Cremona, 27 ottobre 2012 Nel corso dei lavori della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (1975), la delegazione della Santa Sede ha fatto ricorso alla formula <<patrimonio comune dell'umanità>> per alludere - all'esistenza di un bene comune al quale devono essere subordinati gli interessi degli Stati sovrani e - al dovere della Comunità internazionale di assicurare la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, primo fra tutti la dignità della persona umana. L’affermazione e la rivendicazione del primato dell’uomo e della sua dignità connota gli strumenti internazionali adottati dagli Stati a tutela dei diritti e delle libertà fondamentali, quale che sia la loro natura giuridica (vincolante o non) e la loro portata (universale o regionale): - Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo - Patto internazionale sui diritti civili e politici - Convenzione europea dei diritti dell’uomo - Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea - Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli - Convenzione latino-americana dei diritti dell’uomo - Carta araba dei diritti dell’uomo ….. Frutto di una profonda evoluzione avvenuta nell’ambito della Comunità internazionale e del Diritto internazionale. Solo a metà del ‘900 si fa strada e si consolida l’idea che il fondamento della libertà, della giustizia, della pace vada ricercato nel riconoscimento della dignità umana e nel rispetto dei diritti fondamentali. Su tale riconoscimento si basa idealmente il progetto di costituire l’Organizzazione delle Nazioni Unite, volta ad assicurare relazioni pacifiche tra gli Stati e la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionali di diversa natura: economica, sociale, culturale. Tra i fini delle Nazioni Unite rientra infatti anche quello di <<conseguire la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionali di carattere economico, sociale culturale od umanitario, e nel promuovere ed incoraggiare il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzioni di razza, di sesso, di lingua o di religione>> (art. 1, par. 3). Il rispetto dei diritti dell’uomo da parte di ciascuno Stato non è più una questione esclusivamente interna, protetta dal principio di non ingerenza e dal dominio riservato, bensì un interesse legittimo della Comunità internazionale, suscettibile di conseguenze sul piano del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Nonostante la portata innovativa, la Carta soffre di limiti e lacune in relazione ai diritti fondamentali dell’uomo: - non precisa il contenuto dei diritti enunciati - non contiene l’indicazione di obblighi puntuali per gli Stati - non contiene la previsione di misure nel caso di violazioni - i poteri attribuiti all’Assemblea generale e al Consiglio economico e sociale per la promozione e la tutela sono modesti (artt. 13 b, 63, 68) È tuttavia proprio a partire da queste enunciazioni generiche e simboliche della Carta che prende il via, a livello internazionale, il processo di sviluppo del sistema universale di tutela dei diritti umani. Il primo passo compiuto dall’Assemblea generale è stato quello di impegnarsi nella stesura di un catalogo internazionale dei diritti dell’uomo, accettabile da parte di tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite, molto dissimili tra loro sul piano politico e ideologico, fondati su sistemi economici profondamente diversi, ispirati a visioni religiose differenti. Era necessario trovare un minimo comun denominatore sia sul piano della concezione dei rapporti tra Stato e individuo, sia sul piano dell’enunciazione dei diritti fondamentali da tutelare. Altro problema ancora da affrontare riguardava la natura giuridica dell’atto da adottare: una Dichiarazione di principi, solenne ma giuridicamente non vincolante, o un trattato internazionale, capace di impegnare i contraenti? Dopo aspre discussioni, il tentativo di unificare le diverse visioni in un’unica filosofia dei diritti dell’uomo fu coronato da successo. 