NEWSLETTER 44-2015 Iscriviti QUI alla Newsletter del Biologico…e non solo! ...ora siamo anche in Facebook!! NOTIZIE DALL’EUROPA E DAL MONDO GLI USA COPRONO QUASI LA METÀ DEI CONSUMI BIO GLOBALI Il mercato mondiale del bio è più che quintuplicato negli ultimi 15 anni raggiungendo quota 80 miliardi di dollari. 'Dal 1999 gli alimenti e le bevande biologici hanno visto un incremento enorme. Allora il volume di mercato raggiungeva appena i 15 miliardi di dollari. Nel 2013 si contavano già 72 miliardi. Attualmente i dati del 2014 sono ancora in fase di elaborazione, tuttavia pare che ci si avvicini alla soglia dei 80 miliardi di dollari', spiega Amarjit Sahota dell'agenzia londinese Organic Monitor, che ha aggiornato la situazione globale in vista della edizione del prossimo febbraio del Biofach di Norimberga. La superficie mondiale coltivata secondo criteri biologici, pari nel 2013 a 43,1 milioni di ettari. In questo contesto la Germania rappresenta il maggiore mercato europeo: nel 2014 è cresciuto del 4,8%. In cifre assolute il fatturato realizzato con alimenti e bevande venduti nei negozi al dettaglio tedeschi (negozi di alimenti naturali compresi) è salito da 7,55 a 7,91 miliardi di euro, secondo l'Arbeitskreis Biomarkt che ha elaborato i dati rilevati dagli istituti di ricerche di mercato tedeschi Gesellschaft für Konsumforschung GfK, Nielsen, BioVista e la Klaus Braun Kommunikationsberatung. Per restare in Europa, la Francia sta recuperando terreno nei confronti della Germania. Rispetto all'anno precedente, le vendite nel 2014 sono salite del 10% per 5 miliardi di euro di fatturato. Nove consumatori su dieci scelgono come minimo di tanto in tanto prodotti bio, sei su dieci almeno una volta al mese. Per far fronte a questa domanda, sempre più agricoltori si convertono al biologico facendo segnare un incremento del 4% della superficie coltivata secondo criteri bio che ha ormai superato gli 1,1 milioni di ettari, secondo l'agenzia Agence Bio. Nel 2014 il fatturato bio è cresciuto anche nel Nord Europa con grosse differenze tra Paese e Paese per quanto riguarda la quota detenuta sul rispettivo mercato alimentare. Mentre in Danimarca ammonta all'8%, la Norvegia raggiunge soltanto l'1,4%. In Danimarca sono ormai biologici una carota su quattro e un litro di latte su quattro (il 29% riferito al fatturato). Non solo. E' il Paese che esporta la maggior quantità di prodotti bio (tra gli altri verso Germania, Svezia, Francia e Paesi Bassi), realizzando così nel 2014 introiti pari a 204 milioni di euro. Fino al 2020 questo valore potrebbe più che raddoppiare, secondo le previsioni dell'associazione di settore Organic Denmark. Nel 2014 il mercato bio svedese è esploso: infatti è aumentato di ben il 38% raggiungendo una quota di mercato del 5,6%. Stando ai dati forniti da Ekoweb, alla fine del 2014 il fatturato si aggirava su 1,6 miliardi di euro. Secondo le autorità agricole del Paese, nel 2014 in Norvegia il fatturato si è aggirato sui 256 milioni di euro, un dato piuttosto basso a fronte di un considerevole incremento del 28% registrato nei supermercati. In lenta ripresa la Gran Bretagna, dopo anni di ristagno. Nel 2014, con una crescita del 4%, il settore degli alimenti biologici ha realizzato nel Regno Unito un fatturato di 1,86 miliardi di sterline (2,53 miliardi di euro). Guardando Oltreoceano, negli Usa la vendita di prodotti bio tramite commercio specializzato e convenzionale segna un vero e proprio boom. Nel 2014 il mercato biologico degli Stati Uniti è cresciuto dell'11%, raggiungendo un valore pari a 35,9 miliardi di dollari (31,6 miliardi di euro). Rispetto al 1997, anno in cui l'Organic Trade Association (Ota) ha rilevato per la prima volta il fatturato bio statunitense, è praticamente decuplicato. (dal Bollettino Bio di Greenplanet – ottobre 2015) AGILITY-JOB L’investimento di energie nel lavoro non viene valutato in base a un effettivo tangibile vantaggio professionale e aziendale, ma come valore in sé. […] Esistono certamente momenti in cui scegliere di sopportare in silenzio resta l’unica soluzione, ma quando ci accorgiamo che abbiamo esteso