Programma di ricerca Regione-Università Regione Emilia-Romagna La medicina rigenerativa nel trattamento delle patologie osteoarticolari Coordinatore Scientifico Prof. A Facchini RENDICONTO FINALE Programma di Ricerca Regione-Università 2007-2009 RENDICONTO FINALE Titolo Progetto La medicina rigenerativa nel trattamento delle patologie osteoarticolari Responsabile scientifico: Andrea Facchini AOU Istituto Ortopedico Rizzoli, IRCCS MODULO 1 1 2 3 4 5 MODULO 2 1 2 3 4 5/6 7 8 MODULO 3 1 2 Medicina Rigenerativa per la RIPARAZIONE DELLA CARTILAGINE Unità Operativa: SC Laboratorio di Immunoreumatologia e Rigenerazione Tissutale, Istituto Ortopedico Rizzoli (Responsabile UO: Dott.ssa Brunella Grigolo) Unità Operativa: Dipartimento Di Scienze Anatomiche Umane e Fisopatologia dell’Apparato Locomotore, Università degli Studi di Bologna (Responsabile UO: Prof. Giovanni Mazzotti) Unità Operativa: SC Banca del Tessuto Muscolo-Scheletrico, Cell Factory, Istituto Ortopedico Rizzoli Bologna. (Responsabile UO: Pier Maria Fornasari) Unità Operativa: SC Clinica Ortopedica Traumatologica III, Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna (Responsabile UO: Prof. Maurilio Marcacci) Unità Operativa: SC Clinica Ortopedica Traumatologica III, Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna (Responsabile UO: Prof. Maurilio Marcacci) Unità Operativa: SC Clinica Ortopedica Traumatologica II, Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna (Responsabile UO: Prof. Sandro Giannini) Unità Operativa: SC Medicina Fisica e Riabilitativa, Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna (Responsabile UO: Dott. Alessandro Zati) Medicina Rigenerativa per la RIPARAZIONE DELL’OSSO Unità Operativa: SC Laboratorio di Immunoreumatologia e Rigenerazione Tissutale, Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna (Responsabile UO: Dott.ssa Gina Lisignoli) Unità Operativa: SC Laboratorio di Biologia Cellulare Muscoloscheletrica, Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna (Responsabile UO: Prof. Nadir Mario Maraldi) Unità Operativa: SSD Chirurgia delle Deformità del Rachide, Istituto Ortopedico Rizzoli Bologna (Responsabile UO: Dott. Giovanni Barbanti Brodano) Unità Operativa: Dip. di Anatomia, Farmacologia e Scienze Medico-Forensi, Università di Parma (Responsabile UO: Marco Vitale) Unità Operativa: SC Laboratorio Fisiopatologia Ortopedica e Medicina Rigenerativa, Istituto Ortopedico Rizzoli Bologna (Responsabile UO: Nicola Baldini) Unità Operativa: SS Rigenerazione Tissutale Ossea, Istituto Ortopedico Rizzoli Bologna (Responsabile UO: Prof. Davide Maria Donati) Unità Operativa: SC Clinica Ortopedica Traumatologica I, Istituto Ortopedico Rizzoli Bologna (Responsabile UO: Dott. Dante Dallari) Unità Operativa SC Ortopedia e Traumatologia Pediatrica, Istituto Ortopedico Rizzoli Bologna (Responsabile UO: Dott. Onofrio Donzelli) Unità Operativa: SS Rigenerazione Tissutale Ossea, Istituto Ortopedico Rizzoli Bologna (Responsabile UO: Prof. Davide Maria Donati) Unità Operativa: SC Clinica Ortopedica Traumatologica III, Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna (Responsabile UO: Prof. Maurilio Marcacci) Unità Operativa: Reparto di Chirurgia Orale e Maxillo-Facciale, Dipartimento di Scienze Odontostomatologiche, Università degli Studi di Bologna (Responsabile UO: Prof. Claudio Marchetti) Unità Operativa: Dipartimento integrato di Neuroscienze, Testa – Collo e Riabilitazione Struttura complessa di Odontoiatria e Chirurgia Maxillo-Facciale Policlinico Azienda Ospedaliero – Universitaria di Modena (Responsabile UO: Prof. Ugo Consolo) Unità Operativa: DAI Testa-Collo, Programma di Parodontologia, Implantologia e Gnatologia, Azienda OspedalieroUniversitaria di Parma, Sezione di Odontostomatologia, Università degli Studi di Parma (Responsabile UO: Guido M. Macaluso) Unità Operativa: Clinica Ortopedica e Traumatologica, Università di Ferrara (Responsabile UO: Prof. Leo Massari). Unità Operativa: SC di Chirurgia della Mano e Microchirurgia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena (Responsabile UO: Prof. Antonio Landi) Medicina Rigenerativa per la RIPARAZIONE DEL TENDINE Unità Operativa: SC Laboratorio di Studi Preclinici Chirurgici, Istituto Ortopedico Rizzoli Bologna (Responsabile UO: Dott.ssa Milena Fini) Unità Operativa: SSD Chirurgia della Spalla e del Gomito, Istituto Ortopedico Rizzoli Bologna. Responsabile UO: Dott. Roberto Rotini. Unità Operativa: SC Clinica Ortopedica Traumatologica III, Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna (Responsabile UO: Prof. Maurilio Marcacci) 1 Risultati raggiunti in relazione agli obiettivi Modulo 1. Medicina Rigenerativa per la riparazione della cartilagine WP1.1 Caratterizzazione di condrociti e cellule mesenchimali staminali per la riparazione del tessuto cartilagineo Unità Operativa: SC Laboratorio di Immunoreumatologia e Rigenerazione Tissutale, Istituto Ortopedico Rizzoli (Responsabile UO: Dott.ssa Brunella Grigolo) INTRODUZIONE E PRINCIPALE OBIETTIVO Le lesioni cartilaginee sono molto difficili da trattare a causa del limitato potenziale intrinseco di guarigione del tessuto cartilagineo dovuto sia alla mancanza di vascolarizzazione sia alla presenza di poche cellule specializzate in grado di promuovere la rigenerazione. Per tali ragioni le lesioni cartilaginee determinano l’alterazione irreversibile dell’anatomia del tessuto stesso e della sua funzionalità e, se non trattate correttamente, possono condurre ad una degenerazione di tipo artrosico. I trattamenti non chirurgici (controllo del peso, la dieta, le iniezioni intra-articolari) e la riabilitazione mirano al controllo della sintomatologia ed al potenziamento delle capacità funzionali del soggetto e non forniscono un rimedio a lungo termine. Pertanto, in presenza di un danno cartilagineo il più delle volte si ricorre agli interventi chirurgici. Questi hanno in linea generale lo scopo di indurre la rigenerazione del tessuto tramite la stimolazione dell’osso sub condrale e la migrazione delle cellule totipotenti contenute nel midollo osseo al fine di determinare la formazione di tessuto riparativo. Tali tecniche portano ad un miglioramento in termini di riduzione del dolore e di incremento della motilità, ma conducono alla formazione di tessuto di tipo fibroso che conferisce una minore resistenza meccanica. Risultati superiori, sia in termini di qualità di tessuto neoformato, sia da un punto di vista clinico, si sono ottenuti mediante il trapianto autologo di condrociti (ACI) effettuato inizialmente da Brittberg nel 1994. La strategia terapeutica consisteva nel prelievo artroscopico di tessuto cartilagineo sano da una zona di non carico, seguito da isolamento e coltura delle cellule condrocitarie in vitro. Tale tipo di intervento ha dato risultati molto interessanti sia per le caratteristiche del tessuto riformato sia per le buone condizioni cliniche dei pazienti trattati. Gli svantaggi sono legati però ai due tempi chirurgici necessari al prelievo di cartilagine sana e al reimpianto. Le recenti scoperte nel campo delle colture cellulari hanno fornito nuove ed interessanti alternative quali quelle relative all’utilizzo di cellule mesenchimali staminali (CMSs). Queste ultime costituiscono una affascinante sorgente per la medicina rigenerativa dal momento che possono essere isolate facilmente dal midollo osseo e/o da altre sorgenti, espanse in vitro e differenziate mediante l’aggiunta di appropriati fattori di crescita anche in cellule cartilaginee. Recentemente considerando che l’attività delle cellule staminali mesenchimali, non è dovuta soltanto alla loro multi-potenzialità, ma dipende dall’ interazione di queste ultime con il microambiente che le circonda, è stata presa in considerazione anche l’ipotesi di trapiantare il midollo in toto. Il midollo osseo, contiene non soltanto le CMSs ed i precursori quale fonte per la rigenerazione tissutale, ma anche cellule accessorie che supportano l’angiogenesi e la vasculogenesi attraverso la produzione di fattori di crescita. L’obiettivo della WP-1.1 è stato quello di caratterizzare fenotipicamente sia le cellule isolate dal midollo osseo sia il midollo osseo concentrato al fine di poter utilizzare una di queste popolazioni cellulari per la rigenerazione di difetti condrali ed osteocondrali. MATERIALI E METODI Dal 2007 al 2009 sono stati processati ed analizzati 60 campioni di midollo da pazienti con trapianto autologo a seguito di lesioni osteocondrali. Nel corso del primo e del secondo anno i campioni di concentrato midollare e di cellule isolate in seguito a separazione su gradiente di Ficoll, sono stati tutti caratterizzati fenotipicamente mediante valutazione al FACS con una serie di anticorpi monoclonali specifici: anti-CD45, CD34, -CD54, -CD63, -CD90, -CD105, -CD106, -CD146, -CD271. Inoltre sono state identificate le migliori condizioni di coltura per le cellule ed è stata valutata la loro capacità clonogenica mediante il test CFU-F (Colony Forming Unit- Fibroblast). Al fine di analizzare la potenzialità di entrambi i tipi cellulari di differenziare in senso osteogenico (mediante l’aggiunta al terreno di coltura dei fattori differenziativi quali il βglicerofosfato, il Dexametasone e l’Acido Ascorbico) ed in senso condrogenico (utilizzando il TGF-β1) sono state allestite delle colture a 28 giorni per la valutazione dell’Alizarin Red e dell’Alcian Blue. Inoltre sono state eseguite analisi di tipo molecolare per la valutazione delle proprietà osteo/condrogeniche delle cellule del 2 midollo e delle cellule isolate in seguito a stimolazione con opportuni fattori di crescita per 28 giorni. I geni valutati sono stati: Fosfatasi Alcalina, Bone Sialon Protein (BSP) ed Osteocalcina (OC) per le cellule differenziate in senso osteogenico mentre per le cellule indirizzate in senso condrogenico sono stati analizzati il Collagene 2, l’Aggrecano e la Sox-9. Nel corso del terzo anno del progetto, le sole cellule del concentrato midollare sono state seminate su un biomateriale a base di acido ialuronico (Hyaff®-11) già utilizzato in clinica per la riparazioni di lesioni osteocondrali. I costrutti sono stati quindi differenziati in senso osteogenico e condrogenico come precedentemente descritto e tenuti in coltura per 28 giorni. Ai tempi sperimentali di 0, 14 e 28 giorni i campioni sono stati valutati istologicamente mediante colorazione con Von Kossa per valutare la formazione di precipitati di calcio e quindi l’avvenuto differenziamento in senso osteogenico e con il Blu di Toluidina al fine di evidenziare la produzione di proteoglicani, proteine tipiche della matrice cartilaginea. Agli stessi tempi sperimentali, i costrutti sono stati analizzati anche mediante Real-Time PCR per la valutazione di geni coinvolti nel differenziamento osteo/condrogenico. Inoltre è stata quantificata la produzione di Alizarin Red e di Glicosamminoglicani sui campioni di midollo concentrato seminati in piastra e differenziati (come precedentemente descritto) per 28 giorni. RISULTATI La caratterizzazione fenotipica eseguita al FACS, ha permesso di evidenziare come le cellule del concentrato midollare siano positive per il CD63, CD105, CD106 e per il CD146, mentre risultino negative per tutti gli altri marcatori analizzati (Fig 1A). Le cellule isolate mostrano la stessa espressione fenotipica delle cellule del concentrato midollare anche se in percentuale inferiore (Fig. 1B). Concentrato midollare Cellule isolate Concentrato midollare Cellule isolate B A Figura 1: A) Valutazione al citofluorimetro (FACS) dei marcatori di superficie sia nelle cellule del midollo concentrato, sia nelle cellule isolate. B) Valutazione in percentuale dell’espressione fenotipica dei marcatori di superficie nel midollo concentrato e nelle cellule isolate. Il saggio delle CFU-F dimostra come sia le cellule del concentrato midollare, sia le cellule isolate siano in grado di formare delle colonie una volta seminate in piastra, evidenziando la loro capacità clonogenica (Fig.2). Figura 2: Formazione di colonie (CFU-F) sia nei campioni di concentrato midollare (piastra a destra) sia nelle cellule isolate (piastra a sinistra). In fig.3 (A e B) si osserva l’analisi istochimica effettuata mediante colorazione con Alizarin Red e con Alcian Blue a 28 giorni sulle cellule di concentrato midollare e differenziate in monostrato. Queste colorazioni ci permettono di evidenziare mediante colorazione rossa l’avvenuta produzione di matrice ossea da parte delle cellule e mediante la tipica colorazione azzurra la presenza di proteoglicani della matrice cartilaginea. 3 A B Ctr Diff Diff Ctr Diff Diff Figura 3: Colorazione con Alizarin Red (A) e con Alcian Blue (B) al giorno 28. CTR= Controllo, DIFF:= campioni in cui è stato indotto il differenziamento. Per quanto riguarda i dati ottenuti in biologia molecolare, per il differenziamento osteogenico entrambi i tipi cellulari mostrano lo stesso tipo di andamento, la Fosfatasi Alcalina essendo un precursore precoce, viene prodotta essenzialmente intorno al D21, la BSP invece inizia ad esser espressa verso il D28 mentre l’ OC è presente al D0, cala intorno al D21 ed è nuovamente espressa al D28 (Fig.4A). Anche nel differenziamento condrogenico, le cellule del midollo e le cellule isolate hanno lo stesso andamento, il Collagene di tipo 2 e la Sox-9 sono espresse in particolare al D28, mentre l’ Aggrecano mostra un andamento più altalenante (Fig.4B). ALP concentrato midollare Collagene 2 concentrato midollare ALP cellule isolate 20,00 15,00 0,040 15,00 10,00 D21 conc D28 conc D0 mono BSP concentrato midollare D21 mono 5,00 0,00 D0 conc D21 conc D28 conc 0,00 D21 conc D28 conc D0 mono D21 mono D28 conc D0 mono D28 mono 0,60 0,50 0,40 0,30 0,20 0,10 0,00 D0 conc D28 mono A D21 mono Sox‐9 cellule isolate 0,60 0,50 0,40 0,30 0,20 0,10 0,00 0,20 D0 conc 0,00 D21 conc Sox‐9 concentrato midollare 0,40 0,00 0,50 D0 conc D28 mono OC cellule isolate 0,20 1,00 0,00 0,60 0,40 D28 mono 1,50 0,50 OC concentrato midollare D21 mono 2,00 1,00 D21 mono D0 mono Aggrecano cellule isolate 2,00 1,50 D0 mono 0,60 D28 conc Aggrecano concentrato midollare 12,00 10,00 8,00 6,00 4,00 2,00 0,00 10,00 D21 conc D28 mono BSP cellule isolate 15,00 0,000 D0 conc 0,00 D0 conc 0,020 0,000 5,00 0,00 0,040 0,020 10,00 5,00 Collagene 2 cellule isolate D21 conc D28 conc D0 mono D21 mono D28 mono B Figura 4: Analisi molecolare dei principali geni coinvolti nel differenziamento osteogenico (A) e condrogenico (B). Le colorazioni istologiche con Von Kossa e con il Blu di Toluidina effettuate sui biomateriali seminati con le cellule del concentrato midollare, hanno permesso di evidenziare la presenza di precipitati di calcio di colore scuro nei campioni differenziati in senso osteogenico (Fig. 5A) e la presenza di proteoglicani nei costrutti differenziati in senso condrogenico (Fig. 5B). B A Figura 5: Colorazione con Von Kossa (A) e Blu di Toluidina (B). Entrambe le immagini si riferiscono ai campioni analizzati al giorno 28. I dati ottenuti in Real Time PCR sui costrutti analizzati confermano l’avvenuto differenziamento delle cellule. Nelle cellule differenziate in senso osteogenico si osserva un livello molto basso di messaggero per AP al giorno 0 e un aumento progressivo ai giorni 14 e 28 (Fig. 6A). Il messaggero per BSP risulta notevolmente 4 aumentato al giorno 14 mentre tende a diminuire al giorno 28 (Fig.6B). Per quanto riguarda l’OC si osserva un’espressione a livelli elevati già a partire dal giorno 0 con un graduale aumento fino al giorno 28 (Fig.6 C). Nelle cellule differenziate in senso condrogenico il messaggero per il collagene II che risulta poco espresso a 0 e 14 giorni inizia ad essere prodotto a partire dal giorno 28 (Fig.6D), mentre i messaggeri per l’aggrecano e per la Sox-9 che risultano quasi assenti al giorno 0, aumentano al giorno 14 e tendono a diminuire al Giorno 28 (Fig.6 E-F). A B D E F C Figura 6: Analisi molecolare dei principali geni coinvolti nel differenziamento osteogenico (A-B-C) e nel differenziamento condrogenico (D-E-F) su cellule del concentrato midollare cresciute su scaffold. La valutazione quantitativa della produzione di Alizarin Red e dei GAGs ha messo in evidenza la produzione di calcio da parte delle cellule del concentrato midollare differenziate in senso osteogenico e la produzione di glicosamminoglicani da parte delle cellule differenziate in senso condrogenico. Tale produzione inizia già al giorno 21 e tende ad aumentare al giorno 28. (Fig 7 A-B). GAGs 25 CTR DIFF mg/ml 20 15 10 5 0 A B D21 D28 Figura 7 A) Quantificazione spettrofotometrica della produzione di Alizarin Red. B) Quantificazione spettrofotometrica della produzione di Glicosamminoglicani. Ctr= controllo, Diff= campioni in cui è stato indotto il differenziamento. DISCUSSIONE Il campo della Medicina Rigenerativa ha compiuto molti progressi verso lo sviluppo di applicazioni in grado di migliorare le tecniche chirurgiche fino ad ora utilizzate per la rigenerazione di tessuti danneggiati. In campo ortopedico le ricerche attualmente in corso, sono incentrate sul perfezionamento delle strategie impiegate nella riparazione delle lesioni condrali ed osteocondrali e ad estenderne le applicazioni. La cartilagine articolare può subire una serie di alterazioni dovute ad eventi di tipo traumatico che sono responsabili della sua degenerazione. Per tale motivazione gli interventi di ricostruzione articolare sono da sempre oggetto di studio e negli ultimi anni si sono identificate strategie terapeutiche alternative che permettono la rigenerazione di nuovo tessuto. L’uso del concentrato midollare potrebbe rappresentare una valida alternativa alle tecniche tradizionali in quanto consente di trapiantare in un unico atto chirurgico “l’intero potenziale rigenerativo” espresso dalla componente cellulare che viene ad essere supportata anche dalla presenza di cellule accessorie necessarie al corretto mantenimento del microambiente circostante. La presente sperimentazione si è quindi proposta di caratterizzare fenotipicamente sia le cellule isolate dal midollo osseo sia il midollo osseo concentrato al fine di poter utilizzare una di queste popolazioni cellulari per la rigenerazione di difetti condrali ed osteocondrali. Le valutazioni sono state effettuate in vitro seminando le 5 cellule in monostrato e su un biomateriale noto per la sua capacità di promuovere il differenziamento sia condrogenico che osteogenico. I risultati ottenuti in monostrato dimostrano come entrambi i tipi cellulari analizzati abbiano un buon potenziale clonogenico e siano in grado di differenziare come evidenziato dalle immagini istologiche dell’ Alizarin Red e dell’ Alcian Blue, dati confermati dalle quantificazioni dell’Alizarin Red e dei GAGs. Anche le analisi eseguite in biologia molecolare confermano che le cellule del concentrato midollare così come le cellule isolate sono in grado di esprimere, dopo circa 28 giorni di coltura, i geni principalmente coinvolti nei processi di differenziamento osteogenici e condrogenici. Per quanto riguarda le cellule del concentrato midollare seminate sullo scaffold, anche in questo caso i risultati ottenuti indicano che le cellule del concentrato midollare sono in grado formare della matrice rispettivamente di natura ossea e di natura cartilaginea come evidenziato dalle colorazioni con Von Kossa e con il Blu di Toluidina. Mediante la Real Time PCR è stato possibile identificare l’espressione di alcuni geni legati al differenziamento ai diversi tempi sperimentali analizzati. I risultati ottenuti nei campioni indirizzati in senso osteogenico hanno evidenziato come l’ALP, marker precoce del differenziamento osseo, sia espressa precocemente così come la BSP, mentre l’OC è espressa già a partire dal giorno 0. Le cellule differenziate in senso condrogenico mostrato come il collagene di tipo II, marker riconosciuto del fenotipo condrocitario, e la Sox-9, suo fattore di trascrizione, presentino un incremento nel tempo, mentre l’aggrecano molto espresso al giorno 14 tende a diminuire a 28 giorni. Dai risultati fin qui ottenuti è quindi possibile ipotizzare l’uso del concentrato midollare come valida alternativa all’impiego di cellule adulte o di cellule progenitrici selezionate per le riparazioni di lesioni osteo-cartilaginee in quanto possiede tutte le potenzialità per la rigenerazione dei tessuti. Unità Operativa: Dipartimento Di Scienze Anatomiche Umane e Fisopatologia dell’Apparato Locomotore, Università degli Studi di Bologna (Responsabile UO: Prof.ssa Mirella Falconi) INTRODUZIONE E PRINCIPALE OBIETTIVO Lo studio condotto da questa Unità Operativa si è focalizzato sulla caratterizzazione morfologica ultrastrutturale di cellule MSC umane separate da midollo osseo e indotte al differenziamento condrogenico e osteogenico in-vitro. In accordo ai dati biomolecolari che dimostrano il differenziamento, lo scopo principale del progetto è stato quello di individuare delle caratteristiche ultrastrutturali di cellule MSC differenziate che possono essere utilizzate come parametri morfologici per la loro individuazione e classificazione. Inoltre, nell’ambito della medicina rigenerativa basata sull’utilizzo di scaffold e matrici 3D per la ricostruzione tussutale, lo studio effettuato sulla morfologia ultrastrutturale, ingombro tridimensionale, sui prolungamenti e sui contatti cellulari può rappresentare un elemento importante per comprendere l’interazione delle hMSC con altri tessuti o con gli scaffold artificiali. L’analisi ultrastrutturale è stata condotta con il microscopio elettronico a scansione ad alta risoluzione (FEISEM). Il vantaggio nell’utilizzo di questo microscopio è appunto quello di potere osservare i campioni biologici ottenendo immagini a risoluzione elevata senza ricopertura metallica e a basso voltaggio. Inoltre è possibile osservare i campioni anche dopo reazioni immunocitochimiche che consentano di localizzare e/o colocalizzare direttamente proteine di interesse sul campione. MATERIALI E METODI Cellule mononucleate separate da midollo osseo (fornite dal Laboratorio di Immunoreumatologia e Rigenerazione Tissutale, IOR, Bologna, Responsabile Prof. Andrea Facchini) sono state fatte crescere in terreno DMEM supplementato con siero di vitello al 10% per diversi tempi (24h, 3, 6, 9, 12 e 15 giorni) su supporti di silicio di dimensioni 4X7 mm. Allo scadere di ogni tempo di incubazione, i campioni sono stati fissati in 2,5% glutaraldeide in tampone fosfato per 1 h a 4°C e post-fissati in una soluzione di 1% tetrossido di osmio per 1 h a temperatura ambiente (RT). Successivamente, i campioni sono stati disidratati in soluzioni crescenti di etanolo ed essiccati al punto critico della CO2 (CPD 30, Balzers, Liechtenstein). I campioni sono stati osservati al FEISEM JSM 890 (Jeol, Tokio, Giappone) con una tensione di accelerazione del fascio elettronico pari a 7kV. A 24 ore dalla separazione da midollo osseo, alcune cellule sono state indotte al differenziamento osteogenico e condrogenico sostituendo il terreno DMEM con nuovo terreno supplementato con opportuni fattori osteo e condroinduttivi secondo i protocolli messi a punto dal laboratorio di immunologia e genetica, IOR, Bologna. Il differenziamento è stato condotto per 1, 7, 14, 21 e 28 giorni in incubatore a 37° C e 5% di CO2. Dopo ogni tempo sperimentale, i campioni sono stati processati per l’analisi al microscopio a scansione FEISEM: fissazione in 2,5% glutaraldeide (Fluka, Sigma-Aldrich, St. Louis, USA) in tampone fosfato per 2 h, post-fissazione in 1% OsO4 in tampone fosfato per 1 h a temperatura ambiente, disidratazione con soluzioni crescenti di etanolo ed essiccamento al punto critico della CO2. L’osservazione è 6 stata condotta al FEISEM con una tensione di accelerazione del fascio elettronico pari a 7kV. Alcuni campioni differenziati in senso osteogenico e di controllo sono stati osservati al microscopio elettronico a scansione EDX-SEM (Philips, FEI Company, Olanda), per rilevare la presenza di fosforo, indicante la deposizione di fase minerale durante il differenziamento. Altri preparati di hMSC, destinati alla immunolocalizzazione per marker fenotipici osteogenici e condrogenici, al termine di ogni trattamento sono stati fissati in 10% formalina in tampone fosfato 0,1M per 15 minuti a 4°C e successivamenti trattati con 0,01% ialuranidasi in tampone fosfato 0,1M. Dopo un blocco di 1h a temperatura ambiente in 2%BSA /2% latte in tampone fosfato, i campioni sono stati incubati con l’anticorpo primario per 1h a 37°C. Sono stati usati i seguentii anticorpi primari: anti-collagene di tipo 1 (1:10) (Millipore, Billerica, MA, USA) e anti-condroitin solfato (1:30) (SigmaAldrich, St. Louis, USA) per le cellule differenziate in senso osteogenico e anti-collagene di tipo 2 (1:10) (Millipore, Billerica, MA, USA) e coindritin solfato (1:30) (Sigma-Aldrich, St. Louis, USA) per le cellule differenziate in senso condrogenico. Successivamente, i campioni sono stati lavati in tampone TBS ph 7.6 per 15 minuti e incubati con l’anticorpo secondario anti mouse coniugato a particelle di oro colloidale di 15 nm (anti mouse IgG) e 30 nm (anti mouse IgM), diluito 1 : 10 in tampone TBS ph 8.2. Al termine dell’incubazione, dopo lavaggio in tampone TBS ph 8.2 i preparati sono stati processati per l’osservazione al FEISEM seguendo il protocollo descritto precedentemente. L’osservazione al FEISEM è stata fatta utilizzando una tensione di accelerazione di 7kV. RISULTATI Dopo 24 h di incubazione, le hMSC non differenziate appaiono di forma ovoidale e/o irregolare completamente ricoperte da numerosi ondulopodi (figura 1a). Dopo 3 giorni, le cellule cominciano ad allargarsi, ad assumere forma rotondeggiante e ad aderire meglio al substrato di silicio. Conservano numerosi ondulopodi nella regione sovrastante il nucleo (figura 1b) e producono numerosi filopodi che facilitano e promuovono l’ adesione delle cellule al supporto. Dopo 15 giorni, le cellule assumono una forma riconducibile a quella fibroblastica, con corpo cellulare allungato e numerosi filamenti proteici presenti nelle estremità cellulari che favoriscono l’adesione al substrato e tra le cellule. Sono quasi del tutto scomparsi gli ondulopodi sulla superficie cellulare (figura 1c). a c b Figura 1 Dopo 7 giorni di differenziamento in senso condrogenico le cellule cominciano ad aderire al substrato, assumono una morfologia ovoidale e producono numerosi filopodi che permettono l’ancoraggio al substrato (figura 2a). Gli ondulopodi, benché ancora numerosi, tendono a scomparire. A partire dal 14° giorno di differenziamento, le cellule mostrano una morfologia simil-fibroblastica e più spesso irregolare o poligonale con superficie cellulare libera da ondulopodi. Al 28° giorno di differenziamento, le cellule hanno raggiunto la confluenza e presentano prevalentemente una morfologia poligonale (figura 2b). Le MSC sono separate tra loro da spazi più o meno ampi al nei quali sono ben visibili numerosi filamenti proteici ad andamento irregolare 7 a b Figura 2 A 7 giorni di induzione osteogenica, sono visibili numerose filipodi, mentre gli ondulopodi sono localizzati all'apice della cellula. Anche nei campioni differenziati in senso osteogenico, nei primi giorni di trattamento compaiono numerose vescicole localizzate al di sotto della membrana plasmatica, indicanti intensa sintesi proteica. A 21 e 28 giorni, le MSC mostrano una forma simil fibroblastica (figura 3a), con superficie cellulare priva di ondulopodi e filopodi. Le singole cellule non sono più distinguibili anche se separate da spazi al cui interno sono presenti numerose strutture fibrillari di diametro variabile e disposte parallelamente tra loro,(figure 3 b,c,d) corrispondenti a proteine della matrice extracellulare. L'avvenuto differenziamento è stato dimostrato anche dalle analisi EDX-SEM di campioni stimolati per 28 giorni in cui si nota un picco indicante la presenza di fosforo associato alla deposizione di matrice minerale da parte delle cellule differenziate. Figura 3 DISCUSSIONE Negli ultimi anni, le cellule staminali mesenchimali sono state oggetto di studio per le loro potenziali applicazioni cliniche nella medicina rigenerativa . La maggior parte di questi studi sono basati su valutazioni biomolecolari aventi come obiettivo la caratterizzazione di cellule staminali mesenchimali isolate da diversi tessuti (midollo osseo, tessuto adiposo, sinovia, vasi sanguigni, il sangue del cordone ombelicale). Tuttavia, nonostante il crescente interesse riguardo a queste cellule e il loro uso nella riparazione dei tessuti, vi è una scarsa conoscenza delle loro caratteristiche morfologiche e ultrastrutturali nell’uomo. Inoltre non vi è un sistema uniforme di classificazione fenotipica di queste cellule e le MSC sono definite da un insieme di caratteristiche in vitro, compresa una combinazione di marcatori fenotipici. I requisiti per una 8 popolazione di cellule a qualificarsi come MSC sono: (a) aderenza alla plastica in condizioni di coltura standard, (b) espressione dei markers CD105, CD73, CD90 e la mancanza di espressione di CD45, CD34, CD14 o CD11b, CD79α o CD19 e HLA-DR e (c) capacità a differenziarsi in osteoblasti, condrociti e adipociti. Il presente studio ha avuto l’obiettivo di analizzare l'ultrastruttura delle cellule staminali mesenchimali differenziate in senso osteogenico e condrogenico al fine di individuare dei parametri morfologici per l'identificazione e la classificazione delle cellule staminali mesenchimali. Ventiquattro ore dopo la messa in coltura le cellule mostrano una morfologia sferica con una superficie cellulare irregolare per la presenza di numerosi filopodi e ondulopodi. Queste caratteristiche sono legate alla natura migratoria di queste cellule, alla capacità di aderire ad una specifico substrato e alla formazione di connessioni tra cellule adiacenti implicate nel riconoscimento e nelle interazioni cellulari. Dopo sette giorni di differenziamento in senso osteogenico e condrogenico le cellule assumono una forma rotondeggiante per una maggiore adesione al substrato, gli ondulopodi appaiono localizzati solo sulla parte superiore della superficie cellulare mentre i filopodi mantengono la stessa localizzazione anche se appaiono meno numerosi. Peculiare caratteristica morfologica delle cellule indotte in senso osteogenico e condrogenico è la presenza di numerose vescicole al di sotto della membrana cellulare e in regione perinucleare questo dato morfologico si ricollega ad una intensa attività di sintesi proteica. Al 14 e 21 giorni di differenziamento, le cellule si moltiplicano e mostrano una morfologia simil-fibroblastica. Dopo 28 giorni di induzione appaiono delle differenze morfologiche legate al diverso tipo di differenziamento: le MSC indotte al fenotipo osteogenico mostrano una forma allungata, le cellule sono strettamente adese tra loro formando un monostrato interrotto da piccole aree ovali occupate da fibre di diverso diametro a decorso parallelo; queste fibre corrispondono a proteine della matrice extracellulare come ampiamente dimostrato in letteratura. Cellule staminali mesenchimali del midollo osseo umano differenziate in senso condrogenico dopo 28 giorni assumono una forma poligonale. Le cellule anche in questo caso formano un monostrato interrotto da aree ovali occupate da fibre di diametro diverso ma intrecciate irregolarmente tra loro. Anche questo dato è riconducibile ad una attiva espressione di proteine di matrice. La nostra analisi ultrastrutturale ha rilevato caratteristiche morfologiche legate ai processi che si verificano durante il differenziamento delle cellule staminali mesenchimali: - Intensa sintesi proteica dovuta all’elevata l'attività metabolica dimostrata dalla presenza delle vescicole all’interno delle cellule. - Produzione di proteine di matrice ricollegabile alle fibre presenti negli spazi intercellulari. - Diverso orientamento delle fibre di matrice tra le cellule indotte in senso osteogenico e condrogenico - Presenza di precipitati di calcio adesi alle fibre che indicanti un inizio di mineralizzazione nelle cellule indotte in senso osteogenico. Unità Operativa: SC Banca del Tessuto Muscolo-Scheletrico, Cell Factory, Istituto Ortopedico Rizzoli Bologna (Responsabile UO: Pier Maria Fornasari) INTRODUZIONE E PRINCIPALE OBIETTIVO I progressi compiuti nel campo delle terapie cellulari hanno comportato la necessità di regolamentazioni allo scopo di garantirne sicurezza ed efficacia. Le cellule manipolate in maniera estensiva, essendo incluse dalle normative italiane ed europee nei prodotti di terapia cellulare somatica, sono assimilate a farmaci a tutti gli effetti. Ne consegue la necessità di operare nel rispetto di norme proprie dei processi produttivi farmaceutici, sia dal punto di vista organizzativo (Sistema di Qualità), che della sicurezza del prodotto (Good Manufacturing Practices, GMP). Tale necessità comporta innanzitutto l’allestimento di ambienti idonei, quali quelli delle camere sterili o cleanroom, conformi alle regole delle GMP ed autorizzati dall'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). La cleanroom consente di minimizzare i rischi di contaminazione in quanto è un ambiente in cui parametri quali l’aerazione, la ventilazione, la filtrazione dell’aria, i materiali di costruzione e le procedure operative sono rigidamente regolamentati. Devono inoltre essere costantemente monitorati temperatura, umidità relativa, pressioni differenziali tra i vari ambienti a diversa classe di pulizia, numero di particelle aerodisperse e numero di unità formanti colonie. Oltre l’ambiente, anche la coltura ed i reagenti utilizzati devono essere sottoposti a controlli periodici per la ricerca di eventuali contaminazioni batteriche, da micoplasmi ed endotossine. Non meno importanti per garantire la sterilità sono le rigide norme comportamentali del personale addetto alla manipolazione, nonché la definizione dei percorsi di tracciabilità del processo. Le applicazioni ad uso terapeutico implicano che le procedure della ricerca (research grade) vengano tradotte in protocolli clinici su larga scala (clinical grade). Nell’Istituto ortopedico Rizzoli è attiva una Cell Factory autorizzata alla produzione secondo le GMPs correnti Europee (European current GMPs, EU9 cGMPs) dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). Presso tale struttura vengono prodotti condrociti umani e cellule staminali mesenchimali per la rigenerazione di cartilagine ed osso. La rispondenza ai requisiti delle EUcGMPs implica la garanzia che i prodotti cellulari finali rilasciati dalla Cell Factory dello IOR soddisfino specifiche caratteristiche quali assenza di contaminazione, purezza, identità, resa e vitalità. MATERIALI E METODI La standardizzazione del processo di produzione di condrociti o cellule staminali mesenchimali a scopo di impianto autologo ha previsto: 1. confronto fra diversi metodi di isolamento delle cellule presenti in letteratura; 2. standardizzazione dei protocolli di isolamento e proliferazione in monostrato; 3. standardizzazione del protocollo di coltura su scaffold; 4. caratterizzazione del prodotto finito secondo le GMP. Le indagini microbiologiche effettuate per verificare l’assenza di contaminazione sono state sviluppate secondo la Farmacopea Europea. Per monitorare il processo di manipolazione asettica sono state individuate delle fasi di maggiore criticità, oltre a quella finale di rilascio del prodotto finito, durante le quali sono state effettuate indagini per rilevare la presenza di contaminazioni batteriche e Micoplasmi. La valutazione della presenza di endotossine è stata prevista unicamente alla fine del processo. La valutazione del prodotto finito è stata effettuata mediante tecniche immunocitochimiche e di biologia molecolare. Le cellule staminali mesenchimali sono state valutate mediante citofluorimetria a flusso. L’identità e la stabilità genetica dei lotti manipolati sono state valutate all’inizio mediante analisi di biologia molecolare. RISULTATI Il processo di produzione di condrociti umani a scopo di impianto autologo per la riparazione di difetti cartilaginei si è rivelato essere efficace, robusto e ripetibile. Per l’isolamento delle cellule da biopsia cartilaginea, il metodo più efficace è risultato quello che utilizza l’incubazione “overnight” dell’enzima collagenasi II. Per quanto riguarda la standardizzazione della proliferazione cellulare in monostrato, i risultati migliori sono stati ottenuti utilizzando come supplemento al terreno di coltura un siero fetale bovino “Pharma GRADE” e di provenienza australiana. Il prodotto finito è risultato vitale nella sua componente cellulare e fenotipicamente stabile. Infatti, analisi immunoistochimiche hanno evidenziato cellule positive al collagene di tipo II ed ai proteoglicani, marcatori tipici del fenotipo cartilagineo ialino. Tali analisi hanno inoltre evidenziato l’assenza di cellule positive al collagene di tipo I ed all’osteocalcina, marcatori rispettivamente del fenotipo fibroblastoide ed osseo. La standardizzazione del processo di produzione delle MSC da midollo osseo proveniente da cresta iliaca ha previsto un confronto fra due differenti metodiche di isolamento: 1. metodica classica di isolamento che utilizza un gradiente di densità; 2. metodica che prevede la semina diretta del midollo osseo; Entrambe le metodiche si sono rivelate efficaci e la caratterizzazione cellulare fenotipica effettuata al citofluorimetro ha fornito risultati comparabili. Tuttavia, la metodica classica è risultata meno applicabile in un contesto GMP perché, oltre ad utilizzare un reagente in più (il gradiente di densità), richiede tempi più lunghi di manipolazione, aumentando così il tempo di esposizione del prodotto cellulare e di conseguenza i rischi di contaminazione. La convalida del processo ha evidenziato che il prodotto finito è sterile, ovvero privo di contaminazioni da batteri aerobi, anaerobi,miceti micoplasma e di endotossine, vitale e stabile da un punto di vista fenotipico. Le analisi di biologia molecolare hanno evidenziato un profilo genetico unico per ogni lotto manipolato. DISCUSSIONE I risultati presentati evidenziano come sia possibile traslare protocolli di ricerca in processi applicabili in clinica. I successivi studi di convalida secondo GMP, che sono obbligatori per legge, hanno consentito di consolidare tali processi e renderli idonei ad una lavorazione su larga scala, o ripetitiva. Infatti, l’applicazione clinica di un processo di manipolazione cellulare estensiva può essere applicativa solo mediante dimostrazione che il processo in questione è in grado di fornire costantemente il prodotto con la qualità richiesta. 