CAPITOLO 1 GLI OBIETTIVI DELLA STRATEGIA EUROPEA: A CHE PUNTO È L’EMILIA-ROMAGNA? 22 1 GLI OBIETTIVI DELLA STRATEGIA EUROPEA: A CHE PUNTO È L’EMILIA-ROMAGNA? 1.1 LA STRATEGIA EUROPEA PER L’OCCUPAZIONE E LA REVISIONE DELLA STRATEGIA DI LISBONA La Strategia Europea per l’Occupazione (SEO) fu avviata - in applicazione degli articoli 125-130 del trattato di Amsterdam, giugno 1997 - a partire dal Consiglio straordinario sull’occupazione di Lussemburgo (novembre 1997). Essa fu impostata come un processo coordinato centralmente in modo “aperto” (non vincolante sul piano normativo) indirizzato al perseguimento di obiettivi comuni, il cui raggiungimento rimaneva, e rimane, di competenza dei singoli stati nazionali. Successivamente, nel Consiglio Europeo straordinario di Lisbona (marzo 2000) venne avviato un coordinamento tra i vari aspetti delle politiche economiche dell’Unione Europea al fine di perseguire un obiettivo estremamente (forse eccessivamente) ambizioso: “portare in dieci anni l’Europa ad essere l’economia basata sulla conoscenza più dinamica e competitiva del mondo, in grado di raggiungere livelli di crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e con una maggiore coesione sociale”.1 A Lisbona furono formulati due indicatori quantitativi in grado di dare un contenuto empirico al concetto di piena occupazione. Essi vennero indicati come gli obiettivi principali da perseguire in tutti i paesi europei per il 2010: un tasso di occupazione (rapporto tra numero di occupati e popolazione in età di lavoro, convenzionalmente fissata nelle persone aventi più di 15 e meno di 65 anni) pari al 70% e un tasso di occupazione del 60% per la popolazione di genere femminile. Venne anche indicato l’obiettivo di ridurre la percentuale di giovani con bassi livelli di istruzione. Nei Consigli Europei che si sono tenuti negli anni successivi nuovi obiettivi sono stati aggiunti ai due originari. Al consiglio di Stoccolma (marzo 2001) vennero indicati obiettivi intermedi per gli indicatori occupazionali e venne aggiunto un terzo obiettivo relativo al tasso di occupazione della popolazione di età compresa 23 1 ` Gli obiettivi e gli strumenti della strategia di Lisbona, così come l’evoluzione della strategia europea dell’occupazione sono stati esaminati in dettaglio nelle precedenti edizioni di questo Rapporto, alle quali si rinvia. tra i 55 e i 64 anni (il 50% entro il 2010) per evitare fenomeni di esclusione sociale derivanti dall’espulsione prematura dei lavoratori anziani dal mercato del lavoro. Al consiglio di Barcellona (marzo 2002) la strategia di Lisbona venne ulteriormente specificata fissando un indicatore dell’obiettivo di aumento delle spese in ricerca e sviluppo (la quota da raggiungere entro il 2010 venne fissata all’elevatissimo livello del 3% del PIL nazionale). L’ impostazione di politica economica prevista a Lisbona non ha finora conseguito i risultati sperati. La crescita dell’economia europea non solo non ha accelerato, ma ha preso a rallentare a partire dal 2001. I progressi nella direzione prospettata dall’agenda di Lisbona sono stati piuttosto stentati, con la parziale eccezione del buon andamento dell’occupazione, in particolare in Italia e, in misura più sostenuta, in Emilia-Romagna; il che, tuttavia, ha implicato una dinamica particolarmente deludente della produttività del lavoro. Il ritardo dell’Europa nei confronti degli Stati Uniti si è ampliato (non solo riguardo al tasso di crescita del reddito ma anche riguardo al tasso di crescita della produttività per ora lavorata, che è risultato nettamente inferiore a quello degli Stati Uniti per la prima volta da sessanta anni a questa parte) e la competitività europea rispetto a paesi in forte crescita, in primo luogo la Cina e l’India, si è ulteriormente deteriorata. La gravità della situazione è stata indicata con chiarezza dal rapporto “Facing the Challenge. The Lisbon Strategy for Growht and Employment”, elaborato per la valutazione della strategia di Lisbona a metà del decennio da un gruppo di lavoro guidato dall’ex primo ministro olandese Wim Kok e reso pubblico nel novembre 2004. Le indicazioni fornite dal rapporto Kok sono state fatte proprie dalla commissione europea con la comunicazione “Lavoriamo insieme per la crescita e l’occupazione. Un nuovo slancio per la strategia di Lisbona”(COM, 2005/24). Tale comunicazione prende le