Med&Gulf Initiative Bulletin, n. 3, 23 ottobre 2014
The New Middle East (Dis)Order
Scenari politici ed economici

Quadro geo-politico
Un contesto in trasformazione
Il fronte iracheno e la crisi siriana
Il caso Libia, un paese spaccato in due
Israele e Hamas. Da Protective Edge al cessate il fuoco

Quadro economico
L’andamento della congiuntura
Le politiche economiche
I rapporti con l’estero e vulnerabilità esterna
Il rating delle agenzie e la valutazione dei mercati
Gli scambi commerciali dei paesi del Mediterraneo
La struttura settoriale e la ripartizione geografica del commercio estero
Gli scambi commerciali dell’Italia con i paesi del Mediterraneo
Gli Ide e gli investimenti diretti esteri italiani
Med&Gulf Initiative è il progetto di ISPI, Intesa Sanpaolo e Promos-Camera di Commercio di
Milano sulle opportunità di business nell’area del Mediterraneo e del Golfo.
Nel 2014 l’iniziativa prevede una serie di Conferenze internazionali con la partecipazione di
rappresentanti di istituzioni e organismi internazionali, nonché di esperti dal mondo accademico
ed economico-finanziario, in rappresentanza di diversi paesi.
Alle imprese partecipanti sono messi a disposizione desk informativi per approfondire le priorità
settoriali di investimento, le opportunità di business e le agevolazioni per le imprese.
A supporto di ogni Conferenza viene pubblicato un dossier di approfondimento sull’evoluzione
politica, le prospettive economiche, le opportunità di business e le relazioni con l’Italia.
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QUADRO GEO-POLITICO*
Un contesto in trasformazione
Nell’area del Mediterraneo e del Medio Oriente si registrano oggi una pluralità di sfide e tensioni sempre
più di natura transnazionale, che investono la legittimità dei confini e delle strutture del potere statuale
e degli equilibri e allineamenti regionali. Nel nuovo (dis)ordine che si sta delineando emerge un arco di
trasformazione diffuso. Questo include paesi alla ricerca di un consolidamento, in alcuni casi difficile,
degli equilibri socio-politici interni, è il caso di Marocco, Giordania, Tunisia e Egitto, e contesti
caratterizzati da aperto conflitto e scontro, come in Iraq, Siria, Libia e Gaza.
Sul versante della stabilità o della ricerca della stabilizzazione, il Marocco, dove il sovrano ha avviato un
processo di riforme all’indomani della cosiddetta Primavera araba, prosegue nel suo percorso di
consolidamento, segnando una direzione peculiare all’interno del mondo arabo. A differenza
dell’estromissione patita dai Fratelli musulmani in Egitto, della loro frantumazione sperimentata in
Giordania, della rinuncia di Ennahda al governo nei primi mesi del 2014 e, infine, della controversa
situazione libica, in Marocco l’espressione locale islamista è rimasta alla guida dell’esecutivo di
coalizione. Il Partito giustizia e sviluppo, infatti, prosegue nel difficile tentativo di mediare con la
monarchia con l’obiettivo di definire un’agenda politica comune su cui impostare le ulteriori riforme che
il paese richiede. Sulla scia dell’esperienza marocchina, la monarchia hashemita sembra in grado di
assicurare la tenuta e la stabilità della Giordania. Re ‘Abdullah appare molto attivo sia sul piano
internazionale, con la decisione di partecipare alla coalizione anti-Stato islamico (Is) a guida
statunitense, sia sul piano interno. Di fatto, la monarchia è chiamata a rispondere concretamente alle
promesse di riforme economiche e politiche che le hanno permesso di controllare le sue piazze, ma che
ancora non hanno prodotto gli esiti auspicati. A ciò si aggiunge il complicato compito di assistere i
rifugiati siriani giunti nel paese, circa 600.000 secondo i dati ufficiali a fronte di una popolazione totale
di circa 6.500.000 di abitanti. Infine, nell’ambito regionale, l’aggravarsi della situazione in Iraq e Siria,
con la crescente presenza di Is, e la recente guerra di Gaza disegnano un quadro incerto dal punto di
vista sia diplomatico che militare. Per quanto riguarda la situazione in Tunisia, il percorso di transizione
democratica prosegue nonostante le difficoltà e le tensioni vissute durante l’ultimo anno. Da una parte,
le forze politiche tunisine, e in particolare il partito islamista Ennahda, hanno dimostrato di voler
proseguire sulla strada della mediazione e della condivisione delle scelte politiche, evitando che dallo
stallo politico vissuto durante il 2013 si sviluppassero contrapposizioni di difficile contenimento. È in tale
senso che va colta la sua decisione di abbandonare il governo all’inizio del 2014. In vista delle elezioni
parlamentari, programmate per il 26 ottobre, e delle presidenziali, il 23 novembre, il paese sembra
procedere senza intoppi sulla strada della stabilizzazione interna. Tuttavia, in Tunisia si guarda con
apprensione alle possibili ricadute della crescente instabilità libica e allo sviluppo delle attività dei gruppi
radicali islamici sia sul suo territorio, sia nei paesi confinanti. Infine, per quanto concerne l’Egitto, il
paese è impegnato nello stabilizzare il suo sistema politico-sociale. Nonostante continuino le
preoccupazioni per la difficile situazione economica e le tensioni con i militanti della Fratellanza
musulmana, dopo l’esclusione di Mohamed Morsi e l’arresto di un consistente numero di suoi
sostenitori, proseguono gli sforzi del presidente Abdel Fattah al-Sisi per rafforzare l’autorità e la
credibilità delle istituzioni egiziane. Inoltre, il Cairo ha recentemente mostrato di volere recuperare un
ruolo attivo all’interno del sistema regionale, come hanno dimostrato l’attività di mediazione nel
recente conflitto tra Israele e Hamas e le iniziative promosse nel contesto libico. Nonostante ciò, resta
da vedere la capacità dell’Egitto di gestire coerentemente la sua politica interna e quella internazionale.