10 WP1.2 Trapianto di condrociti autologhi (TCA) con un materiale a base di acido ialuronico Unità Operativa: SC Clinica Ortopedica Traumatologica III, Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna (Responsabile UO: Prof. Maurilio Marcacci) INTRODUZIONE E PRINCIPALE OBIETTIVO Come già noto da tempo a differenza del tessuto osseo dotato di grandi capacità rigenerative, la cartilagine ialina possiede limitate capacità di riparazione intrinseca, essendo caratterizzata dall’assenza di supporto ematico, linfatico e nervoso indispensabili per la riparazione tessutale. Ciò comporta una scarsa capacità di guarigione, inoltre il tessuto cartilagineo neoformato, sia esso generato in caso di guarigione spontanea o in seguito a procedure chirurgiche, non possiede le caratteristiche biologiche e morfologiche della cartilagine articolare ialina sana, pertanto non consente performance meccaniche paragonabili al tessuto normale. L’obiettivo comune dei vari trattamenti chirurgici è quello di ripristinare un mantello cartilagineo articolare con caratteristiche biologiche e morfo-funzionali analoghe a quelle della cartilagine sana. Lo scopo degli studi condotti è di valutare la possibilità di trattare lesioni condrali con innesto di condrociti autologhi su scaffold di biomateriale a base di acido ialuronico (Hyalograft C), determinare i criteri di indicazione per questo tipo di trattamento e confrontare i risultati ottenuti con pazienti trattati con una procedura classica di stimolazione di midollo osseo (microfratture) a medio termine (5 anni) di follow up, valutare il risultato clinico a lungo termine. MATERIALI E METODI I pazienti trattati con tecnica ACI di II generazione, sono stati valutati clinicamente e con metodologia ad immagini con follow up a medio ed a lungo termine (oltre 5 anni) confermando i buoni risultati ottenuti a breve termine di follow up stabilendo il reale potenziale di questa tecnica ed i nuovi criteri di valutazione non invasiva attraverso RM. Il confronto con le microfratture è stato eseguito su 80 pazienti attivi trattati artroscopicamente con età media di 29,8 anni e con lesioni cartilaginee di III-IV grado su condili femorali o troclea (40 pazienti per ogni gruppo). Tutti i pazienti sono arrivati al 5° anno di follow up e sono stati valutati prospetticamente. In un altro studio abbiamo valutato il risultato clinico a lungo termine (7 anni di follow up) Inoltre, abbiamo confrontato il risultato clinico su una categoria di sportivi, in cui la funzionalità dell’articolazione è molto sollecitata: i calciatori. Lo studio prevedeva il confronto di pazienti maschi, calciatori professionisti o semiprofessionisti trattati con Hyalograft C (21 pazienti) con quelli trattati con microfratture (20 pazienti). Il follow up minimo era di 4 anni, ed il follow up medio 7,5 anni. Entrambi i gruppi sono stati valutati secondo le modalità previste dall’ICRS (International Cartilage Repair Society). Abbiamo anche valutato il risultato clinico sui pazienti trattati con Hyalograft C con età oltre i 40 anni, dove il potenziale di guarigione viene considerato minore: 61 pazienti con lesioni cartilaginee di III e IV grado sui condili femorali. 22 pazienti sono stati trattati con tecnica artroscopica ACI di seconda generazione, mentre 39 con tecnica open Chondro-Gide MACI. I pazienti sono stati valutati a 5 anni di follow up. RISULTATI I pazienti trattati con Hylograft C hanno confermato i già buoni risultati ottenuti a breve termine. Inoltre, abbiamo osservato un miglioramento alla valutazione delle RM, correlato con il risultato soggettivo. I nostri risultati sono incoraggianti e dimostrano la possibilità di trattare con successo pazienti con lesioni di differenti dimensioni, differenti localizzazioni e con precedenti chirurgici o con chirurgia associata. Entrambi i gruppi, Hyalograft C e microfratture, hanno evidenziato miglioramenti statisticamente significativi in tutti gli scores clinici rispetto alla valutazione preoperatoria. Nella comparazione dei due gruppi, i miglioramenti più evidenti sono stati osservati nel gruppo trattato con Hyalograft C a 5 anni di follow up. Il ritorno allo sport è risultato essere simile in entrambi i gruppi a 2 anni di follow up, rimanendo stabile nel gruppo Hylograft C a 5 anni, mentre nel gruppo microfratture è stato notato un peggioramento a 5 anni di follow up. I migliori risultati clinici e la ripresa all’attività sportiva sono stati ottenuti nel gruppo trattato con Hyalograft C. I buoni risultati ottenuti a 24 mesi sono stati confermati a lungo termine in una valutazione condotta su 62 pazienti. Infatti, a 7 anni i pazienti mantengono il risultato clinico ottenuto indicando una buona stabilità clinica di questo approccio nel tempo. Nello studio sui calciatori si è evidenziato un miglioramento significativo in tutti gli scores clinici, in entrambi i gruppi nel follow up finale rispetto al valore basale. La percentuale di pazienti che sono tornati allo stesso 11 livello competitivo è simile (80% nel gruppo microfratture e 86% nel gruppo Hyalograft C). Il ritorno alla prima partita è più veloce nel gruppo microfratture rispetto al gruppo con scaffold (8 mesi di media contro 12.5 mesi di media. P = .009). Gli scores soggettivi hanno evidenziato risultati simili a 2 anni in entrambi i gruppi, ma decisamente migliori nel gruppo con scaffold al follow up finale (P = .005). Infatti, nelle microfratture i risultati mostrano un leggero calo (da 86.8 ± 9.7 a 79.0 ± 11.6, P < .0005). Il gruppo Hyalograft C evidenzia una maggior stabilità a lungo termine dei risultati ottenuti (90.5 ± 12.8 a 2 anni e 91.0 ± 13.9) al follow up finale. Lo studio condotto su pazienti over 40 ha evidenziato un miglioramento significativo in entrambi i gruppi trattati e l’IKDC soggettivo è migliorato da 36.8 ± 8.4 a 68.1 ± 21.8 nella valutazione finale (valore inferiore rispetto ai risultati documentati in letteratura su popolazioni più giovani). I fallimenti rappresentavano il 20% dei casi. Il miglioramento più veloce è stato osservato nel gruppo trattato con Hyalograft C, anche se il risultato era sovrapponibile a 24 e 60 mesi di follow up. DISCUSSIONE I nostri risultati sono incoraggianti e dimostrano la possibilità di trattare con successo pazienti con lesioni di differenti dimensioni, differenti localizzazioni e con precedenti chirurgici o con chirurgia associata. I vari studi hanno inoltre evidenziato una buona stabilità nel tempo dei risultati clinici ottenuti, anche in pazienti con particolari sollecitazioni funzionali, e superiori rispetto a quelli osservati in pazienti trattati con microfratture. Il gruppo over 40 ha evidenziato buoni risultati clinici, tuttavia i miglioramenti a medio termine risultano minori rispetto ai pazienti più giovani. Anche la casistica dei fallimenti è superiore. WP 1.3: Trattamento di lesioni ostecondrali mediante un biomateriale nanostrutturato a base di collagene-idrossiapatite Unità Operativa: SC Clinica Ortopedica Traumatologica III, Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna (Responsabile UO: Prof. Maurilio Marcacci) INTRODUZIONE E PRINCIPALE OBIETTIVO Dopo i primi incoraggianti risultati ottenuti in uno studio animale, abbiamo valutato la possibilità di trattare le lesioni osteocondrali con l’innesto di uno scaffold osteocondrale (O.C.) sviluppato di recente, composto da collagene tipo I / Idrossiapatite (HA), nanostrutturato e biomimetico, in grado di riprodurre la morfologia dello strato cartilagineo e dell’osso subcondrale. Lo strato cartilagineo è rappresentato da collagene di tipo I ed ha una superficie regolare per favorire la continuità articolare. Lo strato intermedio consiste in una combinazione di collagene di tipo I (60%) e HA (40%), mentre lo strato più profondo consiste in una miscela mineralizzata di collagene di tipo I (30%) e HA (70%), riproducente lo strato di osso subcondrale. MATERIALI E METODI Abbiamo effettuato uno studio prospettico, valutando clinicamente e con metodiche di imaging (Rx, RMN) 30 pazienti a 4 anni di follow up; 29 su 30 sono stati inclusi nello studio (un paziente è stato perso al follow up). I criteri di inclusione dello studio erano: pazienti di età compresa fra i 16 ed i 50 anni con sintomi clinici come dolore e gonfiore al ginocchio con IV-V grado di lesione condrale e osteocondrale. I criteri di esclusione erano: deviazione assiale non corretta o instabilità di ginocchio. Tutti i pazienti hanno dato il consenso informato ed il trattamento è stato approvato dal comitato etico locale. In 23 pazienti la lesione era singola, in 6 casi invece c'erano lesioni multiple, per un totale di 35 lesioni trattate. La dimensione media del difetto era di 2.8 cm2 (range: 1.5– 5.9 cm2) ed il difetto era classificato di Grado IV-V, come previsto dai criteri dell'International Cartilage Repair Society (ICRS). L'eziologia era microtraumatica/degenerativa in 22 casi, traumatica/acuta in 4 casi e 3 pazienti erano affetti da osteocondrite dissecante. Il rapporto maschi-femmine era 20:9, con un'età media di 29.3 anni (range: 21–59). 8 pazienti sono stati operati per la prima volta, mentre 21 pazienti presentavano una pregressa chirurgia. In 14 pazienti è stata eseguita chirurgia associata. Inoltre, abbiamo condotto uno studio animale su pecora, per verificare se l’apporto di PRP sullo scaffold osteocondrale di idrossiapatite e collagene poteva contribuire al processo di integrazione e maturazione dello scaffold. Sono state effettuate 24 lesioni osteocondrali sul condilo femorale (mediale e laterale). Nel primo gruppo la lesione è stata trattata solo con lo scaffold. Il secondo gruppo con lo scaffold imbibito di PRP, mentre nel terzo gruppo la lesione è stata lasciata vuota. Dopo 6 mesi le pecore sono state sacrificate e gli 12 impianti sono stati valutati con microradiografie e valutazione istologica. RISULTATI L’analisi statistica ha dimostrato un miglioramento significativo dal pre-operatorio a 6, 12 e 24 mesi di follow up. Lo score IKDC oggettivo ha evidenziato preoperativamente il 46.1% di ginocchia normali o quasi normali normali e l’85.7% di ginocchia normali o quasi normali a 24 mesi. L’analisi statistica ha evidenziato un miglioramento significativo nello score IKDC soggettivo dal pre-operatorio (37,5±14,6) a 6 mesi di follow-up (62,4±11,9), 12 mesi di follow-up (71,9±14,6) e a 24 mesi di follow up (76.7.±14,6). La valutazione delle RMN, effettuata secondo la scala di valutazione MOCART, ha evidenziato la differenziazione degli strati dello scaffold nel tessuto osseo e cartilagineo già a 6 mesi di follow-up: nel 60% dei casi studiati, è stata trovata la differenziazione in senso osteocondrale. I buoni risultati delle RMN sono stati confermati nella valutazione a 12 e 24 mesi (fig.1). Figura 1- A e B immagini RM preoperatorie, C e D immagini postoperatorie a 24 mesi. Abbiamo dimostrato la possibilità di trattare anche casi complessi di lesioni osteocondrali con l’innesto di questo nuovo scaffold con buoni risultati a breve follow-up. La valutazione a 36 e 48 mesi di follow up ha confermato il trend positivo ottenuto a 24 mesi, con risultati stabili nel tempo. Lo studio animale ha evidenziato un dato interessante. Infatti, entrambe le valutazioni previste hanno evidenziato una buona integrazione in entrambi i gruppi che prevedevano il trattamento della lesione, ma nel gruppo con solo lo scaffold la rigenerazione del tessuto osseo e cartilagineo era significativamente migliore, dimostrando gli esiti negativi dell’applicazione del PRP ai fini dell’accelerazione della rigenerazione tissutale mediante scaffold osteocondrale. Il gruppo di pecore non trattate, invece, ha evidenziato una copertura della lesione con tessuto fibroso DISCUSSIONE L’utilizzo di questo scaffold osteocondrale presenta un grande interesse clinico per le sue peculiarità e la potenzialità di trattare anche lesioni osteocondrali complesse con buoni risultati documentati a medio followup. WP1.4 Rigenerazione di lesioni cartilaginee della caviglia tramite l’utilizzo di cellule del midollo osseo, fattori di crescita e biomateriali in una procedura one-step Unità Operativa: SC Clinica Ortopedica Traumatologica II, Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna (Responsabile UO: Prof. Sandro Giannini) INTRODUZIONE E PRINCIPALI OBIETTIVI Le lesioni osteocondrali dell’astragalo sono lesioni che interessano sia la cartilagine articolare che l’osso sottocondrale, e se sintomatiche spesso necessitano per il loro trattamento del ricorso ad un intervento chirurgico. In letteratura sono descritte numerose tecniche differenti, che vanno dalla semplice bonifica della sede di lesione ad una lunga serie di procedure, alcune a scopo ripartivo, come le tecniche di stimolazione midollare (drilling, microfratture), altre volte a sostituire la cartilagine danneggiata come il trapianto di segmenti osteocondrali (mosaicoplastica, osteochondral autografts transfer system) ed altre di stampo 13 rigenerativo (trapianto di condrociti autologhi). Queste tecniche hanno dimostrato di poter ottenere buoni risultati clinici, ma presentano alcuni aspetti che ne limitano l’utilizzo: le tecniche riparative sono in grado di riparare la lesione con tessuto fibrocartilagineo, istologicamente differente e funzionalmente inferiore a quello di tipo ialino, quelle sostitutive necessitano di una chirurgia open, comportano una morbilità del sito donatore e sono tecnicamente complesse. Per quel che concerne le tecniche rigenerative, il trapianto di condrociti autologhi ha dimostrato di superare molti di questi aspetti limitanti, ma rimangono la necessità di due interventi chirurgici e l’esigenza di una struttura laboratoristica per la coltura e la semina cellulare, con un notevole innalzamento dei costi; in aggiunta le cellule non sono in grado di colmare il difetto osseo se non con tessuto cartilagineo, di conseguenza in caso di lesione di profondità importante si rende necessario il borraggio con osso spongioso autologo. Per superare queste problematiche e in linea con le recenti acquisizioni nel campo della medicina rigenerativa abbiamo rivolto l’attenzione verso un tipo di cellule che potessero replicare e rigenerare spontaneamente verso una linea di tipo sia cartilagineo che osseo, senza quindi richiedere una fase laboratoristica. Le cellule staminali mesenchimali (CSM) rispondono a queste caratteristiche, e sono facilmente prelevabili dalla cresta iliaca del paziente. Le CSM possono essere impiantate previa espansione ed isolamento in laboratorio o dopo un breve procedimento di eliminazione dei globuli rossi: questa seconda opzione consente di impiantare, oltre alle CSM, l’insieme delle cellule mononucleate e di tutti quei fattori presenti nel midollo osseo che costituiscono un microambiente ad altissimo potenziale rigenerativo, senza quindi eliminare parte della componente staminale attiva nel midollo osseo. In questo caso si parla di un trapianto di cellule mononucleate midollari (TCMM), e si rende possibile una procedura che in un solo intervento coniughi la fase di prelievo e la fase di impianto. Allo scopo di fornire direttamente in loco un supplemento di fattori di crescita è stato utilizzato il gel piastrinico autologo: le piastine infatti sono molto importanti nei processi di riparazione dei tessuti in quanto liberano una grande quantità e varietà di fattori di crescita, quindi il concentrato piastrinico (o gel piastrinico) risulta un ottimo “acceleratore” nei processi di guarigione. Sulla base di questi presupposti è stata sviluppata presso la Clinica II IOR una procedura chirurgica innovativa one-step per il trattamento artroscopico delle lesioni osteo-cartilaginee focali della caviglia. MATERIALI E METODI Dal 2008 sono stati arruolati nella sperimentazione clinica 119 pazienti che presentavano lesioni osteocondrali dell’astragalo di tipo II-A e II-B (classificazione di Giannini) e di grado III e IV (Classificazione ICRS) con range di età da 15 a 46 anni. Come previsto dal protocollo per ogni paziente è stato eseguito uno studio preoperatorio di imaging tramite Rx ed RMN, ed una valutazione clinica tramite la scheda AOFAS. TECNICA CHIRURGICA Il gel piastrinico (6 ml) si ottiene attraverso metodo automatico (Vivostat System), dal prelievo di 120 ml di sangue venoso. Se la procedura viene effettuata il giorno precedente l’intervento, è necessario stoccare a 35°C il PRF e scongelarlo 30 minuti prima della procedura chirurgica. Il prelievo dell’aspirato midollare si effettua con il paziente in decubito prono. Vengono aspirati 60 ml di sangue midollare dalla cresta iliaca postero-superiore e posti in una sacca di raccolta eparinata. (Fig.1) Figura 1: Prelievo dell’aspirato midollare dalla cresta iliaca del paziente previo allestimento del campo sterile. 14 Mediante l'utilizzo di una centrifuga (Harvest Smart PreP2, Harvest Technologies Corp, Plymouth, MA oppure IORG-1, Novagenit, Mezzolombardo, TN) si ottengono 6 ml di concentrato cellulare, contenente le cellule staminali mesenchimali e le altre popolazioni cellulari nucleate che costituiscono il microambiente midollare. L’indagine artroscopica avviene attraverso due accessi standard, antero-mediale e antero-laterale. Viene repertata la lesione osteocondrale e si esamina lo stato della cartilagine circostante e contrapposta. Si bonifica la lesione in modo da raggiungere un letto di osso sub-condrale sano e si misurano le dimensioni e la profondità con l’ausilio di un palpatore millimetrato. (Fig.2) Figura 2: Bonifica della lesione e misurazione delle dimensioni. Si prepara poi il composto da impiantare caricando circa 2 ml di concentrato midollare sullo scaffold (rappresentato da collagene in polvere, membrana in acido ialuronico o membrana in collagene) delle dimensioni adeguate. La cannula, con l'ausilio dell'apposito trocar, viene quindi inserita attraverso l’accesso artroscopico più vicino alla lesione; si interrompe la distensione articolare e si aspira il liquido residuo. Il composto finale viene applicato nella finestra della cannula, guidato al suo interno fino ai margini della lesione sospinto dal palpatore e fatto aderire perfettamente mediante l’uso di una spatola al fondo della lesione. (Fig.3) Figura 3: Il composto finale viene posizionato a colmare il difetto osteocondrale. Segue l’applicazione del gel piastrinico a copertura dello scaffold, allo scopo di fornire un’elevata concentrazione di fattori di crescita e di promuovere ulteriormente la stabilità dell’impianto grazie alla gelificazione del PRF. Infine, sotto controllo artroscopico, si eseguono movimenti di flessione ed estensione della caviglia al fine di valutare la stabilità dell’impianto. TRATTAMENTO POST-OPERATORIO Il protocollo postoperatorio prevede una precoce mobilizzazione attiva e passiva della caviglia a partire dalla prima giornata post-operatoria. La deambulazione è concessa con l’ausilio di due bastoni antibrachiali senza carico sull’arto operato per le prime 6 settimane; segue un graduale carico parziale e il carico libero a 10-12 settimane. L’attività sportiva a basso impatto è concessa a 4 mesi dall’intervento chirurgico, mentre attività ad alto impatto sono concesse a 10-12 mesi. VALUTAZIONE DEI PAZIENTI Per il follow up sono stati eseguiti controlli ambulatoriali a 1,3,6, 12, 18 e 24 mesi, e RMN di controllo a 6, 15 12, 18 e 24 mesi di follow up valutate tramite la scala di MOCART. 20 pazienti, a 24 mesi di follow-up, sono stati rivalutati con la RMN tradizionale integrata da sequenza T2-mapping specifica per la valutazione qualitativa della cartilagine articolare. La RMN T2 mapping è una sequenza multiecho che esprime, secondo una scala cromatica, la percentuale d’acqua presente in un tessuto. I valori di T2 mapping compatibili con cartilagine ialina (T2 map range: 35-45 ms) sono stati ottenuti arruolando 20 soggetti sani che hanno rappresentato il gruppo controllo. RISULTATI CLINICI Tutti i pazienti selezionati per lo studio sono stati controllati alle scadenze previste dal protocollo. Non è stata osservata nessuna complicanza intraoperatoria; solo in un caso è stata rilevata una complicanza infettiva del portale di accesso artroscopico, trattata con antibiotici orali. Il punteggio AOFAS pre-operatorio medio era 64.4 punti (range 35–79). A 6 mesi l’AOFAS medio era 73,3 punti (range 61-97) (p=<0,0005); A 12 mesi l’AOFAS medio era 83,3 punti (range 65-100) (p=<0,0005); A 18 mesi l’AOFAS medio era 90,04 punti (range 65-100) (p=<0,0005); A 24 mesi l’AOFAS medio era 91,3 punti (range 65-100) (p=<0,0005); Dettaglio del miglioramento clinico valutato tramite AOFAS score. RMN TRADIZIONALE: L’analisi dello score di MOCART (Tab.1) a 24 mesi di FU ha evidenziato un riempimento del difetto condrale completo nel 45% dei casi, ipertrofico nel 45% dei casi ed incompleto nel 10% dei casi (<50% del difetto). L’integrazione dei bordi è risultata competa nel 65% dei casi e nel restante 35% incompleta. La superficie del rigenerato è risultata intatta nel 40% dei casi e danneggiata nel restante 60% dei casi. Il tessuto di rigenerazione è stato riscontrato isointenso nel 70% dei casi e moderatamente iperintenso nel restante 30%. Il 90% dei casi presentava alterazione della lamina subcondrale mentre nel restante 10% appariva integra. L’osso subcondrale risultava inalterato nel 35% dei casi mentre nel 65% dei casi ha mostrato alterazioni soprattutto di tipo edemigeno nel 60% dei casi. Il versamento articolare era evidente solo nel 5% dei casi e tuttavia di scarsa entità. 16 Parametri Grado di riempimento del difetto osteocondrale Grado % casi Completo 45 Ipertrofico 45 Incompleto > 50% 10 Incompleto < 50% 0 Esposizione dell’osso subcondrale 0 Completa 65 Incompleta 35 Intatta 40 Danneggiata < 50% 40 Danneggiata > 50% 20 Omogeneo 15 Disomogeneo 85 Isointenso 70 Moderatamente iperintenso 30 Marcatamente iperintenso 0 Intatta 10 Non intatta 90 Intatta 35 Alterato 65 Versamento articolare 5 Edema subcondrale 60 Integrazione dei bordi Superficie del rigenerato Struttura del tessuto di rigenerazione Intensità del segnale DPFSE del tessuto rigenerato Stato della lamina subcondrale Osso subcondrale Presenza di complicazioni Tabella. 1: Dettaglio dello score di MOCART ottenuto nelle RMN a 24 mesi di FU. 17 RMN T2 MAPPING: In tutti i casi è stato riscontrato un tessuto rigenerativo simil-ialino (T2-map 35-45 ms) esteso al 78% dell’area rigenerata (range 50-92%). (Fig. 4) Fig. 4: Paziente maschio di 20 anni. L’immagine mostra riempimento completo del difetto da parte di tessuto di rigenerazione (T2-map 44 ms: colore verde) simile a quello della cartilagine ialina sana. Nel 65% dei casi, sono state riscontrate piccole aree (<10% dell’area rigenerata) di tessuto di tipo fibrocartilagineo (T2-map < 35 ms) e solo in 1 caso (5%) si estendeva per circa il 50% dell’area del rigenerato. Piccole aree di tessuto in fase di rimodellamento o di tipo infiammatorio (<20% dell’area rigenerata) con valore T2-map >45 ms sono state rilevati nel 65% dei casi mentre nel 25% dei casi erano estese al 35-40% dell’area rigenerata. Infine, nel 10% dei casi sono stati trovati piccole aree di tessuto simil-osseo (<8% dell’area rigenerata) e nel 5% dei casi artefatti ferromagnetici da residui metallici. DISCUSSIONE Per il trattamento chirurgico delle lesioni osteocondrali dell’astragalo sono state presentate numerose tecniche, che a fronte di buoni risultati clinici comportano però alcuni aspetti negativi. La tecnica che si pone allo stato dell’arte per il trattamento della patologia in questione è il TCA. In particolare nella sua versione interamente artroscopica ha reso possibile il superamento di numerosi limiti delle tecniche precedenti: infatti si evita una procedura open con osteotomia malleolare, ottenendo una più precoce ripresa della funzionalità della caviglia e limitando le complicanze postoperatorie. Inoltre prelevando i condrociti dai margini della lesione, nel corso della prima artroscopia, non si osserva la patologia del sito donatore a livello dell’astragalo o del ginocchio sede di prelievo. Tuttavia i limiti maggiori del TCA rimangono la necessità di due interventi chirurgici, e i costi molto elevati, dovuti alla fase laboratoristica di coltura condrocitaria. In aggiunta il TCA permette di ottenere il ripristino di un mantello cartilagineo ialino a livello del sito di lesione, ma non alla rigenerazione del tessuto osseo subcondrale, portando alla necessità quindi, in caso di lesione profonda, di eseguire un borraggio della lesione con osso spongioso autologo sul quale impiantare la membrana contenente i condrociti. Proprio queste osservazioni hanno portato allo sviluppo della tecnica one-step, che si basa sull’utilizzo di cellule multipotenti: questa proprietà permette infatti di evitare la fase di coltura cellulare in laboratorio, in quanto le cellule replicano e si differenziano nella sede di impianto. In questo modo è possibile effettuare l’intera procedura in un'unica seduta chirurgica, con notevole riduzione del disagio da parte del paziente, accorciamento della tempistica, in quanto si eliminano le 3-4 settimane di coltura cellulare e una importante riduzione dei costi del trattamento. I risultati ottenuti a 2 anni di follow up nell’ambito della sperimentazione clinica sono estremamente soddisfacenti sia dal punto di vista clinico, che da quello dell’imaging. Un maggior follow up appare comunque necessario per confermare la validità di questa tecnica nel tempo. 18 WP1.5 Rigenerazione di lesioni cartilaginee mediante trattamento transcutaneo con laser Nd: YAG Unità Operativa: SC Medicina Fisica e Riabilitativa, Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna (Responsabile UO: Dott. Alessandro Zati) INTRODUZIONE E PRINCIPALE OBIETTIVO E’ ben noto che la capacità intrinseca della cartilagine articolare di riparazione del danno è molto scarsa soprattutto nell’adulto (1), ed il tessuto neoformato presenta delle caratteristiche istologiche diverse rispetto al tessuto di partenza essendo eminentemente un tessuto di tipo fibrocartilagineo (2). Allo scopo di individuare un trattamento idoneo alla rigenerazione di lesioni cartilaginee dovute a lesioni traumatiche, gli studi si sono rivolti all’impiego di una strategia terapeutica innovativa e non invasiva. In particolare, la tecnologia laser è impiegata in medicina per il trattamento di alcune patologie infiammatorie croniche e degenerative quali artrosi, artrite, e con successo anche nella stimolazione per il riparo di ferite cutanee. Allo scopo, quindi di individuare un trattamento non invasivo, abbiamo rivolto la nostra attenzione alla tecnologia LASER-Nd:YAG pulsato.. Precedenti studi in vivo hanno dimostrato come l’utilizzo di tale tecnologia nella riparazione di danni osteocartilaginei preventivamente allestiti nell’animale abbia dato risultati soddisfacenti, confermati dalla riformazione di nuovo tessuto con caratteristiche simili al tessuto originale. vivo[3]. Visti i promettenti risultati e la mancanza di effetti collaterali nel modello animale, si è deciso di estendere la sperimentazione nell’uomo, conducendo valutazioni anatomiche, istologiche ed immunostochimiche delle aree trattate con il laser. Per ottenere questi dati abbiamo affiancato il nostro studio alla comune procedura utilizzata per l’ impianto di condrociti autologhi (ACI), che prevede un primo intervento chirurgico per il prelievo del campione di cartilagine che poi dovrà essere espanso in laboratorio e un secondo intervento chirurgico, dopo circa 45 gg, per l’impianto del tessuto espanso all’interno dell’articolazione. Durante questo arco di tempo abbiamo trattato l’articolazione in oggetto (ginocchio) con la terapia laser Nd:YAG, avendo come controllo un gruppo che non ha fatto alcun trattamento prima del secondo intervento. Al secondo look artroscopico, noi abbiamo avuto la possibilità di verificare direttamente sul campo operatorio i risultati ottenuti. le valutazioni condotte hanno fornito i seguenti risultati: -la laser terapia ad alta intensità non ha causato alcun effetto collaterale, quale: lesioni superficiali / profonde o alterazioni cellulari patogene; pertanto può essere utilizzata nell’uomo in assoluta sicurezza. -la laser terapia ad alta intensità si è dimostrata in grado di stimolare il tessuto cartilagineo; in particolare, si è ottenuta la riduzione della dimensione della lesione, sia in ampiezza che in profondità, con buoni livelli d’integrazione ai tessuti circostanti. Al contrario, nel gruppo di controllo non si sono evidenziati fenomeni rigenerativi spontanei. Le analisi istologiche ed immunoistochimiche hanno confermato la rigenerazione del tessuto cartilagineo dal dopo trattamento con laser. Nel dettaglio, l’azione del laser è apparsa assai valida in alcuni soggetti e meno in altri, con una notevole variabilità specie in relazione all’età del paziente. - i dati clinici ottenuti sull’uomo sono in linea con i dati sperimentali precedentemente osservati nel modello animale, orientando verso la possibilità di incrementare gli effetti condrogenetici del laser Nd:YAG con ulteriori studi sulla metodica. MATERIALI E METODI Criteri di inclusione: sono stati inclusi nello studio individui affetti da lesione della cartilagine del condilo femorale del ginocchio, con traumati sportivi (calcio), il cui evento principale fosse avvenuto almeno un anno prima; età minima 17anni, massima 50. Criteri di esclusione: presenza di deformità agli arti inferiori; presenza di lesione cronica del legamento crociato anteriore; presenza di malattie sistemiche potenzialmente influenti sul metabolismo cartilagineo. In base a questi criteri sono stati selezionati 10 pazienti (sesso: 8 , 2 ; età media: 33 anni (età min:17a, età max:47a) in lista d’attesa per eseguire trapianto di cartilagine con il metodo ACI. 8 erano maschi e 2 femmine; l’ età media era 33 anni, il più giovane era di 17 aa e il più vecchio di 47aa. Con metodo randomizzato sono stati formati due gruppi: gruppo laser terapia (A); gruppo di controllo (B). A tutti i pazienti è stato richiesto consenso informato alla partecipazione allo studio. La sperimentazione con Laser NdYAG ha seguito la usuale tempistica del protocollo per l'ACI. Al primo intervento chirurgico, prima della pulizia del focolaio, si è prelevato il materiale tissutale di lesione, destinandolo alle valutazioni di laboratorio; dopo la pulizia chirurgica, il focolaio è stato fotografato e misurato. Dopo 45-60 gg, al secondo intervento chirurgico, la zona di lesione è stata nuovamente fotografata e misurata; il tessuto 19 rigenerato è stato prelevato e inviato al laboratorio. Dopo 7 giorni, nel gruppo Laser, è cominciata la laser terapia 1 volta al dì per 5 gg alla settimana per 21 gg. Protocollo terapeutico: gruppo laser terapia: i pazienti sono stati trattati con laser Nd:YAG (v oltre). Nel gruppo di controllo non è stata eseguita alcuna terapia. A tutti i pazienti è stato raccomandato l’uso di 1 bastone antibrachiale per circa 15 gg dopo il primo step chirurgico e per 20 gg dopo il 2° step. Analisi macroscopica. Per valutare la profondità della lesione è stata utilizzata la classificazione ICRS (International Cartilage Repair Society) con uno score 0-4, con 0,indice di cartilagine sana e 4 indice di lesioni cartilaginee con interessamento dell’osso subcondrale. L’area della lesione è stata calcolata in mm2 utilizzando un software espressamente elaborato (Anthology, DEKA srl, Firenze, Italy) che, dopo taratura, utilizza i pixel digitali per la misurazione. Le caratteristiche macroscopiche tissutali sono state descritte e quantizzate con i seguenti tests: -test CRA (Cartilage Repair Assesment), con score 0-12, in cui 0: cartilagine degenerata non integrata mentre 12 indice di cartilagine normale ed integrata con il tessuto circostante -test ORA (Overall Repair Assessments, con 4 classi di cui I rappresenta la cartilagine normale, mentre IV peggiore cartilagine con vari processi degenerativi [5]. Analisi Istologica. L’analisi istochimica è stata condotta mediante colorazione con Safranina O/ Fast Green per visualizzare la presenza di glicosamminoglicani (GAG) e proteoglicani nella matrice cartilaginea ed usando uno score della cartilagine articolare modificato da Pineda e Wakitani[6,7]. Lo score usato per l’analisi delle biopsie osteocartilaginee prende in considerazione 5 parametri: aspetto morfologico della cartilagine articolare (0-4), contenuto di proteoglicani della matrice cartilaginea (0-3), struttura della superficie cartilaginea (0-3), spessore del tessuto cartilagineo (0-2) ed integrazione della cartilagine neoformata con il tessuto circostante (0-2); presenta uno score massimo di 14, indice di cartilagine con vari processi degenerativi ed un minimo di 0, indice di cartilagine sana. Le valutazioni istologiche sono state condotte in doppio cieco dal Laboratorio di Immunoreumatologia e Rigenerazione Tissutale dell’Istituto Ortopedico Rizzoli e dalla School of Dental Medicine di Harvard, Boston, grazie la gentile collaborazione della Prof. Julie Glowacki. Analisi immunoistochimica. Le analisi immunoistochimiche per il collagene di tipo I e II sono state eseguite presso il laboratorio di Immunoreumatologia e Rigenerazione Tissutale dell’Istituto Ortopedico Rizzoli. Analisi statistica. E’ stata condotta con il test non parametrico Mann Whitney e con il test di correzione Welch. Trattamento Laser. I pazienti del gruppo LASER sono stati trattati attraverso finestre ottiche eco guidate, 1 volta al dì per 15 gg in 3 settimane. I parametri stati usati sono i seguenti: : 1,064 nm, Pulse Intensity Fluence (PIF) 0.55 [J/cm3]2, 50 J/cm2 ; Peak Intensity 13±2 kW/cm2; l’energia totale per die: 3±0.7 kJ. RISULTATI Tutti i pazienti hanno completato i test preventivati. Dopo i prelievi bioptici previsti per lo studio, il tessuto rigenerato spontaneamente è stato rimosso ed è stato condotto ACI, come da protocollo. Analisi Macroscopica. Nei pazienti trattati con laser la profondità media delle lesioni cartilaginee si è significativamente ridotta dal tempo T0 al T1, come evidenziato dal test ICRS, raggiungendo uno spessore cartilagineo normale o quasi. Solo un caso del gruppo laser la lesione presentava una profondità classificabile come grave. Nel gruppo di controllo non si sono osservate variazioni spontanee della profondità delle lesioni tra T0 e T1 (assenza di rigenerazione). Per quanto riguarda l’area di lesione, nel gruppo trattato con il laser, al tempo T1 l’area della lesione era in gran parte rivestita da tessuto neoformato; tale fenomeno era ben evidente in 2 casi, quelli più giovani, mentre nei rerstani casi la rigenerazione cartilaginea era di entità variabile. Nel gruppo di controllo non ci sono state variazioni dell’area tra T0 e T1, tranne in un caso, che tuttavia era di minima entità. È stata trovata una differenza significativa tra gruppo laser e quello di controllo (p<0.01) al tempo T1, per l’analisi dell’area delle lesioni. Per quanto riguarda le caratteristiche del tessuto rigenerato, il test CRA ha mostrato controllo buoni risultati nel gruppo laser rispetto quello di controllo (7.0±3.3 vr.s 1.4±0.9, p<0.01) e risultati analoghi sono stati ritrovati per il test ORA. Analisi istologiche. Le biopsie osteo-cartilaginee analizzate a livello dell’area di lesione al tempo T0 presentavano un tessuto cartilagineo fibroso. L’analisi delle biopsie osteo-cartilaginee ottenute dalle aree trattate con il laser, presentavano un tessuto cartilagineo simile a quello nativo, con un buon contenuto di proteoglicani, un’ordinata organizzazione cellulare, una superficie regolare ed una buona integrazione con il tessuto circostante (Fig.1). Le 20 analisi dei campioni di controllo non hanno invece evidenziato alcun processo ripartivo (Fig.2). Lo score istologico usato nel presente studio (Pineda & Wakitani), che valuta l’aspetto morfologico della cartilagine articolare ed il grado di integrazione con il tessuto circostante ha evidenziato significativi processi di rigenerazione del tessuto cartilagineo nel gruppo trattato con il laser rispetto quello di controllo (p=0.031) (Fig.3). Analisi immunoistochimica. L’analisi immunoistochimica per il collagene di tipo II ha evidenziato poche aree positive per tale marker nelle biopsie osteo-cartilaginee provenienti da pazienti trattati con il laser al tempo T0, mentre una forte positività è stata osservata, soprattutto a livello della matrice extracellulare al tempo T1. Nel gruppo di controllo, nessuna positività per il collagene di tipo II è stata osservata sia a T0 che T1. L’analisi immunoistochimica per il collagene di tipo I ha evidenziato una notevole positività a livello cellulare nel gruppo trattato con il laser al tempo T0 mentre nessuna positività è stata ritrovata al tempo T1. Un’intensa positività per il collagene di tipo I per il gruppo di controllo è stata individuata sia al tempo T0 che T1. Figura 1 Figura 2 21 Figura 3 DISCUSSIONE Lo studio ha valutato gli effetti esercitati dal trattamento laser Nd:YAG ad alta intensità in pazienti con lesioni cartilaginee a livello del ginocchio mediante aanalisi macroscopiche, istologiche ed immunoistochimiche. I pazienti sottoposti al trattamento laser hanno mostrato in generale una buona rigenerazione delle aree danneggiate con un’ integrazione dei tessuti circostanti soprattutto nei pazienti più giovani. I migliori risultati in termini di una riduzione dell’area della lesione, sono stati osservati nel gruppo trattato con il laser rispetto quello di controllo. Il trattamento laser sembra avere avuto poco effetto invece sullo spessore dell’area cartilaginea rigenerata. per lo spessore del tessuto cartilagineo nel gruppo trattato con il laser. Le indagini istologiche hanno evidenziato nel gruppo trattato con il laser la presenza di un tessuto cartilagineo , simil-ialino con un alto contenuto di proteoglicani ed una buona organizzazione cellulare al tempo T1. Il gruppo di controllo invece non ha evidenziato la neoformazione di tessuto cartilagineo e presentava un tessuto con un aspetto fibroso. Le analisi di immunoistochimica condotte sui campioni biologici trattati con il laser hanno mostrato una struttura di tipo ialino con un alto contenuto di collagene di tipo II ed uno scarso contenuto di collagene di tipo I rispetto al gruppo di controllo al tempo T1. I risultati ottenuti dalle seguenti analisi sembrano supportare l’idea che il trattamento Nd:YAG ad alta intensità favorisca la rigenerazione del tessuto cartilagineo in tempi brevi (45-60 giorni) nel trattamento delle lesioni cartilaginee. Lo studio presenta alcune limitazioni, quali il basso numero di pazienti impiegati nello studioI risultati ottenuti sembrano dunque di notevole significato clinico, essendo corredati da diversi tipi di indagini che hanno preso in considerazione diversi aspetti del processo riparativo indotto dal trattamento laser. Alla luce di ciò, il trattamento terapeutico con Nd:YAG ad alta intensità, non invasivo e senza effetti collaterali, sembra promettente per il trattamento di lesioni cartilaginee nell’uomo. 22 Modulo 2. Medicina Rigenerativa per la riparazione dell’osso WP2.1 Caratterizzazione di cellule staminali mesenchimali per il riparo del tessuto osseo. Unità Operativa: SC Laboratorio di Immunoreumatologia e Rigenerazione Tissutale, Istituto Ortopedico Rizzoli (Responsabile UO: Dott.ssa Gina Lisignoli) INTRODUZIONE E PRINCIPALE OBIETTIVO La perdita di tessuto osseo può avvenire in diverse situazioni quali traumi, tumori, atrofia e in diverse zone del tessuto osseo quali ossa lunghe, piatte o corte che presentano un organizzazione peculiare. La rigenerazione del tessuto osseo è un processo complesso che è noto essere regolato da molteplici fattori e che avviene spontaneamente in condizioni normali. Nonostante ciò, in varie situazioni la rigenerazione di tale tessuto non avviene in modo completo e questo spesso porta alla formazione di un tessuto di tipo fibroso. Infatti la rigenerazione ossea richiede la formazione di nuovo tessuto osseo e di vasi sanguigni che mediano il trasporto di precursori osteogenici, di molecole secretorie che fungano da attivatori per gli osteoblasti, di trasportatori di nutrienti e di ossigeno. Diverse sono le strategie terapeutiche per favorire la rigenerazione del tessuto osseo alcune si basano sull’utilizzo di tessuto osseo autologo altre sull’uso biomateriali da soli o associati a cellule osteo-progenitrici e/o fattori di crescita. La nuova formazione di tessuto osseo nei biomateriali richiede che questi abbiano specifiche proprietà biomeccaniche, osteoconduttive e proangiogeniche al fine di facilitarne l’integrazione della struttura impiantata con quella ospite. Molteplici sono i problemi di base che devono ancora essere chiariti al fine di favorire una sicura ed efficace rigenerazione del tessuto osseo: 1. Identificare markers molecolari che permettano di sviluppare procedure standardizzate e sicure per isolare precursori osteogenici, 2. Determinare i meccanismi che controllano l’espansione ed il differenziamento di cellule formanti nuovo tessuto osseo, 3. Valutare le interazioni tra cellule osteoprogenitrici e cellule del midollo osseo, 4. Definire fattori extracellulari capaci di favorire l’osteogenesi, quali fattori di crescita e biomateriali sintetici, 5. Determinare gli effetti di fattori di crescita rilasciati dalle piastrine sulla proliferazione ed il differenziamento di cellule osteoprogenitrici, 6.sviluppare processi standardizzati in GMP compatibili con l’espansione delle cellule osteoprogenitrici che riducano la variabilità tra lotti diversi. Nell’ambito di tale WP, lo scopo di tale U.O. è stato valutare in vitro l’espansione ed il differenziamento di cellule osteo-progenitrici ottenute da varie fonti e l’interazione di queste con la matrice extracellulare e con altre cellule del midollo osseo. Gli obiettivi di tale U.O. sono stati 2: 1.Valutare i meccanismi molecolari che controllano in cultura l’espansione e il differenziamento delle cellule osteo-progenitrici. 