Complicanze meccaniche odontoiatria protesica AIOP Johannes Schmitz Indice 1. Introduzione 2. Protesi su denti naturali a. Metallo Ceramica b. Zirconia c. Disilicato di Litio d. Faccette in ceramica 3. Protesi fissa su impianti 3.1 Protesi avvitata a Dente singolo b Elementi multipli c Metallo ceramica d Metallo resina e Zirconia ceramica f Zirconia monolitica g Disilicato monolitico 3.2 Protesi cementata a Benefici e limiti b Moncone protesico c Metallo- ceramica d Metallo- resina e Zirconia- ceramica f Zirconia monolitica g Disilicato monoitico 4. Conclusioni 5. Bibliografia Complicanze meccaniche odontoiatria protesica 1. Introduzione La costante evoluzione dei materiali e delle tecnologie disponibili in odontoiatria protesica da un lato mette a disposizione di clinici e tecnici nuove soluzioni e possibilità terapeutiche, ma dall’altro rende più complessa la scelta del materiale da utilizzare nelle varie situazioni cliniche. Non sempre, inoltre, materiali e soluzioni tecniche più moderne sono realmente in grado di superare tecnologie consolidate dopo decenni di utilizzo clinico. Ad esempio le protesi fisse in metallo ceramica rappresentano tutt’ora il materiale considerato il gold standard in molti casi. E’ inoltre opportuno distinguere la protesi fissa su denti naturali da quella a supporto implantare, per il differente comportamento biomeccanico che caratterizza i restauri. 2. Protesi su denti naturali 2.a Metallo Ceramica La metallo ceramica rappresenta ancora oggi il gold standard delle riabilitazioni protesiche fisse. La realizzazione di questi manufatti prevede l’utilizzo di una struttura di supporto in lega che può essere nobile o non nobile e l’utilizzo di una ceramica di rivestimento feldspatica per sostituire colore e forma del dente naturale. Questo tipo di manufatti è utilizzato in protesi sia per le corone singole che per la sostituzione di più elementi mancanti con restauri a ponte. I vantaggi nell’utilizzare in protesi fissa le leghe metalliche sono la resistenza, gli ottimi risultati a lungo termine supportati dalla letteratura scientifica e le procedure operative standardizzate da decenni. Tra gli svantaggi ricordiamo la possibile presenza di allergie soprattutto nelle leghe non nobili e le difficoltà nel mascherare il metallo sia durante le procedure odontotecniche di cottura del rivestimento estetico, che nelle fasi cliniche dovendo approfondire nel solco gengivale la preparazione protesica. Per quello che riguarda i restauri singoli Walton nel 2013 ha analizzato le performance di 2340 corone singole realizzate tra il 1984 e il 2008 in oro-ceramica. Di 133 fallimenti 101 avevano motivazioni biologiche mentre solo 8 corone hanno avuto problemi di tipo meccanico, di cui 4 sono state rifatte per frattura della ceramica di rivestimento. Nessuna differenza statisticamente significativa è stata trovata tra posizione della corona, sesso del paziente o tipo di dente sostituito (mascellare, mandibolare, anteriore o posteriore). Anche Behr e collaboratori nel 2014 in uno studio retrospettivo su 997 corone singole arrivano alle stesse conclusioni: le problematiche biomeccaniche legate al chipping della ceramica di rivestimento sono eventi rari, 17 casi sulle 997 corone analizzate, mentre più frequenti sono le problematiche biologiche quali carie del moncone e problematiche parodontali. La perdita di ritenzione delle corone riscontrata in questo lavoro è del 7,8% per le corone anteriori e 2,9 % per i manufatti realizzati nel settore posteriore entrambi i valori a 10 anni. Lo stesso gruppo nel 2012 analizza in maniera retrospettiva il rischio di fallimenti biomeccanici e chipping della ceramica di rivestimento in 654 ponti in metallo ceramica di 3 e 4 elementi. I risultati sono molto simili. Solo 28 manufatti hanno mostrato problematiche di chipping e ciò di solito avviene soprattutto nel primo anno dopo la cementazione. Al contrario le complicanze biologiche, quali carie,problemi endodontici e problemi parodontali aumentano con gli anni di servizio dei manufatti. Molto interessanti sono i risultati di un clinical trial multicentrico pubblicato nel 2013 da Reitemeier dell’Università di Dresda. Dieci professionisti non specialisti ma tutti con oltre 10 anni di esperienza e formatisi tutti presso la medesima università a Dresda hanno trattato tra il 1996 e il 1997 190 corone singole e 276 elementi di ponte solo in settori posteriori. Tutti i restauri sono stati realizzati con 4 tipi di leghe dentali nobili. I restauri sono stati rivalutati dopo 2 settimane dall’inserzione e annualmente fino a oltre i 10 anni di servizio dei manufatti. A 10 anni i restauri ancora valutabili e inclusi nello studio erano 147 per i restauri singoli e 208 per i ponti. I risultati per quello che riguarda le problematiche biologiche sono state per la maggior parte in entrambi i gruppi legati a problemi endodontici. Le complicanze biomeccaniche che hanno causato la perdita