Pancreatic adenocarcinoma, at the
diagnosis, in the majority of patients, is a
systemic or locally advanced disease. Up
today, we lack a clear therapeutic strategies in
presence of a locally advanced or borderline
resectable disease. This article reviews
the current definitions of locally advanced
pancreatic cancer, how it is diagnosed
and staged, the current multidisciplinary
strategies, the benefits of neoadjuvant
chemoradiotherapy, radiofrequency ablation,
brachytherapy, cryosurgical techniques. After
all, we considered tumor response rate, role
of surgical resection after tumor downstaging
and survival rate.
Parole chiave: tumore del pancreas
localmente avanzato, potenzialmente resecabile
o borderline resectable, radiochemioterapia,
ablazione con radiofrequenza, brachiterapia,
criochirurgia, downstaging di malattia
Key words: locally advanced pancreatic
cancer, borderline resectable pancreatic cancer,
chemoradiation therapy, radiofrequency
ablation, brachytherapy, cryosurgery, pancreatic
cancer downstaging
CS
-
Roberto Salvia
Isabella Frigerio
Federico Selvaggi
Paolo Innocenti
Claudio Bassi
Paolo Pederzoli
-
Dipartimento di Chirurgia
Ospedale "G.B. Rossi"
Università di Verona
Dipartimento di Chirurgia
Casa di Cura "P. Pederzoli"
di Peschiera del Garda (VR)
Dipartimento di Scienze
Chirurgiche, "G. d'Annunzio"
di Chieti
Introduzione
Il carcinoma pancreatico è la quarta causa di morte per
neoplasia ed è associata ad una prognosi infausta (1).
Solo il 10-20% dei casi è candidabile all’intervento chirurgico con intento resettivo al momento della diagnosi
(2-6), mentre il restante 80% dei casi presenta malattia
metastatica o localmente avanzata (3,7).
L’intervento chirurgico oncologicamente radicale (R0)
non è sufficiente, da solo, a migliorare la prognosi di
questi pazienti: l’insorgenza di recidiva locale, metastasi epatiche o entrambi può avvenire entro 1-2 anni (2). Sono stati ampiamente dimostrati gli effetti del
trattamento adiuvante sulla sopravvivenza nei pazienti
con tumore del pancreas resecabili: la chemioterapia
offre un vantaggio significativo di sopravvivenza, mentre l’associazione di chemio e radioterapia postoperatoria è stato dimostrato avere l’effetto contrario (8). Il
gold standard del trattamento per i pazienti affetti da
tumore pancreatico resecabile è ormai ben definito e si
compone di chirurgia radicale seguita da chemioterapia adiuvante sistemica (8)
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La maggior parte dei pazienti affetti
da adenocarcinoma del pancreas
presenta, alla diagnosi, uno stadio
avanzato di malattia. Ad oggi, le strategie
terapeutiche, in presenza di malattia
localmente avanzata o borderline
resectable restano controverse. In questo
lavoro abbiamo analizzato le definizioni
correnti di tumore del pancreas
localmente avanzato, la necessità di
approcci terapeutici multidisciplinari,
il ruolo della radio-chemioterapia,
dell’ablazione con radiofrequenza, la
brachiterapia, le tecniche di criochirurgia.
Infine, abbiamo valutato la possibilità di
resezione chirurgica dopo downstaging
di malattia e i dati sulla sopravvivenza.
Comunicazione Scientifica
Approccio terapeutico
dei tumori solidi
del pancreas non operabili
alla prima diagnosi
177
CS
Comunicazione Scientifica
Per i pazienti affetti da tumore del pancreas localmente
avanzato non esiste attualmente uno schema terapeutico universalmente accettato. Nonostante la disponibilità di molti trattamenti, nessun consenso è stato
raggiunto sulla loro combinazione e i dati attuali sono
ancora discordanti. A fini palliativi, sono stati proposte
diverse strategie come chemioterapia, radioterapia
esterna o intraoperatoria, brachiterapia con iodio-125,
criochirurgia e ablazione con radiofrequenza.
