Scuola di Storia della fisica Corso di formazione l’evoluzione del concetto di campo dall’ottocento ai giorni nostri MEMO Multicentro Educativo di Modena Sergio Neri Col patrocinio del Comune di Modena 27 novembre – 1 dicembre 2006 Perché una teoria relativistica del campo gravitazionale deve essere tensoriale Silvio Bergia Dipartimento di Fisica, Univ. di Bologna INFN, Sezione di Bologna ``What is (not) wrong with scalar gravity’’ Domenico Giulini arXiv:gr-qc/0611100 19/11/2006 Una teoria relativistica del campo gravitazionale Una breve Premessa storica Perché deve essere tensoriale Una costruzione autoconsistente delle equazioni di campo Il limite non relativistico Ci vogliono anche le equazioni del moto! La prima versione di Nordström e il perché del cambiamento di rotta da parte di Einstein Somiglianza formale delle equazioni di campo con quelle della teoria einsteiniana La teoria formulata è in effetti un’approssimazione (linearizzata) della teoria completa, valida in approssimazione di campo debole. Serve a qualcosa? Per esempio per trattare le onde gravitazionali. Premessa storica “In 1907, it seemed that any number of minor modifications could make Newtonian gravitation theory compatible with Einstein’s new new special theory of relativity”.* “In particular, what of the possibility of a small modification to Newtonian gravitation theory in order to render it Lorentz invariant and thus compatible with special relativity? Had Einstein considered this possibility? It turns out that Einstein had considered and rejected this conservative path in the months immediately prior to his first publication of 1907 on relativity and gravitation.”** John D. Norton, “Einstein and Nordström: Some Lesser-Known Thought Experiments in Gravitation”, in The Attraction of Gravitation, edited by J. Earman, M. Janssen, J.D. Norton, Birkhäuser, Boston, 1993: * p.3; ** p. 4. Perché una teoria relativistica del campo gravitazionale deve essere tensoriale Abbiamo un esempio: quello dell’elettromagnetismo F 4 j c F , 0 1 A 4 c t 2 1 A 1 4 2 A 2 2 A J c t c t c 2 Le relazioni fra campi e potenziali nondeterminano questi ultimi univocamente: i campi vanno in se stessi sotto la trasformazione, detta di gauge, A A dove x e Λ è una funzione arbitraria del punto. Nel gauge di Lorentz 1 2 A 4 2 A j 2 2 c t c j (c , J ) (1 j 0 Campi o potenziali? La teoria newtoniana provvede un’equazione per il (un) potenziale: 2 4G (2 che presenta una somiglianza formale con la (1). Non ci è dato nulla che presenti una somiglianza formale con le equazioni elettrodinamiche scritte in termini dei campi propriamente detti. La teoria einsteiniana della gravitazione – non solo quindi la sua forma linearizzata – è formulata in termini di potenziali e non di campi. La (2) soddisfa a due requisiti richiesti da una teoria di campo: Le sorgenti sono descritte da una densità Le soluzioni sono funzioni del punto E però sono statiche: il campo (del potenziale) non si propaga. La somiglianza formale suggerisce un’immediata estensione della (2): 2 dovrebbe essere sostituito da 1 2 2 2 2 c t Osservazione parentetica: l’operatore differenziale in questione è relativisticamente invariante. Infatti per l’operatore x' x x' x x vale la regola di trasformazione Le si trasformano quindi come le componenti di un quadrivettore covariante (“secondo le derivate delle vecchie coordinate rispetto alle nuove”). Le 1 0 0 0 0 -1 0 0 0 0 -1 0 0 0 0 1 (η è il tensore metrico: ) si trasformano allora come le componenti di un quadrivettore controvariante. è quindi un invariante. Ma x x 2 x 0 2 e dunque (cvd) è un invariante l’operatore 1 2 2 2 2 c t Il campo incognita dell’equazione di Poisson è scalare. Verrebbe fatto di dire: l’estensione relativistica naturale si otterrà semplicemente sanzionando che le soluzioni della nuova equazione siano scalari invarianti di Lorentz. L’idea fu sanzionata dal fisico finlandese Gunnar Nordström nel 1907 (cfr. Norton, op. cit. p. 9). Norton esaminò a fondo la (amichevole) critica mossa