del dente sono avvenute in un solo caso per le corone singole e in 2 casi per i ponti. Più frequenti le problematiche biomeccaniche che non hanno provocato la perdita del dente quali chipping o fratture della ceramica di rivestimento. Nel gruppo dei ponti su 35 corone con problemi biomeccanici che non hanno provocato l’estrazione del dente solo 3 sono state sostituite; negli altri casi è stata fatta una lucidatura o riparazione. Nessuna differenza significativa nella sopravvivenza è stata trovata tra le 4 leghe utilizzate o i differenti laboratori utilizzati nella produzione dei manufatti. Gli autori non riportano alcun dato sulla perdita di ritenzione delle corone. Anche in questo lavoro le problematiche biomeccaniche sono decisamente meno importanti di quanto si possa pensare a favore delle problematiche biologiche e soprattutto endodontiche. In considerazione della situazione economica che stiamo vivendo una alternativa all’utilizzo delle leghe nobili è l’utilizzo di leghe in acciaio Cromo Cobalto rivestite in ceramica. Il gruppo di Ortorp e Svanborg a Goteborg nel 2012 e 2013 ha analizzato le performance di corone singole e ponti realizzati in lega non nobile e ceramica con risultati incoraggianti. Su 72 corone singole prese in esame in 5 anni solo 3 hanno avuto problemi meccanici di frattura della ceramica. Per quanto riguarda i ponti, su 201 manufatti e 743 monconi, gli autori riportano solo il 3,1% di decementazioni e 7 ponti con frattura della ceramica. Risultati diversi quelli presentati nel 2007 da Eliasson in uno studio retrospettivo su 52 ponti e 12 corone singole inseriti su pazienti con monconi dalla prognosi incerta o con estensioni. 21 ponti su 52 hanno avuto problematiche meccaniche soprattutto nei gruppi di bruxisti e con cantilever. Appare chiaro come i fattori di rischio del paziente come il briuxismo o della progettazione come le estensioni influenzano le performance dei manufatti in metallo ceramica. 2.b Zirconia Uno dei materiali privi di metallo attualmente più utilizzati in campo odontoiatrico è l’ossido di zirconio, o Zirconia, un ossido ceramico che si presenta come polvere bianca. La Zirconia utilizzata in odontoiatria è stabilizzata con ittrio che ne conferisce una elevatissima stabilità chimica, ha un grado di durezza molto elevata, è estremamente rigida, ed ha una notevole resistenza agli stress fisici (oltre 1000 Mpa). Le tecnologie adottate per la produzione della Zirconia a livello industriale possono dare luogo a differenze sostanziali delle caratteristiche chimico- fisiche ed estetiche del prodotto finale. La Zirconia viene impiegata per la produzione di protesi fisse sia su impianti che su pilastri naturali. Può essere utilizzata sia per elementi singoli sia per fabbricare ponti, per la realizzazione di sottostrutture protesiche o per la realizzazione di restauri interamente in Zirconia detti monolitici. In questo caso la Zirconia viene sottoposta ad alcuni trattamenti che migliorano la translucenza abbassando leggermente la resistenza (700-800 Mpa) consigliandone l’utilizzo prevalentemente nei settori posteriori. Ove indicata, sostituisce completamente l’utilizzo di leghe metalliche, anche se finora vi sono relativamente pochi dati a lungo termine che dimostrino che i ponti in ceramica funzionano altrettanto bene dei ponti tradizionali con struttura metallica. Come tutti i materiali ceramici la Zirconia è un materiale biocompatibile. La prima applicazione in medicina fu per la costruzione di protesi femorali in quanto rispetto ai materiali metallici offriva una maggiore resistenza meccanica. L’ossido di zirconio é una delle ceramiche integrali dalle maggiori prestazioni per uso odontoiatrico. L’ossido di zirconio si distingue per l’ottima biocompatibilità e la minima conduttività termica. Larsson e Wennelberg in una review del 2014 hanno selezionato 42 articoli su 3216, di questi 42 solo 3 studi clinici randomizzati e controllati. Sia le complicanze meccaniche che biologiche sono assolutamente comparabili ai risultati ottenuti con le metallo ceramiche. Il gruppo della Sailer in una review del 2015 su tutti i tipi di corone integrali afferma che le corone realizzate in Zirconia pur avendo una sopravvivenza simile ai manufatti in metal ceramica hanno complicanze meccaniche quali frattura della ceramica di rivestimento e perdita di ritenzione superiori alle corone in metallo ceramica. Queste problematiche sono frequenti per i primi manufatti realizzati in quanto; oggi i trattamenti interni e le ceramiche di rivestimento utilizzate sulle cappette in Zirconia hanno ridotto moltissimo queste complicanze. Medesime le conclusioni del gruppo della Dott.ssa Sailer per la seconda parte della review che rigurda i ponti . Un lavoro multicentrico realizzato dal Dott. Monaco e dal Prof. Scotti in collaborazione con 15 soci attivi dell’Accademia Italiana di Odontoiatria Protesica ha analizzato retrospettivamente manufatti in