2.Valutare le interazioni tra cellule mesenchimali, osteoblasti ed osteoclasti e altre cellule del midollo osseo quali i linfociti MATERIALI E METODI Nell’ambito del 1° obiettivo, dal piatto tibiale di uno stesso soggetto sono stati isolati gli osteoblasti (OB) e le cellule mesenchimali (MSC) (Fig.1A). In particolare, gli OB sono stati ottenuti utilizzando una procedura che prevede la digestione di frammenti di tessuto osseo con Collagenasi P per 2 ore in incubatore, lavaggio di questi in PBS e successiva semina in capsule Petri in terreno α-MEM e in DMEM/F12. Dopo circa 3 settimane sono stati rimossi i frammenti ossei e le cellule sono state espanse in vitro. Le cellule mesenchimali staminali sono state isolate dal midollo utilizzando una metodica standardizzata nel nostro laboratorio, che prevede la separazione delle cellule mediante gradiente di densità (Ficoll-Hipaque). Le cellule sono state successivamente lavate, seminate ed espanse in fiasca in terreno α-MEM e in DMEM/F12. 23 Figura 1 Sono stati isolati 20 casi di OB e 20 casi di MSC e si è proceduto alla caratterizzazione fenotipica di tali cellule mediante l’analisi in citometria a flusso sia di markers tipicamente mesenchimali (CD73, CD90, CD105, CD146), che di markers tipicamente osteogenici (fosfatasi alcalina,Runx-2, osteocalcina, bone-sialoproteina, collagene tipo I) che di markers noti per essere negativi su tali cellule, quali CD3, CD4, CD14, CD16, CD20, CD31 e CD45. Inoltre è stata valutata la proliferazione cellulare di tali cellule al passaggio 1 e 2 e sono stati inoltre raccolti pellets di OB ed MSC al passaggio 1 per essere utilizzati la valutazione mediante gene arrays di markers differenzialmente espressi in queste due popolazioni cellulari. Inoltre è stata confermato a livello proteico sia su cellule isolate che su biopsie di tessuto osseo l’espressione dei markers trovati significativamente espressi, utilizzando metodiche immunocitochimiche ed istochimiche. Infine sono state valutate le potenzialità osteogeniche di MSC e OB. Nell’ambito del 2° obiettivo sono stati utilizzati, oltre alle MSC già descritte, osteoclasti (OC) e linfociti T umani; questi ultimi due tipi cellulari sono stati isolati da sangue periferico di donatori (Buffy Coat); in particolare, i linfociti T sono stati isolati mediante separazione immunomagnetica negativa utilizzando come marcatori specifici gli antigeni CD3, CD4 o CD8 a seconda degli esperimenti. Gli OC sono stati invece ottenuti inducendo il differenziamento in vitro di monociti ottenuti mediante separazione immunomagnetica positiva, e stimolati per 10 giorni con le citochine M-CSF (10ng/ml) e RANKL (75ng/ml). Nell’ambito del piano sperimentale sono stati effettuati due distinti set di esperimenti: nel primo, volto a studiare la modulazione del comportamento e della vitalità dei linfociti T da parte degli OC, sono state stabilite delle co-colture tra OC maturi e linfociti T totali (CD4+CD8), in sistemi di coltura in transwell; i linfociti T sono stati lasciati in condizioni basali oppure stimolati con comuni stimoli mitogeni come PHA o Ionomicina e ne è stata misurata la proliferazione, l’apoptosi o la produzione di citochine infiammatorie (TNFα e IFNγ) in presenza o assenza degli OC nel sistema di coltura. Nel secondo set di esperimenti, volto a valutare la capacità di linfociti T in condizioni basali (cioè non attivati) di stimolare il differenziamento in senso osteogenico di cellule MSC, i linfociti sono stati isolati separando in 3 distinti gruppi i linfociti T totali, i linfociti CD4 e i CD8. Per studiare se proteine secrete da questi tipi cellulari svolgono un ruolo stimolante per l’osteogenesi, uguali numeri di cellule dei tre gruppi sono stati lasciati in coltura per 48 ore e i terreni di coltura raccolti e utilizzati in una diluizione 1:2 in saggi di differenziamento osteogenico di cellule MSC. Dopo 14 o 21 giorni di coltura, le cellule MSC sono state sottoposte a saggi di mineralizzazione mediante colorazione con Alizarin Red e sono state analizzate mediante Real-Time PCR per quantificare la produzione di marcatori osteogenici. RISULTATI La crescita di MSC e OB in α-MEM e in DMEM/F12 ha evidenziato che mentre gli OB erano in grado di crescere in entrambi i terreni di cultura, le MSC solo in α-MEM (Fig.1B).L’analisi al citometro a flusso ha confermato che sia gli OB che le MSC non esprimevano CD3, CD4, CD14, CD16, CD20, CD31 e CD45 tipici markers di cellule ematopoietiche ed erano positivi per Runx-2, osteocalcina (OC), bone-sialoproteina (BSP) e collagene tipo I(Col.I) sia come percentuale di espressione che come intensità di fluorescenza (Fig.2). Solo il CD146 (p<0.05) e la fosfatasi alcalina (p<0.025) sono risultati significativamente più alti nelle MSC rispetto 24 agli OB cresciuti in α-MEM e questa differenza si è mantenuta sia analizzando sia la percentuale di cellule positive sia analizzando l’intensità di espressione dei markers (Fig.2). Figura 2 L’analisi della proliferazione cellulare ha evidenziato una più bassa capacità replicativa degli OB rispetto alle MSC sia al passaggio 1 che al 2. L’analisi con gene arrays ha evidenziato che 170 geni erano differenzialmente espressi tra MSC e OB e di questi 50 erano up-regolati e 120 erano down modulati nelle MSC. Tra i geni trovati differenzialmente espressi, il collagene tipo XV (Coll. XV) mostrava un’elevata espressione negli OB (FC=28.3) rispetto alle MSC. Pertanto abbiamo analizzato la sua espressione anche a livello proteico sia sulle cellule isolate che nelle biopsie di tessuto osseo utilizzando sia procedure di Western Blot che tecniche di immunoistochimica. Abbiamo confermato che l’espressione del Coll. XV risultava essere elevata sia sugli osteoblasti isolati che nelle biopsie ossee. Successivamente abbiamo valutato l’espressione del Coll.XV durante il differenziamento in senso osteogenico di cellule MSC e abbiamo trovato che già a partire dal giorno 14 quando cominciano a formarsi le prime strutture nodulari simil-ossee che il Coll. XV aumentava significativamente. Gli OB isolati comunque mostravano un’espressione di Coll.15 14 più elevata rispetto alle MSC differenziate in senso osteogenico per 21 giorni. Inoltre abbiamo trattato gli osteoblasti con basse (0.5mm) e omeostatiche (1.3 mM) concentrazioni di CaCl2+ e abbiamo analizzato l’espressione del Coll. XV e della proliferazione cellulare. Abbiamo trovato che le concentrazioni omeostatiche di CaCl2+ riducevano significativamente l’espressione del Coll. XV e inducevano la proliferazione, evidenziando che l’espressione di questa proteina era calcio dipendente e che correlava con uno specifico stato funzionale degli osteoblasti. L’analisi del differenziamento in senso osteogenico di MSC e OB (Fig.3) ottenute da piatto tibiale, ha evidenziato che gli OB hanno una maggiore efficienza di differenziare rispetto alle MSC. Figura 3 25 Esperimenti di controllo con MSC isolate da cresta iliaca hanno evidenziato invece un significativo aumento nel tempo di AP, RUNX-2, OC, BSP e Coll.XV. Inoltre in collaborazione con la Prof.R.Piva abbiamo anche analizzato la funzione del fattore trascrizionale Slug negli OB e MSC e in collaborazione con il Prof.M.N.Maraldi abbiamo valutato il differenziamento osteogenico di MSC su uno scaffold biomimetico a base di acido ialuronico. L’ambito 2 ha chiarito alcuni aspetti della reciproca regolazione tra linfociti T e cellule ossee. In particolare, un primo ciclo di esperimenti ha dimostrato che gli OC mantengono un fenotipo immunologico e sono capaci di una significativa attività regolatoria nei confronti dei linfociti T; come mostrato in Fig.4 gli OC sono stati caratterizzati sulla base della positività al marcatore TRAP (Fig. 4a); essi sono inoltre risultati positivi alla marcatura con HLA-DR (Fig.4b) un antigene tipicamente espresso in cellule dotate di capacità di presentare antigene e quindi stimolare i linfociti T in risposte antigene-dipendenti. La Fig. 4d evidenzia inoltre l’ulteriore aumento di positività ad HLA-DR in seguito a stimolazione per 24h con IFN (10ng/ml), un'altra caratteristica distintiva di cellule presentanti antigene professionali. a b c d e Figura 4 (e) stessa marcatura è mostrata a ingrandimento superiore. Da un punto di vista funzionale, inoltre, gli OC hanno dimostrato di essere capaci di inibire quasi completamente la proliferazione di linfociti T indotta da PHA o da stimolazione con anti-CD3 (Fig.5). Cellule MSC utilizzate come controllo hanno dimostrato una capacità immunosoppressiva in linea con i dati pubblicati in recenti lavori ma assai inferiore a quella mostrata dagli OC. T T+PHA T+ α-CD3 OC+T OC+T+PHA ** OC+T+ α-CD3 MSC+T MSC+T+PHA * MSC+T+ α-CD3 0 20000 40000 60000 Proliferation (CPM) Figura 5 Coerentemente con i dati di proliferazione, gli OC hanno inoltre dimostrato di inibire completamente la produzione di TNF e IFN , due delle principali citochine infiammatorie, da parte di linfociti CD4 e CD8 (Fig.6). 10 2 10 3 10 4 a 10 0 10 0 10 2 10 3 10 4 b 0.087 10 3 10 2 1 1 10 10 0 10 0 10 1 CD8 10 2 10 3 68.9 10 3 10 2 d 10 4 10 100 101 102 10 3 104 c 0.16 10 3 10 2 10 1 0 10 0 10 0 10 4 10 4 10 4 10 10 1 10 1 10 2 10 3 10 4 e IFNγ 10 1 TNFα 10 1 TNFα 10 2 10 1 IFNγ Isotype 10 2 10 0 0.37 10 3 10 1 10 0 OC+T 10 4 28.7 10 3 10 2 CD4 Isotype T 10 4 0.16 10 3 apoptotic cells (% of total cells) T/ISOTYPE 10 4 10 0 10 0 10 1 10 2 10 3 10 4 f Figura 6 50 40 30 20 10 0 Figura 7 26 T T+PHA OC+T OC+T+PHA Infine, a ulteriore conferma del ruolo degli OC, essi hanno dimostrato di diminuire significativamente anche l’apoptosi dei linfociti T, tanto in condizioni di non stimolo quanto in condizioni di attivazione indotta da PHA (Fig.7). Un secondo ciclo di esperimenti ha analizzato la capacità di fattori secreti da parte di diversi subset di linfociti T di regolare il differenziamento osteogenico di cellule MSC. I dati fin qui raccolti dimostrano che i linfociti T nel loro complesso producono fattori osteogenici che sono in grado di indurre un aumento della capacità di mineralizzazione in cellule MSC; ulteriori esperimenti hanno separato i due principali gruppi di linfociti T, i CD4 e i CD8, e analizzato sia a livello funzionale che di modulazione di RNA, la loro abilità di modulare la funzione delle MSC. I linfociti appartenenti al subset dei CD4 hanno mostrato una capacità maggiore rispetto ai CD8 di indurre il differenziamento osteogenico delle MSC, a testimonianza di un ruolo differente dei due sottotipi cellulari, testimoniato da aumentata produzione di cristalli di Calcio e da induzione dei marcatori osteogenici quali Collagene XV, Bone Sialoprotein, Collagene I, Osteocalcina. DISCUSSIONE Il tessuto osseo è composto da due zone ben distinte: il midollo osseo e la struttura ossea trabecolare o compatta. Nel midollo sono presenti vari tipi cellulari quali cellule stromali, endoteliali, mononucleate mentre sulla struttura ossea risiedono osteoclasti, osteoblasti ed osteociti. Essendo tale struttura molto complessa anche la rigenerazione del tessuto osseo è regolata da molteplici fattori e in condizioni normali avviene spontaneamente. Poiché in varie situazioni la rigenerazione di tale tessuto non avviene in modo completo e spesso porta alla formazione di un tessuto di tipo fibroso, per favorire una efficace rigenerazione del tessuto osseo è necessario valutare vari aspetti funzionali e molecolari che controllano il differenziamento delle cellule osteo-progenitrici e le interazioni tra cellule mesenchimali, osteoblasti ed osteoclasti e altre cellule del midollo osseo quali i linfociti. Nell’ambito del primo obiettivo abbiamo isolato MSC ed OB da piatto tibiale e confrontato le loro capacità proliferative, fenotipiche e le potenzialità osteogeniche. I dati hanno dimostrato che solo un terreno di cultura (α-MEM) permette la crescita di entrambi i tipi cellulari, indicando che la composizione del terreno interferisce con la crescita cellulare e sulle capacità proliferative. L’analisi con gene arrays e citometro a flusso su MSC e OB ha evidenziato che il Coll. XV è altamente espresso dagli OB rispetto alle MSC, e che le concentrazioni omeostatiche di CaCl2+ riducevano significativamente l’espressione del Coll. XV e inducevano la proliferazione, evidenziando che l’espressione di questa proteina era calcio dipendente e che correlava con uno specifico stato funzionale degli osteoblasti. Le MSC invece esprimevano alti livelli di fosfatasi alcalina e il CD146, sia a livello molecolare che proteico rispetto, agli OB confermando così di avere specifiche caratteristiche fenotipiche. Inoltre valutando le potenzialità in senso osteogenico di MSC e OB abbiamo evidenziato che l’espressione di AP, RUNX-2, OC, Col I e XV mostravano lo stesso andamento ai tempi sperimentali analizzati in entrambi i tipi cellulari. La BSP invece, aumentava significativamente negli OB rispetto alle MSC indicando che pur essendo cresciute nello stesso terreno di cultura comunque mostrano differenti potenzialità in senso osteogenico. Questi studi hanno contribuito a meglio caratterizzare le cellule ossee ottenute da stessa sede anatomica ma da due distinte zone (midollo osseo e struttura trabecolare) rispetto a quelle da cresta iliaca e ad evidenziare che cellule ottenute da diverse zone anatomiche dell’osso e le condizioni di cultura influenzano sia le loro caratteristiche fenotipiche che le loro potenzialità a differenziare in senso osteogenico. Tale studio a contribuito a chiarire le caratteristiche di cellule dell’osso ottenute da varie fonti, ponendo così le basi per un loro utilizzo nella rigenerazione del tessuto osseo. L’interazione tra le cellule ossee e quelle immunitarie è al centro di una crescente attenzione in medicina rigenerativa a causa della consapevolezza che ogni processo riparativo fisiologico necessita il contributo attivo delle cellule dell’organismo; non soltanto quindi minimizzare le eventuali reazioni di rigetto nei confronti di biomateriali usati come scaffold per le cellule, ma anche e soprattutto la necessità di comprendere quali tipi cellulari giocano un ruolo attivo nei processi di rimodellamento e rigenerazione tissutale. Nell’ambito di questo obiettivo abbiamo quindi considerato alcuni aspetti della reciproca regolazione funzionale tra linfociti T , OC e MSC. I linfociti T, infatti, sono riconosciuti come cellule in grado di avere un ruolo chiave non solo nei processi di degradazione ossea (mediati da infiammazione acuta o cronica), ma anche nei processi riparativi principalmente mediati da linfociti in stato quiescente. Nell’ambito di questo studio abbiamo documentato e pubblicato che gli OC sono cellule che possiedono un’elevata capacità di regolazione immunologica, che si manifesta in particolare in una sorprendente capacità di limitare le risposte proliferative ed apoptotiche nei linfociti T in seguito ad attivazione. Nei nostri modelli sperimentali gli OC hanno indotto uno stato simile all’anergia nei linfociti; questi dati suggeriscono che gli OC possono essere parte di un feedback negativo che limita l’azione catabolica mediata da linfociti T attivati in patologie infiammatorie erosive dello scheletro (come l’artrite reumatoide). Il fatto che i linfociti T possano poi svolgere 27 un ruolo attivo nella secrezione di proteine solubili in grado di stimolare il differenziamento osteogenico delle MSC, rafforza ulteriormente la consapevolezza che strategie di rigenerazione ossea che favoriscano la colonizzazione di questi tipi o sottotipi cellulari, possono concretamente avere una maggiore probabilità di successo. Unità Operativa: SC Unità Operativa: SC Laboratorio di Biologia Cellulare Muscoloscheletrica, Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna (Responsabile UO: Prof. Nadir Mario Maraldi) INTRODUZIONE E PRINCIPALE OBIETTIVO Nel campo della medicina rigenerativa per la ricostruzione di tessuto osseo lo sviluppo di tecniche di ingegneria tissutale ha permesso di poter coltivare e differenziare cellule autologhe su scaffolds tridimensionali. L’analisi morfologica condotta ad elevati ingrandimenti come quelli che si possono raggiungere durante l’osservazione in microscopia elettronica permette di dare importanti informazioni riguardanti la struttura dei biomateriali, la loro interazione con le cellule e la produzione di matrice extracellulare. Gli obiettivi definiti nel progetto e oggetto dei nostri studi erano quelli di valutare l’aspetto morfofunzionale del differenziamento osteoblastico, la morfologia di biomateriali di varia origine, di osteoblasti e di cellule mesenchimali umane poste in coltura in monostrato o su scaffolds in presenza di fattori inducenti il differenziamento. Tale caratterizzazione doveva essere condotta sia in microscopia ottica che mediante l’utilizzo di microscopie ad alta risoluzione come la microscopia elettronica a trasmissione. Particolare attenzione doveva essere rivolta all’ interazione fra cellule e biomateriali e all’avvenuta deposizione di matrice extracellulare. Inoltre si doveva valutare il ruolo della lamina A/C, proteina della lamina nucleare, nella regolazione dell’attività osteosintetica ed osteolitica. Nel corso di questi tre anni di attività abbiamo studiato gli aspetti del differenziamento osteoblastico anche in relazione all’evolversi dei danni ossei che si manifestano in alcune malattie come le laminopatie progeroidi. Inoltre si sono analizzate le interazioni fra cellule e biomateriali di diverse origini. MATERIALI E METODI Nei nostri studi sono stati utilizzati osteoblasti umani cresciuti in monostrato, cellule staminali mesenchimali umane (h-MSC) e cellule del concentrato midollare umano (fornite dalla SC Laboratorio di Immunoreumatologia e Rigenerazione Tissutale, IOR, Bologna, Responsabile prof. A. Facchini) seminate su scaffolds di diversa origine e coltivate in presenza di agenti osteoinduttivi. In particolare le h-MSC indotte al differenziamento osteogenico a vari tempi di coltura, sono state coltivate sia su dischetti di idrossiapatite (primo anno di attività) che su un biomateriale a base di acido ialuronico spugnoso sulle cui superfici si è indotta la nucleazione di cristalli di apatite (scaffold biomimetico) (secondo anno di attività). Cellule del concentrato midollare umano indotte al differenziamento osteogenico a vari tempi di coltura sono state coltivate su uno scaffold a base di acido ialuronico filamentoso (terzo anno di attività). Al termine di ogni trattamento i campioni sono stati processati per l’analisi al microscopio ottico e al microscopio elettronico a trasmissione e cioè sono stati fissati in glutaraldeide 2,5% in tampone cacodilato 0,1 M ph 7,4, post-fissati in osmio tetrossido, disidratati in etanolo ed inclusi in epon. Alcuni campioni non sono stati post-fissati in osmio e sono stati inclusi in London Resin White a 60°C. Gli osteoblasti cresciuti in monostrato (primo e terzo anno di attività) sono stati fissati in glutaraldeide 2,5%, post-fissati in osmio tetrossido ed inclusi in epon per l’analisi morfologica mentre altri campioni sono stati fissati in glutaraldeide 1% ed inclusi in London Resin White a 0°C per le tecniche di immunocitochimica ultrastrutturale con lo scopo di localizzare proteine correlate con la crescita cellulare ed elementi chiave del sistema di trasduzione del segnale. Di tutti i campioni si sono preparate sezioni semifini di 0,5 µm di spessore che si sono colorate con il blu di toluidina per l’analisi morfologica in microscopia ottica e sezioni fini di 100 nm di spessore che sono state contrastate con acetato di uranile e citrato di piombo prima dell’osservazione con il microscopio elettronico a trasmissione Zeiss EM 109. Per le tecniche di immunocitochimica ultrastrutturale , sezioni fini di materiale incluso in London Resin White a 0°C sono state incubate con l’anticorpo primario (anti-PLC beta 1, anti-fosfo ERK, anti-PKCs), a diverse diluizioni ,una notte a 4°C in tampone Tris-HCl 0,05 M pH 7,6 contenente 0,1% albumina, quindi, dopo ripetuti lavaggi, sono state trattate con l’anticorpo secondario coniugato a particelle di oro colloidale di 10 28 nm, diluito in tampone Tris-HCl 0,02M pH 8,2 contenente 0,1% albumina, per 1 ora a temperatura ambiente, poi intensificate con il silver enhancement. Un’ analisi quantitativa sulla distribuzione della marcatura è stata condotta contando le particelle di oro colloidale per µm2. RISULTATI Nel corso del primo anno di attività abbiamo studiato alcuni aspetti morfofunzionali del differenziamento osteoblastico anche per capire l’evolversi dei danni ossei che si manifestano nelle laminopatie progeroidi. Le cellule dei pazienti affetti da queste malattie presentano un accumulo di prelamina A, il precursore non processato della lamina A. In questo lavoro ipotizziamo che l’accumulo di prelamina A possa condizionare il differenziamento osteoblastico e/o quello osteoclastico e l’attività di riassorbimento osseo. Abbiamo eseguito studi in vitro usando inibitori della processazione della prelamina A ed abbiamo valutato il grado di differenziamento osteoblastico o osteoclastico partendo da precursori cellulari (Zini N. et al., J Cell Biochem. 2008;105:34-40). Inoltre si sono iniziati gli studi per valutare il differenziamento di osteoblasti umani patologici e la loro capacità ad indurre l’attività osteoclastica. I risultati fino ad ora ottenuti indicano che c’è una relazione fra i difetti nella maturazione della prelamina A, l’alterato turnover osseo e l’osteolisi. Abbiamo inoltre utilizzato tecniche di immunogold per mettere a punto l’espressione di alcuni elementi chiave del sistema di trasduzione del segnale che variano durante il differenziamento e che potrebbero essere condizionati dalla presenza di fattori esterni quali fattori inducenti la mineralizzazione, fattori di crescita e la presenza stessa di biomateriali (Zini N. et al., J Cell Biochem. 2008;103:547-555). Studi sul differenziamento in senso osteoblastico si sono effettuati per valutare il comportamento di cellule mesenchimali umane (h-MSC) cresciute su diversi tipi di biomateriali. In particolare nel corso del primo anno di attività si sono valutati gli aspetti morfofunzionali di h-MSC cresciute su dischetti di idrossiapatite e indotte al differenziamento in senso osteoblastico. L’analisi in microscopia ottica delle sezioni semifini dei campioni a 21 giorni di coltura evidenzia che le cellule hanno invaso tutto il biomateriale che dopo decalcificazione appare rarefatto e dalla cui distribuzione si intuisce che ha una struttura microporosa. Nella zona superficiale appaiono alcuni strati di cellule allungate, mentre negli strati profondi le cellule presentano le caratteristiche tipiche degli osteoblasti. L’analisi ultrastrutturale della zona superficiale mostra la presenza fra le cellule di matrice extracellulare contenente fibre di collagene che risultano presenti anche nella zona più interna del campione. Le cellule in questa zona appaiono più tondeggianti, con un nucleo più ovale e sono immerse nella matrice collagenica o si trovano a ridosso del biomateriale. Nel corso del secondo anno di attività sono continuati gli studi sul differenziamento cellulare e sulle interazioni fra cellule e biomateriali sia in microscopia ottica che in microscopia elettronica. Sono state studiate le interazioni di osteoblasti umani con diversi substrati (Tonnarelli B. et al., J Biomed Mater Res A 2009; 89:687-696) e si è analizzato il differenziamento in senso osteogenico di h-MSC cresciute su un biomateriale a base di acido ialuronico spugnoso sulle cui superfici si è indotta la nucleazione di cristalli di apatite (scaffold biomimetico). L’ osteogenesi è stata indotta in presenza e in assenza di FGF-2 ed è stata analizzata a vari tempi sperimentali. L’ analisi al microscopio ottico dei campioni coltivati per 14 giorni evidenzia che solo alla più alta concentrazione di h-MSC testata (24x105 cells), le cellule hanno invaso in maniera uniforme il biomateriale. A tale concentrazione la proliferazione cellulare inizia a diminuire dal 7° giorno di coltura. L’ analisi in microscopia elettronica a trasmissione dei campioni coltivati per 14 giorni mostra che le h-MSC producono matrice extracellulare, e solo alcune di loro stabiliscono contatti con lo scaffold. Aree mineralizzate sono presenti lungo i bordi dello scaffold a partire dal 21° giorno di coltura e aumentano dopo 35 giorni di coltura. Dopo 35 giorni di coltura i campioni risultano altamente positivi all’osteopontina (OPN) e al collagene I (Col I). I campioni di cellule coltivate per 35 giorni sul biomateriale senza l’induzione della nucleazione di cristalli di apatite, utilizzati come controllo, mostrano una minore espressione del Col I ed una proliferazione cellulare aumentata. Lo scaffold di controllo presenta aree mineralizzate immature solo dopo 35 giorni di coltura come è stato dimostrato dalle analisi ultrastrutturali concluse durante il terzo anno di attività. Questi dati dimostrano che lo scaffold biomimetico rispetto al biomateriale costituito solo da acido ialuronico favorisce il processo di mineralizzazione rendendolo più veloce (Manferdini C. et al., Biomaterials 2010; 31:3986-3996). Nel corso del terzo anno di attività si sono terminati gli studi sul differenziamento di osteoblasti umani ottenuti da pazienti affetti da laminopatie progeroidi come la displasia mandibuloacrale di tipo A (MADA) per meglio caratterizzare l’evolversi dei danni ossei che si manifestano durante la malattia. In particolare, in questo studio si è valutato se gli osteoblasti patologici sono in grado di indurre attività osteoclastica. I risultati ottenuti hanno dimostrato che utilizzando il mezzo di coltura degli osteoblasti ottenuti da pazienti affetti da MADA si ha un maggior differenziamento osteoclastico e una più alta digestione della matrice rispetto al controllo. Nella condizione patologica l’espressione di TGFbeta 2 e dell’osteoprotegerina aumentano mentre il rapporto RANKL/osteoprotegerina diminuisce. L’inibizione del TGFbeta 2 con un 29 anticorpo neutralizzante abolisce l’effetto del mezzo. L’alterato turnover osseo nella malattia può essere causato da una iperregolazione di citochine, quali il TGFbeta 2, derivate dal metabolismo osseo che attivano stimoli differenziativi osteoclastici non canonici ( Avnet S. et al., BBA-Mol Basis Dis 2011;1812:711-718). Inoltre si sono valutate le interazioni di cellule del concentrato midollare umano con un biomateriale a base di acido ialuronico filamentoso. Sono state utilizzate cellule provenienti da pazienti di età diverse. Tali cellule sono state seminate sugli scaffolds e coltivate per 28, 40 e 52 giorni in presenza di un mezzo osteoinducente. L’osteogenesi è stata indotta in presenza e in assenza di FGF-2. L’analisi morfologica condotta in microscopia ottica evidenzia che dopo 40 giorni di coltura matrice extracellulare è presente negli strati superficiali (Fig. 1). L’analisi ultrastrutturale mostra che tale matrice è prevalentemente di natura collagenica (Fig. 2). Inoltre sono presenti aree mineralizzate che aumentano con il progredire dei giorni di coltura. Queste zone sono localizzate soprattutto lungo i bordi dello scaffold (Figs. 1,2); in alcuni casi si notano foci di mineralizzazione anche al suo interno. Zone mineralizzate sono presenti anche fra la componente collagenica degli strati superficiali (Fig 3). L’analisi morfologica rivela che le cellule sono più numerose nei campioni provenienti dai pazienti più giovani. Il trattamento con FGF-2 non modifica il processo sopra descritto. Figura 1 Figura 2 Figura 3 Figura 1. Immagine al microscopio ottico di una sezione colorata con il blu di toluidina di cellule del concentrato midollare umano cresciute sullo scaffold e indotte a differenziarsi in senso osteogenico. Figura 2. Immagine al microscopio elettronico a trasmissione. La matrice collagenica è presente fra la cellula e lo scaffold. Aree mineralizzate sono presenti lungo i bordi dello scaffold. Figura 3. Immagine al microscopio elettronico a trasmissione. Foci mineralizzati sono presenti fra la matrice collagenica. 30 DISCUSSIONE Gli studi sul differenziamento osteoblastico hanno contribuito a migliorare le nostre conoscenze sull ‘evolversi dei danni ossei che si manifestano nelle laminopatie progeroidi. Gli studi sul differenziamento di osteoblasti patologici ci hanno permesso di dimostrare che tali cellule inducono i precursori presenti nel sangue a differenziare in osteoclasti attivi. L’alterato turnover dell’osso che si manifesta in queste patologie sarebbe dovuto ad una iperregolazione di citochine derivate dall’osso che attivano stimoli differenziativi non canonici. L’associazione di cellule e biomateriali è una valida proposta per la riparazione di piccoli danni ossei. L’acido ialuronico, sia nella forma spugnosa che nella sua forma filamentosa, si è mostrato, fra i biomateriali testati, un buon veicolo cellulare e potrebbe risolvere il problema derivato dalla perdita delle cellule dal sito di frattura in seguito ad iniezione diretta. Questo scaffold è un biomateriale biodegradabile, soffice e facilmente modellabile, caratteristiche che lo rendono idoneo per uso chirurgico. Per quanto riguarda il grado di differenziamento in senso osteoblastico delle cellule utilizzate , si può concludere che dal punto di vista morfologico non si sono notate grosse differenze inducendo h-MSC o cellule derivate dal concentrato midollare umano, anche se nel primo caso il biomateriale testato era uno scaffold spugnoso, risultato più osteoinduttivo nella sua forma biomimetica, e nel secondo caso uno scaffold filamentoso. Le cellule del concentrato midollare sono comunque più facilmente disponibili. 31 Unità Operativa: SSD Chirurgia delle Deformità del Rachide, Istituto Ortopedico Rizzoli Bologna (Responsabile UO: Dott. Giovanni Barbanti Brodano) INTRODUZIONE E PRINCIPALE OBIETTIVO Negli ultimi anni notevole interesse hanno suscitato le cellule staminali mesenchimali (MSCs), che per le loro proprietà e caratteristiche sembrano avere enormi potenzialità terapeutiche. Le MSCs sono presenti virtualmente in tutti i tessuti e possono crescere ex vivo, e differenziare in vivo e in vitro in diversi tipi cellulari, come in cellule dell’osso e della cartilagine (Caplan AI., 2007). Per questo, uno dei principali campi in cui le MSCs trovano un’applicazione clinica è la rigenerazione ossea. Tuttavia, i meccanismi molecolari che guidano la rigenerazione ossea non sono ancora ben definiti e l’identificazione di molecole che controllano il self-renewal, il commitment e differenziamento di MSCs ha importanza sia biologica che clinica. E’ sempre più evidente che geni regolatori dello sviluppo embrionale sono implicati anche nell’omeostasi di tessuti adulti e molecole segnale e fattori di trascrizione altamente conservati nel corso dell’evoluzione controllano nei mammiferi sia l’embriogenesi che le cellule staminali e i progenitori adulti. La nostra ricerca è diretta ad indagare se gli omeogeni, che costituiscono una delle principale famiglie di regolatori embrionali, possano regolare anche le MSCs, particolarmente durante il loro differenziamento osteogenico. Gli omeogeni codificano fattori di trascrizione contenenti domini di legame al DNA di diverse classi. Il nostro interesse è particolarmente rivolto al ruolo degli omeogeni OTX, HOX e dei loro cofattori TALE (Meis/Prep e Pbx) che nello sviluppo embrionale specificano l’identità posizionale delle cellule e sono coinvolti nella formazione dello scheletro. I principali obiettivi della nostra ricerca sono: - Identificazione di marcatori molecolari per distinguere diverse popolazioni di MSCs. In particolare, il nostro interesse è stato concentrato sull’ analisi dell’ espressione di tutti i 39 geni HOX (codice HOX) e dei loro cofattori TALE, dato che questi geni specificano l’ identità posizionale di una cellula durante tutta la vita di un organismo (Mallo and Magli, 2006; Moens and Selleri, 2007); - Correlazione della signature molecolare con le caratteristiche fenotipiche, molecolari e funzionali di MSCs ottenute da diversi tessuti, al fine i definire le proprietà delle cellule utilizzabili nelle applicazioni cliniche; - Analisi del ruolo che i fattori di trascrizione Otx, essenziali nello sviluppo cerebrale e nell’ematopoiesi (Acampora and Simeone, 1999; Levantini et al., 2003), hanno nella regolazione delle MSCs, in particolare durante la differenziazione osteogenica. L’individuazione dei meccanismi molecolari che sono alla base del processo di ossificazione offre nuovi spunti per lo sviluppo di materiali innovativi. Nel periostio e nel midollo osseo sono localizzate cellule staminali mesenchimali indispensabili per la rigenerazione tissutale (Lennon and Caplan 2006; Gregory and Prockop 2007). Nel nostro studio abbiamo valutato gli effetti di materiali di idrossiapatite su cellule staminali mesenchimali umane (hMSCs) isolate da campioni di midollo osseo di pazienti ortopedici (Morelli et al. 2007; Tognon et al. 2008; Campioni K. et al. 2010; Manfrini et al., submtted 1, 2011; Manfrini et al., sumitted 2, 2011). Analisi comparative sono state condotte su due tipi di biomateriale ceramico, attualmente in uso in chirurgia ortopedica ricostruttiva. Tali biomateriali, che differiscono per forma e composizione, sono stati analizzati con le hMSCs per l’adesione, la proliferazione e la morfologia cellulare. Inoltre diversi studi hanno identificato clusters di microRNA la cui espressione è specifica in alcuni tipi di cellule staminali e varia durante il processo di differenziamento (Flynt and Lai 2008; Papagiannakopoulos and Kosik 2008). I microRNA sono in grado di regolare il processo di divisione cellulare, il differenziamento in adipociti, cardiomiociti, neuroni e nella linea cellulare ematopoietica. Rispetto agli esempi citati, effettuati in popolazioni di cellule staminali embrionali, pochi sono gli studi eseguiti per identificare l’espressione di microRNA in hMSC (Zhang et al. 2011) durante il differenziamento o in specifiche vie metaboliche intracellulari che possono essere da essi regolate. Abbiamo perciò analizzato profili di espressione al fine di individuare microRNA specifici associati al processo di differenziamento. MATERIALI E METODI Colture cellulari hMSCs sono state isolate da campioni di midollo osseo di pazienti ortopedici mediante gradiente di densità. La popolazione cellulare ottenuta è stata caratterizzata per l’espressione di marcatori specifici mediante analisi al citofluorimetro. Un pattern di espressione di marcatori positivi (Stro-1, CD105, CD90, CD29, CD71, CD73, CD44) e negativi (CD235, CD45) è stato impiegato per valutare la natura mesenchimale e staminale della popolazione cellulare. In seguito le hMSC sono state espanse e le colture cellulari sono state analizzate per la capacità di duplicazione asimmetrica e per il tempo di duplicazione. Le cellule sono state seminate a bassa densità (1.000 cellule per cm2) e coltivate come da protocollo, espanse per 5 passaggi successivi. Ad ogni espansione è stato determinato il numero di duplicazioni cellulari effettuate. Il tempo di duplicazione è 32 stato ricavato dal numero di cellule contate con emocitometro ai passaggi successivi. Saggio di vitalità Per analizzare l’adesione e la proliferazione cellulare sui biomateriali e relativo controllo è stato eseguito il saggio di vitalità con colorante metabolico AlamarBlue. Le cellule sono state coltivate a contatto con i biomateriali per 36, 72 e 144 ore. La fluorescenza emessa dalla forma ridotta del colorante, direttamente proporzionale al livello metabolico, è stata rilevata con spettrofluorimetro. Adesione cellulare Il dosaggio della proteina Focal Adhesion Kinase, nella sua forma fosforilata (forma attivata), è stato determinato mediante saggio ELISA. Tale analisi ha consentito di valutare l’intensità relativa dell’adesione delle cellule ai biomateriali esaminata dopo 36 ore dalla semina. Analisi al SEM e Determinazione dell’architettura citoscheletrica L’analisi mediante microscopia elettronica a scansione ha consentito di valutare la distribuzione delle cellule adese alla superficie dei biomateriali e la loro morfologia dopo 36 ore dalla semina. L’architettura citoscheletrica è stata indagata mediante saggio con Falloidina. Le cellule sono state seminate su petri e sui biomateriali; dopo 36 ore sono state fissate con paraformaldeide. Successivamente le cellule sono state incubate con Falloidina che ne ha consentito l’osservazione al microscopio a fluorescenza per analizzare l’organizzazione dei filamenti di actina. Analisi computazionali di profili di espressione di mRNA e microRNA Sono stati identificati 32 profili di espressione relativi ad esperimenti condotti su cellule staminali mesenchimali durante la coltivazione in vitro. Tali profili di espressione sono stati ottenuti da banche dati pubbliche (GEO, Array Express e Stanford Microarray Database). I dati ottenuti sono stati analizzati con metodi computazionali al fine di individuare microRNA e geni differenzialmente espressi. I livelli di espressione dei microRNA sono stati determinati mediante normalizzazione dei dati seguita da Significance Analysis of Microarrays (SAM), e correzione per l’FDR. Le meta analisi tra profili di espressione sono state condotte con l’utilizzo dell’algoritmo implementato nel pacchetto mDEDS disponibile per la piattaforma Bioconductor. Inoltre sono state eseguite analisi computazionali per la predizione delle interazioni tra microRNA e geni coinvolti nel differenziamento. In particolare abbiamo studiato un gruppo di microRNA aventi una alta probabilità di interazione con il gene RUNX2, coinvolto nel differenziamento osteogenico