Storia dell’educazione: l’Ottocento La società alfabeta Nell’Ottocento giunse a maturazione in Italia e in Europa il processo della società alfabeta, nella quale viene ritenuta indispensabile la padronanza degli elementi del sapere: leggere, scrivere e far di conto. In Italia la battaglia contro l’ignoranza fu caratterizzata da forti differenze tra Nord e Sud. L’educazione diffusa è una caratteristica della modernità borghese: l’istruzione avrebbe messo in grado di inserirsi pienamente in società. L’ottimismo tipico della modernità si combinava con la fiducia nell’educazione, i cui metodi andavano perfezionati sulla base di una maggiore conoscenza dell’età infantile Johann Friedrich Herbart Johann Friedrich Herbart, autore del Compendio delle lezioni di pedagogia (1835), fu il primo vero pedagogista moderno ad aver compiuto una riflessione organica sulla pedagogia, sia in relazione ai fini educativi che ai metodi. Concepiva la pedagogia come un sapere specifico che fa riferimento alla filosofia per i fini e alla psicologia per il metodo. Kantianamente, il fine dell’educazione è la moralità personale. Sulla base della psicologia, egli considera la conoscenza come un processo che regola il flusso continuo di rappresentazioni Johann Friedrich Herbart (1776-1841) Robert Owen Le prime iniziative scolastiche specificamente destinate all’infanzia furono avviate in Inghilterra e in Francia. Nel 1816 l’industriale e filantropo inglese Robert Owen aprì una classe per i più piccoli nella sua manifattura-modello di New Lanark, in Scozia. Vi si insegnavano i rudimenti del sapere, storia naturale e geografia, alternando l’insegnamento con danze e canti. Owen, che fu anche un politico socialista, cercò di far fronte ai problemi delle classi popolari nelle città industriali. Le famiglie operaie, impegnate nel lavoro, non potevano prendersi cura dei figli. Owen si batté anche per la riduzione del lavoro minorile Robert Owen (1771-1858) Ferrante Aporti Ferrante Aporti (1791-1858) Ferrante Aporti si dedicò alla formazione precoce con una anticipazione della scuola elementare, per i bambini tra i due anni e mezzo e i sei anni: molte difficoltà incontrate nelle classi elementari erano causate dalla mancanza di una adeguata preparazione prescolastica o dalle cattive abitudini acquisite in famiglia. Autore del Manuale di educazione ed ammaestramento per le scuole infantili (1833), si preoccupò dello sviluppo intellettuale, morale e fisico dei piccoli alunni riprendendo spunti dal manuale dell’inglese Samuel Wilderspin (17921866), a sua volta continuatore di Robert Owen Fröbel e i Giardini d’infanzia Friedrich Fröbel (1782-1852) Friedrich Fröbel si formò nel clima dell’idealismo e del romanticismo, influenzato in particolare da Schelling. Nell’opera L’educazione dell’uomo (1826), ritenne scopi dell’istruzione la conoscenza della natura permeata da Dio e l’autorealizzazione personale. Perseguì questi fini con la fondazione nel 1840 del famoso Kindergarten (“giardino d’infanzia”), un luogo nel quale, roussovianamente, avviare a una crescita naturale: i bambini dovevano essere coltivati come tenere pianticelle dalle maestre giardiniere Fröbel e la concezione del gioco Nella sua scuola Fröbel realizzò il gioco come un’attività che permetteva al bambino di crescere secondo i suoi ritmi, di cogliere in maniera intuitiva l’essenza divina della realtà e i processi del divenire naturale. Il gioco dunque era il baricentro dell’educazione infantile. I giocattoli, chiamati doni, avevano il potere simbolico di far intuire al bambino le leggi del mondo e venivano presentati secondo una sequenza precisa. I doni principali erano la sfera, il cubo e il cilindro • sfera: unità, movimento • cubo: molteplicità, stabilità • cilindro: sintesi dei primi due • mattoncini: unità e molteplicità Aristide Gabelli Aristide Gabelli (1830-1891) Il metodo herbartiano fu in parte recepito in Italia da Aristide Gabelli. Appartenente al Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, estensore dei programmi per la scuola elementare del 1888, Gabelli fu molto importante nella vita scolastica italiana. A lui si deve il prezioso libretto Il metodo di insegnamento nelle scuole elementari d’Italia (1880): l’efficacia della scuola dipende dalla capacità dei maestri di essere aderenti alle esperienze infantili. L’istruzione deve cominciare dai sensi, secondo un metodo intuitivo, più importante degli stessi contenuti Vincenzo Cuoco Vincenzo Cuoco pose per primo con chiarezza il rapporto tra problema nazionale e diffusione dell’educazione popolare, in continuità con le tesi illuministe di Gaetano Filangeri. Tornato a Napoli dopo gli esiti della Repubblica del 1799, collaborò a un progetto per un sistema di istruzione pubblica: la scuola doveva essere aperta anche al popolo, tuttavia data la differenza tra gli abitanti della campagna e quelli della città bisognava pensare a una doppia organizzazione scolastica Vincenzo Cuoco (1770-1823) Giuseppe Mazzini Giuseppe Mazzini (1805-1872) In Giuseppe Mazzini appaiono inscindibilmente legate la passione politica, l’educazione del popolo e la formazione della coscienza personale: pensava a un sistema scolastico generale, obbligatorio, gratuito, laico. Come Cuoco, legava l’educazione all’esigenza nazionale e pensava al progresso sociale, morale e culturale di tutto il popolo. L’educazione era una vera religione civile, qualcosa che dovesse rendere effettiva la partecipazione democratica di tutti alla vita nazionale. L’istruzione pubblica era un compito essenziale dello Stato Antonio Rosmini Antonio Rosmini conciliò fede religiosa, liberalismo politico e questione dell’unità nazionale: cercò di salvaguardare la dimensione trascendente dell’uomo di fronte alle sfide del suo tempo. Centrale fu il concetto di persona e di uguaglianza sostanziale delle persone, applicato a un uomo inteso come immagine di Dio. La pedagogia, come diritto inalienabile, in una gerarchia di beni, deve spingere al perfezionamento umano. Con la legge della gradazione cercò un metodo universale per facilitare la scolarizzazione dei ceti popolari Antonio Rosmini (1797-1855) Le riforme scolastiche piemontesi La riflessione di Antonio Rosmini influenzò una serie di cattolico-liberali che avviarono la modernizzazione del sistema scolastico del Regno di Sardegna, poi destinato a tradursi nel sistema scolastico italiano. L’educazione, con la legge istitutiva del Ministero della Pubblica Istruzione (1848), passò dall’autorità della Chiesa a quella dello Stato, senza però scopi anticlericali. Fu predisposto un piano per la preparazione dei maestri e avviata una editoria scolastica. Furono anche predisposti appositi sussidi didattici come alfabetieri, carte geografiche ecc. Queste esperienze trovarono espressione nella legge Casati del 1859 valida fino alla riforma Gentile del 1923 Gabrio Casati, conte e barone di Pendivasca (1798-1873) Giovanni Bosco don Giovanni Bosco (1815-1888) A Torino prese avvio la più importante esperienza della cosiddetta pedagogia povera: qui, nel 1846, don Giovanni Bosco aprì in periferia un oratorio per i giovani, luogo di educazione, di ricreazione, di formazione religiosa e di avviamento al lavoro, primo tassello della Società salesiana sorta nel 1859. Il principio educativo di don Bosco e dei salesiani era quello preventivo: con la prevenzione si scongiuravano il disordine morale e la necessità della correzione Raffaello Lambruschini Raffaello Lambruschini benché nato a Genova, operò in Toscana dove ricoprì incarichi pubblici. Centrale nella sua concezione era la coltivazione della libertà personale, riconosciuta anche ai ceti subalterni. Cercò di trovare un equilibrio tra autorità e libertà. Per questo si affidava alla maieutica socratica. Non sostenne la validità di un metodo unico ma sottolineò l’importanza delle qualità personali dell’educatore che sa entrare in sintonia con il discepolo favorendone la libertà