pretesti
Occasioni di letteratura digitale
Lo Young Raja
della Murgia e la
setta delle Lady in
Black alla conquista
di Hollywood
di Gaetano Cappelli
‘Ala Al-Aswani,
punta di un iceberg
in pieno deserto?
di Paolo Branca
Come si guarda
un quadro
di Philippe Daverio
Minotauri
Dicembre 2011 • Numero 3
1
di Nicoletta Vallorani
pretesti | Dicembre 2011
I TUOI LIBRI SEMPRE CON TE
E UN’INTERA LIBRERIA A DISPOSIZIONE
APERTA 24 ORE SU 24!
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Editoriale
Chi ha detto che l’approccio al digitale debba essere soltanto di tipo visuale? Certo la grafica conta, l’impatto delle immagini ha cambiato la nostra percezione media della bellezza,
i caratteri testuali stessi sono diventati immagini digitali. Se consideriamo tutto questo dovremo anche mettere in conto di dare ragione a studiosi come Eric A. Havelock che ritenevano che una cultura dell’oralità e dell’immagine impoverisse la parte razionale dell’uomo.
Quindi, secondo questa teoria, tanto più la nostra cultura diventerà una cultura del digitale
visuale, tanto più ci impoveriremo di razionalità.
Con i due racconti di Gaetano Cappelli e di Nicoletta Vallorani vi vogliamo dimostrare il
contrario. Anzi saremo sicuri di farvi ridere (Cappelli) e piangere (Vallorani) attraverso un
testo-immagine che è testo e immagine di mondo nello stesso tempo. Se provate a leggere
ad alta voce il vernacolo pugliese di Cappelli vi scoprirete tutti a parlare pugliese. Se ascoltate l’infermiera ucraina della Vallorani avrete un tuffo al cuore di quelli che si provano
quando a una richiesta d’aiuto vi viene risposto “no”.
L’iPad o il PC dunque vi possono aprire un mondo che non sia soltanto immagine indotta
(un video o una foto), ma anche e soprattutto un’immagine che vi si può produrre nel cuore
e nella mente, un’immagine vostra, tante immagini da un solo testo quanti siete a leggere
questo numero di PreTesti.
E impareremo con Philippe Daverio a leggere un quadro e con Paolo Branca a leggere gli
eventi attualissimi dell’Egitto in fermento. E con Il mondo dell’ebook grazie a Daniela De
Pasquale incontreremo gli scrittori che tutto questo nuovo modo di produzione di mondi
stanno scoprendo e grazie a Roberto Dessì potremo confrontare i nostri desideri tecnologici
del Natale con quelli dei nostri connazionali.
Ricorderemo Alexandre Dumas in Buona la prima con Francesco Baucia e Raffaella Setti per
l’Accademia della Crusca ci aiuterà a orientarci in una lingua di condivisione piuttosto che
di divisione (migranti e NON clandestini).
Viaggeremo con Kant nella sua Königsberg e entreremo nella cucina di Nero Wolfe.
Tutti questi testi, per voi, cari lettori: che il Natale vi porti nuovi mondi.
È il nostro augurio per il 2012 e il nostro impegno.
Buoni PreTesti a tutti.
Roberto Murgia
3
pretesti | Dicembre 2011
Indice
TESTI
IL MONDO
DELL’EBOOK
RUBRICHE
05-11
Racconto
Lo Young Raja
della Murgia e la setta delle
Lady in Black alla conquista
di Hollywood
di Gaetano Cappelli
26-29
Gli scrittori al tempo
degli eBook
di Daniela De Pasquale
33-34
Buona la prima
Alexandre Dumas
Auguste Maquet
I tre moschettieri (1844)
di Francesco Baucia
12-17
Saggio
‘Ala Al-Aswani, punta di un
iceberg in pieno deserto?
di Paolo Branca
30-32
Un Natale a tutto eBook
di Roberto Dessì
35-37
Sulla punta della lingua
Immigrato, migrante,
clandestino, fuorilegge:
tutti uguali?
di Raffaella Setti
18-20
Anticipazione
Come si guarda un quadro
di Philippe Daverio
38-40
Anima del mondo
Ogni città è un mondo
di Luca Bisin
21-25
Racconto
Minotauri
di Nicoletta Vallorani
41-44
Alta cucina
Pochi grandi cuochi, pochi
grandi scrittori
di Francesco Baucia
45
Recensioni
46
Gli appuntamenti
47
Tweets / Bookbugs
4
pretesti | Dicembre 2011
Racconto
Lo Young Raja
della Murgia e la
setta delle Lady in
Black alla conquista
di Hollywood
di Gaetano Cappelli
5
pretesti | Dicembre 2011
Q
uante volte si sente dire: s’è
trovato al posto giusto nel
momento giusto? Già, ma uno
deve pure saperci restare al
posto giusto prima che tutti, e probabilmente lui per primo, se ne accorgano che
proprio di questo si trattava, perché inizialmente era tutt’al più un posto qualsiasi, se non addirittura un posto di merda,
tipo quello occupato da Vittor Ugo Landi
nel momento in cui questa storia ha inizio.
Ma osserviamolo più da vicino.
Sono le 9.30 di un giorno qualsiasi e come
ogni mattina, da tre lunghi anni, Vittor
Ugo ci è appena entrato: è la grande sala
al piano basso d’un convento ma, tranquilli, lui non è un monaco. Landi si trova nel
convento di Santa Chiara di Castellaneta, il
paese della Murgia dove è nato e da dove
ha cercato in tutti i modi di scappare, perché è proprio lì che il comune ha aperto il
museo dedicato al suo più insigne cittadino: ehi, si sta parlando del leggendario Rodolfo Valentino! Certo a qualcuno la scelta
di intitolargli un luogo sacro apparirà infelice ma Valentino, a suo modo, è pur stato
una divinità ‒ il dio del fascino, della seduzione, del tormento erotico ‒ e continua
ad esserlo perché, se durante la gran parte
dell’anno il museo rimane per lo più deserto, già dalla primavera ‒ e adesso siamo in
primavera ‒ eccolo popolarsi di nuovo.
Americane, in genere donne ma anche maschi, soprattutto gay, ma anche coppie che
arrivano dai lussuosi resort lì intorno. Entrano in punta di piedi con gli occhi sgranati, carezzano i manichini con i costumi del
romantico principe Ahmed dello Sceicco, o
dell’infelice torero Juan di Sangue e arena,
6
o del tormentato studente Armand nella Signora delle Camelie. Si fermano poi in
religioso silenzio davanti al letto del divo
amato dagli dei ‒ come si dice dei prescelti
che trapassano da giovani e figurati il contrario! ‒ piangendone disperate la morte
prematura. Per non dire di quelle che si
presentano bardate a lutto, con lunghi svolazzanti veli neri.
Della prima che, mentre Victor Ugo raccontava della misteriosa “dama in nero”
che dalla scomparsa del divo continuò a
portare fiori sulla sua tomba ogni giorno
per anni, gli aveva confessato: “I’m just the
Lady in Black”, ovvero: sono proprio io la
dama in nero, Vittor Ugo ha pensato fosse una pazza. Se ne è sempre più convinto
quando lei, dopo avergli messo in mano
una busta piena di dollari, l’ha implorato
d’indossare l’abito di scena de I quattro cavalieri dell’Apocalisse e se lo è tirato in sella
sul letto che fu dell’innocente Rudy-ragazzino, guaiendo: “Fuck me fuck me Valentino”, prima d’essere messo al corrente che,
queste donne in nero, sono in realtà una
specie di setta che da quasi novant’anni
continua devotamente ad adempiere, giorno dopo giorno, a quel pietoso rito floreale.
Non sono le uniche... che gli chiedono d’essere consolate, dico; né mancano richieste
maschili in tal senso ‒ inevase va precisato. Vittor Ugo è infatti quello che si dice un
gran bel manzo.
Non a caso il suo sogno era fare l’attore e
non s’è limitato a sognarlo. Ha studiato, ha
lavorato, ha brigato ma... giusto qualche
particina, poi il nulla. Così, alla morte della
madre che sognava per lui una carriera artistica ‒ sennò perché imporgli quel nome?
pretesti | Dicembre 2011
‒ e l’ha mantenuto fino alla fine, per Vittor
***
Ugo è già stato un miracolo se il sindaco
Deependha Bath è un gay di Bombay ‒ un
di Castellaneta, vecchio amico di famiglia,
khush di Mumbay come lì dicono ‒ nonché
gli ha offerto questo posticino con doppia
un vero scherzo di natura. Basso e sottile
mansione di guida e custode. Certo se solo
dispone di estremità davvero spropositapensa a quanto s’è dite: naso, orecchie, mani,
sperato per togliersi
piedi e... Anche le mani
stu chezz d’accend ‒ sì,
certo, così grosse sono l’icontinua a pensare in
deale per il suo mestiere. Si
castellanetano ma per
tratta infatti di un maestro
il resto la sua dizione
nel massaggio ayurvedico,
è perfetta ‒ se solo ci
molto ricercato tra i resort
pensa dicevo, diventa
della zona che ogni anno si
verde dalla rabbia.
disputano lui e il suo staff
Ma ti pouteev anda’
con contratti principeschi.
peeggio ti pouteev, sente
Nato poverissimo Deepenla sua coscienza verdha può permettersi oggi
Valentino,
a
suo
modo,
nacolare ripetergli, mo’
quello che vuole... o quasi:
dopotuutt pur Valendiin è pur stato una divinità con Vittor Ugo, per esem– il dio del fascino,
all’inizio facev il sgicopio, non c’è nulla da fare.
della seduzione, del
lò... eppoi sei semb nel
Innamoratosene a prima
mond del cineem sei, e da
vista, per averlo gli ha oftormento erotico
cousa nasce cousa.
ferto cifre inverosimili ma
“Mavaffanculo” le risponde ad alta voce
su quel versante l’attore fallito, come detVittor Ugo mentre dall’ingresso gli fa eco
to, non cede così Bath deve accontentarsi
un festoso: “Good morning!”
di massaggiarne lo splendido corpo ‒ senÈ una bionda Wasp. E anche se non è in graza prender soldi, ovviamente ‒ e gli piace
maglie, da come si muove e lo guarda be’, al
farlo predicendogli chissà quali successi
suo alter ego cafone che di nuovo gli ripete
dal momento che si picca d’essere inolti pouteev anda’ peggio ti pouteev non ha nulla
tre mago e indovino. Vittor Ugo si diverte
da obiettare. È infatti primavera, l’abbiamo
ad ascoltarne, con gli occhi chiusi, la voce
detto. La stagione turistica è iniziata. Le inmelodiosa mentre, sul sottofondo di sitar,
cantevoli masserie e i resort intorno hanno
sarangi e tabla, Bath gli lascia colare una
aperto e quas quas staseer me lo ved a fermeel
miscela d’olio caldo al sandalo sulla fronte
propp nu bell masseeggio, pensa mentre ragmandandolo in estasi, per poi ungerlo tutgiunge la bionda dicendo: “Benvenuta nel
to, giù giù fino all’inguine e in quella zona
tempio del grande Valentino, l’uomo che le
indugia, distraendolo con predizioni semdonne non smetteranno mai d’amare!”
pre più strabilianti che mai s’avverano.
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pretesti | Dicembre 2011
“Allora mai dìar Victor Hugò, io veda granta scianz for iiu... ma proprio rìaly verely
sciantz, viccina viccina.”
“Aaaghh” sbadiglia Vittor Ugo. “Deependha è da quando ci conosciamo che me lo
dici ma niente succede...” e come al solito
gli scosta la mano dalla zona topica, appena coperta dal minuscolo tanga.
Ma Deependha Bath insiste... con la predizione. Il fatto è che, questa volta, ha un asso
nella manica. Su quello stesso lettino ha appena finito un trattamento ad Hariprasad
Sharma ed è tutto eccitato. Mannò mannò,
cosa andate a pensare: Sharma è uno scorfano puzzolente
e Bath è solo con
chi è innamorato che ci prova...
e allora? Allora
Hariprasad è uno
dei più famosi registi indiani che,
seguendo quella che per Bolly‑
wood sembra ormai una moda,
è venuto a girare uno dei suoi capolavori
pure lui in Puglia. Così mentre lo massaggiava Bath gli ha raccontato come proprio
a qualche chilometro da lì abbia visto la
luce Valentino e del museo in suo onore, e
il regista gli ha risposto entusiasta che sicuro va a vederlo.
Questo particolare certo non lo riferisce a
Vittor Ugo: preferisce che la faccenda sia
imputabile alle sue facoltà paranormali
tantopiù che con Hariprasad s’è giocata
un’ulteriore carta.
Mentre infatti, col movimento oscillatorio
8
della Dhara Patra, l’ampolla piena d’olio
caldo, lasciava scivolarne il contenuto sulla
fronte del puzzone, esattamente in mezzo
alle sopracciglia, lo spazio del terzo occhio,
portandolo così in uno stato di semi-trance
gli ha sussurrato sottovoce più volte, a un
livello talmente basso da risultare subliminale: “Vavetilapiù Valentino”, che in hindi
significa “reincarnazione di Valentino”.
Ora se è vero che ha compiuto lo stesso rituale su Vittor Ugo ‒ sussurrandogli parole irripetibili ‒ senza nessun risultato, è
anche vero che la speranza è l’ultima a morire, infatti così rintuzza il suo adorato:
“Nonnò, esta volta Victor tu vedi
io ragione... posso
giocare mille euro
contro tuo tantric
embras...” e gli
tende tra il pollice
e l’indice l’elastico
del tanga “... uan
o tu deis al maxìm
e greit regista di
Bollywood vieeni
qui in Castellaneita e prende tu in suo film,
iu bet?... scommetti?”
Bath l’ha sparata talmente grossa che Vittor Ugo gli risponde ridendo: “D’accordo!,
a patto però che mi fai concludere anche in
amore.”
