CAPITOLO 1
GLI OBIETTIVI DELLA STRATEGIA EUROPEA:
A CHE PUNTO È L’EMILIA-ROMAGNA?
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1
GLI OBIETTIVI DELLA
STRATEGIA EUROPEA:
A CHE PUNTO È
L’EMILIA-ROMAGNA?
1.1 LA STRATEGIA EUROPEA PER L’OCCUPAZIONE
E LA REVISIONE DELLA STRATEGIA DI LISBONA
La Strategia Europea per l’Occupazione (SEO) fu avviata - in
applicazione degli articoli 125-130 del trattato di Amsterdam, giugno 1997 - a partire dal Consiglio straordinario sull’occupazione
di Lussemburgo (novembre 1997). Essa fu impostata come un
processo coordinato centralmente in modo “aperto” (non vincolante sul piano normativo) indirizzato al perseguimento di obiettivi comuni, il cui raggiungimento rimaneva, e rimane, di competenza dei singoli stati nazionali.
Successivamente, nel Consiglio Europeo straordinario di Lisbona (marzo 2000) venne avviato un coordinamento tra i vari aspetti
delle politiche economiche dell’Unione Europea al fine di perseguire un obiettivo estremamente (forse eccessivamente) ambizioso:
“portare in dieci anni l’Europa ad essere l’economia basata sulla
conoscenza più dinamica e competitiva del mondo, in grado di raggiungere livelli di crescita economica sostenibile con nuovi e migliori
posti di lavoro e con una maggiore coesione sociale”.1
A Lisbona furono formulati due indicatori quantitativi in grado di dare un contenuto empirico al concetto di piena occupazione. Essi vennero indicati come gli obiettivi principali da perseguire in tutti i paesi europei per il 2010: un tasso di occupazione
(rapporto tra numero di occupati e popolazione in età di lavoro,
convenzionalmente fissata nelle persone aventi più di 15 e meno
di 65 anni) pari al 70% e un tasso di occupazione del 60% per la
popolazione di genere femminile. Venne anche indicato l’obiettivo
di ridurre la percentuale di giovani con bassi livelli di istruzione.
Nei Consigli Europei che si sono tenuti negli anni successivi
nuovi obiettivi sono stati aggiunti ai due originari. Al consiglio di
Stoccolma (marzo 2001) vennero indicati obiettivi intermedi per
gli indicatori occupazionali e venne aggiunto un terzo obiettivo relativo al tasso di occupazione della popolazione di età compresa
23
1 ` Gli obiettivi e gli strumenti
della strategia di Lisbona,
così come l’evoluzione
della strategia europea
dell’occupazione sono stati
esaminati in dettaglio nelle
precedenti edizioni di questo
Rapporto, alle quali si rinvia.
tra i 55 e i 64 anni (il 50% entro il 2010) per evitare fenomeni di
esclusione sociale derivanti dall’espulsione prematura dei lavoratori anziani dal mercato del lavoro. Al consiglio di Barcellona
(marzo 2002) la strategia di Lisbona venne ulteriormente specificata fissando un indicatore dell’obiettivo di aumento delle spese
in ricerca e sviluppo (la quota da raggiungere entro il 2010 venne
fissata all’elevatissimo livello del 3% del PIL nazionale).
L’ impostazione di politica economica prevista a Lisbona non
ha finora conseguito i risultati sperati. La crescita dell’economia
europea non solo non ha accelerato, ma ha preso a rallentare a
partire dal 2001. I progressi nella direzione prospettata dall’agenda
di Lisbona sono stati piuttosto stentati, con la parziale eccezione
del buon andamento dell’occupazione, in particolare in Italia e, in
misura più sostenuta, in Emilia-Romagna; il che, tuttavia, ha implicato una dinamica particolarmente deludente della produttività
del lavoro. Il ritardo dell’Europa nei confronti degli Stati Uniti si è
ampliato (non solo riguardo al tasso di crescita del reddito ma anche riguardo al tasso di crescita della produttività per ora lavorata,
che è risultato nettamente inferiore a quello degli Stati Uniti per
la prima volta da sessanta anni a questa parte) e la competitività
europea rispetto a paesi in forte crescita, in primo luogo la Cina e
l’India, si è ulteriormente deteriorata. La gravità della situazione
è stata indicata con chiarezza dal rapporto “Facing the Challenge.
The Lisbon Strategy for Growht and Employment”, elaborato per
la valutazione della strategia di Lisbona a metà del decennio da
un gruppo di lavoro guidato dall’ex primo ministro olandese Wim
Kok e reso pubblico nel novembre 2004.
