Giornalino mensile della Fisac/Cgil San Paolo Banco di Napoli
SPAZIO LIBERO
Numero 11 – Aprile 2005
RUBRICHE:
Editoriale
Mondo filiali
Attualità
C’era una
volta
Cinema e
cultura
Flash
EDITORIALE
LA FRATTURA
La costruzione e il successo del Gruppo San Paolo sono resi possibili grazie alla convergenza di volontà
innanzitutto dei lavoratori – attraverso le proprie rappresentanze sindacali - e poi delle diverse aziende.
La meta, originale, è giungere ad una realtà diversa rispetto, ad esempio, al vecchio Banco o al tradizionale
San Paolo, dove ciascuno non rinuncia alla propria storia e cultura, ma la reinterpreta, mettendola a
disposizione degli altri: colleghi, clienti, imprese, territorio di riferimento.
La realizzazione di questa difficile opera ha superato momenti critici quali scorpori fusioni, cessioni di rami
d’azienda, in una parola ristrutturazioni, che intanto possono superarsi allorquando le scelte, anche le più
difficili, sono, al di là di formali procedure, condivise da tutti i protagonisti, dove ciascuno sa, può, vuole
assumersi le proprie responsabilità.
In questo quadro, quanto è accaduto per il Corporate di Napoli, formalmente di San Paolo Imi , rappresenta
un “vulnus”, una frattura che l’azienda ha procurato in tale consuetudine, fingendo di non comprendere le
richieste sindacali e chiudendo unilateralmente la procedura, senza condivisione né di metodo né di
scelte da parte sindacale.
La richiesta sindacale era chiara: comprendere la vocazione e la specializzazione produttiva di ogni pezzo del
corporate, in ogni parte del Gruppo e del territorio nazionale (era questo il senso della richiesta di
mantenere funzioni decentrate anche nel Sud), per dare, consapevolmente e con discernimento il proprio
contributo onde evitare ricadute spiacevoli sul personale e non farsi coinvolgere in una trattativa
separata per ciascuna azienda e per ogni territorio, al fine di evitare il prevalere di interessi localistici o di
lobby.
A tale scopo, e a dimostrazione che si volevano perseguire interessi di carattere generale vi era la
conseguente richiesta di un confronto organico con il direttore generale, Dott.Modiano
E’ probabile che qualche abile stratega aziendale abbia voluto chiudere ad ogni costo per non dare segnali di
debolezza, ma, paradossalmente, confermando e accentuando tali segnali, chiudendosi in una scelta di
arroccamento, che, come ogni arroccamento, è per definizione debole.
Lo strappo a questo tessuto di relazioni è grave e per ricucirlo ci vorranno atti politicamente rilevanti.
MONDO FILIALI
Contest Fip & Carte: ovvero l’incentivo sull’incentivo
L’economia langue e di questo non si può essere contenti, perché è sintomatico di una recessione e
di un impoverimento reale delle famiglie italiane, complici, oltre il precario quadro
internazionale, il valore aggiunto rappresentato dall’inettitudine del governo italiano.
Di conseguenza, in azienda, alcuni mercati sono in difficoltà rispetto agli obiettivi “sfidanti” (abusato
aggettivo stante a indicare la sostanziale impossibilità all’obiettivo stesso), ma la fervida fantasia
di alcuni responsabili di mercato ha sempre pronto un game, una gara tra filiali, come quella su
Fip e Carte lanciata dal Mercato Città di Napoli.
Si badi bene le gare tra filiali, anche nelle definizione che si dà nel contratto integrativo (art.33),
sono una delle un’articolazione applicative del sistema incentivante, insieme al conseguimento
dei risultati su base annua, ma su obbiettivi diversi, su campagne di prodotto.
Invece per il game a cui facciamo riferimento abbiamo una gara che è su obiettivi già all’interno dei
budget 2005 e non su prodotti nuovi e/o diversi, profilandosi così un incentivo sull’incentivo,
ritenendo in tal modo di risvegliare operatori (family, personal, small business, gli operatori a
supporto non sono degni) dormienti.
Si confonde così la causa, la crisi, con gli effetti, gli operatori che non battono chiodo, facendo
svolgere l’effetto leva per una stasi di mercato da un “ricco” monte premi di ben 3500 euro.