Zirconia su denti naturali e su impianti in servizio fino a 5 anni. Per quello che riguarda le corone singole e i ponti su denti naturali rispettivamente in numero di 1132 e 137, in entrambi i casi la percentuale di successo dei manufatti è del 94% circa. Da questo studio emerge come ci sia una correlazione tra le problematiche meccaniche quali chipping o frattura delle struttura per i ponti e pazienti con parafunzioni . Negli ultimi anni le tecniche CAD-CAM hanno implementato l’utilizzo della Zirconia in forma monolitica, una soluzione per eliminare il problema del chipping soprattutto nei restauri posteriori. Seppur non ci sia un supporto della letteratura a questa metodica, le caratteristiche del materiale e i dati nel breve termine sembrano incoraggianti. 2.c Disilicato di Litio Il Disilicato di Litio è una vetroceramica ottenuta per pressofusione. Viene fornito sotto forma di cilindretti e blocchetti con diversi gradi di traslucenza ed opacità, utilizzabili rispettivamente per la tecnica di pressofusione, o per fresatura mediante tecnologia CAD-CAM. Le corone in Disilicato di Litio sono altamente estetiche perchè caratterizzate da una translucentezza che le rende simili ai denti naturali per questo sono particolarmente indicate per i settori anteriori. Queste corone, grazie al comportamento cromatico del materiale, sono infatti attraversate dalla luce rendendo al dente una trasparenza dall’aspetto naturale. La buona resistenza alla flessione flessione (circa 400Mpa) consente di utilizzare questo materiale anche per piccoli ponti di nel gruppo anteriore. Il Disilicato di Litio può essere utilizzato per la fabbricazione di elementi singoli, corone a ricopertura totale o parziale, e piccoli ponti nei settori anteriori. Anche il Disilicato di Litio come l’ossido di zirconio può essere utilizzato in forma monolitica o come struttura stratificata poi da una ceramica feldspatica Il Disilicato non è di per se un materiale completamente inerte, ma ha un livello di biocompatibilità simile o superiore ad altri materiali privi di metallo, come il composito o la ceramica feldspatica. Il Disilicato presenta alcuni vantaggi, in particolare può essere cementato adesivamente (grazie alla caratteristica delle vetroceramiche di essere mordenzato (alle strutture dentali residue e permette il passaggio della luce, ottimizzando in questo modo la sua resa estetica. Pur essendo un materiale relativamente tenace, non risulta indicato per la fabbricazione di ponti estesi, e ponti nei settori posteriori. Per l’utilizzo nei restauri singoli la letteratura ci dà informazioni confortanti. Ghert ed Edelhoff nel 2013 analizzano i risultati di 94 corone singole realizzate sia nella zona anteriore e posteriore. La sopravvivenza cumulativa a 5 e 8 anni è stata rispettivamente del 97,4 % e 94,8 %, senza alcuna differenza significativa tra zona posteriore e anteriore. Anche Valenti nel 2009 analizzando le performance del Disilicato di Litio usato in 261 corone singole 101 anteriori e 160 posteriori trova una percentuale di successo del 95,5%. Sei corone sono state sostituite: 4 per chipping e 2 per frattura della corona. Anche in questo caso non c’è stata una differenza significativa tra restauri anteriori e posteriori. Fabbri nel 2014, pubblica un lavoro su 860 restauri in Disilicato di Litio, di questi erano presenti 428 corone singole 231 anteriori e 154 posteriori. Gli autori danno indicazioni anche sulla tipologia di realizzazione con 274 manufatti stratificati e 154 monolitici. Le percentuali di successo e sopravvivenza sia degli anteriori che dei posteriori stratificate e monolitiche sono molto simili (anteriori stratificate 97,4%, monolitiche 95,4%; posteriori stratificate 95,4%, monolitiche 96,2%). Le complicanze meccaniche segnalate per le corone singole sono state perdita di ritenzione per 2 elementi, 2 fratture del core in Disilicato di Litio in un incisivo centrale e un incisivo laterale e chipping della ceramica con 4 restauri rimossi ed eseguiti nuovamente. Possiamo concludere che i risultati nel medio e lungo termine per le corone singole in Disilicato di Litio danno risultati paragonabili a quelli delle metallo ceramiche. L’utilizzo del Disilicato di Litio per i ponti fino a 3 elementi è ormai da considerarsi controindicato vista la possibilità di utilizzare l’ossido di Zirconia e i risultati presenti in letteratura (Esquivel 2008). 