generalmente risposta
affermativa, in virtù sia dell’ampia formula utilizzata dall’art. 2532, 1° co.,
c.c., sia della considerazione che nelle cooperative la variabilità del capitale
elimina l’unico ostacolo teorico alla riconoscibilità per statuto dell’assoluta
libertà di uscita del socio dalla società, cioè la necessità di tutelare
l’affidamento dei creditori79.
In verità non sono mancate opinioni più caute, fondate sia su dati
formali sia su considerazioni di opportunità. Si è sostenuto infatti, da un
lato, che il riferimento nell’art. 2521, 3° co., n. 7, alle “condizioni per
l’eventuale recesso” comunque rimanda ad un dato oggettivo esterno alla
sfera del socio; dall’altro, che la concessione del recesso ad nutum non solo
minaccia la stabilità della società ma produce altresì esternalità negative
non sempre tollerabili soprattutto in una struttura a vocazione economica
benché non speculativa80.
Dal punto di vista interpretativo, pongono un problema quelle
clausole statutarie che in modo molto generale dispongono nel senso che “è
ammesso il recesso dalla cooperativa (o dal consorzio)”81. Non è chiaro
infatti se in tal modo si voglia attribuire al socio il diritto di recesso ad
nutum oppure soltanto genericamente ribadire per statuto che il socio può
recedere ove ricorrano i casi previsti dalla legge o dallo statuto:
78
La medesima domanda si pone altresì con riguardo al socio di s.p.a. e di s.r.l., ma
anche di società di persone. La dottrina prevalente sembra rispondere
affermativamente, ma ci sono importanti eccezioni (cfr. anche per riferimenti Galletti,
sub art. 2437, 2010, pp. 1626 s.; Revigliono, 2010, p, 1895; Mangiapane, 2010, pp. 264
s.).
79
Cfr. IBBA, 2007, p. 858; Giorgi, 2006, p. 273; Stella Richter, 2004, p 414.
80
In tal senso Galletti, sub art. 2532, 2005, pp. 2753 s.
81
Cfr. art. 10, Cavit, e art. 10, Sait. Occorre peraltro tenere conto del fatto che negli
statuti di queste due società si prevede il divieto di trasferimento della partecipazione,
sicché la libertà di recedere già deriva dalla previsione inderogabile di legge di cui
all’art. 2530, 6° co., c.c., anche se l’importanza della questione in parte permane
invariata perché quest’ultima norma di legge richiede un termine di preavviso e un
periodo minimo di permanenza in società prima di poter recedere.
41
probabilmente, l’inutilità della seconda alternativa potrebbe spingere
l’interprete a preferire la prima.
Lo statuto potrebbe attribuire al socio il diritto di recesso ad nutum
soltanto decorso un certo periodo di tempo dal suo ingresso in società. Ci si
può chiedere (come già si è fatto in precedenza) se in tal senso debbano
interpretarsi quelle clausole statutarie che fissano un periodo minimo di
permanenza in società stabilendo che, trascorso questo, il socio può
recedere. Qualora non fosse intenzione della società consentire altresì in
casi simili il libero recesso dei soci, sarebbe opportuno che le clausole
statutarie fossero attentamente formulate in modo tale da evitare che un
divieto temporaneo di recesso si trasformi per via interpretativa in un
diritto di recesso ad nutum successivamente alla scadenza del termine entro
il quale non si può recedere.
2) Clausola che consente il recesso per giusta causa
Si è già detto in precedenza del significato che il riferimento alla
“giusta causa” del recesso può assumere. Si è anche detto che la dottrina
prevalente e la giurisprudenza escludono il recesso legale per giusta causa
nelle cooperative, poiché alle cooperative non è residualmente applicabile
la disciplina delle società di persone bensì quella delle società di capitali
(s.p.a. o s.r.l.) nel cui ambito la giusta causa non costituisce causa legale di
recesso.
Non si esclude però che (anche) nelle cooperative (come nelle s.p.a.
e nelle s.r.l.) lo statuto possa contemplare il recesso per giusta causa82.
3) Previsione di specifiche cause di recesso
Lo statuto è ovviamente libero di stabilire specifiche cause
(statutarie) di recesso, diverse e ulteriori rispetto a quelle previste dalla
legge. Ciò può costituire un’alternativa valida ed opportuna rispetto
all’eccessiva (e perciò rischiosa per la società) ampiezza del recesso ad
nutum e di quello per giusta causa.