Un eccessivo accento sull’aspetto securitario e il rischio di leggere le proprie dinamiche domestiche alla
luce degli sviluppi regionali e viceversa rappresentano di fatto un fattore da non sottovalutare.
*
A cura dell’Osservatorio Mediterraneo e Medio Oriente dell’ISPI (Valeria Talbot, responsabile e senior research
fellow; Paolo Maggiolini, research fellow; Matteo Colombo, research trainee).
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Sul versante delle crisi e dei conflitti, le guerre civili in Iraq e in Siria sono tra le più evidenti
manifestazioni della più ampia spirale di tensione e conflittualità che sta avvolgendo il Medio Oriente.
L’avanzata dell’autoproclamato Stato islamico nei due paesi pare un chiaro indicatore di come
l’epicentro delle attività della galassia jihadista si stia muovendo sempre più verso il cuore del Medio
Oriente, svincolandosi inoltre dall’esclusivo legame con al-Qa‘ida, come i vari gruppi operanti nella
regione dimostrano. Il recente conflitto tra Israele e Hamas a Gaza, d’altro canto, sottolinea le
drammatiche conseguenze di un processo di pace che non decolla e che invece di sanare le logiche del
conflitto le riproduce puntualmente, con l’inevitabile ricaduta nell’uso ciclico della violenza secondo le
diverse ragioni e necessità. Allo stesso tempo, la questione israelo-palestinese può giocare un ruolo
importante nel tentativo di dare nuova stabilità al sistema regionale, in particolare se si percorrerà una
via multilaterale, recuperando la Arab peace initiative, a completamento della linea bilaterale inaugurata
a Oslo, che da sola ha segnato senza grandi successi il percorso del processo di pace. Infine, la
situazione attuale in Libia ben rappresenta la difficoltà della transizione inaugurata dalla caduta di
Muammar Gheddafi e più in generale della stagione delle insurrezioni arabe, fin troppo presto
ribattezzate “rivoluzioni”. È così che “l’uccisione del tiranno” non ha, di fatto, riassorbito la sostanziale
competizione tra le diverse anime del paese, che si è invece progressivamente ampliata di fronte
all’incapacità di produrre un nuovo patto sociale. Allo stesso tempo, non si deve dimenticare l’influenza
che la situazione del vicino Egitto ha esercitato sul paese. Il rovesciamento di Mohamed Morsi ha, di
fatto, reso impossibile un accordo tra le forze vicine alla Fratellanza musulmana e quelle laiche in Libia.
Ne è nata così una crisi politica che ben presto è sfociata in aperto scontro militare, a cui si deve
aggiungere la presenza di formazioni jihadiste particolarmente attive in Cirenaica.
Il nuovo (dis)ordine regionale sembra quindi essere caratterizzato da una continua diffusione e
frammentazione del potere e delle dinamiche ad esso collegate, dove differenti attori regionali e nonstatuali ricoprono un ruolo sempre più determinante. A ciò si deve aggiungere la difficoltà di tracciare in
modo chiaro la composizione e la struttura dei vari allineamenti dell’area. Ciò pare essere una
conseguenza anche delle sensibili differenze tra gli interessi di breve e lungo periodo dei principali attori
regionali, come il recente andamento delle crisi in Siria-Iraq, Libia e Gaza paiono confermare.
Il fronte iracheno e la crisi siriana
La crescente contrapposizione settaria tra la componente arabo-sunnita e quella sciita è tra i principali
fattori che spiegano l’ascesa dell’autoproclamato Stato islamico nel nord dell’Iraq. Un ruolo altrettanto
rilevante è stato giocato dalla competizione regionale tra Arabia Saudita e Iran, senza dimenticare gli
effetti del crescente peso specifico di Turchia e Qatar. Le diverse agende di questi attori si sono
innestate all’interno dei deboli e frammentati contesti iracheno e siriano, creando i presupposti per la
crescita esponenziale di Is. Inoltre la vicinanza geografica tra i due paesi ha aumentato il rischio che i
fronti potessero saldarsi, alimentandosi vicendevolmente, nonostante le peculiarità e le differenze.