2.d Faccette in Ceramica Le faccette in ceramica sono restauri a spessore minimale utilizzate in situazioni cliniche in cui è necessario sostituire lo smalto perso per erosione o altre patologie oppure quando si desidera cambiare colore e forma di denti che hanno una struttura residua sufficiente. I materiali utilizzati sono le vetroceramiche quali feldspatica, leucitica o Disilicato di Litio. Questi materiali oltre ad avere caratteristiche di translucenza ed estetiche ideali hanno la possibilità di essere mordenzati e quindi di essere cementati adesivamente alle strutture dentali. La ceramica feldspatica rappresenta il gold standard per la realizzazione delle faccette con risultati a lungo termine eccellenti: Layton nel 2012 riporta una percentuale di successo a 21 anni del 96%, la percentuale più alta di fallimenti riguardava la frattura dei restauri. Risultati sovrapponibili per Beier che a 10 anni riporta un 93% di successo. Le altre vetroceramiche utilizzate per la realizzazione di faccette hanno risultati nel medio termine diversi in base al tipo di materiali (Layton 2013); la ceramica più promettente sembra essere il Disilicato di Litio viste le caratteristiche di resistenza superiori rispetto alle altre vetroceramiche .Il gruppo di Fabbri (2014) riporta per le faccette in Disilicato di Litio percentuali di successo tra il 96 e il 100 % con complicanze meccaniche limitate alla frattura della ceramica di rivestimento se usato in maniera bilayer (5 su 318) e frattura del core (3 su 318), con un solo distacco. 3. Protesi fissa su impianti 3.1 Protesi avvitata Il vantaggio principale delle protesi avvitate è rappresentato dalla possibilità di rimuovere agevolmente il restauro in caso di necessità. Secondo alcune review sistematiche si è anche dimostrato che eventuale residui di cemento possono avere causato una maggiore quantità di complicazioni biologiche nelle protesi cementate. prescindere dal tipo di connessione implantare scelta, con connessione esterna (CE) o a connessione interna (CI), le protesi fisse possono essere avvitate direttamente a livello della piattaforma delle fixture tramite un foro di accesso occlusale, o indirettamente tramite mesostrutture. In questo caso la protesi sarà composta da due componenti: una mesostruttura che fornisce sostegno ad una sovrastruttura, che rappresenta la parte visibile del restauro. Per fissare le due componenti tra loro vengono utilizzate delle viti opportunamente posizionate sul versante linguale o palatino. La scelta dell’utilizzo di una protesi avvitata ad un impianto viene normalmente determinata in fase di progettazione in base a variabili quali lo spazio interocclusale disponibile (se risulta esageratamente ridotto vi è una minore ritenzione necessaria alla cementazione), il grado di disparallelismo nel caso di impianti multipli, il rapporto tra lunghezza dell’impianto utilizzato e corona clinica protesica, la possibilità di inserire gli impianti in posizione protesicamente corretta, con l’emergenza del foro per la vite di fissaggio in prossimità del centro del tavolato occlusale degli elementi posteriori o sul versante linguale degli elementi anteriori. L’esecuzione di una protesi direttamente avvitata richiede un adeguato posizionamento implantare, per evitare la presenza di fori di accesso eccessivamente palatali o vestibolari, che potrebbero compromettere l’estetica e la funzione del restauro. Se la posizione degli impianti dovesse richiedere una forte compensazione protesica viene normalmente preferito l’utilizzo di protesi che prevedono componenti intermedie quali mesostrutture o protesi cementate su abutments. Recenti revisioni sistematiche della letteratura hanno evidenziato (Wittneben, Millen, Ma) che non vi sono differenze statisticamente significative confrontando varie tipologie di protesi fisse avvitate direttamente o mediante mesostrutture (corone singole, ponti, arcate complete) eseguite in diverse tipologie di materiali (metallo ceramica, zirconia - ceramica), né confrontando protesi cementate vs avvitate. Non vi è evidenza di una maggiore entità di perdita ossea confrontando le due forme di protesi (de Brandao et al, 2013). Viene evidenziato che alcune forme di complicazioni tecniche (chipping) sono più frequenti nelle protesi avvitate rispetto alle protesi cementate, mentre il numero totale di complicazioni rimane inferiore. 3.1.a Dente singolo La diversità riportata in letteratura nell’incidenza di allentamento delle viti tra CI e CE è presumibilmente determinata da un non adeguato torque di avvitamento del pilastro sull’impianto, e dall’utilizzo di componenti antirotazionali poco precise (Jung et al, 2012). Con l’utilizzo di un torque adeguato (tra 25-35 Ncm) e componenti protesiche con maggiore grado di precisione precise si sono fortemente ridotti problemi di allentamento della vite nei restauri singoli a prescindere dal tipo di connessione (Wittneben, Millen, Ma). Tuttavia quando il torque applicato non è adeguato e le componenti antirotazionali sono meno precise è più facile che si abbiano allentamenti delle viti con impianti a connessione esterna (Gracis et al. , 2012). In caso di allentamenti delle viti non c’è evidenza scientifica chiara che dimostri come i micromovimenti (maggiori in caso di CE) abbiano un’influenza sulla stabilità dell’osso e dei tessuti molli. E’ opportuno sottolineare l'esistenza oggigiorno di viti implantari con trattamenti di superficie che hanno migliorato la performance sia negli impianti a connessione interna che a connessione esterna. Queste viti infatti consentono di ottenere, a parità di tourque, valori di precarico più elevati. 