da Einstein a questo lavoro. Forti del senno di poi seguiremo qui una strada indipendente. Allora il primo membro sarà a sua volta uno scalare invariante di Lorentz. Ma, se è così, dovrà esserlo anche il secondo membro. Ma ρ non lo è: per una trasformazione speciale di Lorentz da S’ a S dV dxdydz 1 dm dV dm v2 1 2 dV ' c v2 c 2 dx 1 dx' dy' dz ' 1 dm 1 ' v 2 dV ' v2 1 2 1 2 c c v2 c 2 v2 c 2 dx' dV ' 1 (m è un invariante!) Ma una massa può scomparire, la corrispondente energia di riposo trasformandosi integralmente (caso dell’annichilazione elettrone-positrone) in energia cinetica. E non possiamo pensare che l’energia, l’energia cinetica in particolare, “non graviti”. Si dovrà sostituire alla densità di massa una densità d’energia. Ma le cose vanno allora ancora peggio: E/c è la componente temporale del quadrivettore energia-impulso e, come tale, si trasforma secondo la E' E E ' v2 1 2 c Passare da m a E, anziché eliminare il fattore γ, ne introduce un secondo! Parentesi: Come si trasformano le componenti del quadrivettore energiaimpulso (sotto una trasformazione speciale di Lorentz)? E' E 0 0 1 P ' ( P P ) ( Px ) c c Se il sistema di riferimento “senza apice” è quello comovente, l’impulso è nullo. La densità d’energia DEVE figurare come sorgente. E non è un invariante. Ma – e questo è il punto centrale – è UNA COMPONENTE DI UN TENSORE DOPPIO SIMMETRICO. Introduciamo questo tensore. Denotiamo con 0 ( x) (x indica la dipendenza generica dall’evento) la densità propria del fluido, cioè quella che sarebbe misurata da un osservatore in moto con il fluido, e con dx x u x ds (le componenti della) “quadrivelocità” del filetto di fluido. N.B.: la densità è quella di massa relativistica: per avere quella d’energia basta moltiplicare per c2; s è l’elemento di linea. Si può alternativamente usare τ, ottenendo una quadrivelocità senza virgolette. Introduciamo allora: dx x dx x T x 0 x ds ds Si tratta delle componenti di un tensore doppio simmetrico. Osservato che dx 0 d ct dt ds d c d abbiamo T 00 T 00 1 v2 1 2 c 0 2 è quindi proprio la “densità di massa relativistica” vista da un sistema inerziale esterno rispetto al quale il filetto di fluido ha il corrispondente valore di γ (la corrispondente densità d’energia si ottiene da essa moltiplicando per il quadrato di c). Poiché, come abbiamo detto, la densità d’energia deve figurare come sorgente ed è d’altra parte una componente di un tensore, sarà quel tensore che si candida a costituire la sorgente. Quel tensore? Proprio quello? Ci torneremo. Per il momento vediamo di analizzarne le altre componenti. Si verifica facilmente che si ha T 0i i u c (si tratta quindi delle componenti della densità d’impulso) e T ij Per comprendere pienamente il significato fisico del tensore, è opportuno considerare le equazioni T x T T , 0 u iu j c2 Se ne ottengono le equazioni esplicite seguenti: dalla T 0 , 0 u 0 t la che esprime la legge di conservazione locale della massa-energia. Dalle le T i , 0 u i i u u 0 2 t c Quella che compare in parentesi quadra è la derivata euleriana delle componenti della velocità. Le equazioni descrivono allora il moto libero del fluido; in altri termini, la conservazione delle tre componenti dell’impulso. Abbiamo capito che cosa sono le componenti 00 e 0i del tensore: ma che cosa ci stanno a fare le componenti i j? L’integrazione su un volume arbitrario della u 0 t ci porta alla d 0i ˆ dV u n dS c T d i dt V S S i d i ni dS dove Quella delle u i i u u 0 2 t c alle d i 2 ij u dV c T d j dt V S L’impulso all’inteno di un volume può variare se c’è un flusso della “densità di sforzo”. Ammesso che sia un tensore di questo tipo a dover a descrivere le sorgenti della gravitazione, ci siamo chiesti se, nel caso, dovrà essere proprio questo. La risposta sta nell’osservazione che esso è il “tensore energiaimpulso” per un fluido piuttosto particolare: non potrebbe costituirlo, per esempio, per il caso che si trattasse di un gas, visto che i gas sono caratterizzati, oltre che da una densità, anche da una