PERIZIA D’UFFICIO IN RAPPORTO CON LE PERIZIE DI PARTE E INTERVENTO DEI
PERITI DI PARTE NELLA PRASSI DEI TRIBUNALI ECCLESIASTICI ITALIANI
Alessia Gullo
Avvocato rotale e della Curia Romana
Numerosi sono i lavori che trattano del rapporto tra perito di parte e perito ex officio. Da
ultimi quelli presentati alla Tavola Rotonda alla Lateranense nel mese di aprile di quest’anno,
preceduti dall’articolo del prof. Arroba Conde di prossima pubblicazione nel libro “L’Istruttoria” a
cura dell’Arcisodalizio della Curia Romana.1
Mi atterrò quindi strettamente al titolo indicatomi, riportando la prassi2 solo saltuariamente
supportata dalla giurisprudenza.
Prima di entrare nel vivo della trattazione, però, farò quattro premesse generali:
-­‐
In primo luogo una premessa tematica. Il titolo propostomi restringe l’ambito di analisi ai
soli tribunali ecclesiastici italiani, escludendo quindi quanto sul tema potrebbe essere
enucleato dalla prassi dei Dicasteri Romani e della Segnatura Apostolica in materia
amministrativa e, propriamente, quanto può dedursi dalla prassi della Rota Romana e dei
tribunali diocesani stranieri. Ciò non toglie che nel presente lavoro si farà riferimento anche
a quanto questi ultimi hanno apportato, o potrebbero apportare, alla prassi processuale dei
tribunali inferiori italiani.
-­‐
In secondo luogo è necessaria una premessa terminologica. Il titolo parla esplicitamente di
“perito di parte” usando la locuzione tradizionalmente accettata in ambito canonico. Per
comodità e rispetto di una trattazione di tipo pratico come questa, userò anch’io tale termine,
sottolineando però che già da alcuni anni si tende a preferire altre espressioni. Alcuni autori
e alcuni giudici, ad esempio, usano il termine “perito privato”3 (che mi sembra
maggiormente corretto) e non sono mancati casi, negli anni sempre più frequenti, in cui sono
mutuate dal diritto civile le espressioni “consulente tecnico di parte” – CTP –
contrapponendolo al “consulente tecnico d’ufficio” – CTU.
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In terzo luogo vorrei far notare che il termine “prassi” contenuto nel titolo del presente
lavoro è usato impropriamente o piuttosto in un’accezione “non tecnica”. Dovendosi
escludere, a mio parere, l’esistenza di una “prassi”, a norma del can. 19. Al più si potrebbe
1
A tale lavoro si rimanda in toto, condividendone lo spirito, le problematiche e le conclusioni. Presenterò
quindi solo alcune osservazioni, che dovranno essere lette quasi come un’appendice pratica di quanto detto
dal prof. Arroba Conde. Il presente lavoro sarà quindi scientemente privo di riferimenti dottrinali e conterrà
solo poche citazioni giurisprudenziali.
2
3
Così come da me conosciuta, quindi con inevitabili lacune.
Terminologia che mi sembra maggiormente corretta. parlare di una generica “abitudine” di “alcuni giudici”. “Abitudine” quindi che assurge ad
una pur larvata forma di consuetudine – termine anche questo impreciso - del tribunale, solo
quando è più o meno de facto imposta dal Presidente dello stesso.4 Nonostante questa
precisazione, però, mi avvarrò ugualmente del termine comune di “prassi”.
-­‐
Si noti inoltre come la figura del perito di parte, e quindi il suo rapporto col perito ex officio,
è un fenomeno tipicamente e prettamente italiano. In nessuna causa matrimoniale, e
sottolineo il “nessuna”, estera che ho trattato5 in Rota, Segnatura, Dicasteri Romani e
tribunali stranieri, ho mai riscontrato la presenza del perito di parte. L’unica eccezione, a
mia conoscenza, è data dai tribunali libanesi, che però, avendo, come noto, anche
giurisdizione “civile”, presentano caratteristiche proprie.6
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Infine una quinta ed ultima premessa, relativa alle caratteristiche presuntive e preliminari del
perito d’ufficio e del perito di parte, che devono essere uguali per entrambe le figure.
Vediamole nel dettaglio.
Il perito, chiunque esso sia, oltre a godere di buona fama e ad essere preferibilmente
cattolico, deve essere:
n Onesto, nella più ampia e completa accezione del termine;
n professionalmente competente,
n a conoscenza e in sintonia con l’antropologia cristiana.
Sulla prima qualifica tornerò prima della conclusione quando parleremo del valore che i
giudici riconoscono alla perizia di parte e a quella d’ufficio.
La seconda merita invece qualche approfondimento. Che il perito debba essere
“professionalmente competente” sembrerebbe un aforisma di La Palisse. Così non è. Di quale
competenza professionale si parla, infatti? Di quella medica, ovvio, risponderete voi … ed io
concordo. Ma non è sufficiente. Il medico onnisciente, se mai è esistito, è un retaggio del
passato. Al giorno d’oggi c’è una specializzazione sempre più esasperata anche in campo
medico. Fino a 30-40 anni fa, cioè fino ai lavori preparatori del Nuovo Codice e poi alla sua
promulgazione, c’erano ancora numerosi dottori con vaste competenze mediche. Soprattutto nel
campo delle neuroscienze il confine tra neurologi, psichiatri, psicologi era piuttosto labile. Più o
meno tutti rientravano sotto il vasto “cappello” dei neuropsichiatri a cui si contrapponevano,
quantomeno all’occhio del profano, solo gli psicanalisti, categoria vista con estremo sospetto
dalla Chiesa. I tribunali ecclesiastici quindi avevano giustamente un generico albo dei periti
(medici) a cui appartenevano i neuropsichiatri.7 Le ultime decadi hanno visto però in campo
medico un totale stravolgimento, che potremmo così semplificare: i neurologi si occupano di
4
Il termine “imposizione” non ha qui alcun connotato negativo. Al contrario, ritengo lodevole il tentativo di
alcuni Presidenti (primo fra tutti il Presidente del Tribunale Campano) di uniformare la prassi dei giudici
all’interno del proprio Tribunale e possibilmente anche dei tribunali che ad esso fanno riferimento.
5
Meglio dovrei dire che ha trattato il mio studio dal 1970 ad oggi. 6
Vic. Apostolicus Beryten Latonorum c. Hadaja 17.5.2002.
7
Alcuni tribunali (es. Tribunale del Vicariato) a tale “albo” aggiungevano alcuni medici specializzati in
ginecologia.
sclerosi, parkinson, alzahimer, epilessia etc.; gli psichiatri si occupano di schizofrenia,
psicopatie varie etc.; gli psicologi di immaturità, dipendenze, disturbi alimentari etc. Non c’è
quindi una differenziazione riguardo alla gravità della patologia, quanto piuttosto all’eziogenesi
del disturbo stesso. I primi a captare questa evoluzione sono stati i tribunali ecclesiastici
americani, che hanno un elenco dei periti piuttosto articolato con neurologi (pochi), psichiatri,
psicologi, counselors etc. Specializzati a loro volta in disturbi relazionali, familiari, personali
etc. Hanno seguito i tribunali spagnoli (compresa la Rota di Madrid), quelli sudamericani, quelli
irlandesi (dove si trovano diversi psicologi esperti nelle dipendenze), più faticosamente quelli
della c.d. Europa dell’Est (lì i periti sono in genere pochissimi). Finalmente la novità è arrivata
in Italia, dove a lungo è rimasta prerogativa del … Regno Borbonico. I tribunali del Sud Italia,
infatti, sono stati i primi ad accogliere gli psicologi tra i periti ammessi, prima come consulenti
di parte e poi come periti d’ufficio, ed oggi questi sono la maggioranza. Più resistenza hanno
fatto i tribunali del Centro-Nord (in particolare quello triveneto), ma ormai l’ultima roccaforte
del potere degli psichiatri è rimasta Roma. Vicariato di prima istanza, tribunale d’appello e
soprattutto Rota Romana. Qui i periti ex officio devono essere necessariamente laureati in
psichiatria o neurologia e difatti qui, paradossalmente, si avvertono maggiormente i problemi di
c.d. “competenza professionale”. Ricordo, ad esempio, alcuni anni fa un perito che in Rota, in
sede di recognitio, alle obiezioni presentategli, chiedeva con un certo sarcasmo a quale pagina
del DSM trovassi la “immaturità”.8 O un altro caso dove il perito d’ufficio neurologo ebbe
parole “pesanti” per il perito di parte che sosteneva un disturbo dipendente da alcool,
sottolineando come all’epoca delle nozze non si potesse ancora parlare di dipendenza “fisica”.
