ROLLO, D., BENELLI, B. (2003). Narrazione, rappresentazione di eventi e categorizzazione
nelle interazioni madre-bambino. In P. Corsano (Ed.), Processi di sviluppo nel ciclo di vita.
Saggi in onore di Marta Montanini Manfredi, (pp. 177-198). Milano: Edizioni Unicopli.
NARRAZIONE, RAPPRESENTAZIONE DI EVENTI E CATEGORIZZAZIONE
NELLE INTERAZIONI MADRE-BAMBINO
D. Rollo, B. Benelli
Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione, Università di Padova
INTRODUZIONE
Nel corso dello sviluppo il bambino passa da un sé ecologico, in cui le prime
informazioni relative a se stesso non sono scindibili da quelle sull’ambiente, ad un sé
interpersonale e concettuale, in cui la differenziazione progressiva di se stessi dagli altri
avviene parallelamente al riconoscimento della mente altrui e degli altrui ruoli e funzioni
(Baumgartner, Devescovi, D’Amico, 2000), e alla consapevolezza che le cose hanno un
senso che va oltre quello direttamente percepito nell’esperienza.
Attraverso le parole si assiste, al “farsi” delle cose e degli affetti: la cultura entra nella
mente individuale attraverso il linguaggio e grazie al linguaggio il sé individuale incorpora
elementi pluralistici, che vanno oltre l’esperienza individuale. Infatti, se il sistema di
conoscenza pre-linguistico è basato sull’esperienza, è individuale, informale, spesso
implicito, invece il sistema di conoscenza linguistico è derivato dalla cultura e organizzato
formalmente, è esplicito e generalmente riconosciuto (Nelson, 1996, 2000; Nelson, Kessler
Shaw, 2002).
In questa prospettiva il ruolo del linguaggio viene, in un certo qual modo, frazionato nel
tempo: dal linguaggio-narrazione al linguaggio-concettualizzazione, da quando la parola
serve per raccontare l’esperienza a quando serve per estrarre oggetti ed eventi dalle
esperienze contingenti per dar loro il carattere di generalità proprio dei concetti. Se all’inizio
il bambino capisce il mondo degli altri attraverso la propria esperienza, poi dalla ripetizione e
dalla generalità delle sue esperienze ricava gli elementi per approdare in toto al mondo
condiviso e “culturale” (Neisser, 1987; Nelson, 1986, 1996; Rollo, Pinelli, Pelosi, 1997;
Rollo, Pinelli, Perini, 2002). La narrazione appare allora come il medium che permette di
integrare le diverse esperienze di sé e del proprio essere con gli altri, siccome atto linguistico
e “grammatica mentale che sta alla sua base” (Smorti, 1994, p.10).
Le forme narrative, attraverso le quali si organizzano le memorie personali, forniscono una
struttura coerente sia per raccontare il passato agli altri, sia per rappresentarlo a noi stessi. La
narrazione consiste, cioè, sia in una modalità esteriore di trasmissione delle esperienze, sia in
un’impalcatura interiore di rappresentazione delle stesse esperienze (Fivush, 1993). I bambini
attraverso il linguaggio, grazie al quale si apprende la cultura, apprendono, oltre che la
capacità di narrare e di organizzare le proprie memorie, anche un sapere attorno alle forme
più adeguate per raccontare l’esperienza (Bruner, 1991, 1996; Fox, 1997).
In accordo con questo punto di vista, inoltre, il linguaggio è il mezzo attraverso il quale gli
adulti “socializzano” i bambini, è il mezzo della socializzazione e insieme la forma per
l’organizzazione interna degli oggetti sociali (Fivush, 1993).
Naturalmente la narrazione gioca il duplice ruolo di “trasmissione esterna e
rappresentazione interna” non solo per il bambino in via di sviluppo e di socializzazione, ma
anche per gli adulti che, da una parte, narrando trasmettono significati e, dall’altra, per mezzo
1
della narrazione, organizzano questi significati per loro stessi in memorie e non solo. E’
importante cercare di fermare questo processo circolare e continuo, in cui ci sono adulti che
narrano le proprie rappresentazioni e bambini che attraverso la narrazione imparano a
costruirsi rappresentazioni personali: com’è organizzata la narrazione degli adulti verso i
bambini? E’ vero che ci sono madri elaborative (Fivush, Fromhoff, 1988) o narrative
(Tessler, 1986) contrapposte a madri pragmatiche (Engel, 1986), ripetitive (Fivush,
Fromhoff, 1988) o paradigmatiche (Tessler, 1986), differenziate dal modo con cui parlano
delle esperienze passate, le une condividendole coi propri figli e contestualizzandole, le altre
astraendone elementi generali e sovracontestuali? E come questi modi diversi di organizzare
l’esperienza influiscono sulle modalità rappresentazionali infantili?
1. NARRAZIONE E INTERAZIONE SOCIALE
Se si considera la narrazione come modo di parlare di sé e di rivelare il proprio sé, in
una prospettiva di costruzione sociale del sé culturale, non si può non parlare del ruolo
dell’interazione sociale e della relazione con la madre come prima forma di relazione
interpersonale. La relazione diadica prima, le interazioni coi pari e con gli altri familiari poi,
si riflettono sul modo di rappresentarsi nel mondo e quindi sul modo di ordinare e di
raccontare gli eventi del mondo.
