CIENTRARE
MAI PIÙ CIE
La detenzione
amministrativa dei
migranti e la violazione
dei diritti umani
LASCIATECIENTRARE
MAI PIÙ CIE
European Alternatives è una organizzazione non-profit che mira ad esplorare e
promuovere una cultura e una politica veramente transnazionale, mediante campagne,
conferenze, pubblicazioni e l’organizzazione del Festival Transeuropa.
Siamo convinti che sfide quali la partecipazione democratica, l’uguaglianza sociale e
l’innovazione culturale non possano più essere risolte a livello nazionale, ma che si debba
incoraggiare l’emergere di una collettività transnazionale che si faccia promotrice di tali valori.
www.euroalter.com
Editing e coordinamento
Anna Lodeserto
Sara Saleri
Alessandro Valera
Foto fornite da
Mario Badagliacca
Raffaella Cosentino
Lorenzo Rinelli
Un ringraziamento a
Alessandra Capodanno, Lorenzo Marsili,
Migreurop, ASGI, ARCI
Grafica e impaginazione
Erika Kramarik
www.sketching-erika.com
Progetto finanziato da
Commissione europea – Europa per i cittadini
Open Society Foundations
Questo progetto ha ricevuto un supporto finanziario dalla Commissione
Europea. La pubblicazione riflette unicamente il punto di vista degli autori,
e la Commissione non può essere considerata responsabile per l’uso che
possa essere fatto delle informazioni qui contenute.
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Introduzione
Flore Murard-Yovanovitch, European Alternatives
Ogni anno in Europa, migliaia di migranti sono detenuti in
centri chiusi fino a diciotto mesi, per il solo motivo di non avere
il permesso di soggiorno e senza aver commesso alcun reato. Al
2012, sono 473 i centri di detenzione censiti dalla rete Migreurop
negli stati europei e nei paesi confinanti, per una capienza conosciuta di circa 37.000 posti. Un numero che non cessa di aumentare e rivela la sistematizzazione della detenzione amministrativa
come anello chiave nella gestione dei flussi migratori, che mal
cela una vera e propria “guerra” contro i migranti.
Dall’inizio degli anni ‘90, tutti gli stati membri hanno sviluppato dispositivi legislativi, amministrativi e politici che si sono tradotti nella creazione di veri e propri campi di detenzione. Più di
recente, la prassi della detenzione amministrativa degli immigrati è praticata anche in luoghi informali, a tempo indeterminato,
senza alcun controllo giurisdizionale, con la negazione dei diritti
“Il CIE è il luogo nel quale si massimizzano tutti i dispositivi e i
protocolli di controllo delle attuali leggi in materia di immigrazione.
È quella zona grigia nella quale il migrante, una volta entrato, viene
denudato di tutto, anche della sua soggettività, fino a divenire un
mero numero sul quale applicare leggi extragiuridiche, in funzione
del mantenimento stesso del sistema di profitto economico dei CIE.
Affinché si possa andare oltre questo modo di gestire le migrazioni,
occorre guardarle da una prospettiva diversa, costruendo una
memoria culturale condivisa attraverso i percorsi di vita che i
migranti portano con sé.”
Mario Badagliacca – Archivio Memorie Migranti
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di difesa, e persino della possibilità di accedere alle procedure di
protezione internazionale.
Eppure, la società civile europea spesso non conosce l’esistenza di quei luoghi segreti, ma diffusi su tutto il territorio dell’Unione europea, dove si verificano continue e sistematiche violazioni
dei diritti umani fondamentali dei migranti, nonché delle convenzioni europee e internazionali.
La Campagna LasciateCIEntrare, in partenariato con European
Alternatives, ha per obiettivo di rompere il muro di silenzio che
circonda quei luoghi oggetto di censura e di informare i cittadini
italiani di cosa avviene in loro nome e con i loro contributi. Per
rivelare, oltre i cancelli, gli abusi quotidiani, le torture e la fragilizzazione psicofisica dei detenuti migranti, di cui sono prova
inconfutabile i numerosi suicidi, atti di autolesionismo e rivolte
ripetute.
Per raggiungere il suo obiettivo di un paese senza campi di
detenzione, la campagna ha bisogno di ognuno di voi. Intanto, si
chiede agli stati membri dell’UE di mettere immediatamente fine
alla prassi della detenzione amministrativa e di ripensare una politica migratoria diversa, basata sull’apertura di canali legali d’ingresso e su pratiche diverse dell’accoglienza di coloro che sono
costretti a lasciare il loro paese da guerre e persecuzioni.
APPELLO MAI PIù CIE
Foglio di via alle violazioni
dei diritti umani
La Campagna LasciateCIEntrare nasce nel maggio del 2011
dall’iniziativa di alcuni settori attivi della società civile insieme
alla Federazione nazionale della stampa e all’Ordine dei giornalisti in risposta alla circolare 1305/2011 emanata dall’allora
Ministro dell’Interno italiano Maroni, che vietava l’ingresso dei
giornalisti e di gran parte delle associazioni nei Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE). Proprio a seguito dell’azione di
pressione portata avanti dalla Campagna, a dicembre 2011 la
circolare è stata ritirata ma il problema dell’accesso ai CIE permane. Infatti, l’elevata discrezionalità delle singole Prefetture
nell’autorizzare l’accesso determina ancora oggi una censura di
fatto. La Campagna ricorda come la normativa europea prevede che “I pertinenti e competenti organismi ed organizzazioni
nazionali, internazionali e non governativi hanno la possibilità
di accedere ai centri di permanenza temporanea (...) Tali visite
possono essere soggette ad autorizzazioni” (Direttiva 2008/115/
CE art. 16 co. 4). Il diritto europeo prevede quale regola generale il diritto di accesso ai CIE da parte di enti che vogliano monitorare le condizioni effettive in cui si svolge il trattenimento
e, pur prevedendo la possibilità che le visite siano soggette ad
autorizzazione, stabilisce che tale prassi non debba ostacolare
di fatto, con procedure lunghe e dilatorie, il concreto accesso
alle strutture, come invece avviene in Italia.
Nel corso di questo anno e mezzo la Campagna ha promosso
un monitoraggio costante delle condizioni di vita dei migranti
nei CIE, strutture degradate oltre il limite della vivibilità e del rispetto della dignità umana e dove si verificano continue e siste-
CIE di Ponte Galeria. Foto di Mario Badagliacca
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matiche violazioni dei diritti umani fondamentali.