3.1.b Elementi multipli Rispetto a restauri su denti singoli, ponti e riabilitazioni estese a supporto implantare sono maggiormente suscettibili a fenomeni di chipping e fratture dei framework (Pjetrusson et al, 2012), e meno a perdita di ritenzione legata allo svitamento delle viti di fissaggio. Una complicanza relativamente frequente riportata per le portesi direttamente avvitata su impianti multipli riguarda la perdita del materiale di otturazione del foro di accesso occlusale. Sebbene questa sia una complicanza minore e di facile soluzione, se si ripete nel tempo può essere un motivo di fastidio per i pazienti (Ma). Gli impianti a CI presentano in generale maggiori difficoltà rispetto ad impianti a CE nella realizzazione di protesi avvitata quando più impianti che devono essere solidarizzati non sono sufficientemente paralleli. In molte sistematiche implantari a connessione interna (sia conica che flat-to-flat) esistono tuttavia componenti protesiche (sia per l’impronta che per la realizzazione del dispositivo protesico) che consentono di superare disparallelismi relativamente importanti non sfruttando l’ingaggio interno. Quando si rende necessario solidarizzare più impianti, la passivazione della struttura è fondamentale. La presenza di imprecisioni anche piccole implica infatti che una parte del precarico della vite di fissaggio viene dissipato per alloggiare completamente la struttura protesica. In pratica questo comporta che le sollecitazioni funzionali possano far allentare la vite con maggior facilità rispetto ad una struttura perfettamente passiva in cui tutto il precarico è impiegato per mantenere solidali vite ed impianto. 3.1.c Metallo ceramica Test in vitro hanno mostrato che elementi singoli in metallo ceramica direttamente avvitati evidenziano una minore resistenza meccanica rispetto a corone cementate dello stesso materiale. Presumibilmente questo avviene a causa della presenza del foro di accesso occlusale. Differenti posizioni del foro occlusale in senso vestibololinguale non sembrano influenzare questo fenomeno. (Freitas et al., 2011; Shadid et al, 2011; Torrado et al., 2004; Zarone et al, 2007). Le più frequenti complicazioni tecniche riportate in studi clinici riguardano la perdita di ritenzione dovuta alla perdita di precarico nelle ricostruzioni di denti singoli, chipping della ceramica di rivestimento, e più raramente frattura dei framework di supporto. Una particolare forma di protesi avvitata su impianti è rappresentata da manufatti avvitati a mesostrutture mediante una o più viti linguali / palatine. Le mesostrutture vengono a loro volta avvitate alla piattaforma implantare, permettendo di compensare eventuali discrepanze tra asse implantare e asse del restauro che obbligherebbero a fabbricare restauri con le emergenze delle viti di fissaggio in posizioni poco convenienti da un punto di vista protesico. Nelle edentulie totali o nei casi con gravi atrofie ed elevata componente ortopedica: protesi ad avvitamento indiretto su mesostruttura (CE/CI a seconda del disparallelismo relativo degli impianti) o su MUA (CI nei casi di forte disparallelismo). 3.1.d Metallo-resina Studi meno recenti riportano dati riguardano restauri fusi in oro in cui l’aspetto vestibolare viene ricoperto in resina. In epoca più recente questo tipo di restauro viene generalmente utilizzato per la fabbricazione di riabilitazioni complete definitive di una arcata, e per la fabbricazione di provvisori. In entrambe i casi la struttura metallica viene interamente ricoperta da uno strato di resina acrilica che rappresenta la componente estetica. Le complicazioni tecniche più frequentemente riportate in letteratura riguardano il deterioramento del materiale da rivestimento, che tende a pigmentarsi con le sostanze introdotte con l’alimentazione, la frattura usura, o il distacco dei denti artificiali, la frattura dei framework di supporto, e l’allentamento delle viti di fissaggio. Non sono segnalate differenze significative al variare del tipo di lega metallica utilizzata per le strutture, ovvero lega nobile vs. lega non nobile (Fischer e Stenberg, 2013; Purcell, 2008; Teigen e Jokstad, 2012). 