Il bambino diventa capace di raccontare storie personali grazie all’adulto che lo
stimola a richiamare gli eventi del passato. In questo modo l’adulto permette al bambino di:
(a) ricostruire quella particolare storia, (b) sviluppare una maggiore capacità di ricordare i
suoi eventi personali, (c) ottenere informazioni sugli aspetti strutturali invarianti delle storie,
acquisendo così una sorta di impalcatura sia per ricordare sia per raccontare (Levorato,
2000). Attraverso la conversazione con la madre, il bambino può apprendere a pensare e ad
interpretare le esperienze. Conversando sul passato, madre e bambino lo ricostruiscono e lo
rivivono attraverso il linguaggio (Smorti, 1993, 1994, 1997). Il passato serve da riferimento
per la comprensione del presente e per la definizione delle novità, e quindi anche da mappa
per organizzare e ordinare gli eventi man mano che si incontrano.
Il linguaggio è un aspetto essenziale della memoria autobiografica, come la narrativa
è la forma che connette e relaziona gli eventi ricordati nel formato di una storia di vita
coerente. La forma narrativa costituisce una prima distinzione tra memoria episodica in
generale e memoria autobiografica come sistema specifico, mentre il sé come punto di
riferimento è un essenziale aspetto di differenziazione tra memoria in generale e memoria
autobiografica: la memoria di ciò che è accaduto, il ricordare l’attore “Io”, induce a
collegarlo a un tempo, ad un contesto specifici e ad evocare uno specifico affetto. Non tutti
gli eventi della memoria episodica, inoltre, iniziano come parte di una memoria
autobiografica, in quanto vengono sistematizzati già al momento del ricordo, non solo
nell’ambito di una “personale esperienza di” ma anche come “conoscenza circa” (Benelli,
1989, 1991). La memoria autobiografica è essenzialmente sociale e sviluppata attraverso
interazioni adulto/bambino nelle quali i bambini “internalizzano” un particolare modo adulto
di decodificare l’esperienza nel presente, mentre la memoria episodica non ha
necessariamente lo stesso requisito della condivisione (Nelson, 1985, 1989, 1993).
A partire da queste riflessioni e dalla distinzione posta da Bruner (1986) tra le due
fondamentali dimensioni del pensiero, Tessler e Nelson (1994) confrontarono l’effetto dello
stile con cui le madri presentano ai figli eventi nuovi, come una visita al museo e la
planimetria di un quartiere cittadino, sul ricordo da parte dei bambini dell’evento in
questione. Le autrici sistematizzarono gli stili materni all’interno di due macro-categorie:
stile Narrativo vs stile Paradigmatico. Lo stile narrativo è caratterizzato da: descrizioni
dinamiche, di oggetti e di attività, un’alta proporzione di riferimenti a ricordi autobiografici,
uso della fantasia o del “gioco verbale”. Più in generale, le “madri narrative” enfatizzano la
2
contestualizzazione dell’evento, ricorrendo a variazioni sulle sequenze temporali, inducendo
il bambino a riferirsi alla sua esperienza personale, ai suoi stati emotivi o all’immaginazione.
Al contrario, lo stile paradigmatico mostra un’alta proporzione di categorizzazioni e
specificazioni che richiamano le proprietà degli oggetti o degli eventi, le analogie e le
differenze, il rapporto parte-tutto. Nelle espressioni delle “madri paradigmatiche” si vuole
indurre la decontestualizzazione con richiami diretti alle conoscenze generalizzate che il
bambino si è costruito nella sua esperienza.
Nelle ricerche citate (Tessler, Nelson, 1994) le madri tendenti a contestualizzare gli
oggetti negli eventi dell’esperienza sembravano essere più “efficaci” nel favorire il ricordo da
parte dei loro figli, rispetto alle madri piuttosto attente alla costruzione di categorie
paradigmatiche avulse dal contesto esperienziale specifico.
Il racconto con cui i bambini ricostruiscono gli eventi vissuti è facilitato dalle madri
più elaborative anche negli studi di Fivush (Fivush, 1993; Fivush, Fromhoff, 1988; Haden,
Fivush, Reese, 1997), dove per elaborazioni si intendono i commenti attraverso cui la madre
fornisce nuove informazioni sugli accadimenti di cui si parla. Il modo di parlare delle madri
sembra influenzare il modo dei figli di raccontare il passato e sembra esserci un rapporto
direttamente proporzionale tra la quantità di informazioni fornite dalle madri e quelle
contenute nei ricordi dei figli. Però lo stile materno non è completamente indipendente dal
bambino, anzi sembra avere un rapporto col sesso: le madri sarebbero più valutative ed
elaborative con le femmine che non con i maschi influendo così sul successivo stile narrativo
delle ragazze, più elaborativo di quello dei ragazzi.
Solitamente le madri nelle interazioni coi loro bambini fanno uso tanto di uno stile
elaborativo -parlano spesso del passato, fanno molte domande e producono una gran quantità
di informazioni “narrativizzate” degli eventi passati- quanto di uno stile ripetitivo (Smorti,
1994), anche se le madri più elaborative promuovono nel figlio la capacità di produrre
narrazioni altrettanto ricche e articolate.
Com’è noto, però, in letteratura la narrazione non è presentata solo come lo stile
discorsivo specifico dell’esperienza, contrapposto a quello generale dei concetti, è anche
descritta come una forma primitiva per organizzare la conoscenza, un modo per
rappresentarsi il mondo per eventi prima che per concetti. In questo senso la narrazione, oltre
che un tipo di linguaggio, e quindi uno stile di discorso, è un tipo di pensiero, una modalità
propedeutica e pre-concettuale di organizzazione dell’esperienza.
