INTERVENIRE NELLA CONFLITTUALITÀ FAMILIARE Convegno Nazionale di Verona 06 -07 giugno 2015 LA FIGURA DEL PADRE CURA DEI FIGLI E MEDIAZIONE FAMILIARE Dott. Porotti Diego Mediatore familiare SOMMARIO INTRODUZIONE ...........................................................................................................3 MATRIMONIO E FAMIGLIA: PROCESSI DI CAMBIAMENTO .........................................5 L’AFFIDAMENTO DEI FIGLI: EVOLUZIONE DEI TERMINI ..............................................7 PADRI CON I FIGLI: RUOLO E FUNZIONE PATERNA ...................................................10 LA RICADUTA DELLA SEPARAZIONE ..........................................................................12 ALTA CONFLITTUALITÀ E DIFFICOLTÀ NELL’APPLICAZIONE DELLE LEGGI ................15 LA P.A.S. E LA SINDROME DELLA MADRE MALEVOLA ..............................................16 EFFETTI DELLA SINDROME DA ALIENAZIONE PARENTALE SUI FIGLI ........................21 IL GENITORE BERSAGLIO ...........................................................................................23 LA FIGURA DEL PADRE IN MEDIAZIONE ....................................................................25 CONCLUSIONI ............................................................................................................28 2 INTRODUZIONE Questo breve elaborato ha come obiettivo quello di indagare la figura del padre all’interno della famiglia e l’evoluzione del suo ruolo a partire dall’inizio della nostra storia contemporanea. Un’attenzione particolare sarà riservata alle funzioni ricoperte dal padre nella cura dei figli, che negli ultimi anni sono cambiate molto velocemente, oltre che al rapporto esistente tra la paternità vissuta all’interno della famiglia e gli stereotipi sociali e culturali presenti nella nostra società. Attraverso l’evoluzione della terminologia utilizzata in campo legislativo, soprattutto nella definizione della responsabilità genitoriale in caso di separazione e divorzio, si evidenzierà una progressiva ridefinizione dei ruoli e delle funzioni di entrambi i genitori verso i figli. In particolare l’uomo attraversa negli ultimi decenni un’evoluzione significativa, che merita una particolare attenzione, e che lo vede diventare protagonista dello sviluppo affettivo dei figli e della loro cura quotidiana. L’aumento delle separazioni e dei divorzi ha sancito la nascita della figura del padre-single, che lavora e si occupa dei figli, evitando di delegare la madre e chiedendo un riconoscimento ufficiale al suo impegno. I ruoli genitoriali si avvicinano e si fondono progressivamente, offrendo ai figli la possibilità di mantenere i legami affettivi e di crescere serenamente in contesti familiari allargati, distanti dalla struttura più classica della famiglia tradizionale. Qualora però il conflitto presente nella coppia che si separa sia molto intenso, e la rottura diventa una disputa violenta, la famiglia si sgretola e il benessere dei figli passa in secondo piano; in queste pagine saranno 3 approfonditi gli aspetti più patologici della separazione e le conseguenze devastanti che essi possono avere sui figli. In ultima analisi verrà presentato un approfondimento sulla figura del padre nella mediazione familiare, che diventa uno spazio importante di tutela e di riconoscimento per il ruolo genitoriale. Nello spazio della mediazione il padre può infatti trovare la sicurezza di mantenere il legame con i figli, oltre che possibilità di consolidare la vicinanza e la collaborazione con la ex-compagna, e di ridefinire con lei un nuovo rapporto basato sull’interesse comune di preservare il benessere dei figli. 4 MATRIMONIO E FAMIGLIA: PROCESSI DI CAMBIAMENTO L’immagine e il ruolo dei figli all’interno del nucleo familiare si è costantemente modificato nella storia della società umana, così come la famiglia nei suoi legami e nel significato che le viene attribuito a livello collettivo. Dall’inizio del XX° secolo nella società occidentale l’istituzione del matrimonio ha subito molte trasformazioni, parallele ai cambiamenti di significato attribuibili al rapporto di coppia e alla cura dei figli, nati all’interno e all’esterno delle unioni. Fino alla fine dell’800 i bambini erano rappresentati come “piccoli adulti”(1) nati all’interno del legame matrimoniale, che era considerato socialmente e legalmente indissolubile ed era praticamente l’unica forma di vincolo possibile per costruire una famiglia e generare la prole. I casi di separazione ufficiale erano molto rari, e i bambini venivano automaticamente affidati al padre, in quanto considerati come un bene economico. Il miglioramento delle condizioni economiche derivante dall’industrializzazione e la diffusione dell’alfabetizzazione trasformarono in breve tempo quest’immagine del bambino come futura risorsa produttiva per la famiglia, attribuendogli anche un valore di debito economico, cioè un impegno pecuniario di lungo periodo per il mantenimento, la cura e l’istruzione(2) dei figli. Il benessere economico e i cambiamenti sociali trasformarono anche il ruolo della donna sia all’esterno che all’interno della famiglia; da mogli e madri esclusivamente concentrate sulla cura della casa e della prole, economicamente dipendenti dal marito, le donne ebbero accesso all’istruzione, diventarono forza lavoro e fonte di supporto economico per la famiglia. Il processo di emancipazione 1 ( ) J. Piaget (1896 – 1980) fu tra i primi a dimostrare, attraverso i suoi studi sullo sviluppo cognitivo, l'esistenza di una differenza qualitativa tra le modalità di pensiero del bambino e quelle dell'adulto. 