CHI VINCE E CHI PERDE NELLE NUOVE COSTITUZIONI DI EGITTO E TUNISIA ______________________________________________________________________________________ Sede legale e amministrativa: Palazzo Besso - Largo di Torre Argentina, 11 - 00186 Roma Sede secondaria: Largo Luigi Antonelli, 4 - 00145 Roma Web: www.ifiadvisory.com; Mail: [email protected] Umberto Profazio Chi vince e chi perde nelle nuove Costituzioni di Egitto e Tunisia Pubblicato in: Limes Da: Gruppo Editoriale L’Espresso Febbraio 2013 ______________________________________________________________________________________ Sede legale e amministrativa: Palazzo Besso - Largo di Torre Argentina, 11 - 00186 Roma Sede secondaria: Largo Luigi Antonelli, 4 - 00145 Roma Web: www.ifiadvisory.com; Mail: [email protected] CHI VINCE E CHI PERDE NELLE NUOVE COSTITUZIONI DI EGITTO E TUNISIA 1. Introduzione Nel gennaio 2014, a 3 anni esatti dai primi sommovimenti, Egitto e Tunisia, due tra i principali paesi sconvolti dalla primavera araba, hanno approvato le nuove Costituzioni. Il processo ha incontrato notevoli difficoltà, dovute all'impreparazione dei principali attori coinvolti rispetto allo strumento democratico e alle inevitabili resistenze di diversi soggetti politici e istituzionali che hanno fortemente ritardato la fase di transizione. Nonostante siano state approvate nello stesso frangente, appare del tutto scontato che nei due testi esistono delle differenze rilevanti: sia per le singole previsioni costituzionali (che devono adattarsi alle rispettive condizioni storico-politiche), sia nell'ambito del loro processo di discussione e approvazione. A questo proposito, mentre in Tunisia il procedimento adottato potrebbe essere definito di tipo «classico» (elezioni di un'assemblea costituente, discussione e approvazione in aula del nuovo testo costituzionale), in Egitto la Costituzione è stata approvata per mezzo di un referendum popolare su un testo elaborato da una commissione nominata dal nuovo regime. Inoltre, mentre la Tunisia ha deciso di procedere alla redazione di una nuova Costituzione che ha abrogato del tutto quella precedente, in Egitto sono stati introdotti diversi emendamenti che hanno integrato il testo approvato dal referendum del 2012. I punti in comune sono ciononostante numerosi. In particolare, in entrambi i paesi sono stati registrati passi in avanti sul piano della difesa dei diritti umani. Di segno opposto invece gli sviluppi sul versante politico, dove le speranze democratiche del 2011 si sono scontrate con ciò che alcuni commentatori hanno definito lo «Stato profondo» che ha riproposto un sistema di potere fortemente centralizzato. Tra le modifiche più importanti, 3 aspetti appaiono fondamentali: il rapporto tra lo Stato e la religione; la tutela dei diritti fondamentali; l'equilibrio di potere instaurato dalle nuove Costituzioni. 1 Umberto Profazio 2. L'Egitto: dai Fratelli Musulmani al ritorno dei militari Il processo costituzionale egiziano è stato il più turbolento. A seguito del colpo di Stato del 3 luglio 2013, il presidente Mohammed Morsi è stato deposto dall'esercito che ha presentato una road map che prevedeva, in rapida successione, l'approvazione di una nuova Carta costituzionale, elezioni parlamentari e presidenziali. Nonostante l'ordine di questi eventi sia stato successivamente modificato (le elezioni presidenziali si terranno in un periodo ancora imprecisato tra il 17 febbraio e il 18 aprile, secondo quanto stabilito dal decreto del presidente ad interim Mansour, mentre per le legislative non è stata fissata ancora alcuna data), la prima tappa, quella dell'approvazione della nuova Costituzione, è stata raggiunta tra il 14 e 15 gennaio, con un referendum che l'ha approvata a maggioranza schiacciante. Più che di un referendum, in realtà si è trattato di un plebiscito a favore del nuovo regime: i risultati annunciati nei giorni successivi hanno quantificato i sostenitori della nuova carta con una percentuale pari al 98,1% dei votanti (l'affluenza alle urne è stata tuttavia del 38,6%). Non si tratta di