Cosa sulla quale lo psicologo di parte concordava, evidenziando però che già al momento della
celebrazione c’era una dipendenza psicologica. Od un altro caso in cui la sentenza affermativa
di primo grado (per disturbo post traumatico da stress e disturbo dipendente da sostanze
stupefacenti) fu rimandata ad esame ordinario perché il perito di primo grado (americano) aveva
una laurea in sociologia, una specializzazione in “disturbi delle dinamiche familiari” e un
baccellierato in psicologia.9
Nonostante questa prassi consolidata, che non sembra suscettibile di cambiamenti a breve
termine,10 non sono pochi i giudici rotali e quelli del vicariato che in via ufficiosa sostengono la
necessità di aprire l’elenco dei periti d’ufficio anche agli psicologi. Ma al momento l’unica
dichiarazione ufficiale in tale senso proviene, a mia conoscenza, da un’ormai vecchia sentenza
c. Bruno del 1993,11 in cui si parla espressamente di opportunità e necessità di intervento di
periti psichiatri e periti psicologi.
Il tema della “competenza professionale” introduce dunque, per quanto ora ci riguarda, il
problema del colloquio perito d’ufficio-perito di parte, i quali devono avere un “linguaggio”
comune specializzato, che ci sembra opportuno essere indicato con chiarezza. Da alcuni anni, ad
esempio, ho preso l’abitudine di chiedere nei quesiti per il perito, quando questi è sconosciuto al
tribunale, come nei casi di periti di parte o periti nominati ex officio dal tribunale rogato, a quale
8
Zamoscien c. Sciacca 14.11.2003.
9
La causa, attesa la fama delle parti, era stata messa sub secreto.
10
La questione è infatti stata più volte ufficiosamente sollevata ed ha avuto sempre risposta negativa.
11
Rhedonen c. Bruno 26.2.1993
“scuola appartenga”12 e possibilmente un breve curriculum professionale. Il rischio altrimenti è
che i periti usino gli stessi termini per indicare realtà o problematiche diverse.13
L’ultimo pre-requisito è quello relativo alla conoscenza e all’accettazione dei principi
dell’antropologia cristiana (art. 205 DC). La questione è stata ampiamente studiata e dibattuta
dalla dottrina, prima in relazione proprio agli psicologi di impostazione psicanalitica, poi in
relazione all’omosessualità nel momento in cui tale qualifica è stata declassata dal DSM da
perversione sessuale/patologia a semplice caratteristica psicologica. Generalmente quindi
quando si parla di conoscenza e accettazione dell’antropologia cristiana ci si limita a verificare
che il perito conosca ed accetti la posizione della Chiesa in materia di omosessualità,
procreazione etc. Non conosco nessuna perizia, neanche privata, che abbia sollevato dubbi in
proposito, ma ci sono diverse sentenze rotali e dei tribunali inferiori che ribadiscono
genericamente la necessità di aderenza ai principi dell’antropologia cristiana14 e mi è stato
segnalato da un collega che alcuni anni fa il Tribunale Siculo ha accettato la richiesta di
espunzione dagli atti di una perizia in cui il perito aveva usato una metodologia psicoanalitica di
tipo freudiano. Mi risultano invece numerosi casi in cui i periti privati, e ciò che è ancor più
grave i periti d’ufficio, non conoscono la normativa o la giurisprudenza costante dei tribunali
ecclesiastici in tema di immaturità, differenze tra defectus discretionis iudicii e incapacità ad
assumere gli oneri coniugali, gravità e perpetuità dell’incapacità, libertà nella scelta del
matrimonio e del coniuge (soprattutto in caso di inopinata gravidanza), disturbo latente in actu
primo et in actu secundo. Ciò ha portato alcuni avvocati negli anni a ricusare previamente
determinati periti15 e/o a chiedere a posteriori (anche dopo la denegata ricusazione) una c.d.
“superperizia”.16
Fatte queste premesse, vediamo nel corso del processo come si svolga il rapporto perito
d’ufficio-perito di parte.
1. Fase introduttoria.
Al momento dell’introduzione della causa non esiste un perito d’ufficio e, tecnicamente
parlando, non esiste neanche un perito di parte. Esiste, al più, un consulente che presenta un suo
votum da allegarsi eventualmente al libello.
La dottrina prima, la normativa poi (con la Dignitas Connubii), fugando ogni dubbio al
riguardo, ha stabilito che non possa esigersi obbligatoriamente un votum allegato al libello con il
quale si chiede la dichiarazione di nullità di matrimonio per una qualche incapacità. Benché dunque
1212
Sulla base di una dottrina psichiatrica o psicologica incerta non può fondarsi una sentenza che dichiari
con certezza morale la nullità del matrimonio: Parisien c. Fiore 22.2.1980; Romana c. Huot 29.1.1981;
Bronsvillen c. Faltin 24.7.1987; Manilen c. Nehaus 16.6.1987; Philadelphien c. Funghini 16.12.1987;
grossetana c. Pompedda 11.4.1988; Quercopolitana c. Faltin 28.10.1988.
13
Si veda il concetto di “es”, che ha un significato sostanzialmente diverso nella psicanalisi freudiana e nella
gelstat.
14
Quercopolitana c. Faltin decr. 10.4.1987; Indianapolitana c. Faltin decr. 5.12.1989; Reg. Ligustici seu
Ianuen c. Sciacca 18.4.2008.
15
Avendo in merito, a mia conoscenza, sempre risposta negativa da parte dei giudici.
16
Superperizia che invece è stata sempre accordata.
qualche tribunale ancora “suggerisca” la presentazione di tale consulenza,17 è ormai pacifico che
non possa pretendersi e, conseguentemente, non possa rigettarsi un libello sprovvisto di tale parere
medico.
Detto questo non mancano casi in cui l’avvocato ritiene opportuno presentare un voto
psicologico a sostegno della causa petendi e non mi risultano casi (e non ne vedrei motivo) in cui il
tribunale abbia negato l’ammissione di quella che viene a giusto titolo definita una prova
extragiudiziale.
Ciò premesso, però, è opportuno presentare qualche osservazione:
-­‐
In primo luogo, chi è l’autore di tale atto? Certamente è uno psichiatra o psicologo che ha
visitato la parte,18 o con lui ha avuto un colloquio. Può essere il terapeuta che ha in cura la
parte da un qualche tempo o uno che l’ha avuta in cura in una fase antecedente al giudizio o
ancora un soggetto che ha avuto contatti con essa (non necessariamente la presunta
incapace) esclusivamente in vista del giudizio canonico od infine uno che ha assistito la
parte in un precedente, o comunque già instaurato, giudizio non canonico (civile e/o penale).