pressione; né, per motivi analoghi, potrebbe costituirlo per un campo elettromagnetico, che è pure portatore di energia e impulso. In ogni caso però ci si riduce a un tensore doppio simmetrico. Abbiamo detto che la densità di massa-energia deve essere sorgente della gravitazione. Ma siamo sicuri che questo comporti che le sorgenti in generale debbano essere descritte da un tensore energia-impulso? La risposta è sì, e la ragione risiede nel fatto che una trasformazione di Lorentz da un sistema in cui sussista la sola componente 00 ad un altro fa di norma comparire altre componenti del tensore. A questa ragione, di per sé sufficiente, affianchiamo altri motivi che, in assenza di essa, ci renderebbero inclini alla scelta. Il primo è che, in ambito relativistico, le leggi di conservazione di energia e impulso sono indissolubilmente legate. Il secondo ha a che fare con un parallelismo che riscontriamo, fatta la nostra scelta, con il caso dell’elettromagnetismo. Le sorgenti del campo elettromagnetico stanno nella quadricorrente, che obbedisce, come ricordavamo, alla j 0 che esprime la legge di conservazione locale della carica. Ci dà una visione armoniosa delle cose il fatto che, nel caso del campo gravitazionale, le sorgenti siano parimenti soggette a leggi di conservazione locale, quelle espresse dalle T , 0 Le sorgenti della gravitazione sono espresse da un tensore doppio simmetrico. Ma allora anche l’argomento dell’operatore 1 2 2 2 2 c t dovrà essere un tensore doppio simmetrico! Sembra dunque che dovremmo scrivere le nostre equazioni di campo nella forma 1 2 2 h KT c 2 t 2 con K costante da determinarsi (più avanti ne estrarremo un segno meno e la scriveremo - k). Questo sembra segnare la fine della nostra storia: dato che l’incognita della nostra equazione di campo – per il (i) potenziale – è un tensore (doppio) diremo che essa caratterizza la costruenda teoria della gravitazione come tensoriale, nella terminologia in uso in elettromagnetismo, teoria che chiamiamo vettoriale perché l’incognita dell’equazione di campo – per il (i) potenziale – è in quel caso un vettore. Ma non lo è ... Perché? Perché, rifacendoci al caso dell’elettromagnetismo, la forma 1 2 4 2 A j c 2 t 2 c non è la più generale possibile, ma deriva da una scelta di gauge, quella del gauge di Lorentz, fissata dalla condizione A 0 o A , 0 L’equazione scritta sembra implicare una scelta di gauge. Dunque, a monte di questa, una libertà di gauge. Nel trattato Gravitazione e spaziotempo, di Hans Ohanian e Remo Ruffini, si mostra come, partendo dall’equazione di campo più generale lineare del secondo ordine nel tensore h, che contiene costanti arbitrarie, queste si determinano sulla base di considerazioni generali e della richiesta che, posto che si annulla la quadridivergenza del tensore sorgente a secondo membro, lo stesso avvenga per la quadridivergenza dell’espressione a primo membro dell’equazione. Hans C. Ohanian, Remo Ruffini, Gravitazione e spazio-tempo, Zanichelli, 1997, p. 122 segg. Gli stessi autori mostrano poi come l’equazione ottenuta vada in se stessa sotto la trasformazione h h dove le Λ sono funzioni arbitrarie del punto. L’equazione appare il corrispettivo della A A esprimente l’invarianza di gauge dell’elettromagnetismo: la comparsa di due termini derivativi nelle funzioni di gauge appare inevitabile data la simmetria del tensore. Si noti tuttavia che, in questo contesto, non entrano in gioco le relazioni fra potenziali e campi, posto che questi ultimi semplicemente non ci sono. La libertà di gauge permetterà, in linea di principio, come nel caso dell’elettromagnetismo, una semplificazione delle equazioni di campo. Introdotto formalmente il nuovo tensore h h 1 h 2 dove hh si mostra che è sempre possibile trovare un gauge nel quale sia soddisfatta la h , 0 Le equazioni appaiono il corrispettivo esprimente la scelta del gauge di Lorentz. A , 0 Fatta questa scelta di gauge, l’operatore che agisce sui potenziali nel primo membro dell’equazione si riduce effettivamente a 