10 dicembre 1948, Parigi - l’Assemblea generale delle NU approva la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo con 48 voti a favore, nessun voto contrario e 8 astenuti (URSS, Bielorussia, Ucraina, Polonia, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Sud Africa, Arabia Saudita). Risente del momento storico in cui è stata redatta. È proclamata quale <<ideale comune>> da perseguire Riflette in larga misura la matrice giusnaturalistica (che aveva ispirato le Dichiarazioni inglesi e francesi del 700). Tale matrice è evidente già nel preambolo: - riconoscimento della dignità, innata nella persona umana - riconoscimento di diritti eguali, imprescrittibili, inalienabili E si conferma nell’art. 1: tutti gli esseri umani nascono liberi e eguali (concetto elaborato da Rousseau nel contratto sociale). - il diritto di ribellarsi alla tirannide, proprio di ogni concezione giusnaturalistica, è formulato solo nel preambolo, al 3 considerando (i paesi occidentali temevano di legittimare l’insurrezione) - diritto di petizione contro gli abusi : è stata respinta la proposta socialista di introdurlo - accanto all’individuo si valorizzano i gruppi sociali, come sedi per la realizzazione della sua personalità (famiglia, società, comunità nazionale, comunità internazionale) - viene introdotto il riconoscimento di ---- doveri in capo all’individuo ---- diritti economici, sociali e culturali. Riposa su alcuni pilastri fondamentali: 1. diritti della persona (artt. 1,2,7, 3,4,5) 2. diritti dell’individuo nei rapporti con i gruppi sociali (dimensione sociale: artt. 6,16,12,13,14,9,8,10,11) 3. diritti politici (artt. 15,21,) 4. diritti economici e sociali (artt. 23,22, 24) 5. diritti culturali (artt. 26, 27). 1. diritti della persona - eguaglianza (artt. 1, 2 e 7) - vita, libertà, sicurezza (art. 3) - integrità fisica (artt. 4, 5) 2. diritti dell’individuo nei rapporti con i gruppi sociali - personalità giuridica (art. 6) - vita privata e familiare / riservatezza (art. 12) - diritto di sposarsi e di fondare una famiglia (art. 16) - diritto di proprietà (art. 17) - libertà di movimento e di residenza (artt. 13, 14) - diritti di carattere giudiziario (artt. 8-11). 3. diritti politici - cittadinanza (art. 15) - partecipazione alla res publica (art. 21) - libertà di pensiero, coscienza, religione (art. 18) - libertà di espressione (art. 19) - libertà di riunione (art. 20) 4. diritti che si esercitano nel campo economico e sociale - sicurezza sociale (art. 22) - lavoro (art. 23) - riposo (art. 24) - standard di vita adeguato (art. 25) 5. diritti culturali - istruzione (art. 26) - partecipazione alla vita culturale (art. 27) 6. doveri dell’individuo verso la collettività art. 29, par. 1 = ciascuno deve esercitare i propri diritti e difendere le proprie libertà nel rispetto dei diritti e delle libertà altrui. Ciò comporta doveri di solidarietà per assicurare il rispetto di tale sfera di autonomia e per assicurare la pacifica convivenza. I diritti civili, politici, economici, sociali e culturali possono essere realizzati se vi è - una struttura sociale che ne consente lo sviluppo - un contesto internazionale favorevole allo sviluppo economico e che assicuri una redistribuzione della ricchezza diritto ad un ordine sociale interno e internazionale fondato sul rispetto dei diritti umani: art. 28 Poiché è stata adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, è una raccomandazione, vale a dire un atto non vincolante. Tuttavia, oggi è considerata acquisita al patrimonio del DI generale. Nel corso di più di sessant’anni di esistenza, la Dichiarazione universale ha finito per assumere natura giuridica vincolante, come ha affermato a più riprese anche la Corte internazionale di giustizia e come emerge dall’esame della prassi dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite nonché dalla prassi dei suoi Stati membri. Pur rappresentando un’esortazione morale, un elenco di aspirazioni, privo di forza vincolante, la Dichiarazione ha avuto una grandissima importanza - sia perché molte Costituzioni degli Stati ne hanno sovente richiamato esplicitamente o implicitamente il contenuto - sia perché ha aperto la strada e influito sull’adozione di numerosissimi trattati internazionali in materia. Nell’ambito delle NU è stata perseguita una doppia strategia di generalizzazione e di specificazione dei diritti fondamentali. Anzitutto, si è proceduto all’elaborazione e all’adozione di trattati di portata