EDITORIALE IL FATTORE “M” Fiumi di inchiostro e di parole sono stati sparsi – e lo sono ancora – nei media sulla pandemia da virus A H1N1 dell’influenza suina. Giustamente le istituzioni federali e cantonali si sono mobilitate per mettere a punto un dispositivo efficace, che permetta di far fronte ad una possibile emergenza annunciata, come può essere una pandemia. Riunioni politiche ai più alti livelli, piani di intervento, simulazioni, circolari, e un mare di informazioni, spesso contraddittorie, hanno intasato le scrivanie, le caselle di posta elettronica e i tavoli dei funzionari. Non è mancato il tocco finale con la creazione di neologismi, come quello di “pandicentri” in cui ogni paziente verrà dotato di un “pandilibretto”. In questa macchina all’apparenza ben oliata, pronta a partire, si è data per scontata la disponibilità e il contributo di quello che vorrei chiamare il fattore “M”, cioè noi medici. Poi, dopo anni in cui ci si era ormai abituati a considerare i medici niente di più che dei “fornitori di prestazioni”, uno dei tanti, nello scenario del sistema sanitario, qualcuno improvvisamente si è reso conto che, senza l’apporto fondamentale di questa figura professionale, tutto il sistema messo in piedi per fronteggiare la pandemia sarebbe crollato come un castello di carta. Alcuni scenari pronosticano il collasso del sistema sanitario, con veri e propri “assalti” ai Pronto Soccorso degli ospedali, come quelli ai forni del pane di manzoniana memoria durante le epidemie di peste bubbonica, tanto da rendere necessario prevedere l’assunzione di guardie del corpo di sicurezza per mantenere l’ordine pubblico davanti agli ospedali e ai pandicentri. Era il mese di agosto, tempo per molti funzionari di ferie, ma nessuno si è fatto scrupoli di chiedere ai medici di mettere a punto, in tempi brevissimi, un dispositivo che assicurasse una assistenza capillare e continua su tutto il territorio e per tutta la popolazione. I medici, tramite la loro organizzazione professionale, l’OMCT, hanno risposto presente, e hanno accantonato ogni facile tentazione di dire “avete continuato a svalutare il nostro ruolo e la nostra professionalità, avete sempre ignorato le nostre legittime richieste imponendoci sacrifici ad ogni taglio di spesa, ci avete considerato poco più che comparse e non dei primi attori nel sistema sanitario, ora arrangiatevi”. Sotto il sole di agosto i primi a mobilitarsi sono stati i medici di famiglia, quelli di “primo ricorso”, che con grandi sacrifici assicurano in tutto il Cantone il servizio di guardia medica, nonostante che lo Stato da una parte imponga alla nostra categoria con la legge sanitaria compiti gravosi, e dall’altra abbia ormai da anni tagliato i sussidi minimi per coprire almeno le spese di organizzazione del servizio di guardia medica. Tramite i Circoli Medici si è provveduto ad assicurare la disponibilità di tutti i medici indistintamente, specialisti compresi, potenziando il servizio di guardia medica che ormai è attivo sulle 24 ore, giorno, notte e festivi compresi, in tutto il territorio cantonale. Una novità interessante, tutta da verificare, sarà rappresentata dall’apertura dei Pronto Soccorso degli ospedali pubblici e delle cliniche private ai medici esterni. Grazie all’impegno dei Circoli Medici è stato così possibile mettere a punto, in tempi da record, un dispositivo di emergenza che, attraverso l’impegno ed il sacrificio di tutti i medici, potrà continuare ad assicurare gli alti standard di assistenza sanitaria, cui ormai la nostra popolazione è abituata, anche in una situazione di 74 OTTOBRE 2009 emergenza come una possibile pandemia. Il dispositivo, insomma, è pronto ed articolato in maniera flessibile, in modo da far fronte ad ogni possibile scenario, anche se nessuno si augura che si debba arrivare ad aprire i pandicentri. Un sentito grazie ai colleghi per aver onorato la nostra professione, superando inevitabili resistenze e vecchie incomprensioni. Spetta ora ai politici dimostrare con i fatti di aver compreso la lezione e di onorare gli impegni presi verso la nostra professione. Vincenzo Liguori Presidente Commissione Picchetti OMCT TRIBUNA MEDICA TICINESE 345 SEZIONE SCIENTIFICA LEUCEMIA MIELOIDE CRONICA: SINTESI DI VECCHIE E NUOVE CONOSCENZE M. Motta, L. Leoncini Caso Clinico Donna di 31 anni da circa 2 mesi astenia, episodi di ”testa leggera” e scotomi, comparsa di ematomi spontanei e in seguito a traumi alle estremità, aumento del flusso mestruale negli ultimi 4 mesi. La stessa nega diminuzione della vista o difficoltà nell’eloquio. Calo ponderale negli ultimi 2 mesi, in parte dovuto a una dieta, riferisce inoltre un senso di sazietà precoce. All’esame obiettivo: splenomegalia palpabile a 3 cm dall’arco costale, assenza di linfadenopatie, non epatomegalia. L’emocromo di circa 1 anno fa mostrava i seguenti valori: WBC 12.6x109/l e HTC 46%; attualmente: WBC 12.2x109/l, HTC 36%, MCV 93 fl, Tc 2’778x109/l neutrofili 7.32x109/l, Ly 2.93x109/l, monociti 0.85x109/l, eosinofili 0.12x109/l, e basofili 0.98x109/l. L’analisi molecolare del sangue periferico è risultata positivo per BCR-ABL(e13a2). Introduzione La Leucemia Mieloide Cronica (LMC) si caratterizza come un disordine clonale delle cellule staminali dovuto a una traslocazione bilanciata tra il braccio lungo del cromosoma 9 e cromosoma 22 [t(9;22)(q34;q11)] noto anche come Cromosoma Philadelphia (Cr Ph). L’incidenza annuale di questa malattia è di 1.6 casi/100.000/ anno; con un rapporto M/F di 1.3:1 e l’età media alla diagnosi è tra i 50-60 anni. Le LMC rappresentano circa il 15-20% delle leucemie nell’adulto. Questa malattia si caratterizza clinicamente per la presenza di splenomegalia, sintomi da ipercatabolismo e iperplasia mieloide.1 stadio, quando presenti, come illustrato nel caso clinico precedente, sono principalmente dovuti all’ipercatabolismo, alla splenomegalia, all’anemia e/o alla disfunzione dei trombociti. Patogenesi La scoperta del Cr. Ph risale al 1960 ma il meccanismo molecolare è stato compreso solo circa 15 anni fa. Nella figura A è rappresentata la patogenesi molecolare del Cr Ph nella LMC. La proteina chimerica (p210) che deriva dalla t(9;22) agisce a livello di vari segnali intracellulari e promuove la leucemogenesi attraverso modifiche nella proliferazione cellulare, apoptosi e interazione dei leucociti con la matrice cellulare.2 (figura B) Caratteristiche clinicolaboratoristiche della fase cronica Circa il 90% dei pazienti con LMC si presenta in fase cronica e di questi, il 20-45% è asintomatico; il riscontro è spesso incidentale. I sintomi in questo Fig. A: Patogenesi molecolare della t(9;22)(q34;q11) nella LMC. Fig. B: effetti a cascata di BCR-ABL. 74 OTTOBRE 2009 TRIBUNA MEDICA TICINESE 347 SEZIONE SCIENTIFICA Laboratorio Fase cronica: astenia calo ponderale sudorazioni notturne dolori addominali senso di sazietà precoce palpitazionie/o dispnea sanguinamenti priapismo Fase accelerata: splenomegalia progressiva calo ponderale e sudorazioni febbre o dolori ossei inspiegati cloromi Fase blastica: sanguinamenti infezioni sintomi costituzionali splenomegalia massiva manifestazionitissutali di malattia extramidollare (epatomegalia, linfoadenopatie, cloromi) Classificazione WHO leucocitosi neutrofila con elementi immaturi blasti sangue periferico<10% trombocitosi basofilia e/o eosinofilia anemia normocitica basso “score” della fosfatasi alacalina aumento LDH, iperuricemia riarrangiamento del BCR-ABL iperplasia della megacario-mielopoiesi midollare con fibrosi moderata, blasti<10%, minima displasia, t(9;22)± altre anomalie evoluzioni del cariotipoblasti midollari o periferici>10% blasti e promielociti≥20% basofilia+eosinofilia≥20% Tc<100x10^9/l blasti periferici o midollari 10-19% basofili nel sangue periferico=20% Tcpenia persistente (<100x10^9/L), o persistente Trombocitosi (>1000 x10^9/L) non responsiva alla terapia blasti midollari o periferici ≥20% blasti midollari o periferici ≥20% proliferazione di blasti extramidollar Tab. 1: Caratteristiche clinico-laboratoristiche della LMC. Le alterazioni del sangue periferico salienti sono la neutrofilia e la presenza di cellule mieloidi immature; più del 50% dei pazienti si presenta con una leucocitosi (WBC>100000). Anche la basofilia è comune (14% dei pazienti ha più del 6% di basofili in periferia); l’anemia può essere presente in più del 50% dei pazienti e la trombocitosi nel 15-35% dei casi. L’esame morfologico del midollo in fase cronica mostra una iperplasia mieloide con elevato rapporto M/E (spesso >10:1); la maturazione dei precursori mieloidi è normale; si ritrova frequentemente un aumento della fibrosi reticolare. (figura C) Le caratteristiche clinico-laboratoristiche della LMC in fase cronica sono riportate nella tabella 1. Diagnosi differenziale La diagnosi differenziale di una neutrofilia con o senza trombocitosi include 348 TRIBUNA MEDICA TICINESE alterazioni midollari primitive o secondarie. Una neutrofilia secondaria si può riscontrare in caso di infezioni/infiammazioni, altri stress fisiologici, asplenia e in caso di assunzione di determinati farmaci (corticosteroidi, litio, G-CSF). Cause primarie, non maligne, di neutrofilia non sono comuni e includono la neutrofilia ereditaria, il difetto di adesione leucocitaria e la neutrofilia idiopatica cronica. Tra le maggiori cause maligne di neutrofilia ci sono le neoplasie mieloproliferative non LMC: trombocitemia essenziale (TE), policitemia vera (PV), mielofibrosi (MFI). Nel sospetto di una LMC il test più veloce e dirimente è l’analisi molecolare per la ricerca di BCR-ABL. Sebbene la positività per il trascritto BCR-ABL confermi la diagnosi di LMC, per una stadiazione completa della malattia è sempre necessaria una valutazione midollare per stabilire la percentuale di blasti e per valutare, tramite esame ci- 74 OTTOBRE 2009 Fig. C: sangue periferico e aspirato midollare di una LMC. SEZIONE SCIENTIFICA togenetico, la presenza di anomalie aggiuntive. Decorso, prognosi e caratteristiche della malattia avanzata Dopo la diagnosi, la fase cronica rimane stabile per alcuni anni prima di evolvere in una fase accelerata o crisi blastica. La percentuale di trasformazione in crisi blastica è del 5-10% per anno durante i primi due anni dalla diagnosi per poi aumentare del 25% per anno. Prima dell’era Imatinib (inibitore della TK), i pazienti che non venivano sottoposti ad allotrapianto avevano un sopravvivenza mediana di 5-7 anni; allora i modelli prognostici (1984 Sokal; Gratwohl 1998; Hasford 1998) erano molto utili per predire una breve sopravvivenza e di conseguenza decidere l’approccio terapeutico. Tali modelli sono attualmente in corso di rivalutazione ma alcuni studi suggeriscono che il più vecchio tra questi modelli (Sokal) può comunque essere utile per predire la probabilità di ottenere una remissione citogenetica nei pazienti trattati con Imatinib (figura D). La fase accelerata della LMC è accompagnata dall’acquisizione di lesioni molecolari aggiuntive, instabilità genomica e progressivo peggioramento della differenziazione mieloide con accumulo di precursori mieloidi immaturi e di blasti nel midollo, nel sangue e in tessuti extramidollari. I sintomi clinici associati con la fase accelerata possono anche essere irrilevanti o assenti (tabella 1). La sopravvivenza mediana, senza trapianto di midollo o terapia con Imatinib, è solo di 12-18 mesi. La progressione della LMC in leucemia acuta (crisi blastica) evolve solitamente da una fase accelerata ed è definita da una quantità di blasti ≥20% (tabella 1). Le caratteristiche clinico-laboratoristiche sono riassunte nella tabella 1. Anomalie citogenetiche aggiuntive alla t(9;22) sono riscontrate nel 6580% dei casi. La sopravvivenza mediana è di 3-6 mesi per i pazienti anziani e di circa 8 mesi per i giovani adulti. Fig. D: tasso di risposta citogenetica nei pz con nuova diagnosi di LMC trattati con imatinib 400 mg/die, in accordo con la classe di rischio secondo Sokal alla diagnosi. Terapia per la fase cronica Con l’avvento dell’Imatinib, le terapie standard per la LMC (Interferone, idrossiurea,…) sono state ormai soppiantate; i risultati dello studio IRIS (5 anni di follow-up) mostrano una differenza significativa in termini di risposta ematologica completa (CHR) (97%vs 69%) e di risposta citogenetica completa (CCR) (76% vs 14%) rispettivamente per i pazienti trattati con Imatinib rispetto a quelli trattati secondo lo standard IFN+Ara C3 (figura E). Questi risultati si sono confermati anche con l’aggiornamento a 7 anni di follow-up (OS 86%, CCR 82%)4 (figura F). Realisticamente solo il 25% dei pazienti con LMC ha l’opportunità di sottoporsi a un trattamento potenzialmente curativo quale il trapianto allogenico il restante 75% rimane escluso per età, comorbidità, mancanza di un donatore. Nella figura G è rappresentato l’algoritmo proposto dal National Comprehensive Cancer Network [NCCN], 2005 e che rappresenta una sintesi delle recenti raccomandazioni. 