delle cellule staminali mesenchimali adulte. L’utilizzo dell’algoritmo implementato in Diana-microT web server ha consentito di costruire una lista di putativi microRNA che è stata confrontata con i risultati dell’analisi dei profili di espressione. Analisi dell’espressione di omeogeni in MSCs MSCs prelevate da diversi campioni di midollo osseo prelevato da cresta iliaca (Ic-MSCs), sterno (St-MSCs) e da vertebre (V-MSCs), o dalla polpa dentaria (DPSCs) sono state coltivate in vitro allo stato indifferenziato per diversi passaggi in coltura, o indotte a differenziare in osteoblasti in seguito al trattamento con specifici agenti inducenti. Cellule mantenute in uno stadio indifferenziato e a diversi stadi di differenziazione sono state analizzate mediante colorazione citochimica con Alizarin Red e PCR quantitativa, per l’espressione di geni HOX e loro cofattori, così come per i geni OTX. L’espressione di questi omeogeni è stata inoltre correlata con l’attività trascrizionale di marcatori osteogenici e di altri regolatori dello sviluppo. Un approccio simile è stato condotto anche su MSCs isolate da midollo osseo di differenti ceppi murini (mMSCs). L’ espressione del gene Otx1 è stata inoltre studiata a livello proteico, tramite saggi di Western Blot e immunofluorescenza. Analisi funzionale in topi mutanti knockout Infine, al fine di chiarire il ruolo dell’ omeogene Otx1 nella regolazione di MSCs, sono stati effettuati studi funzionali in topi mutanti knockout, in cui il gene Otx1 è stato inattivato. Cellule di midollo osseo prelevate da topo wild type e Otx1-/- sono state coltivate in condizioni che supportano la crescita di MSCs, e paragonate per la loro capacità di proliferare nei vari passaggi in vitro e di differenziare in senso osteogenico. RISULTATI Colture cellulari La caratterizzazione citofluorimetrica ha evidenziato che il 50.61% della popolazione cellulare saggiata esprime l’antigene Stro-1. Nei campioni analizzati il livello di purezza delle hMSCs è stato >95%. L’espressione dei marcatori CD105 and CD90 è stata del 89.61%, per il marcatore CD73 del 9.51%, mentre i marcatori, antigeni ematopoietici CD235 e CD45 è sto del 6.63%. I campioni saggiati esprimevano anche CD29 (99.03%), CD44 (98.18%) e CD71 (52.08%). Saggio di vitalità Le cellule seminate sui biomateriali a base di idrossiapatite stechiometrica hanno aumentato la loro attività metabolica durante il saggio. Quelle seminate sui biomateriali a base di Mg-idrossiapatite non stechiometrica 33 in forma granulare hanno anch’esse aumentato la loro attività metabolica mentre quelle seminate sul biomateriale nella forma di pasta nano-strutturata hanno mantenuto la stessa attività metabolica durante l’intero periodo del saggio. Come atteso, il maggiore incremento nella attività metabolica cellulare si è registrato nel campione seminato sul controllo, costituito fiaschette falcon in plastica polistirene. Adesione cellulare I risultati ottenuti hanno evidenziano che nel campione di controllo si ha la maggior quantità di pFAK-Tyr397, normalizzata verso il contenuto cellulare totale di proteine per campione, rispetto alle cellule coltivate sui diversi biomateriali saggiati (p<0.05). Inoltre una differenza statisticamente significativa (p<0.05) del quantitativo di pFAK-Tyr397 è stata rilevata tra i biomateriali in forma granulare e quello in forma di pasta nano-strutturata. Analisi al SEM e Determinazione dell’architettura citoscheletrica Il struttura citoscheletrica delle hMSC è risultata ben organizzata la sua integrità non è influenzata dalla coltivazione sui diversi biomateriali. Le fibre di actina connettono le membrane cellulari al citoscheletro e al substrato senza alcuna visibile anomalia strutturale. Analisi computazionali di profili di espressione di mRNA e microRNA I dati ottenuti dalle analisi computazionali hanno portato alla individuazione di alcuni microRNA espressi differenzialmente durante il processo osteogenico. Nello specifico è stato rilevato come nelle cellule staminali mesenchimali il mir-218 sia sovraespresso nello stato indifferenziato e come esso risulti sottoespresso durante il differenziamento osteo-, condro- ed adipogenico. Inoltre il mir-218 risulta essere un putativo interattore del gene RUNX2. Caratterizzazione delle MSCs derivanti da diversi siti anatomici I nostri risultati mostrano che MSCs allo stato indifferenziato derivanti da diversi siti anatomici sono caratterizzate da un immunofenotipo simile, ma una diversa cinetica di crescita e capacità differenziativa. MSC derivate dalle vertebre (V-MSCs) e dalla polpa dentaria (DPSCs) hanno una più alta capacità proliferativa, infatti possono essere mantenute in coltura per un maggior numero di passaggi. Inoltre, l’ analisi molecolare dimostra che le diverse popolazioni di MSCs sono caratterizzate da specifici codici HOX, che differiscono nel numero e nel tipo di geni attivi, nonchè nei loro livelli di espressione. Solo 5 geni HOX sono trascrizionalmente attivi in DPSCs, mentre MSCs derivanti dal midollo osseo esprimono quasi l’intero network HOX (35 geni). Inoltre, i dati indicano che MSCs derivate da diversi siti anatomici del midollo osseo differiscono nei livelli di espressioni di specifici geni HOX. Inoltre, i risultati dimostrano che, anche se differenzialmente espressi, i geni TALE sono attivi in tutte le popolazioni analizzate. La domanda successiva è stata comprendere se MSCs caratterizzate da diversi codici HOX, in seguito ad induzione osteogenica, modulino l’ espressione degli stessi specifici geni HOX e TALE o di geni diversi. I risultati mostrano che il differenziamento osteogenico di Ic-MSCs, St-MSCs, V-MSCs e DPSCs è associato all’ aumento dell’ espressione di specifici geni HOX ma diversi geni TALE. Ruolo di Otx1 nel controllo delle MSCs Il fattore di trascrizione Otx1 è espresso a bassi livelli in MSCs indifferenziate, sia umane che murine, e la sua espressione è modulata durante il differenziamento osteogenico. Al contrario, il gene Otx2 è inattivo. Inoltre, l’analisi di cellule sia umane che murine indica che i profili di espressione di Otx1 correlano con quelli del marcatore osteogenico precoce Runx2, suggerendo un coinvolgimento di Otx1 durante le fasi precoci dell’ osteogenesi. Al fine di chiarire il ruolo di Otx1 durante l’ osteogenesi, abbiamo condotto studi funzionali in topi Otx1-/-. L’ inattivazione di Otx1 in MSCs determina un cambiamento nella morfologia delle cellule, che risultano più aderenti alle piastre di cultura e, coerentemente, una maggiore espressione di specifiche integrine (α2 e α4). Inoltre, queste MSCs mostrano una diversa cinetica di crescita, dal momento che cellule wild type vanno incontro a senescenza dopo alcuni passaggi in coltura, mentre cellule mutanti by-passano la senescenza e continuano a proliferare. Infine, l’ inattivazione di Otx1 determina una riduzione dell’ espressione di marcatori osteogenici, in particolare del fattore di trascrizione Runx2, determinando una riduzione della capacità differenziativa in senso osteogenico. DISCUSSIONE L’analisi citofluorimetrica ha confermato che le cellule isolate possono definirsi hMSC secondo le linee guida della Società Internazionale di Terapia Cellulare (Dominici et al. 2006). I risultati ottenuti dai saggi eseguiti sulle cellule coltivate sui biomateriali evidenziano come il comportamento delle cellule seminate sui biomateriali sia influenzato dagli stessi. I biomateriali analizzati risultano cito-compatibili. Inoltre la porosità intra- ed inter- granulare sono responsabili di una migliore adesione e proliferazione come evidenziato dai saggi di vitalità ed ELISA. L’evidenza molecolare di una maggiore attivazione della Focal Adhesion Kinase nei materiali in forma di microgranuli, sottolinea come la sopravvivenza e la proliferazione cellulare siano modulabili mediante la progettazione di biomateriali con superfici e strutture tridimensionali specifiche 34 (Geiger et al. 2001; Garcia 2005). Inoltre, gli esperimenti di crescita cellulare in vitro eseguiti in presenza di biomateriali confermano la possibilità di effettuare saggi pre-clinici su materiali di nuova concezione, ottimizzati per garantire un’efficace osteoconduttività ed osteoinduttività. Riteniamo che la progettazione e lo sviluppo di nuove matrici richieda una approfondita conoscenza dei meccanismi di adesione e di differenziamento delle cellule osteoprogenitrici (Danen and Sonnenberg 2003; Tampieri et al. 2003; Barrere et al. 2006; Betz et al. 2008). I risultati ottenuti mediante analisi in silico hanno messo in luce la possibilità che il mir-218 possa essere coinvolto nel mantenimento dello stato indifferenziato. Risulta inoltre interessante osservare che altri studi hanno dimostrato come questo microRNA sia coinvolto in diversi tipi di neoplasia (Song et al. ; Davidson et al. 2010; Alajez et al. 2011). Tali risultati indicano che il mir-218 può essere oggetto di ulteriori studi tesi a delucidarne il ruolo nel differenziamento osteogenico, acquisendo sia informazioni importanti per l’ingegneria dei tessuti e per la medicina rigenerativa, ma anche per approfondire le conoscenze sul ruolo che le cellule staminali mesenchimali dell’adulto possono avere nell’insorgenza del cancro. In base ai risultati ottenuti, i prossimi esperimenti avranno come obiettivo la rilevazione dei profili di espressione del mir-218 in cellule staminali mesenchimali adulte ottenute da aspirati di midollo osseo (cresta iliaca e vertebrale), mediante tecnologia LNA (Exiqon) e successiva analisi della relazione mir-218::RUNX2 mediante l’impiego di saggi reporter, western blot, silenziamento e sovraespressione. Le conoscenze acquisite durante questi studi consentiranno di elaborare strategie innovative nell’ambito della medicina rigenerativa e dell’ingegneria dei tessuti, con ricadute applicative sullo sviluppo di materiali bioattivi. Sebbene le MSCs siano state isolate da diversi tessuti adulti, uno degli aspetti rilevanti ai fini del loro uso terapeutico riguarda l’equivalenza o la diversità delle proprietà biologiche di MSCs umane derivanti da differenti siti anatomici. I nostri risultati evidenziano che MSCs umane di differente origine, pur avendo un immunofenotipo analogo, mostrano caratteristiche di crescita e differenziazione diverse e signature molecolari distinte. In particolare, ciascuna popolazione allo stato indifferenziato è caratterizzata da uno specifico codice HOX e da un particolare profilo di espressione dei geni TALE. Inoltre l’ induzione osteogenica delle diverse MSCs è associata con l’ aumento dell’espressione di specifici geni HOX ma differenti geni TALE. Recentemente, studi condotti nel topo hanno suggerito che nella terapia cellulare, la rigenerazione di tessuti possa dipendere dalla compatibilità dei codici HOX tra i progenitori trapiantati ed il tessuto da rigenerare (Wang KC., 2009). I nostri risultati indicano che MSCs umane derivanti da tessuti o siti anatomici diversi verosimilmente non rappresentano cellule equivalenti per la rigenerazione di specifici tessuti ed organi, Questi risultati possono avere importanti implicazioni nella clinica, suggerendo che l’ efficiente rigenerazione di uno specifico tessuto dipenda dalla popolazione di MSCs utilizzata terapia cellulare e l’ingegneria tissutale. Questo può avere importanti implicazioni nella chirurgia vertebrale e dentale, in cui per la rigenerazione ossea vengono generalmente utilizzate cellule prelevate dalla cresta iliaca. Inoltre, i nostri risultati indicano che Otx1, fattore chiave durante lo sviluppo del cervello e nella produzione delle cellule del sangue (Levantini et al., 2003), è anche implicato nel controllo di MSCs, sia a livello di proliferazione che durante il differenziamento osteogenico. In particolare, i risultati suggeriscono fortemente che Otx1 e Runx2 cooperino all’ interno dello stesso meccanismo molecolare, che regola il differenziamento osteogenico. Questo studio fornisce le prime evidenze che Otx1 possa essere richiesto per mantenere normali livelli di Runx2, e di conseguenza un normale numero di osteoblasti maturi. Inoltre, i risultati dimostrano ulteriormente che meccanismi molecolari comuni dirigono la differenziazione di diversi tessuti, e indicano Otx1 come un nuovo “stem cell gene”. Infine, questi dati, oltre al significato biologico, hanno una rilevanza nella clinica, in quanto l’ alterazione dell’ espressione di Otx1 potrebbe essere associata con lo sviluppo di patologie ossee, quali osteosarcomi, artrite e osteoporosi. 35 Unità Operativa: Dip. di Anatomia, Farmacologia e Scienze Medico-Forensi, Università di Parma (Responsabile UO: Marco Vitale) INTRODUZIONE E PRINCIPALE OBIETTIVO Come dettagliato nelle precedenti relazioni, il nostro gruppo si è inizialmente focalizzato su: 1) gli effetti dei fattori di crescita rilasciati in campioni di plasma ricco di piastrine (PRP) sulla proliferazione e sul differenziamento delle cellule staminali mesenchimali (MSC); 2) la reale composizione dei PRP utilizzati nella preparazione dei Gel; 3) l’arricchimento piastrinico e la deprivazione cellulare dei PRP rispetto al midollo osseo (BM) utilizzato come sorgente; 4) i fattori angiogenetici contenuti nei PRP da BM al fine di caratterizzare funzionalmente la dinamica biologica in termini di interazioni cellula-cellula e cellula-matrice e in termini di rilascio dei fattori di crescita; 5) come aumentare il contenuto di fattori di crescita angiogenetici in piastrine (Piastrine Caricate – LP); 6) la riduzione della variabilità individuale del contenuto di VEGF nella piastrine. I risultati ottenuti possono essere brevemente riassunti come segue: i) le piastrine contengono il VEGF che può essere rilasciato durante il processo di attivazione; ii) il PRP contiene piastrine, cellule nucleate e eritrociti; iii) il PRP da BM è arricchito in piastrine di almeno 2.5 volte e deprivato di cellule nucleate rispetto al PRP ottenuto da sangue periferico; iv) alta variabilità nella concentrazione della popolazione cellulare; v) alta variabilità nei livelli di VEGF sia nel PRP che nel BM; vi) le piastrine – e, più in generale, i PRP – possono essere “caricate” con fattori di crescita; vii) l’ampia variabilità inter-individuale nei livelli di VEGF risulta estremamente ridotta nelle LP rispetto ai PRP non pre-trattati. In questa relazione finale dimostriamo che: 1) lo stesso kit sviluppato per ottenere un arricchimento piastrinico da PB può essere utilizzato per ottenere simultaneamente sia PRP che MSC da BM; 2) il PRP ottenuto da BM è più ricco in piastrine di quello ottenuto da sangue venoso periferico (PB). L'individuazione di un metodo per ottenere MSC e piastrine da BM in breve tempo e con una manipolazione minima può ottimizzare numerose applicazioni terapeutiche. MATERIALI E METODI CAMPIONI. E’ stato raccolto sia il sangue periferico (PB) che il midollo osseo (BM) da 6 pazienti affetti da cisti ossea unicamerale fase (6-24 anni) presso gli Istituti Ortopedici Rizzoli, dopo aver ottenuto il consenso informato, secondo un protocollo approvato dal Comitato etico locale. I campioni di PB sono stati raccolti mediante prelievo venoso, mentre i campioni di BM sono stati prelevati mediante agoaspirato dalla cresta iliaca in anestesia generale. Il trattamento dei campioni di PB e BM è stato effettuato utilizzando il 1° passaggio della procedura del Kit commerciale FIBRINET (Cascade Medical Enterprises Ltd, Plymouth, Devon, UK), secondo le istruzioni del produttore per PB. CITOMETRIA A FLUSSO. Per valutare la composizione cellulare di BM e PB, aliquote di pari volume di ciascun campione sono state marcata con: R-ficoeritrina (RPE)-coniugato anti-CD41 (Chemicon, Temecula, CA, USA), RPE-coniugato anti-Glicoforina A (DAKO , Glostrup, Danimarca), RPE-coniugato anti-CD33 (BD Pharmingen, San Diego, CA, USA), RPE-coniugato anti-CD34 (Immunotech, Beckman Coulter, Miami, FL, USA), isothocyanato di fluoresceina (FITC)-coniugato contro CD45 (Beckman Coulter, Miami, FL, USA), FITCconiugato anti-CD3 (Caltag, Burlingame, CA, USA), FITC-coniugato anti-CD14 (Exalpha Corporation, Boston, Massachusetts, USA), coniugato FITC contro -CD15 (Exalpha Corporation). La conta piastrinica è stata eseguita sulla popolazione CD41+. Le eventuali popolazioni cellulari contaminanti CD41+ ( come ad esempio i megacariociti in campioni di BM) sono stati esclusi inserendo un gate sui parametri morfologici (scatter). RISULTATI 1) lo stesso kit sviluppato per ottenere un arricchimento piastrinico da PB può essere utilizzato per ottenere simultaneamente sia PRP che SC da BM La nostra ipotesi di partenza era che il kit commerciale FIBRINET utilizzato per ottenere PRP da PB potesse essere impiegato anche con BM, che è una comoda fonte di piastrine e MSC. Per verificare questa ipotesi, abbiamo analizzato la composizione delle cellule mononucleate ed il numero di piastrine nella frazione plasmatica al di sopra del gel, comparando il PB con il BM. Mediante citometria a flusso dei campioni raccolti da 6 donatori, abbiamo trovato un’arricchimento di cellule 36 CD41+ 3~4 volte superiore nella frazione plasmatica ottenuta da PB rispetto al PB prima del trattamento (Figura 1). Questo risultato è coerente con un arricchimento in piastrine dei campioni trattati. L’analisi dell’espressione di CD3, CD14, CD15, CD45, CD33 e CD34 ha evidenziato una generale diminuzione della percentuale di cellule positive nella frazione plasmatica dopo separazione da PB. Per CD15 e CD45, il calo è stato significativo (Figura 1), mentre solo la percentuale di cellule CD3 positive è aumentata, anche se non significativamente, nella frazione plasmatica dopo la trasformazione del PB (Figura 1). Questi risultati suggeriscono che il kit è in grado di concentrarsi selettivamente piastrine e di mantenere almeno il 20% delle cellule mononucleate (cellule CD45 +), preservando i linfociti (cellule CD3 +) e le cellule progenitrici ematopoietiche (CD33 + e cellule CD34 +). Sulla base di questi primi risultati, poi abbiamo verificato se la raccolta / separazione del tubo del kit può essere utilizzato per isolare le piastrine e le cellule mononucleate da aspirati di BM. Mediante citometria a flusso abbiamo trovato che, rispetto al BM non trattato, la percentuale delle cellule positive per CD3, CD14, CD15, CD45, CD33 e CD34 era diminuito dopo il trattamento del BM con il kit (Figura 2). Tuttavia, analogamente a quanto osservato con PB, il trattamento ha permesso il recupero delle cellule mononucleate. In particolare, il 20% di CD45+ e il 32% delle cellule CD3+ sono stati conservati. All'interno delle popolazioni ematopoietiche, il 15% delle cellule CD33 + e tutte le cellule CD34+ sono state conservate. Al contrario, la percentuale di cellule CD41 positive era più alto dopo il trattamento del BM con il kit, rispetto al dato ottenuto dopo il trattamento del PB. Questi risultati dimostrano che una frazione di cellule mononucleate sono mantenute nel prodotto finale insieme ad un arricchimento di piastrine. 37 2) Il PRP ottenuto da BM è più ricco in piastrine di quello ottenuto da PB Ci siamo quindi concentrati sull’arricchimento delle piastrine nei prodotti ottenuti dalla raccolta / separazione del kit a partire da fonti di BM e PB. Mediante citometria a flusso, abbiamo analizzato il numero assoluto di piastrine nei trattati da PB e BM (cellule CD41+, dopo gating morfologico sulla regione piastrinica). Il confronto tra la conta piastrinica ottenuta dal trattamento del BM e quella ottenuta a partire da PB dimostra che il campione raccolto a partire da BM contiene una quantità di piastrine significativamente maggiore rispetto al campione raccolto a partire da PB (Figura 3). 38 Figura 3 DISCUSSIONE Il midollo osseo (BM) ha un fascino notevole in quanto fornisce le cellule multipotenti dal vivente e ha la capacità di stimolare la formazione de novo di tessuto osseo direttamente presso il sito dell'innesto. Tra le cellule contenute negli aspirati di BM, le MSC rappresentano una promettente fonte di base di cellule terapeutiche e applicazioni di ingegneria tessutale. Tuttavia, una limitazione importante nell'uso di MSC è la loro bassa frequenza. Anche se grandi quantità di MSC possono essere ottenuti con l'espansione ex vivo, questioni importanti relative al tempo, costi e sicurezza rimangono. Il nostro studio dimostra che un semplice kit commerciale, originariamente progettato per produrre PRP da PB, può anche essere utilizzato per isolare simultaneamente MSC e piastrine direttamente da aspirati di BM. L'uso del primo tubo del kit (raccolta / separazione tubo) ci ha permesso di ottenere una frazione di cellule mononucleate e ricco di piastrine derivate dal midollo osseo. Abbiamo dimostrato che il numero relativo di piastrine è maggiore nel PRP da BM rispetto a quella dei campioni derivati da PB. Il laboratorio diretto dal Prof. Donati, col quale abbiamo svolto il lavoro in collaborazione ha dimostrato che la frazione di cellule nucleate presenti nel derivato del BM include le MSC, che mantengono la loro cinetica di crescita e il potenziale osteogenico. Il sistema ottimizzato presenta numerosi vantaggi: in primo luogo, richiede solo 9 ml di BM come materiale di partenza; in secondo luogo, si concentrano simultaneamente MSC e piastrine. L'efficacia di concentrati piastrinici nella ricostruzione ossea è stata a lungo dibattuta. Le piastrine attivate possono stimolare le popolazioni di cellule residenti a promuovere la riparazione dell'osso, direttamente o indirettamente. Quindi, una strategia promettente è quella di fornire sia le piastrine che le cellule rispondenti, come le MSC, allo stesso tempo e nel prodotto finale stesso. L'isolamento di MSC e piastrine, allo stesso tempo rappresenta il progresso più rilevante derivante da questa metodologia. Dal punto di vista clinico, i vantaggi sono numerosi e, solo per citare i principali, questi possono essere descritti come segue: i) è necessario un piccolo volume di partenza di midollo osseo (9 ml), ii) il prodotto finale è in forma di gel, iii) la preparazione è rapida e il prodotto finale è pronto per l'uso in circa 30 minuti, iii) arricchimento in MSC senza necessità della loro espansione. Riteniamo quindi che questo prodotto rappresenti una opzione terapeutica potenzialmente efficace per il trattamento dei deficit ossei. Non da ultimo, come riportato nella nostra precedente relazione, le piastrine potrebbero essere arricchite in fattori, quali il VEGF, per ottenere una più rapida ed efficace risposta terapeutica. 39 Unità Operativa: SC Laboratorio Fisiopatologia Ortopedica e Medicina Rigenerativa, Istituto Ortopedico Rizzoli Bologna (Responsabile UO: Dott. Nicola Baldini) INTRODUZIONE E PRINCIPALE OBIETTIVO La medicina rigenerativa è una strategia terapeutica finalizzata a stimolare le risorse proprie del paziente attivando i processi fisiologici che guidano la riparazione dei tessuti. La complessa serie di eventi che conducono alla riparazione del tessuto osseo dipende essenzialmente dalla sinergia fra componente cellulare che si localizza nel sito di lesione e dal microambiente circostante, ovvero dalla presenza di fattori di crescita (growth factor - GF) che svolgono una attività trofica, e di strutture vascolari che garantiscono il flusso di sostanze nutrienti e l’apporto di cellule osteoprogenitrici, nonché dalla struttura della matrice extracellulare che trasmette alle cellule segnali appropriati per la proliferazione e il differenziamento. L’approccio riparativo più comunemente usato si basa sulla combinazione di fattori di crescita e precursori osteogenici, ottenuti rispettivamente da gel piastrinico e da midollo osseo aspirato dalla cresta iliaca. Le cellule stromali midollari (MSC) rappresentano la fonte di precursori osteogenici maggiormente impiegata in campo clinico. Per le loro caratteristiche peculiari rappresentano una sorgente ideale per la rigenerazione tissutale: possono essere ottenute dallo stesso individuo, sono capaci di auto-rinnovarsi, e possono essere indotte a differenziarsi, sia in vitro che in vivo, in tipi cellulari diversi capaci di integrarsi nei tessuti in cui vengono trapiantati. Il gel-piastrinico è un concentrato autologo di piastrine in un piccolo volume di plasma (platelet rich plasma PRP) che vengono attivate con il conseguente rilascio dagli alfa-granuli di numerosi fattori pro-osteogenici e pro-angiogenici utili ai processi di riparazione. Il razionale per l’uso del PRP nelle lesioni ossee refrattarie alla guarigione è basato sulla significativa riduzione di GF endogeni che sono stati osservati nei siti di non-unione. I risultati di studi clinici recenti mostrano l’approccio rigenerativo funziona, anche se non sempre porta ad una riparazione definitiva del tessuto. Le cause dell’insuccesso possono essere anche di natura biologica, ovvero determinate da una carenza di GF del gel piastrinico e/o da un difetto delle cellule trapiantate, sia intrinseco che dovuto alla manipolazione del midollo osseo. Infatti, le MSC ottenute dal della cresta iliaca possono essere impiantate previo isolamento ed espansione in laboratorio o dopo un breve procedimento di eliminazione dei globuli rossi e concentrazione delle cellule mononucleate. Nel primo caso la coltura cellulare consente di selezionare gli elementi a più elevata staminalità, mentre nel secondo caso l’insieme delle cellule mononucleate simula meglio il microambiente midollare osseo con il suo alto potenziale rigenerativo. In questo contesto, gli obiettivi della dell’Unità Operativa nel corso del progetto sono stati i seguenti: 1. Definizione del ruolo del PRP nella modulazione dei rapporti fra angiogenesi ed osteogenesi durante il processo rigenerativo dell’osso. Nel corso del 1° anno di attività sono state definite le condizioni di coltura di cellule endoteliali (EC) e MSC, e la preparazione di fattori di crescita piastrinici più idonea agli studi in vitro. I modelli cellulari sono stati applicati per valutare in vitro l’effetto del PRP sull’attività osteogenica delle cellule endoteliali. 2. Quantificazione di GF piastrinici in pazienti affetti da osteonecrosi (ON). Nel 2° anno di attività l’UO si è proposta di verificare se le piastrine di pazienti affetti da ON rilasciano adeguati quantitativi di fattori osteogenici. 3. Valutazione della capacità differenziativa delle MSC sottoposte a condizioni di coltura non convenzionali. Nel 2° anno di attività è stato valutato il potenziale osteogenico delle cellule non aderenti (NA) che vengono solitamente scartate nelle colture di cellule MSC derivate da midollo osseo. 4. Ricerca di fattori predittivi della riparazione ossea. Nel corso del 3° anno di attività l’UO si è proposta di verificare mediante test immunoenzimatici e saggi di bioattività la correlazione fra parametri di laboratorio e riparazione del tessuto osseo. MATERIALI E METODI 1. Definizione del ruolo del PRP nella modulazione dei rapporti fra angiogenesi ed osteogenesi durante il processo rigenerativo dell’osso. Standardizzazione delle condizioni di coltura di MSC e cellule endoteliali. E’ stato ricercato il terreno più idoneo e le percentuali relative ottimali dei due tipi cellulari per l’allestimento di co-culture ed è stata analizzata l’espressione di marker specifici per il monitoraggio delle colture. Ricerca del migliore preparato piastrinico da impiegare ‘in vitro’. Abbiamo valutato quale preparazione consentisse la maggiore liberazione di sostanze dagli α-granuli, utilizzando come marker il fattore piastrinico 4 (PF4), specifico delle piastrine, poichè altri GF osteogenici 40 sono contenuti anche nel siero. La concentrazione del PF4 è stata valutata sul sovranatante (PRS) di PRP (1 x 106 piastrine /µl) trattato con trombina bovina (1000 U/ml) e calcio per formare il gel, su PRP attivato con trombina a bassa concentrazione (1- 2,5- 5 U/ml) e in assenza di calcio, per ottenere la reazione di liberazione senza formare il gel. Per valutare il PF4 totale sono state ottenute diverse preparazioni di lisato piastrinico (con Triton-X-100 oppure per congelamento diretto oppure con cicli ripetuti di congelamentoscongelamento). Per confronto, il PF4 è stato determinato anche su campioni di plasma povero di piastrine (PPP), trattato e non trattato con trombina, su campioni di siero e su campioni di plasma trattato con una soluzione antiaggregante immediatamente dopo il prelievo di sangue. Il PF4 è stato dosato con metodo immunoenzimatico. Attività pro-osteogenica delle cellule endoteliali coltivate in presenza di PRP. MSC ottenute da midollo osseo della cresta iliaca e cellule umane endoteliali della vena ombelicale (HUVEC) sono state coltivate il presenza di PRP e PPP. Nelle MSC è stato valutato l’effetto sulla espressione di geni del differenziamento (Sp7, FGF-2) l’attività della fosfatasi alcalina (ALP) e la mineralizzazione in vitro. Nelle HUVEC è stata valutata la proliferazione cellulare e l’espressione di fattori pro-osteogenici (PDGF-A, PDGF-B, BMP-2, FGF-2, TGF-ß, ICAM-1, OPG, RANKL, RANK). Inoltre è stato valutato se in presenza di PRP le HUVEC sono in grado di favorire la chemiotassi delle MSC. Il test di migrazione delle MSC eseguito in camera di Boyden su filtri in policarbonato (Transwell). Le HUVEC + PRP o PPP + 1% FCS sono stati collocate nella parte inferiore dei pozzetti. Dopo 72 h, 0.25 x 104 MSC sono state seminate nella parte superiore del Transwell in mezzo privo di siero. Dopo 20 h, i filtri sono stati rimossi e la migrazione è stata verificata colorando le cellule con cristalvioletto. 2. Quantificazione di GF piastrinici in pazienti affetti da osteonecrosi (ON). La concentrazione di fattori di crescita osteogenici (TGFß1 e PDGF-BB) è stata determinata con metodo immunoenzimatico nel sovranatante di piastrine attivate con trombina (releasato) e nel lisato di piastrine ottenuto mediante due cicli di congelamento/scongelamento (lisato). Per lo studio sono stati reclutati 11 pazienti affetti da ON primitiva dell’epifisi femorale non trattati chirurgicamente, a confronto con 11 controlli sani (Ctr). Poiché i GF sono prodotti anche da altre cellule, per una migliore comprensione dei risultati è stata determinata anche la concentrazione di PF4, che è specifico delle piastrine. Poichè la manipolazione dei campioni può accidentalmente attivare le piastrine, abbiamo valutato la concentrazione dei GF e del PF4 anche nel PPP. 3. Valutazione della capacità differenziativa delle MSC sottoposte a condizioni di coltura non convenzionali. Il midollo osseo è stato raccolto dal canale femorale di 6 pazienti durante l’intervento di artroprotesi d’anca. Dopo 4 gg di coltura, le cellule non aderenti (NA0) sono state raccolte e riseminate. Analogamente, dopo altri 4 gg, sono state raccolte anche le cellule non aderenti della coltura NA0 (NA1). NA0 e NA1 sono state coltivate in terreno osteogenico e caratterizzate per l’espressione di markers del differenziamento osteoblastico. I dati sono stati confrontati con quelli ottenuti nelle cellule con aderenza precoce (EA). Il differenziamento delle diverse sottopopolazioni è stato valutato analizzando l’espressione di antigeni di membrana caratteristici delle MSC (CD44, CD105, CD166, CD90), l’attività di ALP sulle “Colony Forming Units” CFU, la produzione di matrice calcificata e l’espressione di geni associati al differenziamento osseo (ALP, Osteocalcin/BGLAP, Type 1 collagen/COL1A1, Type 12 collagen/COL12A1, Cartilage oligomeric matrix protein/COMP, Tetranectin/CLEC3B, Bone sialoprotein/IBSP, Periostin/POSTN, RUNX2, Osteonectin/SPARC, Osteoprotegerin/TNFRSF11B). 4. Ricerca di fattori predittivi della riparazione ossea. Studio 1. 10 pazienti affetti da pseudoartrosi congenita della tibia (PCT) sono stati trattati con MSC della cresta iliaca in associazione a PRP. In 6 pazienti la PCT era associata a neurofibromatosi. Le MSC sono state coltivate in terreno osteogenico + siero autologo e caratterizzate per l’espressione di markers del differenziamento osteoblastico analizzando l’attività di ALP nelle CFU, la produzione di matrice calcificata e l’espressione di geni associati al differenziamento osseo (ALP, BGLAP, COL1A1, CLEC3B, IBSP, Runx2, SPARC). E’ stato verificatoa poi la correlazione tra risultato dei test di laboratorio ed esito del trattamento in termini di guarigione della lesione ossea. Studio 2. Sono stati reclutati 88 bambini sottoposti a trattamento chirurgico per una malattia ortopedica congenita (n = 49) o acquisita (n = 39), associata (n = 35) o non associata (n = 53) a lesione ossea. I livelli sierici di FGF-2 sono stati misurati con metodo immunoenzimatico ed è stato verificato se la concentrazione di FGF-2 variava in relazione alla malattia di base ed era in grado di predire l’esito dell’intervento in termini di guarigione della lesione ossea. 41 Risultati 1. Definizione del ruolo del PRP nella modulazione dei rapporti fra angiogenesi ed osteogenesi durante il processo rigenerativo dell’osso. Standardizzazione delle condizioni di co-coltura di MSC e cellule endoteliali. I risultati ottenuti nella standardizzazione dei metodi di coltura sono riportati nella sezione ‘Materiale e Metodi’ nel paragrafo relativo alla valutazione dell’attività pro-osteogenica delle cellule endoteliali. Ricerca del migliore preparato piastrinico da impiegare ‘in vitro’. Dopo attivazione delle piastrine con trombina, la quantità di PF4 rilasciata era pari a oltre 500 volte quella dei campioni trattati con antiaggreganti. La maggiore concentrazione di PF4 si otteneva con 5 U/ml di trombina. Risultati simili si ottenevano per il siero. La concentrazione di PF4 nel PRS era inferiore sia a quella del siero sia a quella dei campioni trattati con la sola trombina senza il calcio. Le piastrine lisate con il TritonX o mediante un solo ciclo di congelamento-scongelamento liberavano quantità di PF4 simili a quelle presenti nel siero. La concentrazione maggiore di PF4 era presente nei campioni sottoposti a più cicli di congelamento-scongelamento, che evidentemente erano in grado di lisare tutte le piastrine del campione (Figura 1). Figura 1. Concentrazione di PF4 nei diversi preparati piastrinici. Attività pro-osteogenica delle cellule endoteliali coltivate in presenza di PRP. La presenza di PRP ha indotto nelle MSC una maggiore espressione di ALP, Sp7 e FGF-2 rispetto a quella osservata nelle colture di controllo (terreno con 1% FCS, PPP). Analogamente, nelle HUVEC il PRP induceva una maggiore proliferazione e favoriva l’espressione dei trascritti di PDGF-B, ICAM-1 e OPG. Il numero di MSC attirate dalle cellule endoteliali aumentava significativamente quando le HUVEC erano stimolate con PRP, mentre l’aggiunta di PPP non modificava la migrazione spontanea indotta dal solo il terreno di coltura 2. Quantificazione di GF piastrinici in pazienti affetti da osteonecrosi (ON). Non vi erano differenze significative fra pazienti e controlli per quanto riguarda il numero di piastrine nel sangue intero (pazienti: 311 ± 130; controlli: 362 ± 108 x 106/ml). I pazienti presentavano livelli di TGFß1 e di PDGF-BB più elevati rispetto ai controlli sia nei sovranatanti delle piastrine attivate che nei lisati, anche se era rilevabile una notevole variabilità individuale. Il PF4 nei releasati dei pazienti era solo modestamente aumentato rispetto ai controlli, mentre nei lisati la sua concentrazione era addirittura inferiore. Inoltre, sia nei pazienti che nei controlli, la concentrazione dei due GF e del PF4 era maggiore nel lisato che nel releasato, probabilmente perchè una parte di queste proteine viene adsorbita dal gel neoformato. Le concentrazioni misurate nel PPP erano sempre significativamente inferiori a quelle dei lisati e dei releasati. 3. Valutazione della capacità differenziativa delle MSC sottoposte a condizioni di coltura non convenzionali. La percentuale di cellule NA variava da 1 a 51% e non correlava con l’età dei pazienti. Il 37-84% delle NA0 e il 17-87% delle NA1 acquisiscono la capacità di aderire alla plastica (late adherent, LA0 e LA1). Alla prima confluenza (T1), gli antigeni di membrana tipici delle MSC erano espressi in oltre l’80% di tutte le popolazioni EA, LA0 e LA1. Il numero totale di CFU diminuiva in LA1, mentre in LA0 è stato trovato il maggior numero di CFU con > 50 cellule. Il numero medio di CFU-ALP+ era simile in EA e LA. Tutte le sottopopolazioni erano in 42 grado di formare noduli minerali in vitro, ma al termine del periodo di mineralizzazione (M1) il contenuto di calcio era maggiore in LA0 e LA1 (Figura 1). L'espressione di alcuni geni (Runx2, BGLAP, CLEC3B, COMP, e FZD8) era simile in EA ed LA per tutto il periodo di coltura. COL1A1, IBSP, SPARC, e POSTN erano maggiormente espressi nelle cellule LA0 ed LA1, prima dell’aggiunta di terreno differenziante (T0). Le differenze non erano più evidenti a T1, ma l’espressione di IBSP ed POSTN continuava ad aumentare nelle cellule LA0 anche dopo l’aggiunta di terreno mineralizzante. Nella sottopopolazione EA, l’espressione di ALPL, COL12A1, SPARC, e TNFRSF11B aumentava significativamente da T0 a T1 per poi rimanere stabile, mentre la quantità di trascritti continuava ad aumentare nelle LA da T1 ad M1. Figura 1. Il contenuto di calcio (nel grafico media ± SEM) è stato misurato su lisati cellulari e rapportato al numero di cellule. Le immagini mostrano che tutte le sottopopolazioni sono in grado di formare noduli minerali (von Kossa, x20). 4. Ricerca di fattori predittivi della riparazione ossea. Studio 1. Il consolidamento osseo è stato ottenuto in tre pazienti che avevano PCT associata a neurofibromatosi. Non sono state trovate correlazioni con la proliferazione cellulare, numero di CFU delle MSC, attività enzimatica di ALP. Nei soggetti guariti, le MSC coltivate in presenza di siero autologo erano in grado di formare noduli minerali in vitro, mentre la capacità mineralizzante era completamente abrogata nei pazienti con esito clinico negativo. In generale, l’espressione di geni correlati con il differenziamento osteoblastico era più elevata nelle MSC di pazienti che hanno ottenuto il consolidamento osseo, e l'espressione di Runx2, IBSP e SPARC era significativamente maggiore. Studio 2. I livelli sierici di FGF-2 non variavano in relazione all’età e sesso dei pazienti. Non sono state trovate differenze fra malattie congenite o acquisite, né fra presenza o meno di lesioni ossee. I livelli circolanti di FGF-2 erano significativamente più bassi nei pazienti che non avevano ottenuto il consolidamento osseo dopo l'intervento chirurgico. L'accuratezza diagnostica del test è stata confermata statisticamente, ed è stato definito un valore di soglia al di sopra del quale il buon esito del trattamento sembra essere garantito. Il rapporto tra FGF-2 e la guarigione ossea è stata sostenuta da esperimenti in vitro. Un pool di sieri provenienti da 3 pazienti che avevano elevati livelli di FGF-2 e che sono guariti dopo riduzione chirurgica di una frattura è stato impiegato per coltivare le MSC di 3 pazienti reclutati nello Studio 1. Sono stati selezionati soggetti con bassi livelli sierici di FGF-2 e assenza di consolidamento dopo trattamento della PCT. Il siero autologo dei pazienti affetti da PCT non ha fornito stimoli sufficienti per indurre la mineralizzazione in vitro, mentre il pool dei 3 sieri omologhi, come anche l’ rhFGF-2, hanno indotto la formazione di noduli minerali (Figura 2). 