Le indicazioni fornite dal rapporto Kok sono state fatte proprie dalla commissione europea con la comunicazione “Lavoriamo insieme per la crescita e l’occupazione. Un nuovo slancio
per la strategia di Lisbona”(COM, 2005/24). Tale comunicazione
prende le mosse dalla constatazione che “le prestazioni previste in materia di crescita, produttività e occupazione non sono
state raggiunte” principalmente in quanto “gli investimenti nel
settore della ricerca e dello sviluppo rimangono insufficienti”. Di
conseguenza, la commissione, dopo aver preso atto che la lotta
alla disoccupazione, che era il punto di partenza dell’originaria
strategia di Lisbona (fase 1 della Strategia di Lisbona), ha conseguito dei miglioramenti, pone come fulcro della nuova strategia
(fase 2 della Strategia di Lisbona) l’innovazione (l’unico obiettivo
quantitativo che viene riaffermato è quello dell’attuazione di un
livello delle spese in ricerca e sviluppo pari al 3% del PIL entro il
2010) ed indica nella crescita della produzione, della produttività
24
e dell’occupazione gli obiettivi finali da raggiungere, attraverso il
miglioramento dell’istruzione e delle competenze dei lavoratori,
migliorando la capacità di adattamento dei lavoratori e delle imprese, modernizzando i sistemi di previdenza sociale in direzione
della flexsecurity e migliorando la governance dei processi di coordinamento tra i vari aspetti della nuova strategia di Lisbona.
1.2 ORIENTAMENTI E INDICATORI DELLA FASE 2
DELLA STRATEGIA DI LISBONA
I documenti di politica economica e del lavoro successivi
hanno iniziato a porre in pratica i suggerimenti del rapporto Kok,
muovendosi in tre direzioni:
•
In primo luogo, proponendosi di inserire le politiche dell’occupazione in un quadro che ne valorizzi le sinergie con gli altri
aspetti, macroeconomici e microeconomici, della strategia
complessiva. L’ indicazione di fondo è quella di concentrare gli sforzi sugli obiettivi di crescita della produzione, della
produttività e dell’occupazione e di sostegno all’innovazione
(a partire dall’aumento delle spese in ricerca e sviluppo) che
diventano il fulcro della nuova impostazione delle politiche
economiche europee. Questa impostazione ha assunto un
ruolo centrale nella formulazione delle Integrated Guidelines
for Growth and Jobs (“Linee guida integrate per la crescita
e l’occupazione”) per il periodo 2005-2008 (12/4/2005) ed è
stata, infine, riaffermata nella comunicazione della Commissione al Consiglio Europeo della primavera 2006, significativamente intitolata “È ora di cambiare marcia” (25/1/2005.
COM 2006/30) e nella comunicazione della commissione
al consiglio europeo intitolata “Relazione strategica sulla
strategia di Lisbona rinnovata per la crescita e lo sviluppo: il
nuovo ciclo (2008-2010). Stare al passo con i cambiamenti”
(11/12/2007. COM/803).2
•
In secondo luogo, è stato rafforzato il ruolo centrale che le
politiche dell’istruzione e della formazione sono chiamate a
svolgere nella revisione della strategia di Lisbona.
Nelle “Conclusioni della Presidenza del Consiglio Europeo di Bruxelles” (marzo 2006; COM 7775/6) si “conferma che
l’istruzione e la formazione devono occupare un posto centrale
25
2` Le Integrated Guidelines
contengono la più recente
formulazione degli
obiettivi delle politiche
economiche europee. Esse si
compongono di sei linee guida
macroeconomiche, dieci linee
guida microeconomiche e otto
linee guida per l’occupazione,
che sono state indicate nella
precedente edizione di questo
Rapporto.
3 ` I cui indicatori
sono la partecipazione
all’insegnamento
prescolastico; la quota
di giovani che lasciano
prematuramente la scuola
e l’istruzione rispondente a
esigenze particolari.
4 ` Da monitorarsi attraverso
il controllo degli abbandoni
prematuri della scuola da
parte dei giovani.