questa tattica dal breve periodo a uno stile di vita, dovremmo fermarci e considerare una soluzione più costruttiva. Beatrice Bauer Leggo oggi sulla homepage del Corriere che la nuova Legge di Stabilità prevede l’introduzione del “lavoro agile”. O agility-job, penso subito, prendendo spunto dalle prove di destrezza che molti cinofili fanno fare ai loro amici a quattro zampe (agility-dog). “Agile è definita la prestazione dai lavoratori dipendenti fuori dai locali aziendali” si legge subito. WOW, mi lecco subito i baffi e comincio a sognare ad occhi aperti! Vuoi vedere che sono uscito dal mondo del lavoro tradizionale proprio un attimo prima che questo mettesse la testa a posto? ;-) Mi butto voracemente sull’articolo e… i sogni si infrangono meno di dieci righe dopo, dove puntualmente leggo: “Lo smart-working punta a far crescere la produttività, conciliandola con le motivazioni e la flessibilità del dipendente, impiegato o manager.” Se le macchine producono tutto ciò di cui abbiamo bisogno, il risultato dipenderà da come questo sarà distribuito. Chiunque potrà godersi una vita di piacere soltanto se il benessere prodotto dalle macchine sarà condiviso, altrimenti – qualora le lobby tecnologiche si opporranno alla distribuzione di ricchezza – la maggior parte delle persone scivolerà in condizioni di povertà. Ad oggi, il trend sembra orientato alla seconda opzione, con la tecnologia che spinge iniquità continuamente crescenti. (S. Hawking) Dico, neanche dieci righe per sognare mi lasciano, che subito spunta la parolina magica: produttività! Non serve scomodare Joseph Stiglitz per scoprire che negli ultimi cinquant’anni, in Occidente, la produttività del lavoro ha registrato un incremento tremendamente superiore a quello dei salari reali, decretando di fatto l’irreversibile inutilità di sterminate masse di lavoratori specializzati, ormai del tutto superflui per supportare un’Offerta aggregata che, fortunatamente, la Domanda non è più in grado di assorbire. Non serve leggere Stephen Hawking, altro personaggetto di trascurabile importanza, che si è recentemente occupato dell’insaprimento delle iniquità distributive, quale effetto collaterale di un mondo del lavoro sempre più tecnologizzato ed emancipabile dall’apporto umano. E non serve nemmeno conoscere le teorie di Jeremy Rifkin per accorgersi che la forma mentis neoliberista è destinata nel prossimo futuro ad arroccarsi in nicchie sempre più ristrette ed esclusive, lasciando al di fuori di esse una società sempre meno tutelata, ma auspicabilmente dedita alla costruzione di un nuovo commons-collaborativo. E, scusandomi per l’indegno affiancamento, non serve nemmeno leggere Vivere Basso, Pensare Alto/Low Living High Thinking per intuire come il capitalismo – avviandosi verso la conclusione delle sue fasi “mercantile” e “finanziaria” – pieghi ora verso il suo ultimo stadio, assai più pervasivo e minaccioso dei precedenti, che ho definito “capitalismo relazionale” e in cui la fame di accumulo sprigionerà i suoi nefasti effetti nei confronti non più delle merci o del denaro, ma del… tempo. Il nostro. Ed ecco allora arrivare puntualmente l’agility-job, il lavoro agile, ennesimo e sopraffino gioco di prestigio per immolare le nostre esistenze al culto della merce, dello scambio, del prodotto, illudendoci però al tempo stesso di rispettare e tutelare il nostro bisogno di equilibrio. Perché, mi spiace infrangere così anche il sogno di tanti, ma lo abbiamo appena visto: lo scopo si chiama ancora una volta produttività. E non ci sarà lavoro agile o remoto che tenga, di fronte alle pulsioni stakanoviste del capetto di turno, che – per non deludere a sua volta il proprio capo – non si preoccuperà certo di conoscere l’orario di pausa del suo collaboratore, prima di pretendere da lui una solerte risposta alla mail che avrà inviato non appena gli è passato per la testa. Lo smart-working starà al lavoro tradizionale esattamente come gli smart-phone e i tablet stanno alla (sigh!) posta pneumatica o anche solo a un PC: ci renderà più liberi e flessibili apparentemente, ma concretamente (e psicologicamente) saremo più