generale, vale a dire comprensivi dell’insieme dei diritti umani o di grandi categorie di diritti (civili, politici, economici, sociali, culturali, individuali, collettivi). E ciò sia a livello universale che a livello regionale. Inoltre, si è provveduto all’elaborazione e all’adozione di trattati concernenti il riconoscimento di specifici diritti oppure riguardanti la tutela di particolari categorie di soggetti. Patto internazionale sui diritti civili e politici (1966-1976) Portata: - <<il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo>>. Gli Stati contraenti si impegnano - a rispettare ed a garantire a tutti gli individui che si trovino sul loro territorio e siano sottoposti alla loro giurisdizione i diritti riconosciuti nel Patto, senza distinzione alcuna (art. 2, par. 1) - ad adottare misure legislative o d’altro genere che possano occorrere per rendere effettivi i diritti riconosciuti nel Patto (art. 2, par. 2). La maggior parte dei diritti civili e politici tutelati dal Patto era già stata proclamata nella Dichiarazione universale. Tuttavia, il Patto riconosce, oltre ai diritti individuali, anche - un diritto collettivo: l’autodeterminazione popoli (art. 1) - diritti delle minoranze etniche, religiose, o linguistiche (art. 27) - diritti dei minori (art. 24). In compenso, non menziona né il diritto di proprietà né il diritto di asilo né esplicitamente il diritto di cambiare religione o credo. Conferma invece che il <<diritto alla vita è inerente alla persona umana>> (art. 6) e come tale deve essere protetto dalla legge , senza ingerenze arbitrarie e che sono vietati trattamenti inumani e degradanti. Nessuno può essere sottoposto a esperimenti medico-scientifici senza il suo consenso. Obblighi negativi, di astensione (to respect): non adottare misure che possano limitare l’esercizio dei diritti riconosciuti, se non nei casi previsti. Obblighi positivi, di fare (to ensure): adottare misure per dare attuazione ai diritti riconosciuti. In caso di pericolo pubblico che minacci la vita della nazione, gli stati possono derogare agli obblighi assunti: art. 4 - requisiti: --- minaccia per l’esistenza della nazione --- proclamata in un atto ufficiale --- comunicata ufficialmente - diritti inderogabili : artt. 6, 7, 8 (par. 1 e 2), 11, 15, 16 e 18. Clausole di limitazione non arbitrarie attribuiscono agli Stati la facoltà di porre limiti al godimento di taluni diritti. Esemplificativamente, art. 19: <<1. Ogni individuo ha diritto a non essere molestato per le proprie opinioni. 2. Ogni individuo ha il diritto alla libertà di espressione; tale diritto comprende la libertà di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni genere, senza riguardo a frontiere, oralmente, per iscritto, attraverso la stampa, in forma artistica o attraverso qualsiasi altro mezzo di sua scelta. 3. L’esercizio delle libertà previste al paragrafo 2 del presente articolo comporta doveri e responsabilità speciali. Esso può essere pertanto sottoposto a talune restrizioni che però devono essere espressamente stabilite dalla legge ed essere necessarie: a) al rispetto dei diritti o della reputazione altrui; b) alla salvaguardia della sicurezza nazionale, dell’ordine pubblico, della sanità o della morale pubbliche>>. Il Patto prevede un sistema di garanzia dei diritti tutelati: - istituzione di un Comitato per i diritti umani . Funzioni: - vigilare sul rispetto degli impegni assunti dagli Stati ratificando il Patto. Gli Stati sono tenuti a presentare periodicamente al Comitato rapporti sull’attività posta in essere nell’ordinamento interno per onorare tali impegni e promuovere i diritti fondamentali. Gli individui possono rivolgere al Comitato <<comunicazioni>> nelle quali denunciano pretese violazioni dei diritti tutelati dal Patto a carico di Stati contraenti (Protocollo addizionale al Patto). Anche gli Stati possono introdurre analoghe comunicazioni nei confronti di altri Stati contraenti. Accanto a trattati di carattere generale che riconoscono ad ogni individuo un ampio ventaglio di diritti sono stati elaborati molti trattati che tutelano - specifiche categorie di persone - specifici diritti Esemplificativamente - conv. diritti fanciulli – 1989 - conv. diritti politici