nel programma di riforme di Lisbona” e che “il programma per
l’istruzione e la formazione durante l’intero arco della vita viene
considerato di importanza fondamentale. Nella Comunicazione
della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo intitolata “Efficienza e equità nei sistemi europei di istruzione e formazione” (8/9/2006. COM 2006/481) viene sottolineato come i
sistemi di istruzione e formazione siano non solo “fattori critici
dello sviluppo delle potenzialità dell’Unione Europea a lungo termine sotto il profilo della competitività” ma anche fattori critici
“della coesione sociale…in materia di inclusione e protezione
sociale”. Va evitato, sostiene il documento, che in questo settore
“efficienza ed equità siano obiettivi che si escludono a vicenda”
in quanto “i dati dimostrano che, al contrario, in una prospettiva
più ampia equità ed efficienza si rafforzano a vicenda”. Il documento sottolinea anche che “gli investimenti in istruzione e formazione richiedono tempo per dare frutti”, per cui occorre “fare
riferimento ad una programmazione a lungo termine a livello
locale e nazionale”. In questo documento gli obiettivi quantitativi non sono modificati. Viene soltanto riaffermata l’importanza
dell’apprendimento permanente. Viene anche sottolineato il ruolo decisivo che, nella formazione del capitale umano, dovrebbe
essere svolto dall’istruzione pre elementare e dalla fornitura di
“condizioni ed incentivi adeguati” a “sostenere una maggiore
partecipazione all’istruzione terziaria” (universitaria) in termini di
“tasse di frequenza associate a misure finanziarie di accompagnamento per i soggetti svantaggiati”. Infine, nella Comunicazione della Commissione del 21 febbraio 2007 intitolata “Un quadro
coerente di indicatori e di parametri di riferimento per monitorare
i programmi nella realizzazione degli obiettivi di Lisbona in materia di istruzione e formazione” (COM 2007/61) sono individuati
otto settori di intervento specifici: (a) migliorare l’equità nell’istruzione e nella formazione3; (b) promuovere l’efficienza nell’istruzione e nella formazione; (c) fare dell’istruzione e della formazione permanente una realtà (adottando due criteri di valutazione:
una proporzione dell’85% dei giovani che terminano il secondo
ciclo di insegnamento secondario; un tasso di partecipazione della popolazione adulta all’istruzione e alla formazione permanente
del 12,5% entro il 2010); (d) fornire ai giovani le competenze di
base; (e) modernizzare l’insegnamento scolastico4; (f) modernizzare l’insegnamento superiore; (g) modernizzare l’insegnamento
e la formazione professionale; (h) accrescere l’impiegabilità dei
giovani e degli adulti (questione, questa, che sarà ripresa trattando del punto successivo).
26
•
In terzo luogo, è stata rafforzata l’integrazione tra la SEO e
le politiche del Fondo sociale europeo (FSE). Tale integrazione era stata prevista dal Regolamento n. 1784 del Parlamento europeo, entrato in vigore già dal 16/8/1999, che
non aveva tuttavia dato luogo ad applicazioni significative.
Essa è stata, quindi, ribadita con maggiore specificità nelle proposte di Regolamento del FSE per il periodo 20072013, presentate il 28/4/2006 e sistematizzate nei Regolamenti n. 9077/2006 (emesso a Bruxelles il 6/6/2006) e n°
9060/2006 (che sostituisce ed abroga il precedente regolamento n. 1784/1999).5
Il quadro generale e gli indicatori aggiornati della strategia
di Lisbona rinnovata (Lisbona 2) sono stati infine ripresi e sistematizzati nella Comunicazione della Commissione al Consiglio
Europeo intitolata “Relazione strategica sulla strategia di Lisbona
rinnovata per la crescita e l’occupazione: il nuovo ciclo (20082010). Stare al passo con i cambiamenti” (Bruxelles 11/12/2007;
COM 2007/803). In questo documento viene sottolineata, tra gli
altri obiettivi, l’importanza di “consolidare il triangolo istruzionericerca-innovazione” che riassume il cambiamento che si è verificato nel passaggio dalla fase 1 alla fase 2 della Strategia di
Lisbona. Sono poi specificate ulteriormente le azioni che andrebbero rafforzate nei quattro settori definiti “prioritari” (nel senso
che, siccome in essi non sono stati ancora raggiunti gli obiettivi
auspicati, si invitano i policy-makers nazionali ad attuarle):
Investire nelle persone e modernizzare i mercati del lavoro
•
(attuando, in particolare, la flessicurezza6 ed impegnandosi
“nella lotta contro la povertà e l’esclusione sociale e a favore dell’integrazione di chi si trova ai margini del mercato del
lavoro, in particolare tramite politiche di inclusione attive che
coinvolgano anche gli immigrati).
Liberare il potenziale delle imprese (rafforzando il mercato
•
unico e impegnandosi a ridurre gli oneri amministrativi).
Investire nella conoscenza e nell’innovazione (realizzando
•
la “libera circolazione delle conoscenze”; creando un vero
spazio europeo della ricerca e migliorando le condizioni generali dell’innovazione, in particolare per quanto riguarda i
diritti di proprietà intellettuali).
Migliorare la situazione energetica (riducendo le emissioni
•
di gas a effetto serra e attuando una politica industriale mirata a un modello di produzione e di consumo più sostenibile,
incentrato sull’energia rinnovabile).