Tali cause potrebbero essere le più varie. Potrebbero ricondursi alla
sfera economico-giuridica dei singoli soci (malattia, trasferimento sede,
difficoltà di svolgere attività mutualistica, ecc); a quella endo-societaria
(mancato pagamento di ristorni per un certo periodo di tempo o di
82
Si tratta di una soluzione generalmente condivisa dalla dottrina: cfr. per tutti
GALLETTI, sub art. 2532, 2005, p, 2755. Quanto alle s.p.a. cfr. Galletti, sub art. 2437,
2010, p. 1627; quanto alle s.r.l. cfr. Revigliono, sub art. 2473, 2010, pp. 1895 s.
42
dividendi;
delibere
modificative
di
quorum;
andamento
negativo
dell’attività sociale; alienazione o acquisto di aziende o rami; revoca di una
determinata autorizzazione o licenza; ecc.); a situazioni extra-societarie
(andamento economico negativo del mercato; provvedimenti normativi
sfavorevoli; ecc.)83.
4) Clausola che condiziona il recesso all’approvazione degli
amministratori
Nulla impedisce che lo statuto della cooperativa individui una
specifica causa statutaria (o legale derogabile) di recesso (anche ad nutum),
subordinando però l’uscita del socio all’approvazione del recesso da parte
degli amministratori84. In tal caso il recesso non costituisce un diritto
potestativo bensì una proposta che gli amministratori possono accettare
(perfezionandosi così l’uscita del socio dalla società) oppure no, sicché il
recesso segue ad un accordo tra socio e società e non già ad un atto
unilaterale del socio, con la conseguenza che più che di recesso in questo
caso è corretto parlare di “mutuo dissenso” (ovverosia di mutuo consenso
sullo scioglimento del vincolo).
L’approvazione di cui qui si parla non ha niente a che vedere col
“provvedimento di accoglimento della domanda” di cui all’art. 2532, 3° co.,
c.c., che ha un mera funzione di controllo della sussistenza dei requisiti
legali o statutari del recesso. Tuttavia, al fine di evitare confusione e
sovrapposizione può essere importante che lo statuto chiarisca il ruolo
dell’approvazione degli amministratori.
5) Recesso penitenziale
Altra possibilità è quella di subordinare il recesso statutario (o
legale derogabile) al pagamento da parte del socio di una penale. È
soluzione interessante perché evita l’esercizio pretestuoso o abusivo del
recesso, ponendovi un freno nell’interesse della società, e allo stesso tempo
non privando il socio della possibilità di vedere realizzati gli interessi
sottostanti all’esercizio del recesso.
83
Cfr. Revigliono, sub art. 2473, 2010, pp. 1896 s. Un esempio si può scorgere
nell’art. 10 bis, 4° co., Cantina Sociale di Trento, secondo cui “è consentito il recesso
senza alcuna penalità nel caso di un socio che non sia più in grado di concorrere al
conseguimento dell’oggetto sociale”.
84
Per la legittimità di queste clausole cfr. Cass., 6.4.2001, n. 5126, in Rep. Foro it.,
2001, “Cooperativa”, n. 93; A. Napoli, 4.10.2008, in Rep. Foro it., 2009, “Cooperativa”,
n. 58.
43
6) Clausola che consente il recesso anche anteriormente ai due anni
nel caso di cui all’art. 2530, 6° co., c.c.
Il termine di cui all’art. 2530, 6° co., c.c. deve considerarsi
inderogabile solo in peius per il socio, il che vuol dire che lo statuto della
società può prevedere un termine più breve per la legittimità del recesso
legale di cui alla norma in questione.
7) Anticipazione della decorrenza degli effetti del recesso
Anche l’art. 2532, 3° co., c.c. si presenta come una norma
inderogabile solo in peius per il socio, sicché lo statuto della cooperativa
potrebbe prevedere tempi più brevi per l’efficacia del recesso anche sul
rapporto mutualistico.
8) Semplificazione del procedimento di uscita
L’art. 2532, 2° co., deve considerarsi inderogabile solo in peius per il
socio, sicché sarebbe legittima una procedura statutaria che contempli una
procedura di exit più semplice o più rapida nell’interesse del socio all’uscita
dalla società.
7
Profili di natura procedimentale
Le modalità con cui il socio85 può esercitare il recesso sono indicate
al 2° co. dell’art. 2532 c.c., alla stregua del quale “la dichiarazione di recesso
deve essere comunicata con raccomandata alla società. Gli amministratori
devono esaminarla entro sessanta giorni dalla ricezione. Se non sussistono i
presupposti del recesso, gli amministratori devono darne immediata
comunicazione al socio, che entro sessanta giorni dal ricevimento della
comunicazione, può proporre opposizione innanzi il tribunale”.