Il governo centrale iracheno ha sofferto di un serio problema di riconoscimento della sua autorità nella
zona sunnita del paese, in particolare a causa della difficile relazione tra Baghdad e le diverse province di
questa area dell’Iraq. Una delle cause di questa situazione è stata la politica settaria dell’ex primo
ministro sciita Nouri al-Maliki, che ha progressivamente escluso dal potere i rappresentanti della
minoranza sunnita – circa il 20% della popolazione – creando risentimento tra i leader politici, religiosi e
tribali che fanno parte di questo gruppo. L’ostilità verso il governo centrale si è aggravata ulteriormente
dopo le elezioni legislative dell’aprile 2014, che hanno confermato la marginalità e la frammentazione
della comunità sunnita, sancendo la vittoria della coalizione del vecchio premier. Tuttavia, l’avanzata
dell’Is non è soltanto la conseguenza del fallimento sunnita alle urne. L’insoddisfazione della comunità
era infatti già esplosa in tutta la sua intensità nel corso del 2013, paralizzando buona parte dell’Iraq
centro-occidentale. Durante la prima metà del 2014, le proteste avevano lasciato spazio ad azioni
sempre più violente, che avevano portato alla estromissione delle forze di sicurezza irachene da buona
parte della provincia di al-Anbar (pari a circa un terzo dell’intero territorio). È in questo contesto che si
colloca nel giugno scorso la presa di Mosul, seconda città irachena per numero di abitanti, da parte dei
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miliziani dell’Is. Dopo poche settimane, il leader di questo gruppo, Abu Bakr al-Baghdadi, è stato
proclamato dai suoi sostenitori “califfo”, una carica che sottolinea la vocazione universale dello Stato
islamico, le cui ambizioni non si limitano ai soli scenari siriano e iracheno.
Oggi Is esercita la sua autorità su un territorio grande quanto il Belgio. La sua espansione è stata
fermata soltanto dai raid americani, iniziati lo scorso 8 agosto per respingerne l’avanzata nei territori di
Sinjar e Tel Kaif, abitati da migliaia di cristiani e yazidi. La ritirata militare dell’esercito iracheno ha
contribuito anche ad alimentare le tensioni tra i partiti presenti nel parlamento di Baghdad e ha
indebolito a tal punto il premier al-Maliki da determinare la formazione a inizio settembre di un
esecutivo di unità nazionale guidato da Haydar al-‘Abadi. Questa decisione si spiega anche con le
pressioni degli Stati Uniti e del blocco saudita per ottenere dal governo iracheno una politica più
inclusiva della componente sunnita. È un cambiamento voluto anche dall’Iran, che è consapevole del
fallimento politico del suo alleato storico, al-Maliki, e vuole perciò puntare su al-‘Abadi. La strategia del
nuovo premier mira a ridurre il sostegno a Is tra gli ex ba‘athisti e le tribù dell’Iraq settentrionale,
rendendo in tal modo più complicato per i jihadisti mantenere la loro autorità sui territori di al-Anbar,
Niniwa, Salah al-Din e Diyala, che oggi controllano quasi interamente. In questo contesto si comprende
la promessa del nuovo premier di concedere più autonomia a queste regioni e la scelta di nominare
diversi ministri che non fanno parte della maggioranza sciita.
Pochi giorni dopo le dimissioni di al-Maliki, le milizie peshmerga, ex guerriglieri curdi inquadrati nelle
forze armate regolari del governo regionale del Kurdistan iracheno, hanno fermato l’avanzata dello
Stato islamico nei pressi della diga di Mosul. È un risultato militare di grande importanza, reso possibile
anche dai raid americani e dal supporto logistico degli occidentali, che hanno fornito armi e aiuti militari
ai combattenti curdi iracheni. Nelle settimane successive anche l’esercito iracheno ha cercato di imporre
nuovamente la sua autorità nelle regioni controllate da Is. Questa controffensiva non ha però prodotto
risultati significativi, con l’eccezione della battaglia nei pressi della cittadina di Amerli a fine agosto,
dove è riuscita a rompere l’assedio di quattro mesi dei guerriglieri di al-Baghdadi. È un episodio militare
di grande importanza anche a livello geopolitico, visto che le forze aeree di Washington e alcune milizie
sciite sostenute dall’Iran si sono coordinate tra loro per combattere i guerriglieri dello Stato islamico.
Venendo alla crisi siriana la creazione di una coalizione internazionale anti Is a guida statunitense, a cui
partecipano diversi paesi arabi, ha modificato i rapporti tra le milizie che si oppongono ad Assad.