2. UNA RICERCA CON BAMBINI IN ETÀ PRESCOLARE E LE LORO MAMME
Obiettivi ed ipotesi della ricerca
E’ possibile discriminare le modalità narrative materne sulla base delle categorie che
rimandano alla distinzione tra ciò che è narrativo ed autobiografico e ciò che, invece, consiste
in modalità di organizzazione della conoscenza categoriali-paradigmatiche e generali? Ci
sono davvero mamme che prediligono uno stile del primo tipo, che d’accordo con Tessler e
Nelson (1994), denomineremo Narrativo, e altre che ricorrono per lo più ad uno stile
Paradigmatico? E le categorie che descrivono le espressioni del discorso all’interno dei due
stili permettono davvero di discriminarli, di distinguere l’uno dall’altro come i due estremi di
un continuum o, piuttosto, sono proprietà flessibili del discorso che coesistono all’interno di
un unico stile?
E’ evidente che da questi quesiti ne derivano altri che rimandano al legame tra le modalità di
parlare, di presentare gli eventi, da parte della madre e il modo di parlare e di rappresentarsi
gli eventi, dei bambini: a madri Narrative corrispondono bambini Narrativi? E al sistema di
narrazione corrisponde anche un modo specifico di parlare e di classificare gli eventi? Se è
vero che la narrazione è la base di partenza per lo sviluppo una modalità concettuale di
organizzazione della conoscenza, i bambini Narrativi sono, predittivamente, i più evoluti in
3
termini sia di “costruzione” linguistica che di concettualizzazione? Negli scritti di Nelson e
collaboratori, infatti, prevale l’idea che sia un tipo di discorso narrativo a facilitare il
successivo sviluppo concettuale in quanto sarebbe la somma di conoscenza per eventi che
faciliterebbe l’astrazione di proprietà generali “sovra-eventi”. E se, invece, fosse la
compresenza dei due stili, Narrativo e Paradigmatico, a mettere nella condizione migliore per
l’acquisizione di una conoscenza generale sulle cose?
La ricerca, come si può vedere, comprende aspetti diversi e compositi a cui, però, in questa
sede, si cercherà di dare una risposta parziale. Nella fattispecie, qui verranno presentati solo i
risultati con cui si è cercato di dare risposta ai quesiti sulle modalità discorsive materne e
sulla possibilità di sceverare stili discorsivi del tutto o parzialmente antitetici, mentre la
trattazione delle interazioni tra questi stili e le competenze linguistiche e concettuali infantili
è rimandata ad altri nostri lavori in fase di elaborazione.
In sostanza, si vorrebbe contribuire a tracciare una modalità utile per la descrizione e l’analisi
del discorso narrativo all’interno delle interazioni diadiche e non, a partire dalla verifica
dell’applicabilità delle categorie descrittive già esistenti e derivate dalle ricerche sui nessi tra
stile narrativo materno e abilità mnestiche infantili (Tessler, 1986; Tessler, Nelson, 1994). E
questo, evidentemente, implica indagare fino a che punto queste categorie identifichino e
descrivano stili discorsivi diversi, stili caratterizzati da proprietà reciprocamente escludentisi,
nella prospettiva di verificare l’utilità predittiva di una tale distinzione.
Perciò, l’ipotesi principale relativa al discorso materno, e verificata attraverso l’adattamento
delle categorie di analisi di Tessler e Nelson (1994), assume che si possano identificare
diversi stili discorsivi materni caratterizzati dal ricorso a modalità Narrative e
Paradigmatiche. In particolare, si ipotizza che le madri, dovendo guardare un libro illustrato
coi loro figli, secondo la consegna, attiveranno espressioni che potranno essere ascritte a
modalità prevalentemente dell’uno o dell’altro tipo. Ne consegue che ci si aspetta che le
categorie di analisi usate siano in grado di discriminare i due stili, descrivendo espressioni
solo dell’uno o dell’altro tipo di discorso. L’ipotesi conseguente fa riferimento all’età dei
bambini: ci si aspetta che le mamme dei bambini più piccoli usino preferibilmente
espressioni di tipo narrativo-autobiografico piuttosto che paradigmatico-categoriale.
Partecipanti
La ricerca è stata condotta con 30 bambini, di entrambi i sessi (19 femmine e 11 maschi), di
età compresa tra i 4.01 e i 5.11 anni (età media 4.7 anni), e le rispettive madri (età media 34.9
anni). Per comodità espositiva, oltre che per verificare l’ipotesi relativa a differenze nel
discorso materno rispetto all’età dei figli, i bambini sono stati suddivisi in tre gruppi, di dieci
bambini ciascuno, rispettivamente di età compresa tra 4.01 e 4.11 anni (età media 4.05), tra
5.02 e 5.09 anni (età media 5.05) e di 5.11 anni.
Tutti i bambini frequentavano due scuole della provincia di Reggio Emilia, appartenevano ad
un livello socio-culturale medio e non avevano problemi specifici del linguaggio che
avrebbero potuto inficiare le osservazioni necessarie a verificare le nostre ipotesi. Per questo,
preliminarmente alla ricerca a ciascun bambino, individualmente, è stato somministrato un
test per misurare il linguaggio recettivo, il P.P.V.T.-R., Peabody Picture Vocabolary Test-R
(Dunn, Dunn, 1981) nell’adattamento e standardizzazione italiana a cura di Stella, Pizzoli e
Tressoldi (2001).