2 ( ) In Italia è del 1859 la legge Casati che per la prima volta rende obbligatorio il primo biennio della scuola elementare. In continua evoluzione, l’obbligo scolastico verrà progressivamente innalzato (particolare risalto ebbe la riforma Gentile del 1923, che portava l'obbligo dello studio a 14 anni di età) fino all’attuale soglia dei 16 anni. 5 portò un aumento delle separazioni e, di conseguenza, la necessità di gestire in maniera differente e più approfondita queste situazioni all’interno dei tribunali. All’interno dei cambiamenti sociali che hanno caratterizzato questo periodo tutte le figure presenti nella famiglia hanno subito un processo evolutivo interdipendente: la coppia nei suoi ruoli genitoriali, i bambini nel riconoscimento dei loro tempi di crescita e nei loro bisogni di cura, non solo materiale ma soprattutto emotiva. Anche la legge si allinea e inizia a distinguere questi due aspetti, riconoscendo “l’interesse morale e materiale del bambino” e dividendo i ruoli educativi in famiglia. Il bambino non è più una proprietà del genitore, qualcuno da sfamare e vestire in attesa che possa contribuire al sostentamento della famiglia, ma diventa un bene affettivo, cioè il soggetto centrale all’interno delle dinamiche familiari, che ha dei bisogni specifici, che va tutelato nel suo sviluppo emotivo e messo al centro in caso di separazione dei genitori. Proprio in riferimento al cambiamento di considerazione degli interessi dei minori coinvolti nel processo di separazione, l’affidamento dei figli alla madre diventa un’abitudine. Questo perché essa è la figura genitoriale alla quale è affidato in forma quasi esclusiva il compito di cura e di supporto nel processo di crescita emotiva. Il ruolo del padre era, fino ad allora, principalmente quello di garantire il sostentamento economico e di traghettare i figli all’interno della società. È A partire dagli anni 60’/70’ che i ruoli genitoriali iniziano a modificarsi, in risposta alle evoluzioni sociali: parallelamente all’ingresso della donna nel supporto economico della famiglia e al suo riconoscimento come garante dello sviluppo psico/emotivo del bambino, l’uomo inizia a occuparsi dell’educazione dei figli, della loro cura nella quotidianità e chiede un riconoscimento all’interno delle dinamiche familiari. In particolare nei crescenti casi di separazione e divorzio(3) i padri iniziano a chiedere un maggiore riconoscimento del ruolo acquisito 3 ( ) In Italia il 1° dicembre 1970 viene approvata la legge n. 898, in materia di Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, che introduce l’istituto del divorzio. 6 all’interno della famiglia e desiderano mantenerlo anche dopo la separazione. Accanto a questa esigenza spesso emerge “la volontà della madre di continuare a condividere con il padre il ruolo di genitore”(4). L’AFFIDAMENTO DEI FIGLI: EVOLUZIONE DEI TERMINI Prima dell’entrata in vigore della legge n. 898 (detta “legge sul divorzio”), il codice civile in Italia affermava l’indissolubilità del matrimonio e, come abbiamo visto, all’inizio del secolo scorso l’affidamento era assegnato esclusivamente al padre. Sebbene le evoluzioni sociali avessero in altri paesi già modificato i significati condivisi dei ruoli genitoriali, nel nostro paese rimase a lungo presente il principio della Patria Potestà, secondo il quale solo il padre aveva la potestà genitoriale ed era considerato il genitore più idoneo all’educazione e alla crescita dei figli. Nei rari casi di separazione i bambini erano quindi affidati al padre e la madre, per mantenere in essere il rapporto con i figli, doveva continuare a sottostare al volere del coniuge. Il codice civile prevedeva la possibilità di una separazione solo in caso di colpa (spesso attribuita alla moglie per adulterio o altre trasgressioni alle regole formali o informali che regolavano la vita coniugale); l’attribuzione di responsabilità in caso di separazione rimarrà per lungo tempo radicata nell’immaginario collettivo e nelle aule dei tribunali. Il padre era quindi investito ufficialmente del ruolo di genitore primario, nonostante nella quotidianità fosse effettivamente la madre a prendersi cura della prole e a garantirne lo sviluppo affettivo, soprattutto nei primi anni di vita. All’attribuzione di ruolo esercitata da legislatore nella maggioranza dei casi non corrispondeva il ruolo esercitato. 4 ( ) J.M. Haynes e I. Buzzi, Introduzione alla mediazione familiare, Ed. Giuffrè, Milano, 2012, p. 299. 7 La riforma del diritto di famiglia del 1975(5) porta diversi cambiamenti dal punto di vista legale e risponde alle esigenze di una società in evoluzione. Tra le modifiche più significative si trovano: il passaggio dalla patria potestà alla potestà genitoriale, cioè condivisa dei coniugi. l'eguaglianza tra coniugi (decade la potestà maritale e viene riconosciuta l'eguaglianza fra coniugi). la revisione delle norme sulla separazione personale dei coniugi [dall’esclusiva separazione per colpa si passa alla separazione per intollerabilità della prosecuzione della convivenza. La separazione assume una funzione “curativa” di un rapporto coniugale “malato”(6)]. Il riconoscimento ai figli naturali della stessa tutela prevista per i figli legittimi. La definizione del regime patrimoniale della famiglia (è istituita la comunione dei beni come regime patrimoniale legale della famiglia dove precedentemente era prevista la separazione dei beni, che da qui in avanti andrà dichiarata). In particolare la riforma modificò radicalmente i criteri di affidamento della prole, utilizzando come criterio principale l’interesse e la tutela di quest’ultima. In sede di separazione l’affidamento veniva quindi concesso quasi esclusivamente alla madre, ritenuta il genitore maggiormente in grado di garantire la stabilità ai figli e dare continuità all’azione educativa. Sebbene la nuova normativa legittimasse formalmente il dialogo tra i coniugi nell’esclusivo interesse dei minori, nella pratica le separazioni continuarono per lungo tempo a essere trattate come situazioni di disputa, con affidamento esclusivo ad un unico genitore. I padri, nonostante avessero la possibilità di richiedere l’affidamento dei figli, di solito non lo facevano 5 ( ) legge 19 maggio 1975, n. 151 Riforma del diritto di famiglia. 6 ( ) J.M. Haynes e I. Buzzi, Introduzione alla mediazione familiare, Ed. Giuffrè, Milano, 2012, p. .301 8 perché non erano o non si sentivano in grado di prendersene cura in forma esclusiva. Inoltre i giudici non assegnavano i figli alla madre sono in casi di grave incapacità riconosciuta della stessa (disturbi mentali, uso di sostante, abbandono). Bisognerà aspettare i primi anni ’90 perché in Italia si inizi ad allinearsi ai principi della sua stessa Costituzione(7) e all’evoluzione di molti altri paesi europei e nordamericani, dove entrambi i genitori erano da tempo riconosciuti paritari nel diritto e nella responsabilità di crescere i figli. Seguendo le indicazioni contenute nei diversi trattati internazionali(8) il legislatore modificherà radicalmente la normativa sull’affidamento attraverso la legge n. 54 dell’8 febbraio 2006 sull’affido condiviso; in questo quadro di rinnovo viene affermata la bi-genitorialità, intesa come diritto del minore di mantenere un rapporto stabile e completo con entrambi i genitori, anche in caso di disgregazione del legame affettivo tra i coniugi e la conseguente ristrutturazione familiare. Decade di conseguenza anche il termine potestà