74 OTTOBRE 2009 Fig. E: studio IRIS. 5 aa di follow up. Oltre all’Imatinib ci sono oggigiorno altri inibitori della tirosinchinasi quali il Dasatinib (Sprycel®) e il Nilotinib (Tasigna®). Questi vengono utilizzati quali terapie di seconda linea in caso di non risposta o di intolleranza all’Imatinib (Glivec®). TRIBUNA MEDICA TICINESE 349 SEZIONE SCIENTIFICA splenomegalia, leucocitosi e trombocitosi; le risposte citogenetiche, con idrossiurea, sono rare e non vi sono modifiche del corso naturale della storia della malattia. Analogamente il Busulfano può controllare la iperleucocitosi e la trombocitosi, la splenomegalia e i sintomi sistemici della fase cronica ma con efficacia minore rispetto all’idrossiurea e una minor tollerabilità. Inoltre per gli effetti collaterali cui può portare (fibrosi polmonare, citopenia prolungata e aplasia midollare) questo farmaco è utilizzato solo come terapia palliativa di seconda scelta. In caso di splenomegalia dolente e ipersplenismo possono essere prese in considerazione l’irradiazione splenica o la splenectomia. Fig. F: IRIS: 7aa follow up. Terapia per la malattia avanzata Il trattamento della fase accelerata e della crisi blastica rimane insoddisfacente. La fase accelerata può rispondere a una chemioterapia aggressiva (tipo terapia di induzione per le leucemie acute) (20-30% di risposte); tuttavia queste risposte sono spesso transitorie e seguite da una rapida progressione in crisi blastica. Il trattamento migliore rimane ancora una volta l’Imatinib(600mg/d) con una percentuale di risposta completa ematologica pari al 53%, 10% di risposta morfologica e 19% di ritorno alla fase cronica, risposta citogenetica maggiore (MCR) 24%, risposta citogenetica completa (CCR) 17%.5 Gli effetti collaterali sono generalmente moderati e non dose correlati. Imatinib può controllare transitoriamente la crisi blastica in una parte di pazienti. Fig. G: Algoritmo del trattamento iniziale per LMC in fase cronica. Cure “palliative” I pazienti che non rispondono alla terapia con Imatinib (Sprycel o Tasigna) e che non hanno la possibilità di sottoporsi a un trapianto allogenico posso- 350 TRIBUNA MEDICA TICINESE no essere trattati con terapie citoriduttive e palliative. L’Idrossiurea è molto ben tollerata e può effettivamente controllare alcuni sintomi e segni della malattia quali 74 OTTOBRE 2009 Resistenza all’Imatinib Nonostante gli ottimi risultati raggiunti con Imatinib esistono purtroppo casi di recidiva (sotto terapia) o resistenza a questo farmaco. Sono stati identificati diversi meccanismi probabilmente responsabili della resistenza all’Imatinib, tra questi l’amplificazione del gene SEZIONE SCIENTIFICA BCR-ABL e la sovraespressione della proteina BCR-ABL (10% dei casi); tuttavia il meccanismo principale dell’acquisizione della resistenza sembrerebbe primariamente dovuto a una mutazione puntiforme nel sito di legame tra la proteina BCR-ABL e il farmaco Imatinib (50-90% dei casi di resistenza). Le mutazioni associate alla resistenza all’Imatinib sono una quarantina; lo sviluppo di queste mutazioni è associato alle fasi della malattia (26% di resistenza nella fase cronica fino al 44% nella fase accelerata e 70-80% nella crisi blastica). Nel caso si sviluppi una resistenza all’Imatinib le opzioni terapeutiche includono le più vecchie ma provate terapie quali l’IFNα e il trapianto allogenico (quando fattibile) o l’aumento del dosaggio dello stesso Imatinib. Numerosi pazienti rispondono all’aumento di dose dell’Imatinib ma le risposte non sono durature. Sono stati sviluppati nuovi inibitori della TK già in commercio: Dasatinib (Sprycel)6 e Nilotinib (Tasigna)7. Il primo non è strutturalmente correlato all’Imatinib e oltre alla ABL chinasi inibisce la famiglia delle SRC chinasi; il secondo invece è un derivato dell’Imatinib ma con attività superiore. Questi due nuovi inibitori, pur essendo attivi in presenza della maggior parte delle mutazioni della TK, sembrerebbero non funzionare in presenza di una mutazione specifica denominata T315I. • • • • • • • Approcci futuri La possibilità di migliorare la risposta all’Imatinib e la necessità di fronteggiare il fenomeno della resistenza ha fatto si che venissero studiate combinazioni di farmaci quali Imatinib+IFN (studio SPIRIT) o Imatinib +IFN/Ara C (studio GERMAN IV) i cui risultati preliminari sono incoraggianti in termini di risposta e tollerabilità. fetti biologici della t (9;22) che codifica per la p210BCR–ABLuna oncoproteina di fusione. La LMC deve essere distinta dalle forme di neutrofilia reattiva e dalle leucocitosi associate con altre neoplasie mieloproliferative; la conferma diagnostica si basa sulla identificazione della t (9;22) mediante analisi citogenetica o il rispettivo riarrangiamento molecolare BCR-ABL La LMC presenta 3 fasi (cronica, accelerata e blastica) che mostrano caratteristiche cliniche e laboratoristiche differenti. Gli altri inibitori della tirosinchinasi (Dasatinib, Nilotinib) rappresentano la terapia di seconda linea in caso di intolleranza o non risposta all’Imatinib. Imatinib o IFNα (soli o in combinazione con Ara C) possono dare una risposta citogenetica completa; tuttavia al momento Imatinib è la terapia d’elezione in prima linea con una risposta citogenetica maggiore o completa nell’87% dei pazienti. Il trapianto allogenico rimane una buona opzione terapeutica per i pazienti giovani ad alto rischio. Imatinib induce una risposta ematologica e citogenetica nei 2/3-3/4 dei pazienti in fase accelerata e una risposta ematologica in 1/3 dei pazienti in crisi blastica ma queste risposte non sono durature per cui sono necessarie ulteriori terapie. L’analisi di biologia molecolare (RTPCR per BCR-ABL) permette la valutazione della risposta al trattamento con Imatinib e un’eventuale insorgenza di resistenza. Bibliografia 1 Garcia-Manero G, Faderl S, O'Brien S, et al. Chronic myelogenous leukemia: a review and update of therapeutic strategies. Cancer. 2003;98:437–57. 2 Goldman J, Melo J. Chronic myeloid leukaemia–advances in biology and new treatment approaches to treatment. N Engl J Med. 2003:1451–64. 3 Hughes TP, Kaeda J, Branford S, et al. International Randomized Study of Interferon versus STI571 (IRIS) Study Group. Frequency of major molecular responses to imatinib or interferon alfa plus cytarabine in newly diagnosed chronic myeloid leukemia. N Engl J Med. 2003;349:1423–32. 4 Stephen O’Brien, Francois Guilhot, Brian Druker, John Goldman, et al. The IRIS Study in early chronic phase CML7 year Follow-up. Blood 2008; 112(11):76 5 Kantarjian HM, Cortes J, O'Brien S, et al. Imatinib mesylate (STI571) therapy for Philadelphia chromosome-positive chronic myelogenous leukemia in blast phase. Blood. 2002;99:3547–53. 6 Shah NP, Tran C, Lee FY, et al. Overriding imatinib resistance with a novel ABL kinase inhibitor. Science. 2004;305:399–401. 7 Nilotinib (formerly AMN107), a highly selective BCR-ABL tyrosine kinase inhibitor, is effective in patients with Philadelphia chromosome-positive chronic myelogenous leukemia in chronic phase following imatinib resistance and intolerance Hagop M. Kantarjian1, Francis Giles1, et al. Blood, 15 November 2007, Vol. 110, No. 10, pp. 3540-3546. Maddalena Motta, Leda Leoncini Servizio di ematologiy, Istituto Oncologico della Svizzera Italiana, OSG Bellinzona In conclusione • Le caratteristiche clinico-laboratoristiche della LMC derivano dagli ef- 74 OTTOBRE 2009 TRIBUNA MEDICA TICINESE 351 SEZIONE SCIENTIFICA EFFETTI DELL’INTERVENTO PSICHIATRICO E FISIOTERAPEUTICO SUI PAZIENTI PSICHIATRICI C. Calanchini, G. Colli, P. Iametti, C. Dal Pont Menerini, A. Tarra Premessa/Scopi Questa ricerca – frutto della collaborazione tra i servizi di psichiatria e di fisioterapia dell’Ospedale Malcantonese di Castelrotto – ha per obiettivo di valutare l’influenza dell’intervento fisioterapeutico (effettuato da un’équipe con formazione specialistica in riabilitazione psichiatrica e associato ad altri interventi) in una coorte di pazienti psichiatrici. Per ragioni metodologiche e deontologiche, non è stato possibile isolare l’effetto della fisioterapia da quello di altri interventi. I risultati hanno perciò carattere solo indicativo e preliminare. Popolazione Il campione comprende 63 soggetti, 39 donne e 24uomini, di età compresa tra i 21 e i 77 anni, cui sono state diagnosticate una o più affezioni psichiatriche secondo i criteri del ICD-10: Demenza (tipo Alzheimer o non specificato): 3% Disturbi del comportamento alimentare: 3% Psicosi: 5% Disturbi di personalità (emotivamente instabile, evitante, dipendente, schizoide, narcisistico): 14% Dipendenza: 15% Disturbi ansiosi: 22% Disturbi dell’umore: 38% Metodologia Al campione studiato sono stati somministrati due questionari: A (31 domande e uno spazio per osservazioni) prima dell’inizio del trattamento; B (30 domande e uno spazio per osservazioni) pochi giorni prima della dimissione. In essi viene spiegato che si desidera ottenere informazioni sullo stato psicofisico del paziente, con particolare riferimento alle sette “aree” seguenti: Dolore (presenza, localizzazione, intensità, stabilità, rappresentazione, vissuto, tentate soluzioni per ridurlo vedi combatterlo). Tensione (idem, tranne “vissuto”). Umore (sensazioni, stato d’animo e sua stabilità nel mese precedente la compilazione dei due questionari). Emozioni (loro identificazione e loro manifestazioni). Socievolezza. Immagine di sé (descrizione del proprio aspetto e della propria personalità). Aspettative nei confronti del trattamento fisioterapeutico (questionario A) risp. sua valutazione globale (questionario B). Le domande formulate sono di 3 tipi: aperte, chiuse, a scelta multipla (in alcuni casi con indicazione del numero massimo di risposte possibili). Le informazioni così ricavate sono state valutate statisticamente con i test χ2 e il τ di Student per evidenziare le differenze significative tra i questionari A e B. Risultati Considerazioni generali Per semplicità e brevità, abbiamo scelto di riportare i risultati più importanti in forma di istogrammi. 82% del campione studiato lamentava “dolore” al momento dell’ammissione allo studio (che, in pratica, coincideva con l’ammissione nel servizio di psichiatria. Questo sintomo, globalmente, era significativamente ridotto 74 OTTOBRE 2009 al termine del trattamento (e della degenza) (figura 1). Fig. 1: Il dolore Le zone più spesso colpite comprendono il cinto scapolare e il dorso. Altre parti sono interessate, seppur meno frequentemente. La risposta al trattamento appare variabile in funzione delle parti dolenti (figura 2). Fig. 2: Zone del corpo colpite dal dolore L’intensità del dolore varia nel corso della giornata: all’inizio del trattamento è tendenzialmente maggiore la sera; a trattamento concluso, l’in- TRIBUNA MEDICA TICINESE 353 SEZIONE SCIENTIFICA tensità maggiore si rileva (tendenzialmente) il mattino. Da questo punto di vista, il momento dichiarato come di maggior benessere è la notte, seguita dal pomeriggio. Prima del trattamento, per il 67% degli intervistati il riposo (in alternativa al movimento) attenua il dolore; dopo il trattamento, ciò vale per il 54% (n.s.). Inoltre, inizialmente il movimento è vissuto come un piacere dal 33%, a trattamento concluso dal 48% (p0.05). Tra le situazioni in grado di esacerbare il dolore figurano inizialmente, in ordine di importanza decrescente, l’attività sportiva, il camminare e gli appuntamenti importanti. A fine trattamento, camminare diventa il fattore “algogeno” meno importante. Nel questionario A, 34% del campione avvertiva il dolore come costante, 66% come intermittente. Nel questionario B, il dolore costante è denunciato dal 18% del campione soltanto (figura 3). associare il dolore a un episodio particolare, oppure di non desiderare ricordare questa circostanza. I rimanenti (48%) menzionano essenzialmente tre circostanze: infortuni, attività fisica, patologie organiche. Gli intervistati fronteggiano il dolore fisico ricorrendo a due “strategie”: “risorse interne” per il 59% (praticare attività piacevoli come leggere, ascoltare musica, stare a contatto con la natura, cercare contatto e condivisione con persone amiche, riposare),”risorse esterne” per gli altri (farmaci, fisioterapia, consulto medico). Il questionario A (domande 13-18) indica che 58 soggetti (=93%) lamentano “tensione”; nel questionario B il numero scende a 30 (=47,8%) (figura 4). Fig. 4: La tensione Fig. 3: Stabilità del dolore Anche la “qualità” (“peso”, “irritante”, “tensione” “debilitante”) del dolore presenta una certa trasformazione: al termine del trattamento, “tensione” è scesa dal 25% al 9%, “debilitante” dal 25% al 13%. Oltre la metà (52%, di cui 61% donne) degli intervistati dichiara di non 354 TRIBUNA MEDICA TICINESE Inizialmente, la tensione viene avvertita (in ordine decrescente) alle spalle, in zona cervicale, in zona dorsale, alla testa e allo stomaco. A trattamento concluso, spalle e zona cervicale sono meno colpite della zone dorsale (invariata). Lo stomaco continua ad essere sede di tensione, pur venendo segnalato in misura leggermente inferiore (-7%). Nel questionario A, il 52% del cam- 74 OTTOBRE 2009 pione giudica la tensione tra “media” e “grave”; solo per 11% essa è “lieve”. Nel questionario B, 58% degli intervistati la giudica invece “media”o “lieve”. Tra le strategie applicate per fronteggiarla, le “risorse interne” prevalgono con 72% di preferenze su quelle “esterne” (28%), in altri termini il 48% ricorre ad un’autoterapia e il 34% fa ricorso ad una terapia specialistica, mentre il 28% fa capo ad entrambe le modalità terapeutiche. Secondo gli intervistati, la tensione è aumentata da (in ordine decrescente di importanza) situazioni sociali, ansia da prestazione, eventi negativi. Nel questionario A, per 5% non vi sarebbe alcuna relazione con fattori scatenanti; questa percentuale scende al 2% nel questionario B. A livello “qualitativo”, la tensione è vissuta come “blocco” (38%), “peso” (32%), rigidità (27%). Le strategie utilizzate per rilassarsi sono “risorse interne” (48%) prevalentemente “attive” (ginnastica, contatto con la natura o con animali domestici, cucire, leggere, cucinare, shopping, ecc.), “risorse esterne” (34%) prevalentemente “passive” (massaggi, reiki, pranoterapia, ecc.) o combinazione delle due (18%). Non si registrano variazioni significative tra i questionari A e B. A trattamento concluso, vengono segnalate nuove modalità di rilassamento: nuoto, “respirazione”, visualizzazone, attività fisica in genere. Nel questionario A, la rappresentazione del corpo ha, per il 74% degli intervistati, connotazione negativa, e viene resa con espressioni come “a pezzi”, “pesante”, “impacciato”, “indolenzito”, “stanco”, “teso”, ecc. Nonostante ciò, il 53% ammetteva di avere provato nell’ultimo mese (sia prima che dopo l’inizio del trattamento), sensazioni fisiche piacevoli. A trattamento concluso, la rappresen- SEZIONE SCIENTIFICA tazione del corpo è migliorata, le connotazioni positive passano dal 26% al 44% e compaiono espressioni nuove: “leggero”, “sciolto”, “piacevole”, “sano”, “agile”, “magro” (figura 5). stesso giorno nel 22%, da un giorno all’altro nel 43% dei casi. I rimanenti segnalano per la metà oscillazioni a ritmo settimanale, per la metà a dipendenza da fattori esterni, positivi o negativi, e quindi senza ritmicità. Nel questionario B l’umore è definito stabile nel 69% dei casi; le oscillazioni ancora segnalate sono a fasi più lunghe; rimane la dipendenza da fattori esterni. Fig. 5: Rappresentazione corporea La percentuale di chi ammetteva sensazioni fisiche piacevoli nel corso dell’ultimo mese saliva a 71%. primo questionario – di non manifestare le emozioni provate, bensì di cercare di nasconderle. Questa percentuale scende a 69% nel secondo questionario (figura 9). La differenza è statisticamente significativa (p0.01). Fig. 9: Emozioni Si è cercato di ottenere informazioni sulla rappresentazione di sé chiedendo agli intervistati di elencare, spontaneamente e senza lunga riflessione, quattro aggettivi. Nel questionario A, 12% dei soggetti utilizza esclusivamente aggettivi negativi, 34% esclusivamente aggettivi positivi. Il rimanente 54% combina aggettivi positivi e negativi. Questa autovalutazione rimane sostanzialmente invariata nel questionario B (figura10). Fig. 7: Umore Fig. 6: Umore La figura 7 illustra l’umore degli intervistati prima del trattamento, la figura 8 a trattamento concluso. Come si vede, se inizialmente troviamo solo connotazioni “patologiche”, alla fine compaiono anche espressioni positive e “normali”, come “contento”, “sereno” o “sollevato”. Nel questionario A, il 56% degli intervistati segnala oscillazioni dell’umore che possono avvenire nel corso dello Fig. 8: Umore All’entrata, le emozioni segnalate con maggior frequenza sono tristezza (43%), ansia (32%) e paura (22%). Alla fine della degenza esse sono ancora registrate, ma in percentuali inferiori: 28%, 24% e 12%. Emergono invece nuove emozioni non menzionate prima: rabbia (26%) e gioia (21%). 