L’obiettivo di questa analisi è valutare, nei pazienti con
tumore localmente avanzato del pancreas, gli attuali risultati della chemio-radioterapia adiuvante e dei diversi
trattamenti chirurgici, ablativi invasivi e non, con particolare attenzione a:
• risposta locale
• percentuale di downstaging
• benefici clinici
• tossicità
• sopravvivenza.
Il ruolo della chemioradioterapia
(CRT) nel downstaging
della neoplasia non resecabile:
una strada verso la chirurgia
Roberto Salvia et al > Tumori solidi del pancreas non operabili alla prima diagnosi
178
Nella patologia oncologica gastrointestinale, è ampiamente dimostrato il beneficio della chemio-radioterapia
preoperatoria finalizzata a raggiungere i criteri di resecabilità laddove non vi fossero al momento della diagnosi.
L’effetto atteso dalla CRT è quello di ridurre il volume
della neoplasia, la sua componente perivascolare e la
percentuale di interessamento linfonodale (9). I risultati
dell’associazione di chemio e radioterapia sono stati
superiori a quelli della sola chemioterapia o radioterapia
in termini di mediana di sopravvivenza, senza tuttavia
migliorare la prognosi a lungo termine dei pazienti affetti
da neoplasia del pancreas (10). Dagli anni ’90 ad ora
diversi gruppi oncologici hanno proposto varie associazioni di terapia, e i benefici in termini di downstaging
e di riduzione del rischio di recidiva locale sono stati
dimostrati dai gruppi del Massachusetts General Hospital, Fox Chase Cancer Center, MD Anderson Cancer
Center, Roger Williams Center e Mount Sinai Hospital
(9, 10). Nelle loro casistiche la morbidità e mortalità postoperatoria non differivano da quella dei pazienti che
non avevano ricevuto terapie preoperatorie. L’effetto
della terapia preoperatoria è evidente anche nei referti istologici: la completa scomparsa della neoplasia è
tuttavia evento eccezionale e il riscontro di una macroscopica riduzione del tumore con le tecniche di imaging
spesso non è soddisfacente (11). Non c’è differenza, al
momento, nella prognosi dei pazienti trattati con CRT
preoperatoria o postoperatoria anche se la grande eterogeneità degli studi riportati rende difficile confrontare
le varie casistiche: motivo di questa eterogeneità è, in
primis, l’assenza di una definizione universalmente accettata di tumore del pancreas localmente avanzato e
dei criteri di resecabilità. Manca anche una classificazione oggettiva degli effetti del trattamento preoperatorio
che sia basato su aspetti radiologici e, eventualmente,
anatomopatologici. È difficile perciò interpretare in modo
univoco i risultati che emergono dall’analisi di queste casistiche. L’individuazione dei pazienti affetti da carcinoma
localmente avanzato rimane di cruciale importanza: la
TAC spirale è attualmente l’esame considerato da molti
come il più affidabile nello stadiare localmente i rapporti
vascolari della neoplasia. Considerando l’infiltrazione vascolare come parametro discriminante, la classificazione è la seguente: non resecabile, borderline, resecabile
(4,12). Viene definito localmente avanzato un tumore
coinvolgente o infiltrante il tripode celiaco, l’arteria mesenterica superiore e la confluenza mesenterico-portale;
anche il riscontro radiologico o intraoperatorio di coinvolgimento linfonodale peritumorale in un’area compatibile
con l’area di irradiazione esterna classifica la neoplasia
come localmente avanzata (4,11). Questa suddivisione
è fondamentale per indirizzare il paziente al percorso
terapeutico da cui ci si aspetta i benefici maggiori. L’esperienza riportata da un centro italiano dimostra che un
terzo dei pazienti affetti da tumore borderline trattato con
CRT viene sottoposto a resezione radicale (4). Una neoplasia pancreatica viene definita da Varadhachary borderline resectable qualora c’è il riscontro di infiltrazione di
un breve tratto di arteria epatica comune con risparmio
del tronco celiaco, coinvolgimento dell’arteria mesenterica superiore interessante meno della metà della circonferenza del vaso (<180°) e occlusione completa di un
breve tratto della confluenza mesenterico portale (10). La
classificazione proposta da Katz nel 2008 (13) suddivide
i pazienti borderline in tre categorie:
• pazienti con caratteristiche anatomiche
simili a quelle proposte da Varadhachary
(tipo A);
• pazienti borderline all’imaging o al riscontro
intraoperatorio ma con ragionevole
sospetto di malattia sistemica, per
elevati valori di Ca19.9 o linfoadenopatie
macroscopiche (tipo B);
• pazienti con malattia borderline ma non
candidabili all’intervento chirurgico per un
basso performance status (tipo C) (13,14).