3.1.e Zirconia ceramica Come per la metallo ceramica, test in vitro hanno mostrato come corone stratificate direttamente avvitate sembrano essere meno resistenti alla frattura rispetto a corone cementate (Nogueira et al. , 2015). Dal punto di vista biomeccanico, la CI presenta minore resistenza intrinseca della componentistica protesica in quanto la parte terminale è più piccola del diametro implantare. Qualora si usino pilastri in zirconia è consigliabile scegliere quelli con ingaggio metallico (normalmente vengono utilizzati inserti in titanio) per aumentarne la resistenza (Mühlemann et al. , 2014; Trununger et al., 2012). Inoltre, è stato ipotizzato un meccanismo di usura dell’ingaggio antirotazionale delle fixture da parte delle strutture in zirconia. Questo fenomeno potrebbe potenzialmente portare alla perdita di efficacia del dispositivo ani rotazionale, con la conseguente maggiore facilità di allentamenti delle viti di fissaggio, ed una apertura di microgap indesiderati. (Cavusoglu et al. , 2014; Stimmelmayr et al, 2012). In vitro l’usura della connessione implantare parte aubutment in zirconia sembrerebbe ridursi dopo 250.000 cicli (Klotz et al, 2011). Sono presenti pochi dati in letteratura riguardo l’utilizzo di ponti direttamente avvitati agli impianti. Le connessioni rotanti interamente in zirconia utilizzate per solidarizzare più impianti tra loro sembrano essere in grado di sopportare le sollecitazioni meccaniche. Le complicazioni più frequenti sono allentamento delle viti di fissaggio, chipping, e frattura del framework (Kolgeci et al, 2014; Worni et al., 2014). Le modifiche introdotte a livello del disegno delle strutture in zirconia al fine di migliorare il supporto del materiale di rivestimento e dei protocolli di fabbricazione, in particolare dei cicli termici dei manufatti, hanno portato a ridurre l’incidenza del chipping analogamente a quanto è avvenuto per le protesi fisse a sostegno dentale. (Al – Amleh et al., 2010) 3.1.f Zirconia monolitica Sono stati recentemente introdotti sul mercato manufatti monolitici in zirconia che possono essere direttamente avvitati alla fixture o cementati in laboratorio su appositi links di transizione in titanio. Data l’assenza di materiale di rivestimento viene in questo modo superato il problema del chipping dello stesso ed i primi risultati sembrano promettenti (Venezia et al., 2015); rimangono tuttavia valide le considerazioni che riguardano il comportamento meccanico delle strutture in zirconia. Per questo tipo di applicazione è stata inoltre sviluppata una forma di zirconia traslucente con una resa estetica migliore (a discapito però della resistenza meccanica del materiale) che può essere pigmentata al fine di migliorare ulteriormente l’integrazione estetica. A causa della scarsità di dati ancora disponibili in letteratura non è ancora possibile trare conclusioni in merito all’utilizzo clinico a lungo termine di questo tipo di restauro. 3.1.g Disilicato monolitico Parallelamente alla introduzione della zirconia monolitica è stato introdotto anche il disilicato monolitico, con proprietà meccaniche inferiori a quelle della zirconia, adatto quindi esclusivamente alla fabbricazione di corone singole cementate in laboratorio su link in titanio e direttamente avvitate alla piattaforma implantare. Il disilicato è stato anche utilizzato per sostituire il materiale di rivestimento acrilico su strutture in zirconia o titanio per sostituire la resina acrilica (Fabbri et al., 2015; Malo et al., 2014). A causa della scarsità di dati ancora disponibili in letteratura non è ancora possibile trare conclusioni in merito all’utilizzo clinico a lungo termine di questo tipo di restauro. 3.2 Protesi cementata Sugli impianti è possibile fissare due tipologie di protesi: le protesi avvitate e le protesi cementate, le quali richiedono le proprie componentistiche dedicate. Esistono benefici e limiti per ognuna di queste soluzioni, anche se sembra che ancora oggi la decisione di utilizzare l’una o l’altra dipenda principalmente dalla preferenza e dall’esperienza individuale (Michalakis et al., 2003; Sherif et al., 2011; Shadid et al., 2012). La scelta dell’utilizzo di una protesi implantare cementata viene normalmente determinata in fase di progettazione in base a variabili quali lo spazio interocclusale disponibile, il grado di disparallelismo in caso di impianti multipli, il rapporto tra lunghezza dell’impianto utilizzato e corona clinica protesica ed un’inclinazione non adeguata dell’impianto. Criteri clinici come la possibilità di rimuovere agevolmente il restauro in caso di necessità, l’estetica, la gestione dell’occlusione, la facilità, la precisione ed i costi di produzione possono influenzare il processo decisionale, così come anche un posizionamento implantare non ideale può influenzare il risultato estetico finale rendendo di fatto visibile il foro di accesso della vite in caso di protesi avvitata. Inoltre, in casi di impianti multipli, se la posizione degli impianti dovesse richiedere una forte compensazione protesica viene normalmente preferito l’utilizzo di protesi cementate o protesi che prevedono componenti intermedie quali mesostrutture avvitate, con una sovrastruttura cementata o avvitata. 