43 n° of mineral nodules 20 16 a 12 8 4 0 #1 #2 Auto 10% b a FBS 10% #3 rhFGF-2 (30pg/ml) c b d c Homo 10% e d Figura 2. Risultati del test di mineralizzazione in vitro nelle MSC di pazienti affetti da PCT con bassi livelli sierici di FGF-2 e assenza di consolidamento dopo trattamento chirurgico. Il grafico (a) e le immagini (Alizarin red, ingrandimento 4X del pozzetto a dimensione originale in alto a destra) mostrano che la formazione di noduli minerali non avviene in presenza di siero autologo (b). La capacità osteogenica delle MSC è ripristinata in presenza di un pool di sieri omologhi contenente 30 pg/ml di FGF2 (e) ed è maggiore di quella osservata in presenza di rhFGF-2 (d) e siero eterologo FBS (c). DISCUSSIONE Il lavoro svolto nella prima fase del progetto ci ha permesso di mettere a punto modelli cellulari in vitro per lo studio dell’effetto dei fattori di crescita derivati dai concentrati piastrinici. Anche se il gel piastrinico ottenuto da PRP attivato con trombina e calcio è il più idoneo all’utilizzo clinico, non sempre si dimostra adatto agli studi su colture cellulari. Alcuni autori preferiscono impiegare il sovranatante che si ottiene dopo la retrazione del gel (releasato), oppure utilizzano il lisato piastrinico o PRP non attivato. Abbiamo confermato che condizioni simili a quelle impiegate in clinica determinano una buona attivazione delle piastrine con un rilascio di PF4 solo leggermente inferiore a quello osservato con trattamenti che favoriscono la lisi piastrinica, come i ripetuti congelamenti e scongelamenti. Il sovranatante del PRP attivato con trombina e calcio è stato considerato idoneo per gli studi in vitro, ed è stato impiegato nelle successive fasi del progetto sia come additivo per definire il ruolo del PRP nella modulazione dei rapporti fra angiogenesi ed osteogenesi durante il processo rigenerativo dell’osso, sia per il dosaggio dei diversi fattori di crescita in soggetti sani o affetti da malattie del tessuto osseo. Gli studi sull’effetto del PRP nella interazione fra cellule endoteliali e MSC hanno dimostrato che il gel piastrinico può favorire la riparazione ossea promuovendo osteogenesi e angiogenesi. Infatti, il gel piastrinico favorisce il differenziamento delle MSC, la proliferazione delle HUVEC e la loro attività pro-osteogenica. I livelli di alcuni fattori pro-osteogenici e pro-angiogenici sono stati misurati nel PRP di soggetti affetti da ON al fine di stabilire una base scientifica per l'uso del gel piastrinico che viene proposto come coadiuvante nel trattamento chirurgico di questa malattia. I livelli dei fattori di crescita sono risultati simili o superiori a quelli misurati nei soggetti sani. Le concentrazioni maggiori di PF4 e PDGF-BB nel siero dei pazienti con ON può essere dovuto allo stato trombofilico che è stato descritto in questi pazienti (Pósán et al. 2003), e quindi all'aumento dell’attivazione piastrinica. I risultati ottenuti, sia pur preliminari, suggeriscono che l’impiego del gel piastrinico nella ON può favorire la riparazione del tessuto osseo ed essere un valido ausilio per il trattamento di questa malattia. Nell’ambito del progetto sono stati considerati anche alcuni aspetti relativi alle modalità di coltura delle MSC. In particolare ci siamo focalizzati sul ruolo delle cellule non aderenti, ovvero le cellule che vengono solitamente scartate nelle colture di cellule MSC derivate da midollo osseo. I nostri risultati hanno confermato che cellule mononucleate del midollo osseo contengono precursori osteogenici ad aderenza tardiva, che mostrano un fenotipo più indifferenziato e con un potenziale osteogenico migliore rispetto alle cellule che aderiscono precocemente. Il numero dei precursori osteogenici ad aderenza tardiva è indipendente dall’età del paziente, ed è ipotizzabile che essi abbiano un ruolo nella rigenerazione e nel mantenimento della omeostasi del tessuto osseo. Le cellule midollari che non aderiscono alla plastica nelle prime fasi di coltura costituiscono un reservoir di precursori mesenchimali quiescenti e più immaturi rispetto alla controparte aderente (Baksh D, 2007; Zhang ZL, 2009). In un microambiente appropriato queste cellule possono proliferare e differenziarsi in cellule specializzate, ripristinando la funzione di un tessuto danneggiato. Altri autori hanno dimostrato che cellule midollari non aderenti sono in grado di dare origine a tessuto osseo in 44 vivo (Wlodarski KH, 2004). Nell’ultima parte del progetto ci siamo proposti di identificare markers predittivi del potenziale rigenerativo del gel piastrinico. L’obiettivo è quello di individuare parametri di laboratorio che possano indirizzare il chirurgo ortopedico già nella fase di preparazione del paziente. Un test predittivo consentirebbe infatti di stabilire se destinare il paziente al trattamento con gel piastrinico (PG) autologo o applicare altre strategie, come impiegare PG omologo o potenziare il PG autologo con fattori ricombinanti. I nostri risultati e i dati di letteratura dimostrano che la presenza di fattori di crescita pro-osteogenici è un requisito essenziale per garantire l'efficacia dell’approccio rigenerativo usando concentrati piastrinici, sia da soli che in combinazione con MSC. Un profilo completo dei GF rilasciati dal PG consentirebbe di spiegare le differenze dei risultati clinici. Tuttavia, la misurazione dei singoli fattori presenta alcune limitazioni, poiché non sono disponibili dati sulla quantità ottimale delle varie molecole né sulla rilevanza degli effetti sinergici. In un primo studio abbiamo dimostrato che il saggio di mineralizzazione in vitro è un valido strumento per superare gli ostacoli sopra esposti in quanto l'attività funzionale di fattori di crescita è valutata nel suo complesso. La valutazione dell’attività pro-osteogenica del siero autologo può essere un test predittivo di guarigione in pazienti affetti da pseudoartrosi congenita della tibia che sono stati trattati con gel piastrinico e MSC. È interessante notare che l'attività mineralizzante del siero, così come un buon risultato clinico, è stata trovata solo nei pazienti in cui la pseudoartrosi era associata a neurofibromatosi. Questo risultato può essere spiegato dalla elevata produzione di fattori di crescita (FGF2, VEGF, PDGF) che è stata descritta nei soggetti affetti neurofibromatosi di tipo 1 (Kurtz A, 2002; Kawachi Y, 2003). Poiché FGF-2 svolge un ruolo importante nella fase iniziale della osteogenesi abbiamo ipotizzato che i livelli circolanti potrebbero essere un indicatore predittivo di consolidazione ossea. In un secondo studio, i livelli di FGF-2 sono stati misurati nel siero di pazienti sottoposti a trattamento chirurgico per varie malattie ortopediche, congenite ed acquisite, associate o non associate a lesioni ossee. I soggetti che dopo l’intervento chirurgico hanno ottenuto la guarigione nei tempi previsti avevano livelli di FGF-2 significativamente più elevati di quelli misurati nei soggetti con tessuto osseo intatto, mentre i soggetti che non guarivano avevano livelli significativamente inferiori. Indubbiamente, FGF-2 non può essere considerato come il principale responsabile della riparazione ossea, ma può essere un fattore ‘sentinella’ in grado di predire l’esito dell’intervento in termini di riparazione delle lesioni. 45 Unità Operativa: SS Rigenerazione Tissutale Ossea, Istituto Ortopedico Rizzoli Bologna (Responsabile UO: Prof. Davide Maria Donati) INTRODUZIONE E PRINCIPALE OBIETTIVO Le cellule staminali mesenchimali (CSM) sono una popolazione di precursori cellulari multipotenti che può essere isolata dal midollo osseo, nel quale sono presenti ad una bassa concentrazione. Per raggiungere il numero desiderato per l’impiego clinico le cellule possono espanse ex-vivo in laboratorio. Per il panorama normativo Europeo le cellule mesenchimali espanse sono considerate un farmaco, di conseguenza un processo di espansione per un impiego clinico deve essere altamente riproducibile, standardizzato e prevedibile, non solo per essere conforme alle Good Manufacture Procedures (GMP), ma anche perché deve consentire una programmazione dell’impianto con un largo margine di anticipo per conformarsi alle esigenze del paziente, del clinico e della struttura ospedaliera. E’ quindi di estrema importanza studiare e migliorare i fattori che possono influenzare la produzione di cellule per l’uso clinico, tra questi sono da annoverare il prelievo, l’isolamento, l’espansione e la conservazione. In particolare, nella letteratura scientifica sono poche le informazioni relative all’influenza che le modalità di prelievo ed isolamento delle cellule possono avere sul prodotto finale di espansione. Il primo obbiettivo del progetto è stato quindi quello di verificare se il sito di prelievo del midollo osseo poteva influenzare il processo di espansione delle CSM, a tal fine dallo stesso donatore il midollo è stato prelevato in egual misura dalla cresta iliaca anteriore e da quella posteriore. In secondo luogo, abbiamo voluto studiare se la quantità di midollo prelevato dalla stessa sede anatomica avesse una influenza sul processo di espansione delle CSM a tale scopo sono stati prelevati 20 ml di midollo dalla cresta iliaca anteriore sinistra e 40 da quella contro laterale. I risultati nel complesso indicano che non solo la sede anatomica, ma anche la quantità di midollo prelevato possono influenzare l’espansione ex-vivo delle CSM, anche se nella sostanza entrambe le sedi ed entrambe le quantità delle cellule danno origine un numero sufficiente per l’impiego clinico. Il secondo obbiettivo è stato quello di valutare il possibile utilizzo per il prelievo delle CSM di un sistema che commercialmente viene utilizzato per isolare le piastrine dal sangue periferico. Dai risultati ottenuti si è potuto concludere che il Kit Fibrinet può essere usato per ottenere in maniera rapida le CSM dal midollo. Durante lo svolgimento del progetto è emersa l’esigenza di marcare le cellule per poterne studiare la biologia, a tale fine sono stati utilizzati dei tiofeni bioconiugati che hanno permesso di marcare le CSM in maniera estensiva, senza compromettere la vitalità o le funzioni delle cellule. MATERIALI E METODI Nello studio, sono stati arruolati soggetti che subivano un intervento ricostruttivo all’anca, ai quali sono stati applicati i seguenti criteri di esclusione: - Setticemie o infezione estesa con potenziale setticemia - Accertata presenza di malattie virali - Evidenza di contatto per le seguenti patologie: HIV, epatite B, epatite C, HTLV-I e II - Presenza di tumori benigni o maligni in atto documentati (metastasi, recidive) - Malattie genetiche o acquisite che compromettono l’integrità del tessuto - Diagnosi dubbia di cisti aneurismatica Le cellule ottenute sono state utilizzate per i saggi di CFU, caratterizzazione antigenica, crescita cellulare, differenzazione osteogenica. 46 RISULTATI Influenza del sito di prelievo Per valutare l’influenza del sito di prelievo sulle caratteristiche delle CSM isolate da midollo osseo, sono stati analizzati diversi parametri e sono stati messi a confronto i risultati ottenuti rispettivamente per le CSM isolate dal midollo osseo prelevato dalla cresta iliaca anteriore ed il midollo osseo prelevato dalla cresta iliaca posteriore di ogni donatore. Come illustrato in Fig.1 i campioni ottenuti dalla Cresta Iliaca Posteriore (PIC) sono caratterizzati da un valore di CFU significativamente più alto dei campioni ottenuti dall’a Cresta Iliaca Anteriore (AIC). Figura 1 Fibroblast colony-forming unites (CFU-Fs). Il grafico mostra la i valori di CFU ottenuti per i diversi siti di prelievo: anteriore (AIC) e posteriore (PIC). Le barre rappresentano la media ± SD di CFU-Fs ottenute da 1.5 x 105 CSMs seminate in piastra Petri per 14 gg. A lato si riporta una fotografia rappresentativa dei saggi CFU ottenute da AIC e PIC rispettivamente in (A) e (B). Le cellule isolate sono state messe in coltura ed analizzate per i marker CD ed il differenziamento osteogenico. Entrambe le colture sono risultate abbastanza omogenee dal punto di vista fenotipico, come indicato dalle percentuali di espressione dei marker CD (Fig. 2) che sono in entrambe i casi sono in linea con quelle indicate in letteratura come caratteristiche delle CSM. Anche per quanto riguarda la capacità differenziare in progenitori osteogenici i risultati sono risultati equivalenti, come evidenziato dall’assenza di una differenza significativa nella deposizione di calcio in condizioni osteoinduttive. Marker ANTERIORE CD29 87.53 ± 8.39 CD34 CD44 CD45 5.20 ± 4.46 78.23 ± 3.92 POSTERIORE 0. 692 8.20 ± 7.05 0.567 85.10 ± 2.11 22.63 ± 21.51 p-value 84.60 ± 8.45 23.27 ± 1.67 0.962 CD73 92.13 ± 3.21 CD90 9 7.33 ± 1.14 97.20 ± 1.85 CD105 91.67 ± 3. 20 93.10 ± 1.93 0.543 0.37 ± 0. 06 0.90 ± 0. 70 0.259 76.90 ± 20.36 0.630 CD117 CD146 83.50 ± 91.40 ± 3.52 0.05 6 8.14 0.803 0.920 Figura 2. Risultato dell’analisi fenotipica delle CSM dopo espansione (P2). Le cellule sono state marcate con anticorpi verso molecule di adesione (CD29, CD44, CD146, CD166), marcatori di staminalità (CD73, CD90, CD105, CD117), e marcatori ematopoietici (CD34, CD45). I dati sono espressi come media ± SD di tre donatori insieme al p-value per ogni confronto. La cinetica di proliferazione, valutata misurando i Cumulative Population Doublings (CPD), è risultata variare notevolmente a seconda del donatore, per cui non è possibile identificare una differenza significativa tra i valori di CPD in funzione del sito di prelievo. Iisolamento della cellule staminali mesenchimali Il kit Fibrinet (Fig 3) viene comunemente usato per isolare e concentrare in maniera rapida le piastrine dal sangue periferico. Dati recenti in letteratura hanno dimostrato che con questo kit oltre alle piastrine isola anche le cellule nucleate. In questa parte dello progetto abbiamo voluto verificare se il kit era in grado di isolare le CSM da sangue midollare. Rispetto agli altri kit disponibili per l’isolamento delle piastrine da sangue periferico il kit Fibrinet richiede il prelievo di soli 18 ml di sangue. 47 A Figura 3A: il kit è composto da un laccio emostatico e un ago a farfalla per prelevare il sangue, due tubi dal tappo giallo che servono per separare la frazione ricca di piastrine mediante la centrifugazione, un connettore e due tubi a tappo rosso che servono a modificare il prodotto da liquido a solido durante la centrifugazione B C Figura 3B: midollo isolato nel tubo giallo prima della centrifugazione Figura 1C: dopo la centrifugazione il gel separatore (bianco) presente nel tubo separa la frazione dei globuli rossi nella parte inferiore del tubo, dalla frazione che contiene le cellule mononucleate nella parte superiore del tubo (cerchiata di blu nella figura) Utilizzando i tubi per la separazione del kit dal midollo osseo, contenente 56,7 x 106/ml (SD = 23.0 × 106) cellule nucleate, si ottiene una frazione di cellule nonucleate con una concentrazione di 6.2 × 106/ml (SD = 5.5 × 106). La frazione isolata è stata poi sottoposta a diversi tipi di test al fine di valutarne il contenuto in CSM: caratterizzazione degli antigeni CD al citofluorimetro, saggio delle CFU, misura della cinetica di proliferazione, valutazione multi potenza in-vitro. I risultati dell’analisi della formazione delle CFU hanno dimostrato la formazione di un numero superiore di CFU nei campioni processati con il kit (54.92; SEM = 3.49) che nei campioni ottenuti dal midollo (32.50; SEM = 5.08; n= 6). La cinetica di proliferazione delle cellule ottenute con il kit era simile a quella delle cellule ricavate dal midollo, così come la potenzialità di differenziare in senso osteogenico (fig 4). In conclusione i dati ottenuti suggeriscono che il kit fibrinet può essere utilizzato per ottenere CSM dal midollo in maniera rapida e conveniente. Figura 4: I grafici riportati a sinistra rappresentano i valori ottenuti quantificando i depositi di calcio nelle CSM espanse ricavate dai midolli o dopo separazione con il kit Fibrinet in presenza (C ed F) o assenza (B ed E) di induzione dello stimolo osteogenico. Marcatura della cellule staminali mesenchimali Le CSM sono state colorate con un a serie di fluorfori attivati (Fig 5A), dei quali solo uno è stato in grado di marcare le cellule. Dalla analisi al microscopio ottico confocale (fig 5B) si è potuto osservare che il fuoroforo viene internalizzato nel citoplasma della cellula. Analisi successive hanno dimostrato che il fluoroforo attivato non è tossico e non inibisce la capacità di proliferazione delle cellule, almeno per il periodo di due settimane in cui il comportamento delle cellule è stato studiato. 48 Figura 5A: struttura dei fluorofori attivati Figura 5B: immagini ottenute al confocale delle cellule staminali mesenchimali colorate con il fluorforo attivato. DISCUSSIONE La medicina rigenerativa rappresenta un nuovo settore di rilevanza sociale perché con le sue applicazioni punta a riparare i tessuti danneggiati, mantenendo di conseguenza la popolazione che ha una età avanzata attiva e in salute. Il panorama normativo europeo equipara i prodotti di medicina rigenerativa che contengono cellule espanse ai farmaci e quindi prevede un’approfondita caratterizzazione del componente cellulare in termini di identità, purezza, “potency” e l’adeguatezza allo scopo terapeutico. Inoltre è necessario dimostrare che tutti gli aspetti del processo di produzione sono stati validati e sono tenuti sotto controllo. I risultati ottenuti nel confronto delle diverse modalità e siti di prelievo, hanno evidenziato che sia il sito anatomico sia il volume del prelievo del midollo osseo influenzano la resa e la concentrazione delle CSM isolate, mentre risultano pressoché equivalenti le caratteristiche biologiche e funzionali delle cellule una volta espanse in coltura. Si può quindi concludere che la cresta iliaca posteriore possa essere un miglior sito di prelievo rispetto a quella anteriore in quanto offre un vantaggio pratico. I risultati ottenuti con il kit Firbrinet, hanno evidenziato la possibilità di applicare un sistema di isolamento già autorizzato al commercio ad un diverso campione biologico ed ottenere un prodotto contenente CSM da midollo osseo in modo rapido ed economico. La disponibilità di metodi per la marcatura delle CSM risulta di notevole importanza per il trasferimento di prodotti di terapia cellulare avanzata dallo stadio di ricerca in-vitro o su modelli animali al trial clinico. La marcatura delle cellule infatti, oltre a facilitare lo studio in-vitro della biologia di base delle MSC, permette di monitorare il destino delle cellule e la loro distribuzione nel sito di impianto. Il nostro studio ha permesso di sviluppare un sistema di veicolazione di coloranti fluorescenti per una marcatura stabile e vitale delle CSM. Sono auspicabili ulteriori studi per verificarne l’efficacia in applicazioni in-vivo, per la quale esistono favorevoli premesse. 49 WP2.2 Trattamento combinato per osteonecrosi della testa del femore e delle lesioni non-union negli adulti e nei bambini Unità Operativa: Unità Operativa: SC Clinica Ortopedica Traumatologica I, Istituto Ortopedico Rizzoli Bologna (Responsabile UO: Dott. Dante Dallari) INTRODUZIONE E PRINCIPALE OBIETTIVO Per la rigenerazione tissutale ossea sono recentemente entrate nella pratica clinica tecniche di stimolazione biologica che utilizzando il concentrato di cellule stromali midollari (BMSC) e il gel di piastrine (PRP), ricco di fattori di crescita. L’uso combinato di osso omologo, abbinato a queste tecniche rappresenta uno stimolo biologico per la rigenerazione ossea, in quanto PDGF, TGF-beta, IGF-1 e VEGF hanno dimostrato di influenzare positivamente la sopravvivenza, la differenziazione e la proliferazione delle cellule ossee, mentre le cellule stromali concentrate hanno mostrato capacità di trasformazione in osteoblasti, osteociti e conseguente produzione. Nel nostro reparto abbiamo trattato utilizzando questi principi casi di necrosi avascolare della testa del femore e di pseudoartrosi delle ossa lunghe. La necrosi asettica della testa del femore è una patologia relativamente comune caratterizzata da necrosi ischemica delle cellule che popolano un’area cefalica delimitata. Tale fenomeno determina frequentemente un’artrosi secondaria della testa del femore ed è una delle cause più frequenti di intervento sostitutivo di artroprotesi d’anca. Abbiamo messo a punto un trattamento non protesico per le necrosi della testa femorale di grado elevato (ARCO 3b, 4). da proporre a pazienti giovani (sotto i 45 anni) al fine di preservare l’epifisi femorale ed evitare o procrastinare un intervento di artroprotesi d’anca. Il tentativo è quello di raggiungere una maggiore funzionalità dell’anca e una diminuzione dei costi del trattamento di pazienti che, impiantando da giovani una protesi primaria di anca, sicuramente saranno costretti a subire ulteriori trattamenti di riprotesizzazione nel corso della loro vita. Le pseudoartrosi delle ossa lunghe sono invece una complicazione, spesso di difficile trattamento, delle fratture. Queste perdono la possibilità di consolidare a causa della formazione di callo osseo patologico. Proprio per questo risulta necessaria una sintesi stabile che permetta, in combinazione con un adeguato stimolo biologico, la consolidazione. MATERIALI E METODI Da circa 5 anni nel nostro reparto ricostruiamo le epifisi femorali affette da necrosi della testa del femore di grado elevato (ARCO 3b e 4) utilizzando una metodica che comprende diverse tecniche di medicina rigenerativa. La procedura consiste nel prelevare del tessuto cartilagineo da una zona non di carico del ginocchio in artroscopia. I condrociti vengono quindi espansi in laboratorio per 35 gg e seminati su uno scaffold. Il trapianto viene poi eseguito per via artrotomica, previa bonifica dell'area necrotica e ricostruzione della testa del femore con osso di banca (chips liofilizzate), gel piastrinico, cellule stromali concentrate, cilindri bioceramici. Riguardo a questi ultimi abbiamo utilizzato i TruFit® CB Plugs, che utilizzano la tecnologia dei materiali PolyGraft®; tali scaffold per il riparo osteocondrale presentano ottime caratteristiche biologiche e biomeccaniche. I pazienti candidati a questo intervento sono pazienti affetti da necrosi della testa del femore di grado elevato (3b – 4 secondo classificazione ARCO) di età compresa tra 18 e 45 anni ed in grado di dare il consenso a questo trattamento sperimentale. Sono esclusi dal trattamento pazienti con malattie reumatiche ed infettive e pazienti oncologici. Abbiamo trattato con questa tecnica 28 epifisi femorali in 25 pazienti. Nei primi 7 casi abbiamo usato come scaffold per l’autotrapianto di cartilagine lo Hyaff ®-11 (Fidia Advanced Biopolymers Abano Terme, Padova, Italy) successivamente abbiamo utilizzato Chondro-Gide® (Geistlich Biomaterials, Switzerland) perchè presenta migliori caratteristiche meccaniche e risulta più agevole da suturare. Abbiamo effettuato una valutazione clinica pre-operatoria e al termine del follow-up utilizzando l'Harris Hip Score e il Womac, ed una valutazione radiologica, utilizzando Rx standard, RMN e TC prevista a 45 gg, 3 mesi, 6 mesi 1 anno e 2 anni. E' stata inoltre eseguita un'analisi istologica dello scaffold ingegnerizzato prima dell'impianto. 50 Da Febbario 2003 abbiamo trattato 82 pseudoartrosi delle ossa lunghe così suddivise: 58 dell’arto inferiore ( 36 al femore e 22 alla tibia) e 24 dell’arto superiore (12 all’omero, 7 al radio e 5 all’ulna). In tutti i pazienti sono stati utilizzati osso liofilizzato omologo, gel piastrinico e cellule stromali autologhe concentrate. L’età media era di 42 anni (26-70). In 38 casi la pseudoartrosi si presentava ipertrofica, mentre nei restanti 44 era atrofica. Il tipo di trattamento era stato influenzato anche dalle caratteristiche e dimensioni della lesione. In 9 casi sono stati utilizzati innesti ossei liofilizzati omologhi intercalari per colmare ampi difetti. RISULTATI La valutazione istologica delle membrane seminate con condrociti autologhi prima dell'intervento ha evidenziato condrociti vitali in percentuale variabile dal 89% al 98%, congiuntamente ad espressione di molecole caratteristiche della cartilagine ialina, in particolare collagene tipo 2 e Aggrecani. Nei pazienti sottoposti al trattamento, ad una media di follow-up di 31 mesi, il risultato dell'Harris Hip Score è passato da una media di 56,13 a 79,71. Il punteggio del WOMAC e passato da 57.3 a 13.6. Ci sono stati 3 fallimenti in cui è stato necessario sottoporre il paziente ad un intervento di protesi d’anca per grave degenerazione articolare dopo un intervallo di tempo medio di 13,6 mesi. In un paziente la causa è probabilmente da ricondurre ad una malattia reumatica misconosciuta al momento dell’intervento. In 5 pazienti si è avuta una importante limitazione articolare. Tale limitazione funzionale è stata causata dall'impingement coxo-femorale secondario alla difficoltà nel ricostruire la normale sfericità dell'epifisi femorale. Nel trattamento delle pseudoartrosi delle ossa lunghe, la guarigione è stata osservata dopo un tempo medio di 3.7 (2-6) mesi per le pseudoartrosi ipertrofiche e dopo 4.5 (3-7) mesi per le atrofiche. DISCUSSIONE La medicina rigenerativa si avvale di tecniche biologiche per ottenere la formazione di nuovo tessuto osseo in patologie ortopediche di importante rilievo. Tra queste tecniche sono molto interessanti gli sviluppi dell’introduzione nella pratica clinica di concentrati di cellule stromali midollari e di gel di piastrine. La necrosi avascolare della testa del femore determina frequentemente un’artrosi secondaria della testa del femore ed è una delle cause più frequenti di intervento sostitutivo di artroprotesi d’anca. La sostituzione protesica dell’articolazione dell’anca ha raggiunto ottimi risultati in termini di controllo della sintomatologia algica e ripristino della motilità. Trattandosi in questo caso però di pazienti giovani, la durata limitata dell’impianto protesico nel tempo e i risultati non altrettanto soddisfacenti della chirurgia dei reimpianti, pongono in risalto la necessità di utilizzare trattamenti che non prevedano la protesizzazione dell’articolazione. Con le tecniche di medicina rigenerativa si possono attualmente proporre trattamenti sperimentali alternativi, che mantengono risultati buoni in termini di sopravvivenza dell’articolazione e di funzionalità residua. La tecnica da noi proposta ha dimostrato di essere una valida alternativa nel trattamento della necrosi della testa dell’anca in fase avanzata. Nei futuri sviluppi scaffold dedicati potranno permettere di ricostruire la morfologia articolare con maggiore precisione, permettendo di migliorare i risultati ottenuti nel ripristino dell’articolarità dell’epifisi femorale. Nel trattamento dele pseudoartrosi delle ossa lunghe una buona stabilità meccanica della sintesi e un buon apporto ematico sono fondamentali per la guarigione delle fratture. L’utilizzo degli adiuvanti biologici, come dimostrato nella nostra casistica, rappresenta uno stimolo ulteriore verso la guarigione, risultando particolarmente utili nei casi più difficili. 51 Unità Operativa: SC Ortopedia e Traumatologia Pediatrica, Istituto Ortopedico Rizzoli Bologna (Responsabile UO: Dott. Onofrio Donzelli) INTRODUZIONE E PRINCIPALE OBIETTIVO La Pseudoartrosi Congenita della Tibia (congenital pseudoarthrosis of the tibia, CPT) rappresenta uno specifico tipo di mancata consolidazione ossea presente, o incipiente, alla nascita. La CPT si può definire come displasia ossea congenita segmentaria interessante il/i segmenti scheletrici della gamba, determinata da fenomeni ereditari o da noxe patogene agenti in periodo fetale che causano un difetto di modellamento dell’osso con espressività clinico-radiografica mutevole e caratterizzata prevalentemente da deformità angolare a convessità anteriore della tibia, con tendenza a frattura spontanea a lenta evoluzione, e manifestazioni settoriali di neurofibromatosi8. La Pseudoartrosi Congenita della Tibia o di entrambe le ossa della gamba costituisce appena lo 0,5% delle malformazioni degli arti. Può essere già presente alla nascita o manifestarsi nei primi anni di vita come complicanza di una tibia curva. Boyd ritiene che la CPT rappresenti una evoluzione della tibia curva congenita, la quale, pur non presentando alcuna soluzione di continuo, costituirebbe un prestadio potenziale di pseudoartrosi a causa di traumi e atti operatori. Si possono quindi distinguere pseudoartrosi già presenti alla nascita (56%) e pseudoartrosi post-natali (44%) che si manifestano dopo la nascita, solitamente entro il terzo anno di vita. Nello studio di Strong e Wong-Chung nel 50% dei casi la tibia si era fratturata nel primo anno di vita, nel 25% dei casi nel secondo anno di vita e nel rimanente 25% entro gli otto anni. Data la mutevolezza di presentazione, il concetto cardine è quello della “non unione ed incerta evoluzione” Descritta almeno 300 anni fa, rimane per l’ortopedico una delle condizioni patologiche di più difficile interpretazione e trattamento. Descritta per la prima volta da Hetroecher (1708) e in seguito da Paget (1891) e da Codivilla e Putti (1907),fu poi studiata da vari Autori, tra cui Barber (1939), sia dal punto di vista eziologico-patogenetico che prettamente terapeutico. Varie le classificazioni adottate che spesso tuttavia soddisfano parzialmente solo alcune delle esigenze clinico-radiografiche. Obiettivo dello studio e’ stato ricercare un metodo di trattamento che non fosse demolitivo come l’amputazione, invasivo come il perone vascolarizzato, e che consentisse di giungere alla guarigione o quantomeno alla stabilizzazione della pseudoartrosi . MATERIALI E METODI Tra il 2005 ed il 2008 11 pazienti affetti da CPT sono stati trattati con tecnica chirurgica combinata. Sono state utilizzate cellule mesenchimali stromali autologhe (Mesenchymal Stem Cells, MSC) come precursori della differenziazione osteogenica e come adiuvanti alla stabilizzazione chirurgica. 5 di questi pazienti non erano stati mai operati, per gli altri 6 si trattava di ulteriore intervento in quanto reduci da insuccessi chirurgici. Sono 8 maschi e 3 femmine con età media al momento dell’intervento di 7,7 anni (range 9 mesi-14 anni). In accordo con la classificazione di Crawford14 si trattava di 3 forme displasiche, 1 forma cistica e 7 casi di pseudoartrosi franca. In 9 pazienti la CPT si associava a pseudoartrosi del perone. In 6 pazienti si confermava diagnosi di NF di tipo1. Obiettivo di questo lavoro è di presentare la nostra esperienza nel trattamento della pseudoartrosi congenita della tibia e di valutare i risultati clinici e radiografici a breve-medio termine dell’utilizzo delle MSC autologhe concentrate in aggiunta al trattamento chirurgico. La tecnica chirurgica combinata prevede due tempi. 1° tempo – Il giorno precedente l’intervento chirurgico si procede al prelievo di 100 ml di sangue venoso periferico per ottenere in laboratorio un concentrato di piastrine (PRP, Plateled Rich Plasma) e fattori di crescita piastrinici (PDGF, Plateled Derived Growth Factors) da utilizzare durante l’intervento. 2° tempo – 24 ore dopo il paziente viene sottoposto alla seguente procedura chirurgica: Si prelevano 20-60 ml di aspirato midollare dalla cresta iliaca omolaterale con approccio anteriore o posteriore mediante ago cannulato e sei siringhe sterili. Si centrifuga il midollo aspirato per ottenere una concentrazione cellulare di 24,35 x 103 per microlitro. Con incisione anteriore si perviene sul focolaio di pseudoartrosi ed esposta, per via sottoperiostale, la diafisi tibiale prossimalmente e distalmente alla pseudoartrosi, si escide totalmente il focolaio di pseudoartrosi sino ad esporre l’osso sano in corrispondenza di entrambi i monconi tibiali. Il canale midollare viene aperto con un trapano. Si stabilizza il focolaio di pseudoartrosi con un infibulo endomidollare o con un fissatore esterno. Si impianta quindi, circonferenzialmente al focolaio di pseudoartrosi, osso liofilizzato eterologo di banca più 52 concentrato di piastrine con fattori di crescita piastrinici ed aspirato midollare concentrato contenente MSC autologhe. Si procede ad una accurata emostasi per evitare di applicare drenaggi ematici nel postoperatorio. Senza suturare la fascia profonda della gamba per evitare una sindrome compartimentale. Tutti i pazienti vengono operati in anestesia generale con l’applicazione di un tourniquet alla radice dell’arto inferiore tarato ad una pressione di 80 mmHg superiore alla pressione arteriosa sistolica. In 10 pazienti per stabilizzare il focolaio di pseudoartrosi si è proceduto ad inserire un infibulo endomidollare, attraverso la pianta del piede, in corrispondenza del calcagno, facendolo progredire attraverso le articolazioni sotto-astragalica e tibio-tarsica fino alla metafisi tibiale prossimale e senza attraversare la cartilagine d’accrescimento. Con perone intatto si è eseguita una osteotomia di sottrazione distale dello stesso. In presenza di pseudoartrosi congenita del perone, si è eseguito infibulo endomidollare anche del perone. L’apparecchio gessato è stato mantenuto per circa 1 mese; quindi tutori ed ortesi sino al conseguimento della maturità scheletrica. Il carico viene concesso mediamente dopo 3 mesi dall’intervento. In un paziente, in presenza di dismetria degli arti inferiori maggiore di 7 cm, è stato montato un fissatore esterno circolare secondo la tecnica di Ilizarov,così da correggere l’asse e l’accorciamento contemporaneamente. Si sono utilizzati tre cerchi, due al di sopra della lesione ed uno al di sotto. La compressione è stata applicata in sede di lesione, dopo courettage del focolaio di pseudoartrosi, e la distrazione alla metafisi prossimale, sede di corticotomia, alla velocità di 1 mm al giorno. Alla rimozione del fissatore esterno circolare, è seguito un mese di gesso e tre mesi di tutore. RISULTATI Al follow-up si è documentata la guarigione della CPT in 3 pazienti. Caso 1: Paziente maschio affetto da CPT ma non da NF1. Veniva sottoposto per la prima volta ad intervento chirurgico, quando all’età di 3 anni giungeva alla nostra osservazione. Dopo 7 mesi l’infibulo si rompeva al di sotto della sede di pseudoartrosi ormai consolidata già dopo 3 mesi dall’intervento. Oggi il bambino cammina libero anche dal tutore. Caso 2: Maschio di 13 anni affetto da CPT e NF1 già reduce di insuccessi chirurgici prima di questo trattamento. E’ stato trattato con infibulo endomidollare e MSC autologhe, secondo la tecnica descritta. Dopo solo 3 mesi si documentava la guarigione della pseudoartrosi. Caso 3: Maschio di 13 anni con CPT e NF1. Era già stato sottoposto a tre interventi chirurgici (per due volte era stato impiantato un infibulo endomidollare ed una volta un fissatore esterno). Al momento dell’intervento presentava un dismetria degli arti inferiori di circa 7 cm, così si sceglieva di applicare un fissatore esterno circolare secondo la tecnica di Ilizarov per stabilizzare il focolaio di pseudoartrosi e correggere l’asse e la dismetria nello stesso tempo. Dopo 6 mesi dall’intervento si assisteva alla guarigione della CPT distale ma anche alla comparsa di una nuova pseudoartrosi alla metafisi prossimale già sede di corticotomia. Nei restanti 8 pazienti, 5 maschi e 3 femmine, di cui 3 affetti da NF1,si è assistito a fallimento del trattamento chirurgico. In un caso, una infezione postoperatoria ha costretto alla rimozione del mezzo di sintesi e a terapia antibiotica per 3 mesi. Radiograficamente si è documentato un aumento del gap in sede di pseudoartrosi di circa 7 cm. Questo paziente oramai adolescente è stato sottoposto ad un ulteriore intervento chirurgico nel corso del quale si è proceduto ad un’ampia resezione del focolaio di pseudoartrosi ed all’applicazione di un fissatore esterno secondo la tecnica di Ilizarov, per comprimere il focolaio di pseudoartrosi ed allungare la gamba contemporaneamente. In sede di compressione del focolaio di pseudoartrosi è stato innestato un cilindro di osso di banca di circa 7 cm, infiggendolo a ponte nel canale midollare, per tentare di riempire il gap ed immobilizzare il focolaio di pseudoartrosi. Il paziente a più di 2 mesi con l’apparecchio di Ilizarov non presenta segni di infezione nè di riassorbimento in sede di pseudoartrosi e sta per terminare l’allungamento. In 2 casi è intervenuta la rottura dell’infibulo endomidollare. I due pazienti sono stati di nuovo operati per rimozione del mezzo di sintesi e nuova osteosintesi dopo escissione del focolaio di pseudoartrosi. Negli altri 5 pazienti vi è stata mancata consolidazione della pseudoartrosi anche se l’uso di un tutore permette a questi bambini di camminare. Poiché la sintesi chirurgica è stabile ed il mezzo di sintesi in sede, sarà necessario solo sostituire l’infibulo endomidollare durante l’accrescimento attendendo la maturità scheletrica per eseguire l’eventuale intervento definitivo di compressione del focolaio di pseudoartrosi ed allungamento contemporaneo con fissatore esterno circolare secondo la tecnica di Ilizarov. 