Altri Autori, avvalendosi della classificazione proposta
da Ishikawa nel 1992 (15) che propone invece quattro
gradi di coinvolgimento della confluenza mesentericoportale da parte della neoplasia:
CS
• Stadio I: il tumore disloca l’asse venoso
senza riduzione del lume vasale;
• Stadio II: compressione vasale unilaterale
da parte del tumore;
• Stadio III: compressione vasale bilaterale;
• Stadio IV: compressione bilaterale vasale
con riscontro di circoli vascolari collaterali),
considerano i pazienti con dislocamento
o compressione della vena mesenterica
superiore o della confluenza mesenterico
portale come borderline e quindi candidati
a terapia neoadiuvante in previsione della
chirurgia (16).
In conclusione, come indicato dal gruppo di studio costituito dal Fox Chase Cancer Center e dall’American
Hepato Pancreato Biliary (AHBA) - Society of Surgical
Oncology (SSO) - Society for Surgery of the Alimentary
Tract (SSAT), i pazienti con malattia borderline devono
essere sottoposti a chemioterapia di induzione prima
dell’intervento chirurgico (14). In altri studi lo status di
localmente avanzato è riferito al coinvolgimento della
circonferenza vasale che sia superiore o inferiore al 50%
per un’estensione maggiore o minore di 2 cm (17). La
risposta alla CRT viene valutata secondo i criteri RECIST (criteri di valutazione di risposta nei tumori solidi)
con TAC spirale 6-8 settimane dopo la CRT (4,12). Se
la neoplasia non è più radiologicamente visibile si parla
di risposta completa, mentre una riduzione di almeno
il 30% del volume viene intesa come risposta parziale.
Una riduzione < 30% o un incremento volumetrico <
20% della lesione viene intesa come stabilità di malattia mentre una progressione è presente qualora la
neoplasia sia aumentata di > 20%. In uno studio su
25 pazienti con neoplasia localmente avanzata, il 64%
presentava stabilità o riduzione di malattia dopo terapia
neoadiuvante che consisteva in radioterapia esterna
(RT) frazionata in dosi giornaliere di 180cGry per un totale di 4500cGry, associata a 5-FU (11). La percentuale
di dowstaging riportata da Jessup et al in uno studio
su 16 pazienti raggiunge il 13% dopo CRT con un intervallo libero di malattia di 22.5 mesi (18). Uno studio
prospettico del Memorial Sloan-Kettering Center documenta il 3% di risposta parziale alla CRT tale da indicare l’esplorazione chirurgica. Altri studi hanno dimostrato
che il 33% dei pazienti con malattia borderline e il 6%
di quelli con neoplasia non resecabile sono stati sottoposti a chirurgia resettiva dopo un trattamento CRT
con gemcitabina (1000mg|m2|settimana) associata a
RT (24-42 Gy, 1,6-2,8 Gy per dose) (10). Sa Cunha et
al riportano un tasso di risposta parziale del 30% del
gruppo studiato e sottoposto a CRT: il 21% di questi è
andato incontro a demolizione con resezione vascolare
maggiore (vena porta o vena mesenterica superiore).
Non è mai stata documentata una completa risposta
alla terapia (12). Lind et al hanno portato alla chirurgia
resettiva radicale (R0) il 47% dei pazienti trattati con
CRT (17). Il vantaggio supposto della CRT neoadiuvante era quello di raggiungere una completa radicalità
oncologica con la resezione (R0), tuttavia la percentuale di pazienti sottoposti a chirurgia come primo trattamento e nei quali si è ottenuta una resezione R0 sale
fino a raggiungere il 75% come riportato da Lind. Le
differenze negli schemi di terapia neoadiuvante adottati
nei diversi studi e la diverse modalità di stadiazione dei
pazienti considerati porta ad una disomogeneità nei risultati in termini di risposta alla terapia e di percentuale
di resezioni R0.