85
Solo il socio può esercitare il diritto di recesso; l’esercizio del potere surrogatorio,
infatti, è escluso per i diritti connessi con una qualità del loro titolare. In tema di s.p.a.,
valevole a fortiori per le cooperative, cfr. Cass., 12.7.2002, n. 10144, in Giur. comm.,
2004, II, 39, secondo cui “il diritto di recesso da una s.p.a., essendo strettamente
personale al socio, non può essere esercitato in via surrogatoria, ex art. 2900 c.c., dal
creditore particolare di lui”.
44
Molteplici le riflessioni che la citata disposizione suscita.
Innanzitutto le innovazioni contenute in proposito nell’art. 2532 c.c.,
che ha sostituito il previgente art. 2526 c.c., non hanno modificato la natura
di atto unilaterale recettizio del recesso86, non intendendo il legislatore
porre sullo stesso piano (segnatamente di atti prenegoziali) la dichiarazione
di volontà del socio e quella degli amministratori. Questi ultimi devono
pertanto limitarsi ad accertare la sussistenza dei presupposti per l’esercizio
del recesso, cioè la verifica della corrispondenza tra i motivi che hanno dato
luogo alla dichiarazione di recesso e le ipotesi legali o statutarie in cui il
recesso è consentito.
Da quanto detto deriva che, nonostante si parli di “accoglimento
domanda del socio” nel 3° co. dell’art. 2532, e nonostante il tenore
complessivo del 2° co. del medesimo articolo possa far pensare ad una sorta
di “accordo” tra socio ed amministratori o di “consenso” di questi ultimi, in
realtà il recesso è un diritto potestativo (naturalmente quando ricorrono i
presupposti di legge o statutari per il suo esercizio) e non già una proposta
contrattuale suscettibile in quanto tale di essere accettata o rifiutata (a meno
che, come già rilevato, lo statuto così non configuri il procedimento con
riguardo al recesso statutario o a determinati casi statutari di recesso). Da
questo punto di vista, qualora effettivamente sussistano le condizioni del
recesso, il procedimento costituisce un mero espediente dilatorio
nell’interesse della cooperativa; qualora invece tali condizioni non siano
presenti, costituisce, sempre nell’interesse della cooperativa, un importante
presidio contro il tentativo illegittimo e abusivo di recedere dalla società.
In secondo luogo, in ordine ai poteri che hanno gli amministratori
relativamente alla dichiarazione del socio, si evince che entro sessanta
giorni gli stessi devono non solo esaminare la dichiarazione – verificando
appunto l’esistenza o meno dei presupposti richiesti per il recesso – ma
altresì provvedere su di essa. Sembrerebbero differenti i tempi di
86
Sulla stessa linea cfr. Cass., 2.5.2006, n. 10135, cit., secondo cui “essendo il
recesso una manifestazione di volontà, corrispondente al diritto potestativo di uscire
dalla società ovvero di rinunziare a conservare lo stato derivante dal rapporto giuridico
nel quale il socio è inserito, nessuna compatibilità con tale categoria negoziale ha la
configurazione dell’accordo prospettato da parte ricorrente, che, assegnando alla
determinazione della società la funzione di accettazione di una sorta di proposta,
attribuisce alla predetta dichiarazione mera rilevanza prenegoziale, in difetto della
ipotizzata accettazione; e lascia così assolutamente libero il destinatario di essa persino
di ricontrarla e comunque di aderirvi o meno, senza alcun onere di esplicitazione dei
motivi di tale condotta”. Aggiunge poi la Suprema Corte: “posto che, invece, il recesso
configura un negozio unilaterale, la deliberazione favorevole del Consiglio di
amministrazione opera all’esterno, come condizione di efficacia, ed è regolata dall’art.
1359 c.c., in forza del quale essa si considera avverata, una volta che sia mancata per
causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento”.
45
comunicazione al socio in merito al provvedimento adottato. La legge
espressamente prevede, infatti, che se il provvedimento è negativo, esso va
comunicato immediatamente al socio, affinché non si frappongano tempi
morti all’eventuale opposizione dello stesso87. In caso di provvedimento
positivo, invece, la legge è muta. Tuttavia, l’esigenza di una tempestiva
comunicazione sussiste anche in presenza di una verifica dall’esito
positivo, soprattutto con riferimento alla decorrenza degli effetti sul
rapporto sociale, di cui si dirà a breve.
In caso di mancata o tardiva comunicazione, inoltre, il socio ben
potrebbe adire il tribunale a cui competerebbe in ultima analisi la verifica
originariamente
spettante
agli
amministratori88.