L’esercito libero siriano e il Fronte Islamico – un’alleanza formata da gruppi di ispirazione salafita e
islamista – continuano a scontrarsi contro Is e le forze governative, mentre Jabhat al-Nusra (considerata
come la sezione locale di al-Qa‘ida), pur avendo incrociato più volte le armi con Is in passato, ha
adottato una tattica più attendista e ha evitato lo scontro aperto con il gruppo di al-Baghdadi. Questa
scelta avrebbe permesso alle forze del califfo di aumentare la loro pressione nel nord della Siria e in
particolare sulla città di Kobane (area a maggioranza curda), che solo di recente è riuscita a liberarsi
dall’assedio grazie alla resistenza delle unità di protezione popolare (Pyg) e il supporto dei
bombardamenti della coalizione anti-Is.
Il regime siriano conta soprattutto sul sostegno iraniano e di Hezbollah per poter combattere i ribelli e
lo Stato islamico. Teheran si contrappone al “blocco saudita”, accusato di fornire armi, finanziamenti e
aiuti a diversi gruppi di ribelli che si oppongono al “califfato”. I paesi del Golfo e in particolare l’Arabia
Saudita hanno inoltre chiesto agli altri membri della coalizione anti-Is di estendere i loro raid anche
contro il regime di Assad. A questi paesi si aggiunge la Turchia, che condivide l’obiettivo di rovesciare il
regime siriano. Il presidente turco Erdoğan teme tuttavia che un indebolimento dell’Is possa rafforzare
le ambizioni autonomiste dei curdi in Siria, che dal ritiro delle armate di Assad hanno ormai il controllo
de facto sui territori di confine. Il governo turco ritiene che questa situazione sia pericolosa per la
sicurezza interna, visto che considera queste milizie alleate del Partito dei lavoratori del Kurdistan
(Pkk), un gruppo armato protagonista di una sanguinosa guerra trentennale contro il governo di
Ankara. A inizio ottobre, il parlamento turco ha dato al governo l’autorizzazione di condurre operazioni
militari oltre confine. Un effettivo intervento turco è stato però condizionato alla richiesta di estendere
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le operazioni della coalizione contro Assad e di creare una zona cuscinetto e di no fly zone nelle aree
siriane di confine.
In questa contrapposizione tra potenze regionali si inseriscono anche la Russia e gli Stati Uniti. Obama
punta a contenere l’Is per evitare che la sua espansione minacci gli alleati americani in quest’area.
L’intervento contro lo Stato islamico è perciò parte di una strategia che punta a rafforzare l’ordine
regionale esistente, anche se non è ancora chiara la posizione americana sul futuro della Siria. Putin
intende aumentare il coinvolgimento russo nella regione per rafforzare il regime di Assad, unico alleato
rimasto nell’area dopo il crollo dell’Unione Sovietica. La lotta contro Is si inserisce quindi nella strategia
di sostegno al governo siriano e si giustifica con il timore che l’avanzata dello Stato islamico possa
rinvigorire anche i jihadisti del Caucaso settentrionale e della Cecenia, considerati da Mosca una grave
minaccia alla sicurezza interna.
Il caso Libia, un paese spaccato in due
La recente destabilizzazione del contesto libico conferma le divisioni tra i diversi gruppi presenti nel
paese. Il caos attuale nasce dalle debolezze dello stato e nelle contraddizioni di una transizione post
Gheddafi che non ha saputo giungere alla definizione di un nuovo patto sociale. È una situazione
caratterizzata da alleanze mutevoli e dall’incapacità dell’autorità centrale e dell’esercito, di fatto
disgregatosi nel 2011, di imporre il monopolio della forza legittima. Tale situazione è stata aggravata
dalla scelta del governo centrale di integrare diverse milizie irregolari nell’armata nazionale, con
l’obiettivo di riassorbire la crescente tensione.
Si è così determinato uno scontro combattuto da decine di gruppi armati, caratterizzati da un forte
radicamento territoriale. Inoltre alla polarizzazione tra distinte affiliazioni locali e tribali, si sommano
contrapposizioni a livello ideologico (pro-rivoluzionari vs simpatizzanti vecchio regime). Il “vuoto di
potere” ha favorito l’azione di diverse potenze regionali, che hanno avuto gioco facile nell’alimentare la
conflittualità tra i vari schieramenti in campo. Tra queste ci sarebbero la Turchia, il Sudan e il Qatar, da
un lato, ed Egitto ed Emirati Arabi Uniti, dall’altro.
Sul piano interno è possibile individuare due fronti contrapposti. Da una parte, ci sono le milizie islamiste
provenienti soprattutto dalla regione di Misurata e Khoms. Questi gruppi sostengono l’autoproclamato
“Congresso generale nazionale”, la vecchia assemblea parlamentare basata a Tripoli e dominata da
forze islamiste, in particolare legate alla Fratellanza musulmana. Dall’altra, c’è il fronte guidato dal
generale Khalifa Hiftar che è sostenuto da diverse unità militari e dalle brigate tribali della zona di Zintan
(sud di Tripoli) e di alcuni gruppi della Cirenaica. Questo fronte sostiene la “Camera dei rappresentati
libica”, con sede provvisoria nella città di Tobruk, vicino al confine con l’Egitto, e che è riconosciuta
come legittima dalla comunità internazionale, seppur non controlli dell’amministrazione pubblica a
Tripoli e della Banca centrale.