Nell’esperienza del Memorial Sloan Kettering venivano candidati all’intervento chirurgico solo quei pazienti
con risposta parziale alla re-stadiazione, mentre il gruppo della Duke University definisce la trombosi portale
o l’infiltrazione arteriosa come una controindicazione
alla chirurgia. Altri autori considerano passibili di chirurgia resettiva quei pazienti con risposta parziale o
con stabilità di malattia e normalizzazione dei markers
oncologici (4). La resezione dopo terapia neoadiuvante
porta a significativi vantaggi in termini di sopravvivenza
se confrontata con i pazienti non sottoposti a CRT (4).
La mediana di sopravvivenza nelle recenti casistiche è
15.4 mesi nel localmente avanzato e 14 mesi dopo chirurgia dei tumori resecabili alla diagnosi senza terapia
preoperatoria (con o senza terapia adiuvante).
Una sopravvivenza libera da malattia maggiore di 24
mesi è possibile solo in presenza di chirurgia R0. Lo
studio di Wanebo et al sull’efficacia della CRT neoadiuvante riporta quanto segue: di 14 pazienti con neoplasia localmente avanzata, tutti stadiati chirurgicamente
prima di iniziare il trattamento, 8 sono andati incontro
a resezione e in 6 casi è stata dimostrata una risposta istologica al trattamento. Un’elevata morbidità e la
mancanza di vantaggi in termini di sopravvivenza sono
i principali punti critici di questo studio: la mediana di
sopravvivenza nei pazienti resecati dopo CRT era di
19 mesi versus i 9 mesi dei pazienti non operati (9,11).
È importante sottolineare che la CRT preoperatoria
non aumenta il tasso di complicanze chirurgiche e,
come riportato da altri autori, si può raggiungere una
mediana di sopravvivenza di 28-29 mesi dopo CRT
neoadiuvante e resezione (7,12,17). La maggior parte
dei pazienti è in grado di completare il ciclo di terapia
neoadiuvante con accettabile livello di tossicità neurologica e gastrointestinale (12).
L’esame istologico dei pazienti sottoposti a resezione
dimostra che, nonostante ci sia stata una risposta alla
terapia, tuttavia persistono, alla periferia della neoplasia, cellule neoplastiche vitali raggruppate in isolati foci
circondati da fibrosi (11). Anche se in presenza di nega-
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tività linfonodale e dei margini di resezione, l’esperienza
del MD Anderson Cancer Center conferma l’impossibilità di una remissione patologica completa nei pazienti
trattati con CRT preoperatoria. Lo studio presentato
da Reni con una combinazione di 4 farmaci seguiti da
RT ha riportato risultati importanti (6): la chemioterapia
veniva eseguita per 6 mesi con cisplatino, epirubicina,
5-fluorouracil/capecitabine, gemcitabina o docetaxel al
posto dell’epirubicina, e completata dalla radioterapia.
Il 14% della popolazione studiata è andato incontro a
resezione e la mediana di sopravvivenza è stata di 16.2
mesi (6). In questo studio, la sopravvivenza dei pazienti sottoposti a intervento chirurgico resettivo è stata
maggiore rispetto a quelli non candidabili a resezione
per remissione solo parziale della neoplasia, e inoltre,
i primi hanno avuto una più lunga sopravvivenza libera
da malattia. Questi risultati sono ancora più importanti
se si considera che la definizione di malattia localmente
avanzata è stata rigorosa e che solo i pazienti in stadio
III sono stati inclusi. L’associazione dei diversi farmaci
chemioterapici seguita dalla radioterapia non ha aumentato in modo significativo la tossicità del trattamento (6). Un concetto che gli autori hanno voluto sottolineare è che la chemioterapia sistemica è uno strumento
per eliminare le micro metastasi e per selezionare un
sottogruppo di pazienti che potrebbero trarre beneficio
da trattamenti locoregionali.