mosse dalla constatazione che “le prestazioni previste in materia di crescita, produttività e occupazione non sono state raggiunte” principalmente in quanto “gli investimenti nel settore della ricerca e dello sviluppo rimangono insufficienti”. Di conseguenza, la commissione, dopo aver preso atto che la lotta alla disoccupazione, che era il punto di partenza dell’originaria strategia di Lisbona (fase 1 della Strategia di Lisbona), ha conseguito dei miglioramenti, pone come fulcro della nuova strategia (fase 2 della Strategia di Lisbona) l’innovazione (l’unico obiettivo quantitativo che viene riaffermato è quello dell’attuazione di un livello delle spese in ricerca e sviluppo pari al 3% del PIL entro il 2010) ed indica nella crescita della produzione, della produttività 24 e dell’occupazione gli obiettivi finali da raggiungere, attraverso il miglioramento dell’istruzione e delle competenze dei lavoratori, migliorando la capacità di adattamento dei lavoratori e delle imprese, modernizzando i sistemi di previdenza sociale in direzione della flexsecurity e migliorando la governance dei processi di coordinamento tra i vari aspetti della nuova strategia di Lisbona. 1.2 ORIENTAMENTI E INDICATORI DELLA FASE 2 DELLA STRATEGIA DI LISBONA I documenti di politica economica e del lavoro successivi hanno iniziato a porre in pratica i suggerimenti del rapporto Kok, muovendosi in tre direzioni: • In primo luogo, proponendosi di inserire le politiche dell’occupazione in un quadro che ne valorizzi le sinergie con gli altri aspetti, macroeconomici e microeconomici, della strategia complessiva. L’ indicazione di fondo è quella di concentrare gli sforzi sugli obiettivi di crescita della produzione, della produttività e dell’occupazione e di sostegno all’innovazione (a partire dall’aumento delle spese in ricerca e sviluppo) che diventano il fulcro della nuova impostazione delle politiche economiche europee. Questa impostazione ha assunto un ruolo centrale nella formulazione delle Integrated Guidelines for Growth and Jobs (“Linee guida integrate per la crescita e l’occupazione”) per il periodo 2005-2008 (12/4/2005) ed è stata, infine, riaffermata nella comunicazione della Commissione al Consiglio Europeo della primavera 2006, significativamente intitolata “È ora di cambiare marcia” (25/1/2005. COM 2006/30) e nella comunicazione della commissione al consiglio europeo intitolata “Relazione strategica sulla strategia di Lisbona rinnovata per la crescita e lo sviluppo: il nuovo ciclo (2008-2010). Stare al passo con i cambiamenti” (11/12/2007. COM/803).2 • In secondo luogo, è stato rafforzato il ruolo centrale che le politiche dell’istruzione e della formazione sono chiamate a svolgere nella revisione della strategia di Lisbona. Nelle “Conclusioni della Presidenza del Consiglio Europeo di Bruxelles” (marzo 2006; COM 7775/6) si “conferma che l’istruzione e la formazione devono occupare un posto centrale 25 2` Le Integrated Guidelines contengono la più recente formulazione degli obiettivi delle politiche economiche europee. Esse si compongono di sei linee guida macroeconomiche, dieci linee guida microeconomiche e otto linee guida per l’occupazione, che sono state indicate nella precedente edizione di questo Rapporto. 3 ` I cui indicatori sono la partecipazione all’insegnamento prescolastico; la quota di giovani che lasciano prematuramente la scuola e l’istruzione rispondente a esigenze particolari. 4 ` Da monitorarsi attraverso il controllo degli abbandoni prematuri della scuola da parte dei giovani. nel programma di riforme di Lisbona” e che “il programma per l’istruzione e la formazione durante l’intero arco della vita viene considerato di importanza fondamentale. Nella Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo intitolata “Efficienza e equità nei sistemi europei di istruzione e formazione” (8/9/2006. COM 2006/481) viene sottolineato come i sistemi di istruzione e formazione siano non solo “fattori critici dello sviluppo delle potenzialità dell’Unione Europea a lungo termine sotto il profilo della competitività” ma anche fattori critici “della coesione sociale…in materia di inclusione e protezione sociale”. Va evitato, sostiene il documento, che in questo settore “efficienza ed equità siano obiettivi che si escludono a vicenda” in quanto “i dati dimostrano che, al contrario, in una prospettiva più ampia equità