ANNO 66º - Nº 4 (743) • MENSILE
saluto
21 OTTOBRE 2012
Una copia 50 centesimi
ti
fratello!
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Il catechismo in tasca
uando suor Bertilla spirò la sera del
20 ottobre 1922 si
presentò subito la necessità
di comporre la salma rivestendola dell'abito di religiosa. Il suo corredo personale contava poche cose e
quelle poche cose erano veramente povere, tra cui una
veste sdrucita e rattoppata.
Fu per l'intervento della Ma-
Q
dre Generale che si ritenne
opportuno rivestirla con un
abito nuovo. Accadde, allora, che rovistando nelle tasche del vecchio abito fu ritrovato un libricino sgualcito dal tempo e dall'uso: il catechismo.
Il libro della sapienza
Nell'omelia della beatificazione, il 9 giugno 1952, il
Papa Pio XII si soffermò a
lungo sul particolare significato di questo “ritrovamento”. Ricordò che, se
mentre la piccola Boscardin
faticava nelle materie scolastiche, “assimilava con
un sicuro istinto soprannaturale la dottrina cristiana... Ella comprendeva con
cuore puro le cose di Dio...
Allorché fu obbligata du-
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LA PRIMA
VOCE
21 OTTOBRE 2012
rante la prima guerra mondiale ad abbandonare Treviso e i
suoi cari malati, la beata non
prese nulla delle sue cose personali, ma chiese la grazia di
portare con sé il catechismo”.
“Quel piccolo libro prezioso –
continuò Pio XII – ha per sé
maggior valore che un'ampia
enciclopedia. Esso contiene le
verità della fede che si debbono credere, i doveri che si hanno da adempiere, i mezzi della propria santificazione. ...Ecco il libro della sapienza, l'arte del ben vivere, la pace dell'anima, la sicurezza nella prova. C'insegna come piacere a
Dio: la beata Bertilla l'aveva
compreso e fu la sua felicità”.
Pochi anni dopo, l'11 maggio
1962, papa Giovanni XXIII,
proclamandola santa, volle pure lui ritornare sul valore di
quel libricino custodito con
tanto amore. Ricordò che il catechismo, insieme con l'educazione familiare e la disponibilità alla chiamata del Signore, formarono i presupposti
della santità di quell'umile suora infermiera. Aggiunse però,
in modo significativo, che
“l'umile suora di Brendola è la
conferma di una tradizione che
fa delle fervorose parrocchie la
prima scuola di ben vivere e di
santità”.
Testimone della fede
Perché dare tanta importanza
al catechismo di una suora infermiera la cui fama di santità
è legata alla straordinaria de-
Quando suor Bertilla
Boscardin morì, nelle
tasche della veste le
consorelle trovarono
un libricino sgualcito
dall’uso: il catechismo.
Ancora oggi,
attraverso la “porta
della fede”, che
abbiamo varcato in
questi giorni aprendo
l’Anno indetto dal
Papa, questa piccola
grande santa si fa
incontro a noi
ricordandoci che
l’amore viene da Dio,
che si è fatto vicino a
noi in Gesù di
Nazareth
dizione con cui servì gli ammalati? Possiamo capire meglio
ciò, ora che abbiamo varcato la
“porta” di un anno dedicato alla fede. Attraverso di essa,
questa piccola grande santa
si fa incontro a noi ricordandoci
che l'amore non è un sentimento, che tante volte può
spegnersi di fronte a difficoltà
o resistenze della vita. L'amore viene da Dio. Questo Dio si
è fatto vicino a noi in Gesù di
Nazareth, il cui Spirito d’amore viene effuso nei nostri cuori, così desiderosi di amare,
ma anche così induriti e fragili.
Il catechismo di Bertilla non è
l'arido elenco di verità della fede da accettare ad occhi chiusi. Papa Giovanni lo aveva definito “il libro della sapienza”,
nel senso vero del termine,
che non deriva da “sapere”,
ma da “sapore”. Bertilla e con
lei tanti umili cristiani hanno
trovato e trovano nelle verità
della nostra fede ciò che dà
“gusto” alla loro vita. Ma non
sarà certo una “formula” a dar
sapore alla vita cristiana. Lo ricordava Giovanni Paolo II all'inizio del nuovo millennio:
“No, non una formula ci salverà, ma una Persona, e la
certezza che essa ci infonde: Io
sono con voi”.