A questi due schieramenti si aggiungono le brigate di Ansar-al-Sharia e altre formazioni jihadiste,
presenti soprattutto nella zona di Derna e Bengasi. Il parlamento di Tobruk accusa questo fronte di
essere un alleato informale dei partiti islamisti. Il generale Hiftar ha perciò lanciato un’offensiva militare
nella Cirenaica occidentale nel maggio scorso, chiamata “operazione dignità” al fine di riconquistare
Bengasi. Le difficoltà incontrate sul campo hanno reso necessario una seconda offensiva,
accompagnata anche da bombardamenti condotti con tutta probabilità dalle forze aeree dell’Egitto e
degli Emirati Arabi Uniti, sebbene non ci sia conferma ufficiale. Al-Sisi ritiene prioritario eliminare
qualsiasi presenza della Fratellanza musulmana dai paesi confinanti con l’Egitto, e anche gli Emirati Arabi
condividono questo obiettivo.
L’offensiva delle forze guidate dal generale Hiftar si è estesa anche alla zona di Tripoli, dove le milizie
di Misurata sono riuscite non solo a resistere, ma anche a conquistare l’aeroporto internazionale,
lanciando l’“operazione alba”. Le forze islamiste controllano oggi vaste zone della capitale.
Sembrerebbe che Turchia, Qatar e Sudan abbiano contribuito al successo delle forze islamiste. Di fatto,
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l’intervento di attori esterni nel contesto libico contribuirebbe ad aggravare la polarizzazione tra i due
fronti, rendendo più difficile avviare una riconciliazione nazionale. In tale direzione si stanno muovendo
le Nazioni Unite sia durante la visita del segretario generale Ban Ki-Moon sia attraverso l’opera di
mediazione tra le parti dell’inviato speciale Bernardino Leon.
Israele e Hamas. Da Protective Edge al cessate il fuoco
Il recente conflitto tra Israele e Hamas può essere considerato come il risultato della pericolosa
combinazione di diversi fattori determinati sia dai cambiamenti degli equilibri geopolitici e degli
allineamenti regionali avvenuti negli ultimi anni, sia dalle specifiche vischiosità della questione israelopalestinese e di un processo di pace che continua a registrare battute d’arresto, favorendo il ciclico
riemergere di tensioni e violenze. In tal senso, il fatto che la recente operazione israeliana a Gaza sia la
terza in ordine temporale durante gli ultimi cinque anni (Operation Cast Lead nel 2009 e Operation Pillar
of Defense nel 2012) dimostra chiaramente l’insufficienza dello strumento militare e l’incapacità di
tradurre i risultati ottenuti sul campo nella sfera politica. Se a ciò si aggiunge il fallimento, dopo nove
mesi di negoziati, dell’iniziativa del sottosegretario di stato statunitense John Kerry nel riavviare il
processo di pace tra Israele e Autorità nazionale palestinese (Anp), il quadro appare ancora più
complicato. Per la verità, il fallimento della cosiddetta Kerry iniziative non pare abbia sorpreso israeliani
e palestinesi. All’interno di questo orizzonte si colloca la decisione di Fatah e Hamas di dar vita a un
governo di unità nazionale con lo scopo di appianare le divergenze che avevano portato alla rottura del
2007 e porre le basi per nuove elezioni politiche e presidenziali. Tale sviluppo, che può sembrare
estraneo al recente conflitto, è invece parte integrante della cronaca che ha condotto agli eventi di
Gaza.
Durante gli ultimi due anni, Fatah ha di fatto registrato un calo di consenso. La mancanza di successi
diplomatici e progressi sulla via del processo di pace ha attirato critiche contro la sua politica di
collaborazione e coordinamento con Israele in materia di sicurezza. Tale scelta ha assicurato stabilità e
ordine in Cisgiordania, ma è anche stata additata come una delle ragioni dello stallo, piuttosto che sua
possibile soluzione. Allo stesso tempo, l’altra anima del fronte palestinese, Hamas, ha vissuto tra il 2013
e il 2014 la più seria crisi diplomatica, politica, militare ed economica della sua storia. Lo scoppio della
guerra in Siria e l’imposizione della logica settaria nella regione ha di fatto condotto Hamas lontano dai
suoi alleati tradizionali (Iran, Siria e Hezbollah) per schierarsi contro il regime di Assad, forte anche di
una situazione regionale che ha visto la Fratellanza musulmana e le formazioni partitiche a essa affini
vincere momentaneamente nella regione, in particolare in Egitto e Tunisia. L’estromissione di Morsi nel
2013, il raffreddamento dei rapporti con l’Arabia Saudita e gli stati del Golfo, l’indebolimento dei rapporti
con l’Iran dopo la scelta di schierarsi con il fronte anti-Assad e, infine, la minore attenzione dimostrata
da Qatar e Turchia, più impegnate a consolidare la propria posizione interna e regionale, hanno
determinato un vero e proprio isolamento di Hamas. Ciò non ha solo provocato una crisi diplomatica,
ma ha anche acuito quella economica, a sua volta aggravata dalla stretta imposta dall’Egitto nei
confronti dell’utilizzo dei tunnel lungo il confine di Rafah. Di conseguenza, Hamas non è stato più in
grado di pagare gli stipendi del vasto apparato burocratico da esso stesso creato, registrando un calo di
consenso a cui, non casualmente, si è accompagnato un maggiore attivismo da parte degli altri gruppi
armati operanti a Gaza, dal Jihad islamico, ai Comitati di resistenza popolare fino alle formazioni radicali
salafite.