ed efficienza si rafforzano a vicenda”. Il documento sottolinea anche che “gli investimenti in istruzione e formazione richiedono tempo per dare frutti”, per cui occorre “fare riferimento ad una programmazione a lungo termine a livello locale e nazionale”. In questo documento gli obiettivi quantitativi non sono modificati. Viene soltanto riaffermata l’importanza dell’apprendimento permanente. Viene anche sottolineato il ruolo decisivo che, nella formazione del capitale umano, dovrebbe essere svolto dall’istruzione pre elementare e dalla fornitura di “condizioni ed incentivi adeguati” a “sostenere una maggiore partecipazione all’istruzione terziaria” (universitaria) in termini di “tasse di frequenza associate a misure finanziarie di accompagnamento per i soggetti svantaggiati”. Infine, nella Comunicazione della Commissione del 21 febbraio 2007 intitolata “Un quadro coerente di indicatori e di parametri di riferimento per monitorare i programmi nella realizzazione degli obiettivi di Lisbona in materia di istruzione e formazione” (COM 2007/61) sono individuati otto settori di intervento specifici: (a) migliorare l’equità nell’istruzione e nella formazione3; (b) promuovere l’efficienza nell’istruzione e nella formazione; (c) fare dell’istruzione e della formazione permanente una realtà (adottando due criteri di valutazione: una proporzione dell’85% dei giovani che terminano il secondo ciclo di insegnamento secondario; un tasso di partecipazione della popolazione adulta all’istruzione e alla formazione permanente del 12,5% entro il 2010); (d) fornire ai giovani le competenze di base; (e) modernizzare l’insegnamento scolastico4; (f) modernizzare l’insegnamento superiore; (g) modernizzare l’insegnamento e la formazione professionale; (h) accrescere l’impiegabilità dei giovani e degli adulti (questione, questa, che sarà ripresa trattando del punto successivo). 26 • In terzo luogo, è stata rafforzata l’integrazione tra la SEO e le politiche del Fondo sociale europeo (FSE). Tale integrazione era stata prevista dal Regolamento n. 1784 del Parlamento europeo, entrato in vigore già dal 16/8/1999, che non aveva tuttavia dato luogo ad applicazioni significative. Essa è stata, quindi, ribadita con maggiore specificità nelle proposte di Regolamento del FSE per il periodo 20072013, presentate il 28/4/2006 e sistematizzate nei Regolamenti n. 9077/2006 (emesso a Bruxelles il 6/6/2006) e n° 9060/2006 (che sostituisce ed abroga il precedente regolamento n. 1784/1999).5 Il quadro generale e gli indicatori aggiornati della strategia di Lisbona rinnovata (Lisbona 2) sono stati infine ripresi e sistematizzati nella Comunicazione della Commissione al Consiglio Europeo intitolata “Relazione strategica sulla strategia di Lisbona rinnovata per la crescita e l’occupazione: il nuovo ciclo (20082010). Stare al passo con i cambiamenti” (Bruxelles 11/12/2007; COM 2007/803). In questo documento viene sottolineata, tra gli altri obiettivi, l’importanza di “consolidare il triangolo istruzionericerca-innovazione” che riassume il cambiamento che si è verificato nel passaggio dalla fase 1 alla fase 2 della Strategia di Lisbona. Sono poi specificate ulteriormente le azioni che andrebbero rafforzate nei quattro settori definiti “prioritari” (nel senso che, siccome in essi non sono stati ancora raggiunti gli obiettivi auspicati, si invitano i policy-makers nazionali ad attuarle): Investire nelle persone e modernizzare i mercati del lavoro • (attuando, in particolare, la flessicurezza6 ed impegnandosi “nella lotta contro la povertà e l’esclusione sociale e a favore dell’integrazione di chi si trova ai margini del mercato del lavoro, in particolare tramite politiche di inclusione attive che coinvolgano anche gli immigrati). Liberare il potenziale delle imprese (rafforzando il mercato • unico e impegnandosi a ridurre gli oneri amministrativi). Investire nella conoscenza e nell’innovazione (realizzando • la “libera circolazione delle conoscenze”; creando un vero spazio europeo della ricerca e migliorando le condizioni generali dell’innovazione, in particolare per quanto riguarda i diritti di proprietà intellettuali). Migliorare la situazione energetica (riducendo le emissioni • di gas a effetto serra e attuando una politica industriale mirata a un modello di produzione e di consumo più sostenibile, incentrato sull’energia rinnovabile). 