Diversamente,
una
giurisprudenza di merito ritiene che operi il meccanismo del silenzioassenso89.
Pertanto l’esigenza di tutelare il socio contro abusi e arbitri degli
amministratori in presenza del legittimo esercizio del diritto di recesso,
induce a ritenere preferibile l’interpretazione del disposto dell’art. 2532, 2°
co., c.c. nel senso che il termine di sessanta giorni previsto per l’esame della
dichiarazione di recesso debba essere inteso anche quale termine entro cui
gli amministratori devono comunicare al socio la propria decisione
favorevole o sfavorevole al recesso. (Usai, 2004, p. 389)
Per quanto concerne l’onere della prova, secondo i principi generali
sulla sua distribuzione, nel caso in cui la cooperativa, in un momento
successivo, agisca per i danni derivanti dalla violazione degli obblighi
inerenti alla qualità di socio del convenuto, essa è tenuta a dimostrare il
fatto costitutivo del suo diritto, rappresentato dalla qualità di socio del
convenuto; qualora quest’ultimo alleghi il fatto estintivo della sua qualità
di socio, è tenuto a fornire la prova del recesso e della sua legittimità,
mentre la società che contesti la sussistenza o efficacia del recesso può
87
Secondo Usai, 2004, p. 388: “seppur nel silenzio dell’art. 2532 c.c. – anche alla
luce della giurisprudenza formatasi sotto il vigore dell’art. 2526 c.c. – che l’eventuale
provvedimento di diniego dovrà essere motivato”.
88
In giurisprudenza cfr. A. Napoli, 6.2.2008, in Banca dati De Jure, secondo la quale
“nella materia civilistica non può trovare ingresso l’istituto del silenzio-assenso;
pertanto in difetto di un’espressa disposizione normativa, all’omesso invio da parte
degli amministratori entro i termini previsti dall’art. 2532 co. 2 c.c. della comunicazione
dell’insussistenza dei presupposti per esercitare il recesso non può essere ricollegato
alcun effetto di decadenza. Né sotto altro profilo la mancata comunicazione nei
termini può essere interpretata quale tacita accettazione della dichiarazione di
recesso, posto che solo in determinati casi, ed in presenza di specifici presupposti, il
silenzio di una delle parti può assumere il valore negoziale di consenso”.
89
Cfr. T. Benevento, 12.4.2005, in Rep. Foro it., 2006, “Cooperativa”, n. 87.
46
limitarsi a proporre una mera difesa, senza dover introdurre nel processo
fatti ulteriori90.
Un’ultima riflessione merita di essere sviluppata in ordine alla
possibilità di applicare gli artt. 2437 bis e 2473 c.c., rispettivamente relativi
ai termini e alle modalità di esercizio del recesso nelle s.p.a. e nelle s.r.l. 91.
La disciplina procedimentale
prevista
dall’art. 2532 c.c. è
predisposta per tutte le cause di recesso, siano esse di fonte legale o di fonte
statutaria. Pertanto l’assunto in base al quale per le cause di recesso
mutuate dalla s.p.a. o dalla s.r.l (a seconda del modello adottato dalla
cooperativa) si applicherebbe la disciplina di cui agli artt. 2437 bis e 2473
c.c. non può trovare accoglimento, dal momento che l’art. 2532 c.c.,
permettendo il recesso “nei casi previsti dalla legge” ma regolandone le
modalità e gli effetti, consente di importare dalla disciplina della s.p.a. o
della s.r.l. le cause ma non ciò che attiene al procedimento o all’efficacia del
recesso92. Né in tal caso opera il rinvio di cui all’art. 2519 c.c., in quanto lo
stesso si applica, nei limiti della compatibilità, solo in relazione a ciò che
non viene disciplinato espressamente nell’ambito del titolo specificamente
dedicato alle cooperative. Dunque, potrebbe tutt’al più, secondo una
90
Cfr. Cass., 3.4.2008, n. 8531, in Banca dati De Jure, in cui la Suprema Corte ha
cassato con rinvio la sentenza della corte territoriale, la quale aveva rigettato la
domanda risarcitoria sul presupposto che la società attrice non avesse fornito la
relativa prova, invertendo in tal modo l’onere della prova che, in virtù del principio
sopra enunciato, incombeva sul socio che aveva eccepito l’esistenza di un valido
recesso.