genitoriale, in quanto il diritto acquisito riguarda i figli e non più i genitori, chiamati ora ad esercitare la loro responsabilità genitoriale verso il mantenimento, la cura e l’educazione dei figli minori. Non sempre tuttavia ai cambiamenti legislativi corrisponde un già avvenuto cambiamento nella società e nell’applicazione stessa delle leggi; l’abitudine ad affidare i figli alla madre e a trattare i divorzi esclusivamente in termini di contesa all’interno delle aule dei tribunali è ancora molto radicata in Italia. Sicuramente con riferimento anche ad una struttura sociale ancora piuttosto tradizionale, dove il marito si occupa principalmente degli aspetti economici e la moglie della cura della casa e dei bambini, ad oggi le contese in sede di separazione e divorzio sono caratterizzate da meccanismi ricattatori, nei quali i figli spesso sono contesi e strumentalizzati da entrambi i genitori. Le madri possono utilizzarli per ottenere 7 ( ) L’Art. 30 della Costituzione Italiana sancisce il dovere di ambo i genitori di mantenere, istruire ed educare la prole. 8 ( ) Convenzione di New York sui Diritti del Fanciullo (1989), Carta Europea dei Diritti del Fanciullo (1992), Convenzione Europea sull’Esercizio dei Diritti dei Bambini (1996). 9 maggiore apporto economico dal padre, che a sua volta tende a rivalersi dell’allontanamento dal nucleo familiare attraverso i soldi. In merito alla tutela del minore e alla considerazione della separazione come processo di vita relazionale del nucleo familiare, la legge n. 54 del 2006 introduce la possibilità per il giudice di inviare i coniugi in evidente stato di conflittualità alla mediazione familiare, con l’obiettivo appunto di tentare una mediazione e di giungere un accordo. PADRI CON I FIGLI: RUOLO E FUNZIONE PATERNA Come abbiamo accennato, nel corso del tempo l’uomo sta elaborando una diversa competenza genitoriale rispetto a quella di un tempo. Attualmente tale competenza sembra affiancarsi sempre di più a quella materna, in quanto i padri si occupano anche delle cure primarie assieme alla madre, fin dai primi mesi di vita dei figli. Questa evoluzione procede parallelamente al cambiamento che ha riguardato il ruolo della donna nella società odierna: la donna di oggi divide la sua vita tra la cura della casa, l’educazione dei figli e la vita professionale. Il primato del mantenimento economico della famiglia non è più nell’uomo ma è nella coppia. Tanto più la donna esce dalle mura domestiche e si proietta nella società, tanto più l’uomo entra in casa, contribuisce alle faccende domestiche e alla crescita dei figli. Alcune ricerche si sono concentrate sull’analisi del ruolo genitoriale maschile e della sua funzione, del “senso paterno” assimilabile al ruolo e alle funzioni della madre. Secondo E. Greenberg e N. Morris (1974) nell’uomo l’engrossment (occuparsi interamente di, essere totalmente assorbiti, preoccupati, interessati) va considerato un potenziale innato che si attiva con l’esperienza di diventare genitori, ma che ha inevitabilmente un’interazione con gli aspetti culturali dell’ambiente. Anche secondo R. Forleo e H. Zanetti (1987) sarebbe presente, sia nell’uomo che nella donna, una predisposizione ad assumere comportamenti di 10 cura nei confronti dei figli, ma il condizionamento sociale e culturale devia, particolarmente nell'uomo, tale atteggiamento verso altre modalità di interazione più desiderabili ed accettabili dall’ambiente. E. Dowling e G. Barnes (2004), approfondiscono l’idea che non esiste nessuna relazione fissa tra il genere di un genitore e ciò che è in grado di fare o non fare per i figli. Se si risale a definizioni antecedenti, come quella di M. Mead (1949), che parla della paternità come di una pura “invenzione sociale” e la identifica quindi con un comportamento unicamente appreso, si può notare come progressivamente sia stato riconosciuto al padre un ruolo sempre più attivo e presente negli aspetti emotivi e istintuali di cura della prole. Differenziare il concetto di “ruolo” da quello di “funzione” genitoriale, paterna, può essere utile per comprendere meglio l’influenza sociale esercitata sul compito genitoriale: “Mentre il ruolo è definito da un contesto sociale e culturale determinante, la funzione, pur influenzata da fattori sociali nel suo espletarsi, […] è ciò che il padre sente di dover fare, è la sua risposta emotiva ai bisogni del figlio, è la disposizione interiore precedente all’esperienza, che tuttavia si attiva nell’esperienza. La funzione paterna è precedente all’esperienza e al ruolo, anche se normalmente si attiva in ambedue”(9). Ecco allora che, se il ruolo paterno è scivolato nel teatro del sistema sociale, l'uomo può invece fa propria una ricchezza emotiva importante, rappresentata dalla funzione paterna, cioè il processo del sentirsi padre. La psicoterapia della Gestalt offre una visione più ampia e complessa, che sembra integrare gli aspetti del ruolo e della funzione paterne, accogliendo anche il processo di apprendimento dei compiti genitoriali di cui parlava M. Mead. L’attenzione si sposta sulla relazione madre, padre e figlio. non solo il padre occupa un posto e determina la relazione madre bambino come terzo ma, in 9 ( ) P. Brustia Rutto, Genitori.Una nascita psicologica, Ed. Bollati Boringhieri, 1996, p. 24. 11 quanto parte della gestalt relazionale, “nel definirsi “padre” è implicita una definizione del ruolo di “madre”(10). In altri termini non potrà esistere quella madre di quel bambino senza quel determinato padre, e allo stesso modo la relazione madre bambino non è solo influenzata dalla presenza del padre, ma è pregna della funzione paterna, è l’incarnazione di una gestalt relazionale complessa cui partecipano padre, madre e bambino. Il padre, soprattutto nei primi anni di vita del bambino, ma non solo, riveste effettivamente un’importantissima funzione: egli sostiene e in parte determina la relazione madre-bambino proprio grazie al suo modo di essere presente nella famiglia. Con questa funzione egli regola la distanza nel rapporto madre-figlio e assume quindi il regolatore della relazione empatica. All’interno di quello che la scuola della Gestalt definisce il triangolo primario, la funzione paterna trova la sua piena espressione solo se anche la cornice di riferimento è triadica. Secondo questa visione essa non è secondaria e supportiva rispetto ad una relazione considerata prioritaria (quella madre-bambino), ma è significativa in quanto tale, essenziale e preziosa, pregna di valore in quanto partecipa direttamente alla determinazione di un campo relazionale unico, che esiste anche grazie alla sua presenza. LA RICADUTA DELLA SEPARAZIONE Abbiamo visto come la famiglia, nella sua interdipendenza relazionale, permette lo sviluppo di ruoli e funzioni genitoriali; negli ultimi decenni l’uomo ha progressivamente acquisito, attraverso la sua esperienza personale di figlio e i cambiamenti di ruolo all’interno della famiglia, competenze sempre più specifiche nella cura e nell’educazione dei figli, ricavandone una gratificazione personale 10 ( ) M. Spagnuolo Lobb, G. Salonia, Verso un'ecologia della competenza genitoriale - Il contributo della psicoterapia della Gestalt, in Genitori e Figli. Atti del I Convegno di Studi della S.I.P.P.R. - Società Italiana di psicologia e Psicoterapia Relazionale, Taormina 5-6-7 Febbraio 1993. 