27 5 ` Anche questi documenti sono stati presentati e discussi nella precedente edizione di questo Rapporto. 6 ` I principi di questa azione sono stati definiti nel piano “Verso principi comuni di flessicurezza: Posti di lavoro più numerosi e migliori grazie alla flessibilità e alla sicurezza” (COM; 2007/359) che si richiede alle singole nazioni di approvare ed applicare il più presto possibile. Nella seconda parte del medesimo documento (COM 2007/804) sono individuati gli indicatori delle politiche descritte: 14 indicatori strutturali prioritari7 e 118 altri indicatori strutturali: 11 relativi al contesto economico generale; 23 relativi all’occupazione (inclusi, oltre a quelli più volte richiamati in questo e nei precedenti Rapporti, la pressione fiscale sui bassi redditi e il lifelong learning); 20 relativi all’innovazione e alla ricerca; 26 relativi alle riforme economiche; 23 relativi alla coesione sociale e 15 relativi all’ambiente. 1.3 LA SITUAZIONE DELL’EMILIA-ROMAGNA 7 ` PIL pro capite; Produttività del lavoro per occupato; tasso di occupazione; tasso di occupazione dei lavoratori anziani; livello di istruzione giovanile; spesa in ricerca e sviluppo; livello dei prezzi relativi; investimenti delle imprese; rischio di povertà; tasso di disoccupazione di lungo periodo; dispersione dei tassi di occupazione regionali; emissione di gas a effetto serra; intensità energetica dell’economia; trasporto merci in volume. 8 ` Va sottolineato che in molti casi, che comunque verranno indicati, le statistiche disponibili si fermano prima. Esamineremo ora l’evoluzione degli indicatori della Strategia Europea per l’Occupazione (SEO) disponibili ai livelli regionale, circoscrizionale (Nord-Est) e nazionale nel periodo che va dal 1995 al 2007.8 Nelle prime tre tavole sono esaminati i dati relativi agli indicatori fondamentali della strategia di Lisbona, così come tale strategia è stata ridefinita a metà del cammino verso il 2010 (fase 2 della Strategia di Lisbona) e relativi, rispettivamente, alle politiche dell’occupazione, alle politiche della ricerca, dell’innovazione e del miglioramento del capitale umano e, infine, alla dinamica produttiva. Nella tavola 1 sono riportati i dati relativi agli indicatori che la SEO pone a riferimento della politica per l’occupazione. I dati confermano, in primo luogo, l’enorme aumento dell’occupazione che si è avuto in Emilia-Romagna durante tutto il periodo. Il tasso di occupazione totale (lavoratori e lavoratrici) è cresciuto dal 62,2% del 1995 al 70,3% nel 2007, superando l’obiettivo europeo per il 2010 con tre anni di anticipo. In tutto il periodo il tasso di occupazione dell’Emilia-Romagna è stato superiore alla media delle regioni che fanno parte della circoscrizione dell’Italia del Nord-Est e nettamente superiore alla media nazionale. Il tasso d’occupazione femminile è cresciuto in misura ancora più rilevante, dal 50% del 1995 al 62,1% nel 2007, valore nettamente superiore sia all’obiettivo SEO 2010 (60%) sia alle medie della circoscrizione delle regioni del Nord-Est (57,5%) e, soprattutto, nazionale (46,7%). Ancora lontano tanto dall’obiettivo europeo quanto dalla media degli altri paesi dell’Unione Europea, anche se superiore ai dati del Nord-Est e dell’Italia, risulta, invece, il tasso di occupazione dei lavoratori anziani “di età compresa tra i 55 e i 64 anni” che, tuttavia, ha ripreso a crescere, e in misura non indifferente 28 dal 2000, passando, in sette anni, dal 29,3% al 38,3%, valore nettamente superiore a quelli della circoscrizione Nord-Est e alla media nazionale, con una netta accelerazione negli ultimi quattro anni, che, se proseguirà, potrebbe permettere alla regione Emilia-Romagna di avvicinare, se non raggiungere, l’obiettivo fissato dalla SEO per il 2010 (50%). Nella tavola 2 sono riportati i dati dei principali indicatori relativi alla ricerca, all’innovazione e al miglioramento del “capitale umano” dei lavoratori presenti nel mercato del lavoro (“apprendimento per tutta la vita”, secondo la dizione europea). Su questi terreni i risultati sono meno lusinghieri di quelli occupazionali. Le spese in ricerca e sviluppo e il numero di brevetti conseguiti dalla regione sono in netta crescita da 10 anni a questa parte e superano - di pochissimo il primo, in misura consistente il secondo - le corrispondenti medie nazionali e circoscrizionali. Il livello