La gara, il contest, ha un altra perla: i soldi sono da dividersi tra le prime cinque filiali e all’interno di
queste andranno a favore di colleghi che avranno “maggiormente contribuito al
raggiungimento del risultato, in base ad una valutazione di merito fatta dal Direttore con la
supervisione dell’Area”, non spiegando come un obiettivo quantitativo, numero di carte e di fip,
possa avere una supervisione di merito, quindi qualitativa, per di più duplice - del direttore e
dell’aera - facendo sorgere non pochi dubbi sulla trasparenza delle attribuzioni.
Se può consolare, tuttavia, ci sarà il solito, inesorabile, diuturno monitoraggio con la solita inesorabile
graduatoria dei buoni e dei cattivi.
E’ sicuramente un nostro limite, ma in qualsiasi maniera lo si presenti, noi non riusciamo mai a
comprendere la logica, la bontà, di tali sistemi.
La vittoria di tutti, per tutti
Mai come per il 60’ anniversario della Liberazione si salda l’attualità alla memoria, mai come per il
25aprile il filo di accadimenti, scelte, valori lega l’oggi al recente passato.
I benefici di quegli accadimenti (la liberazione dai nazifascisti), di quelle scelte (la libertà) di quei valori
(la democrazia), sono sempre più attuali e hanno trovato una splendida sintesi nella Costituzione,
che ancora oggi, nonostante si tenti di mutarla, è la robusta cornice della nostra vita pubblica e
privata.
La gratitudine delle generazioni attuali verso chi tradusse la Resistenza in Costituzione, non può e non
deve essere confusa dal “revisionismo” storico che, ormai, non si limita a esser solo fatto
“culturale”, ma diviene agire pratico.
C’è, infatti, una proposta di legge dell’attuale maggioranza legale (quella reale è ormai cambiata) che
vuole equiparare i repubblichini di Salò con i partigiani, dando ai primi la qualifica di “militari
belligeranti” con relativa pensione pagata dallo stato; quello stato i cui valori fondanti hanno
combattuto.
Ciò vorrebbe dire equiparare – non solo storicamente, ma anche politicamente e moralmente – chi ha
emanato le leggi razziali durante il fascismo e chi le ha subite, chi faceva la guardia ai vagoni
blindati pronti a partire per i campi di concentramento e chi era dentro quei vagoni, chi voleva
liberare la Nazione dagli aguzzini nazisti e chi, in maniera solerte, li aiutava contro i propri
concittadini denunciando, rastrellando, massacrando.
La necessità di rifarsi a questi fantasmi del passato, i repubblichini collaborazionisti, vuol dire che una
parte del Paese non ritiene la nostra Storia e i nostri valori condivisi, che a 60 anni di distanza non
si è ancora compreso che, con il 25 aprile, non si festeggia la vittoria degli uni sugli altri, ma, con la
libertà e la democrazia, la vittoria di tutti per tutti, ma proprio per tutti.
Quando si dice tutti, l’affermazione è avvalorata proprio dal fatto che anche i nostalgici di ieri possono
fare le loro, pessime, proposte, ma, a parti invertite, ciò non sarebbe stato mai possibile.
25 APRILE 2005
Lettere di condannati a morte della Resistenza Italiana:
Piero Benedetti ( di anni 41, ebanista)
11 aprile 1944
Ai miei cari figli.
Quando voi potrete forse leggere questo doloroso foglio, miei cari e amati figli, forse io non sarò più tra i vivi.
Questa mattina alle 7 mentre mi trovavo ancora a letto sentii chiamare il mio nome. Mi alzai subito.
Una guardia aprì la porta della mia cella e mi disse di scendere che ero atteso di sotto. Discesi, trovai un
poliziotto che mi attendeva, mi prese su di una macchina e mi accompagnò al Tribunale di Guerra di via
Lucullo 16. Conoscevo già quella triste casa per aver avuto un altro processo il 29 febbraio scorso quando
fui condannato a 15 anni di prigione.
Ma questa condanna non soddisfece abbastanza il comando tedesco il quale mandò l’ordine di rifare il
processo. Così il processo, se tale possiamo chiamarlo, ebbe luogo in dieci minuti e finì con la mia
condanna alla fucilazione.
Il giorno stesso ho fatto da domanda di grazia, seppure con repulsione verso questo straniero oppressore.
Tale suprema rinuncia alla mia fierezza offro in questo momento d’addio alla vostra povera mamma e a
voi, miei cari disgraziati figli.
Amatevi l’un l’altro, miei cari, amate vostra madre e fate in modo che il vostro amore compensi la mia
mancanza. Amate lo studio e il lavoro. Una vita onesta è il migliore ornamento di chi vive.