un testo interamente nuovo, ma di una serie di emendamenti alla Costituzione del 2012 discussi da un comitato di 50 esperti (presieduto da Amr Moussa, ex ministro degli Esteri ed ex segretario generale della Lega Araba) nominato lo scorso settembre dal presidente ad interim Adly Mansour. Tra le principali modifiche, diversi emendamenti hanno interessato il tema dei rapporti tra Stato e religione. Nonostante l'art. 2 mantenga il carattere confessionale dello Stato egiziano (confermando la sharia quale principale fonte della legislazione), sono state eliminate alcune disposizioni controverse che avevano suscitato notevoli polemiche. Il comitato ha infatti rimosso la disposizione contenuta nell'art.7 che imponeva la consultazione dell'università di al-Azhar su tutte le materie relative all'interpretazione della sharia, escludendo quindi tale autorità religiosa dal processo politico e legislativo. È stato poi interamente abrogato l'art. 219 che, elencando i principi della sharia, 2 CHI VINCE E CHI PERDE NELLE NUOVE COSTITUZIONI DI EGITTO E TUNISIA era stato fonte di controversia tra i sostenitori della legge islamica e i partiti di orientamento più laico. Anche la promozione dei diritti delle donne e la tutela della loro uguaglianza sembrano godere di maggior peso: il nuovo art.11 stabilisce infatti una serie di obblighi per lo Stato egiziano destinati a promuovere in tutti i settori (civile, politico, economico, sociale e culturale) un'uguaglianza non solo formale ma sostanziale, con il compito ulteriore di intraprendere misure adeguate per garantire un'equa rappresentanza delle donne in parlamento e nelle principali posizioni amministrative. Dal punto di vista istituzionale, viene confermata una forma di governo semi-presidenziale con ampi poteri per il presidente della Repubblica. Secondo il nuovo art. 136, questi è libero di nominare il primo ministro. Solo in seconda battuta, qualora il premier di sua nomina non dovesse ricevere la fiducia del Parlamento, deve assegnare l'incarico al leader del partito o della coalizione che ha ricevuto il maggior numero di voti alle elezioni. Alla figura presidenziale è quindi assegnata una rilevanza centrale nella vita politica del paese, teoricamente bilanciata dal dettato dell'art. 161 che istituisce un meccanismo di ritiro della fiducia da parte della camera dei rappresentati e di richiesta di elezioni presidenziali anticipate (purché condivisa almeno dai 2/3 dei suoi membri). Eppure, risulta davvero difficile ipotizzare il verificarsi di una simile circostanza in un paese dove ogni genere di opposizione appare impotente davanti al potere. 3. La Tunisia, tra speranze democratiche e continuità istituzionale La nuova Costituzione tunisina è invece il risultato di una transizione durata all'incirca 3 anni. La Carta è stata redatta da un'assemblea costituente eletta il 23 ottobre 2011 in seguito alla deposizione del presidente Zine el Abidine Ben Ali. Fin dal suo insediamento, l'assemblea è stata dominata da Ennhada, la formazione politica più 3 Umberto Profazio rappresentata con 89 seggi su 217. Nonostante le alterne vicende che hanno contrassegnato la sua vita (nell'estate del 2013, subito dopo l'assassinio di Mohamed Brahmi, 65 deputati delle opposizioni si ritirano e i lavori vengono sospesi durante una delle crisi politiche più gravi della transizione), il 26 gennaio 2014 l'assemblea è riuscita ad approvare a larga maggioranza (con 200 voti su 217) una Costituzione che è stata giudicata tra le più avanzate del mondo arabo, sia per ciò che concerne la difesa dei diritti civili e politici, sia per ciò che riguarda le diverse istituzioni che la compongono. Anche in questo caso risultano molto importanti le previsioni costituzionali riguardanti i rapporti tra lo Stato e la religione. Anche se, come in Egitto, viene ribadita la natura confessionale dello Stato tunisino, sono state inserite delle esplicite previsioni di garanzia. Come l'art. 6, che stabilisce: «lo Stato protegge la religione, garantendo la libertà di credo, di coscienza e di pratica