Il rapporto che lega tale consulente alla parte è importantissimo nella valutazione da dare al
suo voto. Troppo spesso e troppo semplicisticamente si danno per certe mere considerazioni
presuntive. Ad esempio, il consulente che ha avuto in cura o abbia tuttora in cura la parte è
più credibile di quello contattato ai fini del giudizio canonico. In realtà, chiunque abbia una
certa frequentazione di psicoterapeuti potrà dire che, lungi dall’esserci certezze dogmatiche,
ci sono invece vari aspetti da considerare. In primo luogo la diversissima finalità della
funzione di psichiatra-psicologo19 da quella del consulente medico. Differenza che fa sì che
ci siano “medici” che, in forza della deontologia professionale loro propria o della scuola di
appartenenza, si rifiutino di rilasciare un parere medico utile ai fini di un qualsivoglia
giudizio e financo di deporre come testimoni. Altri, invece, saranno condizionati nel loro
voto dal già instaurato giudizio civile-penale. Tutti, infine, saranno limitati nel loro giudizio
dal fatto di non conoscere, per l’ovvia ragione che ancora non esistono, gli atti nel loro
complesso e quindi anche la posizione di parte avversa.
Questo significa forse che il voto pre-giudiziale del consulente non abbia valore?
Certamente no. Esso servirà all’avvocato per enucleare dal racconto, spesso confuso del
cliente, quegli elementi che possano aiutarlo nell’individuare la causa petendi, aiuterà il
giudice nell’individuare il perito d’ufficio più adatto alla singola causa (psichiatra,
psicologo, sessuologo) e potrà fornire utili spunti per i quesiti da sottoporgli.
Salvo sempre il diritto di difesa delle parti e la possibilità quindi di contraddire, potrà
addirittura sostituire il perito d’ufficio. Vedremo in seguito che tale facoltà è piuttosto rara
nelle cause matrimoniali, ma nei procedimenti amministrativi non è infrequente20 che la
consulenza extragiudiziale di una parte sia usata poi dai giudici come unica perizia o al più,
17
Il tribunale di Milano, ad esempio, lo ritiene “gradito” quando non ci sia una patologia conclamata e
documentata.
18
Di norma la parte attrice. Ma se il convenuto è d’accordo con l’introduzione della causa, potrà essere lui
stesso “l’oggetto” del votum.
19
Approssimativamente qui definiti “medici”.
20
Direi anzi che questa è la norma.
in caso di forte contenzioso, che le consulenze extragiudiziali delle parti siano usate dai
giudici, senza che questi richiedano una perizia ex officio.21
-­‐
Detto questo, e ammessa quindi la possibilità di presentare una consulenza extragiudiziale di
parte, si nota che, a mia conoscenza, questa di norma non viene allegata al libello notificato
alla parte convenuta. Sicuramente ciò è dovuto al tentativo del giudice ecclesiastico di
“proteggere” il consulente che potrebbe trovarsi a dover affrontare una denuncia penale per
diffamazione o un esposto all’ordine dei medici o degli psicologi per violazione della
privacy e simili.22
-­‐
Infine si noti come non sia “prassi” dei tribunali richiedere una recognitio o comunque il
riconoscimento formale di tale consulenza extragiudiziale, quantomeno non nella fase
introduttoria del giudizio.23 Non ci risulta, ad esempio, che nella sessione di concordanza del
dubbio sia chiamato il consulente per autenticare il suo voto.24 Alcuni giudici del tribunale
del Vicariato, però, dopo la concordanza del dubbio e prima dell’apertura dell’istruttoria,
chiedono al consulente extragiudiziale di sottoscrivere formalmente tale consulenza. Ma
sembra purtroppo un mero atto di routine. Viceversa sarebbe di grande utilità in questa fase
un colloquio col consulente medico e con gli avvocati. Può capitare, infatti, che i giudici
diano grande peso a questo votum sulla base, ad esempio, della considerazione che lo
psicologo avesse in cura la parte e quindi la conosca bene etc. Ciò in assenza di un qualsiasi
contradditorio e facendo, per così dire, un “atto di fede”, privo di qualsivoglia riscontro
probatorio.25
Concludendo: nella fase introduttoria non esiste la figura del perito, d’ufficio e/o di parte, ma al
più quella di un consulente extragiudiziale, che non dialoga con nessuna parte processuale
propriamente detta e che presenta una prova (la consulenza), spesso di fatto incontestabile.
2. La raccolta di prove documentali
Una volta aperta l’istruttoria, il giudice raccoglie le prove. Tra queste particolarmente
importanti saranno le eventuali consulenze extragiudiziali per qualsiasi motivo redatte. In tale
novero quindi rientreranno anche eventuali perizie d’ufficio e/o di parte presentate in altro tribunale
o giudizio, che nel caso manterranno impropriamente il nome di perizie, dovendo definirsi, in realtà,
esclusivamente come documenti medici in sede giudiziale presentati.
21
La Segnatura Apostolica, ad esempio, nel valutare se ricorrano o meno i presupposti di cui al can. 1222 § 1
e 2, basa il suo giudizio sulla consulenza extragiudiziale fornita dalla Pubblica Autorità inferiore oppure,
molto più raramente, dal ricorrente. Ma ritiene superflua, anche se formalmente richiesta, una perizia
d’ufficio.
22
Mi riferisco qui ovviamente a quei casi in cui oggetto della consulenza non sia la pretesa incapacità
dell’attore, bensì quella della parte convenuta.
23
Vedremo poi con quali eccezioni.
24
E questo in realtà mi sembrerebbe inopportuno, visto che in tale sede si dovrebbe (il condizionale è
d’obbligo) esperire il tentativo di conciliazione.
25
Romana c. Ardito 11.1.2007.
A mia conoscenza i tribunali non richiedono alcun riconoscimento formale di tali atti, né di
quelli privati, tantomeno di quelli pubblici perché presentati in altri giudizi.26
Ciò non toglie che qualora la parte nomini come testimone l’autore di tale “perizia”, il
giudice possa, e sovente lo faccia, contestargli l’atto, chiedendogli spiegazioni in merito etc.
Non conosco invece casi in cui l’autore di tale documento sia stato chiamato dal giudice
come teste d’ufficio, pur non essendoci, a mio parere, alcuna obiezione, ed essendo al contrario atto
auspicabile.
3. La raccolta di prove testimoniali
Raccolti eventuali documenti,27 il giudice procederà all’escussione dei testi. In questa fase
non esisterà di norma ancora un perito di parte, tantomeno un perito d’ufficio. Non sarà quindi
possibile che all’interrogatorio delle parti presenzi un consulente medico.28 A meno che tale
consulente non sia stato formalmente nominato curatore della parte stessa. Ma in questo caso la sua
presenza è permessa non in virtù della competenza professionale, ma solo e soltanto in forza della
nomina a curatore.
Più complessa è invece la possibilità che tale consulente extragiudiziale sia chiamato come
testimone e possa redigere una perizia di parte.
Che il consulente extragiudiziale rediga poi una perizia di parte è abbastanza frequente.
Direi anzi che è la norma nel caso la parte voglia un perito privato. Altrettanto possibile, anche se
meno frequente, è che il consulente extragiudiziale, soprattutto nel caso in cui sia, o sia stato, anche
il terapeuta della parte, sia chiamato a testimoniare. Più difficile, invece, mi sembra che tale
consulente, dopo aver formalmente testimoniato, possa essere nominato perito privato. Si creerebbe,
infatti, a mio parere, una certa confusione, con possibili commistioni, subornazioni, conflitti col
perito d’ufficio etc. E in ogni caso risulterebbe poi impossibile interrogare nuovamente il soggetto
che non saprei neanche più come qualificare.
4. La fase peritale
Tecnicamente parlando non esiste una fase peritale. Rientrando l’espletamento della perizia
nel più vasto genus della raccolta delle prove.
Ciò non toglie che di fatto la perizia abbia un proprio “tempo” nello svolgimento del
processo, ponendosi quasi come atto conclusivo dell’istruttoria. È questo il momento di maggiore
importanza per il dialogo tra perito d’ufficio e perito di parte.