Materiale e Procedura
Ciascuna madre, visitata in ambiente domestico, è invitata a guardare insieme al proprio
bambino un libro illustrato che presenta la storia di una rana che vive presso uno stagno con
altri animali. Le istruzioni che le madri ricevevano prima della seduta erano: “Guardi questo
libretto insieme con il suo bambino”. Il libretto non fornisce né l’automatico ordinamento in
“collezioni” di animali o altro, né l’ordinamento narrativo di una storia vera e propria, ed è
stato scelto con queste caratteristiche, anche se molto elementare per bambini di quasi sei
4
anni, per fare in modo che le madri lo “raccontino” esibendo il loro stile abituale e non uno
indotto dal tipo di materiale.
La scelta è caduta sul compito di “lettura di figure” in quanto si presenta come una
“situazione interattiva feconda” (Smorti, 1994, p. 191) non solo per lo sviluppo del pensiero
narrativo, anche per lo sviluppo del pensiero in generale. La madre non solo richiama
l’attenzione sulla figura, su quello che succede, sull’evento, quindi, ma anche su cos’è
quell’evento, su come si chiama, sulla sua appartenenza categoriale (Ninio, Bruner, 1991).
Le presentazioni materne, della durata variabile dai 15 ai 25 minuti, sono state audioregistrate
e successivamente trascritte parola per parola. Sulle trascrizioni è stata poi condotta
un’analisi del contenuto. In Tabella 1 si presenta la griglia che è stata usata per codificare i
discorsi materni all’interno degli stili Narrativo e Paradigmatico.
Le categorie rappresentano un adattamento e una riduzione a 8 delle 18 originariamente
elaborate da Tessler e Nelson (1994): le prime quattro indicano espressioni e/o affermazioni
di tipo Narrativo (Descrizione di attività o azioni, Autobiografico…) le altre quattro
espressioni e/o affermazioni di tipo Paradigmatico (Descrizione di categorie, Conoscenza di
base…).
TABELLA 1 - Schema di codifica usato per categorizzare le affermazioni materne.
STI
CATEGORIE
DEFINIZIONE
ESEMPIO
LE
1)Descrizione di
attività o azioni
N
A
R
R
A
T
I
V
O
P
A
R
A
D
I
G
M
A
T
I
C
2)Autobiografia
3)Estetica/Affetti
4) Interpretazione
Viene descritta l’azione che si sta svolgendo,
senza fornire interpretazioni, ma con
riferimenti ad un posto attuale oppure a
oggetti e/o persone presenti nel contesto
visivo.
Riferimenti a qualcosa, solitamente condiviso,
del passato personale, spesso è un modo per
spiegare il significato di ciò che sta accadendo
ricorrendo a qualcosa che è già accaduto
nell’esperienza del bambino.
Espressione di un’emozione o di un’attitudine
rispetto a quanto viene osservato oppure
descrizione più in termini estetici che
informativi.
Espressioni che danno informazioni di base
sui sentimenti, le intenzioni le possibili future
sequenze di eventi o di comportamenti in
relazione alle persone o agli oggetti osservati.
Vedi, qui la rana
sta sulla foglia
nello stagno.
Ti ricordi cosa fai
di solito col nonno
quando vai al
torrente?
A me piace questo,
è il mio preferito!
Questo fiore è
bello, vero?
La rana sta
prendendo la
rincorsa perché
dopo salta.
5)Descrizione di
categorie
Espressioni che etichettano un oggetto o una
persona definendone la classe di
appartenenza.
6)Conoscenza di base
Spiegare un evento o un oggetto nuovo
So che lo sai. Cosa
facendo riferimento ad una conoscenza già in mangiano le rane?
possesso del bambino.
Guarda questi
Fare riferimento, spesso con lo scopo di
fiori che grandi
catturare e dirigere l’attenzione, a proprietà che sono!
fisiche, percepibili di oggetti o a criteri che E’ un uccello
descrivono l’oggetto e il relativo concetto,
perché vola.
come caratteristiche fisiche (es. dimensioni).
7)Specificità
categoriali
Che tipo di
animale è questo?
E’ un uccello!
5
O
8)Analogie/Generaliz
zazioni
La lontra è un
animale diverso
Usare criteri o modalità di classificazione o di
dagli altri perché
connessione categoriale tra oggetti.
ha il pelo come un
animale del bosco.
3. RISULTATI
3.1 Criteri per l’analisi delle produzioni discorsive materne
Le narrazioni con cui le mamme presentavano il libro ai figli sono state divise in enunciati
(unità minima per l’analisi linguistica) e ciascun enunciato è stato attribuito al tipo Narrativo
o Paradigmatico, a seconda che l’espressione materna rientrasse tra le categorie designanti
l’uno o l’altro tipo. Sul totale degli enunciati si è visto quanti consistevano in categorie
indicanti uno stile Narrativo e quanti uno Paradigmatico. Gli enunciati prodotti dalle madri
dei bambini sono stati attribuiti alle diverse categorie di codifica da due giudici indipendenti
che hanno raggiunto una percentuale media di accordo dell’81%. Le differenze di
categorizzazione venivano risolte mediante discussione. Lo stile esibito dalle madri è stato,
inizialmente, definito dalla prevalenza degli enunciati di uno o dell’altro tipo (più del 50%
sul totale degli enunciati).
