ALLA RICERCA DEL TESORO DI RE ADRIANO
Vi è un altro Polesine. Il Polesine sotterraneo, sconosciuto, misterioso, mai esplorato.
Cripte, grotte, urne, budelli, sprofondamenti, fosse. Pozzi dei rasoi che echeggiano delle
grida di ragazze spulzellate e soppresse senza lasciare traccia, gorghi che rimandano il
lamento di fanciulle morte d’amori infelici, strida notturne tra le canne ondeggianti di sguà
che segnalano la sparizione di donne piangenti nelle peschiere, paleoalvei che coprono
gelosamente le reliquie delle Tre Marie, campanili di chiese, sprofondate durante notti di
tregenda, che fanno udire i loro rintocchi nella notte di Natale, vecchie oscene nascoste
sotto i ponti che reclamano l’iniziazione dei ragazzetti 1 , canali sommersi su cui è stato
costruito il nuovo paese 2 . E ovunque tesori sepolti. Tesori fra le rovine di oratori scomparsi,
nelle fondamenta di un qualsiasi edificio storicamente rilevante, sotto i forni da pane, sotto i
ponti…
Corcrevà, grangia certosina del ‘500
Si ritiene che molti fittavoli, provenienti dal padovano e dal vicentino, siano stati baciati da
improvvisa fortuna per aver trovato una statua di bambino tutto d’oro, el putìn d’oro: “C’è
uno di Adria chi ghe dise ‘ncora adesso putìn d’oro perché aveva preso in affitto La
Possionanza e si era improvvisamente arricchito, tanto che da niente che era aveva
cominciato a spendere e a spandere. Andava tutte le notti a giocare a carte al casinò ed
aveva finito per mangiarsi tutto! Dicevano che la sua ricchezza veniva dall’aver trovato di
paròi pieni de schèi, ma più de tuto un putìn tuto d’oro ch’el sarà sta’ sinquanta chili. E
come lu, anca di altri”. 3
1
“ Va là, va là, ca te ghe basarà el culo alla vècia…”. Quando un ragazzo partiva dal paese per andare
la prima volta in compagnia dei coetanei al cinema a Rovigo o ad Adria, o in qualsiasi altro luogo, era
ossessionato ed impaurito dalla presenza di una vecchia, nascosta sotto i ponti che avrebbe preteso il bacio
del sedere, così almeno gli dicevano quelli più grandi. La minaccia è da collegarsi a pratiche iniziatiche
arcaiche, quando un anziano istruiva gli adolescenti nella casa della foresta, pratiche poi contaminatesi
con racconti del sabba durante il quale le streghe dovevano “oscula dare”, baciare il posteriore del diavolo
perché nel sabba tutto era rovesciato.
2
Magnolina, adesso è poca cosa, si racconta, ma un tempo era un porto che sorgeva accanto ad un
grande fiume. Poi, un’alluvione distrusse tutte le case, il fiume sprofondò anch’esso col suo letto, venne
ricoperto dai detriti e sopra i detriti fu ricostruito il paese di adesso. Ma in certe notti si sente ancora lo
scroscio del fiume sommerso e le sue acque che continuano a scorrere sotto terra, ARCHIVIO DEL CENTRO
ETNOGRAFICO ADRIESE.
3
Fonte: ARCHIVIO DEL CENTRO ETNOGRAFICO ADRIESE. E’ dimostrato che esiste una stretta relazione tra la
vivacità e la frequenza di leggende plutoniche e presenze archeologiche, sia per i ritrovamenti, sia anche
Tesori sotto i pilastri che nell’isola di Ariano delimitavano il confine tra stato veneto e
pontificio, ove ci sono ancora adesso padèle colme di palanche, di marenghi o di zecchini
nascosti o dimenticati, di volta in volta, da re Adriano, da Garibaldi, dai paladini di Carlo
Magno.
“Qui da noi, un tempo vivevano i paladini di Orlando e la chiesa di S. Basilio l’hanno fatta
loro! In una sola notte e senza impalcature! I paladini erano uomini giganteschi perchè
allora gli uomini vivevano tutti 7, 8, 900 anni ed erano alti come case. Non c’era bisogno di
buoi per arare la terra, ma gli uomini erano talmente robusti che aravano da soli con il
badile. In una sola notte i paladini edificarono la chiesa di S. Basilio.