Il catechismo sta a ricordarci
che questa Persona, non è una
vaga idea o un personaggio
del passato, ma è il Gesù Crocifisso, Risorto e Vivente. E' su
questo fondamento della fede
che Bertilla e con lei una schiera innumerevole di testimoni
della fede possono dire con san
Paolo: “So in chi ho creduto”.
Per Bertilla quel “sapere” della fede ha reso la sua vita conforme a quella di Cristo. Sul
calvario il centurione credette
in Gesù vedendolo morire in
quel modo. Il dott. Zuccardi
Merli, noto repubblicano e
massone, che assistette Bertilla nel momento della morte, al
processo di beatificazione così testimoniò: “Posso affermare che l'alba della mia modificazione spirituale inizia dall'aver visto suor Bertilla mentre stava per morire... Morì
così come nessun altro io vidi
morire... Oppressa da un male dolorosissimo, in quello stato in cui il morente si aggrappa al medico e chiede “salvami”, udirla invece dire: ‘Siate
contente consorelle, io vado
presso Dio’, fu cosa che mi
spinse a riflettere e che ora
guardo come il primo miracolo di suor Bertilla”.
DON ANTONIO GUIDOLIN
SPAZIO
UNITALSI
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L’Unitalsi di Treviso propone
un triduo da venerdì 19 a sabato 20 ottobre, momento di
preghiera alle 20.30 nella
chiesetta delle suore Dorotee
(ingresso da via Scarpa) guidato da mons. Piero Vangelista; domenica 21, santa messa alle ore 10, nella chiesa dell’ospedale Ca’ Foncello. La
chiesa sarà raggiunta dal personale dell’Unitalsi e da tutti
i fedeli che lo desiderano in
corteo, con partenza alle 9.30
da via Scarpa, portando il nuovo stendardo. La messa, presieduta da don
Antonio Guidolin,
direttore dell’ufficio diocesano di
Pastorale della
salute, sarà trasmessa in diretta da Reteveneta. Anima il coro di Preganziol.
Nuovo stendardo
per una patrona speciale
Messa all’ospedale di Treviso domenica 21
e celebrazioni eucaristiche il giorno della sua festa, il 20 ottobre, nella cappella universitaria “Oasi Santa Bertilla” di
Treviso (alle ore 8.30, 10, 17) e
una messa domenica 21, alle
ore 10, in diretta su Rete Veneta, nella chiesa dell’ospedale
Ca’ Foncello. E’ così che viene
ricordata in questo fine settimana santa Bertilla Boscardin
nel 90° della morte.
La sezione Unitalsi di Treviso,
di cui s. Bertilla è patrona, ha
voluto rinnovare quest’anno il
proprio stendardo, con un bel
dipinto dell’artista Sergio Favotto. L'opera raffigura sullo
sfondo, in primo piano, Santa
Maria Bertilla, che accoglie tra
le sue braccia una bambina di-
L
sabile, affiancata da una sorella e un barelliere dell'Unitalsi:
questo per rappresentare lo spirito di amore, accoglienza e carità dell'Unitalsi verso i più bisognosi.
Nata nel 1888 in provincia di
Vicenza, in una famiglia contadina, con l'aiuto del parroco la
piccola Anna Francesca entrò
nel 1905 nelle suore Maestre di
Santa Dorotea Figlie dei Santissimi Cuori a Vicenza, prendendo il nome di suor Maria
Bertilla. Divenuta infermiera,
lavorò nell'ospedale di Treviso,
dove si dedicò a servire i malati nel corpo e nello spirito, infaticabile nell'aiutare le consorelle. Nonostante fosse stata colpita da un tumore a soli 22 anni, continuò con impegno il pro-
prio lavoro, reso più faticoso dalle difficoltà della prima guerra
mondiale. Mandata a Como,
soffrì molto per l'incomprensione di qualche medico e della
propria superiora senza mai lamentarsi o protestare. Tornata
a Treviso, riprese il suo lavoro
in ospedale nonostante l'aggravarsi della malattia. Morì a
34 anni, nel 1922. La sua grandezza spirituale sta nell'aver cercato nella fatica, nell'umiltà, nel
silenzio, un'unione con Dio sempre più profonda. Le sue spoglie si trovano ora a Vicenza,
nella Casa madre della sua comunità.