E’ evidente che i due stili comunicativi si collocano lungo un continuum e solo la prevalenza
dell’uno o dell’altro può, quasi artificiosamente, indurci a parlare di uno stile solo
Paradigmatico contrapposto a uno solo Narrativo, ma per le prime analisi si è accettata la
modalità utilizzata da Tessler e Nelson (1994) basata sulla proporzione di ciascun tipo di
enunciati sul totale di enunciati prodotti dalle madri.
3.2 Profilo discorsivo delle mamme
In base a questo criterio nell’intero campione di 30 madri è stato possibile discriminarne 14 i
cui enunciati sono stati classificati come prevalentemente Narrativi (N/N+P>50%) dalle 16 i
cui enunciati sono stati identificati come Paradigmatici (P/N+P>50%). Il grafico presentato
in Figura 1 mostra, inoltre, la distribuzione percentuale dei due stili all’interno del campione
diviso per età: è evidente che le mamme dei bambini più piccoli sono quasi tutte classificate
come Narrative (9 su 10) mentre nei due gruppi di bambini più grandi le madri risultano in
prevalenza Paradigmatiche (8 su 10 nel gruppo dei bambini di quasi 6 anni e 7 su 10 nel
gruppo di età media 5.5)
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
e.m. 4,5 anni
e.m. 5,5 anni
e.m. 5,11 anni
narrativo
90
30
20
paradigmatico
10
70
80
FIGURA 1 – Distribuzione percentuale delle mamme dei bambini dei tre gruppi di età nei due
tipi di stile discorsivo.
E’ chiaro, allora, come vi siano differenze significative per età e per stile discorsivo materno,
6
dal momento che le madri sembrano assumere due stili completamente diversi man mano che
i figli crescono, quasi modellando il proprio stile di discorso all’aumentare dell’età dei figli,
mentre non si hanno differenze di rilievo rispetto al numero degli enunciati
complessivamente prodotti.
L’esame delle percentuali medie degli enunciati dei due tipi nei tre gruppi di età (vedi
Tabella 2) da una parte rinforza le ipotesi di cambiamenti nel discorso materno imputabili
all’età dei bambini, dall’altra rimanda alla “qualità” interna delle due categorie di enunciati.
La percentuale di enunciati narrativi come quella di enunciati paradigmatici cambia
significativamente all’interno del campione considerato globalmente (in entrambi i casi
p=.018) e anche nel campione diviso in tre gruppi in base all’età dei bambini (p=.004). In
quest’ultimo caso i confronti post-hoc per verificare tra quali età si verificassero le differenze
più significative (test di Tukey), hanno mostrato come le differenze riguardino i due gruppi di
e.m.5.5 ed e.m.5.11 anni rispetto al gruppo dei più piccoli di e.m.4.5 anni (rispettivamente
p=.005 e p=.028), mentre tra loro le differenze non sono significative. Però, il fatto che in
nessuno dei tre gruppi, si ha una “maggioranza schiacciante” dell’uno o dell’altro stile ci
induce a condurre un’analisi più dettagliata sulle categorie che definiscono ciascuno stile. Per
esempio, nel gruppo dei bambini con età media 4.05 prevalgono gli enunciati materni di tipo
Narrativo ma “solo” al 55.7% medio sul totale degli enunciati prodotti, mentre nel gruppo di
5.11 anni gli enunciati materni di tipo Paradigmatico, pur prevalendo, non vanno oltre il
58.50% medio e con una Ds di oltre il 10%.
TABELLA 2 - Percentuali medie degli enunciati dei due tipi e numero medio degli enunciati
totali divisi per età (tra parentesi si indicano le Ds).
Gruppo
età
e.m.4.05
e.m.5.05
e.m.5.11
totale
di
Numero medio
enunciati
26.60 (7.92)
27.70 (11.43)
24.60 (11.18)
26.30 (10.02)
% media Enunciati
narrativi
55.70 (5.33)
37.80 (16.12)
41.50 (10.63)
45.00 (13.64)
% media Enunciati
paradigmatici
44.30 (5.33)
62.20 (16.12)
58.50 (10.63)
55.00 (13.64)
3.3 I due stili e le categorie che li descrivono
Qual è, allora, il comportamento verbale delle madri nello specifico? Come si distribuiscono i
loro enunciati nelle categorie descrittive derivate dalla letteratura? E queste categorie sono
davvero rappresentative di uno e un solo stile? Per quanto possa sembrare tautologico, infatti,
lo stile è definito dal prevalere di un certo tipo di categorie e il prevalere di un certo tipo di
categoria conferma l’esistenza di uno stile.
Nel grafico che segue (Figura 2) si indicano le percentuali medie di distribuzione delle otto
categorie descrittive sul totale degli enunciati prodotti dalle madri dei bambini, tenuti distinti
nei tre gruppi di età. Si confrontano i tre gruppi sia rispetto al totale degli enunciati narrativi e
paradigmatici sia rispetto alle categorie che abbiamo identificato in essi: Descrizione di
attività, Autobiografia, Estetica/Affetti e Interpretazione dovrebbero caratterizzare lo stile
Narrativo, mentre Descrizione di categorie, Conoscenza di base, Specificità categoriali e
Analogie/Generalizzazioni lo stile Paradigmatico.