Due le mobilitazione nazionali organizzate: il 25 luglio del
2011, e dal 23 al 28 aprile del 2012, con presidi in dieci diverse
città che hanno visto la partecipazione di parlamentari, associazioni e organizzazioni della società civile, sindacati, giornalisti.
Il sistema della detenzione amministrativa per i migranti
rappresenta un vulnus nel sistema giuridico italiano in quanto prevede la privazione della libertà personale per chi non ha
commesso alcun reato, se non quello “formale” dell’assenza di
permesso di soggiorno (reato amministrativo introdotto dalla
legge 94/2009 cd. “legge sicurezza”).
I centri di detenzione amministrativa sono sta ti introdotti
dalla legge Turco-Napolitano (con la denominazione di CPTA
– Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza con limite di
trattenimento ai 30 giorni). Il periodo di trattenimento è stato
poi prolungato a un massimo di 60 giorni (L. 189/2002 cd. BossiFini), poi a 180 giorni (L.125/2008) sino ad arrivare per iniziativa dell’ex Ministro dell’Interno Maroni a un massimo di 18 mesi
(D.L.89/2011). Denominati Centri di Identificazione ed Espulsio-
ne dalla legge 125/2008, i centri si sono dimostrati nel corso
degli anni inefficaci e fallimentari.
La Campagna osserva che, per quanto la normativa europea
non censuri l’istituto della detenzione amministrativa, ne ammette l’utilizzo solo come extrema ratio, mentre in Italia esso
è assunto come strumento ordinario di esecuzione delle espulsioni.
I tanti episodi di rivolte e di fughe, di suicidio, di autolesionismo, il racconto delle violenze subite, lo stato di prostrazione
che provocano anche pochi giorni di detenzione, l’alto tasso di
consumo e abuso di psicofarmaci indispensabili a sopportare un
“regime carcerario” legalizzato sono comprovati non solo dalla
cronaca ma anche da approfondite ricerche svolte da organizzazioni nazionali e internazionali indipendenti. Una di queste,
curata dalla Commissione De Mistura istituita dal Governo italiano nel 2007, a conclusione del rapporto propose il progressivo
superamento dei CPTA. Da allora la situazione dei centri di detenzione è ulteriormente peggiorata.
In particolare segnaliamo alcuni degli aspetti più critici:
“Fondamentale che la mobilitazione di LasciateCIEntrare prosegua.
Nel nostro paese lo spread da colmare è anche quello dei diritti
umani. La questione ampia e complessa dell'immigrazione in questi
anni è stata affrontata troppe volte con un approccio di mero ordine
pubblico. Invece di intervenire in una logica conforme ad integrare in
modo vantaggioso per tutti una risorsa così preziosa per la crescita e
il rilancio economico del paese si sono alzati pesanti muri e costruiti
ghetti intorno alle popolazioni straniere. Da anni ormai come radicali
proponiamo un cambio totale di rotta, che vuol dire innanzitutto il
rientro nella legalità costituzionale, europea e internazionale.”
Sen. Emma Bonino – Vice Presidente del Senato
della Repubblica, Partito Radicale
CIE di Ponte Galeria. Foto di Mario Badagliacca
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violazione del diritto alla salute: utilizzo massiccio di psicofarmaci, frequenti omissioni di soccorso;
mancato accesso alle informazioni: le persone spesso
vengono detenute senza sapere perché e per quanto
tempo;
difficoltà di comunicazione con l’esterno: alle persone
detenute vengono spesso preclusi il possesso e/o l’utilizzo del cellulare, l’uso della rete tramite internet così come
la possibilità di acquisire informazioni sul loro trattenimento;
assenza di tutela legale: gravissimi e frequenti gli episodi di convalide “farse” a volte solo cartacee, espresse da
giudici di pace spesso privi delle necessarie competenze. Sono inoltre frequenti i casi in cui non è consentita
neanche la comunicazione tra i detenuti e gli avvocati di
fiducia o le associazioni ed enti di tutela;
frequenti abusi e maltrattamenti da parte delle forze
dell’ordine e/o del personale di sorveglianza;
violazione del diritto di informazione e di cronaca: l’accesso ai centri da parte dei giornalisti rimane problemati-
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co e discrezionale;
molti casi di trattenimenti illegittimi e illegali di minori,
vittime di tratta, richiedenti asilo, persone nate in Italia e
cittadini comunitari;
massiccia presenza nei centri di persone provenienti dal circuito penale, che – dopo aver scontato l’intera
condanna – subiscono un ulteriore e ingiustificato periodo di detenzione, perché non sono già stati identificati in
carcere;
sproporzione tra l’alto costo di gestione dei CIE e l’efficacia della detenzione amministrativa, scarsa trasparenza
delle convenzioni stipulate con gli enti gestori.
A fronte di queste gravi violazioni dei diritti umani, la Campagna sottolinea l’inefficacia e l’inefficienza dei CIE rispetto alle
funzioni affidate ad essi dal legislatore: negli anni, meno della
metà delle persone detenute nei centri è stata effettivamente
rimpatriata a fronte di costi elevati per l’allestimento, la gestione,
la manutenzione e la sorveglianza delle strutture. La Campagna
sottolinea altresì come i diritti delle persone trattenute non siano disciplinati da alcuna norma primaria, bensì siano affidati ad
una generica e lacunosa disposizione regolamentare e persino a
meri “capitolati” di gestione.
“Se l'Italia è fanalino di coda in Europa per la libertà di informazione
lo dobbiamo anche alla vergogna dei CIE, all'interno dei quali
i detenuti non possono comunicare con l'esterno, mentre per
i giornalisti l'accesso ai centri resta complicato. Così facendo
chi può vigilare sul trattamento dignitoso che dovrebbero
ricevere, secondo le convenzioni internazionali, i cittadini accolti
temporaneamente in questi centri?”
Stefano Corradino – Direttore Articolo21
CIE di Ponte Galeria. Foto di Mario Badagliacca
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Alla luce di queste considerazioni
la Campagna LasciateCIEntrare
CHIEDE
l’immediata chiusura di tutti i CIE d’Italia
Le alternative alla detenzione amministrativa e ai CIE sono
possibili a partire innanzitutto dalla puntuale e corretta applicazione della direttiva 2008/115/CE (cd. direttiva rimpatri) e comunque dall’indispensabile e improrogabile riforma complessiva del Testo unico sull’immigrazione (d.lgs. 286/98). Sono urgenti
una modifica del sistema degli ingressi, delle procedure di identificazione, della disciplina del soggiorno e delle espulsioni, una
corretta applicazione della normativa europea sull’accoglienza
che innalzi gli standard attualmente praticati, una riforma della
legge sulla cittadinanza, una legge per l’introduzione del diritto
di voto amministrativo, una legge organica sul diritto di asilo.