27
5 ` Anche questi documenti
sono stati presentati e discussi
nella precedente edizione di
questo Rapporto.
6 ` I principi di questa azione
sono stati definiti nel piano
“Verso principi comuni di
flessicurezza: Posti di lavoro
più numerosi e migliori grazie
alla flessibilità e alla sicurezza”
(COM; 2007/359) che si
richiede alle singole nazioni di
approvare ed applicare il più
presto possibile.
Nella seconda parte del medesimo documento (COM
2007/804) sono individuati gli indicatori delle politiche descritte:
14 indicatori strutturali prioritari7 e 118 altri indicatori strutturali:
11 relativi al contesto economico generale; 23 relativi all’occupazione (inclusi, oltre a quelli più volte richiamati in questo e nei
precedenti Rapporti, la pressione fiscale sui bassi redditi e il lifelong learning); 20 relativi all’innovazione e alla ricerca; 26 relativi
alle riforme economiche; 23 relativi alla coesione sociale e 15
relativi all’ambiente.
1.3 LA SITUAZIONE DELL’EMILIA-ROMAGNA
7 ` PIL pro capite; Produttività
del lavoro per occupato;
tasso di occupazione; tasso
di occupazione dei lavoratori
anziani; livello di istruzione
giovanile; spesa in ricerca
e sviluppo; livello dei prezzi
relativi; investimenti delle
imprese; rischio di povertà;
tasso di disoccupazione di
lungo periodo; dispersione dei
tassi di occupazione regionali;
emissione di gas a effetto
serra; intensità energetica
dell’economia; trasporto
merci in volume.
8 ` Va sottolineato che in
molti casi, che comunque
verranno indicati, le statistiche
disponibili si fermano prima.
Esamineremo ora l’evoluzione degli indicatori della Strategia Europea per l’Occupazione (SEO) disponibili ai livelli regionale, circoscrizionale (Nord-Est) e nazionale nel periodo che va dal
1995 al 2007.8
Nelle prime tre tavole sono esaminati i dati relativi agli indicatori fondamentali della strategia di Lisbona, così come tale strategia
è stata ridefinita a metà del cammino verso il 2010 (fase 2 della
Strategia di Lisbona) e relativi, rispettivamente, alle politiche dell’occupazione, alle politiche della ricerca, dell’innovazione e del miglioramento del capitale umano e, infine, alla dinamica produttiva.
Nella tavola 1 sono riportati i dati relativi agli indicatori che
la SEO pone a riferimento della politica per l’occupazione. I dati
confermano, in primo luogo, l’enorme aumento dell’occupazione
che si è avuto in Emilia-Romagna durante tutto il periodo. Il tasso di occupazione totale (lavoratori e lavoratrici) è cresciuto dal
62,2% del 1995 al 70,3% nel 2007, superando l’obiettivo europeo per il 2010 con tre anni di anticipo. In tutto il periodo il tasso
di occupazione dell’Emilia-Romagna è stato superiore alla media
delle regioni che fanno parte della circoscrizione dell’Italia del
Nord-Est e nettamente superiore alla media nazionale.
Il tasso d’occupazione femminile è cresciuto in misura ancora più rilevante, dal 50% del 1995 al 62,1% nel 2007, valore
nettamente superiore sia all’obiettivo SEO 2010 (60%) sia alle
medie della circoscrizione delle regioni del Nord-Est (57,5%) e,
soprattutto, nazionale (46,7%).
Ancora lontano tanto dall’obiettivo europeo quanto dalla
media degli altri paesi dell’Unione Europea, anche se superiore
ai dati del Nord-Est e dell’Italia, risulta, invece, il tasso di occupazione dei lavoratori anziani “di età compresa tra i 55 e i 64 anni”
che, tuttavia, ha ripreso a crescere, e in misura non indifferente
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dal 2000, passando, in sette anni, dal 29,3% al 38,3%, valore
nettamente superiore a quelli della circoscrizione Nord-Est e alla
media nazionale, con una netta accelerazione negli ultimi quattro
anni, che, se proseguirà, potrebbe permettere alla regione Emilia-Romagna di avvicinare, se non raggiungere, l’obiettivo fissato
dalla SEO per il 2010 (50%).
Nella tavola 2 sono riportati i dati dei principali indicatori relativi alla ricerca, all’innovazione e al miglioramento del “capitale
umano” dei lavoratori presenti nel mercato del lavoro (“apprendimento per tutta la vita”, secondo la dizione europea). Su questi
terreni i risultati sono meno lusinghieri di quelli occupazionali.
Le spese in ricerca e sviluppo e il numero di brevetti conseguiti dalla regione sono in netta crescita da 10 anni a questa
parte e superano - di pochissimo il primo, in misura consistente
il secondo - le corrispondenti medie nazionali e circoscrizionali.