donne – 1953 - conv. eliminazione discriminazione razziale – 1966 - conv. eliminazione discriminazione donna – 1979 - conv. contro tortura – 1984 Ma anche atti di diversa natura giuridica: - dichiarazione UNESCO sul genoma umano -1997 Senza nulla togliere all’importanza dei sistemi di garanzia introdotti, corre l’obbligo di precisare che - generalmente sono attivabili solo a posteriori, quando la violazione si è già verificata. Ciò vale, ad esempio, per le comunicazioni individuali, che possono essere introdotte su impulso della vittima e solo dopo aver adito le vie di ricorso messe a disposizione dall’ordinamento interno dello Stato che si ritiene abbia commesso la pretesa violazione. Tuttavia, tale sistema consente di raggiungere i migliori risultati in quanto non solo consente di attestare la fondatezza o meno della violazione di un diritto protetto dal trattato ma è prevista anche la riparazione del danno e la compensazione della vittima. Qualche riserva può essere espressa anche in relazione al sistema dei rapporti che gli Stati sono tenuti a presentare ciclicamente, sistema che costituisce certamente la forma più blanda di sorveglianza dei comportamenti statali. Nel rapporto, ciascuno Stato espone, senza possibilità di contraddittorio, le politiche e i provvedimenti adottati nel proprio ordinamento interno per dare esecuzione agli impegni assunti sul piano internazionale in materia di tutela dei diritti fondamentali . Anche qui corre l’obbligo di precisare che, nel corso degli anni, gli organi di controllo hanno introdotto correttivi che consentono di verificare se lo Stato, di cui viene esaminato e valutato il rapporto, abbia successivamente dato seguito alle sue raccomandazioni. Ma è del tutto evidente che l’esito positivo dell’operazione riposa completamente sulla buona volontà e il senso di responsabilità e coerenza di ciascuno Stato. Qualche osservazione critica merita anche la procedura di revisione periodica universale (UPR), recentemente introdotta e affidata alla competenza del nuovo Consiglio per i diritti dell’uomo, in base alla quale tutti gli Stati membri dell’ONU, senza alcuna esclusione, sono periodicamente sottoposti ad una valutazione complessiva dei rispettivi comportamenti in relazione all’obbligo e alla responsabilità derivante dalla Carta delle Nazioni Unite di promuovere i diritti fondamentali dell’uomo. L’esame vero e proprio consiste in un dialogo interattivo tra lo Stato sottoposto a revisione, i componenti del Consiglio dei diritti umani e gli Stati membri dell’ONU interessati a intervenire. E’ ammessa a partecipare a questa fase del procedimento anche una cerchia ristretta di stakeholder, a cui non viene tuttavia riconosciuto il diritto di prendere la parola. In molti casi, il dialogo interattivo si traduce in un puro esercizio di retorica. Non solo perché i toni sono tendenzialmente ridondanti e poco incisive e relativamente scarse sono le domande poste e le richieste di informazioni e di precisazioni, tenuto conto dell’alto numero di delegazioni generalmente presenti alla discussione. E poco numerosi sono altresì gli Stati intervenienti che si limitano anche solo a manifestare timori, preoccupazioni, perplessità su temi sensibili. Ma il dialogo interattivo risulta poi completamente svuotato di significato là dove il compiacimento per i progressi realizzati nella promozione dei diritti umani non trova riscontri concreti o è addirittura smentito dal confronto con le informazioni contenute nei documenti che sono posti alla base dell’esame. Non deve consolidarsi un trend così poco virtuoso. Mancano - in linea tendenziale - strumenti specifici di carattere preventivo, in grado di impedire il prodursi di violazioni dei diritti fondamentali (diversi dai tradizionali strumenti messi a disposizione dal diritto internazionale o dalla Carta) Sarebbe opportuna una razionalizzazione dei sistemi di monitoraggio e di controllo esistenti. Il primo ambito regionale nel quale è stato affrontato il tema della tutela dei diritti fondamentali è quello europeo: Consiglio d’Europa. Nella sua prima sessione di lavoro dell’agosto 1949, l’Assemblea parlamentare del CdE raccomandava subito al Comitato dei Ministri la nomina di un gruppo di lavoro