“Ma mai dìar, generally funzionano tughetar... inzieme no?”
Be’ sì, pensa Vittor. Se invece dello sfigato che è fosse una star del cinema, Monia
dell’Osso, figlia di Adalberto dell’Osso,
proprietario dell’omonima masseria-resort
extralusso, l’unica che veramente gli fa bat-
pretesti | Dicembre 2011
tere il cuore ‒ lei, non la masseria ‒ sicuro
del mio Young Rajah, il Valentino rinato”.
mollerebbe il fidanzato Vitomaria CarmaQuello che Sharma non ha detto è che, ingnola, truzzo ma latifondista. Gli sguardi
filandosi nel museo chiuso per la pausa
trattenuti di lei glielo dicono. Glielo dice il
pranzo, Vittor Ugo se l’è visto davanti già
modo che ha di sospirare ogni volta che si
travestito da “Young Rajah”, in quanto stafermano per quattro chiacchiere nella zona
va incaprettandosi una Lady in Black sebsauna, sorbendo una tisana diuretica al fibene priva di veli... su certe cose meglio
nocchio.
piuttosto stendercelo un velo. E comunque
Così incalza Deependha Bath, sfotticchianla profezia di Deependha Bath s’è poi avdolo: “Ma solo se anche
verata anche nella sfeMonia dell’Osso mi vorra sentimentale.
Già dalle prime scene
rà, eh.”
“Lav en lavor vanno tu***
di Young Rajah passate
gheta e preisto tu avrai
in preview, Vittor Ugo Abbiamo dunque assigranda scianz. Parola di
si è ben accorto infatti stito alla trasformazioDeependha Bath!”
ne alchemica del podi quanto Hariprasad
“Come no!” dice scettisto qualunque, anzi di
Sharma
sia
cane:
che
co Vittor Ugo e invece
merda, in quello giupuoi aspettarti del
ecco cosa Hariprasad
sto? Qualche dubbio
resto da un regista di
Sharma dichiara appena
resta e proprio a Vittor
Bollywood?
un mese dopo a Variety:
Ugo in primis.
“Sono un grande amSì certo, è adesso il fimiratore del leggendario Valentino, anzi
danzato ufficiale di Monia dell’Osso che,
ho sempre sognato di riportare nelle sale
per lui, ormai quasi famoso, ha lasciato
il suo film ‘indiano’ Young Rajah, di cui ci
quel truzzo di Vitomaria Carmagnola. Ma
sono giunti solo pochi fotogrammi. Ma sanon è stata troppo veloce la sua decisione
rebbe probabilmente restato solo un sogno
e coincidente con l’articolo su Variety e i
se Bollywood non avesse scoperto quella
successivi inviti dell’attore a TeleGold Pumeravigliosa terra che è la Puglia. Così,
glia, TeleTrullo e, soprattutto, a TelePadrecome prima i miei colleghi, sono andato a
Pio perché si possa parlare di vero amore?
girarci anch’io quando una sera, qualcuE questo poi è solo uno dei tarli che imno in albergo, mi ha riferito una cosa che,
pediscono a Vittor Ugo d’essere finalmente
non so come, avevo dimenticato e cioé che
felice.
Valentino è nato proprio non lontano da
C’è inoltre la circostanza che avendo lui
dove mi trovavo, cioè a Castellaneta. Poi,
pagato, da uomo di parola qual è, la sua
nel primo sonno, ho sentito questa voce.
scommessa a Deependha Bath, be’ ha troDiceva che vi avrei trovato la sua reinvato la faccenda tutt’altro che spiacevole…
carnazione. Ed è stato così che ho scoperanche se i dubbi sulla sua sessualità svato Vittor Ugo Landi, l’interprete perfetto
niscono davanti alla circostanza che Vittor
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pretesti | Dicembre 2011
Ugo, ultimamente, non fa che pensare a
Sondra May, ovvero la Lady in Black con
cui è stato scoperto da Hariprasad in quel
fatidico giorno, al museo, e che è tornata
ad aggirarsi come un’anima in pena, insieme a un gruppetto di altre consorelle nere,
intorno al set. E tutte, dopo le dichiarazioni di Hariprasad Sharma, sono sempre più
convinte di quello che, come dimostrato
dai loro pellegrinaggi erotici, erano state le
prime a intuire e cioè che Valentino si sia
Sono nel salone tappezzato
di radica e seta del Divine
Rudy, il veliero di lei che
gli sospira: “Finailmente
tugheta Valentino!... io sono
proprio la reincarnescion di
Natasha Rambova”
reincarnato proprio nel giovane attore...
l’unico dubbio che hanno riguarda proprio
il film in lavorazione, e questo è anche il
terzo e più insinuante dei tarli che angustiano il novello Rudy. Già dalle prime
scene di Young Rajah passate in preview,
Vittor Ugo si è ben accorto infatti di quanto Hariprasad Sharma sia cane: che puoi
aspettarti del resto da un regista di Bollywood? Essì, perché se ne parla tanto ma,
tolto qualche balletto ‒ oh, visto uno visti
tutti ‒ quel cinema, con le sue storie patetiche, le canzonette melense, gli attorini da
filodrammatica di paese, non è poi diverso
dalle sceneggiate di Merola o dal turpe filone conseguente a Nu jeans e na maglietta.
Certo uno sfigato come Vittor Ugo che, fino
10
a pochi mesi prima, faceva il custode-gigolò neanche dovrebbe crearselo un problema simile ma, s’è detto, si tratta del classico
tarlo e così è con animo tutt’altro che lieve
che il nascente astro della cinematografia
globale si accinge a girare l’ultima scena e
lo guarda Hariprasad, guarda i suoi baffi
da giostraro sulla sua faccia da giostraro,
lo guarda dirigere anche come un giostraro
e mentre con un grosso sospiro sente il castellanetano dentro lui dirgli comungue nel
mond del cineem sei entraad e da cousa nasce
cousa, si prepara ad essere rapito dagli emissari del raja nemico del padre del giovane
raja, che lo hanno scoperto, in vacanza, nel
resort pugliese, ma c’è qualcosa... la scena
è talmente perfetta che non sembra proprio
opera di Sharma. Quando poi uno degli incappucciati prelevandolo sull’ingresso della masseria dell’Osso ‒ scelta ovviamente
come set del film ‒ gli dà una vera botta in
testa, Vittor Ugo si dice: “E ci chezz, trooòpp
perfeett!” e perde i sensi.
I rapitori sono infatti veri e, di conseguenza, il rapimento anche: dei balordi assoldati
da quell’imbelle di Vitomaria Carmagnola,
che per i loro quindici minuti di celebrità
hanno scelto di asportarsi Vittor Ugo proprio durante le riprese, e stanno adesso
inoltre per ucciderlo, visto che l’attore ne
ha riconosciuto uno ‒ il compagno di scuola cosiddetto “Scannagatti” per la pratica
prediletta di quei tempi: cosa aspettarsi
quindi da un simile deficiente? ‒ quando
nella casupola irrompono le Lady in Black,
con una mezza dozzina di body guard armate fino ai denti. Prima di beccarsi un’ulteriore botta in testa Vittor Ugo fa in tempo a vedere Sondra May, la sua preferita,
pretesti | Dicembre 2011
e adesso che riapre gli occhi se la trova accanto mentre una dolce brezza marina gli
carezza la fronte.
Sono nel salone tappezzato di radica e seta
del Divine Rudy, il veliero di lei che gli sospira: “Finailmente tugheta Valentino!... io
sono proprio la reincarnescion di Natasha
Rambova” ‒ laddove la Rambova fu una
delle mogli del grande amatore, nonché la
creatrice dei costumi indimenticabili del
Young Rajah.
Prima che il Divine Rudy abbandoni il Mediterraneo, Vittor Ugo fa in tempo a vedere una serie di notiziari che parlano di lui,
nonché un’intera puntata di Chi l’ha visto
sulla sua scomparsa, ma a tornare in Italia proprio non ci pensa. Sondra May sarà
anche un po’ pazza ma è innamoratissima nonché la nipote amatissima di Ralph
Fitzmaurice Henaberry III, il tycoon proprietario della Tentacular Movies che da
Hollywood gli ha appena proposto, via
skype, di girarlo invece per la sua casa di
produzione il nuovo Young Rajah e il nuovo Valentino si trova del tutto d’accordo
con il suo alter ego che, in castellanetano
stretto, ha sentenziato vuoi meet Hollywood
co’ Bollywood, vuoi meett: contr au maiour u
minour è cess!
Hollywood! eccolo dunque davvero il posto giusto e Vittor Ugo sta finalmente per
raggiungerlo.
foto di Ada Masella
Gaetano Cappelli
Gaetano Cappelli è nato nel 1954 a Potenza. Ha pubblicato, tra gli
altri: Floppy disk (Marsilio 1988), Febbre (Mondadori 1989), Mestieri
sentimentali (Frassinelli 1991), I due fratelli (De Agostini 1994),
Errori (Mondadori 1996), La vedova, il Santo e il segreto del Pacchero
estremo (Marsilio 2008, premio Ernest Hemingway). I suoi libri
Storia controversa dell’inarrestabile fortuna del vino Aglianico nel mondo
(Marsilio 2007), Parenti lontani (Marsilio 2008, premio John Fante),
Canzoni della giovinezza perduta (Marsilio 2011) e Baci a colazione
(Marsilio 2011) sono disponibili in ebook da Biblet.
Disponibile su www.biblet.it
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pretesti | Dicembre 2011
Saggio
‘ALA AL-ASWANI, PUNTA
DI UN ICEBERG IN PIENO
DESERTO?
Conoscere l’Egitto attraverso la letteratura
di Paolo Branca
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pretesti | Dicembre 2011
E
gitto: terra incognita
Qualche anno fa capitava abbastanza spesso che le trasmissioni
della televisione italiana fossero
inframezzate da spot pubblicitari che reclamizzavano l’Egitto come meta
ideale per viaggi turistici. Le stupende immagini delle coste del
Mar Rosso si alternavano a quelle
delle Piramidi e dei resti archeologici dell’epoca faraonica, come
pure a quelle della Cittadella del
Cairo o di altri famosi monumenti
islamici. Dopo l’11 settembre 2001
in tutto il Medio Oriente il turismo
ha attraversato un brutto momento e gli spot televisivi si sono a
lungo interrotti, per riapparire più
di recente pubblicizzando però
solamente le località balneari sotto lo slogan “Red Sea Riviera”...!
Non mi è difficile capire il motivo
contingente di tale cambiamento,
ma mi chiedo se questo fenomeno non sia
anche un segnale preoccupante di portata
più generale. La società moderna è caratterizzata dalla diffusione su larga scala di
una gran quantità di informazioni, talmente abbondanti da renderne quasi impossibile la ricezione da parte dei destinatari.
Credo si possano tuttavia imparare molte
cose anche riflettendo su quello che manca,
sulle informazioni cioè che non vengono
date o che rimangono accessibili soltanto a
pochi. Questa assenza è spesso significativa e diventa di capitale importanza quando
si tratta di paesi, tradizioni e culture differenti, poco note nei loro dettagli al di fuori di ristrette cerchie di specialisti. Sul web
13
una ricerca di volumi aventi come soggetto
l’Egitto fornisce quasi esclusivamente titoli riguardanti l’epoca dei Faraoni o guide
turistiche, mentre sono rarissimi i libri relativi all’Egitto moderno! Se pensiamo che
l’Egitto è uno dei più importanti paesi arabi
e il più popoloso non possiamo che constatare quanto grave sia la situazione.
Si parla tanto di globalizzazione e il tema
dell’incontro tra differenti culture e civiltà
è tra i più discussi in occasione di conferenze e convegni, ma gli strumenti di base
necessari alla conoscenza del mondo arabo, della sua realtà e della sua storia, come
si vede, scarseggiano. Facendo una ricerca
analoga a proposito di altri paesi, come la
Giordania o la Siria, la Tunisia o il Marocco... l’esito non cambia di molto. Eppure,
nelle nostre città la presenza di molti immigrati arabi è tutt’altro che irrilevante. Nella
sola Milano vi sono numerosi centri islamici
pretesti | Dicembre 2011
e gli egiziani sono numerosissimi, i soli copti
citate. I volumi che compongono la Storia
vi hanno più chiese, un vescovo e un condella letteratura araba di Francesco Gabrievento di monaci: si parla di migliaia di perli o di Paolo Minganti (quest’ultimo ausone che si trovano fra noi ormai da molti
tore anche dell’unico libro italiano storico
anni, i cui figli frequentano le nostre scuole e
sull’Egitto moderno per circa quarant’anche spesso gestiscono negozi e ristoranti nei
ni... lacuna recentemente colmata da un voquali gli italiani si recano regolarmente.
lume di Massimo Campanini), sono ormai
Le prime pagine dei nostri giornali, poi,
introvabili ‒ dato che risalgono agli anni
sono quasi quotidianamente occupate da
Cinquanta e Sessanta ‒ e non sono stati searticoli che hanno a che fare con il Medio
guiti da altre pubblicazioni del medesimo
Oriente e il mondo arabo-musulmano. È
argomento e di pari livello.
naturale che tali articoli
riguardino soprattutto
La letteratura: una feliSul web una ricerca
eventi politici e fatti di
ce eccezione
di volumi aventi
cronaca. Non è infatVa detto, però, che il
ti compito della stamquadro negativo finora
come soggetto
pa approfondire e forl’Egitto fornisce quasi tracciato è dovuto prinnire sistematicamente
cipalmente alla politica
esclusivamente titoli
ragguagli storici o altri
delle case editrici, menriguardanti
l’epoca
dati che sono tradiziotre non manca l’interesdei
Faraoni
o
guide
nalmente reperibili in
se da parte del pubblico.
turistiche
pubblicazioni di genere
C’è un settore in cui fordifferente. Il fatto è che
tunatamente e con inqueste ultime sono ancora insufficienti o,
telligenza si è saputo approfittare di alcuper certi aspetti, mancano del tutto, così chi
ne circostanze favorevoli per dare impulso
desidera saperne di più deve purtroppo rialle pubblicazioni in materia: è quello della
volgersi alle biblioteche, dove per fortuna
letteratura contemporanea.
si trovano alcune opere anche di ottimo liLo spartiacque è stata dall’assegnaziovello, ma ormai non più reperibili sul merne del Premio Nobel per la Letteratura a
cato, e ‒ nei casi peggiori ‒ ci si deve doNaghib Mahfuz, nel 1988. Le traduzioni
cumentare attraverso libri in altre lingue:
di narrativa araba in italiano, che dall’inisoprattutto inglese e francese. Se poi parzio del secolo fino a quell’anno erano state
liamo di testi specialistici da consultare per
poco più di una ventina, dopo quella data
approfondimenti, la conoscenza di queste
hanno superato il centinaio. Molti sono tidue ultime lingue diventa indispensabile,
toli di Mahfuz, ma anche numerosi altri
per cui la prima domanda che pongo agli
autori egiziani e arabi sono stati finalmenstudenti che vogliono fare una tesi di laute resi accessibili oltre a lui e, cosa molto
rea è appunto quella relativa alla loro paimportante, non ci si è più accontentati di
dronanza di almeno una delle due lingue
partire da traduzioni inglesi o francesi, ma
14
pretesti | Dicembre 2011
si sono prese le mosse dai testi originali
in arabo. La letteratura, come anche altre
forme d’arte quali la musica, è portatrice
di valori universali, ma nello stesso tempo è profondamente legata all’ambiente
in cui nasce. Di conseguenza, la narrativa
supplisce spesso alle carenze di altri settori editoriali, offrendo un accesso diretto
alle tradizioni, alle idee-chiave, ai problemi del mondo di cui essa è espressione.