26
Mi risulta addirittura che si accettino alcune perizie presentate presso i tribunali dello Stato prive di firma o
formale autenticazione.
27
Non è infrequente però che il giudice proceda prima all’escussione delle parti e dei testimoni.
28
In talune cause americane, invece, è possibile riscontrare la presenza del perito d’ufficio durante l’esame
delle parti e dei testimoni. Ciò, a mio parere, contraddice il dettato normativo.
Vediamone quindi i momenti più significativi:
A. La nomina dei periti
a. È necessario il perito ex officio?
Sappiamo bene (can. 1575) che la normativa canonica non obbliga il giudice a
nominare un perito ex officio. Il giudice, infatti, può ritenere tale nomina superflua
per due diversi ed opposte motivazioni.
O perché in atti non c’è la minima prova di una pretesa incapacità o perché, al
contrario, questa è già sufficientemente provata.
n Mancanza di prova
Il primo caso mi appare difficilmente probabile. Con l’ammissione del libello,
infatti, il giudice ha verificato che quantomeno esiste il fumus boni iuris. È vero
che l’istruttoria poi può avere reso altamente improbabile la pretesa incapacità,
ma da qui a dire che nessuna perizia potrebbe enucleare elementi significativi mi
sembra ce ne corra.
Mi risulta, infatti, che la prassi dei tribunali italiani sul punto sia piuttosto
univoca. Se l’attore insiste nella sua richiesta (e quindi non viene richiesta
formalmente l’archiviazione della causa, come qualche volta viene suggerito dal
giudice istruttore), il giudice nomina un perito d’ufficio.
Curioso però è il caso di una controversia americana in cui l’attore aveva chiesto
la dichiarazione di nullità di matrimonio per un proprio generico defectus
discretionis iudicii. Dopo di che aveva sistematicamente negato ogni addebito,
responsabilità, sintomo, accusa mossagli, in modo larvato tra l’altro, dai propri
testimoni (la parte convenuta non si era costituita). Il giudice non aveva ritenuto
opportuno, tantomeno necessario, richiedere, proprio per tale motivo, una perizia
ed aveva dato sentenza negativa. L’attore aveva quindi appellato direttamente
alla Rota Romana insistendo per la dichiarazione di nullità per propria incapacità,
ma negando ancora una volta qualsiasi indizio fosse emerso e concludendo il suo
lunghissimo appello proclamandosi perfettamente sano. Richiesto il supplemento
di istruttoria, i familiari dell’attore fornirono utili indizi, sempre pervicacemente
negati dall’uomo. La perizia ex officio disposta dal tribunale, su istanza e
insistenza del patrono d’ufficio, indicò a carico dell’attore una grave forma di
schizofrenia, dimostrata, tra l’altro, proprio dal comportamento processuale
dell’uomo. Ciò che portò ad una sentenza affermativa in secondo e terzo grado.
n Incapacità già provata
Nel caso in cui l’incapacità sia già con sicurezza provata, il giudice può evitare di
nominare un perito d’ufficio.
Questo accade quando in atti siano depositati documenti univoci ed inconfutabili
(ad esempio quando la parte sia stata già dichiarata incapace da un tribunale
civile e abbia un curatore). Sul punto non esiste una vera prassi, regolandosi i
giudici come meglio credono. Si noti però che l’Ecc.mo Decano della Rota
Romana nel novembre scorso ha invitato gli avvocati a non richiedere perizie
inutili quando i documenti del processo sono già sufficientemente chiari.
In presenza invece non di documenti univoci, bensì di una perizia o consulenza
di parte, l’atteggiamento tenuto dai tribunali italiani non è sempre concorde e
risente di una serie di variabili difficilmente definibili a priori.
Alcuni tribunali (ad esempio quello sardo e quello del vicariato) ritengono la
perizia di parte, o la consulenza extragiudiziale, favorevole all’incapacità motivo
necessario e sufficiente per richiedere sicuramente una perizia ex officio, a
prescindere da altre eventuali prove emerse nel corso dell’istruttoria.
Il tribunale pugliese, invece, in taluni casi, ritiene sufficiente la perizia di parte o
la consulenza extragiudiziale purché non ci sia contrasto tra le parti, non ci sia
obiezione del difensore del vincolo, sia stata formalmente riconosciuta dal
medico e, ovviamente, appaia prima facie fondata sugli atti o per meglio dire,
concorde con le prove raccolte nel processo canonico.
Similmente il tribunale lombardo, che nel caso di voto previo redatto da un perito
noto al tribunale, qualche volta non nomina un perito ex officio, ma formula
appositi quesiti integrativi per il CTP permettendogli la visione degli atti.
Una soluzione particolare, e per certi versi simile a quella dei tribunali pugliese e
lombardo, è quella per prassi assunta dalla Segnatura Apostolica nelle cause
relative ad alcune motivazioni di rimozione dall’ufficio di parroco. In questi casi
infatti, nonostante l’opposizione del parroco (e questo è l’elemento differente
rispetto alla prassi degli altri tribunali ecclesiastici), il Supremo Tribunale basa il
suo giudizio sulla consulenza extragiudiziale fornita da uno psichiatra/psicologo
alla Pubblica Autorità Inferiore, riconoscendogli una posizione di “terzietà”, e
rifiuta qualsiasi istanza di perizia ex officio.
Concludendo: nella scelta se nominare o meno il perito d’ufficio è data la più ampia
discrezionalità al giudice, che però, a nostro parere, deve comunque verificare che non sia in alcun
modo leso il diritto di difesa di entrambe le parti.
b. Quando è nominato il perito?
n La nomina del perito ex officio
Nei processi presso i tribunali americani e presso quelli irlandesi accade talvolta che
il perito d’ufficio sia nominato con lo stesso atto con il quale viene nominato il turno
giudicante, o il giudice unico, e il difensore del vincolo. Forse, e ribadisco forse, la
spiegazione di una tale prassi è da ricercarsi nel fatto che presso tali tribunali le
deposizioni delle parti sono spesso, e quella dell’attore sempre, raccolte prima della
presentazione formale del libello e quindi in realtà si ha già una corposa
documentazione.
Presso la Rota Romana è prassi nominare il perito ex officio, su istanza della parte,
dopo la confezione del Summarium, se non c’è stata ulteriore attività istruttoria, o
dopo il Summarium Alterum se sono state raccolte ulteriori testimonianze o
documenti.
Nei tribunali italiani, invece, è prassi comune che il giudice nomini il perito sponte
sua, o su istanza di una delle parti, dopo aver raccolto le testimonianze ed emanato il
pubblicetur. Laddove manchi la pubblicazione degli atti si potrebbe ipotizzare una
lesione del diritto di difesa, perché i patroni non possono articolare correttamente le
domande da sottoporre al perito.29
n La nomina del perito di parte
La nomina del perito di parte è invece affidata alla totale discrezionalità del patrono,
il quale potrà decidere se indicarlo già all’inizio della causa o al momento del
pubblicetur o subito dopo la nomina del perito ex officio o dopo il deposito della
perizia d’ufficio o dopo che l’altra parte ha proceduto alla nomina di un perito di
parte od infine potrà allegare una perizia privata al restrictus.
Tale discrezionalità del patrono, purché concorde con quella del patrocinato, è
assoluta e insindacabile rientrando la perizia di parte nell’alveo delle prove utili e
lecite e quindi non censurabili.
L’unica eccezione a tale discrezionalità si raffigura nella prassi, a mio parere
corretta, di molti tribunali di vietare la presentazione della perizia di parte insieme
alle responsiones o comunque dopo il conclusum in causa. La ragione mi sembra
dover essere ricercata nel combinato disposto del principio di parità processuale con
quello di celerità del processo stesso.
B.
Chi può essere nominato perito d’ufficio
Abbiamo visto sopra i prerequisiti del perito in genere (professionalità, competenza etc).