A differenza dei fallimenti registrati nell’aprile del 2011 al Cairo e nel febbraio del 2012 a Doha, dove
una delle due parti in causa vantava posizioni da difendere, pare che ora siano state le rispettive
debolezze a portare all’accordo. Non è, infatti, casuale che Hamas abbia accettato senza obiezione i
nomi proposti da Fatah, concentrandosi piuttosto sul pagamento degli stipendi arretrati e sul
mantenimento della sua ala militare (Brigate al-Qassam), mentre l’Anp ha puntato a ottenere garanzie
per proseguire nel processo di pace e piena collaborazione nel passaggio di responsabilità a suo favore
a Gaza. L’annuncio del nuovo governo di unità nazionale è stato accolto in modo favorevole dalla
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comunità internazionale, mentre ha suscitato forti critiche da parte di Israele, che ha ribadito
l’impossibilità di proseguire qualsiasi negoziato dopo il compromesso tra Fatah e Hamas.
Per la verità, le prime settimane del governo di unità nazionale non sono state caratterizzate da grandi
successi e ciò ha contribuito ad aumentare la tensione nel campo palestinese. Hamas ha ripetutamente
accusato Anp di non voler erogare i fondi promessi, mentre Anp ha più volte imputato a Hamas di non
essere realmente intenzionata a condividere il potere all’interno di Gaza. Nel cuore di questa querelle
interna, il rapimento di tre giovani ragazzi israeliani e la loro uccisione ha portato a una vasta operazione
di polizia da parte israeliana in Cisgiordania, principalmente diretta contro militanti di Hamas. A ciò è
corrisposto l’intensificarsi del lancio di razzi contro il territorio israeliano dalla Striscia di Gaza fino allo
scoppio definitivo del conflitto (8 luglio), protrattosi fino alla fine di agosto. Il conflitto ha vissuto due
fasi segnate da un primo tentativo di mediazione da parte egiziana, a cui è seguito il rifiuto di Hamas e
l’intensificazione degli scontri con l’avvio di una più decisa operazione terrestre da parte di Israele. Le
parti hanno, infine, raggiunto l’accordo per un cessate il fuoco di lungo periodo il 27 agosto, senza però
affrontare realmente i punti necessari per concludere un’intesa stabile. In realtà, per motivi diversi,
entrambi sono giunti esausti al cessate il fuoco. Hamas non ha ottenuto il formale riconoscimento di
nessuna delle sue richieste (la costruzione di un porto a Gaza, l’apertura del valico di Rafah e
l’estensione dei diritti di pesca). Israele non è riuscita a imporre la demilitarizzazione di Gaza e la
definizione di un meccanismo per evitare il riarmo di Hamas e degli altri gruppi armati. Allo stesso
tempo, da un punto di vista politico, la situazione del primo ministro israeliano e di Hamas paiono
differenti. Netanyahu ha dovuto registrare un calo di consensi, in controtendenza con i dati prima e
durante il conflitto, a conferma dei mancati risultati politici nonostante l’operazione militare. Hamas
invece pare aver momentaneamente recuperato consenso a danno di Fatah, un risultato per la verità già
evidenziatosi durante le precedenti crisi.