Se ciò vale in generale, per la cultura araba è ancor più vero, dato il “logocentri-
Le prime pagine dei
nostri giornali sono quasi
quotidianamente occupate
da articoli che hanno a che
fare con il Medio Oriente e il
mondo arabo-musulmano
smo” che caratterizza tale civiltà, la quale
si esprime al meglio e più compiutamente
laddove la lingua ricopre il ruolo di mezzo di espressione privilegiato delle sue radici più profonde. Dobbiamo quindi essere grati a quanti, ormai da anni, si stanno
dedicando con passione a questo delicato
e importante compito. Essi stanno infatti contribuendo al superamento di quella
che potremmo chiamare la “deriva esotista”, paradossalmente ancora incombente
sulle pubblicazioni che riguardano le civiltà orientali. Anche se, rispetto all’Estremo
Oriente, il mondo arabo è geograficamente
meno distante dal nostro, nell’immaginario
collettivo esso mantiene un persistente carattere di esoticità che sembra resistere te15
nacemente alla riduzione degli spazi anche
culturali determinata dallo straordinario
incremento della circolazione di uomini e
idee nel “villaggio globale” contemporaneo. La diffusione degli stereotipi di questi “Orienti” più immaginati che realmente conosciuti è stata a lungo affidata alle
opere letterarie, cosicché la favolistica e i
romanzi d’avventura hanno rappresentato fino a non molto tempo fa lo strumento
principale attraverso il quale si forniva al
grande pubblico la ricostruzione di intere
civiltà in funzione dei suoi gusti e delle sue
aspettative. Anche le relazioni dei grandi
viaggiatori medievali più stimati per la loro
attendibilità non hanno saputo evitare di
attardarsi spesso nella descrizione di straordinarie “maraviglie” senza le quali i loro
resoconti sarebbero stati più realistici, ma
paradossalmente proprio per questo meno
credibili agli occhi dei lettori, mossi soprattutto dalla curiosità rispetto a un mondo
diverso e lontano. Analogamente gli scrittori dell’Ottocento, che cercavano soprattutto in Oriente la compensazione alle proprie nostalgie, avrebbero finito per offrire
anch’essi di questo universo un’immagine
essenzialmente funzionale alle esigenze dei
suoi osservatori e nella quale difficilmente
quanti vi erano ritratti avrebbero potuto
riconoscersi. Oggi la fortuna di questi generi letterari si è ormai molto ridotta e più
in generale l’immagine dei paesi lontani è
monopolizzata da strumenti di comunicazione diversi dal libro: stampa quotidiana
e periodica, audiovisivi e, soprattutto, televisione.
pretesti | Dicembre 2011
‘Ala al-Aswani
Di professione dentista, il romanziere egiziano contemporaneo ‘Ala al-Aswani (classe 1957) si è dedicato alla letteratura per pura passione... e con non poche difficoltà,
come testimoniano le sue esilaranti avventure riportate in
quella specie di surreale autobiografia artistica che è Se
non fossi egiziano (Feltrinelli, 2009). I personaggi realistici
ma poco gradevoli rappresentati nella sua opera prima gli hanno infatti causato notevoli
fastidi con la casa editrice pubblica che rifiutò alla fine di pubblicarla in quanto ritenuta
“denigratoria e disfattista” a causa dell’immagine che dava del Paese. A poco, infatti, sono
servite tanto le spiegazioni dello scrittore che tentava di chiarire all’ottuso burocrate di
turno che un autore non si identifica nei suoi personaggi, né ne approva necessariamente
il comportamento, quanto una sua paradossale (e inutile) lettera di “dissociazione” con
cui prendeva le distanze da taluni eroi della sua storia e ne condannava la condotta immorale... Date le premesse, finì per pubblicare a sue spese anche il famoso romanzo Palazzo
Yacoubian (Feltrinelli, 2006) che ebbe un enorme successo e dal quale venne poi tratto persino un film. Leggendolo, si capiscono benissimo le motivazioni che hanno indotto molti
a non incoraggiarlo nelle sue velleità letterarie: una catena di ingiustizie, forme di sopraffazione e corruzione che portano a un desolante quadro di decadenza morale e sociale
16
pretesti | Dicembre 2011
sono il filo conduttore di tutto il romanzo.
Evidentemente gli egiziani vi si sono riconosciuti e hanno premiato una forma di letteratura che aiuta almeno a rappresentare
le proprie miserie, con una segreta speranza che ciò possa indurre a qualche forma
di reazione salutare. Ancora più esplicito è
stato il romanzo successivo, intitolato Chicago (Feltrinelli, 2008) in onore della città
americana dove non solo l’autore ma anche molti altri egiziani hanno condotto e
conducono studi specialistici soprattutto
in medicina. Racconta, tra l’altro, l’incontro tra un neo-arrivato e una prostituta di
colore non più tanto giovane contattata
per telefono, che naturalmente si risolve
in un disastro, la relazione “complicata”
tra un giovane arabo e un’americana d’origine ebraica e persino le discriminazioni
che devono sopportare i copti, costretti ad
espatriare per poter raggiungere posizioni
professionali elevate non accessibili a loro
in madrepatria per motivi religiosi... Tutti
temi tabù esaltati dall’ambientazione occidentale della narrazione. Insomma, un
grande autore fuori dagli schemi, capace di
ritrarre in forma spietata i vizi di un paese a
cui tuttavia sente di appartenere e che ama
profondamente. Una serie di saggi, intitolata La rivoluzione egiziana (Feltrinelli, 2011)
del resto lo testimonia senza incertezza.
Pur avendola prevista e persino invocata,
la primavera di piazza Tahrir ha preso alla
sprovvista anche al-Aswani, che è uscito di
casa per parteciparvi restando per le strade
ben diciotto giorni, fino alla caduta di Mubarak, mentre troppi altri intellettuali del
Paese restavano prudentemente alla finestra. Significativamente ogni pezzo, pubblicato sui maggiori quotidiani nazionali
prima di finire in una raccolta in più volumi di cui l’edizione italiana è un concentrato, finisce con lo slogan: “L’unica soluzione è la democrazia” che riecheggia ma
al tempo stesso contesta il leit-motiv dei
religiosi: “L’islam è la soluzione”, del tutto assente nelle manifestazioni che hanno
portato al tramonto del vecchio regime ma
ora rimontante subdolamente con gli esiti
delle elezioni svoltesi in pieno inverno.
Paolo Branca
Paolo Branca insegna Lingua e letteratura araba all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Ha tradotto il romanzo Vicolo del
Mortaio di Naghib Mahfuz (Feltrinelli 1989) e ha trattato in numerosi
libri le problematiche del rapporto Islam-mondo moderno, con speciale riferimento ai fenomeni del fondamentalismo e del riformismo
musulmani. Si ricordano, tra gli altri: Introduzione all’Islam (San Paolo
1995), Moschee inquiete. Tradizionalisti, innovatori, fondamentalisti nella
cultura islamica (Il Mulino 2003), Egitto. Dalla civiltà dei faraoni al mondo
globale (Jaca Book 2007) e Il sorriso della mezzaluna. Umorismo, ironia
e satira nella cultura araba (con B. De Poli e P. Zanelli, Carocci 2011).
I suoi libri I musulmani (Il Mulino 2000) e Il Corano (Il Mulino 2001)
sono disponibili in ebook da Biblet.
Disponibile su www.biblet.it
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pretesti | Dicembre 2011
Anticipazione
Van Eyck, Coniugi Arnolfini © 2011.
Copyright The National Gallery, London / Scala, Firenze
COME SI GUARDA UN QUADRO
Una via di fuga dal consumismo dell’arte visiva
di Philippe Daverio
Pubblichiamo in esclusiva per i lettori di PreTesti
un brano tratto dall’ultimo libro di Philippe Daverio Il museo immaginato (Rizzoli) in libreria
in questi giorni.
P
ochi spettacoli generano un senso
di disagio umano maggiore di quelli che si ripetono quotidianamente
nei musei. Intere truppe di esseri
umani vengono spinte da un mito ignoto a
percorrerne le sale a velocità da maratoneta per vedere da lontano opere celate dagli
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altri visitatori che si trovano davanti a loro.
Lo potete vedere al Louvre come agli Uffizi.
Al Louvre si sale con elegante fatica lo scalone che porta alla Nike di Samotracia, poi
si gira a destra e si corre velocemente fra le
sale degli artisti d’Italia, fino a entrare in un
grande salone dove le orde, ormai già perse
e disaggregate, rivolgono preferibilmente lo
sguardo al soffitto: esso è molto decorato, ricorda una immagine confusa di pompa monarchica e viene come tale fotografato. Il Pao‑
lo Uccello appeso sotto appare un marinaio
pretesti | Dicembre 2011
perso in un porto lontano. Poi si entra nel
e si aspetta il turno, immersi nella illuminacorridoio, si passa accanto al San Giovanni
zione grigia del sommo museo. La soddidi Leonardo che sembra indicare la strada
sfazione è infinita ma non appare. I vetri di
con il suo dito alzato; la porta del destino è
Bruges sono perfettamente puliti (roba belfra pochi passi a destra. Si scivola senza acga) e l’illuminazione è buona, sicché potrete
corgimento lungo il Parnaso che piacque a
specchiarvi benissimo e vedere se le cozze e
Lévi-Strauss e si penetra nel salone grande.
patate fritte della sera precedente hanno laLe enormi Nozze di Cana di Veronese vensciato nere le occhiaie.
gono sbirciate nel retroLa pittura nei musei è
visore perché si è giunti
più sfortunata del meIl tempo dedicato ai
a destinazione: eccola la
lodramma all’opera. La
quadri è talvolta di
folla davanti alla Gioconmusica, e in generale
pochi secondi, e per
da. Guai a essere un po’
tutte le arti che richiedopiù bassi della media,
no la rappresentazione,
giunta si può fingere
perché allora la si può
obbligano lo spettatore
di vederne trecento
vedere solo quando la
in un’ora. Ovviamente a un tempo di fruiziocoda avanza. Nella coda
ne stabilito dallo sparvedere
ma
non
tante mani sono alzate
tito e dalla volontà del
guardare.
perché protendono i tedirettore d’orchestra di
lefonini per la foto d’obaccelerare un poco o ralbligo. Infine per alcuni secondi si può vedelentare il tempo d’esecuzione. Ma il tempo
re l’icona, dietro uno spesso vetro protettivo
lì c’è. Al massimo si riesce a sfuggire dall’inverde che la fa apparire come un’ostrica nel
fluenza artistica schiacciando un sonnellino,
suo sugo. Cinque secondi per non vedere il
ma non è detto che Morfeo impedisca l’assicapolavoro che Napoleone teneva in camera
milazione.
da letto e guardava prima di cadere nel suo
Il tempo dedicato ai quadri è talvolta di pobreve sonno. Ma a quel punto il compito è
chi secondi, e per giunta si può fingere di vesvolto, si esce, un salto al bookshop, una carderne trecento in un’ora. Ovviamente vedere
tolina e il meritato ristoro in una brasserie
ma non guardare. Non si può sentire e non
con la baguette jambon beurre. Non diverso
ascoltare la Traviata, ed è tuttora impossibile
agli Uffizi, solo che lì di solito fa più caldo.
sentire tutte le opere di Verdi in un’ora.
Disattenzione totale per la Madonna d’OgnisI dipinti che tratto nel mio libro, ma non solo
santi di Giotto. Lo scopo unico è la Primavera
loro, nascevano da un lungo periodo di gedi Botticelli, la quale è già stata conquistata
stazione, e per quanto Luca Giordano fosse
purtroppo da un autobus di giapponesi che
chiamato “Luca fa presto”, non riusciva a
non mollano la piazza occupata. Il vetro prorealizzare un dipinto in una mattina. I dipintettivo è più grande e la polvere (si sa che
ti che finivano in chiesa erano poi guardati
in Italia manca sempre il personale) si è irridai fedeli lungo l’arco d’una intera vita, talmediabilmente annidata sul retro. I piedi si
volta col sole che permeava un vetro o che
gonfiano nel frattempo, si prova la panchina
si colorava in una vetrata, altre volte con il
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pretesti | Dicembre 2011
sapore grigio d’una giornata di pioggia, oppure ancora di notte o di prima mattina nella calda luce delle candele. Lo si vedeva ogni
volta diverso e, anche se non lo si scrutava
con attenzione, lo si assimilava lentamente.
