22 Dossier ‘ndrangheta L’inchiesta La maxi operazione, denominata “il Crimine”, è scattata all’alba del 13 luglio scorso. Ha visto impegnati tremila uomini, tra carabinieri e poliziotti, ed ha colpito le più importanti famiglie della ‘ndrangheta delle province di Reggio Calabria, Vibo Valentia e Crotone, oltre alle loro proiezioni extraregionali ed estere. L'inchiesta condotta dalle Procure distrettuali di Reggio Calabria (dal procuratore Giuseppe Pignatone, ndr), e Milano (dal procuratore aggiunto Ilda Bocassini, ndr) ha portato a 304 arresti: 120 disposti dalla magistratura reggina, gli altri da quella milanese. Le accuse vanno dall'associazione di tipo mafioso al traffico di armi e stupefacenti, dall'omicidio all' estorsione, dall'usura ad altri gravi reati. Le indagini contro la 'ndrangheta hanno “...documentato tecnicamente - sottolineano gli investigatori - come le cosche della provincia di Reggio Calabria costituiscano il centro propulsore delle iniziative dell'intera organizzazione mafiosa, nonché il punto di riferimento di tutte le proiezioni extraregionali, nazionali ed estere”. La 'ndrangheta, infatti, “dopo un lento processo evolutivo, già delineato da alcuni collaboratori di giustizia nei primi anni '90, ha ormai raggiunto una nuova configurazione organizzativa, in grado di coordinare le iniziative criminali delle singole articolazioni, soprattutto nei settori del narcotraffico internazionale e dell'infiltrazione negli appalti pubblici”. Il “centro di coordinamento” di tutte queste iniziative è appunto costituito dalle cosche di Reggio. E a capo c’è Domenico Oppedisano, 80 anni, di Rosarno, don Micu, considerato il numero uno, finito in carcere insie- LE COSCHE “DESTRUTTURATE” Le più importanti cosche egemoni destrutturate sono: Operazione il “Crimine” me ai figli Michele e Raffaele. E’ toccato a lui, a questo vecchio "saggio" che ha amici un po' dovunque in Calabria prendere il bastone del comando di una ‘ndrangheta ormai è strutturata e organizzata come Cosa nostra. Girando tra le vie e le piazze di Rosarno, il nome “don Micu” lo conoscono tutti, anche le pietre, e non perché assunto agli onori della cronaca. Anzi, di lui non c'é traccia di imputazioni negli ultimi 40 anni e forse anche di più. A Rosarno si conoscevano, infatti, i Pesce e i Bellocco, che non solo qui controllano l'economia, le estorsioni, gli appalti pubblici e il mercato della droga. Si conosceva la potenza degli Alvaro di Sinopoli, per non parlare di quella delle cosche di San Luca in Aspromonte. Cosa diversa rispetto a don Mico Op- I RETROSCENA DELLA MAXI-OPERAZIONE Negli incontri di Polsi i battesimi dei nuovi affiliati e l’investitura del capocrimine “don Micu” Ci sarebbe una copiosa documentazione, costituita anche da riprese videofilmate, alla base dell’imponente operazione contro la ‘ndrangheta. Addirittura si parla di 40 incontri avvenuti nei pressi del Santuario di Polsi video filmati dagli investigatori dell’Arma. Gli inquirenti, in particolare, avrebbero documentato rapporti ed interessi, ricostruendo il tessuto connettivo su cui o- pera la mafia calabrese. Oltre a delitti di varia natura, tra cui episodi di usura, estorsione ed intimidazione, gli inquirenti avrebbero individuato i canali di riciclaggio dei capitali della ‘ndrangheta in attività apparentemente “pulite” esercitate in Calabria e nel Nord del Paese. Gli investigatori hanno scoperto anche l’attuale organigramma del vertice della ‘ndrangheta: capocri- mine Domenico Oppedisano; capo società, Antonino Latella (già arrestato); mastro generale Bruno Gioffrè. Oppedisano, sottolineano gli investigatori, che è nato e viveva a Rosarno, appartiene al mandamento ‘Tirrenico’, Latella a quello del ‘Centro’, e Gioffre’ a quello ‘Jonico’. Gli investigatori fanno notare come i tre ruoli apicali sono stati equamente divisi per ogni mandamento. I Pelle di San Luca, i Commisso di Siderno, gli Acquino-Coluccio ed i Mazzaferro di Gioiosa Ionica, i Pesce-Bellocco e gli Oppedisano di Rosarno, gli Alvaro di Sinopoli, i Longo di Polistena, gli Iamonte di Melito Porto Salvo. pedisano, che invece è rimasto sempre appartato, quasi come un “sacerdote” delle vecchie regole e dei vecchi codici. Eppure aveva in mano un’organizzazione criminali estesa in Calabria, in Lombardia, in Liguria, in Piemonte e persino all’estero... La 'ndrangheta ha ormai una struttura verticistica e tutti gli affiliati, sia che operino in altre regioni, sia che si trovino all'estero, dipendono gerarchicamente dalle cosche della provincia di Reggio Calabria. La 'ndrangheta non ha piu una struttura familistica, ma si e' organizzata sul modello di Cosa nostra siciliana. ORGANIGRAMMA DELLA ‘NDRANGHETA CAPOCRIMINE: Domenico Oppedisano CAPO SOCIETÀ: Antonino Latella MASTRO GENERALE: Bruno Gioffrè La nomina di Oppedisano sarebbe divenuta effettiva il 1 settembre 2009 a mezzogiorno in punto, al Santuario di Polsi durante le celebrazioni per la festa della Madonna della Montagna. Secondo gli investigatori, Oppedisano è ”punto di riferimento dell’intera orga- nizzazione” e “fautore di una politica pacifista all’interno dell’organizzazione”, chiamato in causa per la ”risoluzione di controversie” sorte nell’ambito della criminalità organizzata per la spartizione di appalti, anche al nord, sia per le liti tra ‘locali’ anche all’estero”. I numeri del “Crimine” 2 Sono le Procure che hanno lavorato all’operazione: quella di Reggio Calabria e quella di Milano. 