delle spese in ricerca e sviluppo (che è lo strumento di politica dell’innovazione privilegiato dalla strategia di Lisbona) si ferma nel 2005 al livello dell’1,2% del PIL, leggermente al disopra della media nazionale (1,1%) ma nettamente inferiore sia al, peraltro assai ambizioso, obiettivo europeo per il 2010 (3%) sia al valore medio dei maggiori paesi europei, dove tale valore supera comunque il 2%. Anche la percentuale di lavoratori che partecipano all’apprendimento per tutta la vita, dopo aver raggiunto, in Emilia-Romagna, livelli nettamente superiori alla media nazionale nel 2000, si è ridotto, allineandosi su livelli di poco superiori alla media nazionale ma comunque inferiori ai massimi toccati in precedenza e nettamente al disotto dell’obiettivo europea per il 2010. Nella tavola 3 sono riportati gli indicatori di crescita della produzione e della produttività in Emilia-Romagna, nelle regioni del Nord-Est e in Italia dal 2000 e il 2006. La crescita del PIL è l’obiettivo principale della strategia di Lisbona. Un’elevata crescita del PIL dovrebbe essere il risultato complessivo dell’impegno a conseguire i singoli obiettivi. I dati mostrano che nei primi sei anni del decennio il ritmo di crescita del PIL regionale, così come il ritmo medio della crescita produttiva nazionale, è stato di dimensione abbastanza ridotta, fermandosi allo 0,7% medio annuo, di poco inferiore allo 0,9% nazionale. Per di più, l’aumento della produzione è stato determinato quasi esclusivamente dall’aumento del numero degli occupati. Il prodotto per addetto nel medesimo periodo è aumentato in effetti di appena lo 0,1% annuo in regione, ed è diminuito, sia pure in misura quasi impercettibile (dello 0,03% annuo), al 29 livello nazionale; se si tiene conto del fatto che al livello delle singole unità produttive la produttività non può ridursi se non in circostanze eccezionali; ciò significa che i nuovi occupati hanno trovato impiego in attività produttive meno produttive rispetto alla media degli occupati precedenti. La caduta della produttività ha avuto luogo nel primo triennio; a partire dal 2003 la dinamica della produzione ha ripreso a crescere a ritmi analoghi a quelli della produttività, almeno in Emilia-Romagna, il che fa ben sperare per il futuro. Nelle tavole da 4 a 9 sono riportati i dati relativi agli indicatori degli altri obiettivi della SEO e ad alcuni obiettivi della fase 2 della strategia di Lisbona rilevanti per valutare le performance del mercato del lavoro regionale. Anche qui il panorama è piuttosto variegato. Gli indicatori di partecipazione al mercato del lavoro e di disoccupazione dell’Emilia-Romagna (tav. 4) presentano risultati migliori, sia pure di poco, delle medie della circoscrizione NordEst sia, molto più nettamente, delle medie nazionali, riflettendo così il netto miglioramento della situazione occupazionale avvenuto in regione nel periodo che stiamo esaminando. Il tasso di attività (quota della popolazione di età compresa tra i 15 e i 64 anni che si presenta nel mercato del lavoro, assumendo o la posizione di occupato o quella di “persona in cerca di occupazione”, è cresciuto in misura sostanziale, dal 65,8% del 1995 al 72,4% nel 2007, valore, quest’ultimo, nettamente superiore alle medie nazionale e circoscrizionale. Il tasso di disoccupazione si situa nel 2007 su di un valore estremamente ridotto, il 2,9%, valore di poco inferiore alla media delle regioni del Nord-Est, 3,1%, ma nettamente inferiore rispetto alla media nazionale, 6,1%. Il miglioramento del tasso di disoccupazione giovanile, tanto totale quanto femminile, è stato impressionante nella prima parte del periodo che stiamo esaminando, per poi stabilizzarsi negli ultimi tre anni: tra il 1995 e il 2003 il tasso di disoccupazione totale dei giovani si è ridotto dal 17% al 9% per il complesso dei lavoratori, risalendo poi al 10,8% nel 2007 (valore superiore al 9,6% della media delle regioni del Nord-Est ma molto più basso del 20,3% medio nazionale). Il tasso di disoccupazione delle giovani donne emiliano-romagnole si è ridotto dal 24,9% all’11,2% tra il 1995 e il 2003, per poi risalire al 13,7% nel 2007, anche in questo caso attestandosi su un valore lievemente superiore alla media delle regioni del Nord-Est, 13%, ma nettamente inferiore alla media nazionale, pari al 23,3%. 