88% degli intervistati dichiara – nel 74 OTTOBRE 2009 Fig. 10: Rappresentazione di sé TRIBUNA MEDICA TICINESE 355 SEZIONE SCIENTIFICA L’”area” della socializzazione è stata esplorata con domande a proposito 1) dei vissuti al momento dell’incontro con una persona sconosciuta, 2) della relazione con un gruppo di persone conosciute e 3) dell’interazione con un gruppo di sconosciuti. Per quanto riguarda 1), in base al questionario A gli intervistati si dividono in due gruppi: il primo (54%) dichiara di provare disagio ma di sforzarsi di entrare in contatto con la “persona nuova”; il secondo (46%) si dice invece a proprio agio e ben disposto al contatto. Nel questionario B, questa posizione sale al 59%, una tendenza che però non è statisticamente significativa. Nel questionario A, il vissuto a confronto con un gruppo conosciuto è descritto come “tranquillo (47%), “contento” (29%), “ansioso” (18%); il 4% segnala sentimenti di diffidenza. Il questionario B non evidenzia mutamenti rilevanti. Il confronto con un gruppo sconosciuto, invece, è inizialmente fonte di ansia (44%), nervosismo e agitazione (32%) e diffidenza (15%). 5% si dichiara tranquillo, percentuali inferiori (1-3%) triste, contento, indifferente e altro. Nel questionario B si registra una tendenza alla riduzione per ansia (35%), nervosismo e agitazione (28%) e diffidenza (10%). Il vissuto di “tranquillità” passa al 9%. Queste differenze non sono statisticamente significative. 13% si dice “contento”, il rimanente 5% (“altro”) segnala vissuti di curiosità, disponibilità, ecc. Le aspettative rispetto al trattamento fisioterapico sono di quattro tipi: 1) effetto a livello mentale (“serenità”, “tranquillità”) – 4% 2) effetto sintomatico (“camminare diritto”,“guarire dal male al ginocchio”, ecc.) – 19% 3) effetto combinato (“stare meglio col corpo e con la mente”, “riequilibrio psico-fisico”) – 31% 4) effetto non specificato (espressioni 356 TRIBUNA MEDICA TICINESE generiche come “star bene”, “migliorare”, “modellare il mio essere”) – 56% Nel fisioterapista, gli intervistati sperano di trovare qualità personali come “gentilezza”, “simpatia”, “discrezione” (30%), professionali (competenza e professionalità – 29%) o entrambe: il 39% si aspetta un terapista “bravo e simpatico”, “professionale ma anche gentile”(figura 11). ecc.), le qualità personali sono sottolineate dal 19%, quelle professionali dal 9%. Fig. 12: Valutazione globale Fig. 11: Aspettative La valutazione globale dell’intervento fisioterapico è positiva nel 91% dei casi. Ricorrono espressioni come “buono”, “ottimo”, “sono contento della fisioterapia”, “gli esercizi respiratori mi aiutano molto”, “fanno bene il loro lavoro”, “positivo per tutto”. I giudizi negativi sono legati a risultati insoddisfacenti: “mi sento come prima”, “il mio mal di schiena è ancora uguale”, “non ho sentito un gran cambiamento”. A proposito delle caratteristiche del fisioterapista, la combinazione di qualità professionali e umane è apprezzata dal 72% degli intervistati (“professionali e gentili”, “competente e brava persona”, “simpatica, ma anche brava nel suo lavoro”, “disponibilità, professionalità, ascolto e gentilezza”, “accoglienti, gentili e professionali”, 74 OTTOBRE 2009 Fig. 13: Valutazione dettagliata Discussione I limiti di questo lavoro sono facilmente identificabili: abbiamo preso in considerazione una coorte eterogenea per sesso, età e patologia; essa è stata oggetto di approcci terapeutici integrati e personalizzati, praticati da operatori che si distinguono per modalità di lavoro assai diversifi- SEZIONE SCIENTIFICA cate. Le terapie farmacologiche somministrate non sono state standardizzate e hanno risentito delle esperienze e (conseguenti) preferenze dei medici prescrittori; se è vero che ogni “intervistato”, nel corso della degenza, è stato oggetto anche di interventi psicoterapici, è altrettanto vero che questi spaziano dal semplice “sostegno” – nel colloquio medico, ma anche in quello con il personale infermieristico – all’intervento cognitivo, dall’incontro famigliare al colloquio a orientamento psicoanalitico, ecc. L’intervento psichiatrico-psicoterapeutico integrato deve in ogni caso tenere conto delle caratteristiche e delle possibilità (rispettivamente dei limiti) del paziente, in modo da – idealmente – massimizzare i benefici minimizzando i costi, in termini di durata della degenza, assenza dal posto di lavoro, oneri gravanti sulla famiglia e così via. È risaputo che la malattia psichica è, contemporaneamente, sofferenza somatica. Dolore e depressione, per fare un esempio ovvio, sono molto spesso associati, e ogni medico di famiglia sa quanto il contesto relazionale ed emotivo in cui il paziente vive influisca sulla qualità e sulla quantità/gravità dei sintomi. Il corpo è, in molti casi, lo schermo su cui i disagi intrapsichici e interpersonali si proiettano, perdendo (almeno in parte) il contatto con le cause originarie e assumendo così quegli aspetti “misteriosi” che – in una medicina sempre più tecnologica come la nostra – spesso portano il paziente a sottoporsi a una lunga serie di esami diagnostici, con il rischio (che non risparmia noi medici) di “fissarsi” sul referto organico, sia su quello effettivamente trovato (talvolta un valore biochimico occasionalmente un po’ alterato diventa il focus dell’attenzione del paziente – e un metodo per “non guardare oltre”) sia su quello che “per ora” non è stato trovato, ma che la prossima indagine ultratec- nologica sicuramente non mancherà di scoprire... Il nostro “studio osservazionale”, a confronto con gli attuali standard di ricerca, è, riconosciamolo, rudimentale. La “tecnologia” utilizzata è stata essenzialmente la valutazione clinica, in base alla quale è stata formulata l’indicazione a una strategia terapeutica che ha compreso anche la fisioterapia. Per isolare l’effetto specifico di quest’ultima, sarebbe stato necessario contrapporre al gruppo esaminato un secondo gruppo, randomizzato, trattato con le stesse modalità ma senza intervento fisioterapico. A nostro avviso, ciò non sarebbe eticamente proponibile. L’orientamento integrato, psicosomatico, che prevale nella nostra attività ritiene che in una larga maggioranza della casistica l’intervento sul corpo sia utile, se non indispensabile e che privarne un gruppo di pazienti a scopo “di ricerca” sia incompatibile con il mandato terapeutico di un istituto come l’Ospedale Malcantonese. Date queste premesse, è chiaro che i risultati ottenuti nell’elaborazione dei questionari non possono avere che un valore indicativo. Il risultato più evidente è il vasto apprezzamento che l’intervento fisioterapico ha ottenuto. Ciò non poteva essere dato per scontato; non sono pochi infatti i pazienti che (ancora) ritengono mente e corpo, psiche e soma, entità indipendenti (la difficile eredità cartesiana…). E a questo riguardo, un altro risultato interessante e forse sorprendente è la “cattiva” rappresentazione iniziale del corpo contrapposta alla relativamente “buona” rappresentazione di sé. La spiegazione di questa discrepanza è sicuramente troppo difficile e complessa per essere tentata in questa sede. L’esperienza psichiatrico-psicoterapeutica ci porta a credere che tra i fattori che ne sono all’origine, un ruolo importante sia quello della “lettura delle emozioni”, che – come si è 74 OTTOBRE 2009 visto – inizialmente è per molti intervistati più difficile che a trattamento ultimato. Distinguere i propri vissuti, le proprie emozioni, è tutt’altro che facile, e per farlo occorre disporre dei concetti e del vocabolario adeguati, oltre che di una capacità di “autoascolto”. Una forma di pensiero concreta (frequente), limiti intellettivi (più rari) e culturali (legati a scolarità, a paese e cultura d’origine, ecc.) costituiscono spesso un ostacolo insormontabile. A trattamento ultimato, la rabbia riveste un’importanza nuova; essa è però, tradizionalmente (soprattutto nella visione stoica, che ha esercitato per secoli un influsso potente sulla cultura occidentale) un’emozione negativa. Reprimerla è “virtuoso” (oltre che, in molti casi, necessario per evitare guai maggiori…), ma farlo induce tensione (anche muscolare) e questa, a sua volta, dolore. Non stupisce troppo, in quest’ottica, che le parti più dolenti siano la muscolatura del cinto scapolare e della zona cervicale e dorsale, parti che verrebbero subito mobilitate (nel vero senso della parola, in opposizione alla rigidità che invece – nella tensione e nel dolore – le caratterizza) se si passasse a un’azione aggressiva. Isolare le emozioni “negative” salvaguarda l’immagine di sé, a scapito del corpo. Comprenderne la funzione nel contesto biografico del paziente, dar loro il senso e l’espressione adeguati (espressione che ne legittimi o neutralizzi, senza disconoscerlo, il senso e che non peggiori le cose, p.e. esacerbando conflitti – eteroaggressività – o sensi di colpa – autoaggressività) contribuisce a migliorare la comprensione di sé, l’autostima, l’umore; la gestione di un’emozione fondamentale (su questo concordano i filosofi antichi e le teorie psicologiche contemporanee) come la rabbia non può che influire positivamente su aspetti delle relazioni interpersonali, come socievolezza e diffidenza. TRIBUNA MEDICA TICINESE 357 SEZIONE SCIENTIFICA Conclusione Tanto l’esperienza comune quanto quella clinica insegnano che la vita emotiva, conscia e inconscia, esercita un influsso continuo e importante sullo stato corporeo, in un’interazione che può essere sia positiva che – come nel nostro campione – negativa. L’intervento fisioterapico si dimostra un pilastro del trattamento integrato, favorendo la “lettura” del sintomo nella sua relazione con l’emotività e dissociandolo da reazioni o interpretazioni automatiche che non fanno altro che perpetuarlo. Il paziente acquista maggiore competenza e autonomia nella gestione della propria sofferenza. Associato agli altri interventi terapeutici, la “fisioterapia in psichiatria” contribuisce a migliorare l’autonomia globale del malato. Nel suo ambito (come d’altronde in ogni relazione terapeutica) la figura umana e professionale dell’operatore riveste un’importanza centrale. Dr. Carlo Calanchini, Gabriella Colli, Paola Iametti, Cristina Dal Pont Menerini, Andrea Tarra1 1Dr. Carlo Calanchini, Psichiatra e Psicoterapeuta FMH; Gabriella Colli, Fisioterapeuta e arteterapeuta, specializzazione in “Fisioterapia in psichiatria”; Paola Iametti, Psicologa e Psicoterapeuta in formazione; Cristina Dal Pont Menerini, Fisioterapeuta, specializzazione in “Fisioterapia in Psichiatria”; Andrea Tarra, Fisioterapeuta, specializzazione in “Fisioterapia in psichiatria”. 358 TRIBUNA MEDICA TICINESE 74 OTTOBRE 2009 SEZIONE SCIENTIFICA IL MEDICO DI FAMIGLIA E IL DONO D’ORGANI S. Martinoli, C. Foletti, G. Lepori Carenza di organi I donatori cadaverici sono per lo più da pazienti deceduti nell’ottantina di reparti di cure intensive degli ospedali svizzeri. Causa principale di morte sono le emorragie cerebrali spontanee, seguite a ruota dai gravi traumi craniocerebrali. La diagnosi di morte cerebrale che precede la domanda degli organi è una procedura delicata e affidabile, prescritta dalla legge sui trapianti del 2004 (entrata in funzione solo nel 2007 con le direttive di applicazione). Con essa la diagnosi di morte è addirittura più sicura, validata e documentata che nei casi di morte cosiddetta naturale. Da anni i donatori cadaverici nella Svizzera si aggirano tra gli 80 e i 100 all’anno (grafico 1), un tasso di dono non particolarmente brillante se valutato nel contesto europeo: siamo infatti all’ultimo posto! La Spagna è al primo posto, con un tasso triplo di quello svizzero. Anche l’Italia del Nord ha dei tassi di dono doppi rispetto ai nostri. Unica eccezione in Svizzera è la generosità dei ticinesi, con dei tassi di dono mediamente paragonabili a quelli spagnoli. Nella statistica di Swisstransplant del 2008 (tabella 1), gli ospedali di Lugano e di Locarno hanno procurato ben 13 donatori sui 90 dell’anno. Grafico 1: Doni cadaverici e doni da donatore vivente in Svizzera (statistica da Swisstransplant). PMP=pro million population Il numero di organi procurati dai donatori cadaverici è ben lungi dal soddisfare la domanda di organi: come si vede nella tabella 2, alla fine del 2008 942 persone aspettavano un organo, mentre 460 l’avevano ricevuto. 