304 Sono i provvedimenti restrittivi - tra fermi di indiziato di reato e ordinanze di custodia cautelare - emessi dalle autorità giudiziarie. 2.600 Sono le pagine che compongono l’ordinanza, divisa in 4 volumi, del gip di Milano e Reggio Calabria. 3.000 Gli uomini, tra carabinieri e polizia, impegnati nella maxi operazione. 500 Sono i milioni di euro che costituiscono il fatturato di ‘ndrangheta spa nelle attività criminali nel nord del Paese. DALL’INCHIESTA Dal fascicolo della Procura di Reggio emerge come qui non ci fosse un organismo di controllo delle 9 “locali” A Torino e in Canavese nessun capo, non si fidano TORINO - L’operazione “il Crimine” ha scoperchiato “la cupola” torinese della ‘ndrangheta e ha portato all’arresto dei boss della loalle struttura di comando. In manette sono finiti: Francesco D’Onofrio, calabrese, elemento di spicco che comandava le ’ndrine che agiscono a Torino e in provincia, i fratelli Giovanni e Giuseppe Catalano, sorpresi nelle loro abitazioni di Orbassano e Volvera, Carmelo Cataldo, Michele Correale e Francesco Tamburi. Accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso e di traffici illeciti di varia natura: armi, droga, riciclaggio, usura, i sei della “cupola” riferivano direttamente al “boss dei boss”, Domenico Oppedisano. A Torino le indagini proseguono e quelli che finora sono so- spetti, potrebbero trasformarsi in prove tali da scoperchiare contiguità e complicità tra il mondo degli affari e la mafia. La situazione del Piemonte è molto differente rispetto a quella delle altre regioni in cui la ‘ndrangheta si è radicata. Le investigazioni effettuate dal commissariato di Siderno, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia, hanno confermato l’esistenza di “camere di controllo” - che hanno la funzione di controllo delle dinamiche criminali territoriali e vengono autorizzate dal “Crimine di Polsi” - in Liguria e in Lombardia, mentre in Piemonte, e in particolare nella zona di Torino, tale organismo non è stato istituito il che, a parere di alcuni associati, sarebbe fonte di maggiori problemi di organizzazione. In Piemonte, dunque, non essendo stata istituita la “camera di controllo”, il collegamento è assicurato dai rapporti diretti tra gli elementi di spicco dell’organizzazione operante nel nord Italia ed esponenti di spicco del “Crimine” o della “Provincia”, vertici dell’organizzazione calabrese. Nelle oltre 2.600 pagine dell’ordinanza del gip di Reggio Calabria, i problemi legati agli delle “nove locali” presenti nella nostra regione emergono chiaramente. Scomparso Pasquale Marando, la “locale” piemontese ha segnato il “passo”. E non solo per la maxi operazione di carabinieri e polizia, ma anche perché il “boss dei boss” Domenico Oppedisano, ad esclusione di un vecchio amico astigiano (Rocco Zangrà) non si è mai fidato della cupola calabrese in Piemonte. I fratelli Giuseppe e Giovanni Catalano, residenti a Volvera e Orbassano, intercettati in centinaia di conversazioni, parlano a ruota libera e chiedono la costituzione di «una camera di controllo per il Piemonte». Una specie di consiglio di amministrazione di ’ndrangheta spa al quale dovrebbero partecipare i rappresentanti di tutte le famiglie: “In Lombardia l’hanno fatta, anche in Liguria. Perché qui no?”. Dalla Calabria si tergiversa e la cosa va per le lunghe. Ciò che preoccupa Oppedisano è il basso profilo criminale “dei compari di sù”. Insomma, gentaglia che che non riesce a mettere in piedi un “business come si deve e che renda un po’”. I piemontesi quando si mettono nella droga vengono presi quasi subito, non riescono neppure a “tenere in pugno un politico” e vogliono pure comandare. Così, più o meno, la pensa Oppedisano che non darà mai il via libera alla “camera di controllo”. Allora gli ‘ndranghetisti si arrangiano come possono e puntano tutto, forse troppo, sul pizzo. Si presentano spavaldi nei locali, offrono protezione e chiedono soldi. Mettono in piedi truffe o furti, spesso alla maniera dei peggiori ladruncoli. Insomma, vivono così. Per farsi belli cercano di ricostituire le “locali” di Rivoli, Moncalieri e Chivasso ma le vecchie famiglie di ’ndrangheta - ormai decimate dai numerosi blitz delle forze dell’ordine -, non si presentano alle riunioni. I sei uomini d’oro vengono ripetutamente snobbati, sia dai boss in Calabria, sia dai capi clan torinesi. Questo il quadro: “forse ancora più inquietante - confida un investigatore -. Non ci sarà la benedizione del ‘Crimine’ ma queste ‘cellule’, troppo autonome, possono impazzire da un momento all’altro e una sanguinosa “guerra di mafia” a Torino e provincia non è un’ipotesi buttata in aria, tutt’altro”.