Però lo si rispettava, ed era frequente che dinnanzi a esso si facesse il segno della croce, si
meditasse o si pregasse, magari chiedendo a
san Rocco di guarire le piaghe della zia inferma. I dipinti “laici” rimanevano nelle stesse
famiglie spesso per generazioni. Il Tondo Doni
rimase nella stessa proprietà dal 1506 fino al
1825, quando gli ultimi eredi lo vendettero al
Granduca di Toscana per gli Uffizi. E ora gli si
presta una attenzione non superiore ai venti
secondi pretendendo di averlo capito.
C’è un modo per uscire dal consumismo
dell’arte visiva. Ridare tempo al tempo.
Andare nel museo e guardare un quadro solo.
Non è facile, è veramente roba da iniziati.
E poi uscendo velocemente si può scorgere
un quadro al quale non si sarebbe mai pensato: lo si saluta con un arrivederci. Poi ci sono i
libri. Vanno guardati con simpatica e distratta
attenzione, aprendoli di tanto in tanto. Infine c’è il magico strumento della nostra epoca. Vorrei suggerirvi un esercizio. Andate a
cercarvi una grande riproduzione dei Coniugi Arnolfini di Jan van Eyck. La scaricate dal
web. Poi ingranditela e muovetela.
È come se aveste il dipinto in mano. Per un
attimo, anche lungo questa volta, siete gli eredi Arnolfini. Poi andate a vedere la collana di
vetro appesa al muro, rimarrete stupiti dalla
abile riproduzione della luce nell’ombra che
lascia sul muro, vedrete quanto questo muro
è screpolato, come in un dipinto dell’Ottocento. Poi andate a salutare le arance sul davanzale, troverete il legno dell’incavo della
finestra con i chiodini arrugginiti, mentre la
maniglia è fresca e potrete toccare il cemento
che lega i mattoni. Poi tralascerete per un attimo la faccia cerulea del padron di casa, quella
l’avete già da tempo in fondo alla memoria,
quasi banalizzata, come la mano della moglie
sul proprio ventre. Guardate invece gli zoccoli di legno di lui, con le stringhette di cuoio
invecchiato, e lui invece felice d’avere la calzatura di seta indenne dalle sozzure stradali.
Che delizia poi le scarpette riposte di lei, vicino al tappeto d’Oriente, su di un pavimento
di legno inchiodato che sentirete con la punta
delle vostre dita. E ricordatevi che è del 1432,
e che tutto ciò ossessiona ancora oggi la pittura del reale. Siete pronti a questo punto ad andare a Londra, fare un paio d’acquisti inutili
e una seria visita alla National Gallery dove
il dipinto è appeso. Vi garantisco che non lo
guarderete solo dieci secondi.
Philippe Daverio
Philippe Daverio è nato nel 1949 a Mulhouse, in Alsazia, e vive a
Milano. Professore di Storia dell’arte presso lo IULM di Milano e
di Storia del design presso il Politecnico di Milano, è direttore della
rivista “Art e Dossier”. È autore e conduttore di Passepartout e da
dicembre 2010 è anche uno dei volti di RAI5.
20
pretesti | Dicembre 2011
Racconto
Minotauri
di Nicoletta Vallorani
Q
uesta è una città d’acqua.
Lo è stata.
La rete di canali è stata coperta, cambiando natura a questo
posto, lastricandolo d’asfalto. Strade al posto dei fiumi. Strade che portano fuori città
e che vi tornano, ingarbugliandosi e intrecciandosi in mappe che nessuno riesce a disegnare. Non sono mai finite, già obsolete
prima ancora di essere ultimate. Dev’essere stato questo che ci ha affascinati, che ci
ha portati qui.
Eppure a entrambi è toccato lo stupore di
non trovare traccia di quell’acqua, se non
in forma di pioggia dal cielo. Di quella ce
n’è sempre stata: rivoli, rigagnoli fangosi
che disegnano isolotti slabbrati sul nostro
balcone.
Non ricordo più quand’è stata l’ultima vol-
21
ta che sei uscito di qui. Fosse anche solo
per sbirciare la città dal balcone. E non ricordarlo mi fa sentire in colpa. Dovrei saperlo. Non posso aver dimenticato così in
fretta.
Ti sfioro per avere la certezza che sei reale.
E mentre lo faccio, la sensazione fredda e
umida, come il corpo di un pesce, mi ricorda che questo è il mondo reale.
Nei navigli, in nessuno di essi, nuotano creature viventi. Sulla Martesana, l’ultima volta che siamo andati, galleggiavano rimasugli marcescenti vegliati dalle nutrie. Me le
hai mostrate ridendo, godendoti il mio disgusto. Venivo dalla provincia io. Non sapevo niente, se non quello che mi bastava
per partire e scegliere di stare con te.
Non ho mai provato pentimento. Te l’ho
detto? Credo di sì.
pretesti | Dicembre 2011
E comunque c’era il sole, una specie di magia a Milano. Il sole, la Martesana, le biciclette, il ritorno a casa, il sapore dei corpi,
la cena davanti alla finestra sul balcone, i
rumori di Via dei Transiti.
C’era il sole, eravamo felici, eravamo vivi.
Niente soldi, questo è chiaro. Abbiamo vissuto come naufraghi, per molto tempo del
tutto felici del nostro isolamento.
Il sole, infantilmente, ci bastava.
Sento il rumore della pioggia battente, ora,
come se fosse in questa stanza. Accarezzo
di nuovo la tua mano. Bianco nel bianco,
sul lenzuolo che non sente il tuo peso.
Siamo insieme nella stessa stanza. Ma uno
solo di noi due respira e sente battere il suo
cuore.
L’altro è, senza speranza, un oggetto colmo
del silenzio dei morti.
26 ore dalla tua morte. Anche se io non lo
so ancora, non davvero. Accettarlo, che tu
muoia, non è mai stato nei miei programmi.
E questi sono stati gli ultimi due giorni. 26
ore dall’ultimo respiro, prima che anche
quello si spegnesse. Non credo di aver mai
fermato la musica. È sommessa, e non di22
sturberà nessuno. E in modo del tutto irrazionale ho paura di svegliarti. Come se
fosse solo sonno, la grande stanchezza di
questi ultimi anni difficili.
Prima, invece è stato bello. Facile mai, questo devo ammetterlo. I miei sotterfugi da
provinciale hanno rischiato di guastare
tutto. La mia paura dello scandalo, della
condanna.
All’inizio, mi nascondevo.
Siamo amici, dicevo.
Quando qualcuno pensava che tu fossi mio
padre, quando capivo che l’allusione era
questa, lasciavo correre. E tu ti infuriavi.
Mi facevi complicati ragionamenti, mi mostravi i tuoi libri, raccontavi storie che non
avevo mai sentito.
Così l’irritazione diventava stupore, la confusa ammirazione dei bambini quando si
trovano a dover dipanare un mistero troppo grande. E tu prendevi gusto alle storie
che vedevi riflesse nei miei occhi sgranati.
Imparavo.
Imparavo la vita senza saperlo. Me ne innamoravo.
E tutto finiva, come sempre, un passo più
avanti della lite precedente, con qualche
complicità in più.
Un passo dopo l’altro, mi lasciavo guidare
verso quello che avrei accettato.
Io e te.
Questa casa condivisa.
Questa città inospitale e bellissima.
Queste piccole, inesorabili trappole che
chiamano amore.
La mappa si è srotolata per gradi.
Non ho mai davvero visitato questa città,
mai pensato di impararla. Ne ho studiata
la storia ascoltandoti raccontare quello che
sapevi. Ho immaginato i tempi in cui anco-
pretesti | Dicembre 2011
ra i navigli erano vene aperte, corsi d’acqua
le che portavano al ballatoio di casa tua.
spalancati al cielo. Lo dicevi sempre: i miei
Un professore: questo eri per me.
occhi sono fissi su un mondo che non c’è.
Punto.
Sono una persona d’altri tempi, per quanto
Cosa ero io per te? Era, allora, un domanda
pochi siano i miei anni.
che non volevo pormi: troppo più grande
In questo difetto di realtà, hai navigato
di me. Si fanno, a quell’età, scelte che si facome in acque sicure, raccontandomi per
ticano a comprendere. Si fanno e basta.
ogni luogo una storia, incastonandolo nelIl resto, se si è fortunati, viene da sé.
la topografia immaginaria che venivo coNoi abbiamo avuto fortuna.
struendo un pezzo per volta.
Nel Lazzaretto, ho visto con te i cadaveri
In senso tecnico, siamo stati dei pezzenti.
della peste, spiando pietra per pietra per
Intellettuali, gente di cultura, in un posto
trovare le tracce di tutte quelle vite finiche non ne ha bisogno.
te. Nel Duomo ho cerQuesta è una città di
cato i lineamenti dei
commercianti. Le tratta“Ci crederesti, Arianna? tive si sono spostate, ma
costruttori. I progetIl Minotauro non si è
tisti mi interessavano
sono rimaste il tessuto
meno. Volevo il respiro
quasi difeso.” Abbiamo latente e l’ossatura pridei poveracci anonimi
maria.
fatto così anche noi?
che avevano lasciato
Nel tempo, le merci si
Abbiamo
rinunciato
a
la vita, in parte o tutta,
sono fatte più inconsidifenderci?
dentro le navate silenstenti, eteree, oggetti
ziose, nell’arco eleganinafferrabili, principi.
te di una porta e dietro un altare. – Sei uno
Un sistema di vita che si è trasformato in
strano caso di socialista dell’arte – dicevi.
un meccanismo di espulsione. L’alieno è
Ridendo. Io non capivo, ma ridevo lo steschiunque non somigli. Il mostro visibile,
so, per amore e per allegria.
pericoloso in teoria, solitario di fatto.
Però non capivo.
La creatura di Frankenstein.
Più che altro non capivo che ci facessimo
Il Minotauro nel labirinto.
insieme. E tuttavia è un’alchimia che mi è
Abbiamo letto Borges insieme.
bastata, un mistero che ho pensato fosse
La casa di Asterione.
giusto lasciare dov’era, chiuso nel bozzolo
Ci siamo commossi entrambi quando, alla
di un’intesa inspiegabile.
fine del racconto, Teseo racconta ad Arianna, riavvolgendo il filo che lo conduce fuori
26 ore, minuto più minuto meno.
dal labirinto, di come sia stato strano queA spanne, il tempo che ho impiegato a desto duello contro un avversario inerme.
cidere di partire per venire qui. Mai fatte
“Ci crederesti, Arianna? Il Minotauro non
troppe domande, all’epoca.
si è quasi difeso.”
Non avevo idea di come me la sarei caAbbiamo fatto così anche noi? Abbiamo rivata, e neanche, a dirla tutta, della faccia
nunciato a difenderci?
che avresti fatto trovandomi sulle scaIo sì.
23
pretesti | Dicembre 2011
Ho rinunciato.
26 ore fa.
26 ore, e cosa resta ora?
Dodici anni. Un tempo eterno.
Sono giovane, ancora.
E dunque?
Uscire di qui, trovare un lavoro per bene.
Dimenticare questi anni, questa storia, questo corpo. Dimenticare la colpa e il segreto,
ricostruire la vita. Riprendere a studiare.
Integrarmi.
Ma poi perché?
Dimenticare questo corpo, le dita che ho
visto muoversi nell’aria disegnando mondi. Il mio rifugio. Il silenzio complice. La
rabbia anticonformista. La rivolta ironica.
Dimenticare tutto questo passato gravido
di dolore.
Il problema è: voglio farlo?
Non credo.
In ogni caso, 26 ore non sono abbastanza.
È una città civile, dicono.
Una città che muore ogni giorno un poco.
Col sole, riprende baldanza, si veste di un
tepore che non le è familiare. Ma dura poco,
sempre poco.
Poi, di nuovo, acqua dal cielo. Come ora.
Macchine su Viale Monza, battelli appiccicosi di smog su un fiume grigio.
Acqua dal cielo, in questo inverno che non
finisce. Sudamericani in parka strappati litigano.
Schiudo la finestra, ma è impossibile sentire le voci. Un motorino oltrepassa il gruppo, slitta sull’asfalto viscido. La danza si
ferma. Qualcuno cade, ma si rialza.
Noi non ci siamo rialzati.
Ho deciso che ci avrei pensato io.
24
Ho capito che non saresti uscito vivo dall’ospedale, ho firmato, ti ho portato a casa.
Ho fatto ogni cosa pensando che sarebbe
stato più dolce, meno difficile.
Non è vero. Qualunque cosa è diventata un
problema. Non ci amavano prima, quando
stavamo bene. Da quando ti sei ammalato,
hanno preso a guardarci con sospetto.
La tua magrezza, i tuoi silenzi infiniti, la
tua incapacità di portare a conclusione una
frase di circostanza quando una vicina veniva a trovarci, i primi tempi.
Poi non è venuto più nessuno. Una rete impalpabile ma solidissima ci è stata tessuta
intorno.
Dopo un po’, ho smesso di chiedermi i motivi e di dare spiegazioni. Mi è bastato esser qui, ogni volta che mi cercavi.
Uno sguardo diventa prezioso. Più di
quanto si creda.
27 ore fa.
L’ultima visita.
La maledetta infermiera arriva e si ferma
sulla porta. È ucraina, dice, ma parla un italiano perfetto. La motivazione fa miracoli
nell’apprendimento linguistico: lo dicevi
sempre anche tu. Sa fare tutto, l’ucraina,
anche se non è proprio ancora infermiera.
Speriamo.
Del resto, non ho trovato nessun altro che
venisse a cambiare la flebo.
Troppa pioggia.