asserviti e pilotabili di prima. Soprattutto in un Paese come l’Italia, dove l’ubbidienza e l’impegno fine a se stesso contano notoriamente assai più del merito e del risultato; dove cioè misurare la qualità di una prestazione con un orologio è assai più facile che farlo con un vero MBO, Management By Objectives (che, infatti, spesso serve proprio soltanto a nascondere l’orologio). Chiudo questo post con un articolo risalente a qualche anno fa, che mi fornì un’ulteriore e implacabile chiave di lettura per decodificare la perversione della mentalità iper-produttiva e iper-consumistica del mondo che mi sono ormai fortunatamente lasciato alle spalle. E’ un articolo lucidamente spietato, soprattutto perché non è scritto da un downshifter come me, ma nientepopodimeno che da una docente della Bocconi, tempio sacro del neoliberismo economico e della dittatura del profitto che sta atrofizzando le nostre vite e il nostro futuro. Da Troppo work e poca life di Beatrice Bauer: Grazie a regole sociali e tradizioni, la vita dei nostri nonni era meno problematica della nostra nella gestione della dicotomia privato-lavorativo. Il tema del bilanciamento tra lavoro e vita privata è diventato di interesse sociale solo negli ultimi decenni: le nuove tecnologie hanno modificato gli aspetti temporali e strutturali del lavoro rendendo i tradizionali confini con la vita privata non più netti, ma tali da sostituire la terminologia work life balance con work life integration. Purtroppo, nell’integrazione ha prevalso il lavoro, che diviene pervasivo se l’individuo o la società non sviluppano reazioni adeguate. Non esistono però facili soluzioni standardizzabili o appaltabili ad altri, qualunque sia la terminologia utilizzata per definire il problema della gestione della nostra vita tra multipli ruoli sociali, esigenze personali e aspettative familiari. [continua l’articolo QUI…] (da Low Living High Thinking – ottobre 2015) ALLARME CARNE ROSSA E CONSERVATA. CARLO PETRINI: «POSSIAMO DAVVERO ACCONTENTARCI DI QUESTA SEMPLIFICAZIONE?» Il fatto che anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità abbia messo nero su bianco il fatto che esiste una correlazione tra il consumo di carne rossa (e ancor più di carne lavorata) e alcuni tipi di cancro conferma quanto molti scienzati, medici ed epidemiologi affermavano da tempo. Non si può certo dire, infatti, che lo studio uscito in queste ore e ampiamente anticipato nei giorni scorsi abbia l’effetto di un fulmine a ciel sereno. Ciò che colpisce, semmai, è che da oggi non si torna più indietro, non ci si può più immaginare ripensamenti, cambi di rotta o nette fratture nella comunità scientifica: la carne rossa è probabilmente cancerogena; la carne conservata (wurstel, salsicce, carne in scatola ecc.) è cancerogena. Ma possiamo davvero accontentarci di questa semplificazione? Ovviamente no, ed è la stessa OMS a sottolinearlo chiaramente: è la quantità a fare la differenza, qui sta il centro della questione. Bisogna stare attenti, perché lanciare allarmismi “un tanto al chilo” è insensato oltre che stupido. Non per nulla molte organizzazioni nel mondo, tra cui Slow Food, teorizzano da anni che la diminuzione dei consumi di carne è una strada obbligata, non solo per la salute umana ma anche per quella delle risorse naturali che per la sua produzione vengono utilizzate (o meglio sovrautilizzate). E questo va a braccetto con la qualità della carne che finisce sulle nostre tavole. Qualità in termini di sicurezza e qualità in termini di impatto ambientale. È evidente che produrre carne per un mondo in continua crescita e in cui i consumi sono in costante escalation spinge alla ricerca di soluzioni rapide, di scorciatoie che consentano una produzione veloce, standardizzata e meccanizzata. Ed ecco allora gli allevamenti da centinaia o addirittura migliaia di capi (parlando ovviamente di bovini, perché per ciò che riguarda il pollame si arriva tranquillamente a decine di migliaia), in cui la vicinanza degli animali e gli spazi angusti obbligano a un utilizzo massiccio di antibiotici per limitare l’insorgenza di malattie, dove si rende