Le istanze della Campagna saranno sottoposte alle forze parlamentari, politiche, amministrative, istituzionali, e alla società
civile e, contestualmente al percorso nazionale, la Campagna
presenterà la propria posizione a livello europeo presso il Parlamento della UE. Questo il percorso che LasciateCIEntrare intende
promuovere, anche in prospettiva delle elezioni politiche in Italia
nella primavera del 2013, e in Europa nella primavera del 2014.
Novembre 2012
“I CIE sono luoghi esemplari, usati nei confronti di tutti gli immigrati
in arrivo verso le nostre frontiere quale esempio di cosa potrebbe
loro accadere se mai decidessero di varcarle e giungere in Italia. I
maltrattamenti riservati alle donne e agli uomini nei CIE sono diretti a
fungere da monito verso tutto il resto della comunità migrante. Vi sono
tutti gli ingredienti del crimine di tortura se mai questa intenzionalità
fosse dimostrata.”
Patrizio Gonnella – Associazione ANTIGONE
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Brevi cenni sulla Campagna LasciateCIEntrare
Gabriella Guido
(Coordinamento Campagna LasciateCIEntrare)
La Campagna LasciateCIEntrare nasce nell’aprile 2011 a seguito della decisione dell’ex Ministro dell’Interno Maroni di precludere l’accesso ai giornalisti nei
CIE e CARA in Italia. Non si poteva accettare in silenzio una violazione del diritto
dovere di informazione, non si poteva accettare l’esistenza di luoghi “censurabili”
agli occhi della stampa e quindi dell’opinione pubblica. Insieme alle associazioni
dei giornalisti, organizzazioni che si occupano della tutela dei migranti, avvocati,
parlamentari, associazioni della società civile, e la CGIL abbiamo organizzato una
prima mobilitazione nazionale nel luglio 2011 di fronte ai dieci centri operativi di
Roma, Torino, Milano, Gradisca, Modena, Bologna, Bari, Cagliari, Trapani, Crotone,
Catania, Lampedusa.
Iniziavano così le prime visite di molti parlamentari che si “sostituivano” alla
stampa interdetta, e si poteva finalmente dare voce agli “ospiti” di questi centri, veri “lager istituzionali”, denunciando la situazione di censura della stampa e
cercando nello stesso tempo di raccontare la realtà dei centri, le gravi carenze
assistenziali e normative, fino a far luce sui numerosi casi di violenza fisica, psicologica e sulla mancata garanzia di tutela legale dovuta per legge ai cittadini
stranieri. Vengono organizzati incontri di formazione per giornalisti e la rete territoriale serve anche per poter denunciare quello che prima era negato e tenuto
sotto silenzio.
La seconda mobilitazione avviene nel mese di aprile 2012, e a luglio 2012 l’associazione Articolo 21 assegna alla Campagna LasciateCIEntrare il Premio Giuntella per la Libertà di Informazione. Nel novembre 2012 la Campagna organizza
il convegno “Il sistema CIE e la violazione dei diritti umani” presso l’Ufficio di Informazione del Parlamento Europeo nell’ambito della settimana “L’Europa è per
i diritti umani”, nel quale presenta l’appello MAI PIÙ CIE e il documento Alcune
proposte per una nuova politica in materia di immigrazione.
La Campagna è oramai riconosciuta a livello politico, istituzionale e civile. Due
sono state le delegazioni “ufficiali” della Campagna, riconosciute dal Ministero
dell’Interno, che hanno visitato il CIE di Gradisca e di Bari in ottobre e dicembre.
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MAI PIÙ CIE
Alcune proposte per chiudere i centri
di detenzione per stranieri per
una nuova politica dell’immigrazione
Documento sintetico
Fulvio Vassallo Paleologo e Alessandra Ballerini
Approfondimento e proposte divulgate congiuntamente all’appello “MAI PIù CIE” dalla Campagna LasciateCIEntrare –
Novembre 2012
1. È ormai improrogabile una svolta chiara in politica estera,
senza delegare i controlli delle frontiere a stati che non applicano effettivamente la Convenzione di Ginevra del 1951
sulla protezione dei rifugiati, o che non vi hanno neppure
aderito. Non dovranno più concludersi accordi bilaterali
per sostenere finanziariamente e tecnicamente la Libia, o
altri paesi di transito, che non garantiscono il rispetto dei
diritti umani nel “controllo dei flussi di immigrazione clandestina”. Gli ultimi contatti diplomatici tra Italia e Libia hanno trascurato ogni riferimento alla tutela dei diritti umani dei migranti, e hanno soltanto prospettato i problemi
dell’immigrazione irregolare che i due stati dichiarano di
volere contrastare.
2. In base alle leggi vigenti e alla costante giurisprudenza,
chiunque giunga sul suolo europeo in cerca di protezione
ha diritto quantomeno all’esame della propria situazione
individuale da parte di una commissione indipendente,
con un diritto di ricorso effettivo, in un contesto dignitoso
e in tempi rapidi, così come stabiliscono le convenzioni
internazionali e la Costituzione italiana. Per questa ragio-
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ne, per garantire effettivamente i diritti di difesa a tutti i
potenziali richiedenti asilo, occorre abrogare per intero il
decreto legislativo n. 159 del 2008 che ha ampliato i casi di
trattenimento amministrativo dei richiedenti asilo e privato di effetto sospensivo automatico i ricorsi contro i dinieghi di status di protezione pronunciati dalle Commissioni
territoriali.
3. Rimpatri collettivi e deportazioni di massa sono incompatibili non solo con il regime normativo dei paesi democratici, ma anche con i più elementari principi di civiltà e
di rispetto della dignità della persona umana. Così come
la detenzione e i lunghissimi tempi di attesa per l’esame
della domanda di asilo. Occorre applicare rigorosamente il principio del non respingimento, affermato in primis
nell’art. 33 della Convenzione di Ginevra e ribadito nella
legislazione comunitaria. L’utilizzazione surrettizia dell’istituto del respingimento, immediato o differito, previsto
dall’art. 10 del Testo unico sull’immigrazione, ha consentito l’esecuzione di vere e proprie espulsioni collettive, vietate da tutte le convenzioni internazionali (e dal prot. n.