30 In crescita da sette anni risulta, invece, l’incidenza del tasso di disoccupazione di lunga durata (percentuale dei lavoratori che non hanno trovato un’occupazione, pur avendola cercata per almeno un anno, rispetto al totale dei disoccupati). Dopo essere scesa tra il 1995 e il 2003 dal 26,7% al 20,3% per l’insieme dei lavoratori e dal 26,4% al 19,8% per la sola componente femminile, la percentuale di disoccupati di lunga durata è successivamente risalita, toccando, nel 2007, valori superiori a quelli del 1995, rispettivamente il 28,5% e il 29,7%. Anche in questo caso si tratta di valori che si situano nettamente al disotto delle medie nazionali e lievemente al disotto anche delle medie della circoscrizione Nord-Est; si evidenzia, comunque, una preoccupante inversione di tendenza che indica la possibilità che fasce di lavoratori, di dimensioni limitate ma in crescita, rimangano esclusi dall’attività produttiva per un lasso di tempo relativamente lungo, con il rischio di veder pregiudicata la loro occupabilità futura. Un’altra serie di indicatori nei quali la situazione emilianoromagnola registra performance molto migliori delle medie nazionali, ed anche di quelle delle altre regioni del Nord-Est, è sul terreno delle pari opportunità (tav. 5). Riguardo alle differenze tra le situazioni occupazionali degli uomini e quelle delle donne i dati dell’Emilia-Romagna mostrano valori assoluti migliori e riduzioni delle differenze superiori rispetto a quelli nazionali e a quelli della circoscrizione Nord-Est. In particolare, la differenza tra il tasso di disoccupazione maschile e quello femminile in Emilia-Romagna è stata negli ultimi anni di appena 1,8%, in netto calo dai 5,2% del 1995. Rimangono, tuttavia, differenze di genere non indifferenti, in particolare con riguardo al tasso di occupazione, che suggeriscono di non abbassare la guardia sulle politiche delle pari opportunità tra lavoratori e lavoratrici. Gli indicatori relativi alla formazione di capitale umano (tav. 6) forniscono un quadro variegato. Sull’istruzione di base i riscontri sono sostanzialmente positivi. La scolarità è a livelli superiori alla media nazionale e all’obiettivo europeo: la percentuale dei giovani di età compresa tra i 15 e i 19 anni che hanno completato la scuola dell’obbligo è stata nel 2007 pari al 99,1%, contro il 95% del 1995; il tasso di partecipazione all’istruzione secondaria superiore è stato nel 2007 pari al 96,9%, laddove nel 1995 si fermava all’85,5%. Continuano ad essere elevati gli abbandoni al primo anno delle scuole superiori, che sono ammontati, nel 2006, al 9,9%, in aumento rispetto al 2000 e superiori alla media del Nord-Est; sono invece pressocché scomparsi gli abbandoni al secondo anno. 31 La percentuale di laureati in discipline tecnico-scientifiche rispetto alla popolazione di giovani di età compresa tra i 20 e i 29 anni sta aumentando nettamente dai livelli veramente infimi di un decennio fa, nel 1998 era pari ad appena il 6,6% del totale, ed ha raggiunto il 17,4% nel 2006, valore nettamente superiore tanto alla media nazionale quanto alla media della circoscrizione delle regioni del Nord-Est. Meno brillanti, invece, sono i dati relativi alla partecipazione ad attività formative e di istruzione in Emilia-Romagna. La partecipazione ad attività formative e di istruzione aveva raggiunto negli anni precedenti livelli superiori alla media nazionale e vicini agli obiettivi europei soprattutto nella componente dei non occupati ma si è alquanto ridotta negli ultimi anni, passando dal 7% del 2000 al 6% nel 2006; tra gli occupati la riduzione è stata meno pronunciata - si è passati, infatti, dal 6,8% del 2000 al 6,5% nel 2007 - mantenendosi sostanzialmente in linea con la media nazionale, ma rimanendo nettamente inferiore agli obiettivi europei, fissati all’8,5% sia per gli occupati sia per i non occupati. Anche con riguardo agli indicatori di imprenditorialità (prima parte della tav. 7) la situazione regionale non appare differenziarsi molto dalla media nazionale. Il tasso di natalità lorda delle imprese è lievemente superiore alla media nazionale, ma soltanto perché quest’ultimo si è ridotto negli ultimi anni rispetto ai valori che aveva raggiunto a metà degli anni novanta dello scorso secolo, mentre il tasso di natalità netta si è ridotto notevolmente dall’inizio del nuovo millennio sia al livello regionale si su scala nazionale, attestandosi nel 2007 a livelli