91
L’art. 2437 bis c.c. recita: “Il diritto di recesso è esercitato mediante lettera
raccomandata che deve essere spedita entro quindici giorni dall’iscrizione nel registro
delle imprese della delibera che lo legittima, con l’indicazione delle generalità del socio
recedente, del domicilio per le comunicazioni inerenti al procedimento, del numero e
della categoria delle azioni per le quali il diritto di recesso viene esercitato. Se il fatto
che legittima il recesso è diverso da una deliberazione, esso è esercitato entro trenta
giorni dalla sua conoscenza da parte del socio” (1° co.); aggiunge che “le azioni per le
quali è esercitato il diritto di recesso non possono essere cedute e devono essere
depositate presso la sede sociale” (2° co.) e conclude disponendo che “il recesso non
può essere esercitato e, se già esercitato, è privo di efficacia, se, entro novanta giorni,
la società revoca la delibera che lo legittima ovvero se è deliberato lo scioglimento
della società” (3° co.). L’art. 2473 c.c. prevede che “il rimborso delle partecipazioni per
cui è stato esercitato il diritto di recesso deve essere eseguito entro centottanta giorni
dalla comunicazione del medesimo fatta alla società. Esso può avvenire anche
mediante acquisto da parte degli altri soci proporzionalmente alle loro partecipazioni
oppure da parte di un terzo concordemente individuato da soci medesimi. Qualora ciò
non avvenga, il rimborso è effettuato utilizzando riserve disponibili o, in mancanza,
corrispondentemente riducendo il capitale sociale; in quest’ultimo caso si applica l’art.
2482 c.c. e, qualora sulla base di esso non risulti possibile il rimborso della
partecipazione del socio receduto, la società viene posta in liquidazione” (4° co.);
aggiunge che “il recesso non può essere esercitato e, se già esercitato, è privo di
efficacia, se la società revoca la delibera che lo legittima ovvero se è deliberato lo
scioglimento della società” (ult. co.).
92
Cfr. Ibba, 2007, p. 863; contra Racugno, 2006, p. 158; Callegari, 2004.
47
dottrina, residuare una marginale operatività solo per quelle cause legali
mutuate dalla s.p.a., la cui disciplina procedimentale verrebbe integrata da
quella di cui all’art. 2437-bis c.c., nei limiti in cui la stessa non sia derogata
dal 2532 c.c. e risulti con essa compatibile93.
Si può discutere se la procedura di cui all’art. 2532, 2° co., c.c., sia
sempre inderogabile dallo statuto (se non eventualmente in favore del
socio) o possa essere derogata, anche in senso sfavorevole al socio, qualora
verta su casi di recesso statutario o di recesso legale derogabile.
8
Conclusioni
Intorno alla materia del recesso ruotano interessi diversi tra loro
contrapposti, ciò che rende il tema uno dei più delicati nell’ambito della
disciplina delle società cooperative e della sua governance.
Si fronteggiano equilibrio dell’impresa, da un lato, e libertà del
socio, dall’altro, vale a dire interesse sociale ed interesse individuale,
rispetto al cui potenziale contrasto tanto la legge quanto lo statuto, nel
regolare il fenomeno, dovrebbero effettuare scelte non già nel segno della
prevalenza assoluta dell’uno rispetto all’altro interesse, bensì del
contemperamento degli opposti interessi, poiché la tutela dell’interesse
sociale finisce per beneficiare anche i soci e la tutela dell’interesse del socio
può essere altresì d’ausilio all’interesse sociale, come in questa ricerca si è
avuto modo di porre in luce. Del resto, nei rapporti di lungo periodo, il
clima di fiducia e di collaborazione costituisce un presupposto necessario
affinché essi proseguano nel segno del vantaggio comune, laddove i costi
derivanti da una prosecuzione “coattiva” del rapporto, in un certo senso
imposta da una parte all’altra ancorché con il supporto delle norme di
legge applicabili al caso di specie, possono essere superiori ai benefici
attesi, rendendo lo scioglimento del rapporto una conseguenza inevitabile.
In questa prospettiva, la legge né esclude il recesso né lo ammette
incondizionatamente, ma lo subordina al verificarsi di casi che sia la legge
93
Ad esempio con riferimento alla possibilità di revocare la delibera che legittima il
recesso, la quale rende lo stesso privo di efficacia a norma degli artt. 2437 bis, ult. co. e
2473 ult. co. Sul punto, Giorgi, 2006, p. 277; secondo GallettI, sub art. 2532, 2005, p.
2755, l’art. 2437 bis c.c., nei limiti di cui sopra, può ritenersi applicabile anche con
riferimento alle clausole statutarie introdotte dall’autonomia privata che non
statuiscano espressamente sul punto.
48
sia
lo statuto della società individuano o possono individuare,
cumulativamente o in concorrenza tra loro.