per la redazione di un trattato internazionale in materia. I nodi principali: quali diritti tutelare, quale sistema di garanzia Dopo intense discussioni, il 4 novembre 1950 veniva firmata a Roma e aperta alla firma degli Stati membri del CdE la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Cedu). Preambolo CEDU, quinto capoverso: <<garanzia collettiva di alcuni dei diritti enunciati nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo>>: - criterio selettivo: è stato scelto un nucleo importante ma ristretto di diritti giustiziabili, vale a dire che possono fare oggetto di una protezione giudiziaria su base individuale. L’attuale catalogo di diritti garantiti è contenuto negli artt. 2-14 del titolo primo. Ad essi si aggiungono quelli contenuti nei Protocolli addizionali n. 1, 4, 6 e 13, 7, 12. La ricchezza del catalogo di diritti tutelati dimostra che la CEDU non è uno strumento statico ma assicura una tutela in progress. Si arricchisce di nuovi contenuti man mano che le esigenze della vita sociale inducono gli Stati a far coagulare il consenso sul riconoscimento di ulteriori diritti. Come afferma la Corte europea, <<la Convenzione deve essere letta alla luce delle condizioni di vita di oggi e tende ad assicurare una protezione effettiva e concreta dell’individuo>>. L’elemento essenziale del sistema di garanzia della Cedu è rappresentato dal ricorso individuale (art. 34), vale a dire la possibilità per ciascun individuo di contestare davanti a un organo giudiziario internazionale - la Corte europea dei diritti dell’uomo (art. 19 ss.) - una pretesa violazione, da parte di uno Stato contraente, di un diritto tutelato dalla Cedu, allorché tale pretesa violazione sia avvenuta sotto la giurisdizione di quest’ultimo. E’ previsto anche un diritto di ricorso statuale: ciascuno Stato contraente ha il diritto di ricorrere alla Corte contro un altro Stato contraente che presume aver violato la Convenzione (art. 33). La Corte ha il compito di decidere i casi che le vengono sottoposti, al fine di valutare se vi è stata o meno violazione della Cedu. La Corte non può pronunciarsi - d’ufficio - in astratto ma deve pronunciarsi sulla compatibilità con la Cedu di una specifica normativa nazionale applicata in un caso concreto. Il sistema di protezione offerto dalla Cedu non ha il compito di sostituirsi ai sistemi nazionali ma ha carattere sussidiario. Spetta anzitutto a ciascuno degli Stati contraenti l’onere di assicurare, al proprio interno, il godimento dei diritti e delle libertà garantiti. L’individuo che si ritenga leso in un diritto tutelato dalla Cedu deve, in via preventiva, esperire le vie di ricorso interne dello Stato che gli ha procurato la pretesa violazione. Solo se non otterrà giustizia nell’ordinamento interno potrà adire la Corte europea, introducendo un ricorso individuale. La Corte opera un controllo di natura giudiziaria, poiché la Corte è un organo giudiziario, a posteriori, poiché può intervenire dopo che la violazione si è verificata; puntuale, perché riguarda un caso specifico; occasionale, in quanto si realizza nei confronti degli Stati solo se viene introdotto un ricorso nei loro confronti. Attraverso la sua sentenza, la Corte accerta o meno, a carico di uno Stato contraente, la violazione di uno o più diritti garantiti dalla Convenzione. Se accerta la violazione, lo Stato convenuto è tenuto non solo a pagare un’equa soddisfazione ma anche a rimuovere gli ostacoli che hanno prodotto la violazione, concordando con il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa le misure necessarie. Art. 46 Cedu: <<1. Le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti. 2. La sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri che ne controlla l’esecuzione>>. La Cedu non precisa in che cosa consista il controllo sull’esecuzione e per lungo tempo la Corte si è astenuta dal dare indicazioni agli Stati, non ritenendolo un proprio compito. Il Comitato dei Ministri (organo statutario del Consiglio d’Europa, composto dai rappresentanti degli Stati membri) concorda con lo Stato convenuto misure di carattere individuale e/o di carattere generale per evitare il ripetersi di violazioni analoghe a quelle constatate dalla Corte nella sentenza