Dell’amore per l’umanità fate una religione e siate sempre solleciti verso il bisogno e le sofferenze dei vostri
simili.
Amate la libertà e ricordate che questo bene deve essere pagato con continui sacrifici e qualche volta con la
vita. Una vita in schiavitù è meglio non viverla.
Amate la madrepatria, ma ricordate che la patria vera è il mondo, e ovunque vi sono vostri simili, quelli sono
i vostri veri fratelli.
Siate umili e disdegnate l’orgoglio; questa fu la religione che seguii nella mia vita.
Forse, se tale è il mio destino, potrò sopravvivere a questa prova; ma se così non può essere io muoio nella
certezza che la primavera che tanto ho atteso brillerà presto anche per voi. E questa speranza mi dà la
forza di affrontare serenamente la morte.
CONTINUA 25 APRILE:
Paola Garelli ( di anni 28, pettinatrice)
Mimma cara,
La tua mamma se ne va pensandoti e amandoti, mia creatura adorata, sii buona, studia ed ubbidisci
sempre agli zii che t’allevano, amali come fossi io.
Io sono tranquilla. Tu devi dire a tutti i nostri cari parenti, nonna e altri, che mi perdonino il dolore
che do loro. Non devi piangere né vergognarti per me. Quando sarai grande capirai meglio.
Ti chiedo una cosa sola, studia, e io ti proteggerò dal cielo.
Abbraccio con il pensiero te e tutti, ricordandovi..
La tua infelice mamma.
Sapemmo di essere soli e vivi
di Cesare Pavese
E allora noi vili
che amavamo la sera
bisbigliante, le case,
i sentieri sul fiume,
le luci rosse e sporche
di quei luoghi, il dolore
addolcito e taciuto –
noi strappammo le mani
dalla vile catena
e tacemmo, ma il cuore
ci sussultò di sangue,
e non fu più abbandonarsi
al sentiero sul fiume –
non più servi, sapemmo
di essere soli e vivi.
CONTINUA 25 APRILE:
Sono passati 60 anni da quel 25 aprile del 1945, giorno in cui l’Italia tutta fu finalmente libera! Libera
da una dittatura che l’aveva oppressa per un ventennio, libera da una guerra che nel suo profondo
non aveva mai voluto, libera da un “alleato” che era diventato il peggior invasore possibile.
60 anni in termini storici non sono moltissimi, ma ormai anche molti di coloro che vissero quel
periodo e quell’evento da “ giovani” cominciano a non esserci più, e viene dunque meno quella
memoria “diretta” che deve ora diventare memoria storica per un intero popolo che nella
stragrande maggioranza non ha vissuto quel periodo.
Non è cosa da poco, perché parlarne con retorica in un mondo dove ormai tutto è retorico sarebbe
controproducente.
E’ giusto parlarne con misura e pacatezza, per dire che quella data segnerà per sempre come momento
di discontinuità con il passato il nostro paese e l’Europa tutta.
Da quel giorno in poi è giusto ricordare che nulla potrà mai giustificare l’orrore di quella guerra, di
quegli atti e che mai più sarà giustificabile, sotto nessuna forma, nessuna dittatura.
Sicuramente non ci può che essere pietà per i morti di quell’orribile periodo, per tutti i morti, ma non
ci potrà mai essere nessuna revisione storica che possa giustificare l’adesione volontaria a quella
che fu l’ultima propaggine di quel regime, l’infamia della Repubblica di Salò.
Va ricordato, perché spesso lo si dimentica, che se i partigiani assieme alle forze alleate sconfissero
l’invasore tedesco lo si deve anche all’abnegazione coraggio di migliaia di soldati Italia italiani
che dopo l’8 settembre del 43, pur di non aderire alla repubblica di Salò, in maniera ferma e
coraggiosa accettarono il loro destino che fu quello della deportazione nei campi di
concentramento nazisti, dai quali molti non tornarono mai più, e chi tornò è stato segnato per
sempre da quell’esperienza tragica.
Teresa Wright, attrice di un cinema che fu…..e che si spera possa tornare
Una mattina di marzo, andando al lavoro, leggiamo distrattamente su un giornalino di news una notizia di
agenzia nella quale si liquida con poche righe: “morta Teresa Wright, la Sig.ra Miniver dello schermo”.
