di Davide Liberti Dagli anni cinquanta, in contemporanea all'emigrazione meridionale ha cominciato a operare anche nel nord Italia ed è con i sequestri di persona che negli anni settanta i media le danno attenzione sotto il nome di "anonima sequestri". In mezzo a tutta questa indifferenza la geografia criminale nel torinese cambia pelle. Il Clan dei Cursoti, i catanesi che per dieci anni sono stati padroni incontrastati della Torino nera, viene decimato da pentiti e blitz. E lo scettro del comando passa in mano ai calabresi. Che gestiscono i traffici. La famiglia Ilacqua, ad esempio, colonizza Chivasso. Quattro fratelli approdati in Piemonte da Seminara Calabra, e che godono della protezione di Rocco Gioffrè, uno dei padrini allora più potenti, maschera il traffico di droga dentro un’autofficina. Le ’ndrine locali, intanto, si spartiscono il territorio, rispettano confini decisi nelle riunioni che si fanno al sud. E nel torinese ormai semi conquistato, vengono a svernare personaggi troppo pericolosi in Calabria. Come Rosario Zappavigna o come Rocco Occhiuto, che fece parte del commando dei tagliatori di teste di Platì, arrestato dai carabinieri nel Canavese. Viveva a Rivarolo. Da solo, in un alloggio in periferia. Tutto questo accadeva vent’anni fa, o giù di lì. Da allora la ’ndrangheta ha sparato, e tanto, conquistato territori nuovi, fatto soldi. Ha allungato le mani sugli appalti. S’è infilata nella politica. Bisogna arrivare all’operazione «Crimine» a Milano, due anni fa per avere ben chiare le dimensioni del fenomeno. In carcere, allora, finisce tra gli altri Giuseppe Catalano, il boss dei boss della ’ndrangheta nel Torinese. È di Orbassano. Ha un nipote Consigliere comunale che cade dalle nuvole quando arrestano lo zio e il padre. Poi arriva l’operazione «Minotauro». Politica e affari, adesso è chiaro sono legati in modo potente. ’ndrangheta e voti. Come conferma la DIA, il Piemonte è la regione dove la ‘ndrangheta ha attaccato maggiormente. Basti pensare all’imponente operazione Minotauro: 148 persone arrestate per reati a vario titolo (voto di scambio, usura, traffico d’armi e stupefacenti) e sequestro di beni per 50 milioni di euro. L’operazione ha evidenziato che “nella regione sono radicate qualificate presenze di soggetti riconducibili alle ‘ndrine del vibonese, della locride, delle coste ioniche e tirreniche reggine”. Ma la presenza ‘ndranghetista è talmente forte che sono nati anche clan locali: ben nove locali – come vengono chiamate - rappresentati da altrettanti esponenti mafiosi residenti in Piemonte. Non a caso è proprio in Piemonte che, nel 1995, abbiamo avuto il primo comune del Nord sciolto per mafia: stiamo parlando di Bardonecchia, località dell’Alta Val di Susa, “caduta” nelle mani prima del boss calabrese Rocco Lo Presti sin dagli anni ’70 (fu un dominio il suo, condito anche da atti efferati: nel ’75 l’imprenditore Mario Ceretto, reo di essersi opposto agli interessi di Roccuzzo, venne rapito e assassinato), poi dei fratelli Vincenzo e Francesco Mazzaferro. E già da allora gli interessi criminali erano legati all’edilizia: Traforo del Frejus e Tav su tutti. Per capire come è cambiata la mafia nel torinese bisogna partire da qui, da Cuorgnè, terra di immigrazione calabrese, di muratori, gente che fatica, venuta dal Sud a cercare fortuna. Bisogna partire da Giovanni Iaria, arrivato giovanissimo da Condufuri e diventato in breve personaggio discusso e ammirato. Passione politica e affari guidano tutta la sua vita. È assessore comunale, poi vicesegretario provinciale del Psi quando ancora i socialisti non erano stati travolti dallo scandalo tangenti. E poi gli affari. Iaria finisce travolto da un’inchiesta. Condannato: associazione mafiosa. Ma la sentenza viene cassata e lui è libero. Torna ad essere il brillante affabulatore di sempre ben lontano dagli schemi del mafioso. Più un uomo a cui hanno appiccicato un’etichetta che uno che fa affari sporchi.