Tagliavano con le loro spade degli enormi blocchi di
tivaro, li mettevano uno sopra l’altro perché allora si
usavano pietre crude, e arrivarono al tetto restando
con i piedi per terra. E la mattina dopo tutta la gente là
a bocca aperta facendo meraviglie… Orlando e suoi
amici vivevano nelle selve perché allora qui da noi
c’erano e monti e boschi e mari e Po. Orlando si
alzava il mattino e per colazione strozzava un bue, un
leone…, quello che capitava, e poi girava per i boschi.
Se udiva qualcuno litigare, arrivava lui: “Quanti
siete?”. “Perchè lo vuoi sapere?”. “Perchè se siete
pari, rispondeva, vi faccio dispari e se siete dispari vi
faccio pari”. E questi allora si mettevano in pace.
San Basilio
Allora, però, tutto era grande… Era sufficiente gettare le reti in Po ed i pesci vi saltavano
dentro…La spiga del frumento era grande quanto lo stelo, dalla radice alla sommità… Per
mietere non bastava il seghetto, ma occorreva la scure perché il gambo del frumento era
grosso quanto un albero. Una sola spiga era sufficiente a sfamare un intero anno una
famiglia con cinque figli. Poi gli uomini diventarono cattivi e un brutto giorno il signore e S.
Piero vennero sulla terra per capire il motivo del continuo litigare, chiesero la carità ad una
donna ma costei non diede loro nulla. Allora il Signore, mentre passava per un campo di
frumento, prese tra le dita uno stelo, lo strizzò e così la spiga da allora germogliò soltanto
sulla cima. Anche i paladini dopo tanto tempo morirono, ma prima di morire nascosero il
loro tesoro sotto il pavimento della chiesa di S. Basilio e sotto ai pilastri di confine tra la
Stato Pontificio e Repubblica di Venezia. Orlando ed un altro furono sepolti nell’ arca che
c’è davanti alla chiesa tanto che ancora oggi si possono vedere le ossa… Non c’è un buco?
Se ci si guarda bene si vedono le ossa che si trovano ancora là dentro. Gli altri paladini si
allontanarono nella selva e di loro non si seppe più nulla. Ma le loro ossa ci devono essere
ancora da qualche parte… Dicono che chi troverà le ossa dei paladini potrà arrivare al loro
tesoro. Ancora adesso qui da noi dicono, quando uno va in giro con l’aria di cercare
per l’usanza, scrive Giuseppe Cocchiara, di seppellire nella fondamenta di una casa una moneta, uso che si
è protratto sino a tempi abbastanza recenti se è vero che papa Paolo II faceva sotterrare monete d’oro e
d’argento negli edifici da lui fatti costruire. La consuetudine assumeva anche il significato di obolo di
Caronte, offerta cioè agli dei inferi che accoglievano e proteggevano il nuovo edificio o, genericamente, un
insediamento, Cfr. G. COCCHIARA, Il paese di Cuccagna, Boringhieri, Torino, 1980, pp. 84-123; cfr. pure S.
MAZZARO, Folklore delle acque di pianura, in Cultura popolare veneta. La civiltà delle acque (a c. di M.
Cortelazzo), A. Pizzi Ed., Cinisello Balsamo (MI), 1993, pp. 217-239.
qualcosa: “Ma che stai facendo? Ièt’ in sèrca di ossi di paladìn? Sei in cerca delle ossa dei
paladini?”. 4
C’è in questo Polesine ignoto ed insospettato, una centuriazione sotterranea, un reticolo
labirintico di strade, vie, passaggi segreti, sentieri. Sopravvivono in ogni dove gallerie che
conducono da Corcrevà a Bellombra, da Adria ai Dossi, da Bellombra a Villanova
correndo interamente sotto l’argine dei frati certosini, da Gavello ai Sisimati, da Papozze a
Corbola, da Corbola ad Ariano, da Ariano a Mesola, da Mesola a S. Basilio, da S. Basilio
al castello di Ferrara, dal castello di Ferrara a castello di Mesola, dal castello di Rovigo alla
Torre di Lusia, a Villa Molin… E così, da ognuna delle innumerevoli ville a quella vicina.