Il livello delle spese in ricerca e sviluppo (che è lo strumento di
politica dell’innovazione privilegiato dalla strategia di Lisbona) si
ferma nel 2005 al livello dell’1,2% del PIL, leggermente al disopra della media nazionale (1,1%) ma nettamente inferiore sia al,
peraltro assai ambizioso, obiettivo europeo per il 2010 (3%) sia al
valore medio dei maggiori paesi europei, dove tale valore supera
comunque il 2%.
Anche la percentuale di lavoratori che partecipano all’apprendimento per tutta la vita, dopo aver raggiunto, in Emilia-Romagna, livelli nettamente superiori alla media nazionale nel 2000,
si è ridotto, allineandosi su livelli di poco superiori alla media nazionale ma comunque inferiori ai massimi toccati in precedenza e
nettamente al disotto dell’obiettivo europea per il 2010.
Nella tavola 3 sono riportati gli indicatori di crescita della
produzione e della produttività in Emilia-Romagna, nelle regioni del Nord-Est e in Italia dal 2000 e il 2006. La crescita del
PIL è l’obiettivo principale della strategia di Lisbona. Un’elevata crescita del PIL dovrebbe essere il risultato complessivo
dell’impegno a conseguire i singoli obiettivi. I dati mostrano
che nei primi sei anni del decennio il ritmo di crescita del PIL
regionale, così come il ritmo medio della crescita produttiva
nazionale, è stato di dimensione abbastanza ridotta, fermandosi allo 0,7% medio annuo, di poco inferiore allo 0,9% nazionale. Per di più, l’aumento della produzione è stato determinato
quasi esclusivamente dall’aumento del numero degli occupati. Il prodotto per addetto nel medesimo periodo è aumentato
in effetti di appena lo 0,1% annuo in regione, ed è diminuito,
sia pure in misura quasi impercettibile (dello 0,03% annuo), al
29
livello nazionale; se si tiene conto del fatto che al livello delle
singole unità produttive la produttività non può ridursi se non
in circostanze eccezionali; ciò significa che i nuovi occupati
hanno trovato impiego in attività produttive meno produttive
rispetto alla media degli occupati precedenti. La caduta della produttività ha avuto luogo nel primo triennio; a partire dal
2003 la dinamica della produzione ha ripreso a crescere a ritmi
analoghi a quelli della produttività, almeno in Emilia-Romagna,
il che fa ben sperare per il futuro.
Nelle tavole da 4 a 9 sono riportati i dati relativi agli indicatori degli altri obiettivi della SEO e ad alcuni obiettivi della fase 2
della strategia di Lisbona rilevanti per valutare le performance del
mercato del lavoro regionale. Anche qui il panorama è piuttosto
variegato.
Gli indicatori di partecipazione al mercato del lavoro e di disoccupazione dell’Emilia-Romagna (tav. 4) presentano risultati
migliori, sia pure di poco, delle medie della circoscrizione NordEst sia, molto più nettamente, delle medie nazionali, riflettendo
così il netto miglioramento della situazione occupazionale avvenuto in regione nel periodo che stiamo esaminando.
Il tasso di attività (quota della popolazione di età compresa
tra i 15 e i 64 anni che si presenta nel mercato del lavoro, assumendo o la posizione di occupato o quella di “persona in cerca
di occupazione”, è cresciuto in misura sostanziale, dal 65,8% del
1995 al 72,4% nel 2007, valore, quest’ultimo, nettamente superiore alle medie nazionale e circoscrizionale.
Il tasso di disoccupazione si situa nel 2007 su di un valore
estremamente ridotto, il 2,9%, valore di poco inferiore alla media
delle regioni del Nord-Est, 3,1%, ma nettamente inferiore rispetto alla media nazionale, 6,1%.
Il miglioramento del tasso di disoccupazione giovanile, tanto totale quanto femminile, è stato impressionante nella prima
parte del periodo che stiamo esaminando, per poi stabilizzarsi
negli ultimi tre anni: tra il 1995 e il 2003 il tasso di disoccupazione
totale dei giovani si è ridotto dal 17% al 9% per il complesso dei
lavoratori, risalendo poi al 10,8% nel 2007 (valore superiore al
9,6% della media delle regioni del Nord-Est ma molto più basso
del 20,3% medio nazionale). Il tasso di disoccupazione delle giovani donne emiliano-romagnole si è ridotto dal 24,9% all’11,2%
tra il 1995 e il 2003, per poi risalire al 13,7% nel 2007, anche in
questo caso attestandosi su un valore lievemente superiore alla
media delle regioni del Nord-Est, 13%, ma nettamente inferiore
alla media nazionale, pari al 23,3%.