La chemioterapia di induzione può aumentare la percentuale di soggetti responsivi alla chemio-radioterapia,
riducendo il volume della neoplasia e la successiva chemio-radioterapia può aumentare il numero di pazienti
candidabili a resezione chirurgica anche se non tutti gli
studi sono concordi nelle percentuali di guadagno della
resecabilità. Le questioni irrisolte riguardano la capacità
di valutazione obiettiva all’imaging di risposta alla terapia
e la percentuale di pazienti che vengono esclusi dall’intervento per la difficoltà tecnica della resezione vascolare. Una recente revisione sistematica ha analizzato il
tasso di resezione e la sopravvivenza dopo terapia neoadiuvante di diverse casistiche: viene riportato un tasso di resezione dell’8.3-64.2% incluso il 8.3-57.1% dei
pazienti con resezione R0. I pazienti con neoplasia non
resecabile alla diagnosi avevano una sopravvivenza mediana dopo l’intervento che variava da 16.4 a 32 mesi.
La mediana della sopravvivenza è di 23.6 mesi rispetto
ai 14 mesi dei pazienti affetti da neoplasia in stadio precoce operati al momento della diagnosi (7).
Il livello di evidenza sull’utilità della CRT neoadiuvante nei pazienti con carcinoma pancreatico localmente
avanzato è a tutt’oggi basso: sono necessari ulteriori
studi per trarre conclusioni definitive. Il ruolo della CRT
neoadiuvante deve essere chiarito anche nel gruppo
di pazienti con malattia borderline in quanto a rischio di
resezione chirurgica non radicale.
Ablazione
con radiofrequenza (RFA)
La radiofrequenza è un trattamento ablativo ampiamente utilizzato nella terapia palliativa di diverse neoplasie solide primitive e metastatiche. È recentemente
divenuta un’interessante opzione di terapia anche per
il carcinoma del pancreas localmente avanzato. La letteratura tuttavia, non offre grandi esperienze sull’applicazione della RFA nel carcinoma pancreatico. Sono
candidabili al trattamento quei pazienti che presentano
malattia localmente avanzata in assenza di metastasi
o ascite (5). La RFA viene eseguita in corso di laparotomia e sotto guida ecografica, entrambi fattori che
garantiscono un controllo diretto e quindi più sicuro
delle strutture vascolari e digestive peripancreatiche.
Un recente studio ha dimostrato, in un gruppo di 50
pazienti con carcinoma pancreatico in stadio III, la fattibilità e la sicurezza della procedura, associata nel 60%
dei casi a chirurgia palliativa e al 24% di morbidità (19).
Alcuni autori hanno dimostrato un vantaggio in termini
di sopravvivenza quando la RFA è associata a chirurgia
palliativa (20): la sopravvivenza nei pazienti con malattia
in stadio III trattati con RFA è stata di 38 mesi, contro i
14 mesi dei pazienti in stadio IV che avevano ricevuto lo
stesso trattamento. Si tratta di una delle più interessanti esperienze cliniche riportate in letteratura che dimostra un beneficio della RFA in termini di sopravvivenza
per quei pazienti sottoposti a chirurgia palliativa (20). È
stata confrontata la fattibilità, efficacia e sicurezza della RFA associata alla brachiterapia con Iodio125 dove
l’ablazione termica viene concentrata sulla porzione di
neoplasia responsabile dell’infiltrazione vascolare, mentre i reperi vengono impiantati nel tessuto pancreatico
sano e nel duodeno. Nella serie riportata da Zou YP et
al è stata dimostrata una miglior risposta locale, una
significativa riduzione dei markers tumorali e del pain
score, associati ad un minor tasso di complicanze. Altri
studi hanno documentato il vantaggio nella qualità di
vita raggiunto grazie ad un ottimale controllo del dolore (3,5,19). L’associazione fra RFA e il trattamento con
Iodio125 sembra quindi migliorare la sopravvivenza dei
pazienti con carcinoma in stadio III: serviranno ulteriori
studi per confermare l’efficacia della RFA integrata con
altri trattamenti sperimentali.
Brachiterapia
La brachiterapia con Iodio125 analizzata in un ristretto
numero di casi sembra offrire risultati promettenti (21).