62 pazienti sono morti nel 2008 senza riceverne uno in tempo… Tab. 1: Provenienza degli organi cadaverici nel 2008. Su 90 donatori cadaverici in Svizzera,13 provenivano da ospedali del Ticino (Locarno e Lugano) 74 OTTOBRE 2009 TRIBUNA MEDICA TICINESE 359 SEZIONE SCIENTIFICA Club Amici di Swisstransplant. Il lavoro di informazione del pubblico e la buona preparazione delle cure intense degli ospedali ticinesi sono la chiave del successo del dono d’organi nel Ticino. Lo studio medico, con la sua presenza capillare sul territorio e il rapporto di fiducia tra medico e pazienti, potrebbe essere tra i luoghi adatti per un contributo alla sensibilizzazione dei potenziali donatori. La forma più semplice è la richiesta di materiale informativo e tessere di donatori a Swisstransplant, da esporre in sala d’aspetto. Che cosa deve sapere il medico? Qui di seguito le domande più frequenti poste dai pazienti. Tab. 2: Alla fine del 2008 erano 942 le persone in attesa di un organo, contro 460 che ne avevano ricevuto uno. 62 persone sono morte in lista d’attesa. Questa mancanza di organi ha fatto sì che i donatori viventi si fanno di anno in anno più numerosi (grafico 1). Solo un rene e parti del fegato possono essere trapiantati a partire da donatori viventi. Il dono del rene da vivo non ha praticamente mortalità per il donatore, lo si esegue spesso con tecnica mini-invasiva, mentre il dono di metà del fegato ha per il donatore vivente un rischio di morte attorno all’1%. Tutta la precedura (schiarimenti preoperatori, inclusi gli accertamenti psicosociali; controlli post-espianto e follow-up a vita, fino agli aspetti giuridico-assicurativi) è regolamentata in dettaglio dalle direttive della Accademia svizzera delle scienze mediche del maggio 2008. Si può fare meglio? È difficile stimare quanti sarebbero i donatori cadaverici in un anno in Svizzera se si avesse sempre il consenso del paziente o dei suoi famigliari per l’espianto e se le cure intense e le zone dell’area critica degli ospedali svizzeri procedessero diligentemente all’identificazione di potenziali donatori 360 TRIBUNA MEDICA TICINESE cadaverici e al loro annuncio a Swisstransplant. Ce ne sarebbero probabilmente il doppio. Una ricerca dell’USI (facoltà di comunicazione, Prof Schulz) si propone di fare luce su questo aspetto. Il miglioramento del tasso di dono di organi cadaverici poggia su due cardini. Da una parte è importante che nelle cure intense degli ospedali ci sia la volontà di identificare potenziali donatori e di porre la domanda per un eventuale dono ai famigliari (che cosa voleva il paziente? aveva una tessera di donatore? si era espresso da vivo?). Se c’è il consenso, bisogna sapere come procedere ad organizzare l’espianto, una procedura complessa e richiedente ottima formazione del personale medico e paramedico nonché una organizzazione logistica e strumentale della sala d’operazione. Il secondo requisito fondamentale per un buon tasso di dono è l’informazione pubblica che deve essere continua. In Ticino viene veicolata con diligenza dai media nonché dalle associazioni come l’ATPIR (Associazione Ticinese Pazienti in Insufficienza Renale) e il 74 OTTOBRE 2009 D: Dottore, vorrei donare gli organi se muoio. Come faccio? R: Lo dica ai suoi famigliari e se vuole (ma non è indispensabile), le posso procurare una tessera di donatore (si può ottenere in farmacia oppure direttamente da Swisstransplant: www.swisstransplant.org). Nella maggior parte dei casi la tessera non si trova sui pazienti deceduti: la portano solo circa il 10% degli svizzeri. Ma i famigliari si possono sempre contattare in breve tempo per avere informazioni sulla disponibilità al dono d’organi. D: Ma la tessera poi richiede che io sia annunciato o schedato su un computer, su una lista. Se poi cambio idea? R: Non c’è nessuna schedatura, nessuna lista centrale a cui annunciarsi. Il porto della tessera è un affare personale e facoltativo. La tessera si può gettare in qualsiasi momento e ai famigliari si può sempre comunicare di aver cambiato idea. D: Io però non vorrei dare il cuore né gli occhi. Come faccio? R: Sulla tessera di donatore si può scrivere se si vogliono escludere degli organi dalla donazione. SEZIONE SCIENTIFICA D: Ma come mai se in Svizzera ci sono circa 60’000 morti all’anno, i donatori sono soltanto una novantina? R: la maggior parte dei decessi non danno adito all’espianto poiché avvengono in maniera naturale e nella morte naturale (per motivi di tempo) gli organi che si potrebbero espiantare si “guastano”... Solo in certe condizioni, quando la morte avviene all’improvviso, in un ospedale o vicino ad esso si può mantenere la circolazione degli organi anche se il cervello è morto. funzioni cerebrali, inclusa quella di pilotare la respirazione. Quando si è morti cerebralmente, se si spegnesse l’apparecchio che ci fa respirare artificialmente, dopo qualche minuto si fermerebbe anche il cuore. Proprio questo è il test fondamentale che fanno gli specialisti sull’eventuale donatore per vedere se è morto: spengono per qualche minuto la macchina che fa respirare. Se vedono che la respirazione non riprende spontaneamente, allora è segno che il cervello è morto definitivamente e tutte le sue funzioni sono spente. D: Se mi prendono gli organi e non sono ancora morto? R: La morte del cervello è una cosa ben diversa dal coma profondo o dallo stato vegetativo: è definitiva come quando si arresta il cuore. Viene certificata dopo esami che provano senza margini di dubbio la perdita completa delle D: Ma c’è il pericolo che i miei organi vengano venduti? R: Ci sono paesi dove si vendono e comprano organi, ma non nell’Europa che conosciamo e tanto meno in Svizzera, dove la legge lo proibisce e lo punirebbe pesantemente. Il dono è gratuito. I punti chiave In Europa, la Svizzera è il fanalino di coda quanto al tasso di dono d’organi cadaverici Negli ultimi dieci anni, a fronte di una “domanda” di organi da trapiantare in costante aumento (lista d’attesa sempre più numerosa), l’”offerta” (numero di organi trapiantati da donatore cadaverico) è stagnante. Malgrado un aumento dei trapianti di rene e fegato da donatore vivente, il numero di decessi di pazienti in attesa di trapianto non cessa di crescerere Parlate ai vostri pazienti, specialmente ai giovani e ai meno “ammalati”, del dono d’organi! Distribuite in studio il materiale informativo e le tessere di donatore di Swisstransplant Se muori non portare in cielo i tuoi organi, ma lasciali sulla terra. Qualcuno potrebbe averne bisogno… Sebastiano Martinoli, FMH chirurgia, Via Moncucco 7, 6900 Lugano Claudio Foletti FMH medicina generale, Via S. Gottardo, 6900 Lugano Giuseppe Lepori, FMH medicina interna, Via Pioda, 6900 Lugano Per una statistica completa si consulti il sito www.swisstransplant.org 74 OTTOBRE 2009 TRIBUNA MEDICA TICINESE 361 SEZIONE SCIENTIFICA - Approfondimento di un caso clinico LINFONODO SENTINELLA NEL MELANOMA. QUANDO E PERCHÈ S. Leoni Parvex Fig. 1: Il protocollo per l’analisi del linfonodo sentinella prevede l’allestimento di numerose sezioni istologiche per permettere l’identificazione di micrometastasi Presentazione del caso Una donna di 49 anni consulta il proprio medico per la comparsa da circa un anno di una lesione pigmentata al braccio destro in lenta crescita, pruriginosa e da alcune settimane sanguinolenta a seguito di erosione che non mostra tendenza a guarigione spontanea. L’esame obiettivo rileva lesione discromica a margini policiclici lievemente papulosa sospetta per melanoma. Si procede ad exeresi chirurgica ed esame istopatologico che evidenzia un melanoma cutaneo a diffusione superficiale con spessore tumorale secondo Breslow di 0,95 mm e livello di infiltrazione Clark III. La lesione presenta ulcera con crosta fibrinosa, fino a 2 figure mitotiche per mm2, e aspetti di crescita verticale. Sono assenti infiltrati linfocitici intratumorali, segni di regressione, angioinvasione e neurotropismo. I margini di exeresi distano 1 mm dal tessuto neoplastico. Si propone l’asportazione del linfonodo sentinella ma la paziente richiede informazioni dettagliate sul significato di questa procedura prima di dare il proprio consenso. Discussione Il melanoma è una neoplasia altamente aggressiva e poco sensibile al- la chemioterapia, per la quale l’unico trattamento efficace, unicamente negli stadi precoci, rimane la chirurgia. In fase metastatica l’arsenale terapeutico è impotente. Per ridurre il rischio di disseminazione, in passato veniva praticata, in melanomi ritenuti ad alto rischio di progressione, la linfadenectomia locoregionale profilattica. Trattandosi tuttavia di un intervento invasivo, spesso complicato da linfedema, esso è stato sostituito negli anni ’90 dall’asportazione del linfonodo sentinella (LS). Nel melanoma di spessore intermedio (1-4 mm) lo stato del LS costituisce l’indicatore prognostico indipendente più importante, in termini di sopravvivenza. In effetti per pazienti con LS indenne la sopravvivenza globale a 5 anni è del 90% contro 72% Fig. 2: in caso di LS metastatico. Inoltre vi è un’associazione significativa tra LS positivo e metastasi in transito (20% di probabilità contro 5% per LS negativi). Oltre al valore prognostico riconosciuto, risultati preliminari dello studio multicentrico MSTL-I1,2 sembrano mostrare un aumento della sopravvivenza libera da malattia a 5 anni nei pazienti che hanno beneficiato della linfadenectomia complementare per LS positivo, rispetto ai pazienti che sono stati controllati regolarmente senza asportazione del LS ed hanno avuto la linfadenectomia solo al momento di una recidiva linfonodale (78% contro 73%). Non si sono per contro osservate per il momento differenze significative nella sopravvivenza globale per i due gruppi. La biopsia del LS ha anche una rilevanza terapeutica in quanto in alcuni centri un LS metastatico rappresenta un’indicazione al trattamento adiuvante con Interferone alfa peghilato3. La probabilità di metastasi nel LS è proporzionale allo spessore tumorale (Breslow). Per un Breslow inferiore a 0.76 mm la probabilità è praticamente nulla; da 0,76 a 1 mm essa è dell’8%; da 1 a 2 mm del 15%; da 2 a 4 mm essa sale al 30% e per melanomi con spessore più di 4 mm la probabilità di LS metastatico è del 40%. Gli altri parametri istologici predittivi di LS metastatico sono la Micrometastasi linfonodale di melanoma visibile con colorazione con eosina ed ematossilinia e con analisi di immunoistochimica (HMB45) 74 OTTOBRE 2009 TRIBUNA MEDICA TICINESE 363 SEZIONE SCIENTIFICA - Approfondimento di un caso clinico presenza di un’ulcera e un elevato indice mitotico. Alcuni studi rilevano anche un possibile ruolo della sede del melanoma, con un rischio maggiore per il melanoma del tronco rispetto agli arti. Le indicazioni all’asportazione del LS sono uno spessore secondo Breslow di perlomeno 1 mm o uno stadio Clark di perlomeno IV. Vi sono indizi attualmente per estendere l’indicazione anche a melanomi ulcerati. Per melanomi di spessore maggiore a 4 mm le opinioni sono discordanti, tuttavia un recente studio4 non ha mostrato un aumento della sopravvivenza globale dopo asportazione del LS per questo sottogruppo nel quale il rischio di metastasi a distanza è comunque elevato; la maggior parte dei centri non pratica quindi il LS per melanomi di spessore maggiore a 4 mm. Nel melanoma desmoplastico puro, l’asportazione del LS è controindicata in quanto questo tipo istologico molto raramente dà metastasi linfatiche. La presenza di regressione tumorale non costituisce più un’indicazione al LS5. Il LS viene identificato mediante iniezione in sede peritumorale, di un colorante blu che diffonde rapidamente lungo le vie linfatiche, accumulandosi nel primo linfonodo di drenaggio e colorandolo di blu intenso. Al fine di aumentare la sensibilità della tecnica, viene inoltre associato un tracciante radioattivo, rilevato in preoperatorio tramite linfoscintigrafia e in seguito intraoperatoriamente tramite radiosonda. Nel 65% dei casi viene identificato un unico LS, nel 25% se ne trovano due e nel 10%, tre o più. Si tratta di una procedura poco invasiva, con un tasso di complicazioni minori del 5%, quali ematoma o seroma locale, infezione della ferita, linfedema (1%) o reazione allergica al colorante vitale (1%). L’ipotesi avanzata di un aumento delle metastasi in 364 TRIBUNA MEDICA TICINESE transito su ostruzione linfatica dopo ablazione del LS è stata contraddetta da vari studi6,7. In laboratorio la tecnica standard è la bisezione in senso longitudinale attraverso l’ilo con inclusione separata delle due metà. Da queste vengono praticate sezioni seriate e ogni livello viene colorato con ematossilina eosina e con marcatori immunoistochimici per la ricerca di micrometastasi e cellule isolate non visibili in colorazione standard. Per l’analisi istopatologia non sono ancora state emesse delle direttive standard ed ogni gruppo segue un proprio protocollo. Il protocollo EORTC8 prevede 5 sezioni seriate ad una distanza di 50 um e ad ogni livello colorazione standard con ematossilina eosina e analisi immunoistochimiche con S100, con l’aggiunta di HMB45 al secondo livello. Altri protocolli prevedono un intervallo più grande (250um) e un numero maggiore di livelli fino ad esaurimento del materiale (protocollo in uso all’ICP). L’esame estemporaneo del LS, praticato in alcuni centri, è sconsigliabile poiché diminuisce notevolmente la sensibilità della tecnica (perdita di materiale e morfologia mediocre su sezioni congelate). Nella maggioranza dei casi la metastasi nel LS si presenta sottoforma di un gruppetto di cellule o in cellule singole, mentre una massa voluminosa è un evento piuttosto raro. A differenza di quanto avviene per il carcinoma mammario, nella stadiazione TNM del melanoma, allo stato attuale, non viene fatta distinzione tra micrometastasi e cellule tumorali isolate (corrispondono entrambe a uno stadio pN1a) e la maggior parte dei centri pratica la linfadenectomia complementare anche in caso di una singola cellula metastatica. È da notare tuttavia che solo 20% dei pazienti con LS positivo mostrano in seguito meta- 74 OTTOBRE 2009 stasi nello svuotamento complementare. Se ne deduce che nell’80% dei pazienti vi è probabilmente un sovratrattamento proponendo la linfadenctomia radicale. In questo senso un vasto studio multicentrico (MSTLII, ref 12) sta valutando quale è il diametro limite della metastasi nel LS sotto il quale si potrebbe rinunciare alla linfadenectomia radicale. La biopsia del LS nel melanoma soffre purtroppo di un elevato tasso