53 DISCUSSIONE L’uso di cellule mesenchimali stromali autologhe come precursori osteogenici può rappresentare una svolta nel promuovere la riparazione del focolaio di pseudoartrosi. Recentemente l’uso delle MSC autologhe ha creato un grande interesse, perchè grazie alle loro proprietà biologiche le MSC sono candidate come risorsa di precursori osteogenici per riparare e rigenerare l’osso ma anche perchè possono essere utilizzate nelle terapie cellulari e nell’ingegneria tissutale. L’efficacia di un qualsiasi trapianto d’osso può essere attribuita a tre proprietà del materiale: l’osteoconduzione, l’osteoinduzione, la presenza di cellule osteogeniche. L’osteoconduzione può essere definita come la capacità di facilitare l’attacco e la migrazione di cellule che contribuiscono alla formazione di nuovo tessuto osseo all’interno del trapianto promuovendo la guarigione e il rimodellamento dell’osso a partire dall’intero volume del trapianto. Con il termine osteoinduzione ci si riferisce ad uno stimolo biologico diffusibile o a fattori di crescita e citochine che spingono gli osteoprogenitori a migrare, proliferare e a differenziarsi. Sia cellule osteogeniche che non-osteogeniche, comprese le cellule endoteliali, possono secernere fattori osteoinduttivi. Anche in presenza di materiale osteoconduttivo e/o osteoinduttivo, il successo di un trapianto dipende comunque dalla presenza di un numero sufficiente di cellule osteoprogenitrici a livello del sito del trapianto ossia dal potenziale osteogenico. In assenza di osteoprogenitori a livello del sito del trapianto, l’impianto di materiale osteoconduttivo o il rilascio di uno stimolo osteoinduttivo da soli sono inefficaci. Nel midollo osseo sono presenti due tipi di cellule staminali: le cellule staminali della linea ematopoietica (che producono le cellule ematiche) che danno origine alle cellule presenti nel circolo sanguigno: globuli bianchi (leucociti), globuli rossi (eritrociti) e alle piastrine (trombociti). Le cellule mesenchimali in grado di differenziarsi in osteoblasti, fibroblasti, condrociti, miociti, adipociti, neuroni in altri tipi cellulari presenti nel tessuto connettivo. L’importanza dell’utilizzo dell’ aspirato midollare per la rigenerazione ossea dipende proprio dalla presenza di questa seconda popolazione di cellule staminali che sotto un’appropriata stimolazione sono in grado di differenziarsi in osteoblasti e quindi di formare nuovo osso. Il successo del trapianto di MSC dipende fondamentalmente da due parametri: il numero di cellule e la loro concentrazione. Abbiamo visto come le tre proprietà fondamentali per rendere un materiale un ottimo sostituto d’osso siano 54 la proprietà osteoconduttiva, il potenziale osteogenico e il carattere osteoinduttivo. L’aggiunta di midollo osseo all’osso liofilizzato eterologo di banca permette di ottenere un materiale da trapianto osteoconduttivo e osteogenico ma proprio per il sistema di ritenzione selettiva, che lo arricchisce di cellule progenitori del tessuto connettivo, risulta povero della componente ematopoietica che è quella deputata al rilascio di fattori di crescita piastrinici. Tuttavia per rendere il materiale da trapianto osteoinduttivo si è aggiunto il concentrato piastrinico (PRP). Le piastrine vengono concentrate in un piccolo volume di plasma allo scopo di ottenere un plasma ricco di piastrine (PRP), una fonte autologa di fattori di crescita come PDGF (platelet - derived growth factor), IGF (insulin - like growth factor) e TNF-B (transforming Growth factor) contenuti nei loro alfa-granuli. Le piastrine sono in grado di rilasciare citochine e fattori di crescita osteotrofici nel sito del trapianto. I fattori bioattivi più importanti rilasciati in questo processo includono PDGF, EGF, FGF e TGF-b. E’ importante la creazione di un ambiente biologico che contenga un appropriato repertorio cellulare e di stimoli induttivi tale da dare il via a tutti i processi critici per la guarigione locale dell’osso compresa la vascolarizzazione nel sito del trapianto e la proliferazione e differenziazione delle cellule trapiantate. La valutazione dei risultati del nostro studio hanno confermato le basi biologiche74,75 per l’impiego di queste cellule nella CPT e cioè che le cellule mesenchimali ottenute dal sangue midollare prelevato dalla cresta iliaca (IC-MSC) contengono un maggior numero di precursori osteogenici, in grado di differenziarsi in osteoblasti, rispetto alle cellule mesenchimali presenti a livello della lesione (P-MSC). Si è inoltre osservato che in pazienti affetti da NF1 (NF1+) tale potenziale è minore rispetto ai pazienti non affetti da NF1 (NF1-). Leskelä74 ha analizzato colture di cellule staminali mesenchimali di midollo osseo rosso prelevate dalla tibia in sede di pseudoatrosi di pazienti affetti da CPT e NF1 (P-MSC NF1+), dalla cresta iliaca degli stessi paziente (IC-MSC NF1+) e dalla cresta iliaca di pazienti non affetti da NF1 (IC-MSC NF1-). Ha così osservato che il potenziale osteogenico in vitro di queste cellule era più basso per le P-MSC NF1+ mentre le IC-MSC NF1- hanno mostrato la più alta capacità osteogenica. Leskelä ha inoltre riscontrato nelle IC-MSC NF1+ ridotti livelli di NF1-mRNA e NF1-protein (neurofibromin), e quindi up-regulation dei livelli di fosforilasip44/45 MAPK, compatibile con up-regulation del Ras. Studiando il gene NF1 aveva individuato la stessa mutazione sia nelle P-MSC NF1+ sia nelle IC-MSC NF1+. Questa scoperta può spiegare come una singola mutazione del gene NF1 può avere effetti diversi in sedi anatomiche differenti. Granchi et al.75 hanno stabilito le basi biologiche per l’impiego di MSC autologhe prelevate da midollo osseo nel trattamento della CPT. Questo studio clinico-laboratoristico ha valutato la capacità osteogenica delle MSC derivate dal midollo osseo di individui sani e di soggetti affetti da CPT, neurofibromatosica e non. Ha descritto come le IC-MSC NF1+ hanno una capacità osteogenica migliore delle P-MSC NF1+, sebbene le loro caratteristiche biochimiche e funzionali sono deficitarie rispetto alle IC-MSC NF1-. Fattori importanti per la differenziazione in senso osteogenico di queste cellule sono il siero autologo e quindi il microambiente in cui le MSC si vengono a trovare. La difficile riproducibilità in vitro delle condizioni in cui si trovano le MSC trapiantate non ci permettono di conoscere le proprietà di questo microambiente, che possono essere alla base del successo o dell’insuccesso della procedura. In vitro i fattori di crescita piastrinici stimolano le MSC a proliferare in senso osteoblastico. Probabilmente alti livelli di questi fattori di crescita possono stimolare le MSC a formare tessuto osseo e vascolare. La formazione di tessuto osseo dipende indirettamente dalla vascolarizzazione, quindi i fattori di crescita angiogenetica di derivazione piastrinica o prodotti dalle IC-MSC possono contribuire alla formazione di osso e quindi alla consolidazione della pseudoartrosi. Riteniamo che la stabilizzazione chirurgica del focolaio di pseudoartrosi combinata all’utilizzo di MSC costituisca un ottimo approccio terapeutico per la CPT sia per la semplicità della tecnica sia perchè i componenti biologici utilizzati sono autologhi. Questo lavoro presenta un limite: ha un breve follow-up. Ma l’eccezionale guarigione del bambino di 3 anni, con un follow-up di 42 mesi, fa pensare che l’utilizzo delle MSC nella CPT sia la strada da seguire per ottenere buoni risultati a lungo termine. Si potrà così ridurre il numero degli interventi chirurgici, indurre una veloce guarigione sopratutto nei primi anni di vita, preservare la mobilità articolare spesso ridotta da procedure chirurgiche invasive e quindi ridurre la dismetria degli arti inferiori per le ripetute fratture in sede di CPT. Per tali ragioni riteniamo che questa tecnica di autotrapianto di MSC rappresenti un ulteriore passo avanti nel trattamento di una patologia complessa come la CPT e che, come tutte le tecniche innovative, necessiti di ulteriori e più approfonditi studi sulla sua reale efficacia. 55 WP2.3 Trattamento di gap non-union mediante trapianto massivo di osso eterologo con MSCs, fattori di crescita e scaffold a base di collagene Unità Operativa: Unità Operativa: SS Rigenerazione Tissutale Ossea, Istituto Ortopedico Rizzoli Bologna (Responsabile UO: Prof. Davide Maria Donati) INTRODUZIONE E PRINCIPALE OBIETTIVO L’obbiettivo primario originariamente definito è stato pienamente raggiunto. Il progetto prevedeva come obbiettivo l’applicazione mediante una metodica chirurgica mini-invasiva di un prodotto di terapia avanzata (contente cellule staminali espanse, matrice ossea demineralizzata e plasma ricco di piastrine) nell’ambito di uno studio clinico per la rigenerazione del tessuto osseo. Le difficoltà inizialmente incontrate nell’ottenere l’autorizzazione alla produzione delle cellule staminali mesenchimali, da parte del sito di produzione (esterno all’Istituto Ortopedico Rizzoli) sono state superate utilizzando come componente del prodotto terapeutico, un concentrato midollare, ovvero un prodotto che pur contenendo cellule staminali mesenchimali, non ne implicasse l’espansione in-vitro e quindi autorizzazione alla produzione. In conclusione nell’ambito del progetto è stato possibile condurre una sperimentazione aggiuntiva oltre a quella prefissata negli obbiettivi. Una volta ottenuta l’autorizzazione alla produzione è stato possibile iniziare anche il trial con l’impiego delle cellule staminali espanse, dal quale si sono ottenuti risultati incoraggiati sulla efficacia. Questo progetto ha reso possibile verificare l’efficacia di prodotti a base di cellule staminali mesenchimali espanse per la rigenerazione del tessuto osseo, il che rappresenta un primo passo verso l’utilizzo di questi prodotti nella pratica clinica per il trattamento delle patologie del tessuto osseo. Ha inoltre permesso di approfondire la conoscenza degli aspetti legali ed autorizzativi relativi alla sperimentazione e produzione prodotti di terapia avanzata. Questa conoscenza è di particolare valore se si tiene presente che la normativa specifica è piuttosto complessa e che durante lo svolgimento dello studio ha subito diverse modificazioni, dovute al graduale recepimento da parte della legislazione italiana di nuove norme Europee. La necessità di seguire e comprendere l’iter autorizzativo per la sperimentazione e produzione prodotti di terapia avanzata ha dato l’opportunità ai ricercatori di avere frequenti scambi di opinioni e di confronto con le autorità Nazionali preposte, come l’Istituto Superiore di Sanità e l’Agenzia Italiana per il Farmaco. Tali conoscenze saranno sicuramente preziose per lo sviluppo di prodotti e di protocolli terapeutici futuri. MATERIALI E METODI Per lo studio con le cellule non espanse: Il prodotto è costituito da un concentrato midollare autologo associato a pasta o polvere d’osso demineralizzata. Le cisti ossee trattate hanno dimensioni volumetriche tra i 10 e i 40 ml. Dalla cresta iliaca del paziente viene prelevato un quantitativo di midollo osseo compreso tra i 20 e i 40 ml, dei quali 20 ml sono reimpiantati nel paziente mentre il restante aspirato è utilizzato per analisi di laboratorio. Dopo l’aspirazione il materiale da reimpiantare è sottoposto a due centrifugazioni, la prima di 6 minuti e la seconda di 15, per separare, isolare e concentrare le cellule nucleate e le piastrine dal resto dei componenti ematici, la seconda centrifugazione per trasformare il prodotto da uno stato liquido ad uno semi-solido. Al termine delle due centrifugazioni, il composto è amalgamato con 10 ml di pasta o polvere d’osso demineralizzata (cisti con dimensioni < 15 ml) o con più di 10 ml di pasta o polvere d’osso demineralizzata (cisti con dimensioni ≥ 15 ml) forniti dalla banca dell’osso. Tutti i passaggi sono svolti in sala operatoria, con il paziente in sedazione o in anestesia generale, per una durata complessiva di circa 30 minuti. Il composto infatti è posizionato all’interno di una siringa ed iniettato all’interno della cavità cistica tramite un ago da aspirazione midollare sotto controllo amplioscopico. Nello studio, sono stati arruolati soggetti affetti da cisti ossea giovanile, ai quali sono stati applicati i seguenti criteri di esclusione: - Setticemie o infezione estesa con potenziale setticemia - Accertata presenza di malattie virali - Evidenza di contatto per le seguenti patologie: HIV, epatite B, epatite C, HTLV-I e II - Presenza di tumori benigni o maligni in atto documentati (metastasi, recidive) - Malattie genetiche o acquisite che compromettono l’integrità del tessuto - Diagnosi dubbia di cisti aneurismatica Per lo studio con le cellule espanse: Il prodotto finale del ciclo di espansione è costituito dalle 40.000.000 di cellule staminali mesenchimali (CSM) espanse e dal liquido di cultura α-MEM (senza siero). Durante l’intervento il prodotto finale della espansione cellulare è mescolato assieme al plasma ricco di piastrine autologo (PRP) e ad osso demineralizzato. Il plasma 56 ricco di piastrine autologo e l’osso demineralizzato hanno la funzione di mantenere le CSM nel sito di impianto e quello di favorire la vascolarizzazione nel sito di impianto. Criteri di inclusione: A) ritardo di consolidazione delle fratture; B) ritardo di consolidazione degli innesti massivi omoplastici; L’idoneità alla sperimentazione del soggetto si è basata sull’esame fisico, sugli esami del sangue e sulla raccolta di notizie approfondite della storia medica del paziente effettuati dallo sperimentatore. Criteri di esclusione: Il soggetto non doveva essere affetto da malattie che, secondo lo stato attuale delle conoscenze scientifiche e a seguito di consulto e giudizio medico, potrebbero essere trasmesse agli operatori sanitari e personale addetto all’espansione cellulare. RISULTATI Per lo studio con le cellule non espanse: Nei soggetti pediatrici affetti da cisti ossea, arruolati nello studio, è stato impiantato un prodotto composto da cellule staminali non espanse, piastrine (BM-PRP) (Fig 1A) e osso demineralizzato (BM-PRP+DBM) (Fig 1B). I risultati dell’impianto sono stati valutati analizzando i dati ottenuti dalle visite di follow-up a 50 e 60 giorni dall’intervento. Figura 1A: concentrato midollare contenente le MSC e PRP Il trattamento mira alla prevenzione dell’insorgenza di fratture e della ripresa dell’attività della cisti. Sia al momento dell’intervento che nelle seguenti visite di follow up sono state effettuate analisi radiografiche per valutare le dimensioni della cisti e della radio-trasparenza. I risultati sono stati espressi in base alla classificazione di Neer che prevede quattro categorie: Neer I indica la totale risoluzione della cisti; Neer II si riferisce alla parziale risoluzione della cisti; Neer III riguarda la persistenza della cisti, senza necessità di un secondo intervento; Neer IV è relativo alla persistenza della cisti ed alla necessità di un secondo intervento per prevenire la frattura. Nella figura 2 viene riportato una foto rappresentativa di un caso prima (Fig 2 A) e dopo il trattamento (Fig 2B). Figura 1B: assemblaggio del osso demineralizzato con il concentrato midollare Figura 2A: Preoperatorio Figura 2B: 2 mesi dopo l’impianto (Neer II) I risultati dei pazienti trattati sono stati confrontati con i dati di una casistica storica di pazienti trattati con corticosteroidi, secondo il protocollo convenzionale. I risultati a 6 mesi evidenziano che il 65% dei pazienti trattati con BM-PRP+DBM ha uno score di Neer I e II, nettamente superiore ai dati storici dei pazienti trattati con cortisone. Questi dati significano che questi soggetti non avranno bisogno di un secondo trattamento e ciò rappresenta un risultato significativo, in quanto evita di sottoporre soggetti di età pediatrica a ripetuti ricoveri e trattamenti. Al contrario, dai dati della casistica storica, si evince ad esempio cheil paziente trattato con cortisone in genere ha bisogno di 1,3 + 3,9 trattamenti per avere una guarigione. L’aspirato midollare è stato sottoposto ad una centrifugazione, per eliminare lo stroma e concentrare le cellule prima di essere unito al demineralizzato, il concentrato cellulare è stato poi analizzato in vitro per determinare la composizione del prodotto impiantato. In particolare è stato stimato il numero delle cellule staminali mesenchimali (CSM) (tramite la conta delle CFU), il loro potenziale proliferativo, il loro potenziale osteogenico e la percentuale di piastrine contenuta nel prodotto. I risultati ottenuti hanno dimostrato che il prodotto ottenuto dalla centrifugazione dell’aspirato midollare di possiede una capacità di formare CFU superiore all’aspirato midollare. Questo fa supporre che la centrifugazione, isolando la frazione di cellule mononucleate presenti nell’aspirato 57 midollare, aumenti il numero di CSM presenti nel prodotto (54,92 + 8,55 CFU nel concentrato e 32,50 + 12,43 CFU nell’aspirato midollare). Una volta messe in cultura le cellule mononucleate aderiscono alle piastre e danno origine ad una popolazione cellulare che esprime i marker caratteristici delle CSM (come per esempio CD45-, CD90+, CD105). Oltre ai markers caratteristici le cellule isolate hanno dimostrato di avere la capacità di differenziare in senso osteogenico. Per lo studio con le cellule espanse: L’arruolamento ed il trattamento dei pazienti con il prodotto contenente cellule mesenchimali espanse è potuta iniziare dopo l’ottenimento di tutti i permessi necessari (autorizzazione alla sperimentazione da parte del Comitato Etico dell’Istituto Ortopedico Rizzoli, autorizzazione dell’Istituto Superiore di Sanità e l’autorizzazione alla produzione di prodotti di Terapia Medicinale Avanzata). Data la peculiarità della condizione clinica abbiamo potuto arruolare due pazienti e non i 5 previsti. All’incirca trenta giorni prima dell’impianto sono stati prelevati 10 ml di midollo osseo dalla cresta iliaca posteriore (Fig 3). Il midollo è stato spedito alla ditta Areta International, che ha espanso le cellule secondo quanto specificato dalle normative Europee vigenti (Regulation EC No 1394/2007). A seguito del buon esito dei controlli di produzione la ditta Areta International ha spedito un prodotto composto da 40.000.000 di MSC autologhe che in sede di intervento sono state addizionate al concentrato di piastrine autologo (Fig. 4A) precedentemente realizzato dal sangue del paziente. In sala operatoria si è proceduto, secondo protocollo, a mescolare le cellule immerse nel gel piastrinico con 10 cc di osso polverizzato e demineralizzato proveniente dalla Banca del tessuto muscoloscheletrico dell’Istituto Ortopedico Rizzoli (Fig. 4B). Dopo lo scollamento del tessuto fibroso nella zona di ritardo di consolidazione l’impianto del prodotto assemblato è stato fatto per mezzo di una siringa (Fig. 5A) e sotto guida radioscopica (Fig. 5B) per assicurarsi che il prodotto venga inoculato nel sito desiderato. I pazienti sono stati successivamente dimessi ed il follow up è stato seguito ad intervalli regolari (45gg, 3, 6, 12 mesi) utilizzando radiografie per valutare l’evoluzione della presenza di callo. Figura 4A: MSC in PRP Figura 4B: osso demineralizzato Figura 5A: impianto delle cellule Il primo paziente, dopo un iniziale miglioramento radiografico caratterizzato da osso reattivo nella sede di intervento, è risultato poi avere una regressione dal momento in cui gli veniva concesso il carico, fino alla mobilizzazione dei mezzi di sintesi e parziale riassorbimento dell’innesto. Il caso è stato registrato quale fallimento dal momento che a 9 mesi si è proceduto alla sostituzione dell’innesto. Il secondo paziente ha mostrato, come il precedente, una buona reazione iniziale, alla quale è conseguito un progressivo aumento delle dimensioni e qualità del callo fino a completa guarigione con callo ipertrofico (fig. 6B) 58 Figura 3: prelievo del midollo osseo dalla cresta iliaca posteriore. Figura 6A: Paziente 1. Segni di riassorbimento dell’innesto nell’intorno delle viti e 6 mesi dall’intervento. Figura 5B: radiografica l’impianto immagine durante Figura 6B: Paziente 2. Ottima presenza di callo a 3 mesi dall’intervento. DISCUSSIONE I risultati ottenuti nella sperimentazione con le cellule staminali mesenchimali non espanse hanno evidenziato come il trattamento induca una diminuzione dell’incidenza della ricorrenza della patologia rispetto ai trattamenti convenzionali. Questo è un ottimo risultato se si tiene conto dell’effetto traumatico che ha sottoporsi ad un intervento per i pazienti pediatrici. Quindi l’utilizzo di un prodotto di terapia avanzata, basato su cellule staminali mesenchimali non espanse è preferibile ai trattamenti convenzionali nel trattamento della cisti ossea giovanile perché riduce la sofferenza del paziente diminuendo il numero di interventi a cui deve essere sottoposto per ottenere la guarigione. La riduzione del numero degli interventi ha anche un vantaggio economico per il sistema sanitario. E’ interessante notare che l’efficacia del trattamento è maggiormente evidente nel breve termine, mentre sul lungo termine è paragonabile a quella della terapia convenzionale. Questo farebbe supporre che per assicurare la guarigione del 100% dei pazienti possa essere necessaria la ripetizione del trattamento dopo alcuni mesi, oppure che sia necessario aumentare la dose di CSM impiantate nel paziente mediante l’utilizzo di mezzi in grado di concentrare le cellule maggiormente, o utilizzando sorgenti cellulari, come il grasso sottocutaneo, da cui si possa ottenere un numero maggiore di CSM. Rimane comunque rimarchevole il fatto che anche il singolo trattamento sperimentato ha dato esito ad una minore ricorrenza della patologia, definendo quindi che il trattamento utilizzato ha un netto vantaggio in termini sia di diminuzione di sofferenza per il paziente, che di costi per il sistema sociale. Per quanto riguarda il trial che ha impiegato il prodotto di terapia avanzata contenente cellule staminali mesenchimali espanse, date le difficoltà nel far partire lo studio ed il numero esiguo di pazienti che è stato possibile arruolare è difficile trarre delle conclusioni definitive. Possiamo però dire che, dati i risultati incoraggiati sia sulla fattibilità che sia sulla efficacia, sarebbe opportuno identificare risorse economiche adeguate che possano permettere di estendere lo studio nel tempo, oltre che includere altre patologie del tessuto osseo che abbiano una maggiore rilevanza in termini di incidenza e costi sociali. 59 WP2.4 Rigenerazione delle ossa lunghe con bioceramiche e cellule mesenchimali staminali Unità Operativa: SC Clinica Ortopedica Traumatologica III, Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna (Responsabile UO: Prof. Maurilio Marcacci) INTRODUZIONE E PRINCIPALI OBIETTIVI Le perdite di tessuto osseo rappresentano un problema di grande rilevanza in ortopedia; i tessuti bioingegnerizzati potrebbero rappresentare un’alternativa ai tradizionali protocolli attualmente utilizzati. E’ possibile dividere gli attuali approcci terapeutici in due gruppi, uno senza trapianto di graft (Ilizarov) e l’altro con uso di trapianti ossei autologhi, omologhi o eterologhi, oppure con diversi tipi di impianti bioingegnerizzati. Diversi biomateriali sono già stati proposti come sostituti ossei, con risultati contraddittori. Tra questi, hanno dimostrato risultati promettenti le ceramiche a base di idrossiapatite e altri tipi a base di calcio fosfato, per lo più grazie alle loro caratteristiche di illimitata disponibilità e proprietà osteoconduttive, cosi come l’assenza di risposta immune e di rischi di trasmissione virale. A questi materiali mancano però proprietà osteoinduttive, il che ne limita l’indicazione nel riparare ampie perdite di segmenti ossei. L’ingegneria tissutale può essere un’alternativa: cellule staminali possono essere isolate dal midollo osseo ed espanse in coltura o semplicemente concentrate ed applicate ad uno scaffold. Noi abbiamo valutato la possibilità di trattare ampi difetti ossei con l’impianto di uno scaffold di Idrossiapatite (HA) e cellule osteoprogenitrici di derivazione midollare. Lo scopo di questo studio è analizzarne l’outcome a lungo termine nei pazienti da noi trattati. MATERIALI E METODI Abbiamo effettuato uno studio clinico pilota trattando 7 pazienti con difetti ampi delle diafisi femorali e scarse alternative terapeutiche, usando un nuovo approccio basato sull’ingegneria tissutale. In 4 pazienti abbiamo isolato cellule dal midollo osseo, che sono quindi state espanse in coltura ed impiantate su uno scaffold di ceramica porosa a base di idrossiapatite custom-made, mentre negli altri le cellule sono state prelevate sul campo operatorio e direttamente concentrate dalla nostra Ematologia prima dell’impianto. Abbiamo valutato i pazienti a differenti tempi di follow-up (6 anni in media), sia clinicamente che utilizzando proiezioni Rx e TC. In un paziente è stata effettuata una valutazione angiografica a 6,5 anni di follow-up. I biomateriali scelti come scaffold per il nostro studio sono bioceramiche porose composte al 100% da idrossiapatite (“Finblock” e “Engipore” - FinCeramica Srl, Faenza, Italy). Finblock ha una densità media di 1,26 (± 0,16) g/cm3 e una porosità totale di 60±5 vol. %, spessore medio della parete diafisaria 255,94 ± 35,04 m, diametro medio dei pori 613,63 ± 92,69 m. Engipore ha le stesse proprietà chimiche, ma una più alta porosità ed una differente struttura dei pori. La densità media è di 0,72 (± 0,09) g/cm3. La porosità totale di 80±3 %, lo spessore medio della parete diafisaria di 430,53 ± 52,22 m. Gli scaffolds sono stati preparati in funzione di dimensioni e forma del difetto osseo. I cilindri di biocomposito sono poi stati sterilizzati a secco alla temperatura di 200°C per 4 ore. Abbiamo quindi prelevato e coltivato cellule staminali del midollo osseo umano (entro 36 ore dal loro prelievo), secondo la tecnica descritta da Martin et al. Le cellule staminali autologhe sono state messe in sospensione in Tissucol (Baxter AG, Wien, Austria) a concentrazione di 2.0x107cell/ml, quindi tale sospensione è stata incubata con gli scaffolds a base di HA alla temperatura di 37°C per 60 minuti. Inoltre è stata aggiunta trombina (Baxter AG, Wien, Austria) per ottenere la polimerizzazione del fibrinogeno; il composito bioceramica/cellule è stato successivamente incubato per 30 minuti a 37°C, quindi collocato in contenitore sterile e addizionato di medium nutritizio arricchito con 5% di siero autologo. Il prodotto finale è stato sigillato dentro un box termico e consegnato entro 24h al Centro Ortopedico. RISULTATI Non sono state riportate complicanze di rilievo. I pazienti non hanno lamentato dolore o gonfiore, e all’esame clinico del sito operato non sono state rilevate infezioni. Tra i 5 e 7 mesi dall’intervento abbiamo osservato la completa integrazione dell’impianto con l’osso sano adiacente. La buona integrazione è stata confermata all’ultimo follow-up, dimostrando la durata a lungo termine della rigenerazione ossea offerta da questo scaffold ingegnerizzato. Una valutazione angiografica, effettuata a 6,5 anni dall’intervento, ha evidenziato presenza di vascolarizzazione a livello del sito di impianto. I risultati di questa procedura sono molto promettenti. L’associazione tra bioceramica porosa e cellule staminali espanse in coltura o concentrato 60 midollare può essere considerata come un grande passo avanti nella chirurgia ossea ricostruttiva per il trattamento di difetti critici delle ossa lunghe. A B Figura A - paziente di 22 anni con perdita di sostanza ossea della diafisi omerale; Figura B - Lo studio TC evidenzia la progressiva consolidazione e integrazione dell’impianto. DISCUSSIONE La nostra equipe è stata la prima a riportare la riparazione di difetti ossei ampi nell’essere umano grazie all’uso di BMSCs autologhe pluripotenti espanse in vitro associate a ceramica porosa. Lo studio si è basato sui promettenti risultati ottenuti in precedenza su modelli animali di grossa taglia dal nostro gruppo e da altri autori. Negli anni successivi sono stati pubblicati ulteriori studi che hanno confermato il potenziale di un approccio di ingegneria tissutale per la riparazione ossea su animali di grossa taglia. Ciononostante, da allora sono stati riferiti in letteratura solamente pochi studi clinici sull’essere umano riguardo l’utilizzo di BMSCs. Negli ultimi anni sono stati proposti anche approcci innovativi alternativi, quali la generazione in vivo di lembi ossei vascolarizzati della forma desiderata, per aumentare l’efficacia di un trapianto locale con fattori di crescita o l’associazione di tecnologie quali la terapia genica e l’ingegneria tissutale. Nel presente studio descriviamo gli outcomes a 5-6 anni di follow-up di pazienti trattati utilizzando l’associazione di scaffold-HA e BMSC. Tutti questi pazienti avevano alternative terapeutiche decisamente scarse. Basandoci sugli outcomes di 7 pazienti, si possono fare alcune conclusioni generali: I) Il pattern del processo di guarigione ossea nei pazienti è stato simile a quello descritto su modello animale di grossa taglia. Si può considerare che il processo di guarigione avvenga in 4 fasi principali: 1) formazione di osso sulla superficie esterna dell’impianto 2) formazione di osso nel canale interno del cilindro; 3) formazione di fessure e crepe nel corpo dell’impianto; 4) formazione di osso all’interno dei pori della bioceramica. Radiografie e tomografie hanno documentato che la formazione di osso è stata molto più pronunciata sulla superficie esterna ed all’interno del canale degli impianti. Questo può essere dovuto ad una più alta densità delle cellule all’interno e/o ad una miglior sopravvivenza delle cellule situate nelle porzioni più esterne della bioceramicaHA. In alternativa le cellule impiantate possono stimolare, con meccanismo paracrino, le cellule osteoprogenitrici residenti, situate all’interno dei tessuti scheletrici ai capi ossei. All’ultimo follow-up i pazienti hanno mantenuto una buona osteointegrazione degli impianti e non sono state riportate fratture tardive. Non sono state registrate complicanze né eventi avversi di rilievo. II) Un’alta porosità ed un alto grado di interconnessione tra i pori sono un requisito assoluto per la vascolarizzazione dell’impianto e la neoformazione di osso. 61 La vascolarizzazione dell’impianto è sicuramente un punto critico per la sua sopravvivenza e la sua stabilità futura. L’alta densità e la relativamente bassa porosità (50-60%) di questi scaffold hanno compromesso la valutazione radiografica della crescita ossea all’interno dei pori della ceramica poiché la ceramica stessa ne mascherava la formazione. III) Lo scaffold ideale dovrebbe fornire un iniziale supporto alle cellule dell’osso in formazione e dovrebbe essere riassorbito lentamente, alla stessa velocità con cui l’osso neoformato si deposita all’interno dei pori dello scaffold. Studi simili in futuro dovrebbero considerare l’uso di questi tipi di scaffolds. WP2.5 Elevazione del pavimento del seno mascellare con osso ingegnerizzato Unità Operativa: Reparto di Chirurgia Orale e Maxillo-Facciale, Dipartimento di Scienze Odontostomatologiche, Università degli Studi di Bologna (Responsabile UO: Prof. Claudio Marchetti) INTRODUZIONE E PRINCIPALI OBIETTIVI Il razionale dello studio si base sul fatto che gli elementi fondamentali per ottenere la crescita di nuovo osso sono tre: la presenza di un coagulo ematico, di osteoblasti ed il contatto con tessuti vitali. Questo progetto di ricerca ha l’obbiettivo di valutare l’effetto dell’utilizzo delle CSM, in combinazione con Plasma Ricco di Piastrine (PRP) e Idrossiapatite Bovina (Bio-Oss®) , nella formazione di nuovo osso nella procedura di Grande Rialzo di Seno Mascellare in un gruppo Pilota di pazienti. Questo studio valuta se l’utilizzo delle CSM, in questa procedura di chirurgia ricostruttiva, determini una maggior formazione di osso in termini di volume, densità e maturazione. Inoltre, un secondo obbiettivo di questo studio sarà quello di definire il contributo individuale fornito dalle CSM e dal PRP nella rigenerazione ossea. L’effetto sinergico delle CSM e del PRP sulla guarigione della ferita chirurgica combinato all’utilizzo di HA come carrier osteoconduttivo potrebbe determinare un aumento della formazione di osso se comparato al solo utilizzo di PRP e HA. Se la nostra ipotesi risultasse corretta, la trasformazione della terapia proposta nella pratica clinica routinaria potrebbe essere un importante passo avanti nella chirurgia orale e maxillofacciale . Le tecniche di ingegneria tissutale per la rigenerazione ossea nelle procedure di chirurgia ricostruttiva dei mascellari atrofici possono offrire importanti vantaggi se comparati ad innesti di osso autologo in quanto si ridurrebbe notevolmente la morbidità del sito donatore e i tempi chirurgici. Idealmente queste procedure si potranno realizzare utilizzando esclusivamente materiale in grado rigenerare nuovo osso. L’ obbiettivo principale : Valutazione della sicurezza dell’utilizzo di CSM nella chirurgia ricostruttiva di rialzo di seno mascellare. L’ obbiettivo secondario: Valutare gli effetti dell’uso di CSM , nella procedura di grande rialzo di seno mascellare, nella formazione di osso in termini di Volume, Densità, Maturazione. Riabilitare le zone ricostruite con impianti osteointegrati con le stesse percentuali di successo delle tecniche standard ma con minor morbidità per il paziente. Valutazione primarie del trattamento con CSM: Valutazione dell’incidenza di eventi avversi e eventi avversi seri (classificati secondo OMS) in seguito alla somministrazione di CSM Valutazioni secondarie di efficacia del trattamento: La valutazione istologica e istomorfometrica della qualità ossea presente nel sito di rialzo di seno al momento del posizionamento implantare a 6 mesi dalla procedura di grande rialzo di seno mascellare In particolare si misurerà la percentuale, rispetto all'area totale del campione esaminato: la percentuale di nuovo tessuto osseo (TBV), di tessuti molli (STV) e di particelle di Bio-Oss residue (RBV). L'incremento osseo verticale mediano (mm), la variazione dell'incremento osseo ottenuto inizialmente e al momento del posizionamento degli impianti (espresso in %) Valutazione della sopravvivenza e successo degli impianti inseriti nei siti ricostruiti . MATERIALI METODI E RISULTATI Il progetto WP2.5 prevede l’uso clinico di un prodotto a base di cellule che, secondo il Regolamento Europeo 1394/2007 e 668/2009, ricade nei medicinali per terapia avanzata e deve essere sviluppato e prodotto in una Cell Factory autorizzata. 62 Prima fase del progetto è stata quindi la stesura del Trial Clinico composto dal Protocollo Clinico, redatto in base alle norme di Good Clinical Practice (GCP) e dell’ Investigational Medicinal Product Dossier ( IMPD), redatto secondo il Decreto Legislativo 21/12/2007 ( relativamente ai prodotti per terapia cellulare), in base alle norme di Good Manufacturing Practice ( GMP). Seconda fase è stata la sottomissione del Dossier all’ Istituto Superiore della Sanità (ISS) nel Settembre del 2009 per richiedere l’autorizzazione per uno studio clinico multicentrico (Unità di Bologna, Modena e Parma) in cui si voleva valutare l’efficacia dell’utilizzo delle MSC, in combinazione con Plasma Ricco di Piastrine (PRP) e Idrossiapatite Bovina (HA) , nella formazione di nuovo osso nella procedura di Grande Rialzo di Seno Mascellare in un gruppo Pilota di pazienti che presentassero tale atrofia. L’obbiettivo di tale studio era di valutare se l’utilizzo delle MSC, nella procedura di chirurgia ricostruttiva, determini una maggior formazione di osso in termini di volume, densità e maturazione. Tali considerazioni e la volontà di approfondire l’applicazione delle MSC nascevano da studi pre-clinici che avevamo iniziato a condurre su modello animale con buoni riscontri preliminari. Dopo la prima presentazione del Dossier all’ISS si sono evidenziati aspetti che sono stati discussi durante l’udienza conoscitiva tenutasi a Roma il 1 Ottobre 2010.(ALLEGATO 3) Al termine di tale riunione sono state richieste dall’ISS ulteriori analisi sulla proliferazione cellulare e correzioni del protocollo. Sono stati pertanto eseguiti nuovi test presso il Laboratorio di Manipolazione Cellulare Estensiva dell’Istituto Ortopedico Rizzoli con la partecipazione del Laboratorio di Genetica Medica dell’Ospedale S. Orsola Malpighi su un pool cellulare completamente nuovo. Tali indagini hanno approfondito il rischio di mutazione delle cellule durante la manipolazione lavorando su gruppi più eterogenei. E’ stato quindi riformulato il Protocollo e l’IMPD secondo le indicazioni dell’ISS e i risultati ottenuti dalle nuove analisi sono stati inviati. (ALLEGATO 1) A Luglio 2011 la risposta definitiva dell’ISS (ALLEGATO 2) ha contenuto la mancata autorizzazione a procedere con il Protocollo derivata dalla presenza di alterazioni cromosomiali presenti anche nel secondo pool esaminato. Le alterazioni riscontrate con una presenza di tali cellule pur inferiore al 5% è stata ritenuta dall’ISS non accettabile per la mancata possibilità di escludere la trasformazione in senso neoplastico delle cellule mesenchimali. Tale percentuale è stata considerata dall’ ISS non compatibile con la tipologia dei pazienti da reclutare nel rapporto rischio/benefici. Secondo filone di ricerca sviluppato come studio multicentrico ( Bologna , Modena e Parma) sulla rigenerazione tissutale (ossea) nella medesima procedura chirurgica prevede l’uso di concentrato cellulare da midollo da cresta iliaca. (ALLEGATO 4) La finalità di tale protocollo è stata quella di approfondire l’analisi del comportamento delle cellule mesenchimali in tali situazioni sperimentali eludendo i possibili rischi derivanti da una manipolazione del prodotto. Lo studio prevede il confronto del trattamento sperimentale con il trattamento standard in modalità bilaterale nella procedura chirurgica di Rialzo del Seno Mascellare. Il midollo osseo viene raccolto nella stessa chirurgica (one step) dalla cresta iliaca posteriore/anteriore e aspirato in piccole frazioni. La riduzione di volume avviene direttamente in la sala operatoria, eliminando la maggior parte dei globuli rossi e del plasma, è così possibile ottenere un concentrato di cellule nucleate, comprese le cellule staminali, monociti, linfociti, e altre cellule del midollo osseo residente. Il midollo osseo viene concentrato con un separatore-concentratore cellulare (Smart Prep®; Harvest Technologies Corp, Plymouth, MA) con un kit sterile e monouso dedicati (BMAC®; Technologies Corp Harvest). Sono stati finora eseguiti n° 5 procedure chirurgiche e sono già stati arruolati i 10 pazienti; è prevista la prosecuzione del follow-up dei pazienti per ulteriori 3 anni allo scopo di valutare gli esiti clinici e radiografici degli innesti e delle riabilitazioni implantoprotesiche che verranno effettuate sugli innesti stessi. Nello stesso tempo sono stati anche effettuati studi preclinici su modelli animali volti a definire i meccanismi della rigenerazione ossea nel seno mascellare (Bologna) e studi su modelli cellulari (Parma) volti a testare superfici implantari innovative che promettano migliori performance cliniche degli impianti. DISCUSSIONE Le analisi condotte dal nostro laboratorio sulla vitalità e stabilità delle cellule espanse risulta coerente con i dati riportati in letteratura. Nel processo produttivo proposto le cellule coltivate non sono stimolate con fattori di crescita o inducenti la 63 proliferazione e/o la differenziazione pertanto, sebbene in alcuni studi di ricerca pre-clinica si siano manifestate sporadiche anomalie a carico del cariotipo delle MSC , nella nostro caso il rischio di una mutazione o trasformazione in senso tumorogenico viene considerato piuttosto basso. Dall’analisi del cariotipo le alterazioni risultate sono in accordo con i dati della letteratura; inoltre dagli stessi risultati si evince che le alterazioni cromosomiche sono incompatibili con la sopravvivenza delle cellule e pertanto tali cellule vengono eliminate o comunque diminuiscono nei passaggi successivi. La presenza inferiore al 5% di alterazioni cromosomiali non è pertanto ritenuta significativa. Le tecniche analitiche fin ora utilizzate in campo cellulare non possono comunque escludere la possibilità di trasformazione in senso neoplastico delle cellule mesenchimali come altresì risulta difficile la standardizzazione di un processo produttivo che non tenga conto delle possibili differenze tra soggetto e soggetto. Fermo restando che la qualità del prodotto cellulare per terapia avanzata deve rispondere alle specifiche di sterilità e sicurezza dei medicinali per uso umano, esistono oggettive difficoltà nell’ottenere per il prodotto cellulare alcuni dei dati richiesti per un farmaco e poter così procedere con le sperimentazioni cliniche. Tale diniego da parte dell’ISS e l’esperienza maturata nella gestione delle cellule MSC e nel mondo dell’ingegneria tissutale ha fatto volgere l’attenzione del nostro gruppo verso nuove cellule staminali: gli adipociti. Tale cellule risultano infatti di più facile raccolta sia per quanto riguarda il numero ottenibile da un prelievo sia per quanto concerne la sede del prelievo stesso. In tal senso l’UO ha preso contatti con diverse CEll Factory per poter procedere con la stesura di un nuovo IMPD e un nuovo protocollo da sottoporre all’ISS. WP2.6 Trapianto su misura di osso eterologo per chirurgia orale Unità Operativa: Dipartimento integrato di Neuroscienze, Testa – Collo e Riabilitazione Struttura complessa di Odontoiatria e Chirurgia Maxillo-Facciale Policlinico Azienda Ospedaliero – Universitaria di Modena (Responsabile UO: Prof. Ugo Consolo) INTRODUZIONE E PRINCIPALI OBIETTIVI Quando è richiesto un aumento orizzontale della cresta ossea a scopo implantare, spesso vengono impiegati innesti blocco osseo autologo(AB). Tuttavia, la loro disponibilità è limitata e la raccolta richiede un secondo sito chirurgico comportando un aumento della morbilità. Questi svantaggi hanno prontato a cercare alternative. L’osso omologo è disponibile sia come fresco congelato (FFB), sia liofilizzato, sia liofilizzato-demineralizzato. Severe linee guida per la raccolta e stoccaggio rendono accettabile il livello di rischio relativo all’ antigenicità e alle infezioni primarie accettabilmente basso. Case reports e serie di casi hanno dimostrato la possibilità di impiagare blocchi di osso omologo FFB per la correzione di atrofie alveolari. FFB è stato impiegato anche per rialzo del seno, sia impiegando blocchi o in granuli. Tuttavia, l'efficacia e la prevedibilità di questi trapianti rimangono poco chiari, e nessun RCT su FFB blocco innesto per la correzione dei difetti ossei è stato pubblicato. Questo studio randomizzato e controllato confronta il comportamento di blocchi ossei FFB con innesti a blocco AB fissati con viti di osteosintesi nell’abito di atrofie ossee di IV classe secondo Cawood e Howell. Sono riportati i risultati a 6 mesi MATERIALI E METODI Questo studio randomizzato controllato ha analizzato principalmente volume e densità ossea di AB e FFB misurato a 1 settimana (T1) e a 6 mesi (T2) dopo l'innesto mediante scansioni TC e modelli istologici e analisi istomorfometriche delle biopsie ossee eseguite al momento di inserimento dell'impianto e a 6 mesi. Risultati clinici sono stati registrati. Il protocollo prevede anche l'analisi del successo impiantare durante diversi fasi. Trentotto pazienti con atrofia classe IV Cawood e Howell che richiedevano uno o più impianti sono stati arruolati nello studio tra maggio 2008 e agosto 2009, presso l'Università di Bologna, Modena e Reggio Emilia e Parma. La dimensione del campione è stata determinata in base alla letteratura. I pazienti hanno ricevuto informazioni scritte e verbali e successivamente è stato ottenuto un consenso informato scritto. Lo studio è stato approvato dal Comitato Etico locale. Criteri di inclusione: almeno 18 anni di età; un'adeguata igiene orale, cioè indice di placca e punteggio pieno punteggio sanguinamento bocca ≤ 25%. 