necessaria l’amputazione di corna, becchi o code per evitare che gli animali si feriscano, dove gli escrementi sono talmente tanti che non è pensabile utilizzarli come concimi (anche perché non ci sono prati da concimare, gli animali vivono reclusi in gabbie e stalle il più piccole possibile per ottimizzare gli spazi), dove l’alimentazione dei capi è ricca di grassi per favorire una crescita rapida e costante. Tutto questo è figlio di un modo sbagliato di mangiare carne. È necessario diminuire i consumi e diversificare le nostre diete, riscoprendo quelle proteine di origine vegetale che possono facilmente e molto efficacemente sostituire quelle animali. Non solo, ma dobbiamo privilegiare quei prodotti che meno si prestano all’utilizzo massiccio di additivi, conservanti, edulcoranti, coloranti. Perché oggi queste sostanze fanno a tutti gli effetti parte integrante delle nostre diete, spesso a nostra insaputa o per nostra disattenzione o noncuranza. In questo senso è necessario che cresca la sensibilità intorno al fatto che scegliere ciò che si mette in tavola non è una scelta indifferente e soprattutto è una scelta che incide sulla qualità della vita in primis nostra ma non solo. Da questo punto di vista lo studio redatto dall’OMS può avere una grande forza di impatto sulle persone, che finalmente trovano la più alta autorità in termini di salute pubblica a esprimersi così chiaramente su un prodotto di consumo così esteso e diffuso. Consumare meno carne fa bene alla nostra salute, fa bene all’ambiente e fa bene gli animali. Niente isterie però, altrimenti saremo nuovamente fuori strada e nuovamente saremo incapaci di cogliere una grande opportunità di educare noi stessi a mangiare meglio e, più in generale, a consumare meglio. Lo studio che è uscito ieri (26 ottobre – n.d.r.) deve porgerci il destro per affermare ancora una volta che sobrietà, diversificazione e consapevolezza devono essere il nostro faro per approcciare il cibo in maniera matura, informata e rispettosa. Altrimenti staremo solo correndo dietro all’ultima tempesta in un bicchiere d’acqua. Visita la nostra sezione dedicata alla Carne e in particolare Perché limitare il consumo di carne? Puoi anche scaricare gratuitamente la nostra guida al consumo Diamoci un taglio (Carlo Petrini di Slow Food in Repubblica.it - Salute Alimentazione – ottobre 2015) MARINALEDA: NESSUN DISOCCUPATO E CASE A 15 EURO: LA (PICCOLA) RIVOLUZIONE DELLA CITTADINA SPAGNOLA Si chiama Marinaleda ed è una cittadina spagnola diventata famosa per il suo modello di vita. Cooperazione, solidarietà e semplicità sono alla base dell'esistenza della popolazione di questo paese situato nel cuore dell'Andalusia. Cos'ha di speciale? Qui, nella regione spagnola più colpita dalla crisi, non c'è un solo disoccupato. Una storia iniziata negli anni '80, quando i contadini riuscirono dopo una serie di lotte a conquistare dei terreni. Nel 1991, poi, 1200 ettari di El Humoso furono ceduti alla prefettura di Marinaleda. Ma è stato soprattutto il rivoluzionario sindaco Juan Manuel Sánchez Gordillo a far decollare questa politica economica e sociale basata sulla terra e chiamata Utopia. Partì così la riforma agraria destinata a cambiare l'economia del paesino. La popolazione oggi fa parte della grande cooperativa agricola Humar- Marinaleda SCA, creata dagli stessi lavoratori per la gestione delle nuove terre acquisite. Lo scopo della cooperativa è quello di creare posti di lavoro attraverso la vendita di prodotti agricoli sani e di qualità. Di fatto, la cooperazione ha preso il posto della competitività e si è posta alla base dell'economia di questo paese di soli 2700 abitanti. A Marinaleda la terra viene lavorata in modo ecologico e sostenibile. Chiunque può lavorare nella cooperativa e tutti ricevono lo stesso stipendio: 1.200 euro al mese. Così, mentre in Andalusia il tasso di disoccupazione è del 30%, a Marinaleda ognuno ha la garanzia di un posto di lavoro nella produzione agricola che alimenta la popolazione spagnola e quella di altri paesi europei. Come se non bastasse, comprare una casa lì costa circa 15 euro al mese con una gestione