di risultati falsamente negativi, cioè di pazienti con LS negativo che sviluppano in seguito una recidiva nei linfonodi loco-regionali, variabile da 8% a 13% a seconda degli studi (e maggiore a quello del carcinoma del seno). Le cause sono legate sia ai limiti della tecnica istopatologia che a quelli della procedura chirurgica-isotopica. In istologia la causa principale di risultato falso negativo è da imputare al campionamento incompleto del linfonodo9, in effetti non è tecnicamente ed economicamente giustificabile un campionamento integrale, per cui la proporzione di tessuto linfonodale analizzato rimane relativamente bassa. Per quanto attiene alla tecnica chirurgico-isotopica, le cause sono da imputare principalmente al fatto che il drenaggio linfatico della cute è sottoposto a grandi variazioni anatomiche che rendono difficile l’identificazione del LS; ad esempio in melanomi del tronco oltre alle classiche sedi ascellare e cervicale, il LS può risiedere nelle stazioni para-aortica, retro peritoneale, mammaria interna o in zona intercostale. Per melanomi della testa e del collo uno studio ha mostrato che nel 30% dei casi non erano stati prelevati tutti i LS. I LS falsamente positivi sono da imputare unicamente all’analisi istopatologica. Uno dei problemi più frequenti è la presenza di cellule neviche, riscontrata nel 15% circa dei LS, che possono erroneamente venire in- SEZIONE SCIENTIFICA - Approfondimento di un caso clinico terpretate come cellule di melanoma. La distinzione tra cellule neviche e cellule di melanoma si basa in primo luogo sulla loro topografia (cellule neviche risiedono tipicamente nella capsula e nei setti fibrosi e non nei seni marginali), inoltre essa ripone sulla loro morfologia (assenza di pigmento, di atipie e di mitosi), sullo studio comparativo con il tumore primario (che mostra stessa morfologia) ed infine sull’analisi immunoistochimica. Sviluppi futuri riguardano le indicazioni della linfadenectomia radicale per LS positivo. In effetti un recente studio multicentrico11 ha mostrato che micrometastasi nel LS di diametro inferiore a 0,1 mm sono associate a metastasi nella linfadenectomia radicale solo nel 3% dei casi con una soppravvivenza globale del 91%, vale a dire uguale a quella di pazienti con LS negativo10,11. Quindi in questi pazienti si potrebbe rinunciare allo svuotamento linfonodale complementare (vedi anche primo braccio dello studio MSTL-II, citato sopra). Sviluppi sono in corso anche riguardo il mapping molecolare tramite RTPCR (reverse transcriptase polymerase chain reaction) che permette di amplificare transcritti (m-RNA) di geni che codificano per antigeni melanocitici quali Tirosinasi o MART-1. Combinata all’analisi istologica, questa tecnica potrebbe aumentare la sensibilità di identificazione delle micrometastasi. Per il momento essa è ancora in fase sperimentale a causa della mancanza di specificità (elevato numero di falsi positivi dovuto a cellule neviche intranodali e fasci nervosi), nonché della necessità di tessuto fresco o congelato e dei costi ancora molto elevati. Un notevole passo avanti verso l’introduzione nella routine del mapping molecolare sarà la possibilità di utilizzare linfonodi sentinella inclusi in paraffina nonché l’introduzione di “multimarkers” cioè di cocktails di marcatori che permettano di aumentarne la specificità. In questo senso va il secondo braccio dello studio MSTLII12 che si propone di valutare la probabilità di recidiva in pazienti con LS negativo all’esame istopatologico ma positivo in analisi di biologia molecolare; risultati preliminari sembrano mostrare una prognosi simile a quella di pazienti con LS positivo. Un altro campo della ricerca sul LS è lo studio del microambiente immunologico presente nel LS. Le cellule di melanoma sembrano indurre un’immunosoppressione coinvolgente varie citochine, che si traduce in una diminuzione del numero di cellule presentanti l’antigene nel LS. Quest’ultima faciliterebbe la disseminazione neoplastica negli altri linfonodi e poi nel circolo ematico. Conclusioni In conclusione, quella del LS è una metodica poco invasiva di stadiazione del melanoma. Benché non esistano ancora delle linee guida internazionali riguardo le indicazioni ed il protocollo, essa è considerata attualmente come uno standard nell’approccio prognostico/terapeutico del melanoma. Nella paziente in discussione viene proposta l’asportazione del LS anche se lo spessore di Breslow è inferiore a 1 mm perché la neoplasia primitiva è caratterizzata da fattori di rischio per progressione quali ulcera cutanea e presenza di figure mitotiche. L’esame anatomo-patologico del LS non rileva metastasi. A fronte di una situazione prognostica favorevole è quindi possibile tranquillizzare la paziente, diminuire la frequenza di controlli clinici e quindi allentare la tensione inevitabilmente associata ad una diagnosi di neoplasia maligna. In caso di metastasi invece si sarebbe potuto procedere ad una linfadenectomia loco-regionale a beneficio della sopravviven- 74 OTTOBRE 2009 za priva di malattia e probabilmente, in base a risultati preliminari, anche della sopravvivenza globale. Sandra Leoni Parvex Istituto cantonale di patologia, Locarno Bibliografia 1 Morton D, Cochran A. Sentinel node biopsy for early-stage melanoma; accuracy and morbidity in MSLT-I, an international multicentric trial. Ann Surg 2005;242 (3): 302 2 Morton D, Thompson. Sentinel node biopsy or nodal observation in melanoma. N Engl J Med 2006;355:1307. 3 Eggermont AM et al. Adjuvant therapy with pegylated interferon alfa-2b versus observation alone in resected stage III melanoma: final results of EORTC 18991, a randomised phase III trial. Lancet 2008 ;372 :117-26. 4 Nowecki ZI et al. The survival benefit to patients with positive sentinel node melanoma after completion lymph node dissection may be limited to the subgroup with a primary lesion Breslow thickness greater than 1.0 and less or equal to 4 mm. Ann Surg Oncol 2008;(15): 2223. 5 Morris KT, Busam JK. Primary cutaneous melanoma with regression does not require a lower threshold for sentinel lymph node biopsy. Ann Surg Oncol. 2008;15(1):316 . 6 Kang JC et al. Sentinel lymphadenectomy does not increase the incidence of in-transit metastases in primary melanoma. J Clin Oncol 2005;23:4764. 7 Pawlik TM et al. The risk of in-transit metastases depends on tumor biology and not on the surgical approach to regional lymph nodes. J Clin Oncol 2005;23:4588. 8 Cook et al. The development of optimal pathological assessment of sentinel lymph nodes for melanoma. J Pathol 2003;200(3): 314. 9 Ling-Xi L, Thompson FJ. Pathologic review of negative sentinel nodes in melanoma patients with regional recurrence. Am J Surg Pathol 2003; 27:1197. TRIBUNA MEDICA TICINESE 365 SEZIONE SCIENTIFICA - Approfondimento di un caso clinico 10 Van Akkooi AC et al. Sentinel node tumor burden according to Rotterdam Criteria is the most important prognostic factor for survival in melanoma patients: a multicentric study in 388 patients with positive sentinel lymph nodes. Ann Surg 2008;248(6):949. 11 Van Akkoi AC et al. High positive sentinel node identification rate by EORTC melanoma group protocol. Prognostic indicators of metastatic patterns after sentinel node biopsy in melanoma. Eur J Cancer 2006 Feb; 42(3). 372-80. 12 Morton et al. Multicentric Selective Lymphadenectomy Trial II (MSLT-II). A randomized multicentric trial on 4500 patients started in 2004 from the JWCI. 13 Cochran AJ. Optimized Assessment of Sentinel Lymph Nodes for Metastatic Melanoma: Implications for Regional Surgery and Overall Treatment Planning. Annals of Surgical Oncology 2004;11:156S-161. 14 Faries et al. Surgery and sentinel lymph node biopsy. Semin Oncol 2007; 34:498. 15 Jenny Bryan. Reports from the 5th Biennal International Sentinel Node Society meeting Rome, 1-4 nov. 2006. 366 TRIBUNA MEDICA TICINESE 74 OTTOBRE 2009 SEZIONE SCIENTIFICA - Il caso clinico in 1000 parole Ipotesi cliniche COINVOLGIMENTO CARDIOVASCOLARE NELLA SCLEROSI SISTEMICA: UN CASO DI ANEURISMA DEL SETTO INTERARIALE ASSOCIATO AD ANEURISMA CEREBRALE M. Oberson, M.C. Arigoni, S. Chevili Caso clinico In letteratura vi è un crescente numero di riferimenti con casi di sclerosi sistemica che coinvolgono il sistema cardiovascolare. Viene qui di seguito descritto, un caso clinico di una paziente 56enne che presenta un aneurisma del setto interatriale associato ad un aneurisma cerebrale, ricoverata per un’aumentata dismotilità esofagea; la paziente presenta caratteristicamente una sclerodermia diffusa con indurimento cutaneo di tutte le estremità oltre ad una pronunciata sindrome di Raynaud. Ad un’ecocardiografia transtoracica, viene messa in luce una cardiomiopatia ipertrofica1 associata ad un aneurisma del setto interatriale (ASI) senza evidenza di shunt all’indagine color-Doppler. L’ASI protrude chiaramente in direzione dell’atrio destro con un’oscillazione massima in questa direzione di 10-12 mm (figura A). Un iniziale quadro di ipertensione polmonare a 45 mmHg viene pure messo in evidenza, nonostante la paziente venga trattata con Bosentan già da due anni per una forma severa di sindrome di Raynaud (figura B). La concentrazione di BNP è moderatamente aumentata (274 ng/L) indicando quindi un sovraccarico del ventricolo destro e/o sinistro. Fig. A: Ecocardiografia transtoracica con aneurisma del setto interatriale (ASI) che protrude nell’atrio destro (frecce) senza evidenza di shunt all’indagine color-Doppler. L’oscillazione massima dell’ASI è misurata a 10-12 mm. / AS: atrio sinistro / AD: atrio destro Fig. B: La manifestazione clinica della sclerosi sistemica alle estremità include la sindrome di Raynaud. La malattia presenta spesso una rapida progressione, e come in questo caso, l’amputazione rimane l’opzione terapeutica finale. 74 OTTOBRE 2009 TRIBUNA MEDICA TICINESE 367 SEZIONE SCIENTIFICA - Il caso clinico in 1000 parole Come reperto occasionale, viene portato alla luce durante una risonanza magnetica eseguita per delle cefalee aspecifiche, un aneurisma cerebrale delle dimensioni di 10x6 mm, ciò che potrebbe confermare un possibile meccanismo fisiopatologico comune nella sclerosi sistemica che porterebbe più facilmente alla formazione di aneurismi2. Conclusioni A nostra conoscenza, non vi sono al momento attuale altri riferimenti in letteratura che descrivano nella sclerosi sistemica un aneurisma del setto interatriale associato ad un aneurisma cerebrale. La sclerosi sistemica è una malattia infiltrativa sistemica che comunemente coinvolge il sistema cardiovascolare; questo caso viene presentato per sottolineare un possibile legame fisiopatologico tra la sclerosi sistemica e la formazione di aneurismi a livello cardiovascolare. Come descritto da alcuni autori3, il meccanismo sottogiacente sembrerebbe essere riconducibile ad un’insufficienza del microcircolo che causerebbe delle lesioni ischemiche focali con conseguente irreversibile sviluppo di fibrosi. Lo stesso processo potrebbe quindi essere ipotizzato per le altre strutture a livello cardiovascolare che quindi faciliterebbero la formazione di aneurismi. Una migliore conoscenza di un possibile coinvolgimento cardiovascolare di questa malattia è quindi necessaria, dal momento che vi è un aumentato rischio di mortalità; una ricerca meticolosa per la presenza di aneurismi potrebbe risultare di estrema importanza in pazienti con sclerosi sistemica. Bibliografia 1 de Groote P, Gressin V, Hachulla E, Carpentier P, Guillevin L, Kahan A, Cabane J, Francès C, Lamblin N, Diot E, Patat F, Sibilia J, Petit H, Cracowski JL, Clerson P, Humbert M; ItinerAIR-Scleroderma Investigators. Evaluation of cardiac abnormalities by Doppler echocardiography in a large nationwide multicentric cohort of patients with systemic sclerosis. Ann Rheum Dis. 2008 Jan;67(1):31-6. 2 Taniguchi Y, Nishiyama S, Yoshinaga Y, Miyawaki S, Hashimoto K. Left ventricular aneurysms developed in a patient with systemic sclerosis. Mod Rheumatol. 2007;17(6): 518-20. 3 Allanore Y, Kahan A Heart involvement in systemic sclerosis Presse Med, 2006 Dec;35 (12 Pt 2):1938-42 Michel Oberson1, Maria Chiara Arigoni1, Sonia Chevili1 Dipartimento di Medicina Interna1, Ospedale Regionale di Lugano-OIL 368 TRIBUNA MEDICA TICINESE 74 OTTOBRE 2009 SEZIONE SCIENTIFICA - Flash di farmacoretapia Flash di farmacoterapia è una rubrica della TMT gestita sotto la responsabilità del Servizio di consulenza sui farmaci e Centro regionale di farmacovigilanza del Canton Ticino. L’informazione è indipendente dall’industria e mirata a migliorare le conoscenze sull’utilizzo di farmaci nella pratica quotidiana. INTERAZIONE TRA CLOPIDOGREL E GLI INIBITORI DI POMPA PROTONICA R. Bertoli, M. Bissig, E. Bernasconi Il clopidogrel è un antiaggregante appartenente al gruppo delle tienopiridine, impiegato nella prevenzione di eventi aterotrombotici in pazienti che hanno subito un infarto miocardico, un ictus ischemico o che presentano un’arteriopatia periferica. Inoltre viene utilizzato in combinazione con l’aspirina nella sindrome coronarica acuta, in particolare nei pazienti in cui è stato impiantato uno stent coronarico. Il clopidogrel è un prodrug e deve pertanto essere trasformato nel fegato in metabolita attivo. È infatti il metabolita attivo che, attraverso l’inibizione selettiva del legame dell’adenosina-difosfato (ADP) al suo recettore piastrinico, e di conseguenza l’inibizione dell’attivazione del complesso GPIIb-IIIa mediata dall’ADP, inibisce l’aggregazione piastrinica. Nella trasformazione a metabolita attivo l’enzima CYP2C19 (un isoenzima del sistema citocromo P450) gioca un ruolo essenziale. Alcuni studi1,3 hanno dimostrato che nella prevenzione secondaria dell’infarto del miocardio, i pazienti con un polimorfi- smo dell’allele del CYP2C19 che comporta una minor attività enzimatica, presentavano una diminuzione dell’efficacia del clopidogrel ed aumento degli eventi cardiovascolari. Dato il ruolo essenziale del CYP2C19 nella bioattivazione del clopidogrel, ogni sostanza che inibisce quest’enzima, ha il potenziale di ridurne l'effetto antiaggregante piastrinico. Farmaci noti inibitori del CYP2C19 sono, ad esempio, la fluvoxamina, il voriconazolo, gli inibitori della