A parte l’inesattezza, perché la Sig.ra Miniver era interpretata, nel film che porta questo nome, da un’altra attrice la rossa Greer Garson – mentre la Wright interpretava la giovane di cui si innamora il figlio della Miniver, i
sentimenti che ci pervadono alla notizia appena letta sono un misto di tristezza e malinconia ma anche di un
po’ di rabbia.
Tristezza e malinconia perché siamo affezionati alla figura e alla persona di un attrice che ha accompagnato la
nostra formazione culturale e cinematografica in gioventù e perderla fa sentire i sentimenti appena detti
mentre l’arrabbiatura ci prende in quanto sentiamo sicuramente molto minimizzata l’importanza data
all’interprete di film importanti e significativi per la storia del cinema.
Abbiamo pensato a “Piccole Volpi” di William Wyler che è la trasposizione cinematografica della commedia di
Lillian Hellman su una famiglia di latifondisti del Sud degli Stati Uniti di inizio ‘900 nella quale il conflitto
raccontato è tra la spietatezza di una cattivissima Bette Davis (la madre) estremamente legata agli interessi
materiali e la Wright (la figlia) legata invece ai valori umani e morali dell’esistenza – la verità, l’amore, la
giustizia, la solidarietà. Un film e un cinema, come si vede, dove il conflitto tra le persone è specchio del più
generale conflitto, nella società capitalistica, tra interesse e valori umani .
Pensiamo a “I migliori anni della nostra vita” sempre di Wyler, storia nella quale la Wright è la figlia di un reduce
che ritorna a casa dalla seconda guerra mondiale insieme ad altri due commilitoni e alle ferite che portano
addosso, fisiche e interiori; di come queste vengono superate nel momento in cui esse stesse sono
riconosciute senza ipocrisie e pietà e di come, per questo superamento, siano importanti il senso di identità
della comunità di appartenenza e la solidarietà.
CONTINUA TERESA WRIGHT
Ricordiamo “La Signora Miniver” appunto, ancora del maestro americano Wyler, sulla seconda guerra mondiale
vissuta dalle persone a casa, non al fronte, dove la Wright è una donna che permette al giovane soldato
innamorato di crescere come uomo, diventandone la musa, e nel quale però lei stessa è la vittima
sacrificale sull’altare della durezza e della spietatezza della guerra che non guarda in faccia a niente e a
nessuno.
La memoria ci porta a “L’ombra del dubbio”, psico-thriller di Hitchcock, nel quale la Wright è una ragazza
lacerata dal dubbio che l’amato zio è colpevole di omicidio e di come può denunciarlo con tutte le paure e
le incertezze psicologiche del caso.
Pensiamo a “Uomini” di Fred Zinnemann, maestro di un cinema dove l’introspezione psicologica dei personaggi
è descritta con grande evidenza. Qui, la Wright, è la donna che permette a Marlon Brando (del quale
valorizza l’evidente glamour restituendoglielo con grande femminilità) di superare le difficoltà psicologiche di
tornare paraplegico dopo la guerra di Corea restituendogli la convinzione di poter continuare ad essere
uomo integro.
L’ultima volta che l’abbiamo vista al cinema fu, con emozione, pochi anni fa in “L’uomo della pioggia” di Francis
Ford Coppola, film denuncia sulle grandi società assicuratrici americane che, speculando per il pagamento
delle polizze sulla salute, non garantiscono alle persone l’assistenza fino a farle morire. La Wright
interpreta, non a caso, una vecchietta che dà assistenza, logistica e morale, al giovane avvocato paladino
dei cittadini vittime di queste società assicuratrici.
Una attrice, come si vede, legata ad un epoca e ad un modo di fare cinema dove il “racconto della vita” è forte e
stimolante, piena d’impegno civile, un cinema “politico nel senso più generale del termine” perché crea
coscienza suscitando nel pubblico forti emozioni, grande interesse, discussioni e confronti che aiutano a
capire il mondo.
Ricordando Teresa Wright ricordiamo, pertanto, una persona e un attrice che ha fatto parte di un cinema oggi
sempre più raro e sempre più desiderato e che speriamo possa al più presto ritornare, naturalmente al
passo dei tempi che viviamo.
FLASH
Bravo, ma talmente bravo da dare il…bis
La Redazione
Giorgio Campo
Alfredo Conte
Antonio Coppola
Mario De Marinis
Antonio Forzin
Amedeo Frezza
Rosalia Lopez
Raffaele Meo
Italo Nobile
Maria Teresa Rimedio
Anna Maria Russo
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