Da ‘Le cose che non si dicono’ --- di Chiara Rodeghiero
stanca
di voltarsi
tramonti svaniti
da terra
stelle
in
Le cose che non si dicono
Le cose che non si dicono aleggiano sopra di noi come nubi silenziose.
Quando se ne accumulano troppe diventano pesanti ed iniziano a colare sulla fronte e sul collo. Le si
scambia spesso per gocce di sudore , e non ci si fa caso.
Ma, a ben osservare, hanno una consistenza
, piuttosto oleosa.
Alcune persone si ritrovano con i capelli sempre unti, e non capiscono il perché. Invano, provano
shampi e balsami di tutti i tipi. Poi, per non fare brutte figure, spiegano che è ‘il gel effetto
bagnato’.
Le cose che non si dicono colano sulla pelle, la rendono liquida, invadono i pori.
Certe persone corrono dal dermatologo e comprano creme
costosissime,
che non serviranno a
niente.
Hanno una nuvola sopra la testa, ma loro non lo sanno.
C’è chi invece se ne accorge e,
eliminarla, escogita trucchetti per non
continuare ad alimentarne la massa col suo silenzio pieno
Bisogna ben guardarsi da
sporcarsi: così può
di cose non dette.
di questo tipo.
E’ facile notarli: portano sempre dei cappelli in testa, o delle cuffiette, anche mentre dormono. Indossano
mantelle, k-way e aprono gli ombrelli anche quando c’è il sole.
Ma
le cose che non si dicono, quando arrivano a pesare
tonnellate, possono
causare disastri e alluvioni.
E allora, loro non lo sanno, ma un ombrello non
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serve a nulla.
Il paese dove le cose non si dicono mai
Avevo una vicina di casa una volta, quando abitavo nel paese dove le cose non si dicono mai.
Questa vicina aveva la strana mania dei volantini pubblicitari che arrivano per posta. Si svegliava
alle 7 ogni mattina e si piazzava davanti alla sua cassetta, ad aspettare che arrivassero i ragazzi che
li distribuivano porta a porta. Tutti erano convinti che fosse la portinaia.
Per lei la pubblicità era la cosa più colorata del mondo e riceverla le metteva allegria.
Da anni collezionava negli scaffali in soggiorno tutti i depliant e i volantini dividendoli per
sfumatura di colore. Non era cosa facile, spiegava, perché quando arrivano quelli dei supermercati
che sono pieni di colori non si sa bene da che parte collocarli. Certo, c’è sempre una certa
prevalenza di giallo e di rosso, ma specie nei periodi promozionali c’è un tale miscuglio di colori
freddi e caldi insieme che non si sa proprio dove metterli. E allora si fa una scelta, si mette il tutto
su una bilancia e si decide se c’è più giallo o più blu. E’ dato di fatto che i colori freddi pesano di
più, quindi bisogna tener conto d’un certo margine d’errore in difetto, esprimibile con la seguente
formula: caldo = pigreco freddo/2.
Eppur questa formula, spiegava la mia vicina, vale solo per i volantini dei supermercati, mentre per
quelli delle palestre, dei finanziamenti a tasso zero, dei massaggi a domicilio e delle pompe funebri
cambiano le regole. Innanzitutto è indispensabile razionalizzarne il campo cromatico. Dividere la
sfumatura in colore esteriore e colore interiore. Il primo è il colore così come appare. Il secondo è il
colore visto con l’occhio di un daltonico. La mia vicina aveva degli occhiali apposta per vedere le
cose in modo daltonico.
Diceva che così il colore mostra tutti i suoi caratteri, ed è un passaggio indispensabile se si vuole
catalogare il volantino senza paura di sbagliare. Conoscere il colore in tutte le sue sfaccettature,
andare a fondo nella sua psiche, non soffermandosi alla superficialità. Diceva ad esempio che le
pubblicità delle palestre, apparentemente dai colori vispi e tonici, se uno li guarda con gli occhi di
un daltonico prendono sfumature fiacche e poco salubri. Al contrario, i volantini delle pompe
funebri celano colori frivoli e frizzanti.
I bianchi e i neri, essendo colori assoluti, occupavano due scaffali agli estremi opposti del soggiorno
della mia vicina. Quello dei bianchi era posizionato di fronte alla finestra, perché la luce ne
conservasse il candore. Per rientrare nella categoria dei volantini bianchi non dovevano contenere
più del 4,3% di inchiostro nero o colorato. La mia vicina calcolava quindi la superficie totale del
foglio e con una formula algebrica complicatissima ne stimava la percentuale di inchiostro nero o
colorato contenuto. Sottraeva tare, lodava lordi e barava netti. Se la percentuale del colore superava
di poco la soglia consentita, allora ritagliava qualche lettera con le forbicine, e lasciava dei buchetti.
Le lettere ritagliate non le buttava, le metteva tutte in una scatola e giocava a comporre frasi.
Viceversa i volantini neri potevano contenere al massimo il 4,3% di inchiostro bianco o colorato. La
mia vicina copriva qualche parola di troppo con la pece e la morfina. Questo scaffale era coperto da
un telo di stoffa pesante, perché sennò i neri si sbiadivano, a lungo andare.
Un giorno la mia vicina smise di collezionare volantini pubblicitari.
Dicono che una mattina ricevette una lettera: una busta bianca, con un foglio dentro.
Il giorno dopo la sua casa era vuota: se n’era andata senza dire niente, come facevano tutti nel paese
dove le cose non si dicono mai.
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