1 2 2 2 2 c t Tuttavia esso non agisce sul tensore di partenza, ma proprio su h h 1 h 2 e le equazioni di campo assumono (finalmente) la forma: 1 2 h kT 2 2 c t Il limite non relativistico Si tratta di dieci equazioni indipendenti (le matrici rappresentative dei tensori a primo e secondo membro sono quattro per quattro, ma sono simmetriche!). Il passaggio a una versione relativistica, quindi, ci porta da una a ben dieci equazioni. Il limite non relativistico della nuova teoria dovrà dunque lasciarne sopravvivere una. È facile pronosticare che sarà quella in cui i due indici diventano entrambi 0. Ricordiamo infatti che si ha T 00 0 2 e che nel limite non relativistico la densità di massa-energia si riduce semplicemente a densità di massa. Si mostra poi che, in quel limite, l’equazione si scrive 2 h 00 k cioè nella stessa forma dell’equazione di Poisson 2 4G La calibrazione sull’equazione di Poisson ci dà: h 00 2 c 2 k 8G c2 Ma che succede nel limite delle altre equazioni? È presto detto … Ricordiamo l’espressione delle altre componenti del tensore densità di energia-impulso: T 0i ui c T ij u iu j c2 Esse sono dunque piccole del primo e del secondo ordine nel rapporto fra le componenti della velocità del fluido materiale alla velocità della luce nel vuoto, quindi trascurabili rispetto alla componente 00 del tensore nel (pieno) limite non relativistico. Le altre equazioni tratteranno dunque, in quel limite, piccole correzioni alla trattazione newtoniana. E le equazioni del moto? Pare che abbiamo riposto compiutamente alla domanda implicita posta nel titolo: non solo una teoria relativistica della gravitazione DEVE essere tensoriale, ma essa PUÒ essere costruita in un modo che sembra essere autoconsistente e possedere il corretto limite newtoniano. Però una (completa) teoria della gravitazione deve anche dotarsi di equazioni che dicano come si muove un corpo di prova in un campo i cui potenziali siano determinati dalle equazioni 1 2 h kT 2 2 c t Norton ci dice che Nordström aveva la risposta*: si trattava di covariantizzare la legge fondamentale della dinamica nel caso di forze gravitazionali, partendo intanto dalla F mg o F mg xi i La relazione forza-potenziale si estenderebbe come: F mg x *Norton, op. cit., p. 7. F mg x Questo non è corretto per due motivi. Il primo è che la f=ma relativistica si scrive nella forma dU K mi d dove le componenti spaziali della “quadriforza di Minkowski” K valgono K F i i e nella formula covariantizzata si dovrebbe scrivere K e non F. Ma proviamo ad andare avanti. Dimenticandoci del γ, scriveremmo dU mi mg d x Eseguiamo la semplificazione fra i due fattori di massa (inerziale e gravitazionale!) e scriviamola per il moto di caduta lungo la verticale (asse z): dU z d z Ora è dU z dU z dt d (u z ) d dt d dt Abbiamo quindi d (u z ) dt z La derivazione a primo membro comporterebbe un termine nella componente z della velocità, ma, se consideriamo il caso di un moto per il quale ad un dato istante (diciamo, per definitezza, quello iniziale) quella componente si annulli, si ottiene: v 2 du z 1 2 dt c z Una componente x non nulla della velocità iniziale comporterebbe dunque un’accelerazione verticale ridotta. Notiamo che, se avessimo tenuto conto del fattore γ che distingue la quadriforza dalla forza, avremmo un tale fattore a moltiplicare la derivata del potenziale a secondo membro. La forma dell’ultima equazione cambierebbe allora nel senso che il fattore che produce il guasto finirebbe sotto radice. Ma la conclusione qualitativa non cambierebbe: corpi lanciati da un’altura con componenti diverse di velocità orizzontale raggiungerebbero il suolo in tempi diversi! Questo è il nocciolo della critica einsteiniana a Nordström. Di più: la sua ragione per abbandonare del tutto il tentativo di approdare a una versione relativistico-ristretta di una teoria della gravitazione. *Norton, op. cit., p. 7. “I now abandoned as inadequate the attempt to treat the problem of gravitation […] within the framework of the special theory of relativity. It clearly failed to do justice of the most fundamental property of gravitation.”