3.2.a Benefici e limiti Il risultato estetico finale rappresenta uno dei principali vantaggi della protesi cementata, eliminando le obiezioni del paziente riguardo al foro di accesso della vite. Una migliore gestione dell’occlusione delle corone definitive è un altro vantaggio, in quanto il foro di accesso della vite, necessario per la soluzione avvitata, spesso cade in una parte funzionale del restauro. (Vigolo et al., 2012) La diffusione delle tecnologie CAD/CAM ha permesso la realizzazione di abutment custom - made, migliorando e standardizzando quindi il processo produttivo e la precisione finale delle protesi cementate (Dondi, 2010). Indipendentemente dal tipo di connessione implantare (Interna e Esterna), con l’utilizzo di un torque adeguato (tra 25-35 Ncm, rispettando le indicazioni della casa implantare) e componentistiche protesiche con maggiore grado di precisione, si sono fortemente ridotti problemi di allentamento della vite del moncone nei restauri definitivi. Tuttavia, quando il torque applicato non è adeguato e le componenti antirotazionali sono meno precise, è più facile che si abbiano allentamenti delle viti con impianti a connessione esterna (Gracis et al., 2012). Sebbene la consegna di un restauro cementato possa risultare più semplice in situazioni di apertura della bocca limitata, il maggiore svantaggio della soluzione protesica cementata è la rimozione degli eccessi di cemento. Alcuni studi (Agar et al., 1997; Linkevicius et al., 2011) infatti hanno dimostrato la permanenza di residui di cemento indipendentemente dalla posizione sottogengivale del margine protesico ed il fatto che questi siano la principale causa di perimplantite, qualsiasi tipo di cemento venga utilizzato (Hebel e Gajiar, 1997). Pertanto una attenta progettazione del disegno e del margine di chiusura del moncone implantare deve essere effettuata per facilitare la rimozione del cemento in eccesso (Linkevicius et al., 2012) così come anche possono essere di aiuto il posizionamento di un filo retrattore al di sotto del sottosquadro del moncone protesico e/o una cementazione extraorale su una replica del moncone (Wadhwani e Pineyro, 2009). Altre complicazioni della protesi cementata sono dovute ad un inadeguato posizionamento della corona sul moncone durante la fase di cementazione, con conseguente perdita della corretta posizione del restauro, così come la perdita di ritenzione nel tempo della corona, che dipende principalmente dal moncone protesico. Studi in vitro hanno dimostrato come la convergenza e l’altezza dei pilastri protesici siano fondamentali per mantenere la stabilità del restauro protesico nel tempo. In letteratura è stato proposto l’ utilizzo di un cemento provvisorio come il Temp Bond, per favorire il re-intervento nel tempo in caso di complicanze. Tuttavia, a causa della stretta aderenza tra il moncone e la corona, è risultato molto difficile rimuovere la corona senza danneggiarla o danneggiare la vite di ritenzione (Covey et al, 2000; Taylor et al., 2000). La perdita di ritenzione della corona è uno svantaggio più comune per le corone singole piuttosto che per arcate complete o parziali, le quali possono contare su un maggior numero di impianti ed una decementazione di una di queste unità può non essere percepita, con la conseguenza di una errata distribuzione delle forze occlusali sui diversi impianti (Crespi et al., 2007). Uno dei vantaggi della protesi cementata è la maggior facilità ad ottenere la passivazione delle componentistiche protesiche rispetto alla protesi avvitata, grazie alla presenza del cemento che sembra agire come shock – absorber (Sunyong et al., 2015). Revisioni sistematiche della letteratura hanno evidenziato come non vi siano differenze statisticamente significative confrontando varie tipologie di protesi fisse avvitate direttamente o mediante mesostrutture (corone singole, ponti, arcate complete) eseguite in diverse tipologie di materiali (metallo ceramica, zirconia - ceramica), né confrontando protesi cementate vs avvitate. Non vi è evidenza di una maggiore entità di perdita ossea confrontando le due forme di protesi, ma è stato però evidenziato (de Brandão et al., 2013) come siano più frequenti i chipping nelle protesi avvitate rispetto a quelle cementate. 3.2.b Moncone Protesico Sopra questo moncone (o abutment) viene cementata la protesi definitiva nel caso in cui si opti per una protesi cementata. Questo può essere realizzato, mediante le tecnologie tradizionali, in lega ad alto titolo d’oro, in lega ad alto titolo di palladio o in lega a medio titolo aureo oppure, grazie alle nuove tecnologie CAD/CAM, in titanio di grado 4 o 5, interamente in zirconia, in zirconia su base in titanio, in disilicato su base in titanio, in cromo cobalto su base in titanio ed in resina composita su base in titanio. Sono, inoltre, reperibili in commercio i pilastri in titanio di grado 4 e di grado 5, fabbricati, attraverso fresatura, dalle aziende produttrici di impianti. I monconi estetici (Zirconia, disilicato e resina composita) permettono una migliore gestione del colore dei tessuti molli perimplantari (Jung et al., 2007). Il moncone interamente in zirconia, presenta un’ottima rigidità ed evita la formazione di correnti galvaniche, tra metalli differenti, tra impianto e pilastro, ma sono stati riportati casi di frattura della componente antirotazionale del moncone. Per ovviare all’incidenza della frattura dei pilastri in zirconia, è possibile fabbricare dei pilastri con base in titanio di grado 4 o 5 sui quali viene cementato, con cementi resinosi, in laboratorio un moncone in zirconia (Mühlemann et al., 2014). Sopra al moncone protesico possono essere cementate o delle corone monolitiche o delle corone stratificate (Zembic et al., 2014). 