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ACCANTO A
CHI SOFFRE
di complicazioni: quando ho
cominciato a capire che cosa
stava succedendo dentro di
me mi sono ribellato a Dio, mi
sono domandato perché, non
ho fatto come Giobbe che ha
detto ‘il Signore ha dato, il Signore ha tolto’. Poi lentamente mi sono rivolto al Crocifisso e ho capito quanto importante è per l’uomo riuscire, attraverso il dolore, a conquistare una dedizione ancora
più profonda alla propria uma-
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S
coprire che la sofferenza è una risorsa”:
è la conclusione,
raggiunta “dopo tanti pianti
di notte”, a cui è arrivato
mons. Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina e assistente
ecclesiastico generale dell’Azione cattolica italiana, reduce da un
grave incidente in montagna, capitato un anno fa,
che ha messo
in grave pericolo la sua vita. Dopo due mesi di ospedale e di cure intensive mons. Sigalini è tornato
nella sua diocesi e ha ripreso
la sua attività pastorale: il Sir
lo ha intervistato sia sulla sua
esperienza sia sulla necessità
di educare i giovani alla realtà della sofferenza.
Mons. Sigalini nella Lettera
di papa Benedetto XVI alla
città di Roma sul compito urgente dell’educazione, del
2008, c’è un passaggio sul
tema della sofferenza come
“verità della nostra vita”: è
un’affermazione che può
spaventare, non crede?
Il dolore ci fa sperimentare la
limitatezza di tutta la nostra
esistenza e consistenza: il problema è vedere se questa sofferenza è frutto di un incidente, è un malanno che ti capita, che sarebbe stato meglio
che non ci fosse, è una maledizione o se invece, come è
successo a me, è scoprire, do-
Prima o poi l’incontro
con la sofferenza
po tanti pianti di notte, che è
una risorsa. Prima dell’incidente ne avevo parlato in
qualche omelia, ne avevo ragionato anche con i malati, ma
quando lo provi sulla tua persona allora questa verità ti si
incarna dentro. Occorre che
le persone, i ragazzi in particolare, vengano a contatto con
umiltà, con tutta questa sofferenza, che adesso si tenta di
nascondere. A volte i ragazzi
sono insoddisfatti della vita,
ma mai si pentono di aver assistito una persona malata,
che è capace di trasmettere
loro la forza di voler vivere e
conserva dentro di sé dei valori forti nonostante la sofferenza.
L’esperienza che ha vissuto
l’ha cambiata come persona
e come pastore?
Dopo i 15 metri di caduta che
ho fatto sono arrivato all’ospedale con il cuore fermo,
e poi ha avuto tutta una serie
nità e direi anche all’esperienza di Dio. Il dolore che ho
provato mi ha fatto capire, per
esempio, cosa vuol dire la solidarietà, non potersi muovere e avere bisogno di tutti per
poter cominciare a sperare e a
vivere, e questo, già di per sé,
è stato un regalo. E poi l’esperienza di fede più bella è quella di unire, con molta consapevolezza della nullità che
siamo, la nostra sofferenza con
quella di Gesù Cristo. Nella
vita cristiana non c’è l’equazione ‘hai fatto bene, un premio, hai fatto male, un castigo’, nella vita cristiana noi
dobbiamo compiere ancora
maggior bene perché il male
è troppo: Gesù Cristo era innocente e ha patito perché
questo male fosse distrutto e
anche noi abbiamo questa vocazione a portare avanti la sofferenza perché questo mondo
diventi migliore.
SIMONA MENGASCINI
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Tsf n. 4 del 21_10_2012