urbanistica basata sull'autoproduzione: per realizzare le case c'è un sistema di autogestione in cui gli (auto)costruttori si riuniscono una o due volte al mese per seguire il corso dei lavori o stabilire modifiche ai progetti. Le ore passate nell'autocostruzione vengono poi scontate dal costo di costruzione totale dell'abitazione. Il sindaco e gli assessori non ricevono gli stipendi. Un piccolo nucleo di persone, che ha saputo dimostrare come la terra e la cooperazione possano essere il miglior rimedio per tenersi al riparo dalla crisi. Alla faccia della competitività. E anche del Pil. (da Greenme.it – ottobre 2015) IL “SALVASUOLI” APPRODA IN SORDINA ALLA CAMERA Stiamo assistendo in questi giorni a un’improvvisa accelerazione dei lavori delle Commissioni riunite Agricoltura e Ambiente della Camera dei Deputati sul disegno di legge noto come “SALVA SUOLI”, tanto che l’avvio della discussione parlamentare è stato calendarizzato questo lunedì 26 ottobre. Salviamo il Paesaggio, una rete articolata costituita da oltre mille associazioni e comitati e migliaia di cittadini tutti da tempo in vario modo attivi per la tutela del territorio e del paesaggio del Paese, ha prodotto in questi anni molti documenti originali e contributi emendativi dei testi di legge succedutosi nel tempo, anche nelle Regioni che già hanno prodotto leggi con la stessa finalità. In questi documenti è sempre stato ribadito con forza il principio della necessità di fermare definitivamente il consumo di suolo libero in atto nel nostro Paese e l’urgenza di procedere al recupero e alla rigenerazione di aree dismesse e degradate oltre al risanamento ambientale delle aree soggette a rischio idrogeologico. Dobbiamo invece constatare che il testo inviato alla Camera, fatto oggetto di continui emendamenti a volte persino peggiorativi, è ben lontano dal perseguire con il dovuto rigore e la necessaria efficacia quello stop al consumo di suolo che costituirebbe un ineludibile primo passo verso il risanamento del nostro territorio e la riqualificazione del nostro obsoleto patrimonio edilizio; interventi questi che potrebbero costituire un concreto volano per un sostenibile e durevole rilancio socio – economico dell’Italia. Troviamo comunque grave e negativamente significativo il silenzio di Governo, Parlamento e organi di informazione, che a un DDL fondamentale per la “stabilità” del nostro Paese almeno quanto una legge finanziaria, non pongano lo stesso risalto mediatico per dare al tema “consumo di suolo” la centralità e l’attenzione che merita. Vogliamo augurarci che i prossimi passaggi parlamentari conducano all’approvazione di una legge coraggiosa e innovativa, all’avanguardia nell’intero panorama europeo, per la quale abbiamo da tempo prodotto nostri puntuali documenti di analisi e di “osservazioni” e che ci auguriamo vengano adottati per la promulgazione di una norma nazionale davvero chiara, definitiva e urgente. Comunicato Stampa del Forum Nazionale Salviamo il Paesaggio – 26 ottobre 2015 LA SEMPLICITÀ RIVOLUZIONARIA DEL CIBO Raccolgo volentieri l’invito a un commento sulla relazione preparatoria al congresso cittadino con queste brevi note, che sono innanzitutto un segno di stima e di riconoscenza per il ruolo che Legambiente ha avuto negli anni e nei territori, e anche un segno tangibile della volontà, della necessità urgente di rendere comuni i nostri intenti e condivisi i nostri pensieri, di mettere assieme anziché dividere, e di darci occasioni per poterlo fare. Il punto della situazione è bene descritto nei dettagli della relazione: siamo cambiati, stiamo cambiando. Anche all’interno dei movimenti e delle associazioni, la proposta, e quindi l’appartenenza, pare essere molto mutata e più adatta ad un uso veloce di pratiche e contenuti, e così il valore identitario passa più facilmente attraverso le Giornate Di… e le Campagne Per… Sono certamente iniziative che funzionano e che vanno valorizzate, capaci di mostrare, soprattutto sui temi ambientali, l’accresciuta sensibilità e la maggiore capacità di coinvolgimento, perfino una nuova disponibilità al cambiamento, anche delle proprie