Nel diritto italiano il socio di cooperativa non ha dunque di per sé
diritto di recedere, come invece accade in alcune legislazioni straniere
(salva peraltro possibile limitazione statutaria). Il recesso è possibile solo là
dove la legge o lo statuto della società lo consentano (art. 2532, 1° co., c.c.).
È quest’ultimo il punto di equilibrio individuato dal legislatore
nazionale da cui occorre muovere nell’affrontare il tema.
Pertanto, anche quando si discute di “riforma” del sistema del
recesso, ovverosia di modifica delle prassi statutarie vigenti, lo si dovrebbe
fare tenendo conto che ciò di cui si va alla ricerca è un nuovo punto di
equilibrio, più vicino a quello individuato dal legislatore, che le esigenze di
stabilità dell’impresa cooperativa ha ben tenuto in considerazione.
L’eccessiva libertà di recedere, infatti, se accordata dagli statuti, può
pregiudicare l’interesse sociale, ciò che alla fine si traduce in una
prevalenza dei benefici individuali su quelli collettivi di cui la società si fa
portatrice. L’eccesso di libertà può avere effetti patologici, oltre al fatto di
rendere poco chiara la distinzione (che invece deve sussistere nella misura
in cui la cooperativa costituisce un soggetto sui generis) tra soci fornitori e
fornitori non soci, soci consumatori e consumatori non soci, soci lavoratori
e lavoratori non soci. È qui in gioco il profilo della solidarietà non solo nella
divisione dei benefici ma anche dei rischi e delle perdite che un’impresa
comune può porre a carico dei suoi partecipanti specie in determinate
congiunture economiche.
Ciò rilevato, il “blocco” del recesso per un certo periodo di tempo –
che sostanzialmente costituisce oggetto della proposta sistematica avanzata
dalla Federazione Trentina delle Cooperative – senz’altro non è una
proposta contraria a legge (anzi, come detto, non è di per sé idonea ad
annullare i casi legali inderogabili di recesso) né tanto meno è una proposta
incomprensibile da un punto di vista economico, ma soltanto costituisce
una proposta di revisione di prassi statutarie forse troppo liberiste sul
punto, che in tal modo finiscono per riconoscere come predominante
l’interesse individuale del socio (di cui pure, come spiegato, è necessario
tenere conto della disciplina statutaria del recesso) rispetto all’interesse
sociale della cooperativa e a quello collettivo di tutti i restanti soci.
Costituisce, questa proposta, la ricerca di un nuovo e diverso
(rispetto al passato) equilibrio tra interesse sociale ed interesse individuale,
che appare più coerente con l’idea e i principi della mutualità. La mutualità
presuppone ed implica il potenziale scambio di posizioni, e perciò
costituisce per ciascuno dei partecipanti all’impresa comune, una sorta di
assicurazione sul futuro. Il recesso, da questo punto di vista ponendosi in
49
netto contrasto con l’ammissione, è momento in cui il socio fa prevalere la
ricerca del proprio interesse su quello comune, di gruppo, sicché
costituisce, se non adeguatamente regolato, una misura non cooperativa,
anti-mutualistica.
Quanto detto non significa, come già spiegato, che l’interesse del
socio a recedere non debba essere tutelato dalla legge e dagli statuti, perché
la minaccia di recesso disincentiva maggioranza ed amministratori ad
abusare dei propri poteri o a perseguire interessi diversi da quello sociale, e
perché il recesso è uno strumento di concorrenza e dunque produce tutti i
benefici (in termini di efficienza dell’azione della cooperativa) che la
concorrenza è in grado di generare. Il recesso potrebbe infatti costituire
occasione, da un lato, di una riorganizzazione della cooperativa su basi più
omogenee, dall’altro, della costituzione di una nuova cooperativa a sua
volta fondata da soci il cui grado di omogeneità sia superiore che in
precedenza. Non è detto dunque che in assoluto il recesso danneggi il
sistema cooperativo, poiché ciò dipende dalle conseguenze concrete
derivanti dalla scelta del socio recedente, dai motivi effettivi del recesso e
dalla composizione e struttura della cooperativa da cui si recede.
Il punto è piuttosto se e quando consentire al socio di recedere, e da
questa prospettiva la proposta della Federazione mira a realizzare un
equilibrio nuovo rispetto al passato, poiché non esclude la possibilità di
recedere ma soltanto la condiziona temporalmente per finalità di equilibrio
e conservazione dell’impresa cooperativa. Nell’ottica del contemperamento
degli interessi, è poi significativo leggere nella proposta della Federazione
il riferimento alla possibilità di soci assenti o dissenzienti di recedere
nonché alla possibilità di trasferire la partecipazione: elementi che rendono
la proposta ancor di più conforme a legge.