4 alla Cedu), senza alcuna possibilità di esercitare i diritti
di difesa o di fare valere una richiesta di protezione internazionale. Quanto rilevato anche nel corso delle visite nei
CIE, effettuate da delegazioni parlamentari e da giornalisti,
conferma il contrasto tra l’art. 10 comma 2 del T.U. n. 286
“In tanti, in questi mesi, da giornalisti, hanno bussato alle porte dei CIE e
dei CARA dicendo ‘Noi vogliamo entrare’ perché, come ha detto con una
frase di straordinaria forza un immigrato detenuto: ‘Avete il dovere di
raccontare che noi stiamo in un canile’. Il dovere: lui ricorre a una parola
che a volte anche noi ci ricordiamo di mettere nei nostri documenti. Non
c’è il diritto di informare: prima di tutto c’è il dovere di informare.”
Roberto Natale – FNSI
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del 1998, che prevede il cd. respingimento differito, l’art.
14 dello stesso Testo unico, in materia di trattenimento
amministrativo, e gli articoli 3, 10, 13 e 24 della Costituzione italiana, che impongono formalità e garanzie che nella
prassi applicata non vengono riconosciute dalle autorità
amministrative italiane.
4. Per rispettare nella sostanza la direttiva comunitaria
2008/115/CE sui rimpatri, vanno ridotti i casi di rimpatrio
con accompagnamento forzato, che dopo la legge BossiFini del 2002 costituiscono l’ipotesi più frequente, e che
richiedono misure di trattenimento amministrativo e procedure di convalida che non risultano applicabili nella generalità dei casi. Bisogna quindi ripristinare il sistema delle
espulsioni basato generalmente sull’intimazione a lasciare
il territorio dello stato, come era previsto dalla legge 40 del
1998 (Turco-Napolitano) e come è richiesto adesso dalla
direttiva comunitaria sui rimpatri.
5. La prospettiva di medio periodo, che presuppone l’apertura di vie legali di ingresso e la regolarizzazione permanente su base individuale di chi maturi nel tempo requisiti
come un lavoro e la disponibilità di un alloggio, non può
che essere quella della chiusura dei CIE, e della utilizzazione della detenzione amministrativa per un tempo massimo di 96 ore solo per quei casi individuali di espulsione di
persone che costituiscono una grave minaccia per l’ordine
pubblico e la sicurezza dei cittadini. Ma sempre nel rispetto dei diritti fondamentali della persona umana, dettati
dalla Costituzione, e dalla Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea e dalla Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo.
6. La convalida, ed ancor più la proroga del trattenimento
amministrativo nei CIE, avviene sovente senza un effettivo
controllo giurisdizionale e senza la possibilità di fare valere i diritti di difesa, malgrado la Corte di Cassazione, con
la sentenza n. 4544 del 2010, abbia affermato che sarebbe evidente la incostituzionalità dell’art. 14 comma 5 del
T.U. sull’immigrazione n. 286 del 1998, per violazione degli
articoli 3 e 24 della Costituzione, ove “si affidasse al mero
colloquio cartaceo tra amministrazione e giudice di pace
il controllo della permanenza e dell’aggravamento delle
condizioni autorizzanti la protrazione del vincolo” (decreto
di proroga). Il rito camerale di convalida del trattenimen-
“La sentenza del Tar del Lazio 18 maggio 2012 ha dichiarato illegittima la
circolare Maroni che impediva alla stampa l’accesso ai CIE, sancendo
una prima vittoria della Campagna LasciateCIEntrare contro la censura.
Queste le parole dei giudici: ‘In definitiva, la libertà di stampa svolge un
ruolo fondamentale nel dibattito democratico, tale da non sopportare
l’introduzione di limiti atti a restringerla, dovendo convenirsi con la
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo allorché questa
ha affermato che i giornali sono i così detti “cani da guardia” (watch dog)
della democrazia e delle istituzioni’.”
Raffaella Cosentino – Giornalista
Sit in di LasciateCIEntrare al CIE di Ponte Galeria, luglio 2011. Foto di Raffaella Cosentino
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to nei CIE appare ancora oggi lesivo dei diritti di difesa
da riconoscere anche agli immigrati irregolari. Occorre
dunque un indirizzo amministrativo alle questure, ed un
preciso richiamo del Ministro della Giustizia rivolto anche
agli uffici dei giudici di pace, in modo da garantire il pieno
rispetto del principio del contraddittorio, la presenza e la
tempestiva convocazione del difensore, la notifica degli
atti all’interessato, la possibilità per i difensori di studiare i
casi e articolare le difese.
breve in un permesso di soggiorno per motivi di lavoro).
2. Meccanismi di regolarizzazione permanente per lavoratori subordinati e autonomi senza richiedere la necessaria
partecipazione del datore di lavoro, ma ad istanza dei soli
lavoratori per evitare, come si è verificato ovunque negli
ultimi anni, il diffondersi di odiose truffe ed in attuazione
della direttiva 52/2009 e della convenzione Oil.
3. Abolizione del reato di clandestinità.
4. Revisione della legge sulla cittadinanza.
Per superare davvero, e non per decreto, lo stato di emergenza immigrazione, e per evitare l’utilizzazione del carcere e
dei centri di accoglienza/detenzione come strumenti esclusivi
di controllo e di regolazione della circolazione e dell’ingresso
dei migranti occorrono dunque:
Con queste ed altre modifiche, da apportare al Testo unico
sull’immigrazione del 1998, come modificato nel 2002 dalla legge Bossi- Fini, e con una depenalizzazione delle fattispecie penali
tipiche ricorrenti più frequentemente nei casi di irregolarità, la
presenza dei detenuti stranieri negli istituti di pena, oggi oltre un
terzo, potrebbe diminuire. Anche il numero degli irregolari potrebbe ridursi drasticamente e consentire la chiusura della maggior parte dei centri di detenzione, strutture disumane ed inefficaci, che costano centinaia di milioni di euro all’anno, e neanche
realizzano la finalità di aumentare il numero degli immigrati che
anno per anno vengono effettivamente rimpatriati.
1. Una revisione sostanziale della legge sull’immigrazione
nelle parti in cui si rende difficile, se non impossibile, ottenere il rilascio di un visto di ingresso regolare o il rilascio, il
rinnovo o la conversione di un permesso di soggiorno (si
pensi solo alle migliaia di lavoratori stranieri che perdendo
il lavoro e rimanendo disoccupati perdono automaticamente il titolo di soggiorno diventando irregolari e dunque espellibili o a tutte le persone che entrano per turismo
e poi non possono convertire il permesso di soggiorno
“L’associazione Class Action procedimentale ha citato in giudizio civile
con azione popolare il Ministero dell’Interno, ivi denunciando il carattere
illegale del regime di detenzione dei migranti nel CIE di Bari. L’azione
popolare costituisce esercizio di militanza del sapere giuridico al servizio
dei diritti umani ed ha quale primaria finalità quella di riportare la dignità
dell’uomo al vertice della scala dei valori giuridici.”