Lei entra. Mi guarda. Osserva le foto alle
pareti. Ci siamo io e te, quasi in tutte. Abbracciati, in molte.
Esita, la quasi-infermiera. Io parlo e sudo,
sperando che resti.
Arriva sulla porta della tua camera, guarda dentro. Un corpo di ossa, un respiro affannoso.
pretesti | Dicembre 2011
Leggo una irragionevole paura nei suoi occhi.
– Io non resto. Mi dispiace – dice, rimettendosi la giacca. – Io vado. Chiama l’ambulanza.
Gli dico: – Perché? Ha il cancro, non l’Aids.
E lei mi risponde: – Con voialtri non si può
mai sapere.
Morale: la maledetta infermiera non ti ha
cambiato la flebo.
Perché tu sei un uomo e io pure. Tu sei un
uomo e io il tuo innamorato.
Sono rimasto da solo, a guardarti.
Avevi il braccio gonfio. Un cimitero di macchie che non riuscivo a sistemare in una costellazione possibile. Il respiro pesante, affannoso. Una scommessa della vita contro
la morte. Una scommessa quasi perduta.
“Ci vuole una mascherina a ossigeno” pensavo. “Ci vuole un medico. Ci vuole…”
Tempo, tempo.
Non ho chiamato l’ambulanza.
Tempo.
Finito.
Questa è una città d’acqua.
Galleggiamo a fatica. Cerchiamo sagole di salvataggio, senza trovarle.
Lo è stata.
In un tempo che non ricordo, sono stato felice.
Lo siamo stati.
La rete di canali è stata coperta, cambiando
natura a questo posto, lastricandolo d’asfalto.
Troverò un posto per te? Troverò un luogo dove
lasciarti riposare?
Strade al posto dei fiumi. Strade che portano fuori città e che vi tornano, ingarbugliandosi e intrecciandosi in mappe che
nessuno riesce a disegnare.
Mi perderò, e sarebbe bello riuscirci.
Mappe che non sono mai finite, sono già
obsolete prima ancora di essere ultimate.
Questa è una città d’acqua, e nessun nome
vi rimarrà scritto.
Non il mio, non il tuo.
Nicoletta Vallorani
Nicoletta Vallorani è nata a San Benedetto del Tronto e vive a Milano.
Insegna Letteratura inglese all’Università degli Studi di Milano. Il suo
primo romanzo Il cuore finto di DR (nuova edizione Todaro 2003) ha
vinto nel 1992 il premio Urania. Ha scritto numerosi libri, tra cui: Eva
(Einaudi 2002), Lapponi e criceti (Edizioni Ambiente 2010) e Le madri
cattive (Salani 2011). I suoi libri sono tradotti in Francia da Gallimard.
25
pretesti | Dicembre 2011
Il mondo
dell’ebook
Gli scrittori
al tempo degli eBook
Il profumato libro di carta, privato della sua materialità,
e trasformato in eBook, rappresenta per gli scrittori un
rischio o un’opportunità?
di Daniela De Pasquale
26
pretesti | Dicembre 2011
M
entre pensiamo a come camspin-off, modellarsi in base all’interazione
bia il ruolo dei lettori con il
con i lettori. Una simile idea di eBook arriclento ma inesorabile avanzare
chito va considerata nel lungo periodo, sodel digitale, dividendoci tra
prattutto in Italia. Volendo soffermarci sul
innovatori e conservatori, pronti a toglierci
presente, è utile chiedersi: essere scrittore
il saluto alla stregua dei tifosi di un derby,
oggi assume nuovi significati? E il prodotsono in pochi a interrogarsi su come stiano
to del suo lavoro è sempre un testo, inteso
vivendo questo passaggio gli autori.
come sinonimo di libro oppure, nella misuNon che per loro si tratti della prima volra in cui Marshall McLuhan sosteneva che
ta: Joseph Conrad continuò a scrivere in“il medium è il messaggio”, l’eBook non
tingendo il pennino nell’inchiostro anche
può essere considerato il semplice travaso
dopo l’avvento della stilografica; la tastiera
di una storia da carta a bit?
provocò una crisi creativa a Norman MaiPer capire come un autore si pone nei conler, superata solo con il ritorno alla penna.
fronti degli eBook (favorevole o contrario)
Reporter e scrittori, come Indro Montanelli,
bisogna guardare al suo legame con l’ediche usavano la Lettera
tore (ne ha uno oppure
22, la mitica macchina
no). Mettendo a sistema
Agli autori oggi sono
da scrivere della Olivetqueste
informazioni,
ti, difficilmente passavaotteniamo una matrice
richieste, oltre a doti
no ai modelli superiori.
che definisce quattro tinarrative,
anche
La vera rivoluzione non
pologie di scrittori.
competenze di
è stata il passaggio da
Tralasciando i “parolieri
penna a macchina da
informatica, marketing, a progetto”, che finanscrivere, ma da quest’ulziano autonomamente
interazione
e
visione
tima al computer: con la
prodotti cartacei per vavideoscrittura non c’è
rie finalità amatoriali,
più un’idea sviluppata ordinatamente, ma
arriviamo ai tradizionalisti, ossia quegli auun insieme di idee aggiunte, cancellate, spotori contrattualizzati da un editore, che non
state e modificate in corso d’opera.
vogliono avere nulla a che fare col digitale,
Se, tuttavia, fino a ieri l’obiettivo dello scritperché non lo ritengono pronto ad accoglietore, alla pari di un sarto, era cucire storie,
re lavori specifici, come manuali tecnici o
non importa se fatte a mano o rifinite a macopere dal forte impatto grafico quali i fuchina, oggi le possibilità offerte dal digitametti. In altri casi, nonostante le pressioni
le trasformano il nostro artigiano in un imdell’editore, non vogliono proprio cedere i
prenditore multitasking, a cui si richiedono
diritti digitali, come il premio Booker Gracompetenze narrative, ma anche di inforham Swift, secondo cui l’eBook è un nemimatica, marketing, interazione e visione.
co perché le royalties derivanti sono troppo
Se in tv la misura del successo è la capacibasse per permettere di vivere di scrittura,
tà di “sfondare lo schermo”, con un device
e perché l’immaterialità del supporto smil’autore deve fare lo stesso, e il suo racconto
nuisce tutto il lavoro editoriale che sta diedeve uscire da quei pollici, prendere vita in
tro al prodotto-libro. Al confine tra tradizioanimazioni multimediali, moltiplicarsi in
nalisti e avanguardisti è da poco apparso
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pretesti | Dicembre 2011
Ray Bradbury, saltellando da un quadrante
all’altro come si fa sulla linea di confine tra
due Stati. Un esercizio stancante per qualunque novantenne, ma non per il testardo
autore di Fahrenheit 451, capolavoro mondiale di fantascienza che non è però riuscito
a convincere il suo papà ad aprirsi alla tecnologia. E così, con un contratto editoriale
in scadenza, rinnovabile solo con l’aggiunta
dell’opzione digitale, Bradbury ha accettato, ma ha scelto un prezzo per l’eBook più
che doppio rispetto alla carta.
Il mondo degli autori con i piedi ben saldi
nel quadrante degli avanguardisti è variegato. Si parte dal modello basic, ossia quegli autori pubblicati sì in eBook, ma come
ripiego per ridurre i rischi, o perché si tratta
di emergenti o perché “non vanno”. In un
commentatissimo post sul suo blog, Loredana Lipperini scrive del pericolo di “abdicazione dell’editoriale”, quando gli editori parlano di eBook come opportunità,
ma agiscono secondo logiche di marketing,
trasformando gli autori in “meri copisti dei
loro desiderata”. C’è poi il modello intermedio degli autori che pubblicano l’eBook
insieme o dopo l’uscita del libro (la maggioranza in Italia). Gli eBook, in realtà, stanno
cambiando le logiche delle classifiche dei
più venduti, e spesso i titoli della backlist
ritrovano linfa nel nuovo formato e diventano bestseller, superando le novità. Infine,
c’è il modello advanced. Il suo paladino è
Stephen King, che ha da poco pubblicato
Miglio 81 solo in digitale e a un prezzo interessante, 4,99 €: più o meno lo stesso che
negli USA gli ha fatto vendere 200.000 copie. Un caso che potrebbe segnare l’inizio di
un’era perché, secondo il suo editore Sperling & Kupfer, “è la prima opera di un grande scrittore a uscire in Italia solo in versione
elettronica”. E l’Italia ha proprio bisogno di
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contenuti ‒ tanti e di qualità ‒ per lanciare il mercato, diffusione di tablet e eReader
permettendo (vedremo cosa ci “regalerà” il
Natale).
Ma la prima esperienza digitale di Stephen
King risale al 2000. L’autore si pone così ai
due estremi di un continuum che lega questo quadrante a quello del self-publishing.
All’epoca, aveva reso scaricabile gratis il
racconto Riding the Bullet e recuperato The
Plant, un vecchio romanzo non finito, per
pubblicarlo online a puntate, stabilendo un
Dividendo gli autori tra
favorevoli e contrari al
digitale, e guardando al loro
rapporto con gli editori,
otteniamo quattro tipologie
di scrittori al tempo degli
eBook
patto con i suoi lettori: “Se pagate la storia
va avanti. Se non pagate, si interrompe”.
La pirateria ha causato la fine prematura
dell’esperimento, e il re dell’horror ha fatto
un po’ meno paura a tutti quegli editori che
tremavano all’idea degli autori fai-da-te.
Perché ancora oggi molti editori temono
tanto il digitale? Forse perché l’aspetto democratico della rete porta sempre più autori
a fare a meno della filiera che li sostiene? È
proprio in questo quadrante che troviamo
casi eclatanti come Pottermore dell’autrice
J.K. Rowling, il solo sito su cui è possibile
acquistare gli eBook di Harry Potter e che
offre un’esperienza unica di lettura sociale
e interattiva. Al suo seguito, altri autori forti, come Stephenie Meyer (saga di Twilight),
midlist writers e autori sconosciuti, diventati vere case history per il self-publishing:
pretesti | Dicembre 2011
da Cory Doctorow a John Locke e Amanda
Hocking. Saranno le royalties inique imposte dagli editori, mentre i costi si abbassano,
sarà l’ambizione degli aspiranti autori, per i
quali le barriere all’ingresso si azzerano, sta
di fatto che oggi è possibile competere ad
armi pari con i big: lo dimostra la classifica Amazon dei 100 eBook più venduti negli USA, 24 dei quali autopubblicati. Il selfpublishing ha il merito di mostrare il reale
cambiamento dello scrittore che, per dirla
con Giuseppe Granieri, deve “essere riconoscibile online e far muovere interesse sulle
Autori di Manuali
tecnici e opere di
grafica
proprie opere”. Siamo partiti da Marshall
McLuhan e chiudiamo con il suo più grande
erede, Derrick de Kerckhove, che ha coniato
il termine di screttore, un ibrido tra scrittore
e lettore al tempo della connettività illimitata. All’autore di oggi sono richieste nuove
competenze, ma praticarle tutte al meglio
porta via tempo alla sua attività principale: scrivere. Per questo c’è ancora tanto bisogno degli editori: i più pronti a recepire il
messaggio saranno quelli che meglio si posizioneranno nel nuovo mercato.
Con Editore
Ray Bradbury
Modello Basic
Tradizionalisti
Graham Swift
Autori che non
pubblicano eBook
Modello Intermedio
Avanguardisti
Parolieri
a progetto
Modello Advanced
Autori che
pubblicano eBook
Self publishing
J.K. Rowling
Amanda Hocking
Stephen King
John Locke
Senza Editore
Cory Doctorow
29
Stephenie Meyer
pretesti | Dicembre 2011
Il mondo
dell’ebook
Un Natale a tutto eBook
iPad ed eReader in cima alle liste dei desideri
di grandi e piccini: anche in Italia il regalo può
essere digitale
È
Natale! L’aria è frizzantina e carica
di luci al neon, masse brulicanti di
persone che si disperdono e riaggregano tra viali e negozi, profumi
di leccornie cucinate con amorevole passione si spandono nell’aria, il grande albero
agghindato con sfere colorate e… possono
mancare loro? Naturalmente no. Ai piedi
dell’abete, avvolti in carta colorata e nastrini vari, i pacchetti attendono pazientemente
di essere scartati dai rispettivi destinatari.
Curiosi di sapere cosa gli elfi del caro vecchio
Santa Claus abbiano riservato quest’anno a
30
di Roberto Dessì
chi è stato buono? Salite con noi sulla magica slitta di PreTesti: vi porteremo in giro per
il mondo, svelando ogni segreto del Natale
2011. E chissà che tra le tante proposte non
riusciate a trovare qualche buona idea per
riempire i pacchetti di amici e parenti. Allacciate le cinture e copritevi bene: si parte!
La prima tappa ci porta negli Stati Uniti.