12 soprattutto in termini affettivi. Come sostiene M. Andolfi (2001), l’evoluzione della figura paterna degli ultimi anni ha visto la nascita del cosiddetto “padre partecipante”, cioè colui che si allontana dalla figura di padre-padrone per creare con i figli una relazione fondata sull’affettività e sulla condivisione. Ne consegue una figura paterna che mantiene le sue prerogative maschili, ma che si dimostra anche disponibile a prendersi cura dei propri figli in modo autonomo e responsabile. L’evento separazione mette in pericolo un intero sistema di relazioni e di ruoli, ed è quindi molto difficile ripristinare gli equilibri; in particolare all’interno delle famiglie dove la cura dei figli è quasi esclusivamente delegata alle madri, i padri si trovano ad affrontare molte difficoltà e a dover attivare le proprie risorse, innate e acquisite, per provvedere ai figli in forma autonoma. Per questo motivo, in passato, i padri in sede di separazione e divorzio non chiedevano l’affidamento dei figli, condizionati dal pensiero collettivo e insicuri rispetto alle loro potenzialità di genitore accudente. Alcuni padri, in assenza delle ex-mogli, hanno concezioni molto diverse sul tempo da dedicare ai figli per sentirsi competenti e fiduciosi come genitori, e questo in parte è connesso al grado in cui la madre permette loro di sviluppare il proprio stile genitoriale dopo il divorzio, indipendente da ciò che lei stessa considera il comportamento “corretto”. Per alcuni padri che non sono stati in grado di sviluppare competenze adeguate, essere criticati dalla ex-moglie crea un grave stress. Il primo anno dopo il divorzio può costituire un periodo particolarmente importante per ristrutturare i legami genitoriali e per stabilire la modalità di coinvolgimento del padre. Alta conflittualità e bassa cooperazione in questo periodo, quindi, possono interferire con lo sviluppo di nuove modalità genitoriali. Il cambiamento nella convivenza e nella quotidianità è un ulteriore elemento di ricaduta sulla relazione padre-figli: nella maggior parte dei casi è infatti il padre a 13 lasciare la casa di famiglia, e questo produce differenti reazioni nei bambini, soprattutto se piccoli. In particolare i figli maschi, ai quali viene a mancare la presenza quotidiana del genitore dello stesso genere, hanno solitamente reazioni aggressive, legate a sentimenti di ansia, angoscia e paura. Il fatto che un padre non viva con i figli non significa però che egli non giochi un ruolo attivo nella loro vita o nel loro sviluppo cognitivo ed emotivo. In alcuni casi la separazione dei genitori, dove la bi-genitorialità viene conservata, il padre può divenire una presenza più forte di quando lo fosse precedentemente, anche grazie al rafforzarsi del legame con i figli che deriva da una più attenta e continuativa funzione di cura. Ogni transizione è un passaggio da una condizione data a una condizione nuova, che ripropone ai genitori e ai membri della famiglia più allargata (non ne sono esenti, per esempio, i nonni) la necessità di rielaborare le relazioni e dare loro nuovi significati alla luce delle mutate condizioni. Appare evidente il collegamento nella trasformazione del ruolo di padre, che con l’evento separazione si trova a dover far fronte ad innumerevoli cambiamenti nella forma e nella sostanza, e la necessità di creare nuove modalità di relazione. In alcuni casi il mantenimento della cogenitorialità è messo a rischio fin dai primi momenti in cui la coppia decide di separarsi. Il conflitto coniugale spesso si riflette sulle competenze genitoriali, e i figli si trovano ad essere triangolati in giochi di potere e di vendetta. In questo senso va considerato che i genitori, nel rivolgersi ad un istituzione esterna, sono alla ricerca di un contenimento e di un sostegno, che può non risolversi nelle aule dei tribunali, e che una lettura in termini psicologico-relazionali può essere utile per il contenimento del conflitto. Una possibilità parallela a quella giudiziale e particolarmente utile, in alcuni casi, può essere quindi la mediazione familiare. 14 ALTA CONFLITTUALITÀ E DIFFICOLTÀ NELL’APPLICAZIONE DELLE LEGGI Nonostante in Italia dal 2006 sia in vigore l'affido condiviso, che come abbiamo visto stabilisce di assicurare la bigenitorialità al minore con l'affidamento dei figli ad entrambi i genitori e prevede che entrambi i genitori debbano provvedere al sostentamento economico dei figli, molte associazioni di padri separati denunciano che il cambiamento resta spesso solo sulla carta, perché l’applicazione e l'orientamento dei tribunali rendono nulli i propositi del legislatore. I giudici concedono l’affido condiviso solo formalmente, perché i contenuti dei provvedimenti, ossia i tempi di permanenza con i figli e l'assegno di mantenimento, sono ancora quelli dell'affidamento esclusivo. Il mantenimento diretto viene negato praticamente sempre, anche tra due ex-coniugi con lo stesso reddito. In base a un principio non scritto, ma consolidato, non viene garantita la parità e la donna diviene portatrice di diritti consolidati, mentre all'uomo competono prevalentemente doveri di tipo economico. Ponendo l’accento sull’aspetto economico, la separazione e il divorzio sono innegabilmente un costo per la famiglia, e spesso il nucleo non è più in grado di conservare lo status economico antecedente. Il mantenimento di due case, i costi degli spostamenti e il mantenimento dei figli, porta ad un impoverimento del nucleo familiare che affronta il processo di separazione: se fino ad alcuni anni fa questo cambiamento riguardava principalmente i padri, ora il fenomeno è diffuso e riguarda quasi in egual misura entrambi i genitori. Il principio della conservazione del tenore di vita precedente è utilizzato per quantificare gli assegni per coniuge e figli. Quando l’uomo è il principale garante del supporto economico, e in presenza di alta conflittualità tra gli ex-coniugi, è su di lui che ricadono le maggiori ripercussioni economiche, dovendo garantire il mantenimento anche alla moglie. 