Naturalmente, anche considerato quanto emerso da questa ricerca,
la proposta sarebbe ancora più valida qualora, stabilito il nuovo principio
generale in tema di recesso (così individuando il nuovo punto di equilibrio
tra gli interessi contrapposti), accordasse agli statuti delle singole
cooperative (o consorzi) la possibilità di adattare la disciplina del recesso
alle proprie esigenze particolari, magari suggerendo opzioni statutarie che
la cooperativa può adattare. Si è detto infatti, tra le altre cose, come
rilevanza ed intensità del problema del recesso varino a seconda della
tipologia giuridica di cooperativa e delle sue caratteristiche concrete (anche
nel solo ambito dell’agricoltura), sicché diverse soluzioni possono essere
opportune, anche tenendo conto degli altri strumenti di governance che lo
statuto della cooperativa attribuisce ai soci, soprattutto sotto il profilo della
partecipazione alla gestione dell’impresa e del controllo dell’attività degli
amministratori. In fondo, il recesso non è che uno dei diversi strumenti di
50
governance dell’impresa, sicché qualsiasi valutazione che lo riguardi non
può essere avulsa dall’analisi complessiva degli altri ed ulteriori strumenti
di governance e dal modo in cui sono regolati nello statuto di una
cooperativa (o di un consorzio).
Di questa proposta della Federazione andrebbero infine esaminati
con maggiore attenzione alcuni aspetti procedurali. Il recesso, infatti, alla
luce dell’art. 2532, 1° co., c.c., non potrebbe che essere disciplinato dallo
statuto della cooperativa, talché un “blocco” del recesso per un certo
periodo di tempo non potrebbe essere disposto di volta in volta
dall’assemblea in assenza di copertura da parte dello statuto, che qualora
volesse delegare tale potere all’assemblea dovrebbe allora quanto meno
indicare con sufficiente determinatezza le ipotesi in cui una delibera
assembleare possa disporre il “blocco”, nonché, così ci sembra, anche il
numero massimo di anni in cui esso produca i suoi effetti.
9
Tabelle riassuntive
Tabella 1. Il recesso nelle organizzazioni: un quadro delle regole generali in materia
Associazioni
Società di persone
Società di capitali
Cooperative
Libertà di recedere
(salvo che non si
assuma l’obbligo di
partecipazione per un
tempo determinato)
Si può recedere solo
quando la società è
contratta a tempo
indeterminato o per
tutta la vita di uno dei
soci, per giusta causa,
o negli altri casi
previsti dallo statuto
Si può recedere solo
nei casi previsti dalla
legge o dallo statuto.
Si può recedere solo
nei casi previsti dalla
legge o dallo statuto.
Tra i casi previsti
dalla legge non figura
la giusta causa di
recesso
Tra i casi previsti dalla
legge non figura la
giusta causa di
recesso
Art. 24, 2° co., c.c.
Art. 2285, c.c.
Artt. 2437 e 2473,
c.c.
Art. 2532, 1° co., c.c.
51
Tabella 2. Società cooperative: i casi di recesso previsti dalla legge (loro derogabilità o
inderogabilità)
Tutte le cooperative
Causa di recesso
Articolo
Lo statuto della coop. vieta al
2530, 6° co.
socio di trasferire la propria
partecipazione
Inderogabile (derogabile il termine ma
solo in favore del socio)
Cooperative s.p.a.
Modifica della clausola
2437, 1° co., lett. a)
determinativa dell’oggetto
sociale, quando ciò consente un Inderogabile
cambiamento significativo
dell’attività della società
Trasformazione della società
art. 2437, 1° co., lett. b)
Trasferimento della sede sociale
all’estero
Revoca dello stato di
liquidazione
Eliminazione di una o più cause
di recesso previste dallo statuto
o dall’art. 2437, 2° co., c.c.
Modifica dei criteri di
determinazione del valore
dell’azione in caso di recesso
Proroga del termine di durata
della società
Introduzione o rimozione di
vincoli alla circolazione dei titoli
azionari
Società costituita a tempo
indeterminato quando le sue
azioni non sono quotate in un
mercato regolamentato
Inderogabile
art. 2437, 1° co., lett. c)
Inderogabile
art. 2437, 1° co., lett. d)
Inderogabile
art. 2437, 1° co., lett. e)
Inderogabile
art. 2437, 1° co., lett. f)
Inderogabile
art. 2437, 2° co., lett. a)
Derogabile
art. 2437, 2° co., lett. b)
Derogabile
artt. 2437, 3° co.