Come ogni anno, Babbo Natale è stato sommerso dalle letterine di bambini e meno
bambini, nella maggior parte dei casi riportanti una sola breve parola: “iPad”. Una ricerca Nielsen incorona il tablet Apple quale
pretesti | Dicembre 2011
“regalo più desiderato”, bissando il successo iPad, e battezzandola per l’appunto Kindle
dello scorso anno quando arrivò alla piazza Fire (150 €). Nel Black Friday, il primo venerd’onore. Un americano su quattro (e nella fa- dì post-festa del Ringraziamento che negli
scia 6-12 anni quasi 1 su 2) l’ha messo al pri- States è sinonimo di prezzi scontati e shopmo posto nella lista dei desideri, seguito da ping natalizio, il Fire ha venduto perfino più
computer, eReader e “altri tablet”, quelli con del tablet Apple. Questione di prezzo, si pensistema operativo Android.
serà malignamente e non a torto: se il seconCome non rimanere affascinati dai brillanti do ha fatto conoscere al mondo il concetto di
colori del touchscreen 9,7 pollici e dalle cen- tablet, il primo con una politica di prezzi più
tinaia di migliaia di app disponibili? Certo, aggressiva potrebbe “portarne uno in ogni
il costo è tutt’altro che abbordabile (modello casa”, parafrasando il motto di Bill Gates.
base da 484 €), soprattutto in tempi di crisi. Attenzione però: acquistare il Fire significa,
E allora ecco fioccare
come per l’iPad, accettare
alternative altrettanto
le regole di un ecosistema
Una ricerca Nielsen
funzionali, forse meno
chiuso: niente Android
incorona per la prima Market, si naviga in Rete
“cool” ma decisamente
più “cheap”: i tabletcon il browser Amazon
volta il tablet Apple
eReader,
dispositivi
Silk, gli eBook si acquiquale “regalo più
dotati di schermo a costano dall’app Kindle.
desiderato”
lori da 7 pollici e funTroppo restrittivo? Risazionalità tablet (naviliamo sulla slitta e dirigazione in rete, video, giochi ecc.), ideali per giamoci in Canada, patria di Kobo e del tablet
la lettura di eBook e – soprattutto – riviste Vox, stesso prezzo del Fire ma molti meno
digitali.
vincoli. Di recente la società è stata acquisita
Il mercato negli ultimi mesi si è infiammato, dalla nipponica Rakuten, quindi effettuerein un susseguirsi di presentazioni di nuovi mo uno scalo tecnico nella terra del Sol Ledevice: complice il successo del capostipite vante, approfittandone per dare un’occhiata
Nook Color (150 € al cambio attuale), pre- al potenziale regalo di Natale 2011: coreano
sentato quasi un anno fa, quelli che a torto o (ma con cuore tecnologico USA), costa circa
ragione vengono definiti “eReader a colori” 230 € ed è il primo eReader con schermo eInk
hanno guadagnato il rispetto e l’attenzione a colori della storia a essere commercializzadei consumatori, tanto da spingere la stessa to su larga scala. Come a dire: i vantaggi di
Nook a proporre un “upgrade” della pro- un tradizionale lettore di eBook e di un tablet
pria fortunata creatura: per 37 € aggiuntivi fusi in un unico device.
garantite prestazioni doppie nelle medesime A proposito di eReader. Rifacendoci ancora
ridotte misure.
alla ricerca Nielsen, risultano essere il seconLa metafora del fuoco non è casuale: Ama- do regalo più gradito in graduatoria appaiati
zon ha acceso la miccia oltre due mesi fa, pre- ai PC; con un prezzo decisamente più consentando al mondo la risposta allo strapotere tenuto, al di sotto della fatidica soglia di ac-
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pretesti | Dicembre 2011
quisto d’impulso dei 100 dollari, ci si porta a
casa uno dei magnifici 3: Amazon Kindle (ma
non legge gli eBook in formato ePub), Nook
Touch (che legge solo PDF ed ePub) o Kobo
Touch (l’unico senza sistema operativo Android). Per il resto si fronteggiano ad armi
pari: schermi touchscreen a inchiostro elettronico di ultima generazione, dimensioni e
peso ridotti all’osso, autonomia di batteria
che supera il mese, prezzo fissato a 75 €.
Problema non di poco conto: in Italia, iPad
e Kindle 4 a parte, nessuno dei device descritti è ancora disponibile. Salvo affidarsi
a corrieri espresso internazionali, con però
incognite chiamate “tempi e spese di spedizione”, “dazi doganali” e “cambio valuta” a
pendere come spade di Damocle sulla testa
dell’“Operazione Natale”.
Planiamo ora sull’Europa, che di recente è
stata contagiata dalla febbre della lettura digitale. A ulteriore riprova, nel Regno Unito
una persona su quattro conta di regalare (o
farsi regalare) un Kindle o un eReader equivalente, relegando l’iPad addirittura in sesta
posizione nell’ideale lista di doni natalizi.
E l’Italia? Ha una scelta di potenziali regali
nell’universo eBook ugualmente interessante: dicembre ha portato con sé un’inaspettata strenna pre-natalizia, il Kindle versione
“basic” (cioè senza touchscreen, a 99 €); data
però la lacuna ePub di cui sopra, potreste voler ripiegare sull’eReader Sony T1, peraltro
inspiegabilmente commercializzato a 199€
(50 in più che nel resto d’Europa); da tenere
d’occhio anche il Cybook Odyssey, auto-proclamatosi “il più veloce eReader sul mercato”,
e un nuovo arrivato prodotto dall’italianissima Onda per Telecom Italia: esteticamente
vicino al Kindle Keyboard, ha dalla sua uno
schermo 6” eInk Pearl e connettività 3G – abbastanza rara in un eReader – per scaricare
ovunque i propri eBook preferiti.
Il nostro magico viaggio in giro per il mondo
si conclude qui. Sperando di avervi allietato,
mitigando l’“ansia da regalo” con qualche
utile dritta, cogliamo l’occasione per augurarvi buon Natale e… felice eBook reader
nuovo!
Gli eReader risultano essere
il secondo regalo più gradito
in assoluto negli Stati Uniti,
appaiati ai PC
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pretesti | Dicembre 2011
Buona la
prima
Storie di libri
ed edizioni
ALEXANDRE DUMAS - AUGUSTE MAQUET
“I TRE MOSCHETTIERI”
(1844)
di Francesco Baucia
S
e la storia del sodalizio tra Alexandre Dumas e Auguste Maquet dovesse diventare un film, il miglior autore a cui affidare la sceneggiatura sarebbe senza dubbio
Stephen King. Non perché sia una storia dell’orrore, niente affatto, ma perché ha al
centro un tema assai caro allo scrittore americano: il doppio letterario. In un racconto intitolato Finestra segreta, giardino segreto (da cui è stato tratto nel 2004 un film con Johnny
Depp nei panni del protagonista) King raccontava di un celebre scrittore perseguitato da un
uomo misterioso che lo accusava di aver plagiato un suo libro. A questo racconto è da aggiungere inoltre il romanzo La metà oscura, basato su una trama molto simile. Peccato, però,
che il film sul rapporto tra Dumas e Maquet sia già stato realizzato, a partire invece da una
pièce di Cyril Gély ed Eric Rouquette intitolata Signé Dumas (Firmato Dumas), un lavoro che
ha riscosso uno straordinario successo in Francia sin dalla sua apparizione nel 2003. Il film
e la pièce sono incentrati su uno dei legami letterari più sorprendenti nella storia della narrativa. Alexandre Dumas, prolifico campione dei romanzi a puntate, era solito avvalersi per
la stesura delle sue opere di un’équipe di fidati collaboratori. Si tratta di un costume niente
affatto sorprendente per quanto riguarda i grandi dell’arte figurativa: questi, d’abitudine,
si attorniavano di allievi e apprendisti i quali eseguivano in parte o per intero opere che,
una volta portate a termine, lasciavano trasparire genericamente la mano del maestro. Tale
pratica risultava – e risulta tuttora – abbastanza impensabile invece per quanto concerne la
creazione letteraria, forse perché questa è concepita romanticamente come prodotto di un
artista eroico e solitario, o forse ancora perché non è sempre ben assimilata la distinzione tra
prosa “d’arte” e letteratura di consumo. Poeta, drammaturgo e studioso di storia, Auguste
Maquet (1813-1888) iniziò a collaborare con Dumas dal 1839, dopo che quest’ultimo rimaneggiò la sua opera teatrale Bathilde. Il sodalizio tra i due diede alla luce alcuni dei più noti
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pretesti | Dicembre 2011
romanzi storici e d’avventure dell’Ottocento: La regina Margot, Il conte di Montecristo e,
più famoso di tutti, I tre moschettieri. Maquet
forniva a Dumas abbozzi, trame e scenari
che il maestro successivamente arricchiva
con il suo stile brillante e con quella impareggiabile conoscenza del cuore umano
e dei gusti dei lettori
che Albert Thibaudet definì “il genio
della vita”. Alcuni
studiosi, basandosi
sulle dichiarazioni
del diretto interessato, si sono spinti a sostenere che Maquet
avesse composto in
totale autonomia alcuni capitoli interi di
quei romanzi. Così,
verosimilmente, nacquero le immortali avventure del cadetto d’Artagnan e dei suoi compari Aramis,
Athos e Porthos, avventure che non smettono di appassionare il pubblico di tutto il
mondo come dimostra ancora di recente
l’ultima fortunatissima trasposizione cinematografica del romanzo. Il successo, però,
come è noto, incrina irrimediabilmente i
rapporti umani, soprattutto quando questi,
come il sodalizio tra Dumas e Maquet, non
sono davvero paritari. Così Maquet finì per
denunciare Dumas e ottenne da questi un
congruo risarcimento, a patto che rinunciasse ad accampare diritti sulle opere del
vecchio mentore e amico. Dopo questo episodio Maquet continuò a scrivere per conto proprio, senza però avvicinarsi neanche
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lontanamente al successo del maestro. Ciò
riprova il fatto che il talento di Dumas era
forse davvero più cristallino dei pur brillanti spunti del suo “ragazzo di bottega”.
Riletta oggi, la storia di Dumas e Maquet
ci appare come la trama di uno stupendo
feuilleton, quale sarebbe
potuta nascere proprio
dalla penna di Dumas.
Se Stephen King fosse
davvero lo sceneggiatore della vicenda non ci
stupiremmo se alla fine
l’identità di Auguste
Maquet si rivelasse una
creazione dello stesso
Dumas, come accade
appunto in Finestra segreta, giardino segreto.
E così in questo thriller
letterario sarebbe davvero un colpo da maestro il fatto che sulla tomba di Maquet, il
più famoso ghost writer della storia del romanzo, siano incisi ironicamente i titoli dei
libri più famosi di Alexandre Dumas, come
chiunque può verificare passeggiando per i
viali del cimitero Père Lachaise a Parigi.
pretesti | Novembre 2011
Sulla punta
della lingua
Come parliamo,
come scriviamo
Rubrica a cura
dell’Accademia della Crusca
Immigrato, migrante,
clandestino, fuorilegge:
tutti uguali?
di Raffaella Setti
I
flussi migratori degli ultimi decenni
hanno prodotto anche nuove abitudini linguistiche, quasi sempre contraddistinte da chiare venature di intolleranza, spesso di vero e proprio razzismo.
Clandestino e clandestinità sembrano non
poter mancare in ogni discorso, articolo,
intervento che tratti di immigrazione. Non
si tratta certo di parole nuove per l’italiano: l’aggettivo clandestino, formatosi sulla
base dell’avverbio latino clam ‘di nascosto’
ed entrato attraverso il francese clandestin,
è presente dal XVI secolo con il significato
molto generale, di ‘fatto di nascosto, contro il divieto delle autorità’; dal Novecento
è stato usato anche con funzione di sostantivo (Cesare Pavese indicò con il sostantivo clandestini coloro che lottavano segretamente contro il fascismo durante la II guerra mondiale), e il suo derivato clandestinità
ha la prima attestazione, secondo i dizionari, nel 1832 (Silvio Pellico, Le mie prigioni). I
significati primari di ‘cosa, azione fatta di
nascosto’ e di ‘identità tenuta segreta’ sono
trasparenti in espressioni quali “matrimonio clandestino”, “organizzazione clande-
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stina”, “giornale clandestino”, “bisca clandestina” e simili, in cui si mette in rilievo la
segretezza di qualcosa esistente o compiuto
nonostante una prescrizione di legge contraria.
Quelli di clandestino e di clandestinità sono
diventati da qualche decennio concetti pressoché inscindibili dal fenomeno dell’immigrazione: con un determinante contributo
dei mezzi d’informazione “l’emergenza
clandestini” è entrata nel pensiero e nella
lingua comune, si è appiccicata a ciascuno
di noi come accade per i peggiori pregiudizi fino a farci convincere che dietro a ciascun immigrato non solo si possa nascondere l’ombra della clandestinità, ma che a
questo status sia fatalmente unito quello di
‘fuorilegge, criminale’. Se le scelte linguistiche di un’informazione approssimativa
e “d’effetto” hanno senza dubbio favorito
lo slittamento di significato della parola
clandestino da quello primario di ‘segreto,
nascosto’ verso quello di ‘fuorilegge, criminale’, va tenuto presente che in ambito
legislativo forse non è stata fatta sufficiente
chiarezza, linguistica ma soprattutto giuridica, per frenare il processo di sovrapposizione dei due significati. Alla legge 943 del
30 dicembre 1986, la prima in materia di
immigrazione, sono seguite altre leggi, in
particolare il decreto legislativo n. 286 del
1998 (c.d. legge Turco-Napolitano) che con-
pretesti | Dicembre 2011
templa l’aggettivo clandestino (nell’espressione “immigrazioni clandestine”), ma soprattutto la legge n. 94 del 2009 (il cosiddetto “Pacchetto Sicurezza”) che ha “promosso” l’immigrazione clandestina a reato
e ad aggravante di qualsiasi altro reato: ciò
significa che è considerato fuorilegge non
solo chi si trova in Italia e ha il permesso di
soggiorno scaduto (detto anche clandestino
irregolare, dove sarebbe più corretto dire migrante o immigrato irregolare perché in questo caso si sta contravvenendo a un regolamento), ma acquisisce immediatamente
questo “marchio di illegittimità” qualsiasi
cittadino extracomunitario che entri nel territorio italiano senza visto d’ingresso e prima ancora di poter chiedere, ad esempio,
il diritto d’asilo o avere riconosciuto lo status di rifugiato; inoltre la stessa legge prevedeva la clandestinità come aggravante di
altri reati, articolo che è stato poi dichiarato
incostituzionale dalla Corte Costituzionale
(con la sentenza n. 249 del 2010) e chiama in
causa anche pubblici ufficiali e medici che
sarebbero tenuti a denunciare di essere venuti a conoscenza del reato di clandestinità
nello svolgimento delle proprie mansioni;
si tralasciano poi i dilemmi umani, così ben
rappresentati nell’ultimo film di Emanuele
Crialese Terraferma (2011), che sorgono nei
casi in cui pescatori o marinai, fedeli alla
legge non scritta del mare, prestino soccorso ai migranti in pericolo, rischiando l’accusa di favoreggiamento del reato di immigrazione illegale.