15 L’aspetto economico assume ulteriore valenza quando viene strumentalizzato nelle dispute tra i coniugi in corso di separazione o divorzio. Mogli particolarmente risentite, che cercano di far ricadere sull’ex-coniuge la colpa della fine del matrimonio, utilizzano in maniera ricattatoria l’ascendente che hanno con i figli, che con lei trascorrono la maggior parte del tempo, per mettere in cattiva luce il padre e allontanarlo anche affettivamente. A loro volta i padri, che spesso hanno dalla loro parte il potere dato dai soldi, utilizzano l’aspetto economico per punire la ex-moglie, mantenendo viva la dipendenza e tralasciando gli interessi dei figli. In alcuni casi questi processi conflittuali caratterizzati dalla disputa degenerano in situazioni altamente patologiche. LA P.A.S. E LA SINDROME DELLA MADRE MALEVOLA Lo psichiatra R. Gardner (1931 - 2003), fu il primo a ipotizzare la PAS (Parental Alienation Syndrome) e la definì come “un disturbo che insorge primariamente nel contesto di conflitti sulla custodia dei bambini. La sua principale manifestazione è la campagna denigratoria di un bambino contro un genitore, campagna che non ha giustificazione. Il disturbo risulta dalla combinazione di indottrinamento dal genitore alienante e i contributi propri del bambino allo svilimento del genitore alienato”(11). Sebbene non sia riconosciuta ufficialmente nel campo psichiatrico e sia stata oggetto di numerose critiche, [attualmente non è inserita nell’ultima edizione del DSM(12)], la Sindrome di Alienazione Genitoriale non è rara nelle famiglie in cui i genitori si separano e dove è presente un livello di conflittualità molto elevato. L’atteggiamento dei genitori che si separano nei confronti dei figli è fortemente condizionato dai personali sentimenti di colpa e inadeguatezza, e spesso attivano 11 ( ) Gardner, R.A. Gardner, "Recent Trends in Divorce and Custody Litigation". Academy Forum. cit. da id. (2001).Parental Alienation Syndrome (PAS): Sixteen Years Later". Academy Forum. 12 ( ) DSM-V: Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali. 16 dei comportamenti che riflettono il loro malessere Sono più nervosi a causa della situazione, quindi anche più irritabili e perdono più spesso la pazienza; attraversano periodi di depressione e hanno meno cura dei figli, sono meno disponibili emotivamente, oppure fanno dei figli i propri confidenti, occupandosi molto meno dei loro problemi personali di bambini. A volte i genitori disciplinano meno i figli, in quanto hanno forti sensi di colpa e vorrebbero discolparsi rendendosi più attraenti. Molti genitori affidatari discutono della separazione con amici e parenti alla presenza dei figli piccoli. Il genitore che non vive con i figli sovente perde i contatti con i propri figli, in quanto il loro senso di colpa per aver spezzato l’unione familiare li allontana e non collaborano più con il genitore affidatario. Questa distanza produce un’inevitabile alleanza tra i figli e il genitore che resta accanto. In un quadro così compromesso, che all’interno delle dispute giudiziarie si può prolungare anche per molti anni, l’astio e il desiderio di rivalsa dei genitori contribuisce a rendere fertile il terreno per l’insorgere della Sindrome da Alienazione Parentale. Sembra non essere presente alcuna differenza di genere tra l’essere genitore alienante o alienato, quindi il genitore alienante può essere indistintamente il padre o la madre; fondamentale è piuttosto la variabile genitore affidatario o non affidatario, per cui il genitore alienante è sempre quello affidatario. Sebbene non sia la regola, di solito la madre assume il ruolo di genitore alienante, in quanto detentrice dell’affidamento dei figli minori, e il padre diventa il genitore alienato. La Sindrome di Alienazione Parentale è considerata quindi come un disturbo che emerge quasi esclusivamente nel contesto delle controversie per la custodia dei figli: un genitore “alienatore” (di solito la madre affidataria) pone in essere un vero e proprio programma di denigrazione contro l’altro genitore “alienato” (solitamente il padre che è uscito di casa), fino ad allontanarlo totalmente, ad 17 alienarlo appunto, dalla vita del figlio. Occorre tuttavia premettere che non tutte le ipotesi di denigrazione di un genitore nei confronti dell’altro possono ricondursi allo schema della Sindrome di Alienazione Parentale. Non è sufficiente che un genitore ostacoli semplicemente il rapporto dell’altro genitore con i bambini, o che manifesti una certa ostilità nei suoi confronti, cercando di trascinare il figlio dalla propria parte nella disputa legata alla separazione. Perché possa parlarsi di vera Sindrome di Alienazione Parentale infatti è necessario che sussistano alcune precise condizioni. In primo luogo, il genitore alienato deve essere “innocente”, cioè non deve sussistere la presenza di reali abusi o di un effettivo atteggiamento di trascuratezza e disinteresse. In secondo luogo, occorre che il bambino rivesta un ruolo attivo nel processo di alienazione: il bambino fornisce un suo personale contributo alla campagna di denigrazione. La PAS può scattare quando i figli hanno 8/9 anni, in quanto i figli più piccoli non hanno capacità cognitive sufficienti per essere buoni alleati e sono meno affidabili, anche se a livello empatico possono dimostrarsi molto più vicini al genitore che si prende cura di loro. La Sindrome è infatti tipica dei figli adolescenti e può riscontrarsi anche in figli più grandi. Il fatto che il genitore alienante sia quasi sempre la madre associa La Sindrome della Madre Malevola alla PAS; la Sindrome della Madre Malevola nei casi di divorzio evidenzia nel genitore affidatario un modello di comportamento caratterizzato da: una madre che senza giustificazione punisce il marito da cui sta divorziando o ha divorziato, tentando di alienare i figli dal padre e coinvolgendo altri in azioni malevole contro lo stesso, spesso intraprendendo un contenzioso giudiziario eccessivo. 