Dott. Davide De Lungo Incontro di formazione Roma, Palazzo Giustiniani 12 dicembre 2014 I- I modelli di Costituzione nel dibattito Costituente La Costituzione come «patto fondativo» e come «tavola dei valori condivisi» della comunità statale. «I principi fondamentali che sono sanciti nell'introduzione, e che possono sembrare vaghi e nebulosi, corrispondono a realtà ed esigenze di questo momento storico, che sono nello stesso tempo posizioni eterne dello spirito, e manifestano un anelito che unisce insieme le correnti democratiche degli immortali principi, quelle anteriori e cristiane del sermone della montagna, e le più recenti del manifesto dei comunisti, nell'affermazione di qualcosa di comune e di superiore alle loro particolari aspirazioni e fedi» (Ruini, 22 dicembre 1947). I principi fondamentali: il prisma attraverso cui è possibile ricostruire l’humus storico-culturale in cui si radica la nostra Carta e la missione ad essa affidata dalle forze politiche. Il modello liberale La Costituzione sedimenta gli equilibri naturali e lo spontaneismo sociale: la Carta censisce e formalizza assetti e regole del corpo sociale. Il diritto «partorito dalla bacchetta magica di capricciosi legislatori» non può, né deve influire sull’autoregolazione sociale. La visione liberale è «immanentista» e si contrappone a quelle «creazioniste» cattoliche e delle sinistre. La Costituzione deve essere breve: a) limitandosi ad apprestare limiti al potere a tutela della libertà individuale negativa (concezione oppositiva Statoindividuo); b) garantendo i congegni della democrazia procedurale (Kelsen). c) ponendosi come ideologicamente adiafora: non la Carta di tutti, ma la Carta di nessuno. d) non recando norme programmatiche (da inserire al massimo in un preambolo: Calamandrei). Il modello cattolico ed il modello delle sinistre: punti di contatto Entrambi, al contrario di quello liberale, si caricano di una spiccata valenza palingenetica: non fotografano la realtà sociale, ma aspirano a ridisegnarla positivizzando un modello etico. La Costituzione deve essere lunga: a) non si esaurisce nella limitazione e nell’organizzazione del potere, ma lo legittima sulla base di un modello valoriale; b) contiene un’ampia gamma di norme direttive, che fanno da cornice al dibattito politico, orientando assiologicamente lo sviluppo sociale c) disciplina diritti negativi e positivi, immergendosi, per cambiarle, nella realtà socio-economica. Il modello cattolico ed il modello delle sinistre: divergenze Il modello culturale delle sinistre assume il conflitto dialettico come modulo del divenire sociale ed istituzionale; il modello cattolico è invece improntato alla composizione organicistica del conflitto, alla logica dello stemperamento e alla logica inclusiva dell’et et. La Costituzione, per le sinistre, è un bilancio transitorio dell’equilibrio dialettico temporaneo, sempre rivedibile per recepire l’evoluzione delle «strutture» economiche e sociali; per i cattolici, la Carta ha «pretesa di eternità» (flessibilità vs. rigidità), costituisce l’argine al potere politico per garantire il primato assoluto della persona umana (Imago Dei). Per le sinistre, il potere è monolitico, emana dal popolo ed è esercitato dal partito unico (costituente permanente), ma non tramite istituti di democrazia diretta; per i cattolici, vista l’inclinazione naturale delle passioni umane, il potere deve essere diviso e presidiato da organi di garanzia slegati dal circuito democratico (Corte costituzionale, magistratura ecc..). Il principio personalista Art. 2 La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. «Uno Stato non è pienamente democratico se non è al servizio dell’uomo, se non ha come fine supremo la dignità, la libertà, l’autonomia della persona umana» (Moro). «Il fine di un regime democratico [è] quello di garantire un più ampio e più libero sviluppo della persona» Rivoluzione «copernicana»: non più l’individuo in funzione dello Stato, ma lo Stato come strumento dell’individuo. Centralità della persona umana: per i cattolici in quanto l’uomo è imago dei; per le sinistre in quanto l’uomo è al centro del progetto di emancipazione dal bisogno; per i liberali in ragione dell’impalcatura individuo-centrica. L’art. 2 usa il termine «persona» e non «individuo»: ciò per sottolineare la naturale vocazione sociale dell’essere umano, che vive e si sviluppa nell’empatia delle relazioni sociali, e non vive ripiegato in una dimensione isolata e atomistica. La Costituzione guarda all’uomo come «homme situè» e non come mero centro astratto d’imputazione di situazioni giuridiche. Che vuol dire «riconosce…i diritti inviolabili dell’uomo»? Il verbo «riconoscere» evoca l’idea che i diritti trovino la loro fonte primigenia in una «dote» innata alla persona umana in quanto tale. Essi preesistono allo Stato, che si limita a riconoscerli, positivizzandoli in norme giuridiche e apprestando strumenti di garanzia e tutela (i quali danno loro effettività). Si rovescia così la tesi ottocentesca dei diritti pubblici soggettivi e dei diritti riflessi. Quali sono i diritti inviolabili? Non solo quelli così espressamente qualificati come tali, ma tutti quelli connessi allo sviluppo della persona umana. L’art. 2 è clausola aperta. A chi spettano i diritti inviolabili? Quelli inerenti alla persona umana in quanto tale, a tutti: sia cittadini che stranieri. Che cosa vuol dire inviolabili? La garanzia dell’irrivedibilità del nucleo essenziale; la funzione connotativa della forma di stato; l’impostazione della dialettica libertà/autorità. Il principio pluralista Art. 2: la Repubblica garantisce i diritti del singolo anche nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità. Il principio pluralista è una proiezione di quello personalista. Poiché l’uomo è creatura sociale che realizza la sua esperienza di vita in una pluralità di corpi intermedi: a) anche in essi vanno garantiti i suoi diritti; b) va riconosciuta e garantita l’esistenza stessa del fenomeno pluralistico, in quanto elemento costitutivo dell’esistenza umana. Le diverse concezioni del pluralismo: - per i cattolici, i corpi intermedi sono strumenti di incasellamento organicistico del singolo, che ordinano la società e moderano il conflitto sociale. - per le sinistre, i corpi intermedi sono il veicolo del conflitto sociale (soprattutto i sindacati e i partiti). - per i liberali, i corpi intermedi sono un diaframma che impedisce l’emersione della volontà generale portando alla creazione di «stati nello stato». Punto di raccordo: la strumentalità del pluralismo allo sviluppo della persona umana. Le funzioni del pluralismo: - Rispecchia l’esistenza dell’uomo, alla ricerca di una mediazione fra «ragioni opposte di angoscia […] sospesa tra la paura dello Stato e il deserto della solitudine» (Rescigno). - Consente di creare strutture per interloquire nella sfera pubblica, cioè strumenti di partecipazione democratica ulteriori rispetto ai moduli della rappresentanza. - Crea più livelli di mediazione e sintesi delle istanze sociali, economiche e politiche (Montesquieu, contra Rousseau). - Consente ai singoli la cura dell’interesse generale e la realizzazione della proiezione solidaristica (es. Terzo settore). Il principio solidarista Il primato della persona umana e il riconoscimento della sua pulsione sociale si coniugano con il disegno di emancipazione dal bisogno e di garanzia della parità delle chances. Il principio solidarista impone il rispetto di doveri inderogabili e consente l’omogeneità minima della compagine sociale: le comunità sono cementate dai doveri comuni più che dai diritti. Il principio democratico Art. 1 1. L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. 2. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. - Repubblica: sostantivo accolto nell’accezione minima, come «elettività necessaria del Capo dello Stato». - Democratica: aggettivo che connota i caratteri sostanziali della Repubblica. Ma che cosa è la democrazia? - Democrazia intesa in senso procedurale (Kelsen): insieme di regole che garantiscono il confronto procedimentalizzato, pubblico e aperto fra forze diverse, sul presupposto (eticamente relativistico) che nessuna di esse è portatrice della verità. - Democrazia intesa in senso sostanziale: «government of the people , by the people, for the people» (Lincoln). Ogni decisione deve promanare direttamente o indirettamente dal popolo, o comunque essere sottoponibile ad una forma di controllo dello stesso. Le due prospettive si saldano. La democrazia è regime politico fondato: - sulla logica amico/avversario, non amico/nemico; - su un’antropologia ottimista, che tollera il dissenso e la contrapposizione, sulla base del relativismo etico; - su un metodo pacifico di composizione dei conflitti, quello maggioritario temperato dalle garanzie per la minoranza; - sul rifiuto del pan-politicismo; - sulla responsabilità e responsività dei rappresentanti (essendo quella indiretta l’unica democrazia realisticamente attuabile). Che vuol dire «la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione»? -Bobbio: il principio democratico non può applicarsi a se stesso, pena la sua estinzione. Le «regole del gioco» e i diritti sono in parte sottratti all’operatività del metodo maggioritario, per evitare che la democrazia nuoccia a se stessa e che la maggioranza prevarichi la minoranza. - Lo stato costituzionale liberal-democratico si fonda su due principi di legittimazione: a) il principio democratico b) il sistema di valori delineato dalla Costituzione, parzialmente indisponibili al circuito politico (cfr.: limiti alla revisione costituzionale, Corte costituzionale). Il principio d’uguaglianza Art. 3, comma 1: principio di uguaglianza formale Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. L’uguaglianza formale è un pilastro dello stato liberale: negando il particolarismo medioevale, con lo stato liberale si afferma la uguale sottoposizione dei cittadini all’ordinamento, a prescindere dal loro status giuridici o di fatto. La «pari dignità sociale» come presupposto dell’uguaglianza? La norma giuridica può operare differenziazioni ragionevoli di disciplina, solo in presenza di obiettive differenze. Limite all’arbitrio. La norma giuridica deve essere tendenzialmente generale e astratta, e deve presupporre la distinzione fra disporre in astratto e provvedere in concreto (cfr. leggi ad personam e leggi Art. 3, comma 2: principio di uguaglianza sostanziale E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. La norma è il portato della concezione cattolica e delle sinistre, tesa a realizzare una palingenetica affrancazione dell’uomo dal bisogno: in essa convergono personalismo e solidarismo. La norma affonda le sue radici sui rischi di sclerotizzazione dei rapporti di forza e di abuso dei più forti insiti in un’eguaglianza solo formale. Essa impegna tutti gli organi pubblici a rimuovere gli ostacoli di fatto e a garantire parità di chances di partenza. Uguaglianza formale e sostanziale: come si combinano? - Lo stato sociale di diritto - La libertà e l’uguaglianza non sono in contrasto: non si può essere veramente liberi se non si gode di uno standard minimo di partenza; l’integrazione della società non può basarsi solo su valori comuni, ma anche su concreta omogeneità delle condizioni di vita. - Giustizia commutativa e giustizia distributiva (avversata dai liberali) - Il principio di ragionevolezza - L’art. 3 e i diritti: estensione delle condizioni d’accesso a diritti già esistenti e creazione di diritti nuovi. Il principio lavorista Art. 1 L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro Art. 4 La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. Art. 46 Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende. Art. 99: previsione del CNEL (organo di rappresentanza corporativa) La centralità etica del lavoro (non dei lavoratori, come originariamente proposto dalle sinistre, con rischi di deriva classista), che è un diritto/dovere: - come fondamentale interfaccia sociale dell’uomo; - come principale strumento di autorealizzazione e sviluppo della persona; - come contributo del singolo alla comunità e all’interesse generale - come declinazione del principio solidarista, inteso quale contributo di tutti al bene comune. Esiste un diritto soggettivo perfetto al lavoro? No: si tratta di una norma programmatica che si limita ad impegnare lo Stato ad operare politiche formative e di incremento dell’occupazione. - Tale norma programmatica, più delle altre, sconta non solo il limite delle risorse finanziarie, ma pure l’influenza dei parametri micro e macro-economici, nonché le esigenze di coordinamento con la libertà d’iniziativa economica privata (art. 41). - In ogni caso, la mancata osservanza di tale previsione è difficilmente sindacabile nel giudizio costituzionale.