30
In crescita da sette anni risulta, invece, l’incidenza del tasso di disoccupazione di lunga durata (percentuale dei lavoratori
che non hanno trovato un’occupazione, pur avendola cercata per
almeno un anno, rispetto al totale dei disoccupati). Dopo essere
scesa tra il 1995 e il 2003 dal 26,7% al 20,3% per l’insieme dei
lavoratori e dal 26,4% al 19,8% per la sola componente femminile, la percentuale di disoccupati di lunga durata è successivamente risalita, toccando, nel 2007, valori superiori a quelli del
1995, rispettivamente il 28,5% e il 29,7%. Anche in questo caso
si tratta di valori che si situano nettamente al disotto delle medie
nazionali e lievemente al disotto anche delle medie della circoscrizione Nord-Est; si evidenzia, comunque, una preoccupante
inversione di tendenza che indica la possibilità che fasce di lavoratori, di dimensioni limitate ma in crescita, rimangano esclusi
dall’attività produttiva per un lasso di tempo relativamente lungo,
con il rischio di veder pregiudicata la loro occupabilità futura.
Un’altra serie di indicatori nei quali la situazione emilianoromagnola registra performance molto migliori delle medie nazionali, ed anche di quelle delle altre regioni del Nord-Est, è sul
terreno delle pari opportunità (tav. 5). Riguardo alle differenze tra
le situazioni occupazionali degli uomini e quelle delle donne i dati
dell’Emilia-Romagna mostrano valori assoluti migliori e riduzioni
delle differenze superiori rispetto a quelli nazionali e a quelli della
circoscrizione Nord-Est. In particolare, la differenza tra il tasso di
disoccupazione maschile e quello femminile in Emilia-Romagna è
stata negli ultimi anni di appena 1,8%, in netto calo dai 5,2% del
1995. Rimangono, tuttavia, differenze di genere non indifferenti,
in particolare con riguardo al tasso di occupazione, che suggeriscono di non abbassare la guardia sulle politiche delle pari opportunità tra lavoratori e lavoratrici.
Gli indicatori relativi alla formazione di capitale umano (tav.
6) forniscono un quadro variegato. Sull’istruzione di base i riscontri sono sostanzialmente positivi. La scolarità è a livelli superiori
alla media nazionale e all’obiettivo europeo: la percentuale dei
giovani di età compresa tra i 15 e i 19 anni che hanno completato
la scuola dell’obbligo è stata nel 2007 pari al 99,1%, contro il
95% del 1995; il tasso di partecipazione all’istruzione secondaria
superiore è stato nel 2007 pari al 96,9%, laddove nel 1995 si
fermava all’85,5%. Continuano ad essere elevati gli abbandoni
al primo anno delle scuole superiori, che sono ammontati, nel
2006, al 9,9%, in aumento rispetto al 2000 e superiori alla media
del Nord-Est; sono invece pressocché scomparsi gli abbandoni
al secondo anno.
31
La percentuale di laureati in discipline tecnico-scientifiche
rispetto alla popolazione di giovani di età compresa tra i 20 e i
29 anni sta aumentando nettamente dai livelli veramente infimi
di un decennio fa, nel 1998 era pari ad appena il 6,6% del totale,
ed ha raggiunto il 17,4% nel 2006, valore nettamente superiore
tanto alla media nazionale quanto alla media della circoscrizione
delle regioni del Nord-Est.
Meno brillanti, invece, sono i dati relativi alla partecipazione
ad attività formative e di istruzione in Emilia-Romagna. La partecipazione ad attività formative e di istruzione aveva raggiunto negli
anni precedenti livelli superiori alla media nazionale e vicini agli
obiettivi europei soprattutto nella componente dei non occupati
ma si è alquanto ridotta negli ultimi anni, passando dal 7% del
2000 al 6% nel 2006; tra gli occupati la riduzione è stata meno
pronunciata - si è passati, infatti, dal 6,8% del 2000 al 6,5% nel
2007 - mantenendosi sostanzialmente in linea con la media nazionale, ma rimanendo nettamente inferiore agli obiettivi europei,
fissati all’8,5% sia per gli occupati sia per i non occupati.
Anche con riguardo agli indicatori di imprenditorialità (prima
parte della tav. 7) la situazione regionale non appare differenziarsi
molto dalla media nazionale. Il tasso di natalità lorda delle imprese è lievemente superiore alla media nazionale, ma soltanto
perché quest’ultimo si è ridotto negli ultimi anni rispetto ai valori
che aveva raggiunto a metà degli anni novanta dello scorso secolo, mentre il tasso di natalità netta si è ridotto notevolmente
dall’inizio del nuovo millennio sia al livello regionale si su scala
nazionale, attestandosi nel 2007 a livelli patologicamente bassi.