Dalla visione del grafico (gli asterischi indicano le categorie per le quali si sono avute
differenze statisticamente significative nel confronto fra gruppi di età) si possono sia trarre
conferme alle informazioni generali già nostre sia informazioni nuove.
7
e.m. 4,5 anni
70
60
50
40
30
e.m. 5,5 anni
e.m. 5,11 anni
***
***
***
***
***
20
10
en
.n
ar
ra
en
ti v
.p
i
ar
ad
ig
m
at
de
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riz
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an
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g.
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/g
en
er
al
.
0
FIGURA 2 - Percentuali medie del tipo di enunciati prodotte dalle mamme sul campione diviso
per età.
(1) Le mamme dei bambini più piccoli hanno una percentuale media significativamente più
elevata sia di enunciati narrativi globalmente considerati di enunciati autobiografici, tipici
della macrocategoria di Narrativi. Ma presentano anche percentuali medie
significativamente più elevate di enunciati del tipo Paradigmatico, come Specificità
categoriali.
(2) Specularmente, le mamme dei bambini più grandi mostrano percentuali medie
significativamente più elevate oltre che di enunciati Paradigmatici considerati
globalmente, anche di enunciati “tipici” della macrocategoria Paradigmatici, come
Conoscenza di base, ma anche di enunciati del tipo Narrativo, come Interpretazione.
Questo ci suggerisce sia che le mamme esibiscono, all’interno di uno stile, caratteristiche
discorsive diverse a seconda dell’età del figlio, sia che le categorie indicate da Tessler e
Nelson non sembrano essere idonee a discriminare uno stile dall’altro.
Perciò, da una parte, traiamo l’importante informazione sul “modellamento” del discorso
materno all’aumentare dell’età del bambino (le mamme dei più piccoli ricorrono più
frequentemente a informazioni sulle proprietà fisiche degli oggetti, mentre quelle dei più
grandi richiamano di più le conoscenze in possesso dei bambini che, crescendo,
verosimilmente di conoscenze ne hanno di più!), ma, dall’altra parte, raccogliamo anche
informazioni circa la capacità da parte di queste categorie di descrivere accuratamente i due
stili. Dall’analisi delle percentuali medie delle singole categorie all’interno dei due stili
discorsivi (considerati come i due livelli di una variabile indipendente, in realtà osservata e
8
non manipolata) si ha un’ulteriore conferma a quanto visto sul campione diviso per età vedi
(Tabella 3). L’Autobiografia sembra caratterizzare davvero lo stile Narrativo, mentre
l’Interpretazione si colloca più nello stile Paradigmatico che in quello Narrativo. Viceversa,
lo stile Paradigmatico si caratterizza per il prevalere di Conoscenza di base, ma anche di
Interpretazione.
TABELLA 3 - Percentuali medie, Ds e differenze significative al t test di Student per campioni
indipendenti, delle diverse categorie descrittive all’interno dei due stili.
Categorie
Stili
%M
Ds
Sig.
Descrizione di attività
narrativo
paradigmatico
39.86
40.25
17.10
16.48
n.s.
Autobiografia
narrativo
paradigmatico
34.36
19.56
12.76
15.00
p=.007
Estetica/Affetti
narrativo
paradigmatico
12.64
9.68
8.20
10.39
n.s.
Interpretazione
narrativo
paradigmatico
13.07
30.50
9.90
23.40
p=.015
Descrizione di categorie
narrativo
paradigmatico
39.79
43.88
14.58
21.51
n.s.
Conoscenza di base
narrativo
paradigmatico
8.21
19.25
1.19
9.77
p=.046
Specificità categoriali
narrativo
paradigmatico
39.21
22.66
14.31
14.27
p=.004
Analogie/Generalizzazioni
narrativo
paradigmatico
12.71
14.06
10.64
11.14
n.s.
Alla domanda se è possibile, rispetto alle categorie usate, discriminare perfettamente uno stile
dall’altro, non si può rispondere positivamente: la nostra ipotesi principale sul discorso
materno può essere confermata solo parzialmente. Tanto il grafico della distribuzione delle
percentuali degli enunciati raggruppati in narrativi e paradigmatici, rispetto ai tre gruppi di
età (Figura 2), quanto la Tabella 3 mostrano che sì ci sono due modalità discorsive diverse
con cui le mamme presentano contenuti “narrativi” ai figli, ma i due stili non sono
caratterizzati da precise proprietà reciprocamente escludentisi. Non si può identificare uno
stile materno “puro”, quanto piuttosto un continuum di stili che cambia con l’età dei bambini.
Tant’è che, abbozzando un’Analisi Fattoriale (metodo di estrazione: analisi dei componenti
principali), pur consapevoli dell’arbitrarietà di tale analisi vista l’esiguità del campione, non
si rintracciano esattamente due fattori corrispondenti ai due stili quanto piuttosto tre (vedi
Tabella 4). Come si vede nella matrice dei componenti estratti, sembra essere possibile
identificare tre fattori, anche se non ben delineati: uno che potremmo definire Affettivo
saturato dal riferimento all’Autobiografia e agli Affetti e al rapporto inverso con la categoria
9
dell’Interpretazione e dell’Analogia. Vi è poi un fattore meno saturato ma abbastanza
“riconoscibile” che potremmo chiamare Cognitivo caratterizzato per la presenza di
riferimenti alle proprietà fisiche degli oggetti (Specificità categoriali), l’Interpretazione e il
rapporto inverso con la Descrizione dell’attività attuale, quindi la contestualizzazione. Il terzo
è, invece, un fattore misto saturato dal rapporto sia diretto (Conoscenza di base e Specificità
categoriali) che inverso (Descrizione di categorie) con categorie Paradigmatiche.