Accanto a questi ve ne sono altri che rilevano in considerazione del momento della
nomina.
a. In primo luogo di norma il perito ex officio è selezionato tra quelli inseriti
nell’elenco del tribunale. Ciò non toglie che, a mio parere, questa prassi non sia
vincolante. Non esiste infatti alcuna norma che obblighi il giudice in tal senso.
Non conosco casi recenti, ma in passato alcuni giudici si sono avvalsi di periti
d’ufficio estranei all’elenco approvato e ciò non ha provocato alcun problema.
b. In secondo luogo vi sono alcuni casi di incompatibilità. Si noti che il dettato
normativo (can. 1576) indica che possa ricusarsi il perito per i motivi di cui al
can. 1555, ovvero genericamente quando vi sia una giusta causa per la sua
esclusione.30 Benché quindi la norma relativa ai periti ex officio non faccia
riferimento ai can. 1448-1449, a mio parere è inopportuno che tale perito sia
imparentato con una delle parti o sia parente del patrono di una delle parti.
Accanto a questo caso, che peraltro mi sembra di scuola, ve ne sono altri che
attengono proprio al rapporto tra perito ex officio e perito di parte. In una
Patavina del 1998, ad esempio, Mons. Funghini ha criticato il tribunale a quo che
aveva nominato perito d’ufficio colui che era stato consulente extragiudiziale
dell’attore e aveva redatto il votum allegato al libello.31 Tale critica, però, non
aveva avuto conseguenze immediate perché lo psichiatra in questione aveva poi
redatto una perizia ex officio negativa. La questione fu poi risollevata, unita ad
29
In questo caso potrebbero ravvisarsi gli estremi per una querela nullitatis. È quanto avvenuto contro un
decreto del tribunale di Modena: Parmen c. Tazzioli decr. 3.11.2004, poi archiviato in Rota per perenzione.
30
Attenzione: non richiama i can. 1448-1449 sull’astensione-ricusazione del giudice.
31
Patavina c. Funghini 17.6.1998.
altri e ben più gravi argomenti, in sede di nova causae propositio, ma il turno c.
Verginelli rigettò la richiesta e non entrò neanche nel merito della perizia.32
Infine si pronunciò la Segnatura Apostolica, che non solo accettò la nova causae
propositio sulla base dei nuovi e gravi argomenti presentati dall’attore (perizie e
sentenze civili e penali), ma censurò severamente il tribunale triveneto per la
nomina del perito, sottolineando che era assolutamente ininfluente il fatto che
questi avesse poi cambiato idea nella perizia d’ufficio. Il rapporto tra consulente
extragiudiziale e parte, infatti, è paragonabile a quello che lega patrono e
cliente.33
Si potrebbe quindi concludere che “non possono fungere da perito (d’ufficio,
nds) per comprensibili ragioni, coloro che hanno avuto in precedenza contatti
professionali con il soggetto da esaminare”.34 Sul punto era chiarissimo il dettato
normativo della Provida Mater (art. 143), riportato in una c. Lefebvre dell’aprile
196435 e ripreso più recentemente da una c. Boccafola del 1998.36
Problema opposto si presentò invece in una Calaritana in cui il perito d’ufficio,
dopo aver redatto una perizia negativa per incapacità dell’attrice, aveva invitato
la stessa a seguire una psicoterapia presso di lui. Psicoterapia, a pagamento, che
la signora accettò e che fu condotta per diversi anni fino ad un esito
apparentemente positivo. Ciò non toglie che l’argomento fu usato in sede
giudiziale dall’avvocato per inficiare la validità e comunque le conclusioni di tale
perizia, che venne infatti “smontata pezzo a pezzo” dal periziore ed ha portato a
due sentenze affermative.37
C. Il decreto di nomina del perito ex officio e di accettazione del perito di parte
n La nomina del perito d’ufficio
Nei tribunali regionali italiani e presso la Rota di norma è il patrono dell’attore a fare
istanza affinché il giudice nomini un perito d’ufficio. Nei tribunali stranieri è invece
prassi comune (con l’eccezione dei tribunali spagnoli, che sul punto sono simili a quelli
italiani) che tale nomina sia fatta ex officio dal giudice, disattendendo, tra l’altro, al
disposto del can. 1575 (e dell’art. 204 della DC), che prescrive che nel caso siano
almeno “udite le parti”.
--- Su istanza dell’avvocato
Come abbiamo visto, raccolte le prove testimoniali e pubblicati gli atti,
l’avvocato dell’attore (ma può essere anche quello del convenuto) fa istanza affinché sia
nominato un perito ex officio.
Questa istanza ha subìto una certa evoluzione nella prassi. Dalla metà degli anni
Sessanta fino al Codice giovanneo-paolino gli avvocati motivavano la loro istanza sulla
32
Patavina c. Verginelli 14.6.2002.
33
Patavina decr. Congresso ….
34
B. GIANESIN, Perizia e capacità consensuale nel matrimonio canonico, p. 101.
35
Senonen c. Lefebvre 11.4.1962.
36
S. Iacobi de Chile decr. 16.11.1998.
37
Calaritana c. Caberletti 13.10.2011; Calaritana c. Sable 6.12.2013.
base degli atti38 e poi presentavano una serie di domande, che il giudice comunicava al
Difensore del Vincolo, venivano da questo emendate o completate e poi rispedite al
Giudice, che a sua volta le emendava o completava, prima di sottoporle al perito.
Con l’avvento del nuovo codice di diritto canonico, molti avvocati abbandonarono la
prassi di motivare l’istanza presentando solo le domande più o meno varie,39 che
seguivano poi l’iter sopra indicato.
Dall’emanazione della Dignitas Connubii vedo che tale istanza si è più o meno
standardizzata, ripetendo quasi pedissequamente il disposto dell’art. 209 dell’Istruzione.
L’atto viene poi mandato al Difensore del Vincolo, che quindi non apporta più alcuna
modifica, ed infine il giudice, anch’esso senza intervenire, lo trasmette al perito, senza
indicare in alcun modo come debba svolgersi la perizia (sul punto torneremo).
A mio parere è preferibile la prassi più antica con il proemio, anche perché così
facendo si “costringe” il perito a porre attenzione su alcuni aspetti che rilevano poi per il
restrictus.40 Così come è opportuno articolare le domande, tenendo presente ovviamente
la Dignitas Connubii, ma integrandola di volta in volta con domande che rilevino nel
causa in oggetto,41 non dimenticando, come detto precedentemente, quesiti specifici
sulla qualifica professionale, il curriculum vitae etc. del perito.
Nel presentare le domande è possibile, e a mio parere opportuno, tenere presente
l’eventuale consulenza extragiudiziale. In questo caso si chiederà al perito d’ufficio se
concorda con la diagnosi proposta, se ha altra diagnosi da proporre, se questa è
compatibile con la prima, in cosa c’è disaccordo etc.
In ogni caso c’è ampia discrezionalità.
Anche qui notiamo una prassi diversa tra i tribunali italiani e quelli stranieri. I
tribunali americani, ad esempio, danno generalmente grandissima libertà al perito,
spesso non ponendogli neanche le domande, ma chiedendogli solo di esprimere un
parere. I tribunali italiani, invece, che peraltro, come detto, agiscono solitamente su
istanza partis, articolano le domande.42 Qualche giudice chiede espressamente che il
perito faccia riferimento agli atti, od indichi l’anamnesi raccolta personalmente.
Qualcuno, raro, chiede i riferimenti bibliografici. Qualcuno indica entro quando deve
essere presentata la perizia.43
n L’accettazione del perito di parte
38
Ad es. “atteso che dagli atti risulta che l’attore aveva interrotto gli studi scolastici, è stato più volte fermato
per guida in stato di ubriachezza, è stato ripetutamente licenziato, è affetto da cirrosi epatica etc. voglia il
ch.mo perito rispondere alle seguenti domande …”.