pompa protonica (IPP), il fluconazolo. Di particolare rilievo, visto l’ampio uso nella popolazione, sono alcuni studi apparsi recentemente6,9 che hanno evidenziato una potenziale interazione farmacologica fra il clopidogrel e gli IPP (inibitori appunto, oltre che della pompa protonica, anche del CYP2C19), con conseguente diminuita efficacia del clopidogrel e di riflesso rischio aumentato di eventi trombotici (compreso l’infarto acuto del miocardio). L’esatto meccanismo dell’interazione tra il clopidogrel e gli IPP non é è chiaro. Una delle ipotesi fra quelle più accreditate è quella di una competizione a livello del CYP2C1911,12, un’altra postula invece un’inibizione del CYP2C19 da parte dell’IPP che impedisce la conversione del clopidogrel nella sua forma biologicamente attiva13, una terza suggerisce un possibile coinvolgimento delle p-glicoproteine, responsabili dell’assorbimento intestinale del clopidogrel14. In ogni caso studi in vitro confermano che gli IPP omeprazolo, esomeprazolo, lansoprazolo, pantoprazolo e rabeprazolo inibiscono l’attività del CYP2C19, anche se a differenti gradi5. Per quanto riguarda l’omeprazolo la capacità di diminuire l’efficacia del clopidogrel è stata dimostrata7,8, mentre per gli altri IPP, presi singolarmente l’evidenza è meno conclusiva. Uno studio 74 OTTOBRE 2009 comprendente 16’690 pazienti dopo impianto di stent coronarico8 ha evidenziato un aumento statisticamente significativo della frequenza della manifestazione di eventi avversi necessitante un ricovero (infarto miocardico, ictus, angina pectoris instabile o necessità di rivascolarizzazione), nei pazienti con terapia concomitante clopidogrel-IPP (clopidogrel-lansoprazolo 24%, clopidogrel-esomeprazolo 25%, clopidogrel-omeprazolo 25% e clopidogrel-pantoprazolo 29%), rispetto ai quelli che utilizzavano unicamente il clopidogrel (17%). Questi dati suggeriscono un effetto di classe. Un secondo studio9 ha evidenziato un aumento significativo del rischio di eventi avversi cardiovascolari nei pazienti con terapia concomitante clopidogrel-IPP, ad eccezione del pantoprazolo, che sembrerebbe essere l’IPP con minor potenziale di inibizione del CYP2C195. Questo studio presenta tuttavia numerose limitazioni, in particolare non sono stati presi in considerazione altri importanti fattori di rischio per eventi coronarici quali la pressione arteriosa, iperlipidemia e fumo10. Un terzo studio di coorte retrospettivo comprendente 8205 pazienti, ha valutato gli esiti dell'associazione clopidogrel-IPP rispetto alla monoterapia con clopidogrel in pazienti ospedalizzati per sindrome coronarica acuta; ne è risultato un maggior rischio di eventi avversi (morte o nuovo ricovero per sindrome coronarica acuta) nei pazienti con la terapia combinata7. I dati relativi al lansosoprazolo e pantoprazolo non sono stati analizzati singolarmente, visto il numero troppo basso di pazienti che ne facevano uso. Sono per contro stati analizzati i dati relativi all’omeprazolo e al rabeprazolo, per i quali è risultato un aumentato rischio di eventi avversi. I dati clinici sembrano indicare una possibile differenza nell’effetto esercitato dai singoli IPP sul clopidogrel, TRIBUNA MEDICA TICINESE 369 SEZIONE SCIENTIFICA - Flash di farmacoretapia dovuta da una parte alla loro differente capacità di interferire sui citocromi epatici, dall’altra dal loro diverso profilo farmacologico, o a meccanismi non ancora noti. Detta differenza non è però ancora stata dimostrata dai trials sperimentali; sarà quindi il futuro a indicarci se e quale sia l’IPP che ha un minor influsso sull’effetto antiaggregante del clopidogrel4. Nonostante la mancanza di dati conclusivi, resta il fatto del probabile aumento del rischio d’eventi avversi cardiaci in caso di assunzione concomitante di clopidogrel e IPP. Per questa ragione la FDA statunitense ha pubblicato la raccomandazione ai medici di rivalutare l’indicazione e quindi la necessità di una terapia con IPP nei pazienti trattati con clopidogrel15. L’autorità europea (EMEA), dopo rivalutazione di tutti i dati disponibili, ha dal canto suo predisposto che tutte le monografie dei medicamenti contenenti clopidogrel debbano essere modificate, al fine di includere le informazioni riguardanti la potenziale interazione e sconsigliando l’uso concomitante clopidogrel-IPP a meno che ciò non sia assolutamente necessario. Nei casi in cui sia necessaria un terapia antacida in pazienti antiaggregati con clopidogrel, un’alternativa è quella di prescrivere un inibitore del recettore H2 (es. ranitidina), che non presenta rischio di tale interazione10. Un ultimo aspetto apparso recentemente nella letteratura riguarda le implicazioni genetiche individuali legate all’interazione clopidogrel-IPP. Una piccola parte della popolazione è costituita dai cosiddetti “metobolizzatori lenti”. Costoro sono provvisti di una variante mutata del CYP2C19 e quindi predisposti ad essere “non responder” al clopidogrel. Anche per una risposta definitiva relativa a questo aspetto bisognerà attendere i futuri sviluppi della ricerca. 370 TRIBUNA MEDICA TICINESE Conclusioni e raccomandazioni L’interazione tra clopidogrel e un IPP sembra clinicamente rilevante e causare la diminuzione dell’efficacia dell’antiaggregante. Non è ancora chiaro se ci sono differenze significative tra i singoli IPP. È raccomandata una rivalutazione attenta della necessità di una terapia con un IPP in tutti i pazienti trattati con clopidogrel La prescrizione di un IPP dovrebbe limitarsi esclusivamente alle indicazioni ufficialmente registrate Nel caso di assunzione combinata clopidogrel-IPP, la presa dei due medicamenti deve essere distanziata di 12 ore È raccomandata la valutazione di una terapia alternativa (antacidi, H2-antagonisti). R. Bertoli1, M. Bissig2, E. Bernasconi1,3 8 1 Servizio di consulenza sui farmaci e Centro regionale di farmacovigilanza, Ospedale Regionale di Lugano, Lugano 2 Servizio Farmacia Ospedaliera EOFARM, Ospedale Regionale di Lugano, Lugano 3 Dipartimento di medicina, Ospedale Regionale di Lugano, Lugano SCAI statement on “A national study of the effect of individual proton pump inhibitors on cardiovascular outcomes in patients treated with clopidogrel following coronary stenting: The Clopidogrel Medco Outcomes Study” http://www.scai.org/ drlt1.aspx?PAGE_ID=5870 9 Juurlink D, et al. A population-based study of the drug interaction between proton pump inhibitors and clopidogrel. CMAJ 2009; 180: 713–18. Bibliografia 1 Simon T, Verstuyft C, Mary-Krause M et al.: Genetic determinants of response to clopidogrel and cardiovascular events. NEJM 2009; 360: 363-375. 2 Collet JP, Hulot JS, Pena A et al.: Cytochrome P450 2C19 polymorphism in young patients treated with clopidogrel after myocardial infarction: a cohort study. Lancet 2009; 373. 3 Mega JL, et al., Cytochrome P-450 Polymorphisms and Response to Clopidogrel, NEJM 2009; 360: 354. 4 Clopidogrel and proton pump inhibitors: interactions, Drug safety Update, 12 July 2009. Volume 2, page 2. 5 Li X-Q, et al., Drug Metab Dispos 2004; 32:821. 6 Pezalla E, et al. J Am Coll Cardiol 2008; 52: 1038. 7 Ho M, et al. Risk of adverse outcomes associated with concomitant use of clopidogrel and proton pump inhibitors following acute coronary syndrome. JAMA 2009; 301: 937. 74 OTTOBRE 2009 10 Antiplatelet drugs + Proton pump inhibitors, Stockley's Drug Interactions, 07-May-2009. 11 Gilard M, et al, Influence of omeprazole on the antiplatelet action of clopidogrel associated with aspirin. The randomized, double-blind OCLA (Omeprazole CLopidogrel Aspirin) study. J Am Coll Cardiol 2008; 51: 256–60. 12 Gilard M, Arnaud B, Le Gal G, Abgrall JF, Boschat J. Influence of omeprazol on the antiplatelet action of clopidogrel associated to aspirin. J Thromb Haemost 2006; 4: 2508–9. 13 Gurbel PA, Lau WC, Tantry US. Omeprazole: a possible new candidate influencing the antiplatelet effect of clopidogrel. J Am Coll Cardiol 2008; 51: 261–3. 14 Taubert D, et al, Impact of P-glycoprotein on clopidogrel absorption. Clin Pharmacol Ther 2006; 80: 486–501. 15 FDA Safety Alert. Early communication about an ongoing safety review of clopidogrel bisulphate (marketed as Plavix). www.fda.gov/Drugs/DrugSafety/Postmarke tDrugSafetyInformationforPatientsandProviders/DrugSafetyInformationforHeathcarePr ofessionals/ucm079520.htm SEZIONE SCIENTIFICA - Patologia in pillole PATOLOGIA IN PILLOLE Nr. 42 J. Barizzi, Th. Gyr, C. Sessa Storia clinica Una donna di 36 anni, nulligravida, viene sottoposta a intervento laparoscopico d’urgenza per addome acuto. All’ispezione si identifica una cisti ovarica di aspetto emorragico del diametro di circa 10 cm con rottura della parete ed emorragia intraddominale, compatibile con cisti endometriosica ovarica. Si procede pertanto ad exeresi della parete cistica preservando il tessuto ovarico. All’esame macroscopico si osserva parete di struttura cistica emorragica con alcuni ispessimenti in prossimità di una zona lacerata. Istologicamente si conferma la diagnosi clinica di cisti endometriosica che tuttavia presenta atipie epitelialei (figura 1A). Gli aspetti ispessiti della parete presentano strutture epiteliali tubulari, papillari e microcistiche (figura 1B) costituite da epitelio con atipie nucleari e citoplasma chiaro (figura 1C e D). 1a 1b 1c 1d Indica la diagnosi corretta: a Endometriosi con segni di luteinizzazione b Endometrosi atipica c Adenoma endometrioide d Carcinoma a cellule chiare in cisti endometriosica e Adenocarcinoma endometrioide dell’ovaia 74 OTTOBRE 2009 TRIBUNA MEDICA TICINESE 371 SEZIONE SCIENTIFICA - Patologia in pillole Diagnosi Carcinoma a cellule chiare in cisti endometriosica Commento L’endometriosi viene definita dalla presenza di ghiandole e stroma di tipo endometrioide in sede ectopica, ossia fuori dalla cavità uterina. Si stima che tra il 5 e il 10% delle donne in età riproduttiva soffrano di questa malattia che assume caratteristiche infiammatorie ed è estrogenodipendente. Clinicamente i sintomi principali sono dolori pelvici cronici, dispaneuria e infertilità. La malattia si può manifestare in forma locale e lieve oppure assumere un decorso sistemico, cronico e molto invalidante. Clinicamente si distingue tra impianti endometriosici superficiali del peritoneo pelvico e delle ovaie (endometriosi peritoneale), cisti endometriosiche ovariche (endometriomi), e masse solide e complesse composte da tessuto endometriosico frammisto a tessuto fibrotico localizzate tra il retto e la vagina (noduli endometriosici retto-vaginali) oppure in altri organi (ad esempio endometriosi intestinale). I differenti tipi di endometriosi possono essere presenti singolarmente oppure combinati. Gli aspetti istologici comuni sono la presenza di ghiandole e stroma endometriali associati ad infiammazione cronica, emorragia ed eventualmente fibrosi. I processi flogistici associati ad endometriosi possono stimolare i nervi pelvici e quindi causare dolori, compromettere la funzionalità tubarica, creare stritture tubariche cicatriziali, diminuire la ricettività endometriale e quindi impedire lo sviluppo di oocita ed embrione. Ci sono diverse ipotesi concernenti la patogenesi dell’endometriosi pelvica. Tra le teorie più accettate citiamo la mestruazione retrograda e la metaplasia celomica. Questi meccanismi patogenetici non sono mutualmente 372 TRIBUNA MEDICA TICINESE esclusivi ed ambedue possono spiegare almeno una parte dei casi clinici. L’insorgenza di endometriosi pelvica in giovani pazienti con ostruzione del canale uterino favorisce la prima ipotesi. Tuttavia fenomeni di mestruazione retrograda sono molto comuni e non esitano necessariamente in endometriosi, ragione per la quale altri fattori come la risposta immunitaria della paziente hanno verosimilmente un ruolo importante. Per contro la presenza di focolai endometriosici adiacenti al peritoneo suggerisce in certi casi fenomeni metaplastici coinvolgenti eventualmente cellule staminali pluripotenti. Altri possibili meccanismi patogenetici considerano l’impianto di tessuto endometriosico dopo interventi chirurgici nonché una disseminazione vascolare ematolinfatica. L’incidenza di trasformazione maligna di focolai endometriosici viene stimata tra 1,1% e 3,0%. Spesso è necessario un estensivo campionamento di tessuto per documentare in casi di carcinoma ovarico la presenza di resti endometriosici nonché un’eventuale zona di transizione tra endometrio ectopico “normale” e tessuto neoplastico. È probabile che il potenziale di trasformazione neoplastica di endometrio ectopico non si discosti significamente da quello uterino. Uno studio di popolazione condotto da un registro tumori coinvolgente più di 20'000 donne con endometriosi seguite per un periodo mediano di 11 anni ha stimato un rischio relativo di 1,9 per sviluppare un carcinoma ovarico con aumento fino a 4,2 per donne con lunga storia clinica di endometriosi. Il fatto che 75% delle neoplasie associate ad endometriosi insorga nelle ovaie suggerisce una complessa interazione tra endometriosi e stroma ovarico. A livello morfologico, in analogia a quanto si osserva nell’endometrio uterino, possono essere documenta- 74 OTTOBRE 2009 te delle lesioni preneoplastiche quali iperplasia ghiandolare complessa atipica. Non di rado il rivestimento epiteliale di cisti endometriosiche appare appiattito e marcatamente atipico rappresentando pertanto anche un possibile precursore di carcinoma invasivo. L’adenocarcinoma endometrioide e il carcinoma a cellule chiare rappresentano gli istotipi più frequenti e corrispondono a circa i 2/3 delle neoplasie insorte in endometriosi. Mentre l’adenocarcinoma endometrioide è la neoplasia più comune tra le due entità con un rapporto stimato tra 1,3:1 fino a 4:1, è interessante notare che donne con carcinoma ovarico a cellule chiare presentano focolai endometriosici fino nel 25-30% dei casi, una frequenza notevolemente più alta di quella riscontrata con qualsiasi altro tipo di neoplasia ovarica. Tra gli altri tumori maligni riscontrati in endometriosi citiamo infine l’adenosarcoma, una neoplasia rara ma che sorprendentemente viene frequentemente osservata in un contesto di endometriosi, e il sarcoma stromale di basso grado dell’endometrio che insorge in