64 Criteri di esclusione erano: radioterapia precedente regione della testa e del collo; fumo> 10 sigarette al giorno; storia di disfunzione dei leucociti, disturbi della coagulazione, insufficienza renale, metabolica dell'osso disturbi, disturbi endocrini incontrollata; L'infezione da HIV; uso cronico di antibiotici; uso di steroidi, alcol o droga. Prima dell'intervento, tutti i pazienti sottoposti a esami clinici e radiografici. Le Impronte e le registrazioni del morso sono state prese in modo da fornire un set-up protesico ideale per la riabilitazione. Randomizzazione. Un software è stato utilizzato per stabilire in modo casuale a quali pazienti (rapporto 1:1) destinare innesti di blocco osseo autologo (AB gruppo) o innesto blocco osseo fresco congelato (gruppo FFB). Il risultato è stato comunicato al chirurgo il giorno dell'intervento. I controlli istologici e radiografici sono stati eseguiti da personale allo scuro del tipo di innesto. Gli innesti FFB sono stati forniti dalla Banca del Tessuto muscolo-scheletrico (Istituti Ortopedici Rizzoli, Bologna, Italia). Innesti FFB sono stati raccolti dall’emipiatto tibiale di cadavere in condizioni sterili e congelati a <80 ° C dopo la prova di contaminazione. I campioni sono stati ottenuti conformemente alle linee guida dell'Autorità nazionale per il tessuto Trapianto e conservati congelati sotto sterilità per un massimo di 5 anni. Tutti i pazienti hanno ricevuto profilassi antibiotica impiegando 2 g di amoxicillina 1 ora prima dell'intervento chirurgico. L’osso omologo è stato scongelato in un mg / L 600 Rifampicina e soluzione salina a 37 ° C. Per l’adattamento e fissazione degli innesti è stato realizzato un lembo a tutto spessore, modellati i blocchi con frese in modo da adattarli ai difetti ossei, e la fissati mediante viti da osteosintesi. Eventuali lacune sono state colmate con particelle di osso dello stesso tipo del blocco utilizzato. Membrane di collagene sono stati impiegati per coprire l'innesto. Dopo aver rilasciato il periostio sono stati chiuesi per prima intenzione i lembi utilizzando due strati suture monofilamento. Terapia antibiotica (amoxicillina) e antiinfiammatoria (Ibuprofene) è stati prescritta in associazione a colluttori a base di clorexidina. I pazienti sono stati sottoposti a controlli standardizzati TC a 7 giorni (T1) e a 6 mesi (T2) dopo la chirurgia rigenerativa. I punti di sutura sono stati rimossi dopo 10 giorni; le visite sono state effettuate mensilmente. 100 mg di tetraciclina sono stati somministrati due volte al giorno per quattro giorni a 120 e 150 giorni dall’ intervento chirurgico per la successiva analisi istologica fluorescenza. Sei mesi dopo l'intervento chirurgico di innesto, un secondo intervento chirurgico è stato eseguito per in posizionamento impiantare e per il prelievo di biopsie, raccolte perpendicolarmente alla cresta alveolare utilizzando una fresa trephine (2,5 mm diametro). Le immagini TAC sono stati analizzati secondo metodi precedentemente pubblicati, ossia utilizzando un software di elaborazione delle immagini. In breve, immagini in sezione trasversale perpendicolare all'arco sono state costruite in sede di innesto a intervalli di 0,5 mm. L'area dell’innesto è stata tracciata come regione di interesse (ROI) a mano libera sul piano assiale della sezione trasversale. Il volume totale del trapianto, minimo e massimo, e la densità media sono stati ottenuti sovrapponendo il ROI calcolato. I campioni sono stati fissati in paraformaldeide 4% per 4 ore a a temperatura ambiente. I campioni sono stati disidratati attraverso la scala di etanolo a 4 ° C, quindi incorporati in metacrilato di metile (PMMA), I blocchi sono stati sezionati in serie per ottenere due serie di sezioni: spesse (100 micron di spessore) e sottili (5 micron di spessore). Ogni blocco PMMA è stato sezionato in serie lungo l'asse longitudinale dell'osso cilindrica campione al suo centro usando una sega diamantata microtomo. Una sezione di spessore (200 micron) è stato ottenuto dal centro del campione cilindrico utilizzando la sega diamantata microtomo. La sezione è stata ridotta a 100 micron dalla macinazione, perfettamente levigato con carta smeriglio e allumina, poi analizzata a raggi X. Le sezioni sottili sono state colorate con Toluidina blu o Trichrome Gomori Stain. Le microradiografie e le sezioni sono state analizzato e fotografato al microscopio sotto la luce normale e fluorescenti. L’istomorfometria è stato eseguita da un solo operatore addestrato con un programma specifico. I seguenti parametri sono stati calcolati: Ossea di volume (BV / TV), Graft volume (GV / TV), Osso vitale (VB / TV), Osso neoformato (NB / TV), Tasso di apposizione minerale (MAR). Il significato delle differenze di volume e variazione di densità tra AB e FFB è stato valutato mediante Student test. L'analisi di regressione lineare e Pearson test di correlazione sono stati utilizzati per indagare la correlazione tra volume e variazione di densità derivanti da TC. L'ipotesi nulla H0 è stata respinta per una critica livello di significatività di P <0,05. 65 RISULTATI Tabella Casi Trattati Formula Group AB (gruppo controllo) Numero 17 FFB (gruppo test) 21 Totale 38 Sesso (M/F) 6M 11 F 9M 12 F 15 M 23 F Età media 52 Range età 24-76 47 19-73 49.5 19-76 Quattro innesti (2 AB e 2 FFB) sono andati incontro ad esposizione entro i primi 7 giorni dopo l'intervento chirurgico. Un ulteriore innesto autologo è fallito al T2. Un totale di 14 AB e 19 FFB completano il protocollo. A T1 la densità dell’innesto FFB era significativamente più bassa (708 ± 335 HU vs 998 ± 232 HU; p = 0,0099), con variabilità anche superiori. Il volume iniziale di blocchi FFB e AB non è stato significativamente differente (1,22 ± 0,86 cm3 vs 0,74 ± 0,98 cm3 p = 0,15). Al T2 sia gli innesti AB che FFB hanno subito ampia ristrutturazione, come evidenziato nelle differnze di volume nelle TAC, ma il FFB ha mostrato un riassorbimento significativamente maggiore. Il AB ha mostrato una riduzione media di Il 28% del volume iniziale, mentre FFB è diminuito del 46% (p = 0,028). È interessante notare come in un caso l’innesto FFB sia stato completamente riassorbito e non risultasse presente alla seconda TAC. Variazioni di densità sono risultati paragonabili (p = 0,57). Abbiamo poi studiato la correlazione tra la densità iniziale e riassorbimento degli innesti. Non è stata trovata correlazione nel gruppo AB (p = 0,23), mentre gli FFB meno densi si sono mostrati più suscettibili a perdere più volume degli innesti più densi (p = 0,001). E’ stato possibile eseguire l’analisi istologica in 14 campioni di FFB e in 14 AB, tuttavia in 5 casi di FFB il materiale raccolto si è dimostrato inadeguato per l'analisi o la biopsia impossibile da eseguire. I campioni sono stati analizzati a luce polarizzata per identificare tessuto osseo, tipico del tessuto osseo neoformato. Tricromica di Gomori e blu di toluidina sono state impiegate per rilevare osteociti vitali. Lacune osteocitarie erano vuote e scarse sia per innesti AB che per FFB, mentre il tessuto neoformato conteneva numerosi osteociti vitali. Osteoblasti attivi sono stati rilevati sia in innesti autologhi che omologhi. Tessuto connettivo denso con presenza di cellule infiammatorie e numerose aree di erosione sono state osservate in campioni di FFB. Nessuna differenza significativa è stata osservata nelle percentuali di tessuto osseo (BV / TV), dei tessuti molli (ST / TV), osso innestato / ossea di volume (GV / BV), valida osso / osso volume (VB / BV), o di neoformazione ossea / osso volume (NB / BV). Sebbene il tasso di apposizione minerale (MAR) per FFB sia stato inferiore (0,772 ± 1,54 mm / giorno) rispetto al AB (10,37 ± 14,44 millimetri / giorno) tale differenza non risulta statisticamente significativa (p = 0,11). DISCUSSIONE Il presente RCT compara variazioni dimensionali secondo dati radiolografici e istologici di AB rispetto a FFB in pazienti che necessitano di aumento orizzontale di cresta prima dell'inserimento dell'impianto. Le TAC hanno rivelato che sia innesti AB che FFB hanno subito un esteso riassorbimento a 6 Mesi; gli innesti FFB hanno perso significativamente più volume. Il riassorbimento degli FFB ha mostrato, tuttavia, elevata variabilità, con ampie differenze da caso a caso, che vanno da riassorbimento completo a quasi nullo. Oltre a questo, esiste una correlazione lineare tra densità FFB e il suo riassorbimento. Non è stato osservata una correlazione significativa tra la densità degli AB e la variazione di volume. Tuttavia, a T1, la variabilità di densità AB è stata molto limitata e questo può aver ostacolato la possibilità di dimostrare tale rapporto, come dimostrato in precedenti rapporti preclinici e clinici. L’ alta variabilità nella densità dei FFB nel nostro studio dipende dalla loro microarchitettura. Il nostro studio ha analizzato innesti di tibia, un osso lungo che possiede una grande epifisi che tende ad assottigliarsi e, una diafisi più densa, composta prevalentemente da spessa corticale. Vari siti anatomici di prelievo sono stati proposti in letteratura come fonte di FFB: cresta iliaca, femore, tibia. Altri autori non specificano l'origine, ma segnalare l'uso di cortico-spongiosa o corticale. A prescindere dall'origine del FFB, una densità > 800 HU può essere raccomandata. E 'importante, tuttavia, sottolineare che altre variabili, come l'età ed il sesso del donatore potrebbero influire sulle prestazioni dell’innesto, ma non esistono dati disponibili in letteratura a riguardo. La nostra analisi istologica ha fornito informazioni sul comportamento biologico del FFB. Essa tuttavia considera biopsie di una zona limitata, che può mostrare un rimodellamento diverso da quello di una 66 zona adiacente. Inoltre, 5 biopsie del gruppo FFB risultavano inappropriate. Non abbiamo osservato osteociti vitali all'interno del tessuto innestato in T2. Nel caso AB, questa suggerisce che osteociti non sono in grado di sopravvivere alla procedura, in accordo con precedenti osservazioni. Anche se non possiamo escludere la presenza di cellule vive al momento dell’ innesto, non c'era traccia di osteociti vitali dal donatore al T2. Questi risultati indicano che sia l’osso autologo che omologo agiscono come scaffold, anche se con diverse risposte biologiche. E 'importante sottolineare la presenza di tessuto connettivo denso e cellule infiammatorie nei campioni FFB, a differenza di AB in cui non è stato osservato alcun infiltrato infiammatorio, coerentemente con i dati di letteratura. Possiamo attribuire la reazione infiammatoria alla presenza di matrice ossea residua del donatore negli FFB. Questa scoperta potrebbe suggerire che innesti corticali FFB sono preferibili. Nel nostro studio gli FFB più densi hanno mostrato un rimodellamento quasi assente sia istologicamente che radiograficamente: un comportamento opposto agli innesti FFB < 800 HU. Si potrebbe ipotizzare che le ridotte aree di interfaccia sono esposte a reazioni dell’ospite negli innesti densi (corticali) quando comparati con quelli spugnosi. Il diverso comportamento biologico di AB e FFB è confermato anche dal MAR, che mostra una tendenza alla neoapposizione ossea più lenta nei FFB durante il periodo di tempo di marcatura mediante tetracilina (tra il giorno 120 e 150). Sulla base di tali dati, si può concludere che solo gli FFB più densi (> 800 HU) hanno mostrato comportamento accettabile a sei mesi rispetto a AB. Tuttavia, alla luce dei risultati istologici, ulteriori studi a più lungo termine sono necessari per poter raccomandare l’impiego di innesti a blocco FFB; questo al fine di verificare il loro pattern di rimodellamento e di fornire dati aggiuntivi, per esempio relativi alla sopravvivenza implantare ed il successo nelle aree innestate. Unità Operativa: DAI Testa-Collo, Programma di Parodontologia, Implantologia e Gnatologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma, Sezione di Odontostomatologia, Università degli Studi di Parma (Responsabile UO: Prof. Guido M. Macaluso) INTRODUZIONE E PRINCIPALI OBIETTIVI Innesti a blocco di osso autologo (AB) sono utilizzati ampiamente qualora l’aumento trasversale di cresta si renda necessario. La loro disponibilità è però limitata e il loro prelievo richiede una seconda chirurgia, con conseguente aumento di morbidità. Questi svantaggi sostanziali richiedono la messa a punto di tecnologie e biomateriali alternativi. L’osso omologo è disponibile commercialmente come osso congelato fresco (FFB) freeze-dried o freeze-dried demineralizzato. L’utilizzo di linee guida accurate per il prelievo e la conservazione di osso omologo rendono il rischio di infezioni e di reazioni immunitarie indesiderate molto basso. Diversi case reports e case series hanno mostrato la fattibilità della correzione delle atrofie alveolari tramite l’uso di blocchi e/ granuli di FFB. Nondimeno, l’efficacia e la predicibilità di questi innesti non sono ancora completamente note e ad oggi non è stato pubblicato alcun RCT sull’uso di blocchi di FFB per l’aumento di cresta alveolare. Questo Trial Clinico Randomizzato Controllato mette a confronto il comportamento di innesti di FFB e autologhi (AB) per l’aumento trasversale di cresta in atrofie di IV classe secondo Cawood e Howell. Inoltre, questo studio mira a definire l’esito clinico di impianti inseriti nei siti innestati. MATERIALI E METODI Gli outcome primari di questo studio controllato randomizzato sono la riduzione di volume e densità di AB e FFB misurati 1 settimana (T1) e 6 mesi (T2) dopo l’innesto utilizzando esame TC e la analisi istologica e istomorfometrica di biopsie ossee del sito innestato a 6 mesi, al momento dell’inserimento implantare. Il protocollo comprende inoltre l’analisi di outcomes clinici e correlati agli impianti, anche a tempi successivi. Questo report non comprende l’analisi dei tempi successivi a T2, che è ancora in corso, e per questo motivo gli outcome implantari non sono inclusi. Stati arruolati 38 pazienti con atrofie di classe IV di Cawood e Howell in cui era stata programmata la riabilitazione implantare. I criteri di inclusione sono stati i seguenti: almeno 18 anni di età; igiene orale adeguata. Criteri di esclusione sono stati i seguenti: pregressa radioterapia; >10 sigarette/giorno; disfunzione leucocitaria, patologie dell’emostasi, insufficienza renale, patologie osse metaboliche, patologie endocrine non controllate; HIV, uso cronico di antibiotici; uso di steroidi, abuso di alcol o stupefacenti. Procedure chirurgiche e Tomografia Assiale computerizzata (TAC) Gli innesti FFB sono stati forniti dalla Banca del Tessuto muscolo-scheletrico (IOR), hemiplateau tibiale. La procedura di adeguamento dell’innesto al sito ricevente e fissazione era identica per FFB e AB. Le eventuali lacune intorno all’innesto sono state riempite con particelle di osso dello stesso tipo del blocco utilizzato, poi 67 coperto con membrane in collagene. I pazienti sono stati sottoposti a TC 7 giorni (T1) e 6 mesi (T2) dopo la chirurgia. Cento mg di Doxiciclina iclato è stata somministrata 120 e 150 giorni dopo l'intervento, per la successiva analisi istologica in epifluorescenza. Sei mesi dopo l'intervento chirurgico di innesto, è stato eseguito l'inserimento implantare e il prelievo di biopsie ossee. Analisi TAC e istologia Gli esaminatori preposti all’analisi TAC e istologica erano in cieco rispetto ai campioni esaminati. TAC: immagini trasversali perpendicolari all'arcata sono stati elaborate nella zona innestata a intervalli di 0,5 mm. L'area innestata è stata evidenziata come regione di interesse (ROI) a mano libera sull’ immagine della sezione trasversale, ottenendo per ogni ROI il volume totale dell’ innesto, la sua densità minima, massima e media. Istologia e istomorfometria sono state eseguite secondo metodi standard. Parametri istomorfometrici: volume osseo su volume totale (BV / TV), il volume innestato su volume totale (GV / TV), osso vitale su volume totale (VB / TV), osso di nuova formazione su volume totale (NB / TV), Mineral apposition rate (MAR). RISULTATI Risultati clinici e TAC Diciassette pazienti (6 maschi, 11 femmine, media 52 anni, range età 24-76) hanno ricevuto innesti di AB, e 21 pazienti di FFB (9 maschi, 12 femmine, media 47 anni, range età 19-73). Quattro esposizioni di innesto (2 AB e 2 FFB) si sono verificate entro i primi 7 giorni dopo l'intervento chirurgico. Un ulteriore innesto AB è fallito a T2. Un totale di 14 AB e 19 pazienti FFB hanno completato il protocollo. La densità a T1 degli innesti FFB era significativamente più bassa (708 ± 335 HU vs 998 ± 232 HU, p=0,0099), con variabilità superiore. Il volume iniziale dei blocchi di FFB e AB non era significativamente differente (1,22 ± 0,86 cm3 vs 0,74 ± 0,98 cm3 p=0,15). A T2, sia innesti AB e FFB mostravano di aver subito un ampio rimodellamento, come evidenziato dal cambiamento di volume alla TAC, ma FFB esibiva un riassorbimento significativamente maggiore. AB aveva perso una media del 28% di volume iniziale, mentre FFB era diminuito del 46% (p = 0,028; Figura 1A). In un caso, un innesto FFB è stato completamente riassorbito. Le alterazioni di densità sono risultate paragonabili (p=0,57; Figura 1B). La correlazione tra la densità iniziale e il riassorbimento degli innesti: non è stata osservata nel gruppo AB (p=0,23), mentre si è riscontrato che gli innesti FFB meno densi hanno perso un volume maggiore rispetto ad innesti più densi (p=0,001). Applicando un cut-off arbitrario a 800 HU, il riassorbimento medio è stato del 57% per FFB meno denso, mentre è stato del 15% per gli innesti più densi. Istologia e istomorfometria L'istologia è stata eseguita in 14 campioni FFB e in 14 AB. In 5 campioni FFB il materiale raccolto si è rivelato inadeguato per l'analisi o la biopsia è stata di impossibile esecuzione. I campioni sono stati analizzati a luce polarizzata per identificare tessuto osseo di nuova formazione (Figura 3, inserti). La ricerca di osteociti vitali ha mostrato lacune osteocitarie vuote e scarse in entrambi gli innesti, AB (Figura 3A, punte di freccia bianca) e FFB (Figura 3E, punte di freccia bianca), mentre il nuovo osso formato conteneva numerosi osteociti vitali (Figura 3B e 3F, punte di freccia bianca). Osso neoformato con osteoblasti (Figura 3C e 3G, frecce bianche) e marcatura fluorescente (Figura 3D e 3H, frecce bianche) sono stati rilevati su entrambi gli innesti. Tessuto connettivo denso, con presenza di cellule infiammatorie e numerose aree erose sono stati osservati nei campioni di FFB (Figura 3E, freccia rossa). La istomorfometria è riassunta nella figura 3. Nessuna differenza significativa è stata osservata. 68 Figura 1 Figura 2 69 Figura 3 70 Figura 4 DISCUSSIONE L’analisi TAC ha rivelato che sia innesti AB sia FFB hanno subito un esteso riassorbimento a 6 mesi, con gli innesti FFB che hanno perso significativamente più volume. Il riassorbimento di FFB ha mostrato, comunque, un’elevata variabilità, con ampie differenze da caso a caso, che vanno dal completo riassorbimento dell’innesto ad un riassorbimento quasi nullo (2% di riduzione di volume). Oltre a questo, esiste una correlazione lineare tra densità di FFB e il suo riassorbimento. E’ degno di nota che non abbiamo osservato una significativa correlazione tra la densità di AB e le sue alterazioni di volume. Tuttavia, a T1, la gamma di densità di AB è stata più limitata e questo forse ha ostacolato la possibilità di mostrare una relazione tra densità e la variazione di volume. La variabilità piuttosto alta della densità di FFB nel nostro studio dipende dalla origine anatomica. Il nostro studio ha analizzato innesti di tibia, un osso lungo che possiede una larga epifisi che si assottiglia verso il basso in una stretta diafisi più densa, composta principalmente da una spessa corticale, con valori più elevati di HU. Vari siti anatomici di prelievo sono stati proposti in letteratura come fonte di FFB: cresta iliaca, tibia, femore. Alcuni autori non specificano l'origine, ma segnalano l'uso di blocchi di FFB cortico-spongioso o corticale. A prescindere dall'origine del blocco di FFB, una densità HU>800 dovrebbe essere raccomandata. E' importante tuttavia sottolineare che le altre variabili, come l'età del donatore e il sesso, potrebbero influire sulle prestazioni dell'innesto, ma non vi sono dati finora disponibili in letteratura a riguardo. La nostra analisi istologica ha fornito informazioni interessanti sul comportamento biologico di FFB. Osservando questi dati, però, è obbligatorio considerare che i campioni bioptici possono non essere rappresentativi del innesto intero, poiché si riferiscono ad aree limitate che possono avere un rimodellamento diverso dale aree adiacenti. 71 Non abbiamo osservato osteociti vitali all'interno del tessuto innestato 6 mesi dopo l'intervento chirurgico. Nel caso di AB, questo suggerisce che gli osteociti non sono in grado di sopravvivere alla procedura, in accordo con precedenti osservazioni. E 'stato però riportato che cellule vitali possono essere rilevate in innesti ossei FFB. Anche se non possiamo escludere la presenza di cellule vive al momento dell'innesto, non c'era traccia di osteociti vitali a T6. Questi risultati indicano che sia innesti autologhi che omologhi fungono da mera impalcatura, anche se mostrano diverse risposte biologiche. A questo proposito, è importante sottolineare la presenza di tessuto connettivo denso e cellule infiammatorie nei campioni FFB, in contrasto con quelli AB dove non è stato osservato infiltrato infiammatorio. Possiamo attribuire la reazione infiammatoria alla presenza di midollo del donatore nel residuo compartimento spongioso di FFB (Fig. 3E-F). Questa scoperta potrebbe suggerire che innesti FFB corticali sono preferibili. Tuttavia, Spin-Neto et al. (2011), usando blocchi di FFB corticale, ha osservato la mancanza di contatto diretto tra l'osso innesto e nativo e la presenza di aree necrotiche nell'innesto, anche se non ha rilevato infiltrato immunitario o infiammatorio. Inoltre, sono state trovate solo aree sparse di NFB in campioni FFB corticale, corrispondente alla loro osservazione clinica di un innesto quasi invariato al rientro chirurgico. In accordo con questo, nel nostro studio FFB innesti più densi hanno presentato un rimodellamento quasi assente all’ istologia e riassorbimento molto basso all’ analisi TAC, un comportamento opposto a quello che abbiamo osservato con innesti FFB con <800 HU. Sulla base dei dati attuali, si può concludere che solo innesti FFB condensità > 800 HU all’esame TAC, hanno esiti accettabili a sei mesi rispetto a innesti AB. Tuttavia, in considerazione delle caratteristiche istologiche, sono necessary studi con tempi di osservazione più lunghi prima di poter raccomandare innesti a blocco di FFB, nonchè i dati relativi agli impianti inseriti negli innesti, previsti come "fase 2" del presente studio. 72 WP2.7: Campi elettromagnetici pulsanti per la rigenerazione ossea Unità Operative: Clinica Ortopedica e Traumatologica, Azienda Ospedaliera-Universitaria S. Anna di Ferrara (Responsabile UO: Prof. Leo Massari). Biologia Molecolare Università (Responsabile UO: Prof.ssa Piva) Odontoiatria e Malattie Parodontali Università (Responsabile UO: Prof. Trombelli) Chirurgia Maxillo-Faciale Università (Responsabile UO: Prof. Carinci) Clinica OtoRinoLaringoiatrica Az. Osp-Univ. S.Anna (Responsabile UO: Prof. Pastore) INTRODUZIONE E PRINCIPALI OBIETTIVI La comprensione delle proprietà elettriche dell’osso e l’acquisizione che nel callo di frattura ed in generale dove vi sia un focolaio osteogenetico si sviluppi un potenziale elettronegativo ha spinto gli Ortopedici ad utilizzare la stimolazione elettrica come metodica terapeutica per promuovere l’osteogenesi in tutte quelle patologie dove quest’ultima si dimostra poco vivace o del tutto assente (come nei ritardi di consolidazione, nelle pseudoartrosi, nelle necrosi della testa del femore ecc.). La stimolazione dell’osteogenesi è una metodica terapeutica che fa capo alla “biofisica clinica”, branca di interesse medico che si occupa dello studio dell’impiego nella pratica clinica delle energie fisiche applicate ai sistemi biologici. I campi elettromagnetici pulsanti (CEMP) producono un campo magnetico il quale a sua volta induce nel tessuto osseo un campo elettrico. L’attività biologica dei CEMP è legata al campo magnetico ed al campo elettrico indotto nei tessuti dal campo magnetico. L’impiego di metodiche fisiche per favorire la guarigione ossea è ormai ampiamente praticato dagli ortopedici in tutto il mondo. L’interesse verso queste metodiche ha coinvolto anche specialisti che si occupano dell’osso e della osteogenesi ai fini clinici, come gli otorinolaringoaitri, i chirurghi maxillo-faciali e gli odontostomatologi. Ovviamente l’interesse delle componenti scientifiche di ricerca di base, in questo gruppo i biochimici e biologi molecolari, è stato anche in questo caso alto nel capire e valutare diversi aspetti della osteogenesi ed anche della condrogenesi. L’attività di questo gruppo di lavoro è stata principalmente rivolta alla messa a punto di strategie sperimentali in ambito cellulare, molecolare e biomaterialistico per migliorare le conoscenze sulla rigenerazione tissutale ossea e proporre soluzioni innovative per il riparo del difetto osseo e cartilagineo in diversi distretti. L’analisi molecolare e cellulare ha avuto come principali obiettivi: 1. la caratterizzazione di cellule mesenchimali (MSCs) isolate da gelatina di Wharton del cordone ombelicale (WJMSCs) e da ligamento parodontale (PDLMSCs) per un loro potenziale uso nella terapia cellulare e nel riparo del tessuto osseo. 2. la messa a punto di colture di MSCs in 3D per incrementare il loro potenziale osteogenico. 3. la ricerca di nuovi marcatori osteogenici e lo studio della loro regolazione per individuare bersagli terapeutici utili per favorire il processo di rigenerazione del tessuto osseo, o per contrastare l’eccessiva deposizione di matrice mineralizzata. Nel distretto orale, le procedure di chirurgia ossea ricostruttiva in associazione o meno a procedure di riabilitazione implantare osteointegrata fanno un ricorso sempre maggiore all’ utilizzo di biomateriali sostitutivi dell’ osso. Tra questi ultimi, l'idrossiapatite (HA), sia essa naturale o di sintesi, ha dimostrato elevata biocompatibilità e proprietà osteoconduttive. Nel corso dei tre anni di progetto, gli obiettivi degli studi condotti dalla UO di Odontoiatria sono stati (i) l’ analisi del comportamento di linee cellulari con fenotipo osteoblastico sulla superficie di diversi biomateriali a base di HA (parte di progetto realizzata in collaborazione con la UO di Biochimica e Biologia Molecolare), (ii) la validazione clinica di una tecnica minimamente invasiva innovativa per l’ elevazione del pavimento del seno mascellare (Smart Lift) in associazione a biomateriali a base di HA, nonchè (iii) la valutazione comparativa di due biomateriali a base di HA quando associate alla tecnica Smart Lift. E’ noto che i CEMP influenzino la trasduzione del segnale attraverso il rilascio intracellulare di Ca2+ che a sua volta determina l’aumento di Ca2+ nel citosol e della calmodulina attivata del citoscheletro. I CEMP determinano anche un incremento dose dipendente della differenziazione cellulare nell’osso e nella cartilagine e la sovra espressione dell’mRNA delle molecole della matrice extracellulare proteoglicani e collagene di tipo 2. L’accellerazione della differenziazione condrogenica è associata all’aumento dell’espressione dell’mRNA del TGFb1 e della sua proteina, il che suggerisce che la stimolazione del TGF-b1 potrebbe essere un meccanismo attraverso il quale i CEMP possano interferire con il comportamento anche di tessuti complessi, ad esempio sui loro fenomeni differenziativi, e che il TGF-b1 possa costituire un meccanismo attraverso il quale gli effetti dei campi elettromagnetici possano venire a loro volta amplificati. E’ stato dimostrato che i CEMP agiscano a livello di membrana influenzando la trasduzione del segnale di 73 alcuni ormoni e fattori di crescita come il PTH, l’IGF2 e i recettori adenosinici A2a, producendo una amplificazione dei loro rettori trans membrana, e che l’esposizione ai campi elettromagnetici determina un aumento del 100% degli RNA messaggeri per le BMP-2, -4, -7 in funzione della durata della esposizione con un picco a 24 ore. In letteratura sono presenti studi eseguiti con metodica RT-Pcr su singoli geni che dimostrano l’attivazione dell’osteopontina, dell’osteocalcina, della trascrizione del TGFb durante l’osteogenesi e liù’inibizione della ciclossigenasi 2 in fibrobroblasti sinoviali stimolati con TNFa e lipopolisaccaridi. Tuttavia una analisi ad ampio raggio dell’espressione genica in cellule sottoposte ai CEMP non era mai stata fatta. L’obiettivo della nostra ricerca è stato quello di fornire una visione di insieme degli effetti dei CEMP su colture cellulari di osteoblasti umani e nella fattispecie di studiare se i CEMP influenzano la espressione di una larga quantità di geni e se l’azione dei CEMP può indurre la proliferazione e la differenziazione cellulare di osteoblasti umani. MATERIALI E METODI Unità di Biologia Molecolare e ORL. Lo studio molecolare è stato eseguito impiegando tecniche di analisi di espressione genica (Western Blot, immunocitochimica, RT-PCR quantitativa), analisi dell’attività del promotore (allestimento di costrutti, treasfezione e valutazione dell’attività del gene reporter), immunoprecipitazione della cromatina per la valutazione delle interazioni DNA-proteine, tecniche funzionali di silenziamento genico e overespressione, e di attività enzimatica. I modelli sperimentali rappresentati da colture primarie di MSCs e di osteoblasti sono stati ottenuti da cordone ombelicale e ligamento parodontale, e da espianti di tessuto osseo in seguito ad interventi chirurgici. Prima del loro impiego le cellule sono state caratterizzate mediante FACS per l’espressione di antigeni specifici, valutate al microscopio per la morfologia, sottoposte a test di vitalità (Calceina/Propidio) e proliferazione. La microincapsulazione delle cellule è avvenuta tramite generazione di gocce monodisperse con l’approccio “vibrating noozle”. Unità di Odontoiatria. Durante il primo anno del progetto è stato analizzato il comportamento di osteoblasti primari umani e linee cellulari immortalizzate con fenotipo osteoblastico sulla superficie di diversi biomateriali a base di idrossiapatite (HA), ovvero HA/Biostite (granuli di HA sintetica), Bio-Oss® (porzione minerale dell’osso bovino), SINTlife®(HA arricchita con Magnesio). L’ analisi è stata focalizzata su adesione cellulare, proliferazione, attività di mineralizzazione e differenziazione in senso osteoblastico. Nel secondo anno di attività, 14 impianti sono stati posizionati, utilizzando la tecnica Smart Lift in associazione a biomateriali a base di HA, nelle regioni posteriori del mascellare superiore di 11 pazienti. Il dolore e il discomfort postoperatorio sono stati valutati con una scala analogica visiva (VAS) da 100 mm. E’ stata registrata l’ incidenza di complicanze intra- e post-operatorie. A distanza di 6 mesi dalla chirurgia, è stata valutata la posizione del pavimento del seno rispetto all’ apice dell’ impianto su radiografie periapicali. Infine, nel corso del terzo anno di progetto, è stato condotto uno studio clinico randomizzato mirato a confrontare gli esiti clinici e la morbidità post-operatoria di interventi effettuati con tecnica Smart Lift in associazione a Biostite® (HA sintetica in una matrice di collagene) o Bio-Oss®. Unità di Chirurigia Maxillo-Faciale e Clinica Ortopedica. Sono state allestite per lo studio colture di osteoblasti umani (MG-63). Per gli esperimenti sono stati preparati due gruppi di cellule. Un gruppo di cellule è stato irradiato con i CEMP mentre l’altro è stato utilizzato come controllo. E’stata quindi praticata l’estrazione dell’mRNA da entrambi i gruppi di cellule dal quale poi è stato ricavato il cDNA sul quale è stata eseguita la analisi microarray di oltre 20.000 geni, contenente la parte più significativa del genoma umano. RISULTATI Unità di Biologia Molecolare e ORL. Esperimenti in vitro e in vivo hanno portato ai seguenti principali risultati: l’espressione del fattore trascrizionale Slug è correlata positivamente con l’osteogenesi (mineralizzazione e attività ALP), è in relazione con il “Wnt signalling” e con l’espressione di geni osteoblasto-specifici (Runx2, CXCL12, NFATc1, Lef1, Col1 e 15). Slug viene reclutato in vivo sui promotori dei geni Runx2, Sox9, CXCL12, NFATc1. il silenziamento del gene Slug ha un effetto negativo sulla deposizione di matrice ossea mineralizzata e positivo sulla modulazione dei geni correlati con la condrogenesi. Le evidenze finora ottenute portano a identificare Slug quale nuovo fattore osteogenico e il suo silenziamento un possibile approccio terapeutico per trattare difetti ossei caratterizzati da un eccesso di mineralizzazione, o per promuovere la condrogenesi. MSCs da diversa fonte presentano un profilo di espressione genica e un potenziale osteogenico diverso. In particolare, le WJMSCs sono in grado di mineralizzare prima delle MSCs ottenute da midollo osseo, ma non raggiungono il livello massimo di differenziamento. Le implicazioni di queste scoperte riguardano la possibilità di scegliere il tipo cellulare ideale da impiegare in interventi di rigenerazione del tessuto osseo in diversi 74 distretti. WJMSCs sono in grado di anticipare l’evento mineralizzante se incapsulate in alginato. La combinazione capsule di alginato/cellule messa a punto nel nostro laboratorio induce un cambiamento del profilo secretivo delle cellule a vantaggio di quelle citochine (es. HIF1) implicate positivamente nel processo di rigenerazione tissutale. WJMSCs e PDLMSCs coltivate nel bioreattore HARV hanno un comportamento diverso rispetto alle stesse cellule cresciute in 2D, e sono in grado di anticipare l’evento mineralizzante. Questi dati suggeriscono l’impiego di cellule selezionate e precoltivate in 3D per un intervento riparativo. Unità di Odontoiatria. I risultati delle analisi in vitro hanno mostrato che i materiali a base di HA inclusi nella valutazione non hanno avuto alcuna influenza sulla morfologia e sulla sopravvivenza cellulare. Tuttavia, solamente in presenza di HA/Biostite sono state osservate una sostanziale adesione, crescita e differenziazione cellulare degli osteoblasti primari, a livelli sovrapponibili alla risposta dimostrata dalle linee cellulari immortalizzate. Sul versante clinico, la tecnica Smart Lift in associazione a biomateriali a base di HA si è rivelata una valida opzione per l’ elevazione del pavimento del seno mascellare grazie a uno predicibile dislocamento in senso apicale del pavimento del seno mascellare e ad una ridotta morbidità post-operatoria. In particolare, quando le performance di Biostite® e Bio-Oss® in associazione alla tecnica Smart Lift sono state confrontate in uno studio clinico controllato randomizzato, i risultati hanno indicato che entrambi i materiali consentono di ottenere un sostanziale rialzo del pavimento del seno mascellare a distanza di 6 mesi dalla chirurgia, con risultati significativamente maggiori per Biostite® rispetto a Bio-Oss®. Unità di Chirurgia Maxillo-Faciale e Clinica Ortopedica. I CEMP determinano l’aumento dell’espressione di Runx2, principale regolatore della osteoblastogenesi e della differenziazione osteoblastica, attraverso la sovrespressione di HOXA10 così come sono in grado di aumentare la espressione di AKT1 che determina l’aumento della massa ossea. I CEMP sovraesprimono anche P2RX7 che è un gene collegato alla attivazione dei canali del calcio e della calmodulina (CALM1). I CEMP sono in grado inoltre di determinare l’aumento della espressione dei geni delle proteine collageniche e non collageniche della matrice extracellulare (collagene tipo 2a ed osteonectina) e proteine del citoscheletro (FN1 e VCL). I CEMP nel contempo riducono anche i fenomeni degradativi a carico della matrice extracellulare aumentando da un lato la espressione di TIMP1, inibitore delle metalloproteasi, e dall’altro riducendo direttamente l’espressione delle metallo proteasi (MMP-11). DISCUSSIONE I risultati ottenuti in ambito molecolare e cellulare permettono di poter disegnare approcci terapeutici mirati alle diverse esigenze cliniche di riparo del danno a carico del tessuto osseo. In questo contesto, la ricerca di nuove molecole con ruoli specifici nel differenziamento e maturazione delle cellule del tessuto osseo permette di elaborare tecnologie basate sulla combinazione cellule, matrici, biomolecole sempre più sofisticate e modulabili. E’ importante sottolineare che l’interazione con unità operative cliniche permette di pianificare gli esperimenti con l’obiettivo preciso di risolvere problematiche concrete legate al paziente, e con l’attenzione a soddisfare la trasferibilità delle scoperte stesse alla pratica chirurgica. I risultati del presente progetto indicano che le caratteristiche chimico-fisiche dei biomateriali sostitutivi dell’ osso a base di idrossiapatite, siano essi di derivazione naturale o sintetica, possono influire sulla colonizzazione della loro superficie da parte di linee cellulari di natura osteoblastica e sulla capacità di questi ultimi di differenziarsi e deporre matrice mineralizzata. Coerentemente, gli esiti della procedura di elevazione del pavimento del seno mascellare con una tecnica minimamente invasiva quale Smart Lift hanno mostrato differenze a seconda del materiale a base di HA associato alla procedura chirurgica. Quando considerati nel loro complesso, i risultati del presente progetto sembrano suggerire una migliore performance biologica e clinica di Biostite® rispetto agli altri biomateriali valutati. Sembra che la stimolazione elettromagnetica abbia un effetto anabolico sulla cellula agendo su di essa in modi differenti. I CEMP stimolano la proliferazione e la differenziazione osteoblastica, promuovono la produzione e la mineralizzazione della matrice extracellulare riducendo nel contempo i fenomeni degradativi e di riassorbimento a carico di quest’ultima. I dati della nostra ricerca forniscono una spiegazione ad ampio raggio degli effetti dei CEMP su colture cellulari di osteoblasti umani. Visti i buoni risultati dei CEMP sulla proliferazione cellulare e sulla induzione della osteogenesi l’utilizzo dei CEMP potrebbe essere fruttuoso anche in ambito di medicina rigenerativa. 