18 una madre che tenta di impedire le visite regolari dei figli al padre, le libere conversazioni telefoniche tra i figli e il padre, la partecipazione del padre alla vita scolastica e alle attività extracurricolari dei figli. lo schema è pervasivo e comprende azioni malevole come mentire ai figli, mentire ad altri, violare la legge. Il disturbo non è specificamente dovuto ad un altro disturbo mentale, pur potendo coesistere con un altro disturbo mentale distinto. La descrizione della Sindrome della Madre Malevola presenta molti problemi clinici, legali e scientifici importanti. Sotto l’aspetto clinico le famiglie in cui si manifesta la sindrome sono soggette a gravi episodi di stress e angoscia. Tuttavia non vi è chiarezza scientifica su come affrontare il fenomeno. Molti terapisti non sono consapevoli di questo schema di comportamento malevolo, e vengono ingannati nel trattare questi casi, fino ad arrivare a testimoniare in Tribunale che non vi è niente di anomalo nel comportamento della madre coinvolta. Sotto l’aspetto legale ci sono avvocati che possono, involontariamente, incoraggiare questo tipo di comportamento, o addirittura legali che incoraggiano intenzionalmente questo comportamento in quanto ne ricavano un tornaconto legato alla durata dell’azione legale. Nessuna donna che abbia questo tipo di comportamento infatti perde il diritto all’assegno di mantenimento, a meno che non sia affetta da disturbi così gravi da perdere la custodia dei figli. Così molti padri denunciano una notevole frustrazione quando essi e i loro figli sono esposti a questo tipo di comportamento, evidenziando una diffusa discriminazione, testimoniata ad esempio dal fatto che il rigore che viene applicato per far rispettare l’ordinanza relativa all’assegno di mantenimento non viene invece esercitato nel far valere il diritto di visita da parte del padre. In conseguenza di questi pregiudizi i padri diventano senza volerlo vittime relativamente inermi del sistema. 19 Certo occorre affrontare il problema dell’incidenza del disturbo secondo il genere; la maggioranza dei genitori affidatari sono donne, anche se è possibile che un uomo a cui è stata affidata la custodia dei figli abbia lo stesso tipo di comportamento alienante. Ciò significa che esista anche la possibilità che si presenti una parallela sindrome del “padre malevolo”. La Sindrome da Alienazione Parentale è invece identificabile da alcuni “sintomi” primari quali: la campagna di denigrazione nei confronti del genitore bersaglio(13); la razionalizzazione debole dell’astio, ossia le motivazioni deboli, futili, spesso illogiche su cui si fonda l’astio del bambino; la mancanza di ambivalenza, vale a dire il giudizio totalmente negativo del bambino nei confronti del genitore; il fenomeno del pensatore indipendente, ossia la convinzione del bambino di aver elaborato una propria visione negativa senza alcuna influenza del genitore alienante; l’appoggio automatico da parte del figlio al genitore alienante; l’assenza di sensi di colpa nel bambino; gli scenari presi a prestito, cioè espressioni, situazioni, termini che normalmente un bambino non conosce e che possono essergli state inculcate solo da un adulto; l’estensione delle ostilità alla famiglia allargata del genitore alienato. 13 ( ) La campagna è realizzata attraverso una programmazione suddivisa in 5 fasi: 1. guadagnare accondiscendenza: è per questo motivo che il bambino deve essere giunto ad un livello di sviluppo cognitivo e morale sufficiente per la programmazione. 2. testare come funziona la programmazione, sovente attraverso domande dirette al bambino volte a confermare la benevolenza del genitore alienante. 3. misurare la lealtà guadagnata del bambino. 4. generalizzazione ed espansione del programma sulle persone che si sono alleate all’altro genitore, e sugli oggetti o gli animali che gli appartengono. 5. mantenere il programma. 20 Le motivazioni dei genitori programmanti nascono dal loro bisogno di vendicarsi dell’altro, o dal profondo rifiuto che sentono nei confronti dell’altro genitore, peggiore se a causa di un tradimento o una profonda umiliazione personale. È presente un forte auto-convincimento delle proprie ragioni cui si affianca un meccanismo simile a quello del nemico, che porta a innalzare la propria autostima grazie alla lotta per la dimostrazione di essere moralmente migliori dell’altro, e quindi educativamente migliori. A ciò si aggiunge sovente una forte gelosia nei confronti dell’eventuale nuovo partner dell’altro, il quale è spesso identificato come un rimpiazzo di sé. In questa tempesta emotiva sovente i genitori programmanti finiscono col perdere di vista i sentimenti personali dei figli e col proiettare su di essi i propri sentimenti per assicurarsene il sostegno. Va sottolineato che se il genitore programmante ferma la programmazione, la Sindrome da Alienazione Parentale progressivamente scompare. EFFETTI DELLA SINDROME DA ALIENAZIONE PARENTALE SUI FIGLI Gli effetti della Sindrome da Alienazione Parentale sui figli dipendono: dalla severità del programma; dal tipo di tecniche di lavaggio del cervello utilizzate; dall’intensità con cui viene portato avanti il programma; dall’età del figlio e dalla sua fase di sviluppo, oltre che dalle lue risorse personali; dalla quantità di tempo che essi hanno trascorso coinvolti nel conflitto coniugale. L’impatto della PAS comunque non è mai benigno, perché coinvolge manipolazione, rabbia, ostilità e malevolenza, a prescindere dal fatto che il genitore programmante ne sia più o meno consapevole. Ciò che si ottiene sui figli è 21 sempre un grave lutto di una parte di sé. Sappiamo bene che alcuni figli continuano a sperare nella riunione dei genitori, e in questi casi di alienazione si assommerà la vergogna per aver volutamente perso un genitore. Quando i ragazzi alienati ricostruiscono l’accaduto e lo disvelano a se stessi, finiscono per escludere anche il genitore programmante, rischiando una seconda perdita (14). Il minore subisce una violenza emotiva che spesso produce significative psicopatologie sia nella vita presente sia nella vita futura; questi ragazzi possono sviluppare potenti sentimenti di ostilità, si presentano come soggetti che si introducono volontariamente nei conflitti con modalità antagonistiche, possono essere irrispettosi, non collaboranti, ostili, maleducati, ricattatori e ricattabili, vanno male a scuola, fanno della manipolazione uno strumento relazionale. Non è raro che in questi casi aumenti anche l’ostilità manifesta tra fratelli. I ragazzi alienati dovranno affrontare forti sensi di colpa, cui si affiancheranno le paure di abbandono e della perdita dell’amore del genitore programmante. Sovente i figli escono da questa ambivalenza con strategie autodistruttive, autocolpevolizzanti e autolesioniste. È possibile inoltre che figli alienati tendano a diventare genitori programmanti. Questi ragazzi presentano quasi sempre disturbi dell’identità, spesso della sfera sessuale, e sono più vulnerabili alle perdite e ai cambiamenti. Sono i figli più fragili e dipendenti a essere vulnerabili alla programmazione, quelli con bassa autostima o che si sentono colpevoli per qualcosa che pensano di aver fatto; infine i soggetti che avevano problemi emotivi o psicologici già presenti al momento della separazione dei genitori. 