sede extraovarica piuttosto che in cisti endometriosiche ovariche. A seguito della diagnosi anatomopatologica la paziente è stata sottoposta ad un intervento di isterectomia ed omentectomia con conservazione degli annessi per il desiderio di prole della paziente, nonché a “mapping peritoneale”. Istologicamente non sono stati identificati resti di tessuto neoplastico e le analisi citologiche del lavaggio addominale intraoperatorio non hanno evidenziato cellule neoplastiche maligne. Lo stadio iniziale alla diagnosi corrisponde quindi a pT1c (carcinoma confinato ad una ovaia con rottura della capsula). È stata quindi proposta una chemioterapia adiuvante con carboplatino per 6 mesi. Tre anni dopo la dia- SEZIONE SCIENTIFICA - Patologia in pillole gnosi si documenta purtroppo una progressione della malattia con metastasi linfonodali sovraclaveari mediastiniche e metastasi polmonari multiple, in assenza di recidiva locale. La paziente inizia un trattamento con carboplatino e taxolo, di cui riceve 2 cicli con stabilizzazione della malattia. Si aggiunge un trattamento antiangiogenico con riduzione delle metastasi polmonari; si evidenzia però la comparsa di una lesione osteolitica in C7 per la quale viene aggiunta una radioterapia antalgica su campo limitato. Globalmente, si tratta quindi di un tumore molto aggressivo e poco chemiosensibile, in cui forse, possono avere un ruolo alcuni dei nuovi farmaci a bersaglio molecolare, quali antiangiogenici e inibitori dell’enzima mTOR. J. Barizzi, Istituto Cantonale di patologia, Locarno Th. Gyr, Servizio di Ginecologia, OCL, Lugano C. Sessa, Istituto oncologico della Svizzera Italiana, OSG Bellinzona Bibliografia Bulun SE. Endometriosis. N Eng J Med 2009, 360:268-279 Somigliana E, Viganó P et al. Association between endometriosis and cancer: a comprehensive review and a critical analysis of clinical ed epidemiological evidence. Gynecol Oncol 2006, 101: 331-341 Brinton LA, Gridley G et al. Cancer risk after a hospital discharge diagnosis of endometriosis. Am J Obsterics and Gynecology 1997, 176: 572-579 74 OTTOBRE 2009 TRIBUNA MEDICA TICINESE 373 RASSEGNA DELLA STAMPA Salute sempre più costosa I costi della malattia sono aumentati del 5,4 per cento nel 2008. Santésuisse punta il dito contro gli ospedali Berna – I costi della sanità sono aumentati ulteriormente l’anno scorso in Svizzera e la tendenza continuerà nel 2009. Secondo l'organizzazione degli assicuratori malattia santésuisse ancora una volta sono stati gli ospedali a contribuire maggiormente al rialzo dei costi. L'associazione ospedaliera H+ ha respinto le accuse. In attesa dell'annuncio dei premi assicurativi per il 2010, a fine ottobre, l'associazione di categoria ha pubblicato ieri le proprie cifre sull'evoluzione dei costi della sanità nel 2008, che sono peggiori di quelle presentate in aprile dall'Ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp). Quest'ultimo riferiva di un +3,9% mentre secondo santésuisse, che calcola in modo differente, l'incremento di spesa per assicurato è stato del 5,4 per cento (+3,7% nel 2007). Si tratta di un “aumento di circa 48 franchi al secondo”, ha detto in una conferenza stampa a Berna il direttore di santésuisse, Stefan Kaufmann. Per gli assicuratori è chiaro che la principale responsabilità dell'esplosione dei costi – quasi un terzo della crescita complessiva – è da imputare agli ospedali, dove per le cure ambulatoriali hanno registrato un aumento di spesa del 12,7%, mentre per quelle stazionarie la progressione è stata del 3,7 per cento. Secondo santésuisse solo per coprire i costi delle terapie nei nosocomi lo scorso anno sarebbe stato necessario aumentare i premi del 3 per cento. E non vi è alcun cambiamento di rotta in vista, osserva santésuisse. Nel primo semestre 2009 le prestazioni dell'assicurazione obbligatoria sono cresciute complessivamente del 4,1 per cento per assicurato rispetto alla prima metà dell'anno scorso e per l'insieme dell'anno è previsto un incremento fra il 3 e il 5%. Sui premi del 2010, gli assicuratori non hanno voluto fornire alcun ordine di grandezza e si sono limitati ad osservare che “i premi devono coprire i costi” e “se i costi crescono devono crescere anche i premi”. Secondo Stefan Kaufmann in questi ultimi tre anni la raccolta di premi non ha permesso di coprire le spese per le prestazioni assicurative; bisognerà quindi che i primi aumentino più dei costi per recuperare il disavanzo. L'Ufsp in maggio aveva previsto per il 2010 un incremento dei premi del 15% in media nazionale. In base ai dati provvisori raccolti fra gli assicuratori, i siti internet comparis.ch e bonus.ch stimano rispettivamente un incremento dell'11% e del 17,7%. In un comunicato, l'associazione che riunisce gli ospedali svizzeri, H+, osserva che l'esplosione dei premi delle casse malattia e l'aumento delle spese del settore sanitario sono due cose ben distinte e che “il problema della crescita dei premi del 2010 è dovuto agli stessi assicuratori” e non agli ospedali. Per H+, le casse malattia hanno mantenuto i pre- 382 TRIBUNA MEDICA TICINESE 74 OTTOBRE 2009 mi troppo bassi nel 2008 e nel 2009. Ora l'associazione ospedaliera chiede di “eliminare stimoli erronei”. ATS Cereghetti: “Infondate le previsioni di comparis.ch sui premi” Bellinzona – Il servizio di confronto internet comparis.ch lunedì ha annunciato che l'aumento dei premi della cassa malattia nel 2010 varierà da cantone a cantone. E per il Ticino – così come per Ginevra e Neuchâtel – ha calcolato un aumento medio del 6-7 per cento. Gli assicurati di Uri, Obvaldo, Appenzello Esterno e Grigioni potrebbero invece vedere il premio salire fino al 16 per cento. Stando al servizio online l'aumento medio in Svizzera sarà dell'11 per cento. Il rincaro per ogni cantone, segnala infine, è stato calcolato sulla base dei premi provvisori resi noti da 54 casse malattia presso le quali risulta assicurato il 90 per cento della popolazione. L'Ufficio federale della sanità deve ancora pronunciare il suo responso sui premi di cassa malattia del prossimo anno, che saranno annunciati nel mese di ottobre. Fino ad allora l'Ufficio assicurazione malattia del cantone Ticino non si esprimerà, ci dice il suo capo Bruno Cereghetti. Il quale tiene però a sottolineare che le proiezioni di comparis.ch non sono attendibili perché non sono stati considerati i dati di tutte le assicurazioni: “Solo a bocce ferme, quando si saprà cosa avrà deciso l'autorità federale, sarà possibile fare informazione corretta nei confronti della popolazione”. Il tema, infatti, è di quelli sensibili e per Cereghetti simili proiezioni non fanno altro che destare preoccupazione negli assicurati. RED. (“La Regione” 23.09.09) COMPARIS In Ticino i premi dovrebbero salire tra il 6 e il 7% Le casse malati chiedono rincari fino al 16% ZURIGO (ATS/RED) Stando al servizio di confronto internet comparis.ch nel 2010 i premi delle casse malattia aumenteranno in maniera molto diversa fra un Cantone e l'altro. Gli incrementi più considerevoli (16%) si avranno nei cantoni di Uri, Obvaldo, Appenzello Esterno e Grigioni. A Ginevra, Neuchâtel e in Ticino si registreranno invece i rincari più contenuti, in media tra il 6 e il 7%. La crescita media Svizzera sarà dell'11%. Comparis.ch conferma che, in maniera generale, l'aumento più marcato toccherà Cantoni i cui i premi sono relativamente bassi (Obvaldo, Appenzello Esterno e Uri) e continueranno ad esserlo, mentre la crescita meno forte si avrà in Cantoni che rientrano già tra quelli con i premi più alti del Paese (Ticino e Ginevra). II rincaro per ogni Canto- RASSEGNA DELLA STAMPA ne viene calcolato sulla base dei premi provvisori resi noti da 54 casse malattia presso le quali risulta assicurato il 90% della popolazione. Tuttavia, in molti Cantoni in cui gli aumenti dei premi sono ridotti, gli assicurati possono gioire fino ad un certo punto. Infatti, i premi delle casse malati dei cantoni Ginevra e Ticino rientrano già tra i più alti di tutta la Svizzera, diversamente da Obvaldo, Appenzello Estemo e Uri, dove gli assicurati continueranno a pagare premi relativamente bassi. Le cause di aumenti dei premi così diversificati sono da ricondurre presumibilmente alla situazione delle riserve cantonali e all'evoluzione dei costi nei rispettivi cantoni. In Ticino, secondo le statistiche attuali dell'Ufficio federale della sanità pubblica, nello scorso anno le prestazioni pagate dalle casse malati sono cresciute di poco. (“Giornale del Popolo” 22.09.09) NAZIONALE Misure urgenti per arginare l’aumento dei premi-malattia No al ticket da 30 franchi, sì al medico per telefono I deputati hanno bocciato anche un sussidio straordinario di 2 miliardi, come pure il tentativo dell’UDC di introdurre, per gli assicuratori, la libertà di contrarre; accolto invece il blocco delle franchigie per tre anni. Le misure-cerotto passano ora agli Stati. È un dibattito che da sempre spacca il parlamento, quello sui costi della sanità, ma di fronte a una situazione fattasi ormai estrema – per il 2010 l'aumento medio su scala nazionale dei premi malattia sarà del 15% – i deputati si sono quanto meno accordati per una serie di misure urgenti che agiranno sull'arco di tre anni, fino al 2012. Non delle vere e proprie soluzioni a un sistema che, così com'è stato pensato ormai più di 10 anni fa, rivela delle crepe, ma dei cerotti che potranno almeno tamponare l'emorragia, ha affermato il ministro Pascal Couchepin, e un'emorragia tamponata significa “una vita salvata”. Per un pelo, a dire il vero, le proposte urgenti e temporanee non sono state accompagnate da una misura ben più radicale: i democentristi avrebbero infatti voluto aggiungere al pacchetto la cosiddetta “libertà di contrarre” (gli assicuratori deciderebbero con quali medici lavorare) a partire dal 2012. Con 87 voti contro 80 la proposta è stata bocciata, considerata anche la minaccia di referendum da parte della Federazione dei medici svizzeri (FMH). Tornando alle misure urgenti, quali quelle accolte e quali quelle bocciate? In breve: “no” alla tassa da 30 franchi per visita medica, misura questa da subito invisa alla maggior parte degli attori coinvolti sul palcoscenico sanitario, dai medici ai politici passando per gli assicuratori. Solo il PLR, durante ll dibattito, ha difeso l'idea del suo consigliere federale. Con 122 voti contro 50, il Nazionale ha invece accettato l'alternativa formulata dalla sua Commissione, ovvero: il paziente dovrà pagare il 20% del costo di una visita da uno specialista, il 10% se questa è effettuata da un medico di famiglia. “No” anche ai 2 miliardi di sussidio federale supplementare per calmierare gli aumenti dei premi: è prevalsa la vena risparmiatrice dei deputati, secondo i quali il credito sarebbe stato un contentino amministrativamente gravoso ma senza un reale impatto. Deluso Meinrado Robbiani (PPD/Tl), secondo cui è irresponsabile non preoccuparsi dei bassi e medi redditi, in particolare in periodo di crisi: “La Confederazione non può rifiutare loro 200 milioni quando ha versato miliardi all'UBS”. “Sì” invece, al medico per telefono: la consultazione telefonica (24 ore su 24, a carico delle assicurazioni malattia) secondo la Camera bassa dovrebbe essere obbligatoria, onde evitare tante visite inutili. E “sì” anche al blocco, per tre anni (il Consiglio federale aveva proposto per due anni) delle franchigie. I deputati hanno anche deciso che il governo potrà intervenire – quale “ultima ratio” – sulle tariffe delle cure ambulatoriali, riducendole del 10% al massimo per un anno se l'aumento dei costi in un Cantone è superiore di due punti alla media nazionale. Alla fine del dibattito particolareggiato, il “pacchetto” di misure urgenti è stato accolto con 113 voti contro 58. Vi si è opposta la sinistra. PS e Verdi avrebbero voluto una “manna” federale che coprisse il totale dell'aumento di premi; ad esempio, hanno spiegato i deputati rosso verdi, si sarebbero potuti usare i soldi (1,2 miliardi) ottenuti dalla partecipazione della Confederazione in UBS. Altre decisioni prese ieri dal Nazionale: con 112 voti contro 62 ha voluto estendere il contributo alle spese di ricovero a tutte le persone ospedalizzate (attualmente questa tassa è richiesta soltanto alle persone sole), esclusi i bambini. Con 106 voti contro 61, i deputati non hanno invece voluto sopprimere, come chiedeva l'UDC, gli sconti di premio agli assicurati che beneficiano di un'assicurazione complementare per ricovero all'ospedale in reparto privato o semiprivato. Il dossier passa ora agli Stati; i senatori avrebbero dovuto, in un primo tempo, occuparsi della questione già durante questa sessione. La Commissione competente ha però richiesto che le fosse concesso qualche tempo per ragionare su quanto affermato ieri dal Nazionale, e così ha ottenuto di arrivare al voto durante la prossima sessione invernale (novembre). La scaletta resta comunque quella iniziale: le misure dovranno entrare in vigore nel 2010 e restare valide per tre anni. Poi, è stato auspicato un po' da tutti, sarà il caso di partorire una riforma, non solo cerotti. Anna Fazioli (“Giornale del Popolo” 10.09.09) 74 OTTOBRE 2009 TRIBUNA MEDICA TICINESE 383 RASSEGNA DELLA STAMPA NUOVA ORGANIZZAZIONE Medici di famiglia più uniti I medici di famiglia vogliono aumentare il proprio peso politico. Per questo hanno fondato ieri a Basilea una nuova organizzazione denominata “Medici generalisti Svizzera”. Alla presidenza è stato eletto Marc Müller, di Grindelwald (BE). Nella nuova federazione confluiscono circa 7.000 dottori, che sinora appartenevano alla Società svizzera di medicina generale (SSMG), alla Società svizzera di medicina interna (SSMI) e alla Società svizzera di pediatria (SSP). “Medici generalisti Svizzera” rappresenterà i medici sul piano sociale, politico e mediatico. I compiti specialistici rimangono alle tre associazioni di categoria. La nuova organizzazione sosterrà l'iniziativa “Sì alla medicina generalista”, che sarà lanciata il primo ottobre. (“Giornale del Popolo” 19.09.09) ASSICURAZIONE MALATTIA Il Governo ha dato l’ok al calcolo sul reddito disponibile La riduzione dei premi diventa più “equa” I sussidi, sinora calcolati in base al reddito imponibile, dal 2012 – con l’avallo