39
Per ovvi motivi sono generalmente più articolate in appello piuttosto che in primo grado.
40
Ad es. indico quanto è durato il matrimonio. È durato solo un paio di mesi. Questo dimostra l’incapacità?
È durato 30 anni. Questo osta all’incapacità? Etc.
41
Ad es. c’è un problema di antecedenza dell’incapacità. Chiedo se c’era una latenza in actu primo.
42
Infatti “iudicis est dirigere processum, minime processu dirigi. Optimus peritus decipi poest sine clara
instrcutione iudicis de iis circa quae peritiae exquiretur”: Petropolitana in Insula Longa c. Doran decr.
15.12.1988.
43
In Rota uno dei giudici alla mia richiesta in tal senso, mi rispose che era offensivo per il perito che si
poneva al servizio della Chiesa
Se grande libertà è concessa al giudice nella scelta del perito d’ufficio, ancor
maggiore discrezionalità è lasciata all’avvocato nello scegliere o meno un perito
privato.
Quando il patrono di parte ritiene utile e/o necessario nominare un perito, chiede al
giudice di autorizzarne la nomina. Questa è la prassi comune, benché non manchino
casi, ed anzi siano piuttosto frequenti benché a mio parere censurabili, in cui il perito
di parte non viene preventivamente ammesso.
Si nota che l’istanza di autorizzazione generalmente non è motivata o comunque è
motivata solo con una generica necessità ravvisata dall’avvocato. La prassi dei
tribunali italiani è, come detto, quella di accettare l’istanza (le eccezioni riguardano
motivi particolari relativi alla singola causa). Il tribunale abruzzese, però,
quantomeno negli anni passati, aveva la prassi di ammettere il perito di parte solo a
condizione che la parte stessa si sottoponesse a perizia d’ufficio.44 Mentre questo mi
sembra corretto nel caso in cui la parte ammetta la propria incapacità, ritengo al
contrario sia una prevaricazione, lesiva della sfera più intima della persona, chiederlo
a colui che si oppone alla propria incapacità.
Detto questo, si rileva una certa differenza nella prassi tenuta dai singoli giudici nel
decreto di accettazione. Ci sono quelli che accettano la presenza di un perito di parte
e non danno alcuna indicazione, ci sono quelli che espressamente autorizzano il
perito privato a prendere visione degli atti, ci sono quelli che trasmettono al perito di
parte le domande già presentate per il perito ex officio etc.
La prassi più corretta e completa, tra quelle da me conosciute, mi sembra quella
istituita nel tribunale sardo, che nel decreto di accettazione del perito privato indica
espressamente il suo diritto a prendere visione degli atti, esaminare la parte,
partecipare alla visita del perito d’ufficio, somministrare tests (dopo che siano stati
somministrati quelli decisi dal perito d’ufficio), redigere la perizia a completa
discrezione del perito stesso, tenendo presenti le domande formulate per il perito
d’ufficio.
D. Il colloquio tra perito ex officio e perito di parte nella fase preliminare della perizia
Una volta nominato il perito d’ufficio e il o i periti di parte, questi godono di
un’ampissima autonomia, completamenti liberi da qualsiasi indicazioni del giudice, che
non sia quella desumibile dalle solite domande.
Ciò significa che generalmente il perito sceglie con totale discrezionalità come portare a
compimento l’incarico affidatogli e, al più, in presenza di periti privati, li avvisa
dell’appuntamento dato alla parte per la visita personale.
A mio parere questa prassi è estremamente lacunosa, un’occasione mancata, indice di
un certo sospetto con il quale il perito ex officio guarda alla figura del perito privato. Più
44
Aquilana c. Vizzarri 26.6.2001.
utile sarebbe che i periti concordassero previamente una strategia da seguire.45
Potrebbero, ad esempio, decidere se il perito di parte può intervenire con domande o
altro nel corso della visita o possa invece intervenire al termine di essa. Potrebbero
decidere un testista di loro fiducia al quale affidare i tests che entrambi ritengono utili.
Potrebbero decidere se registrare o meno i colloqui.46 Potrebbero confrontarsi, specie se
sconosciuti, per adottare un linguaggio comune che aiuti effettivamente il giudice nella
ricerca della Verità.
E. La trasmissione degli atti
Una volta nominato il perito d’ufficio, il tribunale gli trasmette, previo giuramento, gli
atti.47 Similmente nel caso del perito di parte ammesso. Gli atti devono essere completi
affinché le lacune non inducano in errore il perito, non essendo accettabili le conclusioni
peritali che poggino sulla conoscenza parziale di essi, neanche se questi sono costituiti
da perizie e sentenze.48 Sul punto c’è una consolidata giurisprudenza della Rota.
In un caso recente l’avvocato aveva chiesto l’espunzione dagli atti della perizia ex officio
negativa basata chiaramente sul solo Summarium Alterum (mancavano quindi gli atti del
Summariolum e del Summarium). Tale richiesta fu respinta, ma il giudice permise che
venisse fatta una nuova perizia da un periziore49 che ha portato ad una sentenza
affermativa videntibus septem.
Più complesso è invece il caso del perito privato non formalmente accettato. Noto che
non infrequentemente i colleghi non si fanno problemi al riguardo e consegnano una
copia degli atti in loro possesso al perito di parte da loro scelto (non so con quali
cautele). A mio parere ciò li espone ad un giudizio per comportamento
deontologicamente scorretto, perché, come noto, a norma del can. 1598, l’avvocato non
può consegnare ad alcuno copia degli atti, né farli vedere ad altri che non siano la parte
patrocinata.50
Una volta ricevuti gli atti è a discrezione del perito se leggerli prima del colloquio con la
parte o dopo.
Dalle cause analizzate deduco che di norma se il perito ha deciso di effettuare un solo
colloquio (come purtroppo è consuetudine), questi prima legge gli atti e poi convoca la
parte. Nel caso invece in cui preveda due colloqui prima vede la parte, raccoglie
l’anamnesi, fa una prima valutazione, poi studia gli atti ed infine rivede la parte per
contestarle eventuali testimonianze.
F. La visita peritale
45
Prassi abituale ad esempio nelle controversie matrimoniali e in quelle relative all’affido di minori nei
tribunali civili.
46
Io ho conoscenza di una simile registrazione solo in una causa amministrativa sub secreto e devo dire che
è stata di grandissima utilità agli avvocati e ai giudici.
47
“Perito dari debent acta causae universa, ne ipsa ad erroneam conclusionem perducatur”: Bonaeren c.
Faltin 11.10.2000.
48
Quercopolitana c. Fatin 28.10.1988; Bonaren c. Faltin 11.10.2000.
49
Providentien c. Arellano Cedillo 20.2.2013.
50
Ciononostante non mi risultano provvedimenti in merito presi contro tali avvocati dai Moderatori del
Tribunale o dalla Segnatura Apostolica.
Una volta nominato il perito d’ufficio, questi contatta la parte da periziare51 per fissare
un appuntamento ed eventualmente convoca anche il perito di parte. Perché dico
eventualmente? Perché nel decreto di ammissione del perito di parte può non essere
esplicitato il diritto del perito privato a presenziare all’esame peritale o può addirittura
essere espressamente vietato.
Come già accennato, per prassi le modalità di questo colloquio sono a totale discrezione
del perito d’ufficio, il quale deciderà quando, dove, come e alla presenza di chi
effettuarlo.
La mancanza di un previo colloquio e accordo tra perito d’ufficio e perito privato è la
causa principale di difficoltà nell’espletamento di tale indagine. Ponendo, a mio parere, a
serio rischio i risultati e quindi le conclusioni che verranno presentate.