3.2.c Metallo-ceramica Test in vitro hanno mostrato come elementi singoli in metallo ceramica direttamente avvitati evidenziano una minore resistenza meccanica rispetto a corone cementate dello stesso materiale. Presumibilmente questo avviene a causa della presenza del foro di accesso occlusale. 3.2.d Metallo-resina La struttura metallica viene interamente ricoperta da uno strato di resina acrilica che rappresenta la componente estetica. Le complicazioni tecniche più frequentemente riportate in letteratura riguardano il deterioramento del materiale da rivestimento, che tende a pigmentarsi con le sostanze introdotte con l’alimentazione, usura del materiale frattura da usura. 3.2.e Zirconia-ceramica Come per la metallo ceramica, test in vitro hanno mostrato come corone stratificate direttamente avvitate sembrano essere meno resistenti alla frattura rispetto a corone cementate (Nogueira et al., 2015). Qualora si usino pilastri in zirconia è consigliabile scegliere quelli con ingaggio metallico (normalmente vengono utilizzati inserti in titanio) per aumentarne la resistenza (Mühlemann et al., 2014) 3.2.f Zirconia monolitica Sono stati recentemente introdotti sul mercato manufatti monolitici in zirconia che possono essere cementati sui monconi protesici. Data l’assenza di materiale di rivestimento viene in questo modo superato il problema del chipping dello stesso ed i primi risultati sembrano promettenti (Venezia et al., 2015); rimangono tuttavia valide le considerazioni che riguardano il comportamento meccanico delle strutture in zirconia. 3.2.g Disilicato monoitico Parallelamente alla introduzione della zirconia monolitica è stato introdotto anche il disilicato monolitico, con proprietà meccaniche inferiori a quelle della zirconia, adatto quindi esclusivamente alla fabbricazione di corone singole. Il disilicato è stato anche utilizzato per sostituire il materiale di rivestimento acrilico su strutture in zirconia o titanio per sostituire la resina acrilica (Fabbri et al., 2014). A causa della scarsità di dati ancora disponibili in letteratura non è ancora possibile trarre conclusioni in merito all’utilizzo clinico a lungo termine di questo tipo di restauro. 4. Conclusioni Appare evidente come le complicanze meccaniche rappresentino un problema meno importante di quello che si possa pensare. Le complicanze più comuni e la causa di fallimenti in protesi rimangono quelle biologiche di tipo endodontico, parodontale o di frattura dei monconi. E' comunque fondamentale valutare la scelta del materiale protesico in rapporto alla zona da riabilitare e ai fattori di rischio presenti nel paziente quali serramento e bruxismo. Il clinico deve quindi conoscere le caratteristiche biomeccaniche dei diversi materiali per utilizzarli nel modo più corretto e nella situazione clinica più adeguata. 5. Bibliografia Agar JR, Parker MH. (1997) Cement removal from restorations to titanium abutments with simulated sub gingival margins. J Prosthet Dent 1,43–7. Al-Amleh B, Lyons K, Swain M. (2010) Clinical trials in zirconia: a systematic review. J Oral Rehabil. 37,641-52. 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Test in vitro hanno dimostrato che la presenza del foro di accesso occlusale rende un restauro direttamente avvitato in metallo- ceramica meno resistente b. Test in vitro hanno dimostrato che spostando il foro di accesso leggermente verso l’aspetto vestibolare il restauro direttamente avvitato in metallo- ceramica è più resistente c. Test in vitro hanno mostrato che non vi è alcuna evidenza a favore di un tipo di sistema di ritenzione o dell’altro. d. Non sono ancora stati eseguiti test in vitro che dimostrino una maggiore o minore resistenza delle protesi a supporto implantare direttamente avvitate in metallo- ceramica 2. a. b. c. d. Quale materiale non è indicato per realizzare ponti nei settori posteriori ? Zirconia monolitica Zirconia stratificata Disilicato di Litio monolitico. Lega non nobile in cromo-cobalto stratificata con ceramica feldspatica 3. Quale tipo di protesi a supporto implantare presenta in letteratura il minore numero di chipping? a Review sistematiche hanno dimostrato che vi è una minore incidenza di chipping nelle protesi cementate. b Review sistematiche hanno dimostrato che vi è una minore incidenza di chipping nelle protesi avvitate. c Review sistematiche hanno dimostrato che non vi sono differenze significative. d Nono vi sono dati in letteratura a riguardo.