Forse invece non veniamo informati con
altrettante insistenza e chiarezza di alcune
cifre particolarmente significative: la stragrande maggioranza degli immigrati (tra
36
il 60 e il 70% secondo i dati 2006 dell’Alto
Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), negli ultimi 10-15 anni, è entrata in
Italia in modo regolare, mentre si è calcato
la mano sull’aumento via via crescente del
Quelli di clandestino e di
clandestinità sono diventati
da qualche decennio
concetti pressoché
inscindibili dal fenomeno
dell’immigrazione
numero delle persone entrate senza regolari controlli di frontiera e quindi della diffusione di quei “lavoratori immigrati clandestinamente” (così definiti anche nella legge
del 1986). Qui l’avverbio clandestinamente
sembra ancora conservare in buona misura la sua accezione originaria di ‘fatto di
nascosto, in segreto, senza essere visti’: la
legge fa riferimento quindi alla presenza di
lavoratori stranieri che sono entrati in Italia
di nascosto, sfuggendo al controllo di frontiera e che, di conseguenza, nascondono e
tengono segreta la loro identità per non rischiare l’espulsione. Oltre che per l’aumento oggettivo, numerico, degli immigrati che
entrano clandestinamente nel nostro paese
(ma non solo in Italia, è sempre bene ricordarlo), la loro visibilità è diventata via via
crescente anche grazie alla frequenza e insistenza con cui i media hanno proposto e, in
molti casi continuano a proporre, il termine
clandestino: quando va bene, il termine viene associato all’immagine di un’emergenza
sociale che potrebbe minacciare la conser-
pretesti | Dicembre 2011
vazione dei diritti dei cittadini italiani (ladestino non decada nemmeno in caso di
voro, casa, scuola, ecc.), nei casi peggiori,
morte...
compare in contesti relativi al problema
Se sul piano giuridico e sociale la gestiodella pubblica sicurezza e riferito quindi a
ne dei flussi migratori è ancora segnata da
protagonisti, reali o presunti, di azioni criprocedure contorte e talvolta discutibili,
minali.
forse sarebbe utile almeno assumere qualLa logica conclusione verso la quale semche buona abitudine linguistica: usare e
brano convergere (e far convergere l’opidiffondere termini precisi, univoci per non
nione pubblica) da un lato l’informazione,
confondere ancor più le idee e non rendere
sbrigativa quando non addirittura approsancora più “oscuro” alla comprensione ciò
simativa, e dall’altro il recente quadro leche è già molto complicato nei procedimengislativo, è clandestino = fuorilegge (sulla
ti burocratici e giuridici. Abbiamo a dispobase della falsa premessa che la stragransizione la parola migrante per indicare chi
de maggioranza degli immigrati sia clandestino); si
Abbiamo a disposizione la parola
tratta di un’associazione
migrante per indicare chi lascia il
ormai purtroppo largaproprio paese per cercare migliori
mente penetrata nel pensiero profondo di molti, che
condizioni di vita altrove
talvolta sembra riemergere
inconsapevolmente, quasi come un lapsus,
lascia il proprio paese per cercare migliori
in alcune scelte linguistiche: si arriva ad ascondizioni di vita altrove; abbiamo clandesociare l’attributo clandestini anche a cadastino per indicare chi contravviene a un reveri recuperati nel Mediterraneo, persone
golamento ed entra in un altro paese senza
morte prima ancora di entrare nelle acque
i necessari permessi senza aver commesso
territoriali o nel territorio italiano e quindi
nessuna azione criminosa; abbiamo poi fuodifficilmente definibili ancora come clanderilegge, delinquente, ladro, assassino, criminale
stini (“Centocinquanta cadaveri di clandeda usare con molta cautela per riferirsi posstini ripescati in mare al largo della Tunisibilmente solo a chi ha davvero commessia”, http://wwwaqvariuscom.blogspot.
so reati e crimini. Una maggiore chiarezza
com/2011/06/centocinquanta-cadaverilinguistica può guidare verso una maggiodi-clandestini.html); o a titolare una notizia
re chiarezza di pensiero che può essere il
con l’espressione cimitero di clandestini per
punto di partenza per azioni più giuste ed
riferirsi a un cimitero di Scicli dove sono
efficaci.
stati sepolti “migranti ignoti” (come sono
denominati più opportunamente all’interno dell’articolo), morti durante la traversata del Mediterraneo (“Corriere della Sera”,
4 aprile 2011). Sembra che lo status di clan37
pretesti | Dicembre 2011
OGNI CITTÀ
È UN MONDO
Anima del
mondo
Paesaggi della letteratura
Kant e l’idea di viaggiare
di Luca Bisin
N
el prodigio d’oro e seta del suo
palazzo, dove le stanze s’aprono all’infinito su altre stanze e
i giardini sono affollati come
mondi, circondato dallo sfarzo e dall’esultanza di una corte in cui le donne più avvenenti e gli uomini più valorosi non hanno
altra incombenza che il diletto del loro signore, gli occhi neri e belli di Kublai Khan
s’ammantano di malinconia mentre egli
ascolta da Marco Polo il racconto delle città
che non ha mai visto. La finzione di Calvino ha consegnato a un capolavoro letterario tutta l’ansia e la frustrazione con cui
Kublai cerca di trarre dalle parole del viaggiatore un’immagine di quelle città di cui,
38
forse, non si può dare alcuna figura ma solo
un racconto, luoghi visibili soltanto in un
atlante immaginario che sappia contenere
“la forma delle città che ancora non hanno
una forma né un nome”. Ma anche la cronaca di Polo, capolavoro letterario anch’essa, dà notizia di quella tensione: il Khan,
nel Milione, teneva per folli quei suoi messaggeri che attraversavano l’impero da un
capo all’altro come fossero ciechi, e dai loro
viaggi sterminati tornavano senza recare
immagini né racconti, ma soltanto un’ambasciata per il loro signore, mentre questi
“piue amava gli diversi costumi delle terre sapere che sapere quello per che gli avea
mandato”.
pretesti | Dicembre 2011
Per una di quelle affinità che tracciano talvolta audaci analogie attraverso i tempi e
gli spazi, l’inquietudine di un imperatore
mongolo del tredicesimo secolo potrebbe trovare un’insospettata simmetria nella
proverbiale sobrietà di un filosofo tedesco
del diciottesimo secolo: come Kublai, Kant
non viaggiava e anch’egli cercava di trarre
dai racconti di altri la forma visibile di luoghi che non avrebbe mai visitato. Fascinazione invincibile, al punto da dedicarvi più
di metà della propria biblioteca personale,
Kant seppe fare della letteratura di viaggio
perfino uno strumento di filosofia: alla conoscenza dell’uomo, leggiamo nell’Antropologia, appartiene il viaggiare, ma dove
questo non sia possibile si può utilmente
supplire con la lettura dei resoconti di viaggio. E nell’annunciare le sue lezioni di geografia fisica, ai tanti studenti che affollavano giornalmente la piccola stanza al pianterreno della sua casa di Königsberg, Kant
avvertiva: “Di colui che ha molto viaggiato
si dice che ha visto il mondo. Ma alla cono-
39
scenza del mondo appartiene qualcosa di
più che il semplice vedere il mondo”. Potrebbe sembrare questa non più che un’astuta scusante con cui il Magister si scagionava dall’imbarazzo di raccontare ai suoi
uditori un mondo che egli stesso non aveva
mai visto. Le infinite variazioni delle acque
e delle terre, l’esuberanza delle forme e dei
colori che la natura assegna agli
animali e alle piante, la varietà
delle razze, delle lingue, dei costumi in cui l’umanità si divide lungo le regioni dell’Asia e
dell’Africa, dell’Europa e delle
Americhe, persino l’arte di navigare, sapiente combinazione
di perizia e ardimento, non sono
per Kant che idee lette sui libri,
seduzioni di un altrove troppo
incognito e minaccioso per poter
essere davvero inseguito.
Incapace del viaggio e della sorte, minato nel corpo dall’ipocondria e affetto nell’animo da un
bisogno vitale di ordine e disciplina, Kant
non darà a quelle seduzioni di avventura
altra attuazione che nelle sue leggendarie
passeggiate lungo le strade di Königsberg.
Ogni giorno e con qualsiasi tempo, dopo il
pranzo che, animato da commensali e conversazioni, poteva protrarsi fino alle sei,
egli si metteva in cammino, preferibilmente
da solo, perché riteneva più salutare che si
passeggiasse senza parlare, tenendo la bocca chiusa e respirando solo col naso. A passo moderato, concedendosi soste frequenti
per evitare di sudare, cosa che gli riusciva
insopportabile, si spingeva di solito fino al
Philosophendamm, la passeggiata dei filosofi nel sobborgo a sud della città, ritornan-
pretesti | Dicembre 2011
do ai luoghi dove aveva trascorso la sua
infanzia: i prati sulle rive del fiume Pregel,
spesso inondati d’acqua, il Ponte Verde che
un Kant fanciullo attraversava giornalmente per recarsi a scuola, certo lanciando di
sfuggita uno sguardo incuriosito all’arruffio di voci e di lingue, di facce e di abiti che
da inimmaginabili lontananze giungevano
via mare alle sponde del Pregel, l’isola di
Kneiphof, nel mezzo del fiume, dominata
dall’imponente cattedrale, densa di strade e
di case, dove il filosofo abitò per molto tempo cambiando diversi alloggi, lamentandosi spesso del frastuono e della confusione
che animava le strade affollate di carrozze e
le rive del fiume al passaggio delle barche,
e poi la città vecchia, fino al castello reale
sotto il cui maestoso profilo Kant abiterà,
nei suoi ultimi anni, una casa finalmente di
sua proprietà.
Come certe città sull’atlante di Kublai,
Königsberg ha cambiato forma e nome. E
di quei luoghi kantiani non esiste più, oggi,
che una traccia remota tra le strade di una
città russa che si chiama Kaliningrad: non
c’è più il castello alla cui ombra abitava il
vecchio Kant, l’isola di Kneiphof non è più
il crocevia frenetico di tragitti esotici, e il
Ponte Verde è stato soppiantato da un lungo viale intitolato a Lenin, su cui si stagliano i profili invadenti delle architetture sovietiche. Ma ciò che Kant ricavava dalle sue
passeggiate quotidiane era certo più che
la vista di un angolo di mondo destinato
a scomparire. Privo di un impero e di una
corte sfarzosa, avido soltanto di un alloggio
tranquillo nella città dove trascorse tutta la
vita, Kant aveva però dalla sua qualcosa che
è più utile, forse, di mille servitori: la ragione al servizio di se stessa. E così, di quel-
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la frenesia vaga e pungente che ci prende
talvolta leggendo i racconti di viaggio, del
malumore e del disinganno che ci dà il ritrovarci ogni volta chiusi nel nostro piccolo
spicchio di mondo, appena toccati dal sentore della distanza e dell’incerto, egli poté
fare un esercizio di filosofia e una misura di
vita. La passeggiata kantiana per le strade
di Königsberg non era soltanto la prassi di
un camminare filosofico a cui, da Aristotele
a Rousseau, da Kierkegaard a Heidegger,
altri pensatori si sono volentieri applicati,
né soltanto il mesto surrogato di un’avventura che non abbiamo osato tentare. Piuttosto Kant vi esercitava quello sguardo di
cui gli ignari messaggeri di Kublai Khan
non erano capaci nelle loro lunghe peregrinazioni: viaggiare è un esercizio difficile, non meno che filosofare, e come questo
richiede anzitutto un’idea. Sicché, in quel
piccolo mondo che è una città, il metodico
Kant seppe forse scorgere quel che Kublai
cercava invano nei racconti di Marco Polo
o nell’avido scrutare il proprio atlante fantastico: quell’unica forma di città che nel
grande mondo si trova ripetuta in infinite
variazioni e innumerevoli qualità. E al turbamento che agitava l’imperatore mongolo
nel suo inquieto aggirarsi tra le mille stanze
del proprio palazzo, egli riuscì forse a dare
quel nome che Kublai non sapeva dire:
“Dove potremo conoscere il mondo senza
dover viaggiare per esso?”
pretesti | Dicembre 2011
POCHI GRANDI
CUOCHI,
POCHI GRANDI
SCRITTORI
Alta cucina
Leggere di gusto
Fatiche culinarie e letterarie di Nero Wolfe
di Francesco Baucia
Rex Stout
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pretesti | Dicembre 2011
L
’investigatore privato Nero Wolpassioni. Ma l’investigatore coltiva anche
fe di New York ha due passioni
un altro passatempo: la lettura. Lo scopriache sono arcinote al pubblico demo in Nero Wolfe, discolpati (Plot it yourself)
gli amanti del giallo: la coltivazioventiduesimo romanzo della serie creata
ne delle orchidee e la cucina. In questi due
dallo scrittore americano Rex Stout. Seconcampi, oltre che nella soluzione dei casi che
do il suo assistente e braccio destro Archie
gli vengono affidati, Wolfe è maniacale, ed
Goodwin, Wolfe legge più di duecento liessendo ricchissimo può applicarsi alle sue
bri all’anno. In base al rituale seguito dal
passioni nel modo più puntuale possibile.
detective per leggerli, Archie li classifica in
Ha una serra all’ultimo
quattro categorie: A, B,
piano della sua casa sulC e D. “Se, quando scenla 35a strada e vi trascorre
de in ufficio dalla serra
buona parte del giorno.
alle sei, prende il libro
Il resto del tempo lo pasdi turno e lo apre prima
sa in primis ai fornelli, a
di suonare per la birra,
inventare o sperimentare
e se la pagina è indicata
pietanze in compagnia
con un segnalibro d’oro
del suo cuoco personale,
[…], il libro è di categolo svizzero Fritz Brenner.