del Parlamento – saranno calcolati su quello disponibile. Il risparmio sarà di 4,7 milioni, mentre i contribuenti beneficiari aumenteranno dell’11%. Saranno avvantaggiate le famiglie, soprattutto quelle monoparentali. Gli aiuti ai cittadini per il pagamento dei premi di cassa malati vengono erogati a tutt'oggi sulla base del reddito imponibile (criterio fiscale). Dal 2012, se il Parlamento darà il suo avallo, il sistema di calcolo si baserà invece sul reddito disponibile semplificato (criterio sociale), che – in linea con quanto persegue il Governo con questa modifica di legge – “garantirà un'equità migliore, mirando meglio gli aiuti verso chi ne ha bisogno e riequilibrandoli rispetto alle varie tipologie e dimensioni delle famiglie”, ha osservato la consigliera di Stato Patrizia Pesenti durante la presentazione del messaggio governativo ieri alla stampa. Oggi agli aiuti pubblici fanno capo circa 99mila persone (ovvero un terzo della popolazione) e nel 2008 sono stati spesi complessivamente 234 milioni. Con il nuovo modello la spesa dovrebbe essere inferiore di 4,7 milioni, anche se su questo punto toccherà al Gran consiglio esprimersi, anche in risposta a un’iniziativa popolare e una parlamentare, che chiedono la prima di non ridurre l'ammontare dei sussidi, la seconda invece di aumentarli di ben 30 milioni. “L'applicazione del nuovo modello tuttavia è indipendente dal tet- 384 TRIBUNA MEDICA TICINESE 74 OTTOBRE 2009 to massimo di sussidi che lo Stato intende dare” ha argomentato ancora Pesenti. A livello invece di beneficiari (contribuenti), con il nuovo sistema il numero aumenta di quasi l'11%. Ci sarà quindi un allargamento dei sussidi ma la fascia più vicina alla soglia limite per ottenerli prenderà qualcosa dimeno rispetto a prima. Il modello utilizzato finora per andare incontro a chi non riesce a pagare il premio della cassa malati deriva sostanzialmente da motivi di praticità. “Ma è concettualmente corretto utilizzare un criterio fiscale, quello dell'imponibile, per determinare una prestazione sociale?” ha fatto notare Carlo Marazza, direttore dell'Istituto della Assicurazioni sociali (lAS). Il nuovo modello, basato invece sul reddito disponibile, “garantirà parità di trattamento tra le categorie e favorirà le famiglie, in particolare quelle monoparentali – ha spiegato dal canto suo Elena Sartoris, collaboratrice scientifica del Dipartimento –. Rispetto a prima inoltre, la quota minima sarà sostituita da una quota di partecipazione proporzionale alla riduzione del premio”. A Bruno Cereghetti, capo dell'Ufficio assicurazione malattie, il compito di spiegare gli aspetti organizzativi e procedurali, consci del fatto che per partire il 1° gennaio 2012 il sistema deve essere pronto già all'inizio del 2011. Anche con il nuovo modello ai potenziali beneficiari sarà recapitato il modulo di richiesta. La riduzione del premio non sarà più calcolata individualmente per ogni singolo assicurato che ne ha diritto, ma verrà stabilita in maniera globale per l'unità di riferimento, e a partire dal dato globale l'importo sarà successivamente ripartito sui singoli membri. Sul messaggio il Partito socialista ha già fatto sapere ieri la sua soddisfazione di massima. Vista l'entrata in vigore solo nel 2012, chiede di alzare i limiti per i sussidi già per l'inizio del 2010. (SCA) (“Giornale del Popolo” 16.09.09) “Mancano oltre cento medici, costretti ad assumere stranieri” Italiani e tedeschi anche il 50 per cento degli infermieri negli ospedali “Abbiamo un numero sufficiente di primari, ma ci mancano i medici assistenti: situazione preoccupante vista in prospettiva”, Le parole di Carlo Maggini, direttore dell'Eoc, fotografano la realtà della sanità ticinese: “I primari, i viceprimari, i medici capiservizio all'Ente ospedaliero sono per il 90% svizzeri, ma abbiamo serie difficoltà a reclutare medici assistenti”. Una situazione del tutto simile a quella degli ospedali del resto della Svizzera. Una fotografia scattata da un'indagine a tappeto realizzata per conto di H+, l'organizzazione che promuove gli ospedali della Confederazione che promuove gli ospedali della Confederazione. RASSEGNA DELLA STAMPA Mancano medici e manca personale infermieristico. Una situazione critica, che sarà ancora più acuta in futuro, che non si avverte nella sua drammaticità solo perché si fa sempre più ricorso al mercato estero. “Più della metà dei medici assistenti che lavorano all'Ente ospedaliero cantonale provengono dall'estero – continua infatti Maggini –, dall'Italia e dalla Germania in prevalenza, e poi da tutto il resto del mondo”. Si tratta di circa 130 medici assistenti su un totale di 230, a cui si debbono aggiungere i “quadri”, un centinaio, più un altro centinaio di capiclinica “al 70% autoctoni”. Tale situazione è dovuta alla limitata formazione dei medici in Svizzera. “I laureati sono circa 700 l'anno, ma ne occorrerebbe il doppio”, continua Maggini. Il direttore dell'Eoc individua le cause di questa “crisi” sia nella crescita della domanda sanitaria (aumentano i pazienti e la richiesta di salute), sia nel nuovo contratto che ha ridotto le ore di lavoro dei medici assistenti a non più di 50 la settimana. “Prima superavano le 70”. A livello Svizzero la carenza di medici negli ultimi due anni è stata di circa 1200 unità. Tutti reclutati all'estero. Insomma il numero di posti destinati alla formazione delle sette facoltà di medicina in Svizzera è insufficiente. Per questo dopo la Federazione dei medici svizzeri, il Consiglio svizzero della scienza e della tecnologia, anche gli ospedali chiedono la revoca del numero chiuso. “Nelle università svizzero tedesche c'è in numero chiuso – fa presente Maggini – e in quelle romande la selezione al primo anno è fortissima: mediamente si presentano 2000 candidati per mille posti: un taglio netto del 50%”. Le cifre sono chiarissime: occorre il doppio di medici rispetto a quanti la Svizzera sia in grado di formare. Anche nel settore delle cure infermieristiche oggi tra il 30 e il 40% dei posti è occupato da stranieri. “La carenza di personale infermieristico si sente in modo particolare nei settori che richiedono una qualifica particolare, penso agli strumentisti di sala operatoria, agli anestesisti, alle cure intense”, fa presente Gian Luigi Rossi direttore dell'Ospedale civico di Lugano (Il prossimo 19 settembre organizzerà una giornata delle porte aperte per far conoscere le professioni sanitarie, iniziativa congiunta con altri 80 ospedali svizzeri). È una situazione generalizzata a tutti gli ospedali ticinesi. “Facciamo ricorso in prevalenza a personale specializzato frontaliero e straniero” precisa Michele Morisoli, direttore dell'ospedale San Giovanni di Bellinzona. “Per fortuna siamo al centro dell'Europa e possiamo attingere ad un mercato di lavoro più ampio, altrimenti saremmo davvero in difficoltà”, aggiunge Luca Merlini direttore della Carità di Locarno. “Ma la situazione del personale infermieristico anche se non sufficiente è però meno critica che nel passato – conclude Maggini – perché è migliorata la formazione”. E in questa situazione aumentano le chanches di realizzare una facoltà di medicina, o di alta specializzazioc.m. ne medico in Ticino. (“Il Caffè” 13.09.09) TICINO PRONTO Previsto un piano in tre fasi – Giovedì informati i medici Pronto il modello sanitario per far fronte alla pandemia Il Gruppo di coordinamento ha preparato uno schema capace di seguire e adattarsi all’evoluzione della pandemia. Il pilastro centrale sono i medici di famiglia. Influenza suina: il Ticino è pronto. Giovedì l'Ufficio del Medico cantonale e l'Ordine dei medici del Canton Ticino hanno promosso una giornata di formazione con tutti i medici attivi per studiare il modello sanitario cantonale nonché la presa a carico dei pazienti durante il periodo di pandemia. Nonostante le proiezioni tranquillizzano un po' tutti (la suina dovrebbe toccarci nella misura di un'influenza stagionale), tuttavia il modello sanitario è pronto ed articolato in tre fasi (si vedano i box), che possono attivarsi a seconda dell'evoluzione della malattia. A tal proposito le autorità sanitarie, con i partner attivi sul territorio e con i dati statistici “sentinella” monitorano l'evoluzione del numero di malati valutando così la capacità delle strutture sanitarie di far fronte alla pandemia. L'obiettivo, fin da ora, è quello di non sovraccaricarle. E con questo scopo restano di rigore le principali misure d'igiene che ognuno può adottare (lavare accuratamente le mani, utilizzare un fazzoletto per tossire o starnutire, restare a casa se malati, utilizzare le mascherine in caso di sintomi). Per quanto concerne le vaccinazioni, sono per ora raccomandate soltanto alle persone a rischio. Vaccino a fine mese Ieri il Consiglio federale ha confermato che l'organizzazione della vaccinazione – non obbligatoria – spetta ai Cantoni, e che i costi saranno assunti congiuntamente da Confederazione, Cantoni e assicuratori malattie. L'Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP) ha proceduto all'acquisto di 13 milioni di dosi del vaccino presso le ditte Novartis e GlaxoSmithKline. Le dosi saranno fornite a scaglioni a partire dalla fine di settembre; per la vaccinazione la priorità sarà data al personale sanitario e ai gruppi a rischio, come donne incinte e le persone affette da malattie cardiache o polmonari croniche. Una telefonata al medico Alto stadio attuate gli studi dei medici di famiglia funzionano normalmente e sono pronti a prendere a carico i pazienti con sintomi influenzali A H1N1. I pazienti con sintomi influenzali devono contattare telefonicamente il loro medico di famiglia o il rispettivo sostituto. Solo in sua assenza o su sua indicazione, possono recarsi in un pronto soccorso. 74 OTTOBRE 2009 TRIBUNA MEDICA TICINESE 385 RASSEGNA DELLA STAMPA 24 ore su 24: via ai picchetti All'inizio dell'ondata pandemica verrà attivata la fase 2 del modello: gli studi medici verranno affiancati da un servizio di picchetto diurno, notturno e festivo sia per adulti che per bambini. I medici di picchetto procederanno a consultazioni sia in studio che telefoniche ed eventualmente a domicilio. Nel caso, la lista dei medici di picchetto sarà online su www.ti.ch/influenza. Pandicentri in 6 Comuni Se il numero di pazienti dovesse crescere al punto in cui il servizio di picchetto medico non fosse più in grado di gestire la situazione, saranno aperti 6 pandicentri, che diventeranno l'unico luogo in cui potersi recare in caso di sintomi influenzali. Il personale sarà formato da medici di famiglia che a turni si metteranno a disposizione. Sono previsti ad Ascona, a Biasca, a Bioggio, a Camorino, a Lugano Cornaredo e a Stabio. (RED.) (“Giornale del Popolo” 19.09.09) Un passetto verso gli assicurati morosi Commissione degli Stati propone “meccanismo di perseguimento” al posto della sospensione automatica Berna – La sospensione dell'assunzione delle cure da parte delle casse malattia quando un assicurato non versa i premi dev'essere sostituita da un meccanismo di perseguimento. La Commissione della sicurezza sociale e della sanità (Csss) del Consiglio nazionale ha accolto ieri questa strategia. La decisione di autorizzare, a partire dal 2006, gli assicuratori a non più rimborsare le fatture di un paziente in caso di mancato pagamento dei premi ha provocato un'alzata di scudi. Circa 200 mila persone sarebbero colpite da una sospensione delle prestazioni. Per attenuare le conseguenze di questa situazione, i cantoni e l'organizzazione delle casse malattia Santésuisse avevano convenuto in ottobre in linea di principio che i primi si assumessero l'85% dell'importo dei premi impagati. Le trattative sono state tuttavia sospese in febbraio. I servizi del ministro Pascal Couchepin e la Conferenza dei direttori cantonali della sanità hanno dunque riesaminato la questione. Il presidente della commissione Jurg Stahl (Udc/Zurigo) ha detto ieri alla stampa che la commissione sostiene in generale la nuova proposta. A suo modo di vedere, questa variante costituisce una “via percorribile”. Tuttavia, i cantoni dovrebbero disporre soltanto di due anni, e non di cinque, per attuare la riforma. 386 TRIBUNA MEDICA TICINESE 74 OTTOBRE 2009 Il nuovo piano prevede un sistema a cascata che spazia dal richiamo fino al perseguimento dell'assicurato che non versa i premi. Il dossier dovrà essere trasmesso al cantone interessato, che dovrà in tal caso assumersi l'85% dei premi impagati. Quando l'assicurato rimborsa alla cassa malattia tutto o in parte il suo debito, quest'ultima retrocede al cantone il 50% dei premi arretrati versati dall'assicurato. La commissione ritiene inoltre che vi sia ancora lavoro da svolgere per risolvere il problema delle persone che rifiutano di pagare i premi malattia, pur avendo i mezzi finanziari per farlo. Alcuni deputati hanno evocato la possibilità di allestire una lista delle persone recalcitranti. La Csss intende riesaminare la questione in un secondo tempo. ATS (“La Regione” 28.06.09) Cure, verso il rinvio Berna – I direttori cantonali delle opere sociali si oppongono fermamente all’entrata in vigore del nuovo ordinamento sul finanziamento delle cure al 1° luglio 2010. Di nostra iniziativa abbiamo deciso di spostarne l’introduzione a inizio 2011, ha detto la sua presidente Katrin Hilber. La Coneferenza dei direttori cantonali delle opere sociali (Cdos) si rifiuterà di mettere in vigore l’ordinamento a partire da metà 2010 come stabilito mercoledì dal Consiglio federale, ha dichiarato la direttrice delle opere sociali del cantone di San Gallo confermando una notizia pubblicata ieri sul Tages-anzeiger. Questa decisione è stata dettata da un tempo troppo breve per adattare le nuove disposizioni sul finanziamento delle cure nelle case medicalizzate per anziani o a domicilio, che sgravano i pazienti a scapito dei cantoni. Questi ultimi devono modificare la loro legislazione, eventualmente organizzare votazioni popolari, critica Hilber. Ritiene che la Confederazione non abbia tenuto conto di queste considerazioni. Il comitato direttore della Conferenza dei direttori cantonali della sanità, dal canto suo, si riunirà settimana prossima per decidere il da farsi. ATS (“La Regione” 28.06.09)