Di fronte alla situazione attuale e alla luce dei precedenti conflitti del 2009 e del 2012, lo scenario pare
sollevare più domande che risposte. Le soluzioni e direzioni fino ad ora presentate rimangono di fatto
sul piano delle proposte e degli auspici. I recenti interventi del primo ministro israeliano Netanyahu e del
presidente palestinese Abbas all’Assemblea delle Nazione Unite non paiono di conforto. Inoltre, a
poche settimane dal cessate il fuoco, l’annuncio da parte di Netanyahu di nuovi progetti abitativi a Givat
Hamatos, nell’area di Gerusalemme, e dell’espropriazione di terre a Etzion incrina ancor di più i margini
per la ripresa del negoziato, riproponendo il problema degli insediamenti e ponendo un’ulteriore
pregiudiziale sulla possibilità di realizzare concretamente lo swap land (scambi di terra), una delle
condizioni determinanti nel processo di pace. Il rischio che, per motivi differenti, si prediliga una via
unilaterale, con il pericolo di mettere in gioco gli accordi di Oslo, potrebbe provocare conseguenze di
difficile previsione. D’altro canto, il destino del governo di unità nazionale e la questione della
ricostruzione di Gaza rappresentano fattori rilevanti per provare a riproporre la via multilaterale, nel
segno della Arab peace iniziative, per rafforzare e dare senso al percorso bilaterale, come recentemente
rievocato durante la conferenza dei donatori del Cairo. Anp potrebbe così assicurarsi un collocamento
più stabile, divenendo l’attore della ricostruzione, che dovrebbe essere assicurata dai 5,4 miliardi di
dollari promessi durante la conferenza del Cairo. Inoltre, Anp potrebbe rafforzare la sua legittimità sia
all’interno del campo palestinese sia nell’ambito del processo di pace. Allo stesso tempo, Israele
potrebbe trovare nell’allineamento di Arabia Saudita, Egitto e Giordania, a supporto di Anp, lo
strumento per poter ragionevolmente definire un meccanismo capace di evitare il riarmo dei gruppi
militari a Gaza, evitando che Hamas possa manipolare il recente conflitto e gli eventuali insuccessi della
fase negoziale e di ricostruzione nella Striscia al pari di altri possibili spoiler regionali.
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QUADRO ECONOMICO*
L’andamento della congiuntura
Prima che si aprisse la lunga fase di turbolenza originata dalla crisi finanziaria internazionale nel 2009 e
dalle tensioni politiche locali nel 2011, i paesi della sponda sud del Mediterraneo1 avevano registrato tassi
di crescita del Pil sostenuti (5,5% medio dal 2004 al 2008), seppur inferiori ai tassi medi dei paesi Gcc e
del complesso dei paesi emergenti (entrambi intorno al 7,5%). Nel quinquennio precedente alla crisi, essi
avevano beneficiato di fattori esterni favorevoli (una fase positiva della congiuntura reale e finanziaria
mondiale) e interni (riforme, come in Tunisia ed Egitto, finalizzate a stimolare l’iniziativa privata,
liberalizzare gli scambi e ad attirare capitali stranieri).
La crisi finanziaria del 2008-2009 ha avuto un impatto differenziato nei vari paesi in relazione alla diversa
struttura dell’economia e all’apertura commerciale e finanziaria con il resto del mondo. Le conseguenze
sono state più sensibili in Israele e Turchia (più aperti al commercio e ai flussi di capitale internazionali),
con il Pil in forte rallentamento nel primo caso e sensibile caduta nel secondo (2009), ma in rapido
recupero negli anni successivi, e in Algeria e Libia (esportatori netti di idrocarburi), che hanno subito
l’impatto negativo della caduta della domanda e dei prezzi dei beni energetici, mentre sono state
relativamente più contenute negli altri paesi. I rivolgimenti politici intervenuti dal 2011 hanno avuto
anch’essi ripercussioni differenziate in relazione alla diversa intensità con cui si sono manifestati: più
pronunciate sulle economie di Tunisia e Egitto (cadute in recessione nel 2011 e poi uscite seppure solo
lentamente e ad un passo ancora sotto tono) e di Libia e Siria (colpite da una drammatica guerra civile
tuttora in corso), e con una marcata volatilità da un anno all’altro in base ai progressi o agli arretramenti
sulla strada della stabilizzazione politica ed istituzionale.
Anche il quadro economico corrente appare estremamente variegato per l’azione di fattori diversi sia di
carattere economico (su tutti l’andamento dell’economia europea) sia di carattere politico
(stabilizzazione in corso in Tunisia ed Egitto e intensificazione della guerra civile in Libia e Siria). Nel 2013
i paesi della sponda sud del Mediterraneo hanno visto nel loro complesso una decelerazione del Pil al
2,3% (dal 4,5% nel 2012) a causa di un rallentamento sia dei paesi esportatori netti di petrolio (con caduta
del 13,6% del Pil in Libia e rallentamento, dovuto a una contrazione del 4,4% della componente
idrocarburi, al 2,8% in Algeria), sia dei paesi a economia più diversificata del Nord Africa (Tunisia e Egitto,
in crescita del 2,3% e 2,1% nei confronti del 3,9% e 2,2% l’anno precedente) con l’unica eccezione del
Marocco. In questa nazione il Pil, grazie al rimbalzo della produzione agricola, ha, infatti, accelerato al
4,4% (dal 2,7% nel 2012). Il rallentamento è stato osservato anche nei paesi dell’area del Levante, dove
accanto alla decelerazione di Giordania e Libano, si è avuto un crollo del Pil in Siria (stimato intorno al
19% da Eiu) per effetto della guerra civile. In aumento sul 2012 (ma in rallentamento in corso d’anno) la
crescita del Pil in Turchia e in Israele.