ria A. Se prende il libro
Dice Wolfe, in un romane lo apre prima della
zo della serie: “Ci sono
birra, ma il segnalibro è
pochi grandi cuochi, una
di carta, siamo in B. Se
manciata di discreti e
prima suona per Fritz e
una pestifera legione di
poi apre il libro, e il sepessimi. Il mio è discregno consiste in un orec“Ci sono pochi grandi chio nella pagina, siamo
to […]. Non ha fantasia,
cuochi, una manciata in C. Se aspetta che Fritz
non ha ispirazione, ma è
competente e raffinato”.
abbia versato, prima di
di discreti e una
Una frase in apparenza
cercare il libro, e il segno
pestifera legione di
poco generosa, che però
è un orecchio, siamo irpessimi”
è un grande complimenrimediabilmente in D.”
to se esce dalle labbra del
Difficile che un soggetto
bisbetico e mastodontico detective: la fandal palato così raffinato possa essere al contasia e l’ispirazione in cucina, d’altronde,
tempo un lettore dai gusti grossolani: infatsono affar suo. Solo dunque a margine delle
ti, osserva Archie, nella mole di volumi che
occupazioni predilette Wolfe riceve i clienWolfe consuma in un anno ci sono al masti, con l’atteggiamento stoico di chi sa che il
simo cinque o sei A. Non sembra nemmelavoro è un’amara incombenza da espletare
no troppo desideroso di mescolare il lavoro
per poter poi godere al meglio delle proprie
alla passione della lettura quando, in questa
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pretesti | Dicembre 2011
avventura, viene ingaggiato da un comitafido collaboratore Archie. Per un pranzo
to di scrittori ed editori che gli chiedono di
non troppo impegnativo il vorace detective
risolvere un caso di “plagio seriale”. Alcuni
elabora un’omelette che i suoi fans possoscrittori di bestseller sono stati raggirati da
no agevolmente sperimentare, anche senza
sedicenti vittime di plagio e alleggeriti di
l’ausilio di uno chef patentato come Fritz. È
cospicue fette dei loro proventi. Tutti i casi
lo stesso cuoco a enunciare gli ingredienti,
presentano un modus operandi (come direbnel romanzo: “Quattro uova, sale, pepe, un
bero i criminologi) alquanto simile. A Wolfe
cucchiaio di burro aromatizzato al dragonil compito di scoprire se dietro i differencello, due cucchiai di panna, due cucchiai
ti episodi si nasconde
di vino bianco secco,
una sola mano. Senza
un mezzo cucchiaino
Secondo il suo
spostarsi dal suo habitat
di scalogno, un terzo di
assistente e braccio
naturale, nel quale è ratazza di mandorle indicato come un elefante destro Archie Goodwin, tere e venti funghi frenella savana, il geniale
schi”. Chiosa di Archie
Wolfe legge più di
detective risolve il caso
a questo elenco: “Creduecento
libri
all’anno
armandosi, se necessadevo fossero le dosi per
rio, degli strumenti produe persone, ma lui mi
pri di un critico letterario di alto profilo.
rispose che mio Dio no, erano solo le dosi
Una volta letti i tre misconosciuti testi sui
per il signor Wolfe”. Ovviamente se non si
quali si fondano le accuse di plagio rivolte
ha l’appetito e la mole (un settimo di tonai suoi clienti, per capire se siano o meno
nellata!) che possiede Nero Wolfe, queste
opera della stessa persona, Wolfe si sofferquantità possono andare benissimo per due
ma sugli “a capo” e sentenzia con l’autopersone. La preparazione è affatto semplirità di un letterato: “Il lessico e la sintassi
ce. Si fa rosolare lo scalogno tritato con il
possono essere controllati con un processo
burro al dragoncello, e in una padella a parrazionale e consapevole, ma il respiro delte si fanno saltare in cinquanta grammi di
la frase è assolutamente istintivo, viene daburro i funghi privati dei gambi, finché non
gli stadi profondi della personalità. Posso
saranno adeguatamente appassiti e asciutammettere che certe somiglianze lessicali e
ti. Le mandorle vanno tostate invece a fiampersino la punteggiatura siano coincidenze,
ma moderata con altri cinquanta grammi
quantunque altamente improbabili, ma gli
di burro e poi scolate e messe da parte. Per
a capo no. E gli a capo di questi tre racconla base dell’omelette, si sbatteranno in una
ti sono opera di una stessa persona”. Sarà
ciotola con la frusta le uova sgusciate, a cui
questa la traccia giusta per la risoluzione
andranno uniti vino, panna, sale e pepe. Ne
del caso. Non è da pensare, tuttavia, che tra
dovrà risultare un composto cremoso, che
le fatiche investigative e quelle letterarie,
verrà versato nella padella con lo scalogno,
Wolfe trascuri di solleticare il proprio palaprecedentemente riscaldata. Non appena il
to, e di conseguenza, anche quello del suo
fondo dell’omelette sarà cotto ma la sua su-
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pretesti | Dicembre 2011
perficie ancora morbida, si disporranno al
centro le mandorle e circa un terzo dei funghi. Una volta arrotolata, l’omelette andrà
servita su un piatto bollente e guarnita con
gli altri funghi e una generosa spolverata
di prezzemolo. Potete accompagnarla con
un boccale di birra, come fa Nero Wolfe
quando si appresta a leggere un libro. Chi
intendesse seguire passo a passo le gesta
culinarie del detective può avvalersi dal
2007 di una guida preziosa: il Manuale di
cucina di Nero Wolfe pubblicato da Sonzogno in cui Barbara Burn ha raccolto, sotto
la supervisione di Rex Stout, tutte le ricette contenute nei romanzi che hanno per
protagonista la premiata ditta Nero Wolfe,
Archie Goodwin & company. Certamente
un libro di categoria A.
OMELETTE
CON FUNGHI E MANDORLE
Ingredienti:
20 gr di scalogno tritato
20 funghi champignon
100 gr di burro
100 gr di mandorle intere pelate
4 uova
2 cucchiai di vino bianco secco
2 cucchiai di panna
una manciata di prezzemolo
sale
pepe
Il burro aromatizzato al dragoncello si
può ottenere mescolando una presa abbondante di dragoncello essiccato con
un cucchiaio di burro e lasciando riposare il composto per circa mezz’ora.
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pretesti | Dicembre 2011
IL LABIRINTO DI CARTA
Recensioni
1Q84
di Haruki Murakami
Se, come ha affermato Paul Klee, l’arte non si
pone il fine di riprodurre il visibile, ma di concretizzare e rendere sperimentabile l’invisibile, l’intera opera di Haruki Murakami, vera
e propria icona pop della cultura giapponese, sembra a noi lettori esemplificare in pieno
tale assunto. Mettendo in scena, attraverso
ardite metafore e immagini simboliche, mondi paralleli legati
all’immaginario e
all’onirico, la scrittura dell’autore di
Kyōto prende la
forma di un labirinto in cui, come
in un’opera barocca, più ci si perde
più il nostro gusto
estetico viene solDisponibile su
lecitato. Mai però
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come nella sua ultima fatica, di cui
Einaudi ha pubblicato in un unico libro i primi due volumi (l’ultimo uscirà nel 2012), lo
scrittore giapponese fa i conti con la propria
arte, distillandone l’essenza. 1Q84, questo il
titolo del romanzo, riprendendo la tecnica già
utilizzata in Kafka sulla spiaggia, narra parallelamente le vicende di due enigmatici personaggi: il killer in minigonna e tacchi a spillo
Aomame (letteralmente “verde pisello”) e il
ghost writer Tengo. Apparentemente le vite di
entrambi non hanno nulla in comune. Niente
vi può essere di più distante. Ma tra le due
storie gradualmente il lettore inizia a cogliere delle corrispondenze nascoste. E quando
45
Aomame, alzando gli occhi verso il cielo stellato di Tokyo, si trova a scorgere una seconda luna, comprende come il suo destino sia
ormai inscindibile da quello di Tengo. Scritto
con un stile borgesiano, sfiorando le tematiche care ai surrealisti, 1Q84 rappresenta l’arte
dello scrittore giapponese al suo meglio. In
esso, infatti, si ritrova all’ennesima potenza
quello che nel tempo è diventato il marchio
della sua poetica, ovvero l’esistenza di due
mondi, due realtà in opposizione speculare, il
mondo reale (l’anno 1984 in cui è ambientato
il romanzo), e il mondo immaginario (1Q84,
dove la pronuncia della Q in giapponese è simile alla pronuncia del numero nove). Queste dimensioni distinte, esemplificazione dei
molteplici piani dell’essere, a volte nel corso
della narrazione si contaminano, creando un
sottile senso di vertigine nel lettore. I personaggi disegnati dalla penna di Murakami
passano infatti attraverso porte invisibili che
collegano realtà distanti, e dal quel momento le loro azioni tendono ad assumere conseguenze imprevedibili. La precisa e accurata
descrizione di questi passaggi garantisce la
costruzione di un mondo che, benché irreale
e fantastico, sembra assumere un profilo in
sé perfettamente coerente. Magia dell’arte
dunque, che riesce dove il semplice raziocinio fallisce. Solo i buoni romanzi hanno
questo potere. E se siamo disposti a seguire
la guida dell’autore, può capitare che attraverso questi passaggi segreti si possa mettere piede in una realtà che non siamo abituati
a vedere. Questo vuol dire perdersi nel labirinto di Haruki Murakami.
pretesti | Dicembre 2011
CORMÒNSLIBRI 2011.
FESTIVAL DEL LIBRO E
DELL’INFORMAZIONE
e gli altri eventi del mese
CORMÒNSLIBRI 2011. FESTIVAL DEL
LIBRO E DELL’INFORMAZIONE
Torna il consueto appuntamento prenatalizio con il Festival del Libro e dell’Informazione, diventato ormai tradizione per la
cittadina di Cormòns, in provincia di Gorizia. Quest’anno il tema principale attorno
a cui ruota la manifestazione è quello della felicità nelle sue molteplici sfaccettature.
Ne discutono personaggi provenienti dal
mondo della narrativa e del giornalismo tra
cui Tullio Avoledo, Oliviero Beha, Federica Manzon, Pino Roveredo e Lidia Ravera.
Chiude la rassegna uno spettacolo di Dario
Vergassola. Fino al 15 dicembre.
SALONE DELLA PICCOLA E MEDIA
EDITORIA MERIDIONALE “SUD’S”
La quarta edizione del più grande evento
editoriale pugliese, che si svolge a Foggia,
si pone anche quest’anno l’obiettivo di offrire un palcoscenico di prestigio alle realtà editoriali meridionali più interessanti e
magari meno note al grande pubblico. La
rassegna offre un ricco calendario di eventi:
convegni, incontri e presentazioni con autori locali e di fama nazionale. Significativa anche la partecipazione di case editrici
più affermate tra cui spiccano Castelvecchi,
Fandango e Meridiano Zero.
Dal 16 al 18 dicembre.
MOSTRA DEL LIBRO PER RAGAZZI
La mostra del libro per ragazzi ha luogo
quest’anno a Polla (Salerno), magnifico
centro cilentano insignito per una settima46
Appuntamenti
na del prestigioso riconoscimento di Città del libro. Tra gli eventi principali della
rassegna, si segnala la presentazione del
progetto “Librarsi”, che ha come scopo la
diffusione della biblioterapia, una nuova
frontiera del trattamento psicoterapeutico
utilizzata per alleviare la depressione e altri gravi disturbi psichici attraverso la pratica della lettura. Numerosissime le altre
iniziative che vedranno la partecipazione
di artisti a stretto contatto con il mondo dei
giovani, come ad esempio Giordana Galli,
Giusy Rinaldi e Claudia Camicia.
Fino al 16 dicembre.
INNESTI. FESTIVAL ITINERANTE DI
CONTAMINAZIONI LETTERARIE
Organizzato dalla Libreria del Frattempo
di Sansepolcro (Arezzo), in collaborazione
con “Corpifreddi Itinerari Noir”, si svolge
in questi giorni il festival “Innesti”, che ha
per suggestivo scenario svariate location
tra Sansepolcro e Anghiari. La rassegna,
nata con la finalità di far dialogare generi
letterari e artistici differenti, vede anche
quest’anno la partecipazione di molte personalità provenienti non solo dal mondo
della scrittura, ma anche da quelli della
musica e delle arti figurative. Tra gli eventi
notevoli di questo mese segnaliamo, il 16
dicembre a Pubbone, lo spettacolo visivosonoro “Solo blues, maledetto blues” dello scrittore Alessandro Zannoni, accompagnato dai musicisti Andrea Giannoni e Gastone Gastardelli.
Fino al 18 dicembre.
pretesti | Dicembre 2011
Tweets
@JessDamned
No vi prego, manteniamo
umo
almeno il piacere del prof
le
della carta e del sfogliare
pagine di un libro...
@graziabuscaglia
Prima il pilates, poi
l’ebook e ora la nanna!
Notte.
@MarcoFerrante
turo.
il passato proiettato sul fu
d, il
Scarichi i giornali sull’ipa
opero
sci
a
display dice che caus
dei poligrafici non sono dis
ponibili.
@Librinnov
and
@QwertyValentine
Esperimento interessante.
Io una playlist di storie brevi
me la farei volentieri...
o
La lettura d
igitale e il w
eb:
“Se cambia
no i libri, ca
m
bia
anche il mo
do di fare e
diffondere cult
ura in Italia
”.
ok
@Pianeta_eBo
arrivo,
der a colori in
Un altro #eRea
States. L’Ectaco
stavolta dagli
ole (ma
sato per le scu
Jetbook è pen
non solo).
Bookbugs
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pretesti | Dicembre 2011
I TUOI eBOOK QUANDO VUOI, DOVE VUOI
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Dicembre 2011 • Numero 3 • Anno I
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Redazione:
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In copertina: Gaetano Cappelli - foto di Gianni Giansanti ©
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