Luigi Paccione – Class Action Procedimentale
CIE di Ponte Galeria. Foto di Raffaella Cosentino
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FOCUS
La ricerca sul CIE di Torino
Betwixt and Between: Turin’s CIE
Ulrich Stege, Maurizio Veglio
Presentiamo un estratto sintetico della ricerca Betwixt and
Between: Turin’s CIE, condotta dal programma Human Rights and
Migration Law Clinic (un programma di clinica legale condotto
dall’International University College di Torino in collaborazione con
l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) e le Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino e dell’Università del
Piemonte Orientale – sede di Alessandria), condotta da Emanuela
Roman, Abigael Ogada-Osir, Shalini Iyengar, Carla Landri, Margherita Mini e Tatiana Skalon e coordinata da Ulrich Stege e Maurizio
Veglio. La ricerca, che aveva l’obiettivo di verificare il rispetto o meno
dei diritti europei, internazionali e dei diritti umani nella pratica di
ogni giorno all’interno dei CIE, si basa su 17 interviste a persone che
sono state trattenute nei CIE e 12 interviste ad avvocati, mediatori
sociali e altre persone che hanno un contatto quotidiano con i CIE.
Con la nostra ricerca, abbiamo provato a raccontare la detenzione in un CIE attraverso la voce di chi vi è trattenuto, ci poniamo perciò l’obiettivo di invitare al tavolo della discussione chi
subisce direttamente sulla propria pelle gli effetti della politica
di cui parliamo.
Il CIE di Torino, CIE Brunelleschi, è un’ex struttura militare riconvertita che ha una capienza, in linea teorica, di 210 posti, ma
a causa di un’area inutilizzata, ha una capienza reale massima di
131 posti. L’ente gestore del centro è la Croce Rossa Italiana che
agisce in regime di convenzione.
Un primo focus della ricerca riguarda le condizioni in cui si
svolge il trattenimento. In primo luogo, ci siamo occupati degli
aspetti legati alla vita familiare e al rispetto dell’unità familiare.
Nel corso delle interviste abbiamo incontrato vicende particolarmente significative di persone che hanno un radicamento in
Italia pluriennale (5, 10, 15 fino a 20 anni di residenza in Italia). In
qualche caso abbiamo incontrato esperienze caratterizzate dalla
regolarità del soggiorno, anche per un periodo molto lungo, ma
che poi, a seguito di eventi penali o anche solo amministrativi, si
“All'interno dei CIE alla sospensione del diritto si accompagna una vera
e propria sospensione del tempo che incide profondamente sulla
dimensione esistenziale e sulla salute psico-fisica dei migranti reclusi.
Bloccati, paralizzati, sradicati e senza contatti umani, perdono i loro
punti di riferimento e le loro appartenenze. Le persone rinchiuse non
solo subiscono un'interruzione del loro ciclo vitale ma anche una
violenta aggressione all'identità.”
Franca Di Lecce – Federazione delle
Chiese Evangeliche in Italia/Servizio Rifugiati e Migranti
CIE di Ponte Galeria. Foto di Raffaella Cosentino
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sono concluse con la caduta nella condizione di irregolarità. In
molti casi il soggiorno irregolare prolungato ha evidentemente
ridotto e reso residuali i legami con il paese di provenienza.
In tutti i casi ciò che emerge è che il diritto all’unità familiare e, in particolare, il superiore interesse del fanciullo, che è un
principio che viene richiamato non solo a livello nazionale ma
ovviamente a livello internazionale, non trova adeguata considerazione. Solo per citare due vicende in particolare: il caso di
una cittadina peruviana con una figlia di 9 anni nata in Italia, a
Roma, e residente a Roma, che finisce dentro il CIE di Torino con
impossibilità di incontrare la figlia, la quale, perciò, verrà inevitabilmente affidata alle cure della nonna; o ancora, il caso di una
cittadina della ex Jugoslavia residente a Reggio Calabria, con
quattro figli minorenni, che è trattenuta a Torino, quindi a 1.345
km di distanza.
Il diritto all’unità familiare non trova adeguata considerazione
negli elementi che abbiamo raccolto, né al momento della decisione di adottare un decreto di espulsione né tanto meno al
momento di convalida del decreto di trattenimento e nemmeno nel corso dell’esecuzione del trattenimento, perché in molti
casi si verifica il trasferimento delle persone in diversi centri, con
la finalità di agevolare le procedure di identificazione, quindi per
facilitare il lavoro di ambasciate e consolati, ma con ulteriore lesione al diritto all’unità familiare, perché il trasferimento rende di
fatto impossibili le visite dei parenti.
Un secondo tema della ricerca riguarda i rapporti tra CIE e
carcere. A Torino nel 2011 il 30% circa dei trattenuti nel CIE proviene dal carcere o ha avuto un’esperienza carceraria; il dato, fornitoci dalla Prefettura, è molto probabilmente conservativo, nel
senso che abbiamo avuto la sensazione che la percentuale sia
anche maggiore. Siamo naturalmente di fronte a un paradosso:
il trattenimento, che è finalizzato all’identificazione, si rivolge in
questo caso a persone che hanno trascorso anche periodi molto
lunghi in carcere, senza che questo obiettivo – l’identificazione –
fosse portato a termine. Inoltre, tutte le persone con esperienze
carcerarie, all’unanimità, ci hanno segnalato che il trattenimento
presso il CIE avviene in condizioni deteriori, in primo luogo per
l’assenza assoluta di attività, iniziative, lavoro, formazione professionale e educativa, qualunque tipo di attività possa riempire
una giornata, ma in particolare perché lo straniero trattenuto
presso un CIE è di fatto dipendente in tutto e per tutto dalla
struttura, dalla richiesta di accensione di una sigaretta a quella
“L’istituzione dei CIE costituisce per l'ASGI una ferita nel sistema
giuridico italiano. Le criticità dal punto di vista giuridico riguardano,
tuttavia, l’intero sistema di trattenimento ed espulsione in vigore
in Italia, che viola in molte parti importanti le norme costituzionali,
internazionali e dell’Unione europea. L’ASGI aderisce con
convinzione alla Campagna “MAI PIÙ CIE” segnalando che il
superamento della necessità dei CIE non può prescindere da una
riforma globale della normativa in materia di immigrazione, a
cominciare dalle norme sull’ingresso, il soggiorno e la cittadinanza.”