di cui si tratta. Se uno Stato rifiuta di conformarsi ad una sentenza definitiva, il Comitato dei Ministri ha la facoltà di adire (a maggioranza di 2/3) la Corte sulla questione dell’adempimento degli obblighi ex art. 1 Cedu (art. 46.4 Cedu). Nel caso in cui la Corte constati la violazione dell’obbligo di dare esecuzione alle sentenze, il caso viene rinviato al Comitato dei Ministri perché esamini le misure da adottare. Se non vi è violazione, il Comitato dei Ministri chiude il caso (art. 46.5 Cedu). I trattati costitutivi delle Comunità europee (CECA, CEE, CEEA) adottati nel 1952 e nel 1957 non contenevano alcuna disposizione che garantisse, in termini generali, il rispetto dei diritti fondamentali da parte delle istituzioni comunitarie. Vi erano solo specifiche enunciazioni di taluni diritti, considerati funzionali alla realizzazione degli obiettivi economici perseguiti dalle Comunità europee: libertà di circolazione e divieto di discriminazione fondata sul sesso o sulla nazionalità. Il principio del rispetto dei diritti fondamentali ha trovato esplicita formulazione solo nel Trattato di Maastricht del 1992, all’art. 6: <<1. L’Unione europea si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e dello stato di diritto. 2. L’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla CEDU e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario>>. La formalizzazione del richiamo della Cedu in una norma di diritto primario non ne ha comportato il recepimento nell’ordinamento comunitario, anche se ne ha accresciuto l’importanza. Ciò ha generato lo sviluppo di un movimento di idee favorevole all’adesione dell’ Unione europea alla Cedu, che ha trovato consacrazione solo di recente, dopo alterne vicende, nel Trattato di Lisbona. Ad oggi, tale adesione non è ancora avvenuta. In ogni caso, in ambito europeo, il maggiore ostacolo ad una tutela efficace dei diritti fondamentali era comunemente rinvenuto nella mancanza di un catalogo comunitario di diritti fondamentali proprio dell’UE. A tale lacuna si è cercato di sopperire con l’elaborazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (proclamata una prima volta il 7 dicembre 2000 e di nuovo, con qualche aggiustamento, il 12 dicembre 2007). Oggi costituisce parte integrante dei trattati su cui si fonda l’UE. La Carta riafferma un fascio di diritti, di diversa natura, già riconosciuti in altri atti internazionali; inoltre, tiene conto dei più recenti sviluppi e delle specificità comunitarie (ad es., tutela ambiente, libertà di impresa, rispetto delle diversità culturali, religiose e linguistiche). Prevede che per i diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Cedu, il significato e la portata siano identici a quelli previsti dalla Cedu, così come sono interpretati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Una delle principali anomalie: - sono parti contraenti della Convenzione europea gli Stati membri dell’Unione (in quanto membri anche del Consiglio d’Europa) - non lo è l’Unione europea, alla quale peraltro i predetti Stati hanno trasferito competenze in materie che hanno un’incidenza sui diritti fondamentali. Due sono le conseguenze che derivano da tale situazione: - in base all’art. 1 Cedu, gli Stati contraenti sono tenuti a rispondere davanti alla Corte europea non solo della conformità del diritto interno ma anche dell’applicazione del diritto UE nei rispettivi ordinamenti; - gli atti UE non possono essere impugnati – in quanto tali – di fronte alla Corte europea dei diritti dell’uomo poiché l’Unione non è parte contraente della CEDU e dunque non è giuridicamente vincolata da tale trattato. Di conseguenza, l’UE sottrae il proprio ordinamento ad un controllo esterno in grado di valutare la conformità degli interessi dell’integrazione europea con il rispetto dei diritti fondamentali. Tale controllo esterno non può essere esercitato dalla Corte di giustizia UE. Infatti, dal punto di vista istituzionale, essa non differisce dalle più alte giurisdizioni degli Stati membri, che applicano il diritto nazionale e la Convenzione europea, conformandosi all’interpretazione che ne dà la Corte di Strasburgo. Quando sono in gioco atti UE, la Corte di giustizia non può svolgere quel ruolo di