Da chiesa a chiesa, da palazzo a palazzo, da monastero a convento. In ogni cunicolo e in
tutti gli anfratti mostruose anze e marassi sibilanti, carbonassi nerastri e bisse bòbe
gigantesche 5 custodiscono tesori da chissà quanti secoli.
4
Fonte: MARIO CREPALDI, Corbola; cfr. P. RIGONI, Presenze mitiche nel folklore polesano, in Atti del
Convegno di Studi Etnografie intorno al Polesine in età moderna e contemporanea, a cura di G. GIACOBELLO
(Rovigo 11 – 12 novembre 2000), Minelliana, Rovigo, 2002, pp. 280 -282.
5
I racconti sulle anze, semplicemente da anguis, biscia, sui marassi e sui carbonassi, modi diversi per
definire il saettone, sono assai suggestivi. Si diceva che le anze avevano un calice sulla testa, che fossero
enormi, che compissero salti prodigiosi bloccando il cammino alle persone, che i marassi uscissero dalle
tombe e soffiassero così intensamente da sembrare turbini, che non si doveva fissarli per non rimanere
pietrificati come per il basilisco. Le anze con il calice in testa non sono altro che le serpi crestate che
trainavano il carro di Cerere, mentre per quanto riguarda i marassi nei cimiteri, Ovidio riferisce della
convinzione in auge ai suoi tempi che faceva nascere le serpi dalla spina dorsale del defunto, OVIDIO,
Metamorfosi, XV, vv. 389 - 390). Le bisse bòbe, infine. Plinio segnala serpenti di straordinarie dimensioni
chiamati bovae perché si alimentano col latte dei buoi, cfr. PLINIO, Naturalis Historia, VIII, 14, e il grande
potere che nelle Gallie si assegna ad ovum anguinum, uova di particolari serpenti, impiegate dai Druidi nella
medicina, IVI, XXIX, 52 – 54. L’uovo dei serpenti trova riscontro nelle mele d’oro che le bisse bòbe, stando
allacciate in riva al Po –si diceva- secernevano e lanciavano in aria giocosamente. E qualcuno arricchiva se
coglieva la palla prima che cadesse a terra dandosela, naturalmente, a gambe levate. Comunque sia, i
tesori sono ovunque custoditi da esseri mitici. Possono essere giganti come nel successivo carro di Re Atrio
del Groto o genericamente folletti, spesso serpenti. Il serpente presidia gli accessi al sacro, s’insinua nelle
fenditure della terra, discende nel mondo infero e rinasce da se stesso con la mutazione della pelle.
Genius loci, custode e protettore di fonti, altari, oracoli, città. Atene, secondo i Greci, era custodita dal
serpente di Atena, divinità ctonia, legata al mondo degli inferi e perciò, in quanto rappresentazione dei
defunti e degli antenati, custode delle tombe, del focolare domestico, della casa.
Di Garibaldi, c’è ancora la spada d’oro, incastonata di perle, oppure la carrozza d’oro
massiccio di Re Adriano, il mitico fondatore di Adria, la sua armatura, il suo tesoro. Un
tesoro immenso che aspetta i coraggiosi che sapranno avventurarsi nelle profondità della
terra: “A Corcrevà, dove c’è la barchessa, che era la vecchia chiesa del monastero, si può
ancora intuire l’entrata della galleria, proprio lì sotto l’arco… Molte volte la gente ha provato
ad inoltrarsi, ma dopo pochi metri era costretta a fermarsi perché la volta era franata ed il
terreno sprofondava pericolosamente. Una volta andarono giù con la lampada d’acetilene,
con picconi, badili e stivali. Il gruppo era guidato da Gigìn che sapeva dove si trovava la
carrozza perché glielo aveva spiegato suo nonno, quand’era bambino. Ma dopo pochi metri
erano precipitosamente ritornati fuori perché si era improvvisamente alzata una enorme
biscia con la corona in testa che faceva la guardia al tesoro. E così, ogni tanto, facevano
delle scommesse. Si davano appuntamento, si facevano coraggio con qualche litro di vino,
facevano un metro… Niente! Ma la carrozza di Re Adriano è là… Siamo sicuri che c’è
perché in tanti dei vecchi han giurato di averla vista. E poi re Adriano è sprofondato proprio
qui durante un temporale mentre stava venendo a prendere la moglie che era di Bellombra.