Il ricorso al ricordo, alla contestualizzazione spazio-temporale ed affettiva degli eventi, da
una parte, l’inferenza di leggi esplicative, propria dell’interpretazione, e il richiamo di
conoscenze preesistenti o attuali sulle cose, dall’altra, in uno scambio reciproco tra la
componente affettiva e quella cognitiva.
Le due tipologie, perciò, sembrerebbero essere meno delineate di quanto non si fosse visto
nelle ricerche di Tessler e Nelson citate.
TABELLA 4 – Risultati dell’Analisi Fattoriale.
COMPONENTI
CATEGORIE
1
2
3
Descrizione di attività
-.323
-.747
.203
Autobiografia
.784
.151
-.047
Estetica/Affetti
.774
.025
.245
Interpretazione
-.707
.485
-.245
Descrizione di categorie
.473
-.380
-.748
Conoscenza di base
-.408
-.550
.502
Specificità categoriali
.202
.671
.592
Analogie/Generalizzazioni
-.535
.404
-.332
Infine, per confrontare al loro interno le mamme poco e tanto Narrative e quelle poco e tanto
Paradigmatiche si è applicato il t test di Student per campioni indipendenti ai gruppi
differenziati dall’essere al di sotto del 25° e al di sopra del 75° percentile: ciò che caratterizza
davvero le mamme “tanto Narrative” è la categoria Autobiografia (t=4.37; p=.001) tra quelle
Narrative e la categoria Specificità categoriali (t=2.85; p=.025) tra quelle Paradigmatiche.
Allo stesso modo il discorso delle mamme “tanto Paradigmatiche”, così definite dall’avere
una percentuale di enunciati di quel tipo superiore al 75° percentile, è caratterizzato dal
prevalere di enunciati ascrivibili alla categoria Conoscenza di base (t=2.25; p=.038) tra le
categorie Paradigmatiche e di enunciati del tipo Interpretazione (t=2.56; p=.024) tra quelle
Narrative.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
L’ipotesi principale relativa al discorso materno e alla possibilità di identificare
diversi stili discorsivi nelle conversazioni madre-bambino, è stata parzialmente verificata.
Col quesito che l’aveva sollecitata, infatti, ci si chiedeva se fosse possibile discriminare
mamme che prediligono uno stile Narrativo da altre che ricorrono per lo più ad uno stile
10
Paradigmatico. E a questa domanda abbiamo potuto dare una risposta affermativa sostenuta
dall’identificazione, all’interno del nostro seppur esiguo campione, di madri che optavano per
enunciati in un caso riferiti all’esperienza e agli affetti e nell’altro richiamanti le proprietà
categoriali degli oggetti. Si confermano i dati della letteratura sull’argomento: che si
chiamino elaborative vs ripetitive (Fivush, Fromhoff, 1988), narrative vs paradigmatiche
(Tessler, 1986; Tessler, Nelson, 1994), espressive vs referenziali (Nelson, 1973), anche le
madri del nostro campione di fronte al compito di “lettura di figure” parlavano ai figli in
modo diverso, esibivano stili conversazionali che, in generale, potevano essere considerati
come i due estremi di un continuum. Si è cioè verificata l’esistenza di un profilo evolutivo
nella tipologia della narrazione materna, che evolve da uno stile prevalentemente
autobiografico a forme concettuali di richiamo della conoscenza.
Le madri parlano in modo diverso a seconda dell’età dei bambini. Considerato nel suo
aspetto generale, lo stile conversazionale materno sembra evolvere da forme espressive
centrate sulle interazioni a forme referenziali centrate sugli oggetti, ricalcando così lo stesso
andamento evolutivo che si rintraccia nello sviluppo dei bambini. Infatti, se in letteratura
sono frequenti i riferimenti, da una parte, alla differenza negli stili materni e, dall’altra, alla
tendenza evolutiva nelle capacità cognitive infantili, i nostri risultati ci suggeriscono un piano
in cui questi due aspetti si intrecciano. Man mano che i bambini sviluppano e affinano le loro
capacità di interazione, passando da modalità di sistematizzazione della realtà
prevalentemente narrative a modalità paradigmatiche fino a un sistema in cui i due elementi
sono complementari, parallelamente anche le madri cambiano il loro modo di conversare coi
figli. Questa evoluzione è stato confermata oltre che dall’analisi globale degli enunciati
prodotti dalle madri, applicando il criterio usato da Tessler e Nelson della “maggioranza di
enunciati di un tipo sul totale di enunciati prodotti”, anche dall’analisi fattoriale sulle
categorie che definiscono i due stili, che ha permesso di identificare una triade di fattori, di
cui uno ha requisiti prevalentemente autobiografici e affettivi, uno di conoscenza categoriale
e un terzo in cui aspettative sulle proprietà categoriali degli oggetti interagiscono con altri più
narrativi. Si potrebbe anche ipotizzare che le due forme espressive siano coopresenti e che
prevalgano le une sulle altre a seconda del compito, del contesto e dell’interlocutore. Di fatto,
nei nostri dati uno stile non è mai completamente prevalente sull’altro, e questo potrebbe
voler dire sia che le mamme modellano il loro modo di parlare modulandolo gradualmente
sullo sviluppo cognitivo-linguistico del figlio, e quindi sull’avanzare dell’età, sia che i due
stili non sono successivi temporalmente bensì alternativi a seconda dei fattori del contesto,
come se occupassero la stressa casella di uno script!