ASGI – Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione
CIE di Lampedusa. Foto di Lorenzo Rinelli
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MAI PIÙ CIE
di intervento del personale sanitario, perciò lo straniero non è in
nessun modo autonomo. Abbiamo avuto la sensazione di avere
a che fare con persone che si percepiscono come corpi a disposizione della struttura – cioè, in ultima istanza della pubblica
amministrazione – in una situazione in cui la privazione di ogni
forma di autonomia personale avviene con modalità ancor più
invasive di quelle che si verificano all’interno di un carcere.
Il tema della comunicazione con l’esterno è un punto estremamente dolente. Per la grande difficoltà di ottenere visite, il
telefono è davvero l’unica possibilità che le persone hanno per
contattare parenti amici o conoscenti. Non moltissimi sanno che
esiste un decreto ministeriale che risale al 2001, secondo il quale ai
trattenuti devono essere garantiti cinque euro di credito telefonico per ogni dieci giorni di permanenza e tre lettere alla settimana.
Tutte le persone con le quali abbiamo parlato ci hanno confermato che all’atto dell’ingresso venivano loro consegnate tre
schede da cinque euro ciascuna, le quali però dovevano bastare
per tutto il periodo del trattenimento, sia che questo fosse durato una settimana sia che fosse durato 12 mesi. La Croce Rossa Italiana rivendica di aver “inventato” un sistema di ricariche in
base al quale lo straniero otterrebbe ogni giorno un credito pari
“Dal suo esordio la rete Primo Marzo ha chiesto la chiusura dei
CIE, considerando la loro esistenza inaccettabile sul piano umano
e incompatibile con lo stato di diritto: queste strutture limitano
infatti la libertà personale di donne e uomini migranti in nome
di una violazione puramente amministrativa e sono teatro di
molteplici illegalità quotidiane. Riproponendo costantemente
la logica dell’emergenza le politiche dell'immigrazione in Italia
colpiscono, attraverso il razzismo istituzionale, i quasi cinque
milioni di migranti che vivono e lavorano in Italia.”
Cecile Kashetu Kyenge – Rete PRIMO MARZO
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a 3,5 euro con i quali comprare cibo, sigarette e anche schede
telefoniche. Sul punto abbiamo avuto ulteriori conferme da parte dei trattenuti che questo credito ricaricabile non può essere utilizzato per comprare schede telefoniche, quindi una volta
esauriti i 15 euro iniziali che possono essere utilizzati nel telefono
pubblico che si trova all’interno delle aree (ovviamente quando
funziona), il trattenuto, se non ha un telefono cellulare proprio,
con una ricarica propria e con un credito proprio, non ha la possibilità di usare il telefono.
Va detto che, benché non sia previsto da alcuna normativa,
non è consentito l’ingresso di alcun cellulare dotato di videocamera. Poiché quasi tutti i telefoni cellulare in diffusione oggi
hanno questa possibilità, allo straniero viene perciò presentata
l’alternativa di rompere l’obiettivo della videocamera oppure di
non utilizzare il cellulare. Il risultato è che la prima richiesta che
viene fatta a volontari, mediatori e personale religioso che entra
nel CIE è di poter utilizzare un telefono.
Un altro punto critico riguarda le condizioni igieniche delle
strutture. In generale si lamenta uno stato di degrado sia delle
aree, sia delle condizioni igieniche personali. Fino a poco tempo
fa non venivano neanche distribuite le lamette per il taglio della
barba, ma venivano condivisi alcuni rasoi, con evidenti malumori e preoccupazioni da parte delle persone costrette a utilizzarli.
Come si accennava all’inizio, una delle sei aree del CIE non è
utilizzabile, quindi al momento i 131 posti (96 per gli uomini e
35 per le donne) sono ripartiti fra le altre cinque aree. In due di
queste i refettori, cioè gli spazi comuni destinati al consumo del
cibo, sono stati danneggiati e non sono stati mai ripristinati da
anni. Per questo, i trattenuti consumano i pasti stando seduti a
terra o sui materassi sui quali dormono.
I profili medici rappresentano gli aspetti di maggiore preoccupazione che abbiamo rilevato nel corso delle interviste telefoniche. Più che l’intervento medico in sé, vale a dire la qualità del
servizio, viene contestato il ritardo con il quale lo stesso viene
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MAI PIÙ CIE
prestato. Si tenga conto che la struttura consente la presenza
solo di un medico e di un infermiere per 131 persone teoriche, il
che rende dunque il tutto eccessivamente farraginoso. Nel corso del 2011 sono stati registrati 156 gesti anticonservativi, 100
ingestioni e 56 ferite da arma da taglio, e in generale un abuso di
psicofarmaci, confermato peraltro dalla stessa Croce Rossa, che
spiega come siano i trattenuti stessi a richiedere la fornitura di
psicofarmaci. Tale dato induce a ritenere che questo “strumento”
sia utilizzato più per fini di ordine pubblico che non per motivi
prettamente terapeutici.
I rapporti tra i trattenuti sono molto difficili. Specialmente
quando nelle stesse aree si radunano persone che hanno strumenti e competenze linguistiche molto diverse, chi sa parlare
l’italiano diventa automaticamente l’apice della piramide sociale
che si ricrea all’interno di ogni CIE.
Passiamo ai meccanismi giuridici, che sono uno dei cuori del
malfunzionamento dei CIE. L’autorità giudiziaria preposta a decidere del trattenimento è rappresentata dai giudici di pace. Come
tutti sappiamo, si tratta giudici non professionisti, istituiti più che
altro per risolvere questioni giuridiche di limitata portata (le “liti di
condominio”), e che in ambito penale non possono nemmeno
irrogare sanzioni di tipo detentivo. Eppure in questa materia sono
chiamati a decidere della libertà personale dei migranti.
“L’Italia è il paese che fa meno rimpatri d’Europa; di quelli che
vengono effettuati solo una misura irrisoria proviene dai CIE, un
numero insignificante. Oggi la direttiva europea prevede i rimpatri
assistiti che sono molto più laboriosi ma più corretti dal punto di vista
umano. Tutti gli altri paesi europei che applicano in modo regolare
la direttiva fanno più rimpatri dell’Italia con il suo 'cattivismo'
istituzionale.”