Ci sarà pur qualcuno che una buona volta la potrà raggiungere ‘sta carrozza... La galleria
partiva dal monastero, arrivava sull’argine del Canalón; dalla riva opposta ne partiva un’altra
che sbucava nel pozzo che c’era una volta in piazza Castello di Adria. Nella galleria si
nascondevano anche i partigiani durante la guerra”. 6
In tutto il Bassopolesine, si risveglia periodicamente la febbre del ritrovamento del tesoro
del re Adriano, saggio e buono con i suoi sudditi, che ha disseminato le sue ricchezze un
po’ ovunque.
Secondo Luigi Groto, il tesoro, consistente in un
carro pesantissimo d’oro massiccio, si trova sotto
la chiesa della Tomba di Adria, da dove riemerge
la notte del solstizio d’estate, la notte magica di S.
Giovanni, trainato da due possenti buoi, guidati
da un gigantesco carrettiere:
“Un [tesoro] ce ne cela dentro al cimiterio / Qui de
la tomba, che era del Rè Atrio, / Un carro, e al
carro son giunte due coppie / Di buoi. E il caratier,
che ‘l regge, e siedevi / Sopra un gigante con una
gravissima / Mazza in mano. Ed è tutta questa
fabrica / D’oro massiccio. E quella chiesa attornia
/ Tre volte ogni anno a le più folte tenebre / De la
notte, la state a venti quattro di / Giugno” 7 .
Luigi Groto
6
Fonte: ARCHIVIO DEL CENTRO ETNOGRAFICO ADRIESE.
L. GROTO, Il Thesoro, Comedia nova di Luigi Groto, Cieco d’Hadria, Appresso Fabio, e Agostin Zoppini Fratelli, In
Venetia, MDLXXXIII, in L. GROTO, Opere, vol. II (a c. di G. Brunello e A. Lodo), Atti del Convegno di studi Luigi Groto e il
suo tempo (Adria 27-28 Aprile 1984), Minelliana, Rovigo, 1987, pp. 155-156.
7
Secondo altri, il tesoro del re Adriano si troverebbe a Mazzorno, qualcuno lo vuole a Loreo,
chi lo dice a Contarina e Donada, chi invece giura e spergiura d’averlo rintracciato a Taglio
di Po. Per gli abitanti dell’isola di Ariano, è al sicuro sotto la chiesa di S. Basilio e sotto i
pilastri di confine confondendosi con il tesoro dei paladini. Lo troverà soltanto quel fortunato
che sarà riuscito ad incontrare una strega benefica la notte di S. Giovanni o a rubare il
cappuccio rosso del Salvanèlo, il folletto dispettoso, riconoscibile per il caratteristico
copricapo. A volte, quello sbìlfaro se lo toglieva, lo appoggiava alla vera del pozzo e si
calava nell’acqua per staccare i secchi dalla catena, così il mattino le donne si trovavano la
bella sorpresa, quando andavano ad attingere l’acqua. Nell’occasione, se qualcuno ne
approfittava e si impossessava del suo cappello, per riaverlo il Salvanèlo era disposto a
rivelare dove si trovava un tesoro perché nel copricapo rosso stava la sua forza magica. 8
Paolo Rigoni
(Grafica Giorgia Stocco)
La Tomba di Adria
8
Per i latini, un folletto di questo tipo aveva ha il nome di Incubonus, ed anche allora rivelava l’esistenza
di tesori in cambio della restituzione del pilleum, il cappuccio. Lo racconta Petronio Arbitro nel giustificare la
smisurata ricchezza di Trimalcione: “…dicunt… quod Incuboni pilleum rapuisset, et thesaurum invenit”,
PETRONIO, Satyricon, XXXVIII. L’altra notte incantata per ritrovare tesori grazie ad interventi magici era quella di
Natale.
Scarica

alla ricerca del tesoro di re adriano