* *A.Einstein, “Notes on the Origin of the General Theory of Relativity”, in Ideas and Opinions, Carl Seelig ed., Sonja Bargmann trad., Crown, New York 1954. Citato in Norton, op. cit. Appaiono opportune alcune considerazioni: 1) Ho detto che il procedimento di Nordström non era corretto per due motivi, ma ho menzionato solo il primo. Il secondo emerge dalla considerazioni generali svolte su come formulare una teoria relativistica della gravitazione, che implicano la sostituzione di un potenziale scalare (?) con un potenziale tensoriale. 2) Il cambiamento di rotta da parte di Einstein avvenne, a quanto pare, all’insegna di una riflessione approfondita di quello che chiamò il “principio d’equivalenza”, per semplificare l’uguaglianza di massa inerziale e gravitazionale. Ma questa ha poco a che fare con la dipendenza del tempo di caduta dalla componente orizzontale della velocità! L’effetto di Nordström sussiste dopo aver cancellato le due masse fra primo e secondo membro! 3) Quello che occorre modificare non sono le equazioni del campo, ma quelle del moto. 4) Siamo sicuri che l’effetto legato alle componenti orizzontali della velocità non sussista né sperimentalmente né come previsione della teoria corretta? 5) Possiamo affrontare, nell’ambito della teoria linearizzata, anche il problema del moto di un corpo di prova in un campo dato? Abbiamo appreso che non va bene l’equazione dU d x Ebbene, essa è sostituita dalla: dU 1 k (h , h , )U U d 2 Ohanian, Ruffini, op. cit., p. 134. dU 1 k (h , h , )U U d 2 Poiché a primo membro figurano le componenti della quadriaccelerazione, a secondo membro figurano quelle della quadriforza per unità di massa. Ebbene, esse dipendono dalle componenti della quadrivelocità del corpo di prova, e poiché U u i i dipendono anche dal modulo della velocità ordinaria (si noti,inoltre, che nelle equazioni del moto si ha una sommatoria doppia sulle componenti della quadrivelocità, ciò che comporta la presenza di tutte le componenti della velocità ordinaria). Somiglianza formale delle equazioni di campo con quelle della teoria einsteiniana Le equazioni di campo della teoria einsteiniana si scrivono: R 1 g R kT 2 Dunque sono anch’esse tensoriali, con lo stesso termine di sorgente! Ma la loro stessa struttura ricorda da vicino quella della teoria esposta: 1 1 2 h h kT 2 2 2 c t hh R R g 2 1 2 h R 2 2 t R sono il risultato di operatori differenziali che agiscono su e R (ricordiamo che 2 1 2 h R 2 2 t g g ) La teoria einsteiniana non è lineare (basta pensare al termine g R) La teoria formulata è in effetti un’approssimazione della teoria completa È un’approssimazione lineare della teoria einsteiniana (“Teoria linearizzata”). Si ottiene da essa come “approssimazione di campo debole”, se cioè si ha g h con h Allora “tutto va come se” lo spazio tempo fosse piatto, cioè con metrica minkowskiana η, e su questo “giacesse”, o “viaggiasse” un campo tensoriale h. Serve a qualcosa? Certo: tutte le volte che è fisicamente soddisfatta la condizione di campo debole. E ci dice qualcosa di più, in tal caso, rispetto alla teoria newtoniana? Si è già usato il termine “viaggiasse”: la teoria linearizzata prevede soluzioni che si propagano. L’equazione omogenea 1 2 2 2 h 0 c t descrive la propagazione di un campo gravitazionale libero. Essa è il corrispettivo della 1 2 2 A 0 c t 2 descrivente la propagazione di onde elettromagnetiche nel vuoto in termini di potenziali. Non appare necessario ricordare che essa avviene alla velocità c. Né, crediamo, insistere sul fatto che la nostra equazione prevede la propagazione di onde piane monocromatiche alla stessa velocità. La natura tensoriale del campo comporterà differenze per quanto riguarda gli stati di polarizzazione. È infine forse opportuno che il limite newtoniano della teoria einsteiniana della gravitazione è un limite a) di campo debole (per avere – intanto – la teoria linearizzata) b) non relativistico c) statico