Piero Soldini – Responsabile Immigrazione CGIL
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Abbiamo ottenuto – pur con estrema difficoltà – i dati relativi
alle percentuali di convalide e di proroghe dei trattenimenti degli stranieri, e abbiamo avuto la conferma (sono dati forniti dalla
Questura) che nel 96% dei casi il giudice di pace convalida il decreto di trattenimento; in sede di proroga la percentuale diventa
ancor più eclatante perché si sale al 98% dei casi. Situazione fotografata con una mirabile sintesi da uno dei trattenuti, il quale
ha detto che: “Più che di giudici di pace si dovrebbe parlare di
giudici di guerra”.
Pareri estremamente critici sono stati raccolti anche in merito
al lavoro degli avvocati, in particolare gli avvocati d’ufficio, accusati di aver sostanzialmente atteggiamenti collusivi con giudici
di pace e pubblica amministrazione. In sede di convalida, la percentuale di stranieri che è assistita da un avvocato di fiducia non
supera il 15% e vi è, inoltre, un’estrema difficoltà di dialogo con
gli avvocati, che di solito vengono informati dell’udienza soltanto un’ora prima della celebrazione della stessa; non vi è assistenza linguistica fornita da soggetti qualificati e comunque non al
di fuori dell’udienza di convalida; non vi è partecipazione dello
straniero alle udienze di proroga, condizione che aumenta l’insicurezza e la confusione. Si tenga conto che all’interno del CIE di
Torino non vi è infatti notifica né della fissazione dell’udienza né
dell’esito della stessa. Di fatto non c’è alcun rimedio effettivo e a
fronte di una convalida, l’unico mezzo di impugnazione previsto
è il ricorso per cassazione, che però molto difficilmente si rivela
uno strumento efficace per i lunghi tempi di attesa e, soprattutto, non ha effetto sospensivo.
Per concludere, riguardo alla protezione internazionale abbiamo avuto segnalazioni estremamente preoccupanti di ritardi
registrati tra il momento di manifestazione della volontà di richiedere protezione internazionale e il momento della sua effettiva
formalizzazione. È evidente che attendere 12 giorni per poter
sottoscrivere l’istanza di protezione internazionale è inammissibile, poiché in quel periodo di tempo, in cui la persona dovrebbe
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MAI PIÙ CIE
essere inespellibile, la stessa è sottoposta al pericolo del rimpatrio.
Non c’è infine rispetto per le categorie vulnerabili in quanto vi è
un’estrema promiscuità nella distribuzione delle persone, tra cui
richiedenti asilo, trattenuti assieme a persone in attesa di espulsione per pericolosità sociale, ad esempio, o persone vittima di
tratta o di sfruttamento, trattenute insieme a ex detenuti. Uno dei
casi più eclatanti riguarda due cittadini siriani, possessori di un
passaporto valido, che sono stati trattenuti più di un mese presso
il CIE di Torino prima di avere il loro status di rifugiato riconosciuto.
“Ho considerato sin dall’inizio importante contribuire alla
costruzione della Campagna LasciateCIEntrare. Seguo le
tragiche vicende della detenzione amministrativa per migranti
fin dal 1998, anno di introduzione dei CPTA, ora CIE, ne ho
denunciato con costanza la crudeltà, l’inutilità, il sistema opaco
di gestione privatistica. Ho conosciuto centinaia di uomini
e donne rinchiusi per il solo fatto di esistere, in nome di un
arrogante diritto che cancella lo stato di diritto. Ho visto rivolte
e disperazione, tentativi di suicidio e fughe, mobilitazioni
antirazziste spesso poco gradite e comprese dai governi di
ogni segno. Alla luce di questi 15 anni di storia ritengo, anche in
nome del partito che rappresento, necessario addivenire alla
chiusura immediata di tali centri e ad una ridefinizione radicale
delle leggi che riguardano l’immigrazione.”
Stefano Galieni – Responsabile
Nazionale Immigrazione Prc
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Oltre i CIE:
il confronto con la società civile
Anna Lodeserto - European Alternatives
L’attività di sensibilizzazione e azione sulla situazione dei CIE
(Centri di Identificazione ed Espulsione), giunta al culmine delle
attività nel primo semestre dell’anno 2012 sull’intero territorio
italiano ed europeo, anche grazie alle campagne LasciateCIEntrare e Open Access Now, ha costantemente rafforzato il lavoro
di denuncia grazie all’attività di comunicazione e a momenti di
confronto con la cittadinanza.
European Alternatives, come promotore insieme a Migreurop
della campagna europea Open Access Now e tra le associazioni
parte della campagna italiana LasciateCIEntrare, ha organizzato
nel corso del 2012 tre momenti pubblici nei quali tale confronto
ha potuto trovare spazi e forme di realizzazione concreta.
Il primo appuntamento è stato il forum “Quali alternative ai
CIE? Prospettive e proposte”, tenutosi a Bologna in Sala Borsa il
10 Maggio 2012 nell’ambito del percorso “People Power Participation”, un progetto transnazionale che si compone di una serie
di consultazioni cittadine in tutta Europa atte a promuovere la
partecipazione democratica e il dialogo tra cittadini europei.
Tale forum è stato realizzato in collaborazione con l’Associazione Giù le frontiere – Rete Primo Marzo, ha ottenuto il patrocinio
della Commissione europea, della Regione Emilia Romagna,
della Provincia di Bologna e del Comune di Bologna e ha visto
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LASCIATECIENTRARE
MAI PIÙ CIE
l’adesione di oltre 35 organizzazioni della società civile, facoltà universitarie e cooperative sociali e la partecipazione di un
centinaio di singoli cittadini, studenti e operatori sociali. Le diverse sessioni che hanno composto il Forum hanno affrontato
i molteplici aspetti legati al più generale fenomeno migratorio.
Alcuni temi chiave sono stati poi approfonditi nell’ambito di tavoli tematici di discussione, anticipati e seguiti da un momento
collettivo di confronto diretto, nel quale i partecipanti hanno
avuto l’opportunità di presentare le proprie proposte per superare la pratica della detenzione amministrativa.
Il mese successivo il panel “Cittadinanza, detenzione, e convergenza europea sulle alternative ai CIE” è stato incluso nel
programma dell’evento “Agorà Transeuropa” tenutosi al Teatro
Valle di Roma il 2 e 3 giugno, a conclusione del Transeuropa Festival, organizzato da European Alternatives in 14 città europee.
In questa occasione l’ampia partecipazione di rappresentanti
da molte diverse città europee ha permesso di portare la discussione su un’arena propriamente transnazionale.
L’ultimo incontro pubblico del 2012 su questo tema è stato organizzato nella metà del mese di novembre, questa volta
presso l’Ufficio d’informazione in Italia del Parlamento europeo.