abitudini. Qui però vorrei porre l’attenzione sul senso del Tutti i Giorni e di quelle che vengono definite in maniera sempre troppo enfatica le buone pratiche, partendo da un elemento talmente basilare da risultare quasi scontato come il cibo. Approfittando dei riflettori di Expo che celebra l’argomento, è giusto il caso di aggiungere che per l’umanità, e in verità anche per tutte le altre specie, questo è il tema quotidiano sempre, fin dalle origini e lo sarà per il futuro. E da sola, questa riflessione scontata basta a proiettare l’argomento in uno spazio e un tempo che sono altri rispetto a un progetto, a un programma, ad ogni politica per quanto lungimirante. E’ un tema che riguarda tutto e tutti, è un tema che porta con sé una infinità di altri argomenti, che apre discussioni globali e minime, è tutto meno che un tema di tendenza come oggi sembrerebbe. E’ un tema infine che si affronta in modo diretto, collettivo o individuale, e che radica fortemente ad una matrice, ad una appartenenza appunto, che si allarga a cultura, a luoghi e alla gran parte dei temi fondativi delle società. Per fortuna invece di farne filosofia, l’argomento cibo passa attraverso la nostra esperienza di ogni giorno e proprio da qui discende il contributo che alla analisi della relazione potrebbe essere portato da un gruppo di acquisto solidale, fatto di piccole prassi quotidiane che hanno un significato di vero cambiamento sia personale che dell’ambiente in cui viviamo. E’ ancora possibile rendere concreta e vivace la responsabilità nei confronti di quanto ci circonda, farla diventare un’attenzione costante e quasi una abitudine che permane nel tempo, perfino un modo di intendere le relazioni con le persone e capace di orientare le proprie scelte in modo consapevole. Facile? Non tanto, ma la giusta misura di efficacia di un risultato, la parola giusta, è semplice. E’ un traguardo di sintesi, e forse la sola maniera di stare dentro, di farsi carico della complessità che ci sta attorno. Semplice come una traccia da riconoscere, non facile da seguire. Semplice come l’incontro con tante realtà che nel nostro territorio ostinatamente continuano a portare avanti produzioni pressoché perdute. Semplice come la solidarietà elementare, la prima di chi accoglie, basata su un bene primario e un linguaggio universale come il cibo. E questa è anche la fortuna di cui talvolta ci accorgiamo poco, la bellezza che ci circonda e che possiamo curare, tutti, personalmente, ancora prima di decidere se siamo o no veri ambientalisti. Per un solo motivo, quello che ci rammentano le parole di chiusura della relazione al congresso. Mario Zanazzi, Circolo Acli TuttoGas Padova (da Ecopolis Newsletter di Legambiente Padova – ottobre 2015) OGM:IL PARLAMENTO EUROPEO CHIUDE L'OPPORTUNITÀ AGLI STATI Nuovi prodotti alimentari e OGM, al centro di importanti decisioni, al parlamento europeo: il Parlamento europeo, con 577 voti a favore, ha rigettato la proposta della commissione europea di dare agli stati membri la possibilità di vietare la circolazione sul proprio territorio di OGM autorizzati. Nel testo, tra i nuovi prodotti, rientrano gli insetti o i nanomateriali, ma anche coloranti, funghi, alghe: in ballo ci sono quindi derivati delle nuove tecnologie ma anche cibi che tradizionalmente non hanno mai messo piede nell'Ue e che sono quindi classificati come "nuovi alimenti". Nel caso degli OGM però il Parlamento ha rigettato un progetto di legge che avrebbe permesso agli Stati membri di limitare o vietare sul proprio territorio la vendita o l'utilizzo di mangimi o alimenti OGM approvati a livello UE. Per i 579 che hanno votato a favore, la proposta va più a discapito della stessa visione del mercato unico, con cui sarebbe incompatibile, e porterebbe conseguenze negative all'agricoltura comunitaria, che dipende anche forniture di proteine provenienti da fonti OGM. Cosa cambia rispetto alle norme sulla coltivazione, che permettono agli Stati membri di vietare la coltivazione sul suolo nazionale degli OGM approvati a livello Ue? La coltivazione ha a che fare con il territorio dello stato membro mentre