Ad onore dei periti che operano nei nostri tribunali devo dire che generalmente le accuse
mosse all’uno o all’altro sono piuttosto contenute, ma non mancano casi in cui sono sorti
problemi.
In una Kalaritana del 2011, ad esempio, l’avvocato di parte convenuta ha sollevato gravi
dubbi sulla perizia d’ufficio, arrivando a chiedere la ricusazione del perito d’ufficio e
l’espunzione dagli atti della sua perizia, perché il colloquio era avvenuto in casa della
convenuta, dove in quel momento erano presenti (anche se in altra stanza) lo stesso
avvocato e la madre della convenuta nelle vesti di curatore, e alla presenza di
un’assistente del perito d’ufficio, ma in assenza del perito di parte, che, pur avvertito,
non si era presentato. Nel caso, il giudice istruttore prima, il turno poi, ha rigettato
l’istanza dichiarando espressamente che le modalità del colloquio peritale e i soggetti da
ammettere ad esso sono di esclusiva competenza del perito d’ufficio purché non sia leso
il diritto di difesa delle parti, che nel caso era sicuramente garantito dalla presenza in
loco, senza che sollevasse obiezioni, dell’avvocato della parte e del suo curatore.52
La relazione tra presenza del perito privato alla visita peritale e diritto di difesa è stata
oggetto anche di un recente decreto c. Salvatori, il quale ha stabilito che la mancata
partecipazione del perito privato alla visita peritale, o addirittura la sua esclusione ad
opera del perito ex officio, non determina la nullità della sentenza per lesione del diritto
di difesa.53
Tale decisione, peraltro ben articolata e motivata, mi sembra implicitamente presuppore
una discrezionalità del perito d’ufficio che facilmente può sconfinare nell’arbitrio e che
finisce per sovrapporre la figura del perito a quello del giudice, ponendo tutta una serie
di problemi per quanto riguarda in particolar modo la raccolta dell’anamnesi remota e
prossima.
Per ovviare a tali difficoltà, le soluzioni praticabili mi sembrano due, eventualmente
percorribili contemporaneamente.
In primo luogo il giudice dovrebbe nel decreto di nomina del perito d’ufficio stabilire
espressamente i limiti del suo agire e le modalità, in specie nel rapporto col perito
51
È assolutamente da respingere la prassi di taluni tribunali che non potendo o non volendo sottoporre la
parte convenuta asserita incapace a perizia, pretenda che vi si sottoponga la parte attrice: Peorien c.
Erlebach, 18.12.2003.
52
Kalaritana seu Templen Ampurien decr. 19.10.2011.
53
Inter. Salernitani-Lucani c. Salvatori 28.11.2013. Di prossima pubblicazione nel libro “L’istruttoria” a
cura dell’Arcisodalizio della Curia Romana.
privato. Nel caso quindi che il perito di parte sia stato ammesso, questi deve aver il
diritto, sotto pena di nullità della perizia d’ufficio, a partecipare a tutti gli esami peritali.
In secondo luogo gli eventuali nuovi elementi risultanti dalla perizia dovrebbero essere
oggetto di formalizzazione (con nuova escussione della parte etc.) e contestazione prima
della stesura definitiva della perizia d’ufficio.
Un problema interessante è quello che pochi anni fa si è posto al tribunale sardo: il perito
d’ufficio è legittimato a svolgere attività investigativa? Nel caso, infatti, il suddetto
perito, convocata la parte e ricevuto da questa un diniego per motivi di salute, aveva
contattato il medico curante della stessa per chiedere spiegazioni. Tale azione,
pacificamente ammessa dall’art. 194 del cpc, fu contestata prima dal perito privato e poi
formalmente dal patrono di parte convenuta, ed è stata infine dichiarata legittima con
decreto del Presidente.54
Io personalmente ho dei dubbi sulla legittimità di una simile azione, che, benché non
possa arrivare aprioristicamente a configurare un’ipotesi di nullità dell’atto come
ipotizzato dall’avvocato, mi sembra travalichi le competenze e i compiti del perito. C’è
inoltre il rischio di una lesione del diritto di difesa poiché mancano completamente gli
strumenti idonei a garantire certezza, trasparenza e parità processuale.
G. La somministrazione dei tests
La somministrazione dei tests è generalmente lasciata alla discrezionalità del perito
d’ufficio, che deciderà se somministrarli, quando somministrarli e soprattutto quali
somministrare. Nella prassi, infatti, il giudice, su istanza del patrono, si limita a
presentare al perito le domande a cui rispondere, lasciandolo libero di seguire la strada
che ritenga più opportuna per giungere a delle conclusioni moralmente certe.
Nell’ottica dell’autonomia delle competenze, e del rispetto quindi per le singole
professionalità, tale atteggiamento mi sembra corretto.
Ciò non toglie che nel giudizio, che è cosa ben diversa dalla terapia, si possano
incontrare delle difficoltà che attengono più alla medicina forense che alle neuroscienze
propriamente dette. Lo psichiatra/psicologo, infatti, parte necessariamente dal
presupposto che quanto gli viene detto dal paziente sia oggettivamente o
soggettivamente vero. Anche gli elementi non oggettivamente veri, dunque, rilevano in
quanto manifestazione, espressione, di un disagio o blocco interno. Nel giudizio, invece,
la parte può riferire scientemente elementi che sappia non essere veri o al contrario
consapevolmente omettere fatti veri.
In quest’ottica, quindi, sembra opportuno che il perito privato, soprattutto quello di parte
avversa, possa partecipare anche alla somministrazione dei tests, suggerendo
eventualmente anche quelli forniti delle c.d. “griglie di sicurezza”.
H. La redazione della perizia
54
Kalaritana seu Templum.Ampurien decr. Buccero Presidente 16.12.2010.
Una volta completata la visita peritale, integrata eventualmente dalla somministrazione
dei tests, e studiati gli atti, il perito ex officio e il o i periti di parte stendono la loro
perizia.
Abbiamo visto che al riguardo la prassi dei tribunali italiani è sensibilmente diversa da
quella di molti tribunali stranieri e, a mio parere, più rispettosa del dettato normativo. Le
perizie d’ufficio italiane infatti constano generalmente di quattro parti distinte:
un’introduzione con i dati anagrafici e le formalità adempiute, una prima parte in cui si
riportano i dati anamnestici ricavati dalla visita peritale e le osservazioni sulla stessa
(sempre che ovviamente la visita ci sia stata), una seconda parte in cui si fa l’analisi
degli atti e li si ordina sistematicamente commentandoli con eventuale bibliografia
medica ed una terza parte in cui si risponde alle domande proposte.
Queste, come detto, sono oramai, dopo l’avvento della DC, standardizzate e ripetono
quasi ad litteram il prescritto dell’art. 209 § 2 DC. Noto però che alcuni giudici, sulla
scia della prassi rotale, aggiungono due domande finali: se il perito abbia qualcosa da
aggiungere e, soprattutto, se le sue conclusioni godono della necessaria certezza. Il
concetto di tale “certezza” appare peraltro abbastanza nebuloso e, accanto ad una
maggioranza di periti che sbrigativamente dichiarano di essere certi delle loro
conclusioni, ve ne sono altri che al contrario ribadiscono che la psichiatria/psicologia
non è una scienza esatta etc. A tal fine mi sembra utile quanto si legge in una c. Erlebach
del 2005 in cui espressamente si afferma che al perito non è richiesta una certezza
morale, ma solo una “certezza scientifica”.55
Le perizie di parte, invece, hanno caratteristiche più eterogenee. Alcune si muovono
sulla falsariga di quelle d’ufficio, altre sono prive di risposta alle domande (ad es. perché
non conosciute), altre ancora sono articolate a mo’ di commento alla perizia d’ufficio.