In questa sede, il convegno “Il Sistema CIE e la violazione dei
diritti umani”, promosso in collaborazione con la Rappresentan-
“1998-2011: diritti violati, detenzioni arbitrarie, atti di autolesionismo,
tentativi di suicidio. Il sistema di detenzione amministrativa è stato
ed è soprattutto questo. Ciò mentre solo il 46% dei migranti detenuti
nei CPTA e nei CIE è stato effettivamente rimpatriato. Se una norma
resta in vigore nonostante la sua applicazione non garantisca gli
obiettivi identificati dal legislatore e lasci spazio a gravi violazioni dei
diritti umani, significa che nel sistema democratico si è aperta una
falla profonda.”
Grazia Naletto – Presidente di Lunaria
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za italiana della Commissione europea, è stato ospitato come
evento conclusivo della settimana “L’Europa per i diritti umani”
legata all’assegnazione del “Premio Sakharov 2012 per la libertà
di pensiero”. Nel corso di quest’incontro numerosi relatori hanno
presentato le relazioni di un lavoro intenso che li ha visti impegnati nel corso degli ultimi mesi, senza trascurare un rinnovato
impegno nel proseguire con le attività di ricerca, monitoraggio
e denuncia delle situazioni di grave e persistente violazione dei
diritti fondamentali e della dignità umana che sono state rilevate nei centri di detenzione nel corso delle visite.
Sempre più intensa è la collaborazione con istituzioni universitarie internazionali con sede in Italia e con università e organizzazioni attive in altri paesi europei. In particolare, nel corso
dei tre convegni è stato possibile presentare in corso d’opera
lo studio condotto dal gruppo di ricerca “CIE Research Project”
nell’ambito dello Human Rights and Migration Law Clinic Programme attivo presso l’International University College di Torino (IUC). Tale ricerca, i cui risultati sono sinteticamente presentati anche nella presente pubblicazione, costituisce ora una
base per analisi ancor più dettagliate, rispetto alle situazioni diffuse sull’intero territorio italiano ed europeo, congiuntamente
al capillare lavoro di mappatura che Migreurop realizza sin dal
2003 e che alimenta oggi la campagna Open Access Now.
“Abbiamo aderito e sostenuto con convinzione la Campagna
LasciateCIEntrare perché consapevoli dell'importanza di fare luce su un
sistema che riteniamo da superare. Ci impegniamo affinché la prossima
legislatura ponga come priorità nell'agenda di governo una sostanziale
riforma della legge sull'immigrazione e di accoglienza sul territorio
italiano. La Campagna LasciteCIEntrare ha il merito di aver mantenuto
alta l'attenzione su un tema che altrimenti sarebbe caduto nell'oblio.”
Monica Cerutti – Responsabile Nazionale
Diritti Cittadinanza Sinistra Ecologia Libertà
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Hanno aderito alla
Campagna LasciateCIEntrare
Mappa europea dei centri di detenzione per migranti stilata
da Migreurop. Disponibile online sul sito di www.migreurop.org
“Ognuno dovrebbe secondo me, almeno una volta nella
vita, visitare un luogo di detenzione (in generale) perché
la detenzione non si può raccontare, quindi credo sia
un’esperienza che tutti dovremmo fare. Ma la visita di un CIE
ha un impatto ancora più violento di un luogo di detenzione
classico come può essere una prigione, perché chi subisce la
detenzione amministrativa spesso non capisce neanche perché
tutto ciò gli sta accadendo e, se è vero che la pena detentiva
deve avere una funzione educativa, la detenzione nei CIE
diventa per forza diseducativa.”
Chiara Tamburini – Commissione
Libertà Civili del Parlamento europeo
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FNSI – Federazione Nazionale Stampa Italiana / Art. 21 / Primo Marzo / European
Alternatives / CGIL / A Buon Diritto / Class Action Procedimentale / Lunaria /
Associazione Antigone / FCEI – Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia /
Casa Internazionale delle Donne / Associazione Giù le Frontiere / Associazione
Interculturale DAWA / Istituto Italiano Fernando Santi / Misna – Minori Stranieri
non Accompagnati / Tenda per la Pace e i Diritti / Progetto Melting Pot Europa /
ESC Infomigrante / Archivio Memorie Migranti / UCPI e Osservatorio Carcere
UCPI / CNCA – Coordinamento Nazionale delle Comunità d'Accoglienza / ZaLab
/ Corriere Immigrazione / Progetto Diritti Onlus / Osservatorio Migranti Basilicata
/ Libertà e Giustizia / International University College of Turin / ARCI / Raffaella
Cosentino / Stefano Galieni / Gabriella Guido / Fulvio Vassallo Paleologo /
Alessandra Ballerini / Alessio Genovese / Tana De Zulueta / Flore MurardYovanovitch / Gabriele Del Grande / Stefano Liberti / Francesca Koch / Mauro
Palma / Mario Badagliacca / Dagmawi Yimer / Davide Lessi / Sandro Medici /
Luigi Paccione / Nicola Montano / Stefania Ragusa / Avv. Arturo Salerni / Avv.
Mafrio Angelelli / On. Sandra Zampa / Prof. Luca Guzzetti, Università di Genova /
Fabrizio Gatti / Fabio Geda / Nando Dalla Chiesa / Ugo Mattei
SEL SINISTRA ECOLOGIA E LIBERTA’ / RIFONDAZIONE COMUNISTA / PARTITO
RADICALE / Luigi De Magistris Sindaco di Napoli / Nicola Fratoianni Assessore
Regione Puglia
Hanno inoltre aderito:
Erri De Luca
Daniele Vicari
Ascanio Celestini
Per un elenco aggiornato delle adesioni, si veda: www.lasciatecientrare.it
Per contattare la Campagna LasciateCIEntrare, scrivete a [email protected]
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Ogni anno in Europa migliaia di migranti sono rinchiusi in
centri di detenzione, fino a diciotto mesi, unicamente perché
non possiedono un permesso di soggiorno, senza aver
commesso alcun reato. La società civile europea spesso non
conosce l’esistenza di quei luoghi segreti, ma diffusi su tutto
il territorio dell’Unione europea, dove si verificano continue
e sistematiche violazioni dei diritti umani fondamentali,
nonché delle convenzioni europee e internazionali. La
Campagna LasciateCIEntrare, in partenariato con European
Alternatives, ha per obiettivo di rompere il muro di silenzio
che circonda quei luoghi oggetto di censura e di informare i
cittadini di cosa avviene in loro nome e con i loro contributi.
Questo pamphlet raccoglie alcuni risultati della campagna
e porta avanti proposte concrete per una nuova politica
dell’immigrazione.
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