Buoni risultati sono invece registrati riguardo agli indicatori
di disagio sociale, che rimangono nettamente migliori delle medie
nazionali (seconda parte della tav. 7). Le percentuali di popolazione
e di famiglie che vivono al disotto della soglia di povertà in EmiliaRomagna (4% e 3,9% nel 2006, in aumento rispetto all’anno precedente ma in netta diminuzione dal 5% e dal 4,5% del 2000)
sono pari a circa un quarto delle medie nazionali (12,9% e 11,1%,
rispettivamente) e nettamente inferiori anche alla media delle regioni del Nord-Est (5,1% per entrambi gli indicatori). L’ammontare
di unità di lavoro regolari sulla popolazione in età da lavoro è stato pari al 71,2% degli occupati totali nel 2006 (percentuale anche
in questo caso nettamente superiore rispetto a quella nazionale,
56,1% e superiore anche rispetto alle percentuali delle regioni del
Nord-Est, pari al 68,3%) pur avendo subito una lieve diminuzione
rispetto al livello massimo toccato nel 2003, 72,5%, dopo essere
cresciuta in misura sostenuta negli anni precedenti.
32
Negli ultimi due anni la produttività del lavoro nell’industria in senso stretto ha ripreso a crescere in Emilia-Romagna
in misura significativamente più elevata rispetto alla media nazionale (tav. 8) ritornando, in termini reali, al livello massimo già
raggiunto nel 2000: 49,9 milioni di euro all’anno per addetto. Il
vantaggio di produttività dell’Emilia-Romagna rispetto alla media
nazionale - che era sceso dal 2% del 1995 all’1,7% nel 2003, a
causa della scarsa crescita produttiva che si era avuta nei primi
anni di questo decennio - è risalito al 4% nel 2006, come conseguenza della ripresa produttiva che si è avuta nel 2005 e nel
2006. Le ragioni strutturali che hanno prodotto questa superiore
performance dell’industria regionale rispetto alla media nazionale
vanno probabilmente ricercati nella ristrutturazione dell’apparato
produttivo regionale che ha avuto luogo negli anni a cavallo tra la
fine del ventesimo e l’inizio del ventunesimo secolo. La produttività dell’industria in senso stretto è l’unico indicatore relativo
al 2006 reso disponibile dalla contabilità nazionale dell’ISTAT; gli
altri indicatori riportati nella tavola 8 sono fermi al 2005.
Va comunque sottolineato che i dati della produttività del lavoro nell’industria manifatturiera mostrano un divario dell’EmiliaRomagna rispetto alla media nazionale un poco più elevato rispetto all’industria in senso stretto: nel 2005 esso era pari all’8,6%.
Tuttavia, la produttività del lavoro dell’industria manifatturiera era
nel 2005 (ultimo dato disponibile) ancora inferiore al precedente
livello massimo, raggiunto nel 2000: 46,7 milioni di euro annui
per addetto nel 2005 contro i 48,4 milioni di euro di cinque anni
prima. I dati sulla produttività dell’industria manifatturiera per il
2006 non sono ancora disponibili ma si ha motivo di ritenere che
in tale anno essa sia tornata in linea con il record precedente e
che il divario tra la produttività registrata in regione e la produttività media nazionale si sia ulteriormente ampliato, così come è
accaduto per l’industria in senso stretto (d’altro canto l’industria
manifatturiera rappresenta il nucleo più ampio di quest’ultima).
Anche nell’agricoltura e nel commercio la produttività del lavoro registrata in Emilia-Romagna sopravanza la media nazionale,
soprattutto nel settore primario (dove il differenziale tra la produttività media regionale e quella nazionale raggiunge addirittura il
24,6% e risulta in netta crescita nell’ultimo decennio, durante il
quale è passato da 16,5 a 27,9 milioni di euro per addetto. Nel
commercio la produttività del lavoro annua in regione ha ripreso
a crescere negli ultimi due anni, dopo la notevole caduta che si
era verificata tra il 1995 e il 2003, ma risulta nel 2005 ancora più
bassa rispetto al valore del 1995, anche se rimane lievemente
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superiore alla media nazionale. Desta invece qualche preoccupazione la netta caduta della produttività del settore del turismo
regionale, crollata dai 34,3 milioni di euro del 2000 a 26,4 nel
2005, valore ormai inferiore sia della media nazionale sia della
media delle regioni del Nord-Est.