Dall’ipotesi principale sui due stili discorsivi ne conseguiva un’altra che postulava la
possibilità di discriminarli sulla base di precise espressioni. Abbiamo trovato che le madri
parlano effettivamente in modo diverso, ma in cosa si differenzia questo modo? E i diversi
modi conversazionali sono davvero diversi stili o sfumature di uno solo? In questo lavoro non
abbiamo preso in considerazione le singole parole, si è però fatto ricorso a categorie
descrittive ricavate da quelle presenti in letteratura. A questo punto alla domanda se è
possibile, rispetto alle categorie usate, discriminare perfettamente uno stile dall’altro, non si
può rispondere positivamente: le due modalità discorsive diverse con cui le mamme
presentano contenuti “narrativi” ai figli, non sono caratterizzate da precise proprietà che si
escludono reciprocamente. Non si può identificare uno stile materno “puro”, quanto piuttosto
un continuum di stili oppure le caratteristiche che in letteratura vengono indicate come
tipiche di uno stile in realtà non lo sono completamente.
Bauer (1993), per esempio, cita tra le caratteristiche della madre paradigmatica “l’estrarre
informazioni sintetiche dall’esperienza del passato”, il che è vero però è ambiguo rispetto a
quanto si fa normalmente per discriminare il richiamo di uno conoscenza generica (Dimmi
come si chiama questo fiore?) dal ricordo di un evento passato (Qual è il nome del fioraio da
11
cui sei stata?). Il limite delle categorie impiegate è perciò duplice: uno è contenutistico e
l’altro, a cui il primo rimanda, è teorico. Le categorie di descrizione dello stile discorsivo non
hanno “saturato” perfettamente le caratteristiche che avrebbero dovuto descrivere sia perché
non sono sempre definite in modo univoco, sia perché non possono essere mai definite in
modo univoco. Come è facile attribuire i confini ad una categoria così è difficile rispettarli.
Il paradigma classico dello sviluppo concettuale, assume che il concetto sia di per sé
l'
astrazione di un insieme di caratteristiche definitorie e delle loro relazioni. Quale sia la
combinazione necessaria e sufficiente a definire una categoria è stabilito arbitrariamente e
l’immediata conseguenza dell’arbitrarietà è che le categorie naturali non sono ben definite
(Benelli, 1989). Come per le categorie naturali anche per le nostre categorie di definizione
del discorso materno è impossibile individuare criteri definitivi e, perciò, non è inverosimile
che non si siano disposte come ci saremmo dovuti aspettare stando alle ipotesi. D’altro canto
ci è parso interessante vedere un interscambio di proprietà narrative e paradigmatiche tra e
inter categorie, a dimostrazione di quanto si diceva sopra, e cioè dell’impossibilità di dire che
uno stile escluda l’altro.
A nostro avviso, le suggestioni che questo lavoro trasmette sono numerose, come del
resto sono numerosi gli spunti, sia per gli approfondimenti teorici che per le implicazioni
pratiche, che derivano dai risultati. Da una parte, si sono ricevute indicazioni per addentrarsi
più a fondo nello studio degli stili interazionali e del loro ruolo rispetto allo sviluppo:
l’analisi fattoriale e i risultati rispetto alle singole categorie descrittive del discorso materno
ci inducono ad approfondire la composizione interna di questi stili, magari ipotizzando anche
differenze interculturali, a partire dalle quali si potrebbero spiegare le differenze tra i nostri
dati e quelli di Nelson e collaboratori (1994). D’altra parte restano da indagare i nessi sia tra
lo stile conversazionale e lo sviluppo linguistico-concettuale infantile, sia tra le componenti
cognitive e quelle affettive della narrazione, a cui l’interazione diadica rimanda.
Recentemente anche Nelson (1999, 2000) ha ripreso teorizzazioni alla base del suo modello
delle rappresentazioni di eventi allargandole a concetti non tipici degli studi sullo sviluppo
cognitivo. In particolare ha stabilito un parallelismo tra rappresentazioni di eventi e modelli
operativi dell’attaccamento arrivando a ipotizzare che le immagini interiorizzate
dell’attaccamento, per quanto indichino aspetti tipicamente affettivi, interpersonali possono
essere studiati come rappresentazioni di conoscenza. La narrazione potrebbe allora fungere
da anello di congiunzione non solo tra le diverse modalità di pensiero, ma anche tra diverse
aree di sviluppo, tra affetti e cognizione, perché anche nello studio della strutturazione degli
affetti attraverso il legame di attaccamento si pone in primo piano la narrazione.
In entrambi i casi si ha un bambino che si rappresenta il mondo, che partecipa dei significati
condivisi a partire dalla narrazione della sua storia personale, che si crea “idee” generali di
relazione a partire dalla relazione diadica, “idee” di oggetti a partire da quelli che entrano nel
suo raggio di azione. Un bambino che prima di contenere nel linguaggio il mondo se ne serve
per descrivere il proprio, e che narrando crea un “…rapporto tra la realtà del mondo che
abitiamo e conosciamo attraverso la percezione, e la realtà del mondo del pensiero che abita
in noi e ci comanda” (Calvino, 1983, p. 5).
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Dolores Rollo, Beatrice Benelli, Narrazione