I. Lo scambio di perizie
Non esiste una prassi univoca in tutti i tribunali in relazione allo scambio di queste
perizie.56 Le soluzioni proposte sono le più varie: alcuni giudici consentono lo scambio
contemporaneo delle perizie e permettono che entrambi i periti rispondano; altri fanno
conoscere la o le57 perizie di parte al perito d’ufficio, che quindi stenderà un’unica
perizia; altri agiscono in modo diametralmente opposto; altri permettono solo le risposte
del perito ex officio; alcuni infine in presenza di una perizia d’ufficio e una successiva
perizia privata divergente, chiedono l’intervento di un peritiore.58
Molto dipende dalla “sensibilità” dei singoli giudici, dalle difficoltà delle cause, dal
grado di conflittualità tra le parti, tutti fattori che impediscono non solo di individuare
una prassi comune, ma anche di ipotizzare preventivamente e presuntivamente quale sia
quella più opportuna. Ciononostante sinteticamente si può dire che il perito d’ufficio ha
il diritto di conoscere le perizie private, così come i periti di parte hanno il diritto di
55
Peorien c. Erlebach 15.12.2005.
56
Le indicazioni emerse dai lavori preparatori che si esprimevano negativamente in merito alla possibilità di
presentare una perizia di parte sulla perizia d’ufficio, sono state costantemente contraddette dalla
giurisprudenza rotale: Militen c. Bruno decr. 18.7.1986; Mediolanen c. Bruno decr. 10.10.1986, Bogoten c.
De Lanversin decr. 27.7.1989 e dalla prassi dei tribunali inferiori.
57
Potendo essere presentate sia dall’attore che dal convenuto.
58
Romana c. Boccardelli 7.6.2001.
conoscere la perizia d’ufficio.59 Si noti però che il tribunale siculo generalmente
respinge la perizia privata svolta a modo di commento di quella ex officio, sulla base
della considerazione che il perito di parte ha assunto il ruolo di superperito che non gli
compete.
J.
La recognitio peritiae
Nel suo ultimo articolo il prof. Arroba parla della recognitio peritiae come di una
splendida occasione … mancata. Non potrei essere più d’accordo.
Premetto innanzitutto che la recognitio è un atto pressoché sconosciuto nei tribunali
stranieri. In tante cause giunte da tutto il mondo e affidate al mio studio negli ultimi 45
anni, io ne conosco una sola, proveniente dal tribunale ecclesiastico di Frampol, in cui il
giudice ha chiamato il perito per una formale recognitio.
Nei tribunali italiani il discorso non è molto diverso. La recognitio viene spesso “saltata”
come atto superfluo o ridotta ad un mero atto formalistico di “riconoscimento”.
Presso la Rota Romana, invece, la recognitio è un atto complesso. Vengono convocati i
patroni e il difensore del vincolo, si presentono domande articolate, che possono
addirittura essere previamente sottoposte al perito stesso, affinché sia preparato,
soprattutto nel caso in cui le contestazioni siano anche di natura tecnica.
Più interessante, per la presente trattazione, è la prassi instaurata da taluni giudici, ad
esempio nel tribunale di appello del vicariato, in quello sardo o in quello pugliese,
secondo la quale non solo si procede ad una recognitio articolata, con domande preparate
dal giudice, ma addirittura si procede ad un confronto tra perito ex officio e perito di
parte.60 L’unica lamentela, al riguardo, è che non sempre sono convocati i patroni e c’è
quindi una sorta di escussione a “porte chiuse”, che potrebbe ledere il diritto di difesa di
una o entrambe le parti e portare dunque ad una querela nullitatis.
5. La valutazione della perizia
Se si chiede ad un giudice che valore dia alla perizia d’ufficio e a quella di parte, la risposta
è sempre la stessa: la perizia ha una grandissima importanza, ma la decisione è del giudice. Il
concetto è esplicitato in moltissime sentenze sia rotali, che dei tribunali italiani regionali.61
Allo stesso modo, se gli si chiede a quale dia maggior credito la risposta sarà sempre che
bisogna valutare quale perizia sia meglio motivata e soprattutto quale sia fondata sugli atti.
Una prassi circa la valutazione della perizia, quindi, apparentemente non c’è.
In realtà, se poi si “spigola” tra una sentenza e un decreto, vediamo che c’è un filo
conduttore al quale si lega l’agire dei singoli giudici.
Presso la Rota, ad esempio, non sono mancati ponenti che hanno detto espressamente che
quando le conclusioni dei periti sono divergenti, tenuto conto del favor matrimonii, bisogna
59
Meliten c. Bruno decr. 18.7.1986; Mediolanen decr. 10.10.1986; Bogoten c. De Lanversin decr, 27.7.1989.
60
Possibilità garantita dal codice per il confronto di due o più testimoni.
61
Più raramente in quelli stranieri.
preferire la soluzione pro vinculo;62 altri hanno dichiarato espressamente doversi preferire le perizie
d’ufficio a quelle private, sulla base di un certo “sospetto” verso quest’ultime,63 altri ancora
affermano come sia incredibile che il giudice non creda al perito da lui stesso nominato.64
La stessa “prevenzione” si riscontra spesso tra i giudici dei tribunali inferiori, che in alcuni
casi arrivano a parlare di “commistione” tra il perito privato e la parte.65 Opinione fatta propria
anche da taluni periti ex officio.66
Non mancano però i casi in cui i giudici, nonostante questo “disprezzo” del perito d’ufficio,
preferiscono accettare le argomentazioni e le conclusioni del perito di parte67 e addirittura c’è chi
“teorizza” una maggiore attendibilità della perizia privata nel caso in cui il perito di parte abbia (o
abbia avuto) un rapporto professionale continuato con la stessa (nei casi cioè in cui sia, o sia stato,
psicoterapeuta della parte)68 o quando dimostri che la perizia è frutto di più visite peritali o quando
solo il perito privato abbia potuto visitare personalmente la parte.69
Così come si nota, a torto o a ragione, anche in questo campo, una certa “sudditanza
psicologica” nei confronti di alcuni periti che, seppur nel caso privati, sono considerati delle
autentiche autorità sul tema.
In ogni caso negli ultimi anni, anche tra coloro che pregiudizialmente riconoscono maggiore
attendibilità alla perizia d’ufficio, si è arrivati a dare una grande importanza alla perizia di parte,
che in un certo senso “costringe” il perito ex officio ad argomentare e motivare meglio le proprie
conclusioni e lo induce, attraverso un autentico contraddittorio, a ricercare meglio la Verità.
Concludendo:
L’unica prassi, tecnicamente parlando, che si era venuta a creare nei tribunali italiani dopo il
1983 è quella ora codificata dall’art. 209 della Dignitas Connubii.
Tutto il resto, ivi compreso il dialogo tra perito d’ufficio e perito di parte, è lasciato alla più
ampia discrezionalità e autonomia dei Moderatori dei Tribunali, dei singoli giudici e soprattutto dei
periti. Se questo sia un bene lascio a Voi l’ardua sentenza.
62
Burdigalen c. Ewers 27.6.1981.
63
Patavina c. Fiore 11.3.1981; Burdigalen c. Ewers 27.6.1981; Taurinen c. Pinto 20.11.1981
64
Pragen c. Faltin 5.6.2011.
65
Kalaritana seu Templen Ampurien c. Buccero 21.5.2013.
66
È il caso della prima perizia ex officio nella Beneventana c. Carlesimo 26.6.2013, particolarmente
offensiva nei confronti del perito di parte attrice “reo” solo di essere parente del patrono dell’attore.
67
Beneventana c. Carlesimo 26.6.2013 (primo grado: addirittura 2 perizie d’ufficio negative ed una perizia di
parte affermativa). La sentenza merita di essere letta.
68
Bonaeren c. Faltin 11.10.2000.
69
Romana c. Boccardelli 7.6.2001; Romana c. Terragni 7.6.2001.
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avv. Alessia Gullo