patologicamente bassi. Buoni risultati sono invece registrati riguardo agli indicatori di disagio sociale, che rimangono nettamente migliori delle medie nazionali (seconda parte della tav. 7). Le percentuali di popolazione e di famiglie che vivono al disotto della soglia di povertà in EmiliaRomagna (4% e 3,9% nel 2006, in aumento rispetto all’anno precedente ma in netta diminuzione dal 5% e dal 4,5% del 2000) sono pari a circa un quarto delle medie nazionali (12,9% e 11,1%, rispettivamente) e nettamente inferiori anche alla media delle regioni del Nord-Est (5,1% per entrambi gli indicatori). L’ammontare di unità di lavoro regolari sulla popolazione in età da lavoro è stato pari al 71,2% degli occupati totali nel 2006 (percentuale anche in questo caso nettamente superiore rispetto a quella nazionale, 56,1% e superiore anche rispetto alle percentuali delle regioni del Nord-Est, pari al 68,3%) pur avendo subito una lieve diminuzione rispetto al livello massimo toccato nel 2003, 72,5%, dopo essere cresciuta in misura sostenuta negli anni precedenti. 32 Negli ultimi due anni la produttività del lavoro nell’industria in senso stretto ha ripreso a crescere in Emilia-Romagna in misura significativamente più elevata rispetto alla media nazionale (tav. 8) ritornando, in termini reali, al livello massimo già raggiunto nel 2000: 49,9 milioni di euro all’anno per addetto. Il vantaggio di produttività dell’Emilia-Romagna rispetto alla media nazionale - che era sceso dal 2% del 1995 all’1,7% nel 2003, a causa della scarsa crescita produttiva che si era avuta nei primi anni di questo decennio - è risalito al 4% nel 2006, come conseguenza della ripresa produttiva che si è avuta nel 2005 e nel 2006. Le ragioni strutturali che hanno prodotto questa superiore performance dell’industria regionale rispetto alla media nazionale vanno probabilmente ricercati nella ristrutturazione dell’apparato produttivo regionale che ha avuto luogo negli anni a cavallo tra la fine del ventesimo e l’inizio del ventunesimo secolo. La produttività dell’industria in senso stretto è l’unico indicatore relativo al 2006 reso disponibile dalla contabilità nazionale dell’ISTAT; gli altri indicatori riportati nella tavola 8 sono fermi al 2005. Va comunque sottolineato che i dati della produttività del lavoro nell’industria manifatturiera mostrano un divario dell’EmiliaRomagna rispetto alla media nazionale un poco più elevato rispetto all’industria in senso stretto: nel 2005 esso era pari all’8,6%. Tuttavia, la produttività del lavoro dell’industria manifatturiera era nel 2005 (ultimo dato disponibile) ancora inferiore al precedente livello massimo, raggiunto nel 2000: 46,7 milioni di euro annui per addetto nel 2005 contro i 48,4 milioni di euro di cinque anni prima. I dati sulla produttività dell’industria manifatturiera per il 2006 non sono ancora disponibili ma si ha motivo di ritenere che in tale anno essa sia tornata in linea con il record precedente e che il divario tra la produttività registrata in regione e la produttività media nazionale si sia ulteriormente ampliato, così come è accaduto per l’industria in senso stretto (d’altro canto l’industria manifatturiera rappresenta il nucleo più ampio di quest’ultima). Anche nell’agricoltura e nel commercio la produttività del lavoro registrata in Emilia-Romagna sopravanza la media nazionale, soprattutto nel settore primario (dove il differenziale tra la produttività media regionale e quella nazionale raggiunge addirittura il 24,6% e risulta in netta crescita nell’ultimo decennio, durante il quale è passato da 16,5 a 27,9 milioni di euro per addetto. Nel commercio la produttività del lavoro annua in regione ha ripreso a crescere negli ultimi due anni, dopo la notevole caduta che si era verificata tra il 1995 e il 2003, ma risulta nel 2005 ancora più bassa rispetto al valore del 1995, anche se rimane lievemente 33 superiore alla media nazionale. Desta invece qualche preoccupazione la netta caduta della produttività del settore del turismo regionale, crollata dai 34,3 milioni di euro del 2000 a 26,4 nel 2005, valore ormai inferiore sia della media nazionale sia della media delle regioni del Nord-Est. Gli indicatori di performance dell’apparato produttivo regionale (tav. 9) indicano che il motivo che ha permesso questo ulteriore ampliamento del divario tra la produttività regionale e la media