Gli indicatori di performance dell’apparato produttivo regionale (tav. 9) indicano che il motivo che ha permesso questo ulteriore ampliamento del divario tra la produttività regionale e la
media nazionale è probabilmente da attribuirsi alla ristrutturazione delle attività produttive regionali che ha avuto luogo all’inizio
del nuovo secolo in Emilia-Romagna in misura superiore rispetto
a quella nazionale, che è stata comunque di dimensioni piuttosto
ridotte. In particolare, la quota di ricercatori impiegati in attività di
ricerca e di sviluppo, i livelli delle esportazioni totali dell’EmiliaRomagna e l’ammontare di brevetti registrati dalle imprese regionali superano nettamente le medie nazionali: gli addetti alle
attività di ricerca e di sviluppo dell’Emilia-Romagna sono cresciuti
in misura rilevante nell’ultimo decennio e hanno raggiunto nel
2005 la quota del 4,2% per ogni 1000 abitanti contro il 2,9%
medio nazionale e il 3,1% medio della circoscrizione del NordEst; le esportazioni dell’Emilia-Romagna nel 2006 sono state pari
al 32,1% del PIL regionale, di poco superiore al 31,4% medio
della circoscrizione Nord-Est ma nettamente superiore al 22,5%
medio nazionale. Il numero di brevetti (tav. 2) registrati in EmiliaRomagna rapportati alla popolazione è risultato più che doppio
rispetto alla media nazionale.
La quota di investimenti fissi lordi sul PIL si mantiene invece
in linea con la media nazionale: 21% nel 2005, lievemente superiore al 20,8% medio dell’Italia, ma su livelli inferiori rispetto al
22,7% medio della circoscrizione delle regioni del Nord-Est.
Su altri terreni significativi le note sono invece meno positive. L’ internazionalizzazione dell’apparato produttivo regionale,
in particolare, si riduce, in controtendenza rispetto alla tendenza
nazionale: la quota del PIL dedicata ad investimenti della regione
all’estero, che nella seconda metà del decennio precedente era
sostanzialmente in linea con la media nazionale, è diminuita ad
un quarto del valore raggiunto nel 1997 (0,8%) attestandosi su
un misero 0,2% nel 2006, poco più di un decimo del valore medio nazionale (1,9%); il rapporto tra l’ammontare di investimenti
ricevuti dall’estero e il PIL (0,4% nel 2006) si situa su un livello
che è pari a circa un quarto terzo rispetto al valore medio nazionale (1,7%). Particolarmente bassa, anche se in crescita negli ultimi
dieci anni, è la quota delle esportazioni di elevata o crescente
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produttività; esse rappresentano il 25,4% delle esportazioni totali dell’Emilia-Romagna, ben al disotto del 29,7% medio nazionale,
peraltro in diminuzione dal 2000.
In definitiva, dall’analisi degli indicatori dell’agenda di Lisbona, emerge come la situazione regionale sia nettamente migliorata negli ultimi anni per quanto riguarda il livello, e in misura minore la qualità, dell’occupazione; ma emerge anche che i processi
di crescita economica e di investimento in innovazione e nel miglioramento del capitale umano (che la revisione della strategia di
Lisbona ha indicato come prioritari per il definitivo successo della
strategia) sono rimasti indietro rispetto ai successi delle politiche
occupazionali ed ora ristagnano; probabilmente, per raggiungere
gli obiettivi europei, c’è ancora bisogno di sostegno e di indirizzo
alle politiche che li perseguono. In tale direzione appare utile tener conto di una situazione delicata che si va delineando. L’ottenimento di risultati positivi, soprattutto sul piano quantitativo, nel
mercato del lavoro regionale comincia ad apparire il risultato di
uno sforzo sociale (significativamente a carico in particolare delle
donne) che sta lasciando il segno (in termini, per esempio, di insoddisfazione e povertà percepita) e che segnala una situazione
complessa in cui a fianco di alcuni buoni risultati oggettivi e alle
indicazioni di tenuta, sia pure a fatica, degli spiriti imprenditoriali
e innovativi emergono alcuni elementi di malessere che non dovrebbero essere trascurati, in quanto potrebbero essere sintomi
di una inversione di tendenza, o in ogni caso di difficoltà, a proseguire lungo la strada indicata anche dall’Unione Europea. L’indizio più grave di questa tendenza è rappresentato dall’insufficiente crescita delle retribuzioni, caratteristica che l’Emilia-Romagna
sicuramente condivide con l’andamento generale dell’economia
italiana, e che va contrastato, attraverso un deciso aumento della
produttività, per evitare che la regione, e il paese tutto, imploda e
rimanga invischiato nella situazione di stagnazione in cui si dibatte ormai dall’inizio del nuovo millennio.
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a che punto è l`Emilia-Romagna? (, 144