La tecnica prevede di raggiungere, nella sede della neoplasia, una dose cumulativa di 160 Gy irradiata in mo-
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Comunicazione Scientifica
do continuativo e omogeneo al fine di provocare morte
cellulare (22). Dieci pazienti sui 31 studiati hanno ricevuto
gemcitabina e 5-FU dopo l’impianto dei reperi: in tre casi
viene descritta una risposta completa alla terapia, in 16
casi una risposta parziale e stabilità di malattia in 9 pazienti. La sopravvivenza mediana è stata di 7 e 11 mesi
rispettivamente con il solo trattamento brachiterapico o
con l’associazione di chemioterapia (differenza significativa). In conclusione la brachiterapia con Iodio 125 è una
metodica sicura, efficace e riproducibile per ottenere un
controllo locale della malattia e provvedere ad un ottima
palliazione dei sintomi (21,23). È riportato un controllo
locale nell’80% dei pazienti trattati, con sopravvivenza
a 1-2-3 anni rispettivamente del 33.9%, 16.9% e 7.8%
con sopravvivenza mediana di 10 mesi (23).
programmare i tempi e le dosi dei trattamenti chemioradioterapici neoadiuvanti. In terzo luogo, dopo aver
chiarito i benefici citoriduttivi della terapia neoadiuvante,
occorre definire le indicazioni alla chirurgia resettiva che
può differire a seconda dei casi, o meglio, a seconda
dei gruppi chirurgici di riferimento. In altre parole, l'esclusione dei pazienti dalla chirurgia con intento radicale potrebbe essere dettata anche dall’abilità chirurgica
personale. L'impatto reale della resezione curativa dopo chemioradioterapia è per queste ragioni ancora discussa. Risultati incoraggianti sembrano provenire dai
nuovi trattamenti ablativi locali, come la radiofrequenza,
la brachiterapia e la criochirurgia. Sono necessari studi
prospettici per definire il miglior protocollo terapeutico
individuale e aumentare il numero di pazienti candidati
alla resezione chirurgica curativa.
Crioablazione
Conclusioni
I dati provenienti dalla letteratura confermano che la
chemio-radioterapia neoadiuvante rappresenta una
valida opzione per i pazienti affetti da carcinoma del
pancreas localmente avanzato. In un terzo dei casi si
ottiene un downstaging della neoplasia che diventa
passibile di intervento resettivo. Alcuni aspetti rimangono comunque irrisolti: la stadiazione preoperatoria delle
neoplasie non resecabili non è uniforme. È necessario standardizzare dei criteri oggettivi al momento della
diagnosi per definire se un tumore è resecabile, localmente avanzato e borderline. Inoltre, è indispensabile
Corrispondenza
Roberto Salvia
Dipartimento di Chirurgia
Ospedale "G.B. Rossi"
P.le L. A. Scuro, 10 - 37134 Verona
Tel. + 39 0458 124816
Fax + 39 0458 124622
e-mail: [email protected]
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Vengono riportati dati incoraggianti sulla criochirurgia
nel trattamento del tumore del pancreas non operabile
(24). L’applicazione può essere percutanea o intraoperatoria: un numero variabile di criosonde (raffreddate a
-160 °C) viene collocato direttamente sul pancreas in
base al diametro della neoplasia con lo scopo di raggiungere una temperatura di congelamento (22). I risultati di uno studio di fase I su 10 pazienti affetti da
carcinoma pancreatico non resecabile dimostrano la sicurezza della procedura nella pratica clinica. Non viene
riportata alcuna morbilità nè mortalità intra-operatoria.
Non viene segnalato alcun vantaggio sulla sopravvivenza ma un buon effetto di controllo del dolore (24). Gli
eventuali benefici in termini di risultati oncologici legati
alla crioterapia devono essere indagati con ulteriori studi. L'effetto complementare della criochirurgia e dello
Iodio125 è stato valutato in 49 pazienti (22). Questo
studio ha reclutato anche pazienti in stadio IV di malattia ma i risultati suggeriscono un potenziale vantaggio
solo per le neoplasie localmente avanzate (22).
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Comunicazione Scientifica
Roberto Salvia et al > Tumori solidi del pancreas non operabili alla prima diagnosi
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Approccio terapeutico dei tumori solidi del pancreas non