Inderogabile (derogabile in peius il
termine ma solo entro certi limiti)
Cooperative s.r.l.
Cambiamento dell’oggetto della
società
art. 2473, 1° co.
Cambiamento del tipo di società
Inderogabile
art. 2473, 1° co.
Fusione o scissione
Inderogabile
art. 2473, 1° co.
Revoca dello stato di
liquidazione
Trasferimento della sede
all’estero
Eliminazione di una o più cause
di recesso previste dallo statuto
Inderogabile
art. 2473, 1° co.
Inderogabile
art. 2473, 1° co.
Inderogabile
art. 2473, 1° co.
52
Compimento di operazioni che
comportano una sostanziale
modificazione dell’oggetto
sociale
Compimento di operazioni che
comportano una rilevante
modificazione dei diritti
attribuiti ai soci a norma dell’art.
2468, 4° co., c.c.
Società costituita a tempo
indeterminato
Proroga del termine di durata
della società
Inderogabile
art. 2473, 1° co.
Inderogabile
art. 2473, 1° co.
Inderogabile
Art. 2473, 2° co.
Inderogabile (derogabile in peius il
termine ma solo entro certi limiti)
art. 2437, 2° co., lett. a) (applicazione
analogica)
Derogabile
53
Tabella 3. Società cooperative: ipotesi di clausole statutarie in tema di recesso e loro
effetti
Clausole limitative del recesso
Effetti
Divieto assoluto di recesso
Non impedisce il recesso nei casi in cui la legge lo
preveda con norma imperativa inderogabile; impedisce
il recesso nei casi in cui la legge lo preveda con norma
derogabile
Divieto temporaneo di recesso
Non impedisce (neanche temporaneamente) il recesso
(o permanenza minima
nei casi in cui la legge lo preveda con norma imperativa
obbligatoria)
inderogabile; impedisce temporaneamente il recesso
nei casi in cui la legge lo preveda con norma derogabile
Imposizione di un termine di
Qualora peggiori la situazione del socio rispetto a
preavviso o differimento degli
quanto previsto dall’art. 2532, non produce effetti
effetti del recesso
rispetto ai casi di recesso legale inderogabile ma solo
con riguardo ai casi di recesso legale derogabile (ed
eventualmente ai casi di recesso statutario)
Divieto di recesso nel caso di
Impedisce di recedere qualora il termine di durata della
proroga del termine di durata
società sia prorogato
della società
Divieto di recesso nel caso della Impedisce di recedere qualora siano introdotti o
introduzione o della rimozione
rimossi vincoli alla circolazione delle partecipazioni
di vincoli alla circolazione delle
partecipazioni
Fissazione di un maggior
Impone un termine più lungo per il preavviso cui la
termine per il recesso nel caso
legge obbliga il socio che intenda recedere nel caso in
di cui agli artt. 2437, 3° co., e
cui la società sia costituita a tempo indeterminato
2473, 2° co., c.c.
Clausole ampliative del recesso
Effetti
Recesso ad nutum (anche dopo
Consente al socio di recedere (in qualsiasi momento o
un certo termine)
dopo un certo termine) liberamente dalla società,
senza necessità del ricorrere di particolari circostanze o
di indicazione dei motivi del recesso
Recesso per giusta causa
Consente al socio di recedere in presenza di una “giusta
causa” (che il giudice dovrà ritenere sussistente in
concreto)
Previsione di specifiche cause di Consente al socio di recedere in presenza delle
recesso
specifiche cause previste dallo statuto
Recesso condizionato
Consente il recesso del socio per cause statutarie o
all’approvazione degli
legali derogabili solo in presenza del consenso degli
amministratori
amministratori
Recesso penitenziale
Consente il recesso del socio per cause statutarie o
legali derogabili solo contro versamento di un
corrispettivo alla società
Abbreviazione del termine di cui Consente il recesso del socio nel caso di cui all’art.
all’art. 2530, 6° co., c.c.
2530, 6° co., c.c., anteriormente ai due anni di cui è
menzione nella norma di legge (derogabile sotto
questo profilo in favore del socio)
Anticipazione della decorrenza
Anticipa gli effetti del recesso rispetto a quanto
degli effetti del recesso
previsto dall’art. 2532, 3° co., c.c. (derogabile sotto
questo profilo in favore del socio)
Semplificazione del
Semplifica il procedimento di uscita dalla società così
procedimento di uscita
come previsto dall’art. 2532, 2° co., c.c. (derogabile
sotto questo profilo in favore del socio)
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autonomia statutaria e recesso del socio nelle società