terzo, oggettivo e indipendente, che invece è proprio della Corte europea dei diritti dell’uomo. La Corte europea ha elaborato la teoria della protezione equivalente: - presunzione della sussistenza in ambito UE di una protezione dei diritti fondamentali equivalente/analoga a quella assicurata dalla Cedu - quando gli Stati applicano nell’ordinamento interno un atto UE, in relazione al quale non hanno discrezionalità, si presume che tale atto non violi la Cedu. (sentenza Bosphorus c. Irlanda, 2005) La Carta risente della tradizione culturale africana: l’individuo è concepito come intrinsecamente legato alla collettività alla quale appartiene e non come parte a sé stante. Ciò consente di comprendere i riferimenti alla famiglia e alla società e la consacrazione dei diritti collettivi. Inoltre, risente dell’esperienza coloniale: contiene la consacrazione del diritto all’autodeterminazione politica ed economica. Si afferma l’idea che il rispetto della dignità dell’uomo dipende dalla riconquista della dignità nazionale. Di conseguenza, la lotta di liberazione dal dominio coloniale costituisce una priorità rispetto ad ogni altra rivendicazione. La Carta africana richiama la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo al quarto capoverso del preambolo non solo perché è la matrice universale dei diritti umani ma anche perché - riprende i diritti individuali in essa tutelati - ripropone il legame tra diritti civili e politici / diritti economici, sociali e culturali - riprende il riferimento ai doveri individuali. La Carta riconosce inoltre diritti collettivi - di libertà (autodeterminazione politica e economica) - di solidarietà (diritto allo sviluppo, alla pace e all’ambiente) in capo al popolo. Anche la Carta africana istituisce un sistema di garanzia, che fa perno sulla Commissione africana per i diritti dell’uomo. Ha sede a Banjul (Gambia) e può essere adita dagli Stati contraenti e da individui e ONG. Redige un rapporto finale sui fatti e sulle conclusioni relative ad ogni caso sottopostole. Inoltre, monitora l’applicazione della Carta attraverso l’esame dei rapporti periodici degli Stati contraenti. Più recentemente è stata istituita anche una Corte africana dei diritti dell’uomo. La cooperazione tra gli Stati arabo islamici si snoda in più di un contesto istituzionale, e precisamente in organizzazioni subregionali quali al Lega degli Stati arabi e l’Organizzazione per la Conferenza islamica, e ha dato luogo a più di un documento sui diritti dell’uomo, ponendo anche problemi di sovrapposizione e di interpretazione. Nell’ambito della Lega degli Stati arabi solo nel 1968 è stata istituita una Commissione per i diritti dell’uomo, a seguito dell’invito a partecipare alla prima Conferenza delle Nazioni Unite sui diritti dell’uomo (Teheran, 1969). Proprio nel programma di attività della Commissione si allude per la prima volta all’idea di dare vita ad una codificazione dei diritti fondamentali della persona araba. Nei primi anni ’70 è stato elaborato un progetto di Dichiarazione dei diritti del cittadino negli Stati e nei paesi arabi, definitivamente abbandonato nel 1982. Nel 1993 è stato elaborato un progetto di Carta araba dei diritti dell’uomo, rimaneggiato nel 2004 e finalmente entrato in vigore il 15 marzo 2008, a seguito della ratifica di Giordania, Bahrein, Libia, Algeria, Emirati arabi uniti, Palestina, Yemen, a cui si sono poi aggiunte quelle di Qatar, Arabia Saudita, Siria. Preambolo L’ultimo capoverso coniuga i diritti dell’uomo alla pace e alla sicurezza e richiama la Carta delle Nazioni Unite, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e i Patti internazionali. Richiama altresì la Dichiarazione del Cairo sui diritti dell’uomo nell’Islam: ambiguità dei riferimenti, che lascia intendere il tentativo di raggiungere un compromesso su una identità di vedute forse solo apparente. - diritto di autodeterminazione (art. 2) - diritto alla vita (artt. 5,6,7) - divieto di tortura (artt. 8,9,18,20) -“ schiavitù (art. 10) - diritto alla sicurezza personale (artt. 14, 20) - equo processo (artt. 12,13,15,16,17,19) - libertà di movimento (artt. 24,26,27) - rispetto della vita familiare (art. 21) - diritti delle minoranze (art. 25) - diritto di