il commercio va oltre i limiti nazionali. Insomma, i divieti nazionali porterebbero a un cambiamento che viene valutato di difficile realizzazione, o che si concretizzerebbe, secondo gli eurodeputati, nella reintroduzione di controlli alle frontiere tra paesi favorevoli e contrari. La Commissione non vuole ritirare la proposta legislativa, il parlamento chiede invece alla stessa di presentare una nuova proposta di legge. §§ “IL VALORE AGGIUNTO DELL’AGRICOLTURA BIOLOGICA IN UNA SANA E CORRETTA ALIMENTAZIONE” La sana alimentazione come strumento di mantenimento di un buono stato di salute, è un argomento di grande attualità che converge con la crescente sensibilizzazione dell'opinione pubblica nei confronti della qualità e della sicurezza alimentare. In questo contesto i prodotti biologici, che costituiscono la base della Dieta Mediterranea, possono offrire, grazie alle loro caratteristiche nutrizionali, un contributo importante sia alla cura di molte malattie degenerative sociali , sia alla domanda di salubrità ed elevata qualità degli alimenti, rispondendo anche ai requisiti di sostenibilità ambientale. Nell'ambito del progetto "Alimenta ...il tuo benessere" Ed. 2015, ciclo di incontri e laboratori sulla sana alimentazione per la prevenzione del tumore al seno, realizzato da AIAB con il contributo della S. G. Komen Italia, è stato organizzato Sabato 24 ottobre presso il Policlinico A. Gemelli, l'incontro "ALIMENTAZIONE E BENESSERE PSICOFISICO PER LA PREVENZIONE DEI TUMORI", al quale sono intervenuti, tra gli altri, la Dott.ssa Patrizia PASANISI, Medico Nutrizionista, Epidemiologo, dell'Istituto dei Tumori di Milano, consulente di AIAB, che ha parlato del legame tra la sana alimentazione e i tumori; la Dott.ssa S. CARNEVALE, Psiconcologa del CIS del Policlinico Gemelli per gli aspetti legati al benessere psicofisico, e la Dott.ssa A. GALLUCCI, Agronomo, tutor del progetto, referente AIAB per il settore "Alimentazione e Salute", intervenuta sul valore degli alimenti biologici in una sana e corretta alimentazione. Il successo della giornata, seguita da un folto pubblico, è stata la conferma del profondo interesse per l'argomento e del valore del progetto fondato sulla sinergia e l'integrazione dei vari settori: medico, nutrizionale, della produzione e comportamentale. E se da una parte la comunità scientifica sottolinea l'attenzione sul consumo eccessivo di certi tipi di alimenti e certi tipi di cotture, diventa prezioso e necessario promuovere e diffondere la conoscenza di modelli alimentari sani e sostenibili. L'agricoltura biologica utilizza un approccio all' allevamento del bestiame che evita sostanze chimiche di sintesi, ormoni, agenti antibiotici, l'ingegneria genetica e l'irradiazione. È l'unica forma di agricoltura controllata in base a leggi europee e nazionali che si basa su un reale Sistema di Controllo uniforme in tutta l'Unione Europea. Le norme per la produzione di alimenti biologici comprendono molti requisiti specifici per le colture e il bestiame, gli animali devono essere allevati senza l'uso di routine di agenti antibiotici o ormoni della crescita (GHS). Sono ammesse pratiche di salute preventive, come le vaccinazioni e l'uso di vitamine, ma gli allevamenti biologici seguono un modello di produzione che evita lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali e viene posta la massima attenzione al benessere degli animali. Gli animali, quindi, conducendo una vita molto più sana, è molto difficile che contraggano malattie". Le produzioni bio lasciano gli animali liberi di pascolare, questo significa che hanno una alimentazione sana ed equilibrata, che gli animali fanno abitualmente movimento. Cosa che li mette al riparo dall'accumulo di grassi dannosi e, anzi, li rende produttori di grasso buono, come gli Omega3. "La carne italiana – dice Vizioli - è tutta garantita, perché prevede la tracciabilità di tutta la filiera, ma la carne bio lo è ancora di più perché, come tutte le produzioni biologiche, oltre ad essere sottoposta ai normali controlli previsti per tutti gli alimenti convenzionali, prevede gli ulteriori e severi