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Gennaio 2015
BREVETTI - CASO INTERNATIONAL STEM CELL: LA CGUE SI PRONUNCIA SULLA BREVETTABILITÀ
DEGLI OVULI UMANI NON FECONDATI
Con sentenza del 18 dicembre 2014 nel procedimento C-364/13 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (di seguito,
semplicemente, “Corte di Giustizia”) è tornata sul tema della brevettabilità degli ovuli umani non fecondati.
La controversia era sorta dal rifiuto opposto dall’ufficio brevetti del Regno Unito a due domande di brevetto nazionale
presentate dalla International Stem Cell Corporation (d’ora in poi, in breve, “ISCC”) per invenzioni comprendenti la
produzione di linee di cellule staminali pluripotenti da ovociti non fertilizzati ma attivati tramite partenogenesi, c.d.
partenoti. Il rifiuto dell’ufficio britannico si fondava sulla sentenza della Corte di Giustizia nel procedimento C-34/10,
caso “Brüstle-Greenpeace”, che aveva interpretato il concetto di “embrione umano” presente nelle norme UE sulla
brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche nel senso di escludere la brevettabilità di qualsiasi ovocita umano non
fertilizzato la cui divisione e ulteriore sviluppo lo avesse reso capace di dare avvio al processo di sviluppo di un essere
umano.
L’ISCC aveva promosso appello avverso la decisione dell’ufficio brevetti britannico davanti all’High Court of Justice,
sostenendo che la Corte di Giustizia nel caso “Brüstle-Greenpeace” aveva inteso escludere dalla brevettabilità
unicamente gli organismi idonei ad avviare il processo di sviluppo che conduce ad un essere umano. Pertanto gli
organismi che formano oggetto delle domande di registrazione, non potendo subire un siffatto processo di sviluppo,
sarebbero stati brevettabili ai sensi della direttiva 98/44.
Il Tribunale inglese si era quindi rivolto alla Corte di Giustizia, chiedendo di chiarire “se gli ovuli umani non fecondati,
stimolati a dividersi e svilupparsi attraverso la partenogenesi, e che, a differenza degli ovuli fecondati, contengono solo
cellule pluripotenti e non sono in grado di svilupparsi in esseri umani, siano compresi nell’espressione «embrioni
umani» di cui all’art. 6, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 98/44”.
Con la sentenza in esame, la Corte di Giustizia ha dichiarato che, ai sensi dell’art. 6, paragrafo 2, lettera c), della
direttiva 98/44/CE sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, un ovulo umano non fecondato il quale,
attraverso la partenogenesi (che consiste nell’attivazione di un ovocita, in assenza di spermatozoi, attraverso un insieme
di tecniche chimiche ed elettriche), sia indotto a dividersi e a svilupparsi, non costituisce un embrione umano qualora,
alla luce delle attuali conoscenze della scienza, esso sia privo in quanto tale della capacità intrinseca di svilupparsi in
essere umano.
Di conseguenza, nell’ipotesi in cui un ovulo umano non fecondato non soddisfi tale condizione, il solo fatto che tale
organismo inizi un processo di sviluppo non rappresenta elemento sufficiente per considerarlo un “embrione umano”, ai
sensi e ai fini dell’applicazione della direttiva 98/44, e dunque può essere brevettato a fini industriali.
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