14 ( ) I. Buzzi, La Sindrome di Alienazione Genitoriale. In Cigoli V., Gulotta G. & Santi G. (a cura di), Separazione, divorzio e affidamento dei figli, Ed. Giuffré, Milano, II Ed., 1997, pp 177-188. 22 IL GENITORE BERSAGLIO Il genitore bersaglio, di solito il padre verso il quale è indirizzata la programmazione del genitore alienante, a volte rinuncia effettivamente alla relazione con i figli; questa scelta, dettata dalla frustrazione e dai continui attacchi ricevuti, genera una situazione di assenza di confronto con la realtà. Se infatti viene a mancare il contatto con l’altro genitore è più facile che i figli cadano vittime della programmazione, perché non può esserci confronto tra programma e realtà. Esercita un ruolo importante in queste situazioni il tessuto sociale circostante che, se non tutela la figura del genitore non affidatario, rischia di innescare una alleanza sociale col genitore programmante. Il genitore bersaglio che lascia la famiglia non intende solitamente separarsi dai figli, ma solo dal proprio coniuge; inizialmente rimane disarmato di fronte alla volontà di allontanamento che i figli gli dimostrano, e nella sua posizione di debolezza passa dalla rabbia, alla protesta, alla confusione e alla depressione. Progressivamente molti genitori bersaglio finiscono per desistere nei loro tentativi di vedere i figli, perdendo così la possibilità di sviluppare e mantenere una relazione d’intimità. Questo in seguito peserà nell’eventuale processo di riavvicinamento voluto dai figli, e aumenterà le difficoltà di rapporto legate all’estraneità venutasi a creare. Per affrontare il delicato momento del contenzioso giudiziale e garantire ai figli la normalità dei rapporti con entrambi i genitori, il genitore bersaglio dovrebbe adottare alcuni comportamenti ideali: 1. Capire il problema da affrontare senza scoraggiarsi e considerarsi esclusivamente una vittima. 2. Non demordere neanche di fronte al più ostile mobbing genitoriale o alle accuse infondate rivolte dai figli stessi. 23 3. Dimostrare di essere persone di buon senso, per bene, e di avere a cuore prima di tutto il benessere dei figli. 4. Saper controllare le emozioni, gestire la rabbia e non cercare vendetta; dimostrare tutta la tenacia che serve per affrontare i tempi di un lungo percorso giudiziale. 5. Seguire alla lettera i consigli dell'avvocato e del consulente psicologo. Le dinamiche familiari in questi contesti non sono molto conosciute e quindi molte delle cose che fate possono essere mal interpretate ed usate contro di voi. 6. Avere la consapevolezza che sarà necessario affrontare ingenti spese finanziarie per avvocati e terapisti. 7. Mantenere un diario dei fatti ammissibile in Tribunale e non violare le sentenze dei Tribunali. 8. Presentarsi sempre agli incontri previsti con i bambini, anche sapendo che potrebbero essere assenti o potrebbero rifiutare l’incontro. Questo è indispensabile per dimostrare ai figli, momentaneamente ostili, che si desidera stare con loro e che gli si vuole bene. Consente inoltre di dimostrare al Tribunale le proprie buone intenzioni, smentendo l'eventuale accusa di mancanza di interesse nei figli. 9. Rendere gradevole il contatto con i figli e mai coinvolgerli nella lite legale con il coniuge. Non parlare male dell'altro genitore, non mostrare ai figli documenti giudiziari o far loro sentire conversazioni inappropriate. 24 LA FIGURA DEL PADRE IN MEDIAZIONE Come abbiamo visto nei precedenti paragrafi, la mediazione come strumento utile nella gestione della separazione e del divorzio è stata per la prima volta riconosciuta all’interno della legge n. 54 del 2006 sull’affido condiviso. Sebbene il Giudice possa inviare la coppia conflittuale in corso di separazione ad una mediazione familiare, di solito è lasciata alla coppia stessa la decisione di avvalersi di tale strumento. Nel caso poi che il tribunale non sia stato coinvolto (più spesso in caso di coppie di fatto), la scelta di attivare una mediazione familiare è a sola discrezione della coppia, e si basa su quattro assunti di base: 1. La mediazione è un confronto amichevole, sede di accoglimento dei bisogni emotivi oltre che economici e organizzativi. Presuppone che ci sia un’intenzione comune ad affrontare le difficoltà attraverso il dialogo, anche in situazioni che al primo impatto sembrano molto conflittuali e difficilmente risolvibili. Questo tendenzialmente preclude la partecipazione ad una mediazione familiare di coppie prive dell’intenzione di cercare un accordo, come anche quelle descritte nei precedenti paragrafi, dove i sentimenti di rabbia e frustrazione prevalgono e gli ex-coniugi sono quasi esclusivamente orientati alla contesa e alla ricerca di rivalsa. In queste coppie abbiamo infatti visto che gli interessi dei figli, se presenti, passano in secondo piano, mentre è proprio per il bene della prole che le coppie spesso scelgono la mediazione. 2. La mediazione avviene in privato, quindi garantisce ai partecipanti riservatezza e discrezionalità, coinvolgendo un numero limitato di figure, e solo su esplicita richiesta della coppia (avvocati, consulenti). 3. La mediazione è meno costosa, dato che coinvolge solitamente un unico professionista; inoltre offre una professionalità specifica sulla gestione del conflitto intrafamiliare, oltre che adeguate competenze a livello legale ed economico. Va sottolineato che le contese legali sono molto lunghe e costose, e 25 spesso gli avvocati stessi curano più i loro interessi rispetto a quelli degli assistiti, alimentando e prolungando la disputa. 