controlli della certificazione biologica. Inoltre, essendo spesso commercializzata con il sistema della filiera corta, è sottoposta al vaglio continuo dei consumatori, sempre più attenti e informati." La prevenzione passa dalla nostra tavola ed il modello alimentare salutare, sostenibile e di qualità è la nostra dieta mediterranea basata soprattutto su cereali, legumi, ortaggi, frutta, ed una quantità moderata di carne e pesce. La prevenzione passa anche dalle scelte di politica agricola di tutela della salute pubblica, come nel caso dell'uso di Glifosate in agricoltura. In virtù del rischio e per il principio di precauzione sarebbe indispensabile adottare misure cautelative, per la salute pubblica, di sospensione del pesticida Glifosato, che lo IARC (International Agency for Research on Cancer) l'autorevole agenzia dell'OMS per la ricerca sul cancro, ha dichiarato "cancerogeno" e "potenziale cancerogeno per l'uomo". Una definizione che conferma la certezza che il pesticida è cancerogeno per gli animali, quindi fortemente rischioso anche per l'uomo. Da tempo AIAB, promuove un modello di agricoltura che privilegia la "qualità esistenziale", uno sviluppo sostenibile non solo, dunque, come modello economico, ma si fa carico anche della tutela e del benessere dell'uomo. La Dieta Mediterranea, perciò, può rappresentare il riferimento per "alimentare la salute" non solo dell'individuo, ma dell'intero Pianeta. (da Bio@gricultura Notizie di AIAB – ottobre 2015) Don Luca e i profughi africani aprono le porte del convento ESTE: L’avevano promesso… “l’ex convento che ospita i migranti sarà uno spazio aperto alla comunità”. E così il 24 ottobre la cooperativa Percorso Vita Onlus ha inaugurato, con una festa aperta a tutti, il nuovo centro di accoglienza per profughi di via Molini. Da due settimane l’ex seminario dei Giuseppini di Asti accoglie venticinque profughi provenienti da Nigeria, Ghana, Gambia, Togo e Senegal, ospitati fino al mese scorso nell’ex caserma Prandina di Padova. Alle 13 la cooperativa ha aperto le porte della struttura a tutta la città per l’inaugurazione ufficiale della comunità. Dopo un buffet di benvenuto, sono giunti i saluti del Sindaco di Este Giancarlo Piva, della comunità cristiana atestina e di don Luca Favarin, anima di Percorso Vita. A seguire i profughi ospiti in via Molini hanno offerto delle testimonianze sul loro viaggio e sulla loro situazione, per poi animare un momento di musica e ballo dal vivo. Sono stati inoltre illustrati i progetti pensati per la comunità, dall’attivazione di un orto biologico (che sarà avviato e curato dalla nostra Cooperativa El Tamiso – vedi la Newsletter 41-2015 – n.d.r.) all’avvio di laboratori di falegnameria e ceramica, passando per l’apertura al pubblico del campo da calcio che si trova tra le mura dell’ex seminario. (da Il Mattino di Padova – ottobre 2015) … dovrebbe essere quasi tutto per questa settimana, basta leggere anche: L’amara verità delle verdure TTIP – L’accordo sbagliato Da Internazionale – ottobre 2015 Aguas de Oro, il reportage su Máxima, la donna che ha sconfitto le multinazionali (IL VIDEO È ASSOLUTAMENTE DA VEDERE!!!) I 30 milioni che possono sconvolgere la Val di Merse 10 cibi super nutrienti che ci offre l’autunno Curarsi con lo zenzero Da Il Cambiamento – ottobre 2015 Da Greenme.it – ottobre 2015 I pesticidi minacciano la salute, c’è un’Italia che dice ‘no’ Da Italia che Cambia – ottobre 2015 I mestieri della terra Agorà dell’acqua Ha 109 anni e si ribella al petrolio Da comune.info – ottobre 2015 Passo dopo passo, come pellegrini, cercando la memoria Mangiamo il parco e conosciamo creativi Cemento ad Albignasego, acqua a Maserà Fine della crisi Micro e Macrocefali Da Ecopolis Newsletter di Legambiente Padova – ottobre 2015 Editoriali in Biolcalenda de La Biolca – ottobre/novembre 2015 ora terminiamo con: La Newsletter di ottobre de La Terra e Il Cielo, come sempre piena di interesse e attenzione per il mondo del biologico e alcune ricette “di stagione” per Rape rosse e bianche proposte in Biolcalenda de La Biolca, …tutte ottime, credetemi!! Buona lettura !! ma non mancate a: