EDITORIALE
IL FATTORE “M”
Fiumi di inchiostro e di parole sono
stati sparsi – e lo sono ancora – nei
media sulla pandemia da virus A
H1N1 dell’influenza suina.
Giustamente le istituzioni federali e
cantonali si sono mobilitate per mettere a punto un dispositivo efficace,
che permetta di far fronte ad una
possibile emergenza annunciata,
come può essere una pandemia.
Riunioni politiche ai più alti livelli, piani di intervento, simulazioni, circolari,
e un mare di informazioni, spesso
contraddittorie, hanno intasato le
scrivanie, le caselle di posta elettronica e i tavoli dei funzionari. Non è
mancato il tocco finale con la creazione di neologismi, come quello di
“pandicentri” in cui ogni paziente
verrà dotato di un “pandilibretto”.
In questa macchina all’apparenza
ben oliata, pronta a partire, si è data
per scontata la disponibilità e il contributo di quello che vorrei chiamare
il fattore “M”, cioè noi medici.
Poi, dopo anni in cui ci si era ormai
abituati a considerare i medici niente
di più che dei “fornitori di prestazioni”, uno dei tanti, nello scenario del
sistema sanitario, qualcuno improvvisamente si è reso conto che, senza
l’apporto fondamentale di questa
figura professionale, tutto il sistema
messo in piedi per fronteggiare la
pandemia sarebbe crollato come un
castello di carta.
Alcuni scenari pronosticano il collasso del sistema sanitario, con veri e
propri “assalti” ai Pronto Soccorso
degli ospedali, come quelli ai forni
del pane di manzoniana memoria
durante le epidemie di peste bubbonica, tanto da rendere necessario
prevedere l’assunzione di guardie del
corpo di sicurezza per mantenere
l’ordine pubblico davanti agli ospedali e ai pandicentri.
Era il mese di agosto, tempo per molti funzionari di ferie, ma nessuno si è
fatto scrupoli di chiedere ai medici di
mettere a punto, in tempi brevissimi,
un dispositivo che assicurasse una
assistenza capillare e continua su tutto il territorio e per tutta la popolazione.
I medici, tramite la loro organizzazione professionale, l’OMCT, hanno
risposto presente, e hanno accantonato ogni facile tentazione di dire
“avete continuato a svalutare il
nostro ruolo e la nostra professionalità, avete sempre ignorato le nostre
legittime richieste imponendoci
sacrifici ad ogni taglio di spesa, ci
avete considerato poco più che comparse e non dei primi attori nel sistema sanitario, ora arrangiatevi”.
Sotto il sole di agosto i primi a mobilitarsi sono stati i medici di famiglia,
quelli di “primo ricorso”, che con
grandi sacrifici assicurano in tutto il
Cantone il servizio di guardia medica, nonostante che lo Stato da una
parte imponga alla nostra categoria
con la legge sanitaria compiti gravosi, e dall’altra abbia ormai da anni
tagliato i sussidi minimi per coprire
almeno le spese di organizzazione
del servizio di guardia medica.
Tramite i Circoli Medici si è provveduto ad assicurare la disponibilità di
tutti i medici indistintamente, specialisti compresi, potenziando il servizio
di guardia medica che ormai è attivo
sulle 24 ore, giorno, notte e festivi
compresi, in tutto il territorio cantonale.
Una novità interessante, tutta da
verificare, sarà rappresentata dall’apertura dei Pronto Soccorso degli
ospedali pubblici e delle cliniche private ai medici esterni.
Grazie all’impegno dei Circoli Medici
è stato così possibile mettere a punto, in tempi da record, un dispositivo
di emergenza che, attraverso l’impegno ed il sacrificio di tutti i medici,
potrà continuare ad assicurare gli alti
standard di assistenza sanitaria, cui
ormai la nostra popolazione è abituata, anche in una situazione di
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emergenza come una possibile pandemia.
Il dispositivo, insomma, è pronto ed
articolato in maniera flessibile, in
modo da far fronte ad ogni possibile
scenario, anche se nessuno si augura
che si debba arrivare ad aprire i pandicentri.
Un sentito grazie ai colleghi per aver
onorato la nostra professione, superando inevitabili resistenze e vecchie
incomprensioni.
Spetta ora ai politici dimostrare con i
fatti di aver compreso la lezione e di
onorare gli impegni presi verso la
nostra professione.
Vincenzo Liguori
Presidente Commissione Picchetti OMCT
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SEZIONE SCIENTIFICA
LEUCEMIA MIELOIDE
CRONICA: SINTESI
DI VECCHIE E NUOVE
CONOSCENZE
M. Motta, L. Leoncini
Caso Clinico
Donna di 31 anni da circa 2 mesi astenia, episodi di ”testa leggera” e scotomi, comparsa di ematomi spontanei e
in seguito a traumi alle estremità, aumento del flusso mestruale negli ultimi
4 mesi. La stessa nega diminuzione
della vista o difficoltà nell’eloquio. Calo ponderale negli ultimi 2 mesi, in parte dovuto a una dieta, riferisce inoltre
un senso di sazietà precoce. All’esame
obiettivo: splenomegalia palpabile a 3
cm dall’arco costale, assenza di linfadenopatie, non epatomegalia. L’emocromo di circa 1 anno fa mostrava i seguenti valori: WBC 12.6x109/l e HTC
46%; attualmente: WBC 12.2x109/l,
HTC 36%, MCV 93 fl, Tc 2’778x109/l
neutrofili 7.32x109/l, Ly 2.93x109/l, monociti 0.85x109/l, eosinofili 0.12x109/l,
e basofili 0.98x109/l. L’analisi molecolare del sangue periferico è risultata positivo per BCR-ABL(e13a2).
Introduzione
La Leucemia Mieloide Cronica (LMC) si
caratterizza come un disordine clonale
delle cellule staminali dovuto a una
traslocazione bilanciata tra il braccio
lungo del cromosoma 9 e cromosoma
22 [t(9;22)(q34;q11)] noto anche come Cromosoma Philadelphia (Cr Ph).
L’incidenza annuale di questa malattia
è di 1.6 casi/100.000/ anno; con un
rapporto M/F di 1.3:1 e l’età media alla diagnosi è tra i 50-60 anni. Le LMC
rappresentano circa il 15-20% delle
leucemie nell’adulto. Questa malattia
si caratterizza clinicamente per la presenza di splenomegalia, sintomi da
ipercatabolismo e iperplasia mieloide.1
stadio, quando presenti, come illustrato nel caso clinico precedente, sono
principalmente dovuti all’ipercatabolismo, alla splenomegalia, all’anemia
e/o alla disfunzione dei trombociti.
Patogenesi
La scoperta del Cr. Ph risale al 1960 ma
il meccanismo molecolare è stato compreso solo circa 15 anni fa. Nella figura A è rappresentata la patogenesi
molecolare del Cr Ph nella LMC.
La proteina chimerica (p210) che deriva dalla t(9;22) agisce a livello di vari
segnali intracellulari e promuove la leucemogenesi attraverso modifiche nella
proliferazione cellulare, apoptosi e interazione dei leucociti con la matrice
cellulare.2 (figura B)
Caratteristiche clinicolaboratoristiche della fase cronica
Circa il 90% dei pazienti con LMC si
presenta in fase cronica e di questi, il
20-45% è asintomatico; il riscontro è
spesso incidentale. I sintomi in questo
Fig. A: Patogenesi molecolare della
t(9;22)(q34;q11) nella LMC.
Fig. B: effetti a cascata di BCR-ABL.
74 OTTOBRE 2009
TRIBUNA MEDICA TICINESE
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SEZIONE SCIENTIFICA
Laboratorio
Fase cronica:
astenia
calo ponderale
sudorazioni notturne
dolori addominali
senso di sazietà precoce
palpitazionie/o dispnea
sanguinamenti
priapismo
Fase accelerata:
splenomegalia progressiva
calo ponderale e sudorazioni
febbre o dolori ossei inspiegati
cloromi
Fase blastica:
sanguinamenti
infezioni
sintomi costituzionali
splenomegalia massiva
manifestazionitissutali di malattia
extramidollare (epatomegalia,
linfoadenopatie, cloromi)
Classificazione WHO
leucocitosi neutrofila con elementi immaturi
blasti sangue periferico<10%
trombocitosi
basofilia e/o eosinofilia
anemia normocitica
basso “score” della fosfatasi alacalina
aumento LDH, iperuricemia
riarrangiamento del BCR-ABL
iperplasia della megacario-mielopoiesi
midollare con fibrosi moderata, blasti<10%,
minima displasia, t(9;22)± altre anomalie
evoluzioni del cariotipoblasti midollari o periferici>10%
blasti e promielociti≥20%
basofilia+eosinofilia≥20%
Tc<100x10^9/l
blasti periferici o midollari 10-19%
basofili nel sangue periferico=20%
Tcpenia persistente (<100x10^9/L), o
persistente Trombocitosi (>1000 x10^9/L) non
responsiva alla terapia
blasti midollari o periferici ≥20%
blasti midollari o periferici ≥20%
proliferazione di blasti extramidollar
Tab. 1: Caratteristiche clinico-laboratoristiche della LMC.
Le alterazioni del sangue periferico salienti sono la neutrofilia e la presenza
di cellule mieloidi immature; più del
50% dei pazienti si presenta con una
leucocitosi (WBC>100000). Anche la
basofilia è comune (14% dei pazienti
ha più del 6% di basofili in periferia);
l’anemia può essere presente in più del
50% dei pazienti e la trombocitosi nel
15-35% dei casi. L’esame morfologico
del midollo in fase cronica mostra una
iperplasia mieloide con elevato rapporto M/E (spesso >10:1); la maturazione
dei precursori mieloidi è normale; si ritrova frequentemente un aumento
della fibrosi reticolare. (figura C)
Le caratteristiche clinico-laboratoristiche della LMC in fase cronica sono riportate nella tabella 1.
Diagnosi differenziale
La diagnosi differenziale di una neutrofilia con o senza trombocitosi include
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TRIBUNA MEDICA TICINESE
alterazioni midollari primitive o secondarie. Una neutrofilia secondaria si può
riscontrare in caso di infezioni/infiammazioni, altri stress fisiologici, asplenia
e in caso di assunzione di determinati
farmaci (corticosteroidi, litio, G-CSF).
Cause primarie, non maligne, di neutrofilia non sono comuni e includono
la neutrofilia ereditaria, il difetto di
adesione leucocitaria e la neutrofilia
idiopatica cronica. Tra le maggiori cause maligne di neutrofilia ci sono le neoplasie mieloproliferative non LMC:
trombocitemia essenziale (TE), policitemia vera (PV), mielofibrosi (MFI).
Nel sospetto di una LMC il test più veloce e dirimente è l’analisi molecolare
per la ricerca di BCR-ABL. Sebbene la
positività per il trascritto BCR-ABL confermi la diagnosi di LMC, per una stadiazione completa della malattia è
sempre necessaria una valutazione midollare per stabilire la percentuale di
blasti e per valutare, tramite esame ci-
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Fig. C: sangue periferico e aspirato midollare
di una LMC.
SEZIONE SCIENTIFICA
togenetico, la presenza di anomalie
aggiuntive.
Decorso, prognosi e caratteristiche
della malattia avanzata
Dopo la diagnosi, la fase cronica rimane stabile per alcuni anni prima di
evolvere in una fase accelerata o crisi
blastica. La percentuale di trasformazione in crisi blastica è del 5-10% per
anno durante i primi due anni dalla
diagnosi per poi aumentare del 25%
per anno. Prima dell’era Imatinib (inibitore della TK), i pazienti che non venivano sottoposti ad allotrapianto avevano un sopravvivenza mediana di 5-7
anni; allora i modelli prognostici (1984
Sokal; Gratwohl 1998; Hasford 1998)
erano molto utili per predire una breve
sopravvivenza e di conseguenza decidere l’approccio terapeutico. Tali modelli sono attualmente in corso di rivalutazione ma alcuni studi suggeriscono
che il più vecchio tra questi modelli
(Sokal) può comunque essere utile per
predire la probabilità di ottenere una
remissione citogenetica nei pazienti
trattati con Imatinib (figura D).
La fase accelerata della LMC è accompagnata dall’acquisizione di lesioni
molecolari aggiuntive, instabilità genomica e progressivo peggioramento della differenziazione mieloide con accumulo di precursori mieloidi immaturi e
di blasti nel midollo, nel sangue e in
tessuti extramidollari. I sintomi clinici
associati con la fase accelerata possono anche essere irrilevanti o assenti
(tabella 1). La sopravvivenza mediana,
senza trapianto di midollo o terapia
con Imatinib, è solo di 12-18 mesi.
La progressione della LMC in leucemia
acuta (crisi blastica) evolve solitamente da una fase accelerata ed è definita
da una quantità di blasti ≥20% (tabella 1). Le caratteristiche clinico-laboratoristiche sono riassunte nella tabella
1. Anomalie citogenetiche aggiuntive
alla t(9;22) sono riscontrate nel 6580% dei casi. La sopravvivenza mediana è di 3-6 mesi per i pazienti anziani
e di circa 8 mesi per i giovani adulti.
Fig. D: tasso di risposta citogenetica nei pz con nuova diagnosi di LMC trattati con imatinib 400
mg/die, in accordo con la classe di rischio secondo Sokal alla diagnosi.
Terapia per la fase cronica
Con l’avvento dell’Imatinib, le terapie
standard per la LMC (Interferone,
idrossiurea,…) sono state ormai soppiantate; i risultati dello studio IRIS (5
anni di follow-up) mostrano una differenza significativa in termini di risposta ematologica completa (CHR)
(97%vs 69%) e di risposta citogenetica completa (CCR) (76% vs 14%) rispettivamente per i pazienti trattati
con Imatinib rispetto a quelli trattati
secondo lo standard IFN+Ara C3 (figura E).
Questi risultati si sono confermati anche con l’aggiornamento a 7 anni di
follow-up (OS 86%, CCR 82%)4 (figura F). Realisticamente solo il 25%
dei pazienti con LMC ha l’opportunità
di sottoporsi a un trattamento potenzialmente curativo quale il trapianto
allogenico il restante 75% rimane
escluso per età, comorbidità, mancanza di un donatore. Nella figura G è
rappresentato l’algoritmo proposto
dal National Comprehensive Cancer
Network [NCCN], 2005 e che rappresenta una sintesi delle recenti raccomandazioni.
74 OTTOBRE 2009
Fig. E: studio IRIS. 5 aa di follow up.
Oltre all’Imatinib ci sono oggigiorno altri inibitori della tirosinchinasi quali il
Dasatinib (Sprycel®) e il Nilotinib (Tasigna®). Questi vengono utilizzati quali
terapie di seconda linea in caso di non
risposta o di intolleranza all’Imatinib
(Glivec®).
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SEZIONE SCIENTIFICA
splenomegalia, leucocitosi e trombocitosi; le risposte citogenetiche, con
idrossiurea, sono rare e non vi sono
modifiche del corso naturale della storia della malattia. Analogamente il Busulfano può controllare la iperleucocitosi e la trombocitosi, la splenomegalia
e i sintomi sistemici della fase cronica
ma con efficacia minore rispetto all’idrossiurea e una minor tollerabilità.
Inoltre per gli effetti collaterali cui può
portare (fibrosi polmonare, citopenia
prolungata e aplasia midollare) questo
farmaco è utilizzato solo come terapia
palliativa di seconda scelta. In caso di
splenomegalia dolente e ipersplenismo
possono essere prese in considerazione l’irradiazione splenica o la splenectomia.
Fig. F: IRIS: 7aa follow up.
Terapia per la malattia avanzata
Il trattamento della fase accelerata e
della crisi blastica rimane insoddisfacente. La fase accelerata può rispondere a una chemioterapia aggressiva (tipo terapia di induzione per le leucemie
acute) (20-30% di risposte); tuttavia
queste risposte sono spesso transitorie
e seguite da una rapida progressione
in crisi blastica. Il trattamento migliore
rimane ancora una volta l’Imatinib(600mg/d) con una percentuale di
risposta completa ematologica pari al
53%, 10% di risposta morfologica e
19% di ritorno alla fase cronica, risposta citogenetica maggiore (MCR)
24%, risposta citogenetica completa
(CCR) 17%.5 Gli effetti collaterali sono
generalmente moderati e non dose
correlati.
Imatinib può controllare transitoriamente la crisi blastica in una parte di
pazienti.
Fig. G: Algoritmo del trattamento iniziale per LMC in fase cronica.
Cure “palliative”
I pazienti che non rispondono alla terapia con Imatinib (Sprycel o Tasigna) e
che non hanno la possibilità di sottoporsi a un trapianto allogenico posso-
350
TRIBUNA MEDICA TICINESE
no essere trattati con terapie citoriduttive e palliative.
L’Idrossiurea è molto ben tollerata e
può effettivamente controllare alcuni
sintomi e segni della malattia quali
74 OTTOBRE 2009
Resistenza all’Imatinib
Nonostante gli ottimi risultati raggiunti con Imatinib esistono purtroppo casi
di recidiva (sotto terapia) o resistenza a
questo farmaco. Sono stati identificati
diversi meccanismi probabilmente responsabili della resistenza all’Imatinib,
tra questi l’amplificazione del gene
SEZIONE SCIENTIFICA
BCR-ABL e la sovraespressione della
proteina BCR-ABL (10% dei casi); tuttavia il meccanismo principale dell’acquisizione della resistenza sembrerebbe primariamente dovuto a una mutazione puntiforme nel sito di legame tra
la proteina BCR-ABL e il farmaco Imatinib (50-90% dei casi di resistenza).
Le mutazioni associate alla resistenza
all’Imatinib sono una quarantina; lo
sviluppo di queste mutazioni è associato alle fasi della malattia (26% di resistenza nella fase cronica fino al 44%
nella fase accelerata e 70-80% nella
crisi blastica).
Nel caso si sviluppi una resistenza all’Imatinib le opzioni terapeutiche includono le più vecchie ma provate terapie
quali l’IFNα e il trapianto allogenico
(quando fattibile) o l’aumento del dosaggio dello stesso Imatinib. Numerosi
pazienti rispondono all’aumento di dose dell’Imatinib ma le risposte non sono durature.
Sono stati sviluppati nuovi inibitori della TK già in commercio: Dasatinib
(Sprycel)6 e Nilotinib (Tasigna)7. Il primo
non è strutturalmente correlato all’Imatinib e oltre alla ABL chinasi inibisce
la famiglia delle SRC chinasi; il secondo
invece è un derivato dell’Imatinib ma
con attività superiore. Questi due nuovi inibitori, pur essendo attivi in presenza della maggior parte delle mutazioni della TK, sembrerebbero non funzionare in presenza di una mutazione
specifica denominata T315I.
•
•
•
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•
•
•
Approcci futuri
La possibilità di migliorare la risposta
all’Imatinib e la necessità di fronteggiare il fenomeno della resistenza ha fatto si che venissero studiate combinazioni di farmaci quali Imatinib+IFN (studio SPIRIT) o Imatinib +IFN/Ara C (studio GERMAN IV) i cui risultati preliminari sono incoraggianti in termini di risposta e tollerabilità.
fetti biologici della t (9;22) che codifica per la p210BCR–ABLuna oncoproteina di fusione.
La LMC deve essere distinta dalle
forme di neutrofilia reattiva e dalle
leucocitosi associate con altre neoplasie mieloproliferative; la conferma
diagnostica si basa sulla identificazione della t (9;22) mediante analisi
citogenetica o il rispettivo riarrangiamento molecolare BCR-ABL
La LMC presenta 3 fasi (cronica, accelerata e blastica) che mostrano caratteristiche cliniche e laboratoristiche differenti.
Gli altri inibitori della tirosinchinasi
(Dasatinib, Nilotinib) rappresentano
la terapia di seconda linea in caso di
intolleranza o non risposta all’Imatinib.
Imatinib o IFNα (soli o in combinazione con Ara C) possono dare una
risposta citogenetica completa; tuttavia al momento Imatinib è la terapia d’elezione in prima linea con una
risposta citogenetica maggiore o
completa nell’87% dei pazienti.
Il trapianto allogenico rimane una
buona opzione terapeutica per i pazienti giovani ad alto rischio.
Imatinib induce una risposta ematologica e citogenetica nei 2/3-3/4 dei
pazienti in fase accelerata e una risposta ematologica in 1/3 dei pazienti in crisi blastica ma queste risposte non sono durature per cui sono necessarie ulteriori terapie.
L’analisi di biologia molecolare (RTPCR per BCR-ABL) permette la valutazione della risposta al trattamento
con Imatinib e un’eventuale insorgenza di resistenza.
Bibliografia
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update of therapeutic strategies. Cancer.
2003;98:437–57.
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7 Nilotinib (formerly AMN107), a highly selective BCR-ABL tyrosine kinase inhibitor, is effective in patients with Philadelphia chromosome-positive chronic myelogenous leukemia in
chronic phase following imatinib resistance
and intolerance
Hagop M. Kantarjian1, Francis Giles1, et al.
Blood, 15 November 2007, Vol. 110, No. 10,
pp. 3540-3546.
Maddalena Motta, Leda Leoncini
Servizio di ematologiy, Istituto Oncologico
della Svizzera Italiana, OSG Bellinzona
In conclusione
• Le caratteristiche clinico-laboratoristiche della LMC derivano dagli ef-
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TRIBUNA MEDICA TICINESE
351
SEZIONE SCIENTIFICA
EFFETTI
DELL’INTERVENTO
PSICHIATRICO E
FISIOTERAPEUTICO SUI
PAZIENTI PSICHIATRICI
C. Calanchini, G. Colli, P. Iametti,
C. Dal Pont Menerini, A. Tarra
Premessa/Scopi
Questa ricerca – frutto della collaborazione tra i servizi di psichiatria e di
fisioterapia dell’Ospedale Malcantonese di Castelrotto – ha per obiettivo
di valutare l’influenza dell’intervento
fisioterapeutico (effettuato da un’équipe con formazione specialistica in riabilitazione psichiatrica e associato ad
altri interventi) in una coorte di pazienti psichiatrici. Per ragioni metodologiche e deontologiche, non è stato
possibile isolare l’effetto della fisioterapia da quello di altri interventi. I risultati hanno perciò carattere solo indicativo e preliminare.
Popolazione
Il campione comprende 63 soggetti,
39 donne e 24uomini, di età compresa tra i 21 e i 77 anni, cui sono state
diagnosticate una o più affezioni psichiatriche secondo i criteri del ICD-10:
Demenza (tipo Alzheimer o non specificato): 3%
Disturbi del comportamento alimentare: 3%
Psicosi: 5%
Disturbi di personalità (emotivamente
instabile, evitante, dipendente, schizoide, narcisistico): 14%
Dipendenza: 15%
Disturbi ansiosi: 22%
Disturbi dell’umore: 38%
Metodologia
Al campione studiato sono stati somministrati due questionari: A (31 domande e uno spazio per osservazioni)
prima dell’inizio del trattamento; B
(30 domande e uno spazio per osservazioni) pochi giorni prima della dimissione.
In essi viene spiegato che si desidera
ottenere informazioni sullo stato
psicofisico del paziente, con particolare riferimento alle sette “aree” seguenti:
Dolore (presenza, localizzazione, intensità, stabilità, rappresentazione,
vissuto, tentate soluzioni per ridurlo
vedi combatterlo).
Tensione (idem, tranne “vissuto”).
Umore (sensazioni, stato d’animo e
sua stabilità nel mese precedente la
compilazione dei due questionari).
Emozioni (loro identificazione e loro
manifestazioni).
Socievolezza.
Immagine di sé (descrizione del proprio
aspetto e della propria personalità).
Aspettative nei confronti del trattamento fisioterapeutico (questionario
A) risp. sua valutazione globale (questionario B).
Le domande formulate sono di 3 tipi:
aperte, chiuse, a scelta multipla (in alcuni casi con indicazione del numero
massimo di risposte possibili).
Le informazioni così ricavate sono state valutate statisticamente con i test
χ2 e il τ di Student per evidenziare le
differenze significative tra i questionari A e B.
Risultati
Considerazioni generali
Per semplicità e brevità, abbiamo scelto di riportare i risultati più importanti in forma di istogrammi.
82% del campione studiato lamentava “dolore” al momento dell’ammissione allo studio (che, in pratica, coincideva con l’ammissione nel servizio
di psichiatria. Questo sintomo, globalmente, era significativamente ridotto
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al termine del trattamento (e della
degenza) (figura 1).
Fig. 1: Il dolore
Le zone più spesso colpite comprendono il cinto scapolare e il dorso. Altre parti sono interessate, seppur meno frequentemente. La risposta al
trattamento appare variabile in funzione delle parti dolenti (figura 2).
Fig. 2: Zone del corpo colpite dal dolore
L’intensità del dolore varia nel corso
della giornata: all’inizio del trattamento è tendenzialmente maggiore
la sera; a trattamento concluso, l’in-
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353
SEZIONE SCIENTIFICA
tensità maggiore si rileva (tendenzialmente) il mattino. Da questo punto di
vista, il momento dichiarato come di
maggior benessere è la notte, seguita
dal pomeriggio.
Prima del trattamento, per il 67% degli intervistati il riposo (in alternativa al
movimento) attenua il dolore; dopo il
trattamento, ciò vale per il 54% (n.s.).
Inoltre, inizialmente il movimento è vissuto come un piacere dal 33%, a trattamento concluso dal 48% (p0.05).
Tra le situazioni in grado di esacerbare il dolore figurano inizialmente, in
ordine di importanza decrescente,
l’attività sportiva, il camminare e gli
appuntamenti importanti. A fine trattamento, camminare diventa il fattore
“algogeno” meno importante.
Nel questionario A, 34% del campione avvertiva il dolore come costante,
66% come intermittente. Nel questionario B, il dolore costante è denunciato dal 18% del campione soltanto (figura 3).
associare il dolore a un episodio particolare, oppure di non desiderare ricordare questa circostanza. I rimanenti (48%) menzionano essenzialmente
tre circostanze: infortuni, attività fisica, patologie organiche.
Gli intervistati fronteggiano il dolore
fisico ricorrendo a due “strategie”:
“risorse interne” per il 59% (praticare attività piacevoli come leggere,
ascoltare musica, stare a contatto con
la natura, cercare contatto e condivisione con persone amiche, riposare),”risorse esterne” per gli altri (farmaci, fisioterapia, consulto medico).
Il questionario A (domande 13-18) indica che 58 soggetti (=93%) lamentano “tensione”; nel questionario B
il numero scende a 30 (=47,8%) (figura 4).
Fig. 4: La tensione
Fig. 3: Stabilità del dolore
Anche la “qualità” (“peso”, “irritante”, “tensione” “debilitante”) del dolore presenta una certa trasformazione: al termine del trattamento, “tensione” è scesa dal 25% al 9%, “debilitante” dal 25% al 13%.
Oltre la metà (52%, di cui 61% donne) degli intervistati dichiara di non
354
TRIBUNA MEDICA TICINESE
Inizialmente, la tensione viene avvertita (in ordine decrescente) alle spalle,
in zona cervicale, in zona dorsale, alla testa e allo stomaco. A trattamento concluso, spalle e zona cervicale
sono meno colpite della zone dorsale
(invariata). Lo stomaco continua ad
essere sede di tensione, pur venendo
segnalato in misura leggermente inferiore (-7%).
Nel questionario A, il 52% del cam-
74 OTTOBRE 2009
pione giudica la tensione tra “media”
e “grave”; solo per 11% essa è “lieve”. Nel questionario B, 58% degli intervistati la giudica invece “media”o
“lieve”.
Tra le strategie applicate per fronteggiarla, le “risorse interne” prevalgono con 72% di preferenze su
quelle “esterne” (28%), in altri termini il 48% ricorre ad un’autoterapia e il 34% fa ricorso ad una terapia specialistica, mentre il 28% fa
capo ad entrambe le modalità terapeutiche.
Secondo gli intervistati, la tensione è
aumentata da (in ordine decrescente
di importanza) situazioni sociali, ansia
da prestazione, eventi negativi. Nel
questionario A, per 5% non vi sarebbe alcuna relazione con fattori scatenanti; questa percentuale scende al
2% nel questionario B.
A livello “qualitativo”, la tensione è
vissuta come “blocco” (38%), “peso” (32%), rigidità (27%).
Le strategie utilizzate per rilassarsi sono “risorse interne” (48%) prevalentemente “attive” (ginnastica, contatto con la natura o con animali domestici, cucire, leggere, cucinare, shopping, ecc.), “risorse esterne” (34%)
prevalentemente “passive” (massaggi, reiki, pranoterapia, ecc.) o combinazione delle due (18%). Non si registrano variazioni significative tra i
questionari A e B.
A trattamento concluso, vengono segnalate nuove modalità di rilassamento: nuoto, “respirazione”, visualizzazone, attività fisica in genere.
Nel questionario A, la rappresentazione del corpo ha, per il 74% degli
intervistati, connotazione negativa, e
viene resa con espressioni come “a
pezzi”, “pesante”, “impacciato”,
“indolenzito”, “stanco”, “teso”, ecc.
Nonostante ciò, il 53% ammetteva di
avere provato nell’ultimo mese (sia
prima che dopo l’inizio del trattamento), sensazioni fisiche piacevoli.
A trattamento concluso, la rappresen-
SEZIONE SCIENTIFICA
tazione del corpo è migliorata, le connotazioni positive passano dal 26% al
44% e compaiono espressioni nuove: “leggero”, “sciolto”, “piacevole”,
“sano”, “agile”, “magro” (figura 5).
stesso giorno nel 22%, da un giorno
all’altro nel 43% dei casi. I rimanenti
segnalano per la metà oscillazioni a ritmo settimanale, per la metà a dipendenza da fattori esterni, positivi o negativi, e quindi senza ritmicità. Nel questionario B l’umore è definito stabile
nel 69% dei casi; le oscillazioni ancora
segnalate sono a fasi più lunghe; rimane la dipendenza da fattori esterni.
Fig. 5: Rappresentazione corporea
La percentuale di chi ammetteva sensazioni fisiche piacevoli nel corso dell’ultimo mese saliva a 71%.
primo questionario – di non manifestare le emozioni provate, bensì di cercare di nasconderle. Questa percentuale
scende a 69% nel secondo questionario (figura 9). La differenza è statisticamente significativa (p0.01).
Fig. 9: Emozioni
Si è cercato di ottenere informazioni
sulla rappresentazione di sé chiedendo agli intervistati di elencare,
spontaneamente e senza lunga riflessione, quattro aggettivi. Nel questionario A, 12% dei soggetti utilizza
esclusivamente aggettivi negativi,
34% esclusivamente aggettivi positivi. Il rimanente 54% combina aggettivi positivi e negativi. Questa autovalutazione rimane sostanzialmente invariata nel questionario B (figura10).
Fig. 7: Umore
Fig. 6: Umore
La figura 7 illustra l’umore degli intervistati prima del trattamento, la figura 8 a trattamento concluso. Come
si vede, se inizialmente troviamo solo
connotazioni “patologiche”, alla fine
compaiono anche espressioni positive
e “normali”, come “contento”, “sereno” o “sollevato”.
Nel questionario A, il 56% degli intervistati segnala oscillazioni dell’umore
che possono avvenire nel corso dello
Fig. 8: Umore
All’entrata, le emozioni segnalate con
maggior frequenza sono tristezza
(43%), ansia (32%) e paura (22%). Alla fine della degenza esse sono ancora
registrate, ma in percentuali inferiori:
28%, 24% e 12%. Emergono invece
nuove emozioni non menzionate prima: rabbia (26%) e gioia (21%).
88% degli intervistati dichiara – nel
74 OTTOBRE 2009
Fig. 10: Rappresentazione di sé
TRIBUNA MEDICA TICINESE
355
SEZIONE SCIENTIFICA
L’”area” della socializzazione è stata esplorata con domande a proposito 1) dei vissuti al momento dell’incontro con una persona sconosciuta,
2) della relazione con un gruppo di
persone conosciute e 3) dell’interazione con un gruppo di sconosciuti.
Per quanto riguarda 1), in base al
questionario A gli intervistati si dividono in due gruppi: il primo (54%) dichiara di provare disagio ma di sforzarsi di entrare in contatto con la
“persona nuova”; il secondo (46%) si
dice invece a proprio agio e ben disposto al contatto. Nel questionario B,
questa posizione sale al 59%, una
tendenza che però non è statisticamente significativa.
Nel questionario A, il vissuto a confronto con un gruppo conosciuto è
descritto come “tranquillo (47%),
“contento” (29%), “ansioso” (18%);
il 4% segnala sentimenti di diffidenza. Il questionario B non evidenzia
mutamenti rilevanti.
Il confronto con un gruppo sconosciuto, invece, è inizialmente fonte di
ansia (44%), nervosismo e agitazione
(32%) e diffidenza (15%). 5% si dichiara tranquillo, percentuali inferiori
(1-3%) triste, contento, indifferente e
altro. Nel questionario B si registra
una tendenza alla riduzione per ansia
(35%), nervosismo e agitazione
(28%) e diffidenza (10%). Il vissuto di
“tranquillità” passa al 9%. Queste
differenze non sono statisticamente
significative. 13% si dice “contento”,
il rimanente 5% (“altro”) segnala vissuti di curiosità, disponibilità, ecc.
Le aspettative rispetto al trattamento fisioterapico sono di quattro tipi:
1) effetto a livello mentale (“serenità”, “tranquillità”) – 4%
2) effetto sintomatico (“camminare
diritto”,“guarire dal male al ginocchio”, ecc.) – 19%
3) effetto combinato (“stare meglio
col corpo e con la mente”, “riequilibrio psico-fisico”) – 31%
4) effetto non specificato (espressioni
356
TRIBUNA MEDICA TICINESE
generiche come “star bene”, “migliorare”, “modellare il mio essere”) – 56%
Nel fisioterapista, gli intervistati sperano di trovare qualità personali come
“gentilezza”, “simpatia”, “discrezione” (30%), professionali (competenza e professionalità – 29%) o entrambe: il 39% si aspetta un terapista
“bravo e simpatico”, “professionale
ma anche gentile”(figura 11).
ecc.), le qualità personali sono sottolineate dal 19%, quelle professionali
dal 9%.
Fig. 12: Valutazione globale
Fig. 11: Aspettative
La valutazione globale dell’intervento fisioterapico è positiva nel 91% dei
casi. Ricorrono espressioni come
“buono”, “ottimo”, “sono contento
della fisioterapia”, “gli esercizi respiratori mi aiutano molto”, “fanno bene il
loro lavoro”, “positivo per tutto”. I
giudizi negativi sono legati a risultati
insoddisfacenti: “mi sento come prima”, “il mio mal di schiena è ancora
uguale”, “non ho sentito un gran
cambiamento”.
A proposito delle caratteristiche del fisioterapista, la combinazione di qualità professionali e umane è apprezzata
dal 72% degli intervistati (“professionali e gentili”, “competente e brava
persona”, “simpatica, ma anche brava nel suo lavoro”, “disponibilità, professionalità, ascolto e gentilezza”,
“accoglienti, gentili e professionali”,
74 OTTOBRE 2009
Fig. 13: Valutazione dettagliata
Discussione
I limiti di questo lavoro sono facilmente identificabili: abbiamo preso
in considerazione una coorte eterogenea per sesso, età e patologia; essa è stata oggetto di approcci terapeutici integrati e personalizzati, praticati da operatori che si distinguono
per modalità di lavoro assai diversifi-
SEZIONE SCIENTIFICA
cate. Le terapie farmacologiche somministrate non sono state standardizzate e hanno risentito delle esperienze e (conseguenti) preferenze dei medici prescrittori; se è vero che ogni
“intervistato”, nel corso della degenza, è stato oggetto anche di interventi psicoterapici, è altrettanto vero
che questi spaziano dal semplice “sostegno” – nel colloquio medico, ma
anche in quello con il personale infermieristico – all’intervento cognitivo, dall’incontro famigliare al colloquio a orientamento psicoanalitico,
ecc. L’intervento psichiatrico-psicoterapeutico integrato deve in ogni caso
tenere conto delle caratteristiche e
delle possibilità (rispettivamente dei
limiti) del paziente, in modo da –
idealmente – massimizzare i benefici
minimizzando i costi, in termini di durata della degenza, assenza dal posto
di lavoro, oneri gravanti sulla famiglia
e così via.
È risaputo che la malattia psichica è,
contemporaneamente, sofferenza
somatica. Dolore e depressione, per
fare un esempio ovvio, sono molto
spesso associati, e ogni medico di famiglia sa quanto il contesto relazionale ed emotivo in cui il paziente vive
influisca sulla qualità e sulla quantità/gravità dei sintomi. Il corpo è, in
molti casi, lo schermo su cui i disagi
intrapsichici e interpersonali si proiettano, perdendo (almeno in parte) il
contatto con le cause originarie e assumendo così quegli aspetti “misteriosi” che – in una medicina sempre
più tecnologica come la nostra –
spesso portano il paziente a sottoporsi a una lunga serie di esami diagnostici, con il rischio (che non risparmia noi medici) di “fissarsi” sul
referto organico, sia su quello effettivamente trovato (talvolta un valore
biochimico occasionalmente un po’
alterato diventa il focus dell’attenzione del paziente – e un metodo per
“non guardare oltre”) sia su quello
che “per ora” non è stato trovato,
ma che la prossima indagine ultratec-
nologica sicuramente non mancherà
di scoprire...
Il nostro “studio osservazionale”, a
confronto con gli attuali standard di
ricerca, è, riconosciamolo, rudimentale. La “tecnologia” utilizzata è stata essenzialmente la valutazione clinica, in base alla quale è stata formulata l’indicazione a una strategia terapeutica che ha compreso anche la fisioterapia. Per isolare l’effetto specifico di quest’ultima, sarebbe stato necessario contrapporre al gruppo esaminato un secondo gruppo, randomizzato, trattato con le stesse modalità ma senza intervento fisioterapico.
A nostro avviso, ciò non sarebbe eticamente proponibile. L’orientamento
integrato, psicosomatico, che prevale
nella nostra attività ritiene che in una
larga maggioranza della casistica l’intervento sul corpo sia utile, se non indispensabile e che privarne un gruppo di pazienti a scopo “di ricerca” sia
incompatibile con il mandato terapeutico di un istituto come l’Ospedale Malcantonese.
Date queste premesse, è chiaro che i
risultati ottenuti nell’elaborazione dei
questionari non possono avere che
un valore indicativo.
Il risultato più evidente è il vasto apprezzamento che l’intervento fisioterapico ha ottenuto. Ciò non poteva
essere dato per scontato; non sono
pochi infatti i pazienti che (ancora) ritengono mente e corpo, psiche e soma, entità indipendenti (la difficile
eredità cartesiana…). E a questo riguardo, un altro risultato interessante e forse sorprendente è la “cattiva”
rappresentazione iniziale del corpo
contrapposta alla relativamente
“buona” rappresentazione di sé. La
spiegazione di questa discrepanza è
sicuramente troppo difficile e complessa per essere tentata in questa
sede. L’esperienza psichiatrico-psicoterapeutica ci porta a credere che tra
i fattori che ne sono all’origine, un
ruolo importante sia quello della “lettura delle emozioni”, che – come si è
74 OTTOBRE 2009
visto – inizialmente è per molti intervistati più difficile che a trattamento
ultimato. Distinguere i propri vissuti,
le proprie emozioni, è tutt’altro che
facile, e per farlo occorre disporre dei
concetti e del vocabolario adeguati,
oltre che di una capacità di “autoascolto”. Una forma di pensiero concreta (frequente), limiti intellettivi (più
rari) e culturali (legati a scolarità, a
paese e cultura d’origine, ecc.) costituiscono spesso un ostacolo insormontabile. A trattamento ultimato,
la rabbia riveste un’importanza nuova; essa è però, tradizionalmente (soprattutto nella visione stoica, che ha
esercitato per secoli un influsso potente sulla cultura occidentale) un’emozione negativa. Reprimerla è “virtuoso” (oltre che, in molti casi, necessario per evitare guai maggiori…),
ma farlo induce tensione (anche muscolare) e questa, a sua volta, dolore.
Non stupisce troppo, in quest’ottica,
che le parti più dolenti siano la muscolatura del cinto scapolare e della
zona cervicale e dorsale, parti che
verrebbero subito mobilitate (nel vero
senso della parola, in opposizione alla rigidità che invece – nella tensione
e nel dolore – le caratterizza) se si
passasse a un’azione aggressiva. Isolare le emozioni “negative” salvaguarda l’immagine di sé, a scapito
del corpo. Comprenderne la funzione nel contesto biografico del paziente, dar loro il senso e l’espressione adeguati (espressione che ne legittimi o neutralizzi, senza disconoscerlo, il senso e che non peggiori le
cose, p.e. esacerbando conflitti – eteroaggressività – o sensi di colpa – autoaggressività) contribuisce a migliorare la comprensione di sé, l’autostima, l’umore; la gestione di un’emozione fondamentale (su questo concordano i filosofi antichi e le teorie
psicologiche contemporanee) come
la rabbia non può che influire positivamente su aspetti delle relazioni interpersonali, come socievolezza e diffidenza.
TRIBUNA MEDICA TICINESE
357
SEZIONE SCIENTIFICA
Conclusione
Tanto l’esperienza comune quanto
quella clinica insegnano che la vita
emotiva, conscia e inconscia, esercita
un influsso continuo e importante sullo stato corporeo, in un’interazione
che può essere sia positiva che – come nel nostro campione – negativa.
L’intervento fisioterapico si dimostra
un pilastro del trattamento integrato,
favorendo la “lettura” del sintomo
nella sua relazione con l’emotività e
dissociandolo da reazioni o interpretazioni automatiche che non fanno
altro che perpetuarlo. Il paziente acquista maggiore competenza e autonomia nella gestione della propria
sofferenza. Associato agli altri interventi terapeutici, la “fisioterapia in
psichiatria” contribuisce a migliorare
l’autonomia globale del malato. Nel
suo ambito (come d’altronde in ogni
relazione terapeutica) la figura umana
e professionale dell’operatore riveste
un’importanza centrale.
Dr. Carlo Calanchini, Gabriella Colli,
Paola Iametti, Cristina Dal Pont Menerini,
Andrea Tarra1
1Dr.
Carlo Calanchini, Psichiatra e Psicoterapeuta FMH; Gabriella Colli, Fisioterapeuta e arteterapeuta, specializzazione in “Fisioterapia in psichiatria”; Paola Iametti, Psicologa e Psicoterapeuta in formazione; Cristina Dal Pont Menerini, Fisioterapeuta, specializzazione in “Fisioterapia in Psichiatria”; Andrea Tarra, Fisioterapeuta, specializzazione in “Fisioterapia in psichiatria”.
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TRIBUNA MEDICA TICINESE
74 OTTOBRE 2009
SEZIONE SCIENTIFICA
IL MEDICO DI FAMIGLIA
E IL DONO D’ORGANI
S. Martinoli, C. Foletti, G. Lepori
Carenza di organi
I donatori cadaverici sono per lo più da
pazienti deceduti nell’ottantina di reparti di cure intensive degli ospedali
svizzeri. Causa principale di morte sono
le emorragie cerebrali spontanee, seguite a ruota dai gravi traumi craniocerebrali. La diagnosi di morte cerebrale
che precede la domanda degli organi è
una procedura delicata e affidabile,
prescritta dalla legge sui trapianti del
2004 (entrata in funzione solo nel 2007
con le direttive di applicazione). Con essa la diagnosi di morte è addirittura più
sicura, validata e documentata che nei
casi di morte cosiddetta naturale.
Da anni i donatori cadaverici nella Svizzera si aggirano tra gli 80 e i 100 all’anno (grafico 1), un tasso di dono
non particolarmente brillante se valutato nel contesto europeo: siamo infatti all’ultimo posto! La Spagna è al primo posto, con un tasso triplo di quello
svizzero. Anche l’Italia del Nord ha dei
tassi di dono doppi rispetto ai nostri.
Unica eccezione in Svizzera è la generosità dei ticinesi, con dei tassi di dono
mediamente paragonabili a quelli spagnoli.
Nella statistica di Swisstransplant del
2008 (tabella 1), gli ospedali di Lugano e di Locarno hanno procurato ben
13 donatori sui 90 dell’anno.
Grafico 1: Doni cadaverici e doni da donatore vivente in Svizzera (statistica da Swisstransplant).
PMP=pro million population
Il numero di organi procurati dai donatori cadaverici è ben lungi dal soddisfare la domanda di organi: come si vede
nella tabella 2, alla fine del 2008 942
persone aspettavano un organo, mentre 460 l’avevano ricevuto. 62 pazienti
sono morti nel 2008 senza riceverne
uno in tempo…
Tab. 1: Provenienza degli organi cadaverici nel 2008. Su 90 donatori cadaverici in Svizzera,13 provenivano da ospedali del Ticino (Locarno e Lugano)
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SEZIONE SCIENTIFICA
Club Amici di Swisstransplant. Il lavoro di informazione del pubblico e la
buona preparazione delle cure intense
degli ospedali ticinesi sono la chiave
del successo del dono d’organi nel Ticino. Lo studio medico, con la sua presenza capillare sul territorio e il rapporto di fiducia tra medico e pazienti,
potrebbe essere tra i luoghi adatti per
un contributo alla sensibilizzazione dei
potenziali donatori. La forma più semplice è la richiesta di materiale informativo e tessere di donatori a Swisstransplant, da esporre in sala d’aspetto.
Che cosa deve sapere il medico?
Qui di seguito le domande più frequenti poste dai pazienti.
Tab. 2: Alla fine del 2008 erano 942 le persone in attesa di un organo, contro 460 che ne avevano
ricevuto uno. 62 persone sono morte in lista d’attesa.
Questa mancanza di organi ha fatto sì
che i donatori viventi si fanno di anno
in anno più numerosi (grafico 1). Solo
un rene e parti del fegato possono essere trapiantati a partire da donatori
viventi. Il dono del rene da vivo non ha
praticamente mortalità per il donatore, lo si esegue spesso con tecnica mini-invasiva, mentre il dono di metà del
fegato ha per il donatore vivente un rischio di morte attorno all’1%. Tutta la
precedura (schiarimenti preoperatori,
inclusi gli accertamenti psicosociali;
controlli post-espianto e follow-up a
vita, fino agli aspetti giuridico-assicurativi) è regolamentata in dettaglio
dalle direttive della Accademia svizzera delle scienze mediche del maggio
2008.
Si può fare meglio?
È difficile stimare quanti sarebbero i
donatori cadaverici in un anno in Svizzera se si avesse sempre il consenso
del paziente o dei suoi famigliari per
l’espianto e se le cure intense e le zone dell’area critica degli ospedali svizzeri procedessero diligentemente all’identificazione di potenziali donatori
360
TRIBUNA MEDICA TICINESE
cadaverici e al loro annuncio a Swisstransplant. Ce ne sarebbero probabilmente il doppio. Una ricerca dell’USI
(facoltà di comunicazione, Prof
Schulz) si propone di fare luce su questo aspetto.
Il miglioramento del tasso di dono di
organi cadaverici poggia su due cardini. Da una parte è importante che nelle cure intense degli ospedali ci sia la
volontà di identificare potenziali donatori e di porre la domanda per un
eventuale dono ai famigliari (che cosa
voleva il paziente? aveva una tessera
di donatore? si era espresso da vivo?).
Se c’è il consenso, bisogna sapere come procedere ad organizzare l’espianto, una procedura complessa e richiedente ottima formazione del personale medico e paramedico nonché una
organizzazione logistica e strumentale
della sala d’operazione.
Il secondo requisito fondamentale per
un buon tasso di dono è l’informazione pubblica che deve essere continua.
In Ticino viene veicolata con diligenza
dai media nonché dalle associazioni
come l’ATPIR (Associazione Ticinese
Pazienti in Insufficienza Renale) e il
74 OTTOBRE 2009
D: Dottore, vorrei donare gli organi se muoio. Come faccio?
R: Lo dica ai suoi famigliari e se vuole
(ma non è indispensabile), le posso
procurare una tessera di donatore (si
può ottenere in farmacia oppure direttamente
da
Swisstransplant:
www.swisstransplant.org). Nella maggior parte dei casi la tessera non si trova sui pazienti deceduti: la portano solo circa il 10% degli svizzeri. Ma i famigliari si possono sempre contattare
in breve tempo per avere informazioni
sulla disponibilità al dono d’organi.
D: Ma la tessera poi richiede che io
sia annunciato o schedato su un
computer, su una lista. Se poi cambio idea?
R: Non c’è nessuna schedatura, nessuna lista centrale a cui annunciarsi. Il
porto della tessera è un affare personale e facoltativo. La tessera si può
gettare in qualsiasi momento e ai famigliari si può sempre comunicare di
aver cambiato idea.
D: Io però non vorrei dare il cuore
né gli occhi. Come faccio?
R: Sulla tessera di donatore si può scrivere se si vogliono escludere degli organi dalla donazione.
SEZIONE SCIENTIFICA
D: Ma come mai se in Svizzera ci
sono circa 60’000 morti all’anno, i
donatori sono soltanto una novantina?
R: la maggior parte dei decessi non
danno adito all’espianto poiché avvengono in maniera naturale e nella morte naturale (per motivi di tempo) gli organi che si potrebbero espiantare si
“guastano”...
Solo in certe condizioni, quando la
morte avviene all’improvviso, in un
ospedale o vicino ad esso si può mantenere la circolazione degli organi anche se il cervello è morto.
funzioni cerebrali, inclusa quella di pilotare la respirazione. Quando si è
morti cerebralmente, se si spegnesse
l’apparecchio che ci fa respirare artificialmente, dopo qualche minuto si fermerebbe anche il cuore. Proprio questo è il test fondamentale che fanno gli
specialisti sull’eventuale donatore per
vedere se è morto: spengono per qualche minuto la macchina che fa respirare. Se vedono che la respirazione non
riprende spontaneamente, allora è segno che il cervello è morto definitivamente e tutte le sue funzioni sono
spente.
D: Se mi prendono gli organi e non
sono ancora morto?
R: La morte del cervello è una cosa ben
diversa dal coma profondo o dallo stato vegetativo: è definitiva come quando si arresta il cuore. Viene certificata
dopo esami che provano senza margini di dubbio la perdita completa delle
D: Ma c’è il pericolo che i miei organi vengano venduti?
R: Ci sono paesi dove si vendono e
comprano organi, ma non nell’Europa
che conosciamo e tanto meno in Svizzera, dove la legge lo proibisce e lo punirebbe pesantemente. Il dono è gratuito.
I punti chiave
In Europa, la Svizzera è il fanalino
di coda quanto al tasso di dono
d’organi cadaverici
Negli ultimi dieci anni, a fronte di
una “domanda” di organi da trapiantare in costante aumento (lista
d’attesa sempre più numerosa),
l’”offerta” (numero di organi trapiantati da donatore cadaverico) è
stagnante.
Malgrado un aumento dei trapianti di rene e fegato da donatore vivente, il numero di decessi di pazienti in attesa di trapianto non
cessa di crescerere
Parlate ai vostri pazienti, specialmente ai giovani e ai meno “ammalati”, del dono d’organi!
Distribuite in studio il materiale informativo e le tessere di donatore
di Swisstransplant
Se muori non portare in cielo i tuoi organi, ma lasciali sulla terra.
Qualcuno potrebbe averne bisogno…
Sebastiano Martinoli, FMH chirurgia,
Via Moncucco 7, 6900 Lugano
Claudio Foletti FMH medicina generale,
Via S. Gottardo, 6900 Lugano
Giuseppe Lepori, FMH medicina interna,
Via Pioda, 6900 Lugano
Per una statistica completa si consulti il sito
www.swisstransplant.org
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TRIBUNA MEDICA TICINESE
361
SEZIONE SCIENTIFICA - Approfondimento di un caso clinico
LINFONODO
SENTINELLA
NEL MELANOMA.
QUANDO E PERCHÈ
S. Leoni Parvex
Fig. 1: Il protocollo per l’analisi del linfonodo
sentinella prevede l’allestimento di numerose sezioni istologiche per permettere l’identificazione di micrometastasi
Presentazione del caso
Una donna di 49 anni consulta il proprio medico per la comparsa da circa
un anno di una lesione pigmentata al
braccio destro in lenta crescita, pruriginosa e da alcune settimane sanguinolenta a seguito di erosione che non
mostra tendenza a guarigione spontanea. L’esame obiettivo rileva lesione
discromica a margini policiclici lievemente papulosa sospetta per melanoma. Si procede ad exeresi chirurgica
ed esame istopatologico che evidenzia
un melanoma cutaneo a diffusione superficiale con spessore tumorale secondo Breslow di 0,95 mm e livello di
infiltrazione Clark III. La lesione presenta ulcera con crosta fibrinosa, fino
a 2 figure mitotiche per mm2, e aspetti di crescita verticale. Sono assenti infiltrati linfocitici intratumorali, segni di
regressione, angioinvasione e neurotropismo. I margini di exeresi distano 1
mm dal tessuto neoplastico. Si propone l’asportazione del linfonodo sentinella ma la paziente richiede informazioni dettagliate sul significato di questa procedura prima di dare il proprio
consenso.
Discussione
Il melanoma è una neoplasia altamente aggressiva e poco sensibile al-
la chemioterapia, per la quale l’unico
trattamento efficace, unicamente negli stadi precoci, rimane la chirurgia.
In fase metastatica l’arsenale terapeutico è impotente. Per ridurre il rischio di disseminazione, in passato
veniva praticata, in melanomi ritenuti ad alto rischio di progressione, la
linfadenectomia locoregionale profilattica. Trattandosi tuttavia di un intervento invasivo, spesso complicato
da linfedema, esso è stato sostituito
negli anni ’90 dall’asportazione del
linfonodo sentinella (LS).
Nel melanoma di spessore intermedio
(1-4 mm) lo stato del LS costituisce
l’indicatore prognostico indipendente più importante, in termini di sopravvivenza. In effetti per pazienti
con LS indenne la sopravvivenza globale a 5 anni è del 90% contro 72%
Fig. 2:
in caso di LS metastatico. Inoltre vi è
un’associazione significativa tra LS
positivo e metastasi in transito (20%
di probabilità contro 5% per LS negativi). Oltre al valore prognostico riconosciuto, risultati preliminari dello
studio multicentrico MSTL-I1,2 sembrano mostrare un aumento della sopravvivenza libera da malattia a 5 anni nei pazienti che hanno beneficiato
della linfadenectomia complementare per LS positivo, rispetto ai pazienti
che sono stati controllati regolarmente senza asportazione del LS ed hanno avuto la linfadenectomia solo al
momento di una recidiva linfonodale
(78% contro 73%). Non si sono per
contro osservate per il momento differenze significative nella sopravvivenza globale per i due gruppi. La
biopsia del LS ha anche una rilevanza
terapeutica in quanto in alcuni centri
un LS metastatico rappresenta un’indicazione al trattamento adiuvante
con Interferone alfa peghilato3.
La probabilità di metastasi nel LS è
proporzionale allo spessore tumorale
(Breslow). Per un Breslow inferiore a
0.76 mm la probabilità è praticamente nulla; da 0,76 a 1 mm essa è dell’8%; da 1 a 2 mm del 15%; da 2 a
4 mm essa sale al 30% e per melanomi con spessore più di 4 mm la
probabilità di LS metastatico è del
40%. Gli altri parametri istologici
predittivi di LS metastatico sono la
Micrometastasi linfonodale di melanoma visibile con colorazione con eosina ed ematossilinia
e con analisi di immunoistochimica (HMB45)
74 OTTOBRE 2009
TRIBUNA MEDICA TICINESE
363
SEZIONE SCIENTIFICA - Approfondimento di un caso clinico
presenza di un’ulcera e un elevato indice mitotico. Alcuni studi rilevano
anche un possibile ruolo della sede
del melanoma, con un rischio maggiore per il melanoma del tronco rispetto agli arti.
Le indicazioni all’asportazione del LS
sono uno spessore secondo Breslow
di perlomeno 1 mm o uno stadio
Clark di perlomeno IV. Vi sono indizi
attualmente per estendere l’indicazione anche a melanomi ulcerati. Per
melanomi di spessore maggiore a 4
mm le opinioni sono discordanti, tuttavia un recente studio4 non ha mostrato un aumento della sopravvivenza globale dopo asportazione del LS
per questo sottogruppo nel quale il
rischio di metastasi a distanza è comunque elevato; la maggior parte
dei centri non pratica quindi il LS per
melanomi di spessore maggiore a 4
mm. Nel melanoma desmoplastico
puro, l’asportazione del LS è controindicata in quanto questo tipo
istologico molto raramente dà metastasi linfatiche. La presenza di regressione tumorale non costituisce più
un’indicazione al LS5.
Il LS viene identificato mediante iniezione in sede peritumorale, di un colorante blu che diffonde rapidamente
lungo le vie linfatiche, accumulandosi nel primo linfonodo di drenaggio e
colorandolo di blu intenso. Al fine di
aumentare la sensibilità della tecnica,
viene inoltre associato un tracciante
radioattivo, rilevato in preoperatorio
tramite linfoscintigrafia e in seguito
intraoperatoriamente tramite radiosonda. Nel 65% dei casi viene identificato un unico LS, nel 25% se ne trovano due e nel 10%, tre o più. Si
tratta di una procedura poco invasiva, con un tasso di complicazioni minori del 5%, quali ematoma o seroma locale, infezione della ferita, linfedema (1%) o reazione allergica al colorante vitale (1%). L’ipotesi avanzata
di un aumento delle metastasi in
364
TRIBUNA MEDICA TICINESE
transito su ostruzione linfatica dopo
ablazione del LS è stata contraddetta
da vari studi6,7.
In laboratorio la tecnica standard è la
bisezione in senso longitudinale attraverso l’ilo con inclusione separata
delle due metà. Da queste vengono
praticate sezioni seriate e ogni livello
viene colorato con ematossilina eosina e con marcatori immunoistochimici per la ricerca di micrometastasi e
cellule isolate non visibili in colorazione standard.
Per l’analisi istopatologia non sono
ancora state emesse delle direttive
standard ed ogni gruppo segue un
proprio protocollo. Il protocollo
EORTC8 prevede 5 sezioni seriate ad
una distanza di 50 um e ad ogni livello colorazione standard con ematossilina eosina e analisi immunoistochimiche con S100, con l’aggiunta di
HMB45 al secondo livello. Altri protocolli prevedono un intervallo più
grande (250um) e un numero maggiore di livelli fino ad esaurimento del
materiale (protocollo in uso all’ICP).
L’esame estemporaneo del LS, praticato in alcuni centri, è sconsigliabile
poiché diminuisce notevolmente la
sensibilità della tecnica (perdita di
materiale e morfologia mediocre su
sezioni congelate).
Nella maggioranza dei casi la metastasi nel LS si presenta sottoforma di
un gruppetto di cellule o in cellule
singole, mentre una massa voluminosa è un evento piuttosto raro. A differenza di quanto avviene per il carcinoma mammario, nella stadiazione
TNM del melanoma, allo stato attuale, non viene fatta distinzione tra micrometastasi e cellule tumorali isolate
(corrispondono entrambe a uno stadio pN1a) e la maggior parte dei centri pratica la linfadenectomia complementare anche in caso di una singola
cellula metastatica. È da notare tuttavia che solo 20% dei pazienti con LS
positivo mostrano in seguito meta-
74 OTTOBRE 2009
stasi nello svuotamento complementare. Se ne deduce che nell’80% dei
pazienti vi è probabilmente un sovratrattamento proponendo la linfadenctomia radicale. In questo senso
un vasto studio multicentrico (MSTLII, ref 12) sta valutando quale è il diametro limite della metastasi nel LS
sotto il quale si potrebbe rinunciare
alla linfadenectomia radicale.
La biopsia del LS nel melanoma soffre
purtroppo di un elevato tasso di risultati falsamente negativi, cioè di pazienti con LS negativo che sviluppano
in seguito una recidiva nei linfonodi
loco-regionali, variabile da 8% a
13% a seconda degli studi (e maggiore a quello del carcinoma del seno). Le cause sono legate sia ai limiti
della tecnica istopatologia che a
quelli della procedura chirurgica-isotopica. In istologia la causa principale
di risultato falso negativo è da imputare al campionamento incompleto
del linfonodo9, in effetti non è tecnicamente ed economicamente giustificabile un campionamento integrale,
per cui la proporzione di tessuto linfonodale analizzato rimane relativamente bassa. Per quanto attiene alla
tecnica chirurgico-isotopica, le cause
sono da imputare principalmente al
fatto che il drenaggio linfatico della
cute è sottoposto a grandi variazioni
anatomiche che rendono difficile l’identificazione del LS; ad esempio in
melanomi del tronco oltre alle classiche sedi ascellare e cervicale, il LS
può risiedere nelle stazioni para-aortica, retro peritoneale, mammaria interna o in zona intercostale. Per melanomi della testa e del collo uno studio ha mostrato che nel 30% dei casi non erano stati prelevati tutti i LS.
I LS falsamente positivi sono da imputare unicamente all’analisi istopatologica. Uno dei problemi più frequenti è la presenza di cellule neviche, riscontrata nel 15% circa dei LS,
che possono erroneamente venire in-
SEZIONE SCIENTIFICA - Approfondimento di un caso clinico
terpretate come cellule di melanoma.
La distinzione tra cellule neviche e
cellule di melanoma si basa in primo
luogo sulla loro topografia (cellule
neviche risiedono tipicamente nella
capsula e nei setti fibrosi e non nei
seni marginali), inoltre essa ripone
sulla loro morfologia (assenza di pigmento, di atipie e di mitosi), sullo studio comparativo con il tumore primario (che mostra stessa morfologia) ed
infine sull’analisi immunoistochimica.
Sviluppi futuri riguardano le indicazioni della linfadenectomia radicale
per LS positivo. In effetti un recente
studio multicentrico11 ha mostrato
che micrometastasi nel LS di diametro inferiore a 0,1 mm sono associate
a metastasi nella linfadenectomia radicale solo nel 3% dei casi con una
soppravvivenza globale del 91%, vale a dire uguale a quella di pazienti
con LS negativo10,11. Quindi in questi
pazienti si potrebbe rinunciare allo
svuotamento linfonodale complementare (vedi anche primo braccio
dello studio MSTL-II, citato sopra).
Sviluppi sono in corso anche riguardo
il mapping molecolare tramite RTPCR (reverse transcriptase polymerase chain reaction) che permette di
amplificare transcritti (m-RNA) di geni che codificano per antigeni melanocitici quali Tirosinasi o MART-1.
Combinata all’analisi istologica, questa tecnica potrebbe aumentare la
sensibilità di identificazione delle micrometastasi. Per il momento essa è
ancora in fase sperimentale a causa
della mancanza di specificità (elevato
numero di falsi positivi dovuto a cellule neviche intranodali e fasci nervosi), nonché della necessità di tessuto
fresco o congelato e dei costi ancora
molto elevati. Un notevole passo
avanti verso l’introduzione nella routine del mapping molecolare sarà la
possibilità di utilizzare linfonodi sentinella inclusi in paraffina nonché l’introduzione di “multimarkers” cioè di
cocktails di marcatori che permettano di aumentarne la specificità. In
questo senso va il secondo braccio
dello studio MSTLII12 che si propone
di valutare la probabilità di recidiva in
pazienti con LS negativo all’esame
istopatologico ma positivo in analisi
di biologia molecolare; risultati preliminari sembrano mostrare una prognosi simile a quella di pazienti con
LS positivo.
Un altro campo della ricerca sul LS è
lo studio del microambiente immunologico presente nel LS. Le cellule di
melanoma sembrano indurre un’immunosoppressione coinvolgente varie citochine, che si traduce in una diminuzione del numero di cellule presentanti l’antigene nel LS. Quest’ultima faciliterebbe la disseminazione
neoplastica negli altri linfonodi e poi
nel circolo ematico.
Conclusioni
In conclusione, quella del LS è una
metodica poco invasiva di stadiazione del melanoma. Benché non esistano ancora delle linee guida internazionali riguardo le indicazioni ed il
protocollo, essa è considerata attualmente come uno standard nell’approccio prognostico/terapeutico del
melanoma.
Nella paziente in discussione viene
proposta l’asportazione del LS anche
se lo spessore di Breslow è inferiore a
1 mm perché la neoplasia primitiva è
caratterizzata da fattori di rischio per
progressione quali ulcera cutanea e
presenza di figure mitotiche. L’esame
anatomo-patologico del LS non rileva
metastasi. A fronte di una situazione
prognostica favorevole è quindi possibile tranquillizzare la paziente, diminuire la frequenza di controlli clinici e
quindi allentare la tensione inevitabilmente associata ad una diagnosi di
neoplasia maligna. In caso di metastasi invece si sarebbe potuto procedere ad una linfadenectomia loco-regionale a beneficio della sopravviven-
74 OTTOBRE 2009
za priva di malattia e probabilmente,
in base a risultati preliminari, anche
della sopravvivenza globale.
Sandra Leoni Parvex
Istituto cantonale di patologia, Locarno
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TRIBUNA MEDICA TICINESE
365
SEZIONE SCIENTIFICA - Approfondimento di un caso clinico
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366
TRIBUNA MEDICA TICINESE
74 OTTOBRE 2009
SEZIONE SCIENTIFICA - Il caso clinico in 1000 parole
Ipotesi cliniche
COINVOLGIMENTO
CARDIOVASCOLARE
NELLA SCLEROSI
SISTEMICA: UN CASO DI
ANEURISMA DEL SETTO
INTERARIALE
ASSOCIATO AD
ANEURISMA CEREBRALE
M. Oberson, M.C. Arigoni, S. Chevili
Caso clinico
In letteratura vi è un crescente numero di riferimenti con casi di sclerosi sistemica che coinvolgono il sistema
cardiovascolare. Viene qui di seguito
descritto, un caso clinico di una paziente 56enne che presenta un aneurisma del setto interatriale associato
ad un aneurisma cerebrale, ricoverata
per un’aumentata dismotilità esofagea; la paziente presenta caratteristicamente una sclerodermia diffusa con
indurimento cutaneo di tutte le estremità oltre ad una pronunciata sindrome di Raynaud.
Ad un’ecocardiografia transtoracica,
viene messa in luce una cardiomiopatia
ipertrofica1 associata ad un aneurisma
del setto interatriale (ASI) senza evidenza di shunt all’indagine color-Doppler. L’ASI protrude chiaramente in direzione dell’atrio destro con un’oscillazione massima in questa direzione di
10-12 mm (figura A). Un iniziale quadro di ipertensione polmonare a 45
mmHg viene pure messo in evidenza,
nonostante la paziente venga trattata
con Bosentan già da due anni per una
forma severa di sindrome di Raynaud
(figura B). La concentrazione di BNP è
moderatamente aumentata (274 ng/L)
indicando quindi un sovraccarico del
ventricolo destro e/o sinistro.
Fig. A: Ecocardiografia transtoracica con aneurisma del setto interatriale (ASI) che protrude nell’atrio destro (frecce) senza evidenza di shunt all’indagine color-Doppler. L’oscillazione
massima dell’ASI è misurata a 10-12 mm. / AS: atrio sinistro / AD: atrio destro
Fig. B: La manifestazione clinica della sclerosi sistemica alle estremità include la sindrome di Raynaud. La malattia presenta spesso una rapida progressione, e come in questo caso, l’amputazione rimane l’opzione terapeutica finale.
74 OTTOBRE 2009
TRIBUNA MEDICA TICINESE
367
SEZIONE SCIENTIFICA - Il caso clinico in 1000 parole
Come reperto occasionale, viene portato alla luce durante una risonanza
magnetica eseguita per delle cefalee
aspecifiche, un aneurisma cerebrale
delle dimensioni di 10x6 mm, ciò che
potrebbe confermare un possibile
meccanismo fisiopatologico comune
nella sclerosi sistemica che porterebbe
più facilmente alla formazione di
aneurismi2.
Conclusioni
A nostra conoscenza, non vi sono al
momento attuale altri riferimenti in
letteratura che descrivano nella sclerosi sistemica un aneurisma del setto interatriale associato ad un aneurisma
cerebrale. La sclerosi sistemica è una
malattia infiltrativa sistemica che comunemente coinvolge il sistema cardiovascolare; questo caso viene presentato per sottolineare un possibile
legame fisiopatologico tra la sclerosi
sistemica e la formazione di aneurismi
a livello cardiovascolare.
Come descritto da alcuni autori3, il
meccanismo sottogiacente sembrerebbe essere riconducibile ad un’insufficienza del microcircolo che causerebbe delle lesioni ischemiche focali con
conseguente irreversibile sviluppo di
fibrosi. Lo stesso processo potrebbe
quindi essere ipotizzato per le altre
strutture a livello cardiovascolare che
quindi faciliterebbero la formazione di
aneurismi.
Una migliore conoscenza di un possibile coinvolgimento cardiovascolare
di questa malattia è quindi necessaria, dal momento che vi è un aumentato rischio di mortalità; una ricerca
meticolosa per la presenza di aneurismi potrebbe risultare di estrema importanza in pazienti con sclerosi sistemica.
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Ospedale Regionale di Lugano-OIL
368
TRIBUNA MEDICA TICINESE
74 OTTOBRE 2009
SEZIONE SCIENTIFICA - Flash di farmacoretapia
Flash di farmacoterapia è una rubrica
della TMT gestita sotto la responsabilità del Servizio di consulenza sui
farmaci e Centro regionale di farmacovigilanza del Canton Ticino. L’informazione è indipendente dall’industria e mirata a migliorare le conoscenze sull’utilizzo di farmaci nella
pratica quotidiana.
INTERAZIONE TRA
CLOPIDOGREL E GLI
INIBITORI DI POMPA
PROTONICA
R. Bertoli, M. Bissig, E. Bernasconi
Il clopidogrel è un antiaggregante appartenente al gruppo delle tienopiridine, impiegato nella prevenzione di
eventi aterotrombotici in pazienti che
hanno subito un infarto miocardico,
un ictus ischemico o che presentano
un’arteriopatia periferica. Inoltre viene
utilizzato in combinazione con l’aspirina nella sindrome coronarica acuta, in
particolare nei pazienti in cui è stato
impiantato uno stent coronarico.
Il clopidogrel è un prodrug e deve pertanto essere trasformato nel fegato in
metabolita attivo. È infatti il metabolita
attivo che, attraverso l’inibizione selettiva del legame dell’adenosina-difosfato (ADP) al suo recettore piastrinico, e
di conseguenza l’inibizione dell’attivazione del complesso GPIIb-IIIa mediata
dall’ADP, inibisce l’aggregazione piastrinica. Nella trasformazione a metabolita attivo l’enzima CYP2C19 (un
isoenzima del sistema citocromo P450)
gioca un ruolo essenziale. Alcuni studi1,3 hanno dimostrato che nella prevenzione secondaria dell’infarto del
miocardio, i pazienti con un polimorfi-
smo dell’allele del CYP2C19 che comporta una minor attività enzimatica,
presentavano una diminuzione dell’efficacia del clopidogrel ed aumento degli eventi cardiovascolari.
Dato il ruolo essenziale del CYP2C19
nella bioattivazione del clopidogrel,
ogni sostanza che inibisce quest’enzima, ha il potenziale di ridurne l'effetto
antiaggregante piastrinico. Farmaci
noti inibitori del CYP2C19 sono, ad
esempio, la fluvoxamina, il voriconazolo, gli inibitori della pompa protonica
(IPP), il fluconazolo.
Di particolare rilievo, visto l’ampio uso
nella popolazione, sono alcuni studi
apparsi recentemente6,9 che hanno
evidenziato una potenziale interazione
farmacologica fra il clopidogrel e gli IPP
(inibitori appunto, oltre che della pompa protonica, anche del CYP2C19),
con conseguente diminuita efficacia
del clopidogrel e di riflesso rischio aumentato di eventi trombotici (compreso l’infarto acuto del miocardio).
L’esatto meccanismo dell’interazione
tra il clopidogrel e gli IPP non é è chiaro. Una delle ipotesi fra quelle più accreditate è quella di una competizione a livello del CYP2C1911,12, un’altra postula invece un’inibizione del
CYP2C19 da parte dell’IPP che impedisce la conversione del clopidogrel
nella sua forma biologicamente attiva13, una terza suggerisce un possibile coinvolgimento delle p-glicoproteine, responsabili dell’assorbimento intestinale del clopidogrel14. In ogni caso studi in vitro confermano che gli
IPP omeprazolo, esomeprazolo, lansoprazolo, pantoprazolo e rabeprazolo inibiscono l’attività del CYP2C19,
anche se a differenti gradi5.
Per quanto riguarda l’omeprazolo la
capacità di diminuire l’efficacia del clopidogrel è stata dimostrata7,8, mentre
per gli altri IPP, presi singolarmente l’evidenza è meno conclusiva. Uno studio
74 OTTOBRE 2009
comprendente 16’690 pazienti dopo
impianto di stent coronarico8 ha evidenziato un aumento statisticamente
significativo della frequenza della manifestazione di eventi avversi necessitante un ricovero (infarto miocardico,
ictus, angina pectoris instabile o necessità di rivascolarizzazione), nei pazienti con terapia concomitante clopidogrel-IPP (clopidogrel-lansoprazolo
24%, clopidogrel-esomeprazolo 25%,
clopidogrel-omeprazolo 25% e clopidogrel-pantoprazolo 29%), rispetto ai
quelli che utilizzavano unicamente il
clopidogrel (17%). Questi dati suggeriscono un effetto di classe.
Un secondo studio9 ha evidenziato
un aumento significativo del rischio di
eventi avversi cardiovascolari nei pazienti con terapia concomitante clopidogrel-IPP, ad eccezione del pantoprazolo, che sembrerebbe essere l’IPP
con minor potenziale di inibizione del
CYP2C195. Questo studio presenta
tuttavia numerose limitazioni, in particolare non sono stati presi in considerazione altri importanti fattori di rischio per eventi coronarici quali la
pressione arteriosa, iperlipidemia e
fumo10.
Un terzo studio di coorte retrospettivo
comprendente 8205 pazienti, ha valutato gli esiti dell'associazione clopidogrel-IPP rispetto alla monoterapia con
clopidogrel in pazienti ospedalizzati
per sindrome coronarica acuta; ne è risultato un maggior rischio di eventi avversi (morte o nuovo ricovero per sindrome coronarica acuta) nei pazienti
con la terapia combinata7. I dati relativi al lansosoprazolo e pantoprazolo
non sono stati analizzati singolarmente, visto il numero troppo basso di pazienti che ne facevano uso. Sono per
contro stati analizzati i dati relativi all’omeprazolo e al rabeprazolo, per i
quali è risultato un aumentato rischio
di eventi avversi.
I dati clinici sembrano indicare una
possibile differenza nell’effetto esercitato dai singoli IPP sul clopidogrel,
TRIBUNA MEDICA TICINESE
369
SEZIONE SCIENTIFICA - Flash di farmacoretapia
dovuta da una parte alla loro differente capacità di interferire sui citocromi epatici, dall’altra dal loro diverso profilo farmacologico, o a meccanismi non ancora noti. Detta differenza non è però ancora stata dimostrata dai trials sperimentali; sarà quindi il futuro a indicarci se e quale sia l’IPP
che ha un minor influsso sull’effetto
antiaggregante del clopidogrel4.
Nonostante la mancanza di dati conclusivi, resta il fatto del probabile aumento del rischio d’eventi avversi cardiaci in caso di assunzione concomitante di clopidogrel e IPP. Per questa
ragione la FDA statunitense ha pubblicato la raccomandazione ai medici di
rivalutare l’indicazione e quindi la necessità di una terapia con IPP nei pazienti trattati con clopidogrel15. L’autorità europea (EMEA), dopo rivalutazione di tutti i dati disponibili, ha dal canto suo predisposto che tutte le monografie dei medicamenti contenenti clopidogrel debbano essere modificate, al
fine di includere le informazioni riguardanti la potenziale interazione e sconsigliando l’uso concomitante clopidogrel-IPP a meno che ciò non sia assolutamente necessario.
Nei casi in cui sia necessaria un terapia
antacida in pazienti antiaggregati con
clopidogrel, un’alternativa è quella di
prescrivere un inibitore del recettore
H2 (es. ranitidina), che non presenta rischio di tale interazione10.
Un ultimo aspetto apparso recentemente nella letteratura riguarda le implicazioni genetiche individuali legate
all’interazione clopidogrel-IPP. Una piccola parte della popolazione è costituita dai cosiddetti “metobolizzatori lenti”. Costoro sono provvisti di una variante mutata del CYP2C19 e quindi
predisposti ad essere “non responder”
al clopidogrel. Anche per una risposta
definitiva relativa a questo aspetto bisognerà attendere i futuri sviluppi della ricerca.
370
TRIBUNA MEDICA TICINESE
Conclusioni e raccomandazioni
L’interazione tra clopidogrel e un IPP sembra clinicamente rilevante e causare la diminuzione dell’efficacia dell’antiaggregante.
Non è ancora chiaro se ci sono differenze significative tra i singoli IPP.
È raccomandata una rivalutazione attenta della necessità di una terapia
con un IPP in tutti i pazienti trattati con clopidogrel
La prescrizione di un IPP dovrebbe limitarsi esclusivamente alle indicazioni
ufficialmente registrate
Nel caso di assunzione combinata clopidogrel-IPP, la presa dei due medicamenti deve essere distanziata di 12 ore
È raccomandata la valutazione di una terapia alternativa (antacidi, H2-antagonisti).
R. Bertoli1, M. Bissig2, E. Bernasconi1,3
8
1 Servizio di consulenza sui farmaci e Centro regionale di farmacovigilanza, Ospedale Regionale di Lugano, Lugano
2 Servizio Farmacia Ospedaliera EOFARM, Ospedale Regionale di Lugano, Lugano
3 Dipartimento di medicina, Ospedale Regionale di Lugano, Lugano
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SEZIONE SCIENTIFICA - Patologia in pillole
PATOLOGIA IN PILLOLE
Nr. 42
J. Barizzi, Th. Gyr, C. Sessa
Storia clinica
Una donna di 36 anni, nulligravida,
viene sottoposta a intervento laparoscopico d’urgenza per addome acuto.
All’ispezione si identifica una cisti ovarica di aspetto emorragico del diametro di circa 10 cm con rottura della
parete ed emorragia intraddominale,
compatibile con cisti endometriosica
ovarica. Si procede pertanto ad exeresi
della parete cistica preservando il tessuto ovarico.
All’esame macroscopico si osserva
parete di struttura cistica emorragica
con alcuni ispessimenti in prossimità di
una zona lacerata. Istologicamente si
conferma la diagnosi clinica di cisti
endometriosica che tuttavia presenta
atipie epitelialei (figura 1A). Gli aspetti ispessiti della parete presentano
strutture epiteliali tubulari, papillari e
microcistiche (figura 1B) costituite da
epitelio con atipie nucleari e citoplasma chiaro (figura 1C e D).
1a
1b
1c
1d
Indica la diagnosi corretta:
a Endometriosi con segni di luteinizzazione
b Endometrosi atipica
c Adenoma endometrioide
d Carcinoma a cellule chiare in cisti
endometriosica
e Adenocarcinoma endometrioide
dell’ovaia
74 OTTOBRE 2009
TRIBUNA MEDICA TICINESE
371
SEZIONE SCIENTIFICA - Patologia in pillole
Diagnosi
Carcinoma a cellule chiare in cisti
endometriosica
Commento
L’endometriosi viene definita dalla
presenza di ghiandole e stroma di
tipo endometrioide in sede ectopica,
ossia fuori dalla cavità uterina. Si
stima che tra il 5 e il 10% delle
donne in età riproduttiva soffrano di
questa malattia che assume caratteristiche infiammatorie ed è estrogenodipendente. Clinicamente i sintomi
principali sono dolori pelvici cronici,
dispaneuria e infertilità. La malattia si
può manifestare in forma locale e
lieve oppure assumere un decorso
sistemico, cronico e molto invalidante. Clinicamente si distingue tra
impianti endometriosici superficiali
del peritoneo pelvico e delle ovaie
(endometriosi peritoneale), cisti
endometriosiche ovariche (endometriomi), e masse solide e complesse
composte da tessuto endometriosico
frammisto a tessuto fibrotico localizzate tra il retto e la vagina (noduli
endometriosici retto-vaginali) oppure
in altri organi (ad esempio endometriosi intestinale). I differenti tipi di
endometriosi possono essere presenti singolarmente oppure combinati.
Gli aspetti istologici comuni sono la
presenza di ghiandole e stroma
endometriali associati ad infiammazione cronica, emorragia ed eventualmente fibrosi. I processi flogistici
associati ad endometriosi possono
stimolare i nervi pelvici e quindi causare dolori, compromettere la funzionalità tubarica, creare stritture tubariche cicatriziali, diminuire la ricettività
endometriale e quindi impedire lo
sviluppo di oocita ed embrione.
Ci sono diverse ipotesi concernenti la
patogenesi dell’endometriosi pelvica.
Tra le teorie più accettate citiamo la
mestruazione retrograda e la metaplasia celomica. Questi meccanismi
patogenetici non sono mutualmente
372
TRIBUNA MEDICA TICINESE
esclusivi ed ambedue possono spiegare almeno una parte dei casi clinici. L’insorgenza di endometriosi pelvica in giovani pazienti con ostruzione
del canale uterino favorisce la prima
ipotesi. Tuttavia fenomeni di
mestruazione retrograda sono molto
comuni e non esitano necessariamente in endometriosi, ragione per
la quale altri fattori come la risposta
immunitaria della paziente hanno
verosimilmente un ruolo importante.
Per contro la presenza di focolai
endometriosici adiacenti al peritoneo
suggerisce in certi casi fenomeni
metaplastici coinvolgenti eventualmente cellule staminali pluripotenti.
Altri possibili meccanismi patogenetici considerano l’impianto di tessuto
endometriosico dopo interventi chirurgici nonché una disseminazione
vascolare ematolinfatica.
L’incidenza di trasformazione maligna di focolai endometriosici viene
stimata tra 1,1% e 3,0%. Spesso è
necessario un estensivo campionamento di tessuto per documentare in
casi di carcinoma ovarico la presenza
di resti endometriosici nonché un’eventuale zona di transizione tra
endometrio ectopico “normale” e
tessuto neoplastico. È probabile che
il potenziale di trasformazione neoplastica di endometrio ectopico non
si discosti significamente da quello
uterino. Uno studio di popolazione
condotto da un registro tumori coinvolgente più di 20'000 donne con
endometriosi seguite per un periodo
mediano di 11 anni ha stimato un
rischio relativo di 1,9 per sviluppare
un carcinoma ovarico con aumento
fino a 4,2 per donne con lunga storia
clinica di endometriosi. Il fatto che
75% delle neoplasie associate ad
endometriosi insorga nelle ovaie suggerisce una complessa interazione
tra endometriosi e stroma ovarico. A
livello morfologico, in analogia a
quanto si osserva nell’endometrio
uterino, possono essere documenta-
74 OTTOBRE 2009
te delle lesioni preneoplastiche quali
iperplasia ghiandolare complessa atipica. Non di rado il rivestimento epiteliale di cisti endometriosiche appare appiattito e marcatamente atipico
rappresentando pertanto anche un
possibile precursore di carcinoma
invasivo.
L’adenocarcinoma endometrioide e il
carcinoma a cellule chiare rappresentano gli istotipi più frequenti e corrispondono a circa i 2/3 delle neoplasie
insorte in endometriosi. Mentre l’adenocarcinoma endometrioide è la
neoplasia più comune tra le due entità con un rapporto stimato tra 1,3:1
fino a 4:1, è interessante notare che
donne con carcinoma ovarico a cellule chiare presentano focolai endometriosici fino nel 25-30% dei casi, una
frequenza notevolemente più alta di
quella riscontrata con qualsiasi altro
tipo di neoplasia ovarica. Tra gli altri
tumori maligni riscontrati in endometriosi citiamo infine l’adenosarcoma,
una neoplasia rara ma che sorprendentemente viene frequentemente
osservata in un contesto di endometriosi, e il sarcoma stromale di basso
grado dell’endometrio che insorge in
sede extraovarica piuttosto che in
cisti endometriosiche ovariche.
A seguito della diagnosi anatomopatologica la paziente è stata sottoposta ad un intervento di isterectomia ed omentectomia con conservazione degli annessi per il desiderio di
prole della paziente, nonché a “mapping peritoneale”. Istologicamente
non sono stati identificati resti di tessuto neoplastico e le analisi citologiche del lavaggio addominale intraoperatorio non hanno evidenziato cellule neoplastiche maligne. Lo stadio
iniziale alla diagnosi corrisponde
quindi a pT1c (carcinoma confinato
ad una ovaia con rottura della capsula). È stata quindi proposta una chemioterapia adiuvante con carboplatino per 6 mesi. Tre anni dopo la dia-
SEZIONE SCIENTIFICA - Patologia in pillole
gnosi si documenta purtroppo una
progressione della malattia con
metastasi linfonodali sovraclaveari
mediastiniche e metastasi polmonari
multiple, in assenza di recidiva locale.
La paziente inizia un trattamento con
carboplatino e taxolo, di cui riceve 2
cicli con stabilizzazione della malattia. Si aggiunge un trattamento
antiangiogenico con riduzione delle
metastasi polmonari; si evidenzia
però la comparsa di una lesione
osteolitica in C7 per la quale viene
aggiunta una radioterapia antalgica
su campo limitato. Globalmente, si
tratta quindi di un tumore molto
aggressivo e poco chemiosensibile, in
cui forse, possono avere un ruolo
alcuni dei nuovi farmaci a bersaglio
molecolare, quali antiangiogenici e
inibitori dell’enzima mTOR.
J. Barizzi,
Istituto Cantonale di patologia, Locarno
Th. Gyr,
Servizio di Ginecologia, OCL, Lugano
C. Sessa,
Istituto oncologico della Svizzera Italiana,
OSG Bellinzona
Bibliografia
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360:268-279
Somigliana E, Viganó P et al. Association between endometriosis and cancer: a comprehensive review and a critical analysis of clinical
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2006, 101: 331-341
Brinton LA, Gridley G et al. Cancer risk after a
hospital discharge diagnosis of endometriosis.
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572-579
74 OTTOBRE 2009
TRIBUNA MEDICA TICINESE
373
RASSEGNA DELLA STAMPA
Salute sempre più costosa
I costi della malattia sono aumentati del 5,4 per cento nel
2008. Santésuisse punta il dito contro gli ospedali
Berna – I costi della sanità sono aumentati ulteriormente
l’anno scorso in Svizzera e la tendenza continuerà nel
2009. Secondo l'organizzazione degli assicuratori malattia
santésuisse ancora una volta sono stati gli ospedali a contribuire maggiormente al rialzo dei costi. L'associazione
ospedaliera H+ ha respinto le accuse.
In attesa dell'annuncio dei premi assicurativi per il 2010, a
fine ottobre, l'associazione di categoria ha pubblicato ieri le
proprie cifre sull'evoluzione dei costi della sanità nel 2008,
che sono peggiori di quelle presentate in aprile dall'Ufficio
federale della sanità pubblica (Ufsp). Quest'ultimo riferiva di
un +3,9% mentre secondo santésuisse, che calcola in modo
differente, l'incremento di spesa per assicurato è stato del
5,4 per cento (+3,7% nel 2007). Si tratta di un “aumento di
circa 48 franchi al secondo”, ha detto in una conferenza
stampa a Berna il direttore di santésuisse, Stefan Kaufmann.
Per gli assicuratori è chiaro che la principale responsabilità
dell'esplosione dei costi – quasi un terzo della crescita complessiva – è da imputare agli ospedali, dove per le cure
ambulatoriali hanno registrato un aumento di spesa del
12,7%, mentre per quelle stazionarie la progressione è stata del 3,7 per cento. Secondo santésuisse solo per coprire
i costi delle terapie nei nosocomi lo scorso anno sarebbe
stato necessario aumentare i premi del 3 per cento.
E non vi è alcun cambiamento di rotta in vista, osserva
santésuisse. Nel primo semestre 2009 le prestazioni dell'assicurazione obbligatoria sono cresciute complessivamente del 4,1 per cento per assicurato rispetto alla prima
metà dell'anno scorso e per l'insieme dell'anno è previsto
un incremento fra il 3 e il 5%.
Sui premi del 2010, gli assicuratori non hanno voluto fornire alcun ordine di grandezza e si sono limitati ad osservare che “i premi devono coprire i costi” e “se i costi crescono devono crescere anche i premi”. Secondo Stefan
Kaufmann in questi ultimi tre anni la raccolta di premi non
ha permesso di coprire le spese per le prestazioni assicurative; bisognerà quindi che i primi aumentino più dei
costi per recuperare il disavanzo. L'Ufsp in maggio aveva
previsto per il 2010 un incremento dei premi del 15% in
media nazionale. In base ai dati provvisori raccolti fra gli
assicuratori, i siti internet comparis.ch e bonus.ch stimano
rispettivamente un incremento dell'11% e del 17,7%.
In un comunicato, l'associazione che riunisce gli ospedali
svizzeri, H+, osserva che l'esplosione dei premi delle casse
malattia e l'aumento delle spese del settore sanitario sono
due cose ben distinte e che “il problema della crescita dei
premi del 2010 è dovuto agli stessi assicuratori” e non agli
ospedali. Per H+, le casse malattia hanno mantenuto i pre-
382
TRIBUNA MEDICA TICINESE
74 OTTOBRE 2009
mi troppo bassi nel 2008 e nel 2009. Ora l'associazione
ospedaliera chiede di “eliminare stimoli erronei”.
ATS
Cereghetti:
“Infondate le previsioni di comparis.ch sui premi”
Bellinzona – Il servizio di confronto internet comparis.ch
lunedì ha annunciato che l'aumento dei premi della cassa
malattia nel 2010 varierà da cantone a cantone. E per il
Ticino – così come per Ginevra e Neuchâtel – ha calcolato
un aumento medio del 6-7 per cento. Gli assicurati di Uri,
Obvaldo, Appenzello Esterno e Grigioni potrebbero invece vedere il premio salire fino al 16 per cento. Stando al
servizio online l'aumento medio in Svizzera sarà dell'11
per cento. Il rincaro per ogni cantone, segnala infine, è
stato calcolato sulla base dei premi provvisori resi noti da
54 casse malattia presso le quali risulta assicurato il 90 per
cento della popolazione.
L'Ufficio federale della sanità deve ancora pronunciare il
suo responso sui premi di cassa malattia del prossimo
anno, che saranno annunciati nel mese di ottobre. Fino ad
allora l'Ufficio assicurazione malattia del cantone Ticino
non si esprimerà, ci dice il suo capo Bruno Cereghetti. Il
quale tiene però a sottolineare che le proiezioni di comparis.ch non sono attendibili perché non sono stati considerati i dati di tutte le assicurazioni: “Solo a bocce ferme,
quando si saprà cosa avrà deciso l'autorità federale, sarà
possibile fare informazione corretta nei confronti della
popolazione”. Il tema, infatti, è di quelli sensibili e per
Cereghetti simili proiezioni non fanno altro che destare
preoccupazione negli assicurati.
RED.
(“La Regione” 23.09.09)
COMPARIS
In Ticino i premi dovrebbero salire tra il 6 e il 7%
Le casse malati chiedono rincari
fino al 16%
ZURIGO (ATS/RED) Stando al servizio di confronto internet
comparis.ch nel 2010 i premi delle casse malattia aumenteranno in maniera molto diversa fra un Cantone e l'altro.
Gli incrementi più considerevoli (16%) si avranno nei cantoni di Uri, Obvaldo, Appenzello Esterno e Grigioni. A
Ginevra, Neuchâtel e in Ticino si registreranno invece i rincari più contenuti, in media tra il 6 e il 7%. La crescita
media Svizzera sarà dell'11%.
Comparis.ch conferma che, in maniera generale, l'aumento più marcato toccherà Cantoni i cui i premi sono
relativamente bassi (Obvaldo, Appenzello Esterno e Uri) e
continueranno ad esserlo, mentre la crescita meno forte si
avrà in Cantoni che rientrano già tra quelli con i premi più
alti del Paese (Ticino e Ginevra). II rincaro per ogni Canto-
RASSEGNA DELLA STAMPA
ne viene calcolato sulla base dei premi provvisori resi noti
da 54 casse malattia presso le quali risulta assicurato il
90% della popolazione.
Tuttavia, in molti Cantoni in cui gli aumenti dei premi sono
ridotti, gli assicurati possono gioire fino ad un certo punto. Infatti, i premi delle casse malati dei cantoni Ginevra e
Ticino rientrano già tra i più alti di tutta la Svizzera, diversamente da Obvaldo, Appenzello Estemo e Uri, dove gli
assicurati continueranno a pagare premi relativamente
bassi. Le cause di aumenti dei premi così diversificati sono
da ricondurre presumibilmente alla situazione delle riserve
cantonali e all'evoluzione dei costi nei rispettivi cantoni. In
Ticino, secondo le statistiche attuali dell'Ufficio federale
della sanità pubblica, nello scorso anno le prestazioni
pagate dalle casse malati sono cresciute di poco.
(“Giornale del Popolo” 22.09.09)
NAZIONALE
Misure urgenti per arginare l’aumento dei premi-malattia
No al ticket da 30 franchi,
sì al medico per telefono
I deputati hanno bocciato anche un sussidio straordinario
di 2 miliardi, come pure il tentativo dell’UDC di introdurre, per gli assicuratori, la libertà di contrarre; accolto invece il blocco delle franchigie per tre anni. Le misure-cerotto passano ora agli Stati.
È un dibattito che da sempre spacca il parlamento, quello
sui costi della sanità, ma di fronte a una situazione fattasi
ormai estrema – per il 2010 l'aumento medio su scala
nazionale dei premi malattia sarà del 15% – i deputati si
sono quanto meno accordati per una serie di misure
urgenti che agiranno sull'arco di tre anni, fino al 2012.
Non delle vere e proprie soluzioni a un sistema che, così
com'è stato pensato ormai più di 10 anni fa, rivela delle
crepe, ma dei cerotti che potranno almeno tamponare l'emorragia, ha affermato il ministro Pascal Couchepin, e
un'emorragia tamponata significa “una vita salvata”.
Per un pelo, a dire il vero, le proposte urgenti e temporanee non sono state accompagnate da una misura ben più
radicale: i democentristi avrebbero infatti voluto aggiungere al pacchetto la cosiddetta “libertà di contrarre” (gli
assicuratori deciderebbero con quali medici lavorare) a
partire dal 2012. Con 87 voti contro 80 la proposta è stata bocciata, considerata anche la minaccia di referendum
da parte della Federazione dei medici svizzeri (FMH).
Tornando alle misure urgenti, quali quelle accolte e quali
quelle bocciate? In breve: “no” alla tassa da 30 franchi per
visita medica, misura questa da subito invisa alla maggior parte degli attori coinvolti sul palcoscenico sanitario, dai medici
ai politici passando per gli assicuratori. Solo il PLR, durante ll
dibattito, ha difeso l'idea del suo consigliere federale. Con
122 voti contro 50, il Nazionale ha invece accettato l'alternativa formulata dalla sua Commissione, ovvero: il paziente
dovrà pagare il 20% del costo di una visita da uno specialista, il 10% se questa è effettuata da un medico di famiglia.
“No” anche ai 2 miliardi di sussidio federale supplementare per calmierare gli aumenti dei premi: è prevalsa la
vena risparmiatrice dei deputati, secondo i quali il credito
sarebbe stato un contentino amministrativamente gravoso ma senza un reale impatto. Deluso Meinrado Robbiani
(PPD/Tl), secondo cui è irresponsabile non preoccuparsi dei
bassi e medi redditi, in particolare in periodo di crisi: “La
Confederazione non può rifiutare loro 200 milioni quando ha versato miliardi all'UBS”.
“Sì” invece, al medico per telefono: la consultazione telefonica (24 ore su 24, a carico delle assicurazioni malattia)
secondo la Camera bassa dovrebbe essere obbligatoria,
onde evitare tante visite inutili. E “sì” anche al blocco, per
tre anni (il Consiglio federale aveva proposto per due anni)
delle franchigie.
I deputati hanno anche deciso che il governo potrà intervenire – quale “ultima ratio” – sulle tariffe delle cure
ambulatoriali, riducendole del 10% al massimo per un
anno se l'aumento dei costi in un Cantone è superiore di
due punti alla media nazionale.
Alla fine del dibattito particolareggiato, il “pacchetto” di
misure urgenti è stato accolto con 113 voti contro 58. Vi
si è opposta la sinistra. PS e Verdi avrebbero voluto una
“manna” federale che coprisse il totale dell'aumento di
premi; ad esempio, hanno spiegato i deputati rosso verdi,
si sarebbero potuti usare i soldi (1,2 miliardi) ottenuti dalla partecipazione della Confederazione in UBS.
Altre decisioni prese ieri dal Nazionale: con 112 voti contro
62 ha voluto estendere il contributo alle spese di ricovero a
tutte le persone ospedalizzate (attualmente questa tassa è
richiesta soltanto alle persone sole), esclusi i bambini. Con
106 voti contro 61, i deputati non hanno invece voluto sopprimere, come chiedeva l'UDC, gli sconti di premio agli assicurati che beneficiano di un'assicurazione complementare
per ricovero all'ospedale in reparto privato o semiprivato.
Il dossier passa ora agli Stati; i senatori avrebbero dovuto,
in un primo tempo, occuparsi della questione già durante
questa sessione. La Commissione competente ha però
richiesto che le fosse concesso qualche tempo per ragionare su quanto affermato ieri dal Nazionale, e così ha ottenuto di arrivare al voto durante la prossima sessione invernale (novembre). La scaletta resta comunque quella iniziale: le misure dovranno entrare in vigore nel 2010 e restare
valide per tre anni. Poi, è stato auspicato un po' da tutti,
sarà il caso di partorire una riforma, non solo cerotti.
Anna Fazioli
(“Giornale del Popolo” 10.09.09)
74 OTTOBRE 2009
TRIBUNA MEDICA TICINESE
383
RASSEGNA DELLA STAMPA
NUOVA ORGANIZZAZIONE
Medici di famiglia più uniti
I medici di famiglia vogliono aumentare il proprio peso
politico. Per questo hanno fondato ieri a Basilea una nuova organizzazione denominata “Medici generalisti Svizzera”. Alla presidenza è stato eletto Marc Müller, di Grindelwald (BE). Nella nuova federazione confluiscono circa
7.000 dottori, che sinora appartenevano alla Società svizzera di medicina generale (SSMG), alla Società svizzera di
medicina interna (SSMI) e alla Società svizzera di pediatria
(SSP). “Medici generalisti Svizzera” rappresenterà i medici
sul piano sociale, politico e mediatico. I compiti specialistici rimangono alle tre associazioni di categoria. La nuova
organizzazione sosterrà l'iniziativa “Sì alla medicina generalista”, che sarà lanciata il primo ottobre.
(“Giornale del Popolo” 19.09.09)
ASSICURAZIONE MALATTIA
Il Governo ha dato l’ok al calcolo sul reddito disponibile
La riduzione dei premi diventa
più “equa”
I sussidi, sinora calcolati in base al reddito imponibile, dal
2012 – con l’avallo del Parlamento – saranno calcolati su
quello disponibile. Il risparmio sarà di 4,7 milioni, mentre i
contribuenti beneficiari aumenteranno dell’11%. Saranno
avvantaggiate le famiglie, soprattutto quelle monoparentali.
Gli aiuti ai cittadini per il pagamento dei premi di cassa
malati vengono erogati a tutt'oggi sulla base del reddito
imponibile (criterio fiscale). Dal 2012, se il Parlamento darà
il suo avallo, il sistema di calcolo si baserà invece sul reddito disponibile semplificato (criterio sociale), che – in linea
con quanto persegue il Governo con questa modifica di
legge – “garantirà un'equità migliore, mirando meglio gli
aiuti verso chi ne ha bisogno e riequilibrandoli rispetto alle
varie tipologie e dimensioni delle famiglie”, ha osservato la
consigliera di Stato Patrizia Pesenti durante la presentazione del messaggio governativo ieri alla stampa. Oggi agli
aiuti pubblici fanno capo circa 99mila persone (ovvero un
terzo della popolazione) e nel 2008 sono stati spesi complessivamente 234 milioni. Con il nuovo modello la spesa
dovrebbe essere inferiore di 4,7 milioni, anche se su questo punto toccherà al Gran consiglio esprimersi, anche in
risposta a un’iniziativa popolare e una parlamentare, che
chiedono la prima di non ridurre l'ammontare dei sussidi,
la seconda invece di aumentarli di ben 30 milioni. “L'applicazione del nuovo modello tuttavia è indipendente dal tet-
384
TRIBUNA MEDICA TICINESE
74 OTTOBRE 2009
to massimo di sussidi che lo Stato intende dare” ha argomentato ancora Pesenti. A livello invece di beneficiari (contribuenti), con il nuovo sistema il numero aumenta di quasi l'11%. Ci sarà quindi un allargamento dei sussidi ma la
fascia più vicina alla soglia limite per ottenerli prenderà
qualcosa dimeno rispetto a prima.
Il modello utilizzato finora per andare incontro a chi non
riesce a pagare il premio della cassa malati deriva sostanzialmente da motivi di praticità. “Ma è concettualmente
corretto utilizzare un criterio fiscale, quello dell'imponibile,
per determinare una prestazione sociale?” ha fatto notare
Carlo Marazza, direttore dell'Istituto della Assicurazioni
sociali (lAS). Il nuovo modello, basato invece sul reddito disponibile, “garantirà parità di trattamento tra le categorie e
favorirà le famiglie, in particolare quelle monoparentali –
ha spiegato dal canto suo Elena Sartoris, collaboratrice
scientifica del Dipartimento –. Rispetto a prima inoltre, la
quota minima sarà sostituita da una quota di partecipazione proporzionale alla riduzione del premio”.
A Bruno Cereghetti, capo dell'Ufficio assicurazione malattie, il compito di spiegare gli aspetti organizzativi e procedurali, consci del fatto che per partire il 1° gennaio 2012 il
sistema deve essere pronto già all'inizio del 2011. Anche
con il nuovo modello ai potenziali beneficiari sarà recapitato il modulo di richiesta. La riduzione del premio non sarà
più calcolata individualmente per ogni singolo assicurato
che ne ha diritto, ma verrà stabilita in maniera globale per
l'unità di riferimento, e a partire dal dato globale l'importo
sarà successivamente ripartito sui singoli membri.
Sul messaggio il Partito socialista ha già fatto sapere ieri la
sua soddisfazione di massima. Vista l'entrata in vigore solo
nel 2012, chiede di alzare i limiti per i sussidi già per l'inizio del 2010.
(SCA)
(“Giornale del Popolo” 16.09.09)
“Mancano oltre cento medici,
costretti ad assumere stranieri”
Italiani e tedeschi anche il 50 per cento degli infermieri
negli ospedali
“Abbiamo un numero sufficiente di primari, ma ci mancano i medici assistenti: situazione preoccupante vista in prospettiva”, Le parole di Carlo Maggini, direttore dell'Eoc,
fotografano la realtà della sanità ticinese: “I primari, i viceprimari, i medici capiservizio all'Ente ospedaliero sono per
il 90% svizzeri, ma abbiamo serie difficoltà a reclutare
medici assistenti”. Una situazione del tutto simile a quella
degli ospedali del resto della Svizzera. Una fotografia scattata da un'indagine a tappeto realizzata per conto di H+,
l'organizzazione che promuove gli ospedali della Confederazione che promuove gli ospedali della Confederazione.
RASSEGNA DELLA STAMPA
Mancano medici e manca personale infermieristico. Una
situazione critica, che sarà ancora più acuta in futuro, che
non si avverte nella sua drammaticità solo perché si fa sempre più ricorso al mercato estero. “Più della metà dei medici
assistenti che lavorano all'Ente ospedaliero cantonale provengono dall'estero – continua infatti Maggini –, dall'Italia e dalla Germania in prevalenza, e poi da tutto il resto del mondo”.
Si tratta di circa 130 medici assistenti su un totale di 230,
a cui si debbono aggiungere i “quadri”, un centinaio, più
un altro centinaio di capiclinica “al 70% autoctoni”.
Tale situazione è dovuta alla limitata formazione dei medici in Svizzera. “I laureati sono circa 700 l'anno, ma ne
occorrerebbe il doppio”, continua Maggini. Il direttore dell'Eoc individua le cause di questa “crisi” sia nella crescita
della domanda sanitaria (aumentano i pazienti e la richiesta di salute), sia nel nuovo contratto che ha ridotto le ore
di lavoro dei medici assistenti a non più di 50 la settimana.
“Prima superavano le 70”.
A livello Svizzero la carenza di medici negli ultimi due anni è
stata di circa 1200 unità. Tutti reclutati all'estero. Insomma il
numero di posti destinati alla formazione delle sette facoltà
di medicina in Svizzera è insufficiente. Per questo dopo la
Federazione dei medici svizzeri, il Consiglio svizzero della
scienza e della tecnologia, anche gli ospedali chiedono la
revoca del numero chiuso. “Nelle università svizzero tedesche c'è in numero chiuso – fa presente Maggini – e in quelle romande la selezione al primo anno è fortissima: mediamente si presentano 2000 candidati per mille posti: un taglio
netto del 50%”. Le cifre sono chiarissime: occorre il doppio
di medici rispetto a quanti la Svizzera sia in grado di formare. Anche nel settore delle cure infermieristiche oggi tra il 30
e il 40% dei posti è occupato da stranieri. “La carenza di
personale infermieristico si sente in modo particolare nei settori che richiedono una qualifica particolare, penso agli strumentisti di sala operatoria, agli anestesisti, alle cure intense”,
fa presente Gian Luigi Rossi direttore dell'Ospedale civico di
Lugano (Il prossimo 19 settembre organizzerà una giornata
delle porte aperte per far conoscere le professioni sanitarie,
iniziativa congiunta con altri 80 ospedali svizzeri).
È una situazione generalizzata a tutti gli ospedali ticinesi.
“Facciamo ricorso in prevalenza a personale specializzato
frontaliero e straniero” precisa Michele Morisoli, direttore
dell'ospedale San Giovanni di Bellinzona. “Per fortuna siamo al centro dell'Europa e possiamo attingere ad un mercato di lavoro più ampio, altrimenti saremmo davvero in
difficoltà”, aggiunge Luca Merlini direttore della Carità di
Locarno. “Ma la situazione del personale infermieristico
anche se non sufficiente è però meno critica che nel passato – conclude Maggini – perché è migliorata la formazione”. E in questa situazione aumentano le chanches di
realizzare una facoltà di medicina, o di alta specializzazioc.m.
ne medico in Ticino.
(“Il Caffè” 13.09.09)
TICINO PRONTO
Previsto un piano in tre fasi – Giovedì informati i medici
Pronto il modello sanitario
per far fronte alla pandemia
Il Gruppo di coordinamento ha preparato uno schema
capace di seguire e adattarsi all’evoluzione della pandemia. Il pilastro centrale sono i medici di famiglia.
Influenza suina: il Ticino è pronto. Giovedì l'Ufficio del
Medico cantonale e l'Ordine dei medici del Canton Ticino
hanno promosso una giornata di formazione con tutti i
medici attivi per studiare il modello sanitario cantonale nonché la presa a carico dei pazienti durante il periodo di pandemia. Nonostante le proiezioni tranquillizzano un po' tutti
(la suina dovrebbe toccarci nella misura di un'influenza stagionale), tuttavia il modello sanitario è pronto ed articolato
in tre fasi (si vedano i box), che possono attivarsi a seconda
dell'evoluzione della malattia. A tal proposito le autorità
sanitarie, con i partner attivi sul territorio e con i dati statistici “sentinella” monitorano l'evoluzione del numero di
malati valutando così la capacità delle strutture sanitarie di
far fronte alla pandemia. L'obiettivo, fin da ora, è quello di
non sovraccaricarle. E con questo scopo restano di rigore le
principali misure d'igiene che ognuno può adottare (lavare
accuratamente le mani, utilizzare un fazzoletto per tossire o
starnutire, restare a casa se malati, utilizzare le mascherine
in caso di sintomi). Per quanto concerne le vaccinazioni,
sono per ora raccomandate soltanto alle persone a rischio.
Vaccino a fine mese
Ieri il Consiglio federale ha confermato che l'organizzazione della vaccinazione – non obbligatoria – spetta ai Cantoni, e che i costi saranno assunti congiuntamente da Confederazione, Cantoni e assicuratori malattie. L'Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP) ha proceduto all'acquisto
di 13 milioni di dosi del vaccino presso le ditte Novartis e
GlaxoSmithKline. Le dosi saranno fornite a scaglioni a partire dalla fine di settembre; per la vaccinazione la priorità
sarà data al personale sanitario e ai gruppi a rischio, come
donne incinte e le persone affette da malattie cardiache o
polmonari croniche.
Una telefonata al medico
Alto stadio attuate gli studi dei medici di famiglia funzionano normalmente e sono pronti a prendere a carico i
pazienti con sintomi influenzali A H1N1. I pazienti con sintomi influenzali devono contattare telefonicamente il loro
medico di famiglia o il rispettivo sostituto. Solo in sua
assenza o su sua indicazione, possono recarsi in un pronto
soccorso.
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TRIBUNA MEDICA TICINESE
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RASSEGNA DELLA STAMPA
24 ore su 24: via ai picchetti
All'inizio dell'ondata pandemica verrà attivata la fase 2 del
modello: gli studi medici verranno affiancati da un servizio
di picchetto diurno, notturno e festivo sia per adulti che
per bambini. I medici di picchetto procederanno a consultazioni sia in studio che telefoniche ed eventualmente a
domicilio. Nel caso, la lista dei medici di picchetto sarà online su www.ti.ch/influenza.
Pandicentri in 6 Comuni
Se il numero di pazienti dovesse crescere al punto in cui il
servizio di picchetto medico non fosse più in grado di gestire la situazione, saranno aperti 6 pandicentri, che diventeranno l'unico luogo in cui potersi recare in caso di sintomi
influenzali. Il personale sarà formato da medici di famiglia
che a turni si metteranno a disposizione. Sono previsti ad
Ascona, a Biasca, a Bioggio, a Camorino, a Lugano Cornaredo e a Stabio.
(RED.)
(“Giornale del Popolo” 19.09.09)
Un passetto verso gli assicurati
morosi
Commissione degli Stati propone “meccanismo di perseguimento” al posto della sospensione automatica
Berna – La sospensione dell'assunzione delle cure da parte delle casse malattia quando un assicurato non versa i
premi dev'essere sostituita da un meccanismo di perseguimento. La Commissione della sicurezza sociale e della
sanità (Csss) del Consiglio nazionale ha accolto ieri questa
strategia.
La decisione di autorizzare, a partire dal 2006, gli assicuratori a non più rimborsare le fatture di un paziente in
caso di mancato pagamento dei premi ha provocato
un'alzata di scudi. Circa 200 mila persone sarebbero colpite da una sospensione delle prestazioni.
Per attenuare le conseguenze di questa situazione, i cantoni e l'organizzazione delle casse malattia Santésuisse
avevano convenuto in ottobre in linea di principio che i
primi si assumessero l'85% dell'importo dei premi impagati. Le trattative sono state tuttavia sospese in febbraio. I
servizi del ministro Pascal Couchepin e la Conferenza dei
direttori cantonali della sanità hanno dunque riesaminato
la questione.
Il presidente della commissione Jurg Stahl (Udc/Zurigo) ha
detto ieri alla stampa che la commissione sostiene in
generale la nuova proposta. A suo modo di vedere, questa variante costituisce una “via percorribile”. Tuttavia, i
cantoni dovrebbero disporre soltanto di due anni, e non di
cinque, per attuare la riforma.
386
TRIBUNA MEDICA TICINESE
74 OTTOBRE 2009
Il nuovo piano prevede un sistema a cascata che spazia dal
richiamo fino al perseguimento dell'assicurato che non
versa i premi. Il dossier dovrà essere trasmesso al cantone
interessato, che dovrà in tal caso assumersi l'85% dei premi impagati. Quando l'assicurato rimborsa alla cassa
malattia tutto o in parte il suo debito, quest'ultima retrocede al cantone il 50% dei premi arretrati versati dall'assicurato.
La commissione ritiene inoltre che vi sia ancora lavoro da
svolgere per risolvere il problema delle persone che rifiutano di pagare i premi malattia, pur avendo i mezzi finanziari per farlo. Alcuni deputati hanno evocato la possibilità di allestire una lista delle persone recalcitranti. La Csss
intende riesaminare la questione in un secondo tempo.
ATS
(“La Regione” 28.06.09)
Cure, verso il rinvio
Berna – I direttori cantonali delle opere sociali si oppongono fermamente all’entrata in vigore del nuovo ordinamento sul finanziamento delle cure al 1° luglio 2010. Di
nostra iniziativa abbiamo deciso di spostarne l’introduzione a inizio 2011, ha detto la sua presidente Katrin Hilber.
La Coneferenza dei direttori cantonali delle opere sociali
(Cdos) si rifiuterà di mettere in vigore l’ordinamento a partire da metà 2010 come stabilito mercoledì dal Consiglio
federale, ha dichiarato la direttrice delle opere sociali del
cantone di San Gallo confermando una notizia pubblicata
ieri sul Tages-anzeiger. Questa decisione è stata dettata da
un tempo troppo breve per adattare le nuove disposizioni
sul finanziamento delle cure nelle case medicalizzate per
anziani o a domicilio, che sgravano i pazienti a scapito dei
cantoni. Questi ultimi devono modificare la loro legislazione, eventualmente organizzare votazioni popolari, critica
Hilber. Ritiene che la Confederazione non abbia tenuto
conto di queste considerazioni.
Il comitato direttore della Conferenza dei direttori cantonali della sanità, dal canto suo, si riunirà settimana prossima per decidere il da farsi.
ATS
(“La Regione” 28.06.09)
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