asilo politico (art. 28) -“ cittadinanza (art. 29) - libertà di pensiero, credo, religione (art. 30) - proprietà privata (art. 31) - libertà di opinione, espressione, ricerca ((art. 32) - matrimonio (art. 33) - diritto al lavoro (art. 34) - “ partecipare sindacato (art. 35) - “ protezione sociale (art. 36) - “ sviluppo (artt. 37, 38) - “ salute (art. 39) - tutela della disabilità (art. 40) - diritto all’istruzione (art. 41) - partecipazione alla vita culturale (art. 42) Art. 4: - sono inderogabili gli artt. 5, 8, 9, 10, 13, 14.6, 15, 18, 19, 20, 22, 27, 28, 29, 30 - in particolari situazioni di emergenza che mettano in pericolo la sopravvivenza dello Stato, le parti contraenti possono derogare dagli obblighi derivanti dalla Carta, nella stretta misura richiesta dalle circostanze e senza discriminazioni. Art. 2: riconosce il diritto all’autodeterminazione politica ed economica e il diritto dei popoli a resistere all’occupazione straniera. Art. 3: principio di non discriminazione - gli Stati si impegnano a garantire ad ogni individuo il godimento dei diritti riconosciuti e l’eguaglianza nel loro esercizio -- ma, al par. 3, dispone che l’uomo e la donna sono uguali solo sul piano della dignità umana e hanno diritti e doveri nel quadro della discriminazione positiva a favore della donna prevista dalla sharia e dalle altre leggi divine, dalle legislazioni nazionali e internazionali. -- l’art. 33, par. 1, riconosce all’uomo e alla donna il diritto di sposarsi e di consentire liberamente al matrimonio ma le leggi in vigore regolano i diritti e i doveri dell’uomo e della donna per quanto concerne il matrimonio, durante il matrimonio e in relazione alla sua dissoluzione. La Carta fa salva la discriminazione nei confronti degli stranieri: - riconosce solo ai cittadini il diritto alla libertà di riunione (art. 24.6), il diritto al lavoro (art. 34. 1), il diritto alla sicurezza sociale (art. 36) e il diritto all’istruzione primaria gratuita (art. 41). La Carta lascia alle legislazioni nazionali la possibilità di prevedere la pena di morte per i minori, oltre a non vietarla per i maggiorenni (art. 7). L’art. 8 si limita a vietare la tortura e i trattamenti inumani e degradanti, tacendo delle pene. L’art. 30 riconosce la libertà religiosa ma nulla dice sul suo esercizio in pubblico e in privato né sul diritto di cambiare religione. L’art. 45 istituisce un Comitato, che svolge una funzione di sorveglianza dell’applicazione della Carta attraverso l’esame di rapporti periodici degli Stati. Il Comitato redige un rapporto annuale al Consiglio della Lega sugli esiti del monitoraggio. Nell’ambito della Organizzazione della Conferenza islamica, la prima bozza di Dichiarazione sui diritti dell’uomo nell’Islam fu elaborata nel 1978, per essere definitivamente approvata nel 1990 (Dichiarazione del Cairo). Conferma e ribadisce la superiorità della legge coranica: - tutti gli esseri umani costituiscono un’unica famiglia sottomessa a Dio - il titolare dei diritti non è l’individuo ma il musulmano credente - l’Islam è la religione naturale dell’uomo. - il diritto alla vita è disciplinato dalla sharia (art. 2) - idem integrità fisica (+ art. 19 d) - la donna è uguale all’uomo in dignità ma ha i suoi propri diritti, diversi da quelli dell’uomo perché ha minori responsabilità (art. 6) - i genitori hanno diritto di scegliere l’educazione dei figli in accordo con la sharia (art. 7) - libertà di espressione esercitata in conformità con i principi della legge islamica (art. 22) - divieto di diffondere idee che possano disgregare la società - affermazione del principio coranico del diritto/dovere collettivo di promuovere il bene e impedire il male Manca ogni riferimento alla libertà religiosa: - l’Islam è l’unica religione (art. 10) - è l’unico parametro per l’interpretazione della Dichiarazione (art. 25) - tutti i diritti enunciati sono subordinati alla sharia (art. 24). Non mancano disposizioni analoghe a quelle contenute in altri strumenti internazionali: - art. 3 - diritto internazionale umanitario - art. 22 d - divieto dell’incitamento all’odio razziale, etnico, religioso - art. 11 b – diritto di autodeterminazione - dura condanna del colonialismo – sostegno alla lotta di liberazione.