religiosa» promuovendo « [...] la diffusione dei valori della moderazione e della tolleranza». Molto interessante è il secondo comma, dove figura una condanna delle accuse di apostasia ("takfir") e d'incitamento alla violenza, appositamente inserita in seguito alle minacce di morte ricevute da un deputato dell'opposizione e sull'onda dell'emozione che ha accompagnato l'assassinio degli esponenti dell'opposizione Chokri Belaid e Mohamed Brahmi. Adeguatamente rafforzato risulta essere anche il ruolo delle donne nel nuovo Stato tunisino. L'art. 20 stabilisce che «Tutti i cittadini, uomini e donne, hanno stessi diritti e doveri e sono uguali di fronte la legge senza alcuna discriminazione», stabilendo cosi una parità di tipo formale che diviene quindi sostanziale grazie ad altre disposizioni del testo stesso (in particolare l'art. 45, dove viene stabilito l'obbligo per lo Stato di promuovere i diritti delle donne e di garantire uguali opportunità in tutti i settori, incluso quello politico-amministrativo). 4 CHI VINCE E CHI PERDE NELLE NUOVE COSTITUZIONI DI EGITTO E TUNISIA Dal punto di vista istituzionale, anche in Tunisia è stato confermato il sistema semi-presidenziale in vigore dal 1959, con un presidente eletto direttamente dal popolo per 5 anni che controlla la politica estera e di sicurezza: presiede infatti il consiglio dei ministri qualora all'ordine del giorno vi siano temi riguardanti la difesa e le relazioni esterne (art. 92) e si consulta con il primo ministro prima che questi nomini i ministri della Difesa e degli Esteri (art. 88). Il parlamento elegge invece il primo ministro scegliendo il leader della formazione politica che ha ottenuto il maggior numero di voti alle elezioni. Suo compito è la formazione del governo, occupandosi principalmente di politica interna. 4. La sconfitta dell'islam politico Ad accomunare i paesi non sembrano essere le sole garanzie costituzionali poste a difesa dei diritti umani e dell'uguaglianza tra i sessi e sulle quali l'opinione pubblica occidentale aveva concentrato le proprie attenzioni alla vigilia dell'approvazione delle rispettive Costituzioni. Molto simile è stato infatti anche il risultato politicoistituzionale che ha confermato la centralizzazione e la concentrazione del potere nelle mani della figura presidenziale in un modo non troppo dissimile da quanto già verificatasi negli anni del socialismo arabo. Non è un caso che, inizialmente, i partiti islamici abbiano insistito per attribuire maggiori poteri alle assemblee parlamentari, facendo affidamento sugli ottimi risultati elettorali del post-2011. Gli sconfitti dal processo costituzionale appena conclusosi paiono essere proprio i movimenti islamisti, di Egitto e di Tunisia. I Fratelli Musulmani egiziani e il partito tunisino islamico di Ennhada hanno infatti fallito la loro esperienza di governo, perdendo numerose battaglie per inserire nei testi costituzionali delle previsioni ispirate alla sharia o comunque più in linea con il diritto islamico e la propria ideologia. Ma hanno perso soprattutto il favore della popolazione, guadagnato in modo del tutto naturale (anche se imprevisto) a seguito delle rivolte arabe del 2011. 5 Umberto Profazio La reazione delle istituzioni - lo “Stato profondo”, come è stato definito da alcuni commentatori - è stata forte in entrambi i casi: in Tunisia la borghesia cittadina laica, erede di una storia politica improntata all'occidentalizzazione voluta da Habiib Bourghiba e dal suo Neo-Destour, ha costretto Ennhada a indietreggiare progressivamente sulle sue posizioni, fino alle dimissioni di Ali Larayedh del 9 gennaio scorso. Sorte ancora peggiore è stata riservata ai Fratelli Musulmani in Egitto, estromessi dal potere il 3 luglio scorso, banditi dalla vita pubblica dal 23 settembre e dichiarati un gruppo terroristico il 25 dicembre. Oltretutto, la nuova Costituzione egiziana vieta la formazione di partiti politici su base religiosa (art. 74), creando ulteriori ostacoli all'eventuale ripresa dell'attività politica degli ikhwan nel futuro prossimo. 6