4. La mediazione è più veloce, in quanto avviene attraverso il confronto diretto, e ha dei tempi di svolgimento significativamente più rapidi rispetto a quelli legali. L’aspetto della genitorialità e la preoccupazione per il benessere dei figli, quando presenti, è sicuramente predominante e spesso rappresenta la prima motivazione portata dalla coppia che accede alla mediazione. Oltre ad essere presente una seduta strutturata appositamente per affrontare le questioni legate all’organizzazione dei turni di cura dei figli minori, nella mediazione i sentimenti legati al ruolo genitoriale e al rapporto con i figli sono costantemente presenti e richiamati, sia dai partecipanti che dal mediatore stesso. Per i genitori il tema dei figli, la loro tutela nel processo di separazione, la preoccupazione delle ricadute che le loro decisioni potrebbero avere sulla prole sono argomenti che stimolano sentimenti molto forti, quali rabbia, senso di colpa, frustrazione e sconforto. Contemporaneamente tuttavia le stesse questioni, spesso cariche di conflittualità, sono il mordente più forte per restare in mediazione e giungere ad individuare l’interesse comune, mettendo da parte rancori e pretese. Il mediatore richiama spesso la coppia al pensiero dei figli, ai loro bisogni e al loro benessere, come anche alle aspettative che i genitori anno per il futuro dei propri figli; in questo processo i figli diventano “strumento” per il mediatore, al fine di permettere alla coppia in fase di separazione di concentrarsi sugli interessi comuni, di condividere un bisogno reciproco (dare sicurezza e stabilità alla prole) e di comprendere reciprocamente che, al di là dei contenuti, esiste un obiettivo comune. In merito alla figura sulla quale si è concentrato questo breve elaborato, abbiamo visto come nel tempo il ruolo e le funzioni del padre si sono evolute all’interno della famiglia e nella cura della prole. A fronte di una legislatura che applica ancora 26 oggi forme di affido che richiamano quello esclusivo, e che tende a porre la figura del padre in secondo piano rispetto alla madre, la mediazione diventa un contesto particolare, all’interno del quale i padri possono portare e condividere il loro desiderio di essere presenti e di farsi carico in egual misura dell’educazione e dello sviluppo dei figli. Va sottolineato inoltre che nella nostra società si assistite ad un progressivo aumento delle separazioni, conseguenza anche della fragilità dei rapporti di coppia e della tendenza a concentrarsi sul personale bisogno di generare e crescere dei figli, a discapito a volte dell’investimento nella relazione affettiva con il partner. Molti padri, preoccupati di vedere ridotto o sminuito il loro ruolo genitoriale dai decreti del tribunale e dalla conflittualità prolungata con l’ex coniuge, trovano quindi nella mediazione lo spazio ideale per preservare i loro diritti e farsi carico dei doveri derivanti dall’essere genitori. Va anche posto l’accento sul fatto che, come abbiamo visto, anche il ruolo della donna nella famiglia si è modificato; dove il padre è riconosciuto come figura presente e importante per il benessere dei figli, sono le madri stesse che condividono il bisogno di dare continuità al legame affettivo, e ritengono l’ex compagno indispensabile per garantire una buona azione educativa. Inoltre, nell’organizzazione della quotidianità, la collaborazione e il supporto reciproco permettono il mantenimento di uno status economico accettabile, seppur ridotto rispetto a prima della separazione. La donna infatti spesso lavora, oppure si prefigge di trovare un lavoro per rendersi autonoma e contribuire economicamente alla cura dei figli. Infine sono i figli stessi, dove hanno costruito un rapporto affettivo solido con il padre, a temere di perderlo quando con la separazione quest’ultimo lascia la casa di famiglia, ed esprimono direttamente il loro bisogno, anche in presenza di forte acredine tra i coniugi. 27 CONCLUSIONI La scelta dell’argomento trattato in questo elaborato parte dalla mia esperienza personale, prima di figlio all’interno di una famiglia in cui il conflitto derivato dalla separazione ha portato molte difficoltà, poi di padre separato e impegnato nella costruzione di un ambiente sereno dove far crescere mio figlio. Attraverso le scelte dei miei genitori e la storia della mia famiglia ho visto e vissuto in prima persona le difficoltà di un padre che si è allontanato da casa, per imposizione ma anche per scelta, in un periodo storico in cui i divorzi erano in parte una novità, e dove la vicenda giudiziaria ha ripercorso in modo simmetrico le tappe che molti studi evidenziano. L’affido esclusivo alla madre, la mancanza di una figura genitoriale presente nella quotidianità, la tendenza a chiedere ai figli di schierarsi, senza che questo voglia intenzionalmente andare ad intaccare il desiderio di protezione. Nella mia esperienza di padre ho fatto tesoro della sofferenza e delle mancanze, come anche degli sforzi fatti dai miei genitori per cercare di garantirci la serenità, seppure all’interno di un conflitto sempre acceso e logorante. La mia separazione rappresenta in qualche modo l’evoluzione del rapporto di coppia e dell’investimento che i genitori hanno sui figli, e ritrova quotidianamente il reale cambiamento che sta avvenendo nella nostra società. I principio di responsabilità condivisa dei genitori, di centralità dei figli e di garanzie civili e legali nell’affrontare la separazione, come anche nella gestione di una quotidianità complessa e di una famiglia allargata con tante figure, ma anche tanto affetto. In questo processo sono state fondamentali la disponibilità alla mediazione e al confronto, la capacità di esprimere il conflitto per renderlo costruttivo. Lo spazio di dialogo e comprensione reciproca, necessario nella coppia che chiude un legame 28 affettivo restando genitori, possono essere trovati all’interno delle proprie risorse, oppure cercati nel supporto di un professionista. L’adesione al corso professionale per mediatori familiari è stato per me un’ulteriore passo per mettermi in gioco, per raccogliere spunti utili da mettere in pratica ogni giorno, sia nella vita personale che in quella lavorativa, dove il conflitto è spesso presente nella sua forma più severa. Accompagnare le persone ad affrontare la paura che il conflitto produce, rappresentata nella rabbia e nella recriminazione, traghetta le persone attraverso un tempo soggettivo, in cui i sentimenti prendono forme diverse, meno spigolose, e si scoprono molto simili, capaci a volte di incastrarsi in un meccanismo che riavvicina. 29 BIBLIOGRAFIA Andolfi M., “Il padre ritrovato. Alla ricerca di nuove dimensioni paterne in una prospettiva sistemicorelazionale”, Ed. F. Angeli, 2001. Brustia Rutto P., “Genitori. Una nascita psicologica”, Ed. Bollati Boringhieri, 1996. Buzzi I.: “La sindrome di alienazione genitoriale”. In Cigoli V., Gulotta G. & Santi G. 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