75 WP2.8 Chirurgia della mano: riparazione dell’osso del metacarpo con ingegneria tissutale Unità Operativa: SC di Chirurgia della Mano e Microchirurgia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena (Responsabile UO: Prof. Antonio Landi) INTRODUZIONE E PRINCIPALI OBIETTIVI La crescente richiesta clinica di abbattere la morbidità del sito donatore per la ricostruzione delle perdite di sostanza scheletriche unita l’affacciarsi in campo clinico di nuove soluzioni offerte dai biomateriali sta rapidamente mutando le indicazioni e le tecniche chirurgiche ricostruttive. In letteratura sempre più frequentemente vengono pubblicati studi volti a riprodurre in vitro la complessità dei tessuti biologici col fine di fornire al chirurgo un prodotto pronto per l’utilizzo in sala operatoria, capace di mimare le caratteristiche del tessuto da sostituire o rigenerare. La mano, per la piccola dimensione dei segmenti scheletrici, la superficialità delle strutture, il rapporto vascolarizzazione-dimensione, e l’elevata motivazione dei pazienti al ripristino dell’autonomia funzionale, offre probabilmente un campo di applicazione ideale ad alcune di queste soluzioni. L’obiettivo principale dello studio è ricostruire le perdite di sostanza metacarpali mediante l’uso combinato di uno scaffold in Hydroxyapatite (HA) potenziato dall’addizione di un peduncolo vascolare e delle cellule staminali midollari/PRP. MATERIALI E METODI Dal 2007 al 2009 tre pazienti affetti da perdita di sostanza diafisaria metacarpale e pienamente soddisfacenti i criteri di inclusione ed esclusione locali e generali del progetto sono stati arruolati nello studio. Il basso numero dei pazienti selezionati non ha consentito l’implementazione di uno studio randomizzato pianificato verso la ricostruzione del difetto mediante l’utilizzo di innesto osseo da cresta iliaca. Tutti i pazienti sono stati preoperatorialmente valutati con Jamar e Pinch test, valutazione della motilità attiva e passiva (AROM e PROM), Rx bilaterale delle mani per la definizione del gap scheletrico e sottoposti screening ematochimici (emocromo con formula ,VES, PcR,). L’azienda fornitrice dello scaffold (Finceramica Faenza S.p.A.) ha consegnato il giorno prima dell’intervento al chirurgo principale (A.L.) tre scaffold sterili per ciascun paziente, soddisfacenti le specifiche del gap scheletrico da ricostruire (vedasi figura 1) fornite in fase preoperatoria. Tutti i pazienti hanno eseguito il giorno prima dell’intervento un predeposito di sangue per consentire al centro trasfusionale di preparare il gel piastrinico secondo procedure standardizzate. I peduncoli vascolari intermetacarpali dorsali sono stati individuati e marcati preoperatorialmente con L’ECOdoppler portatile. In fase di intervento a ciascun paziente è stata praticata un’ anestesia generale con tourniquet al braccio per consentire un contemporaneo prelievo di MSC da cresta iliaca controlaterale e l’esecuzione dell’intervento sulla sede affetta. E’ stato eseguito un accesso chirurgico dorsale ai metacarpi interessati, con incisione delle iuncture e divaricazione degli estensori delle dita. Dopo visualizzazione per trasparenza degli assi vascolari intermetacarpali dorsali (arteria e vene comitans) sottostanti il piano fasciale si è proceduto alla loro legatura distale e al sollevamento con l’ausilio di mezzi ottici del peduncolo circondato dal una bendelletta di fascia. Il focolaio di pseudoartrosi è stato resecato con alesaggio e borraggio con gel piastrinico/MSC dei canali midollari. Si è quindi proceduto a posizionamento nel gap osseo dello scaffold in HA imbibito di cellule staminali midollari, a posizionamento del peduncolo vascolare all’interno dello scaffold e a stabilizzazione con placca e viti per metacarpi a stabilità angolare (Foto 1). Eventuali rigidità dell’articolazione metacarpofalangea sono state corrette con intervento di tenoartrolisi La chiusura del letto operatorio è stata effettuata con ricostruzione dei piani. Si è provveduto a immobilizzare l’arto operato con tutore in termoplastica in posizione funzionale e a riabilitare le mani operate con protocollo attivo assistito in quarta giornata postoperatoria. I pazienti sono stati seguiti ambulatorialmente con Rx (7, 30, 90, 180, 360 gg), RMN (180 gg) e scintigrafia con TC-99 (360 gg) e ad un anno di follow up con ripetizione di Giamar e Pinch test, AROM e PROM. RISULTATI I dati relativi ai risultati clinici sono stati riassunti in tabella 1 e 2. Come si evidenzia dalla tabella 2, i pazienti hanno ottenuto con l’intervento un miglioramento della funzionalità sia in termini di motilità che forza di presa eccetto il paziente 1, che al follow up ha mostrato una riduzione della motilità prevalentemente a carico della IFD e una riduzione, ritenuta dal paziente stesso clinicamente non significativa, delle forze di presa al Jamar (posizione 3-4) e al pinch test (three jaw e tip to tip). Il paziente 2 mostrava al controllo 76 finale un migioramento della motilità complessiva del 2° raggio, pur persistendo rigidità della MF (migliorata di 10°). Il paziente 3 a seguito di attività sportiva intensa intrapresa dopo l’anno di follow up notava progressivo accorciamento del raggio operato. Al controllo clinico ed Rx a 15 mesi dall’intervento si evidenziava rottura dei MDS con accorciamento del raggio, ma osteointegrazione dello scaffold e buona funzionalità di presa e motilità. Tutti i pazienti operati hanno mostrato al follow up radiografico una buona osteointegrazione (vedasi foto2) con scintigrafia al TC 99 captante e una RMN MDC che mostrava vascolarizzazione dell’innesto. La degenza ospedaliera media è stata di 4 gg con una durata media dell’intervento di 148 minuti. DISCUSSIONE Da quando Ueba e Fujikawa nel 1973 hanno eseguito il primo trapianto di perone vascolarizzato, i trapianti ossei microchirurgici hanno visto un notevole ampliamento di utilizzo. La morbidità del sito donatore di questa od altre tecniche ricostruttive basate sull’utilizzo di innesti autologhi, la dilatazione della tempistica operatoria, la lunga curva di apprendimento dei lembi liberi ha spinto l’ingegneria tissutale in campo ortopedico ad individuare ed espandere il campo dei sostituti ossei quale alternativa. Come Laurencin ha ben delineato perché l’osso nativo possa crescere ed espandersi all’interno dei biomateriali, questi devono possedere determinate caratteristiche di superficie e strutturali, migliorate dall’utilizzo dei fattori di crescita e delle cellule staminali. Molti autori hanno indagato le basi anatomiche per l’utilizzo di innesti ossei vascolarizzati sia a livello delle ossa carpali, che in particolare delle ossa metacarpali. Molti autori hanno sistematicamente analizzato vantaggi, limiti ed controindicazioni all’utilizzo degli innesti vascolarizzati nell’arto superiore ed in particolare per le estremità. Estremamente ricca è la letteratura in campo di utilizzo e potenzialità degli innesti biologici in animale ed in vitro. Ovviamente la letteratura si è spinta alla ricerca e costruzione di tessuti più complessi e tradizionalmente di difficile crescita come il tessuto cartilagineo. Recentemente Heliotis et Al hanno tentato la costruzione di un impianto vascolarizzato su uomo, fallito succevvivamente per complicanze settiche. Il comportamento biologico degli innesti vascolarizzati e in generale degli autotrapianti ossei rivascolarizzati è stato oggetto di notevoli e numerosi studi, sia passati che recenti e tranne un autore, concordano in generale nel definire l’utilizzo combinato di un innesto vascolare autologo microchirurgico su innesto osseo (autologo od omologo, o biomateriale) come metodiche di riferimento per la cura di patologie come le necrosi, le pseudoartrosi, l’osteomielite e le perdite di sostanza ossea. Infine Marcacci et Al ha utilizzato un innesto massivo in HA implementata con cellule staminali orientate verso al differenziazione osteogenetica per la ricostruzione di perdite di sostanza massive omerali con buon risultato. Il nostro studio pilota rispetto agli studi sopramenzionati si è focalizzato sul trattamento delle perdite si sostanza metacarpali mediante l’utilizzo di uno scaffold che mimasse la complessità del tessuto scheletrico mediante quattro elementi: Utilizzo di uno scaffold in HA con le caratteristiche biochimiche e strutturali tali da permettere una buona osteointegrazione; Addizione allo scaffold di cellule staminali midollari e gel piastrinico per un’ottimale ripopolamento di cellule osteoprogenitrici e favorire la neoangiogenesi; Addizione di un peduncolo vascolare isolato con tecnica microchirurgica per favorire l’apporto vascolare. In tutti i pazienti è stata utilizzata una placca a stabilità angolare per garantire una stabilità primaria della sintesi, una correzione immediata delle deformità assiali presenti e consentire una riabilitazione precoce. La durata media della degenza risultata di 4 gg potrà essere ridotta in futuro dall’utilizzo di device per la preparazione intraoperatoria di gel piastrinico che attualmente è svolta dal servizio trasfusionale il giorno prima dell’intervento. Una paziente ha inoltre sofferto nel postoperatorio di febbre non legata a complicazioni dell’impianto, che ha determinato una degenza prolungata postoperatoria. Gli scaffold in HA forniti dall’azienda costruttrice se da un lato garantivano con la matrice porosa un’ottima osteoconducibilità e buone possibilità di riassorbimento/riabitazione osteogenetica, dall’altra sono risultati macroscopicamente fragili e dei tre scaffold forniti per ciascun paziente spesso nell’alloggiamento sul difetto si è verificata una rottura dell’impianto che ha comportato la sostituzione intraoperatoria dello stesso. Questo ha determinato un prolungamento dei tempi chirurgici ed è alla base della rottura dello scaffold nel paziente n 3 a 15 mesi dall’intervento. Probabilmente in futuro si dovrà procedere ad individuare ceramiche con caratteristiche strutturali di resistenza maggiori con equivalenti capacità di osteointegrazione. Tutti i pazienti al controllo finale hanno riferito buna soddisfazione per l’intervento eseguito. Il nostro studio ha cercato di riprodurre al meglio in fase pre ed intraoperatoria le complesse caratteristiche dell’unità scheletrica metacarpale, con buon risultato complessivo. E’ intuitivo che più pazienti e nuovi biomateriali dovranno e potranno essere arruolati in futuro per standardizzare la procedura, tuttavia riteniamo il nostro un passo verso un miglior trattamento di un difetto scheletrico, tenendo in debito conto anche del rapporto rischio/beneficio. In futuro ulteriori patologie come l’osteomielite e le necrosi asettiche, potranno essere trattate con procedura analoga alla nostra, abbattendo la morbilità del sito donatore. 77 Modulo 3. Medicina Rigenerativa per la riparazione del tendine WP3.1 Studi preclinici e clinici di ingegneria tissutale dei tendini Unità Operativa: SC Laboratorio di Studi Preclinici Chirurgici, Istituto Ortopedico Rizzoli Bologna (Responsabile UO: Dott.ssa Milena Fini) Unità Operativa: SSD Chirurgia della Spalla e del Gomito, Istituto Ortopedico Rizzoli Bologna. Responsabile UO: Dott. Roberto Rotini. INTRODUZIONE E PRINCIPALI OBIETTIVI Le lesioni tendinee rappresentano un problema chirurgico tuttora assai complesso e le terapie attuali per le lesioni massive della cuffia dei rotatori presentano ancora notevoli limiti. L’ingegneria tessutale rappresenta un approccio terapeutico ottimale per la rigenerazione dei tessuti ma, allo stato attuale, non esistono numerose esperienze nell’ambito delle lesioni massive dei tendini della cuffia dei rotatori rispetto ad altri tessuti di interesse ortopedico quali osso e cartilagine. La selezione dello scaffold è di estrema importanza per il successo della tecnica di ingegneria tessutale e diversi biomateriali sono stati testati sperimentalmente in vitro ed in vivo per riparare le lesioni con grande perdita di sostanza e ridurre il rischio di recidive che, per questo tipo di chirurgia, rimane molto elevato. Biomateriali di sintesi quali il politetrafluoroetilene, l’acido poliglicolico e l’acido polilattico sono stati studiati sperimentalmente ma poche sono state le applicazioni cliniche a causa dello svilippo di effetti collaterali quali reazioni da corpo estraneo e riassorbimento osseo. Per questo motivo è progressivamente aumentato negli ultimi anni l’interesse allo studio di biomateriali biologici quali le membrane collageniche decellularizzate che simulano la matrice extracellulare dei tessuti (ECM) ma sono prive di componenti cellulari immunogeniche. Le proteine ed I fattori di crescita che le compongono possono modulare adesione, migrazione, proliferazione ed attività sintetica delle cellule e, quindi, possono accelerare la riparazione tessutale (1,2). Numerose membrane collageniche decellularizzate sono attualmente in commercio e derivano da derma, da sottomucosa di piccolo intestino, da pericardio e da fascia lata di differenti origini (umana, porcina, bovina, equina) (3-8). Sebbene gli studi sperimentali eseguiti su queste membrane abbiano talora dato risultati promettenti, reazioni infiammatorie e fallimenti sono stati osservati in alcuni studi clinici, probabilmente per la presenza nelle matrici di componenti cellulari residue responsabili di reazioni immunitarie da rigetto o per istotossicità legata alle tecniche di decellularizzazione. La sorgente e l’origine delle membrane, ed anche la tecnica di processazione ne influenzano grandemente la sicurezza, la biocompatibilità, la bioattività, le caratteristiche biochimiche e meccaniche ed anche le percentuali di successo nei pazienti ove vengono utilizzate. Il progetto ha previsto una fase di ricerca preclinica ed una fase clinica. L’obiettivo della ricerca preclinica è stato quello di studiare biocompatibilità, bioattività e biofunzionalità di una membrana collagenica da donatore multi-organo e multi-tessuto che è stata utilizzata in ottemperanza alle esistenti normative dei Centri Nazionali e Regionali dei Trapianti sulla processazione e distribuzione di tessuti espiantati. Tale membrana è stata decellularizzata per mezzo di una tecnica chimico-fisica. I risultati della ricerca preclinica hanno avuto come impatto lo sviluppo di una ricerca clinica che ha portato all’impianto del tessuto allogenico decellularizzato da derma umano in pazienti affetti da lesioni grandi e massive della cuffia dei rotatori. MATERIALI E METODI Studio Preclinico La ricerca preclinica è stata finalizzata alla valutazione di cellularità, morfologia, biocompatibilità, bioattività, proprietà biomeccaniche ed istotossicità delle matrici decellularizzate con metodo chimico-fisico presso la Banca della Cute-Centro Grandi Ustionati dell’Ospedale Bufalini di Cesena. Nel corso dei 3 anni di attività di ricerca preclinica, sulle membrane sono stati condotte le seguenti analisii: test di vitalità cellulare (MTT), misurazione del contenuto residuo di DNA , glcosaminoglicani (GAG) e collageni, studi istologici (colorazione con Ematossilina/Eosina e DAPI), immunoistochimici ed ultrastrutturali (microscopia elettronica a trasmissione, TEM). Inoltre, sono stati misurati i fattori di crescita anabolici contenuti nelle membrane attraverso il rilascio misurato sugli estratti e con studi di induzione della proliferazione di fibroblasti di linea L929. Questi sono stati eseguiti aggiungendo nelle colture di fibroblasti terreno in assenza ed in presenza di 78 estratto di membrana e successiva misurazione della proliferazione cellulare con test WST1 dopo 24 e 72 ore di coltura. Per lo studio della risposta di cellule tendinee alla membrana, colture primarie di tenociti sono state allestite a 3 e 7 giorni e coltivati a contatto diretto con campioni di membrane. Sono stati, quindi, misurati vitalità/proliferazione cellulare (MTT), sintesi di collagene I (CICP), proteoglicani (PG), fibronectina (FBN), TGF-β1 e IL6. Per la valutazione della bioattività, è stato adottato un modello di riparazione di ferita artificiale in vitro descritto da Maffulli et al (9). Il tempo di guarigione ed anche la sintesi di decorina sono stati monitorati istomorfometricamente a 1, 4, 24 e 72 ore. Le caratteristiche meccaniche delle membrane dopo decellularizzazione sono state studiate attraverso il test di trazione e di tenuta al punto di sutura. Infine, l’istocompatibilità è stata valutata attraverso l’allestimento di un protocollo di ricerca in vivo (seguendo scrupolosamente il D.L. vo 116/92) mediante impianto sottocutaneo e successive indagini istologiche ed istomorfometriche a 7, 15, 30 e 90 giorni. Studio Clinico Lo studio clinico è stato svolto previo allestimento di un protocollo presentato ed approvato dal Comitato Etico dell’Istituto Ortopedico Rizzoli. Lo studio è iniziato nel 2009 e la membrana è stata impiantata in 7 pazienti affetti da lesioni ampie/massive della cuffia dei rotatori. In 6 pazienti è stata usata come “augmentation” ed in 1 paziente come “bridging”. Fra i 6 pazienti in cui è stata usata come “augmentation”, 5 hanno raggiunto un follow-up uguale o superiore ai 12 mesi. I criteri di inclusione sono stati i seguenti: età <55 anni, lesione ampia/massiva secondo Gerber con coinvolgimento dei tendini sovraspinato ed infraspinato, retrazione tendinea < 3 secondo Thomaszeau, degenerazione grassa < 3 secondo Goutallier, con possibilità di ottenere riduzione del tendine. Criteri di esclusione sono stati: artrosi, congelamento di spalla, artrite sintomatica acromioclavicolare, impossibilità a svolgere adeguata terapia fisica riabilitativa, malattie autoimmuni, allergie a penicillina e prodotti di derivazione suina (perchè impiegati di nella tecnica di decellularizzazione e conservazione delle membrane). La valutazione preoperatoria ha previsto esame clinico, radiografia e RMN. L’impianto della membrana è stato svolto con chirurgia “aperta” in 3 casi ed in artroscopia in 2 casi. In tutti i casi sono state usate ancore per permettere la visualizzazione alla RMN. I pazienti sono stati controllati a 1, 3, 6 e 12 mesi attraverso la valutazione clinica, l’esame ecografico (in 3 casi a 1 e 6 mesi), la RMN a 12 mesi (in tutti i casi). RISULTATI Studio Preclinico L’indice di vitalità/proliferazione (MTT test) delle matrici decellularizzate è risultato compreso in un range 01.8%. L’analisi istologica ed ultrastrutturale hanno confermato l’assenza di cellule vitali, di nuclei cellulari e di DNA a doppia elica nelle membrane decellularizzate in presenza di microarchitettura tessutale normale e di fibre collagene con normale morfologia; le fibre elastiche si presentavano preservate in massima parte o mostravano segni di frammentazione in alcune zone. L’analisi con PicoGreen per la misurazione del contenuto di DNA residuo ha evidenziato che il derma nativo possiede 1.38 ± 0.45 µg/mg di DNA che si riduce a 0.20 ± 0.12 µg/mg dopo decellularizzazione (efficienza della decellularizzazione 85.6%, p<0.0005). Le proteine della matrice extracellulare, come i GAGs ed il collagene totale, sono stati preservati dalla decellularizzazione senza differenze significative tra le membrane dermiche prima e dopo decellularizzazione. Tra i fattori di crescita, il TGF-β1 ha evidenziato i valori più alti anche dopo il protocollo di decellularizzazione. I valori di VEGF e PGDF-AB sono diminuiti significativamente dopo decellularizzazione. L’interleuchina-1β non è stata rilevata nè prima nè dopo la tecnica di decellularizzazione. L’estratto delle matrici dermiche decellularizzate ha incrementato significativamente la proliferazione dei fibroblasti a 24 (16%, p < 0.05) ed a 72 ore (51%, p < 0.0005) rispetto ai controlli coltivati senza estratto. E’ stata osservata una produzione di collagene di tipo I significativamente maggiore quando i tenociti erano coltivati sulla membrana decellularizzata rispetto ai controlli (3 giorni: p < 0.0001; 7 giorni: p < 0.05). Nel gruppo coltivato sulla membrana decellularizzata, la sintesi di FBN è stata significativamente maggiore ad entrambi I tempi sperimentali (p < 0.0001). A 3 giorni, i valori di PG e TGF-β1 sono risultati significativamente stimolati quando i tenociti erano seminati sulla membrana (p < 0.0001; p < 0.005). Il tempo di guarigione delle ferite create artificialmente in vitro e l’espressione di decorina sono risultati significativamente incrementati dall’aggiunta del 50% dell’estratto delle membrane decellularizzate (p < 0.05). Il test di trazione ha dimostrato che il carico massimo e la rigidità erano significativamente maggiori nelle matrici decellularizzate rispetto a quelle non decellularizzate (115%, p < 0.005 e 122%, p < 0.005, rispettivamente). Il test meccanico di tenuta dl punto di sutura non ha mostrato differenze significative fra le membrane decellularizzate e quelle non decellularizzate. I risultati istologici dopo impianto in vivo (Fig. 3) hanno evidenziato la presenza di nuovi vasi e di una sottile capsula fibrosa, composta da fibroblasti e piccole cellule infiammatorie immersi in fibre di collagene moderatamente dense e orientate parallelamente all’asse 79 maggiore dell’impianto. Intorno alle membrane, è stata osservata una debole infiltrazione di cellule infiammatorie che è diminuita significativamente ai tempi sperimentali osservati. Infatti, è stato osservato un calo significativo dell’infiltrazione cellulare tra 7 e 90 giorni (p < 0.005) e tra 30 e 90 giorni (p < 0.05) dall’intervento chirurgico. Non sono state osservate cellule giganti da corpo estraneo ai tempi sperimentali previsti, mentre fibroblasti ed adipociti sono stati rilevati anche all’interno delle membrane ai tempi sperimentali più lunghi. Ad ogni tempo sperimentale, è stata osservata la presenza occasionale di macrofagi intorno alle membrane decellularizzate. Figura 1. Caratteristiche istologiche, istochimiche ed immunoistochimiche delle membrane dermiche decellularizzate ed impiantate a diversi tempi sperimentali: 7 (a-d), 15 (e-h), 30 (i-l) e 90 (m-p) giorni. Colorazione Ematossilina & eosina ad ingrandimento 2x (a,e,i,m); Colorazione Ematossilina & eosina ad ingrandimento 20x (b,f,j,n); colorazione istochimica per neutrofili ad ingrandimento 20x (c,g,k,o); immunoistochimica di macrofagi ad ingrandimento 20x (d,h,l,p). Studio Clinico I pazienti trattati erano tutti di sesso maschile ed età media di 48 anni (range: 37-55). A 12 mesi di follow-up tutti presentavano miglioramento dei sintomi come dimostrato dall’aumento medio di 24 punti dello score di Constant. Nessun paziente ha manifestato segni di risposta infiammatoria o reazione settica. Tutti i pazienti hanno ripreso attività di lavoro pesante ed attività sportiva fra i 3 ed i 5 mesi postoperatori. La RMN ha mostrato in 3 casi la completa integrità tendinea accompagnata da un eccellente ripresa funzionale. Un paziente ha presentato al controllo ad 1 anno una lesione parziale tendinea in presenza di scaffold integro. Tale lesione si era manifestata clinicamente dopo 4 mesi dalla riparazione chirurgica durante una regata essendo il paziente uno skipper professionista. In un altro paziente, in assenza di storia clinica di trauma postoperatorio, si è verificata una rirottura della cuffia. 80 DISCUSSIONE Le membrane biologiche possono essere usate per la medicina rigenerativa attraverso tecniche di ingegneria tessutale sia in vitro che in situ. Rispetto all’ingegneria tessutale in vitro, la rigenerazione in situ rappresenta un approccio “più semplice” in quanto si basa sull’utilizzo di scaffold bioattivi capaci di richiamare e stimolare nella sede della lesione le cellule stesse del paziente (10). Le membrane biologiche decellularizzate rappresentano in questo settore i biomateriali/scaffold di elezione in quanto, a parte la struttura e la microarchitettura della matrice extracellulare, il mantenimento dei fattori di crescita all’interno delle membrane è fondamentale per il richiamo e la proliferazione cellulare, per le neoangiogenesi e per la rigenerazione del tessuto. L’obiettivo del progetto è stato lo studio di una membrana acellulare da derma umano di donatore multi-organo e multi-tessuto dopo decellularizzazione per sviluppare una membrana dermica allogenica decellularizzata che possa essere utilizzata per terapie di rigenerazione tessutale con particolare riferimento alle lesioni tendinee e della cuffia dei rotatori. Sono state eseguite numerose analisi che hanno dimostrato che il metodo di decellularizzazione impiegato ha determinato la rimozione delle cellule e la conservazione delle caratteristiche microarchitetturali della matrice. Inoltre, il mantenimento di di collagene e dei GAGs può influenzare l’adesione cellulare e mantiene le proprietà meccaniche e viscoelastiche della matrice. I risultati hanno mostrato che la tecnica di decellularizzazione assicura il rilascio dei fattori di crescita e che quindi la bioattività delle matrici viene preservata come dimostrato dai test con le colture cellulari. I dosaggi dei fattori di crescita hanno evidenziato che la presenza di VEGF, PDGF-AB, TGF-β1 influenza positivamente la proliferazione di fibroblasti sia a basse che alte concentrazioni cellulari. Le prove di trazione e di tenuta al punto di sutura hanno evidenziato che le membrane decellularizzate hanno proprietà meccaniche sovrapponibili a quelle di alcune membrane in commercio. Lo studio in vivo di istocompatibilità ha permesso la valutazione della performance biologica delle membrane decellularizzate. I test macroscopici, istologici ed istomorfometrici indicano che la membrana tende ad integrarsi con i tessuti adiacenti, come evidenziano la presenza di una sottile capsula fibrosa, l’assenza di cellule giganti e la sporadica presenza di cellule infiammatories (macrofagi e neutrofili). A tempi sperimentali più lunghi (90 giorni) le membrane decellularizzate hanno una struttura macro- e microscopica molto simile alla matrice originale e la colonizzazione cellulare, che comincia dai margini con la deposizione di nuova matrice colla genica, è ben visibile. Negli studi clinici, per quanto di conoscenza degli autori, l’utilizzo di derivati umani di membrane ha dimostrato di migliorare i risultati clinici ed istologici di pazienti affetti da rotture tendinee (11-13). Per questo, è particolarmente importante lo sviluppo di una tecnica di decellularizzazione facile, rapida ed affidabile che possa essere utilizzata sui tessuti umani in ottemperanza alle stringenti regole specifiche per Paese sulla selezione del donatore ed altre finalità. I risultati presentati mostrano che il protocollo di decellularizzazione rappresenta un buon equilibrio tra rimozione di elementi cellulari e conservazione dell’integrità di matrice sia da un punto di vista strutturale che da un punto di vista biologico. Come risultato di impatto del presente progetto di ricerca preclinica, si sottolinea la applicazione clinica del derma decellularizzato presso la SSD Chirurgia della Spalla e del Gomito (Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna) in pazienti selezionati con lesioni massive della cuffia dei rotatori. L’esperienza clinica è ancora limitata a pochi casi e con un breve follow-up. Il paziente che ha presentato una recidiva era l’unico che aveva una degenerazione grassa muscolare con score superiore a 3 nella valutazione preoperatoria, e questo potrebbe rappresentare una controindicazione per l’impianto dello scaffold. In generale, i risultati hanno dimostrato che è possibile sviluppare uno scaffold biocompatibile e bioattivo attraverso la decellularizzazione di derma da donatore seguendo le norme Nazionali Trapianto come anche la completa tollerabilità dello scaffold di derivazione umana. La produzione non a livello industriale dello scaffold può tuttavia limitarne l’impiego nella pratica clinica quotidiana per l’impossibilità di conservare lo scaffold per tempi superiori alle 24 ore in sala operatoria. Inoltre, sono necessari ed in corso ulteriori studi per produrre scaffolds di maggiore spessore, in grado di avere caratteristiche di conservazione più pratiche (ad esempio applicando tecniche di liofilizzazione alle membrane). Studi futuri anche multicentrici potranno permettere di definire la reale utilità clinica, le indicazioni, la tecnica chirurgica adeguata e gli effetti della combinazione di membrana decellularizzata con cellule e fattori di crescita. 81 WP3.2 Rigenerazione di tendini e di cartilagine mediante fattori di crescita Unità Operativa: SC Clinica Ortopedica Traumatologica III, Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna (Responsabile UO: Prof. Maurilio Marcacci) INTRODUZIONE E PRINCIPALE OBIETTIVO La terapia infiltrativa con di plasma ricco di piastrine (PRP) è un metodica semplice, a basso costo e poco invasiva, che fornisce un concentrato naturale di fattori di crescita di sangue autologo (GFs) che può essere utilizzato per migliorare la rigenerazione dei tessuti. Abbiamo studiato l'influenza dei fattori di crescita sulla riparazione tissutale. In particolare, abbiamo valutato gli effetti a breve termine del PRP nelle patologie traumatiche e degenerative del sistema muscoloscheletrico. L’obiettivo è quello di valutare il ruolo del PRP come possibile alternativa ad altri approcci maggiormente invasivi e costosi. MATERIALI E METODI Abbiamo condotto un primo studio su 100 pazienti affetti da degenerazione cronica del ginocchio che sono stati trattati con iniezioni articolari di PRP (un totale di 115 ginocchia trattate). La procedura consiste nella raccolta di 150 ml di sangue venoso e successiva doppia centrifugazione: 3 unità di PRP ognuna di 5 ml sono state utilizzate per le iniezioni effettuate a distanza di tre settimane l’una dall’altra. I pazienti sono stati valutati clinicamente prima del trattamento, alla fine e a 6, 12 e 24 mesi. IKDC, oggettivo e soggettivo ed EQ VAS sono stati utilizzati per la valutazione clinica. Il secondo studio era di tipo comparativo fra PRP ed HA su 150 pazienti affetti da degenerazione della cartilagine ed artrosi di grado lieve e grave. 50 pazienti sono stati trattati con PRP, 50 con HA a basso peso molecolare (20 mg/2 mL di HA con peso molecolare da 500 a 730 kDa) e 50 con HA ad alto peso molecolare (30 mg/2 mL of HA con peso molecolare da 1,000 a 2,900 kDa). Sulla base delle evidenze radiografiche ogni paziente è stato valutato secondo la scala Kellgren per definire il grado di avanzamento dell’artrosi. I pazienti che non presentavano un quadro artrosico sono stati sottoposti ad esame di risonanza magnetica per definire il grado di lesione cartilaginea. I pazienti sono stati valutati a 2 e 6 mesi dall’ultima infiltrazione attraverso IKDC oggettivo e soggettivo ed EQ-VAS. Eventuali eventi avversi sono stati registrati. Questi primi due studi ci hanno portato ad iniziare un terzo studio randomizzato in doppio cieco, dove è stato confrontato il PRP con l’acido ialuronico (HA). Attualmente sono stati arruolati e valutati a 6 mesi di follow-up 48 pazienti affetti da artrosi di grado lieve e monolaterale, che sono stati sottoposti a 3 infiltrazioni intraarticolari di PRP o HA secondo una lista di randomizzazione a distanza di una settimana l’una dall’altra. La valutazione avviene a livello basale, a 2-6-12 mesi dalla fine trattamento attraverso IKDC oggettivo e soggettivo, KOOS score, EQ-VAS e Tegner score. Inoltre viene rilevato eventuale dolore e gonfiore dopo ogni infiltrazione, eventuali eventi avversi e grado di soddisfazione del paziente. Inoltre, abbiamo effettuato un quarto studio su 20 pazienti di età media di 25.5 anni, affetti da ginocchio del saltatore con tre iniezioni di PRP sul tendine rotuleo a distanza di 15 giorni l’una dall’altra. Si tratta di una patologia ad eziologia e patogenesi sconosciuta caratterizzata da micro lesioni ed aspetti degenerativi della normale struttura tendinea. Riguarda solitamente atleti ad alto livello in sports dove sono previsti frequenti salti. La patologia costringe a ridurre il livello dell’attività negli anni. 13 pazienti risultavano affetti da patologia unilaterale e 7 da patologia bilaterale. 16 pazienti praticavano sport a livello competitivo ma non professionistico, 2 ad alto livello e 2 a livello amatoriale. I pazienti sono stati valutati con E-VAS, SF 36 e Tegner score. Abbiamo effettuato infine un ulteriore studio comparativo che prevedeva la comparazione di un gruppo controllo di 16 pazienti che è stato trattato con la sola fisioterapia con un gruppo di 15 pazienti con pregresso trattamento chirurgico o non chirurgico fallito. I pazienti appartenenti a quest’ultimo gruppo sono stati trattati con infiltrazioni multiple di PRP e successivo trattamento fisioterapico. Le tre infiltrazioni previste sono state eseguite a distanza di due settimane l’una dall’altra, sul sito della tendinopatia rotulea. I pazienti sono stati valutati con Tegner score, EQ-VAS e VAS dolore a fine trattamento ed a 6 mesi di distanza. RISULTATI Il primo studio non ha evidenziato complicazioni relative alle infiltrazioni o nessun grave evento avverso durante il trattamento ed il periodo di follow up. In un solo caso una paziente ha presentato come risposta dolore marcato con gonfiore dopo l'infiltrazione per 2 settimane. Nei restanti casi abbiamo registrato un 82 leggero dolore per qualche giorno. Un incremento statisticamente significativo di tutti gli scores clinici è stato osservato dalla valutazione basale alla fine della terapia ed a 6-12 mesi di follow up, con un buon livello di soddisfazione per i risultati del trattamento: 80,2% di pazienti soddisfatti. Lo score IKDC oggettivo è passato dal 46.1 % di ginocchia normali o quasi normali prima del trattamento al 78.3 % di ginocchia normali o quasi normali a fine terapia, al 73.0 % e 66.9 % a 6 e 12 mesi di follow up, rispettivamente, dimostrando un miglioramento statisticamente significativo in tutti i follow up rispetto al livello basale. I miglioramenti sono stati mantenuti dalla fine della terapia fino a 6 mesi di follow up, con una sola leggera tendenza di peggioramento, mentre un peggioramento significativo è stato osservato dai 6 ai 12 mesi di follow up, con ulteriore e più marcato peggioramento all’ultima valutazione a 24 mesi. Analogamente, l'IKDC soggettivo è migliorato marcatamente dalla valutazione basale alla fine della terapia ed al follow up a 6 e 12 mesi, passando da 40.5 prima del trattamento a 62.5 a 2 mesi e 62.6 e 60.6 a 6 e 12 mesi di follow up, rispettivamente. I risultati sono rimasti stabili dalla fine della terapia a 6 mesi di follow up, mentre sono peggiorati a 12 e 24 mesi di follow up, pur permanendo significativamente più alti del livello basale. Lo stesso trend è stato confermato dalla valutazione EQ-VAS. Abbiamo analizzato i parametri che influenzano i risultati clinici, e abbiamo trovato un livello globale di scores più basso nei pazienti anziani con un alto grado di degenerazione dell'articolazione; un'ulteriore analisi ha dimostrato il peggiore risultato raggiunto dalle donne ai differenti follow ups nella valutazione soggettiva, ed un miglioramento inferiore a 2 mesi di follow up nei pazienti sovrappeso. Nel secondo studio non sono state osservate complicazioni relative alle iniezioni. A 2 mesi di follow up sono stati evidenziati miglioramenti similari fra il gruppo PRP e quello trattato con HA a basso peso molecolare, entrambi migliori dei pazienti trattati con HA ad alto peso molecolare (P<.005). A 6 mesi di follow-up i migliori risultati sono stati nel gruppo PRP (P < .005). Inoltre, PRP ed HA a basso peso molecolare offrono miglioramenti simili in pazienti over 50 anni e nel trattamento delle artrosi di grado avanzato. Il PRP evidenzia una migliore performance rispetto all’HA nei pazienti giovani affetti da lesioni cartilaginee o nelle artrosi di grado lieve. Il terzo studio randomizzato in doppio cieco è ancora in corso, ma i dati parziali confermano quelli dei precedenti studi. Il quarto studio sui 20 pazienti affetti da ginocchio del saltatore non ha evidenziato complicazioni in relazione alle iniezioni o eventi avversi gravi durante il trattamento ed il successivo follow up. Un incremento statisticamente significativo è stato osservato in tutti gli scores dopo 6 mesi. La soddisfazione del paziente è stata dell'80% ed il ritorno allo sport al livello precedente è stato raggiunto in un periodo medio di 2 mesi dopo la terza iniezione. Nel quinto studio sono stati confrontati i risultati degli scores Tegner, EQ-VAS ed il livello di dolore alla fine del trattamento ed a 6 mesi rispetto al livello basale. E’ stato anche registrato il grado di soddisfazione del paziente ed eventuali complicanze. E’ stato osservato un miglioramento significativo di tutti gli scores alla fine del trattamento ed un ulteriore miglioramento è stato notato a 6 mesi dopo l’aggiunta del trattamento fisioterapico. I risultati di entrambi i gruppi sono risultati equiparabili, ma è stato notato un più veloce ritorno all’attività sportiva nel gruppo PRP, confermando il potenziale di questa metodica anche per il trattamento di tendinopatie complesse refrattarie ad altri approcci terapeutici. DISCUSSIONE Il trattamento con PRP intra-articolare evidenzia buoni risultati e di più lunga durata rispetto all’HA nel trattamento dei pazienti giovani affetti da lesioni cartilaginee e da artrosi di grado lieve. Il miglioramento del dolore e della funzionalità articolare rende la tecnica infiltrativa con PRP con buone prospettive future per il trattamento di queste patologie al fine di rallentare la normale evoluzione dei quadri artrosici verso la chirurgia protesica, con grossi vantaggi funzionali e psicologici per il paziente e con risparmio per il sistema sanitario nazionale. Si tratta di un trattamento conservativo non invasivo a basso costo, che può essere ripetuto nel tempo. Anche i risultati ottenuti sul trattamento del tendine rotuleo aprono un futuro interessante per questa terapia per il trattamento delle degenerazioni tendinee. In generale i risultati clinici dei nostri studi pilota sono molto incoraggianti e suggeriscono l'utilizzo di questo metodo per il trattamento dei tessuti con scarso potenziale di guarigione. 83