guidata Raffaello Lambruschini (1788-1873) Herbert Spencer L’affermazione del Positivismo dette incremento al rinnovamento dei sistemi educativi. Herbert Spencer applicò le teorie di Darwin alla società umana inaugurando una pedagogia evoluzionistica. La stessa intelligenza umana si sarebbe consolidata durante l’evoluzione con un progressivo accumulo di esperienze. Il fine dell’educazione è strettamente legato alla concezione dell’uomo naturale e alla conservazione personale. Per questo Spencer capovolse il tradizionale ordine educativo (morale-intellettuale-fisico), assegnando priorità alla formazione fisica; nell’educazione intellettuale era fondamentale la padronanza del metodo scientifico Herbert Spencer (1820-1903) Émile Durkeim Émile Durkheim concentrò i suoi studi sull’analisi sociale. L’educazione stessa è frutto dell’ambiente, varia a seconda delle condizioni storiche e delle classi sociali e poggia su norme e modelli condivisi in una determinata epoca. L’educazione è dunque un fatto sociale e consistere nella “socializzazione metodica della nuova generazione”: la scuola deve formare il cittadino utile a una determinata società, consentendo il passaggio dall’io individuale all’io sociale Émile Durkheim (1858-1917) La pedagogia positivista in Italia Roberto Ardigò (1828-1920), il più famoso positivista italiano In Italia la cultura positivista giunse in ritardo. Fino all’Unità e oltre, dominò la cultura risorgimentale segnata dal classicismo e dallo spiritualismo cattolico-liberale o mazziniano. Gli apporti più significativi della pedagogia positivista italiana furono di Roberto Ardigò (1828-1920), Andrea Angiulli (1837-1890), Pietro Siciliani (1835-1885), Nicola Fornelli (1843-1915) e in particolare di Francesco Saverio De Dominicis (1845-1930) per il quale la didattica doveva adeguarsi alle leggi scientifiche e organizzarsi in forme sperimentali sulla base di una serie di requisiti oggettivi Il movimento self-helpista Frutto della cultura positivista fu il movimento del self-helpismo che si diffuse in Italia alla metà dell’Ottocento sulla spinta di esperienze degli Stati Uniti e dell’Inghilterra. Nel 1865 apparve anche in Italia il libro del giornalista scozzese Samuel Smiles (1812-1904) Chi si aiuta, Dio l’aiuta. Sul suo esempio, nel 1869 lo scienziato torinese Michele Lessona pubblicò Volere è potere, una raccolta di biografie di persone più o meno illustri accomunate dalla capacità di vincere la sfortuna. Il ricorso a esempi e storie di vita è tipico della letteratura del self-helpismo. Si trattava di una vera e propria pedagogia popolare Michele Lessona (1823-1894), autore di Volere è potere L’educazione delle “fanciulle” La modernità portò frutti nella considerazione della donna e dell’istruzione femminile. Molte donne cominciarono a lavorare fuori casa e significativi furono i cambiamenti, grazie alla legge Casati, nella frequenza scolastica: le donne analfabete diminuirono in cinquant’anni di ben 39 punti, passando dall’81% del 1861 al 42% del 1911 contro i 35 punti dei progressi maschili (dal 68 al 33%). Almeno fino al 1890 le scuole femminili furono però organizzate in modo diverso da quelle maschili, con attenzione per i lavori prettamente femminili Gustave Caillebotte, Ritratti in campagna, 1876 La concezione dell’infanzia Charles Dickens (1812-1870) L’Ottocento non è un secolo russoviano. L’infanzia è vista come un’età da tenere sotto stretto controllo. La scuola deve disciplinare il “carattere”. Un esempio è rappresentato dai libri di testo e dalla narrativa per ragazzi: dai racconti e dalle novelle emerge un’infanzia da far crescere ordinata entro un insieme di norme precise, scandita dal rigore della vita scolastica e di quella familiare, integrata precocemente nei valori del mondo adulto. A partire dal secondo Ottocento, qualcosa cambiò sotto l’influenza di pedagogisti come Pestalozzi e scrittori come Charles Dickens, il quale si schiera dalla parte del mondo infantile