nazionale è probabilmente da attribuirsi alla ristrutturazione delle attività produttive regionali che ha avuto luogo all’inizio del nuovo secolo in Emilia-Romagna in misura superiore rispetto a quella nazionale, che è stata comunque di dimensioni piuttosto ridotte. In particolare, la quota di ricercatori impiegati in attività di ricerca e di sviluppo, i livelli delle esportazioni totali dell’EmiliaRomagna e l’ammontare di brevetti registrati dalle imprese regionali superano nettamente le medie nazionali: gli addetti alle attività di ricerca e di sviluppo dell’Emilia-Romagna sono cresciuti in misura rilevante nell’ultimo decennio e hanno raggiunto nel 2005 la quota del 4,2% per ogni 1000 abitanti contro il 2,9% medio nazionale e il 3,1% medio della circoscrizione del NordEst; le esportazioni dell’Emilia-Romagna nel 2006 sono state pari al 32,1% del PIL regionale, di poco superiore al 31,4% medio della circoscrizione Nord-Est ma nettamente superiore al 22,5% medio nazionale. Il numero di brevetti (tav. 2) registrati in EmiliaRomagna rapportati alla popolazione è risultato più che doppio rispetto alla media nazionale. La quota di investimenti fissi lordi sul PIL si mantiene invece in linea con la media nazionale: 21% nel 2005, lievemente superiore al 20,8% medio dell’Italia, ma su livelli inferiori rispetto al 22,7% medio della circoscrizione delle regioni del Nord-Est. Su altri terreni significativi le note sono invece meno positive. L’ internazionalizzazione dell’apparato produttivo regionale, in particolare, si riduce, in controtendenza rispetto alla tendenza nazionale: la quota del PIL dedicata ad investimenti della regione all’estero, che nella seconda metà del decennio precedente era sostanzialmente in linea con la media nazionale, è diminuita ad un quarto del valore raggiunto nel 1997 (0,8%) attestandosi su un misero 0,2% nel 2006, poco più di un decimo del valore medio nazionale (1,9%); il rapporto tra l’ammontare di investimenti ricevuti dall’estero e il PIL (0,4% nel 2006) si situa su un livello che è pari a circa un quarto terzo rispetto al valore medio nazionale (1,7%). Particolarmente bassa, anche se in crescita negli ultimi dieci anni, è la quota delle esportazioni di elevata o crescente 34 produttività; esse rappresentano il 25,4% delle esportazioni totali dell’Emilia-Romagna, ben al disotto del 29,7% medio nazionale, peraltro in diminuzione dal 2000. In definitiva, dall’analisi degli indicatori dell’agenda di Lisbona, emerge come la situazione regionale sia nettamente migliorata negli ultimi anni per quanto riguarda il livello, e in misura minore la qualità, dell’occupazione; ma emerge anche che i processi di crescita economica e di investimento in innovazione e nel miglioramento del capitale umano (che la revisione della strategia di Lisbona ha indicato come prioritari per il definitivo successo della strategia) sono rimasti indietro rispetto ai successi delle politiche occupazionali ed ora ristagnano; probabilmente, per raggiungere gli obiettivi europei, c’è ancora bisogno di sostegno e di indirizzo alle politiche che li perseguono. In tale direzione appare utile tener conto di una situazione delicata che si va delineando. L’ottenimento di risultati positivi, soprattutto sul piano quantitativo, nel mercato del lavoro regionale comincia ad apparire il risultato di uno sforzo sociale (significativamente a carico in particolare delle donne) che sta lasciando il segno (in termini, per esempio, di insoddisfazione e povertà percepita) e che segnala una situazione complessa in cui a fianco di alcuni buoni risultati oggettivi e alle indicazioni di tenuta, sia pure a fatica, degli spiriti imprenditoriali e innovativi emergono alcuni elementi di malessere che non dovrebbero essere trascurati, in quanto potrebbero essere sintomi di una inversione di tendenza, o in ogni caso di difficoltà, a proseguire lungo la strada indicata anche dall’Unione Europea. L’indizio più grave di questa tendenza è rappresentato dall’insufficiente crescita delle retribuzioni, caratteristica che l’Emilia-Romagna sicuramente condivide con l’andamento generale dell’economia italiana, e che va contrastato, attraverso un deciso aumento della produttività, per evitare che la regione, e il paese tutto, imploda e rimanga invischiato nella situazione di stagnazione in cui si dibatte ormai dall’inizio del nuovo millennio. 35