Le più recenti previsioni del Fmi (Weo, ottobre 2014) indicano una nuova accelerazione del tasso di
crescita medio del Pil dell’area della sponda sud del Mediterraneo nel 2015 e nel 2016 (al 3,6% e 4,0%
rispettivamente dal 2,3% atteso nel 2014), nell’ipotesi di un rafforzamento del quadro economico
internazionale (in particolare in Europa, maggior partner economico dell’area) e di una progressiva
stabilizzazione del quadro politico-istituzionale nei paesi della transizione (Marocco e Giordania, non
toccati da rivolgimenti politici diretti, Tunisia ed Egitto, in fase di normalizzazione, e, sperabilmente, in
Libia e Siria, paesi nei quali infuria ancora la guerra civile con delicati risvolti geo-politici internazionali).
A causa della fragilità della congiuntura internazionale (in particolare in Europa), da una parte, e delle
tensioni politiche e militari che affliggono l’area del Levante, i rischi della previsione rimangono tuttavia
ancora orientati al ribasso.
*
A cura di Gianluca Salsecci (Responsabile Ufficio International Economics – Servizio Studi e Ricerche ISP),
Giancarlo Frigoli e Wilma Vergi (Economisti Ufficio International Economics).
1
Si tratta di Algeria, Marocco, Tunisia, Libia, Egitto, Giordania, Libano, Siria, Israele e Turchia.
Med&Gulf Initiative Bullettin, n. 3, 23 ottobre 2014
9
Crescita reale del Pil
1999-03
2004-08
2010
2011
2012
2013
2014E
2015E
2016E
Algeria
3,9
3,5
3,6
2,8
3,3
2,8
3,8
4,0
4,0
Libia
3,0
5,9
4,3
-62,1
104,5
-13,6
-19,8
n.d
n.d.
Egitto(*)
4,0
5,9
5,1
1,8
2,2
2,1
2,2
3,5
4,8
Marocco
3,8
4,8
3,6
5,0
2,7
4,4
2,5
4,0
4,7
Tunisia
4,5
5,2
3,6
-1,9
3,9
2,3
2,5
3,7
4,5
Giordania
4,9
8,0
2,3
2,6
2,7
2,8
3,5
4,3
4,4
Libano
2,3
5,7
8,0
2,0
2,5
1,5
1,8
2,5
4,0
Siria(**)
1,9
5,7
3,2
-3,4
-18,9
-18,7
n.d.
n.d.
n.d.
Israele
1,7
4,9
5,7
4,2
3,0
3,2
2,5
2,8
3,2
Turchia
2,8
6,0
9,2
8,8
2,1
4,0
3,0
3,0
3,5
Sud Med
3,7
5,5
6,3
3,2
4,5
2,3
2,3
3,6
4,0
Sud Med 8(***)
3,3
5,0
4,2
-0,8
6,2
1,0
1,6
4,0
4,2
Gcc
3,7
7,6
5,8
7,9
5,8
4,4
4,3
4,6
4,5
Emergenti
5,2
7,5
7,5
6,2
5,1
4,7
4,4
5,0
5,2
Fonte: Eiu, Fmi (*) I dati si riferiscono all’anno fiscale. (**) I dati sono fonte Eiu. Il Fmi non fornisce dati sulla Siria
per il periodo successivo al 2010. (***) Esclude Israele e Turchia.
Per la quasi totalità dei paesi della sponda sud del Mediterraneo il maggior contributo alla crescita è
venuto in questi anni dalla domanda interna, soprattutto dai consumi, che hanno beneficiato
dell’aumento del reddito medio, da livelli comunque relativamente bassi, e in misura minore, dagli
investimenti, soprattutto pubblici, indirizzati a sopperire all’arretratezza delle infrastrutture e alla
cronica carenza di abitazioni civili. La parte più consistente di questi interventi è stata finanziata dallo
stato, direttamente o in joint venture con imprese private soprattutto estere. Per gran parte del periodo
il commercio estero ha invece sottratto al Pil per una dinamica delle importazioni più sostenuta rispetto
a quella delle esportazioni.
Paesi del Sud Mediterraneo: Contributi alla crescita (domanda)
1999-03
2004-08
2009
2010
2011
2012
2013
2014E
2015E
2016E
Cons. privati
2,3
3,4
0,6
3,3
2,7
2,5
2,0
1,6
2,0
2,4
Cons. stato
0,5
0,5
0,8
0,5
0,3
1,1
0,5
0,5
0,6
0,5
Investimenti
0,4
2,0
-1,1
3,2
1,4
0,2
0,2
0,5
1,0
1,4
Var scorte
0,2
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
0,0
Estero
0,3
-0,6
0,7
-1,6
-1,1
0,8
-1,2
-0,2
-0,1
-0,1
Pil
3,7
5,5
0,6
6,3
3,2
4,5
2,3
2,3
3,6
4,0
Fonte: Eiu
Med&Gulf Initiative Bullettin, n. 3, 23 ottobre 2014
10
Le politiche economiche
Nei paesi investiti direttamente dalle turbolenze politiche (Egitto, Tunisia) e dalla guerra civile (Libia e
Siria) ma anche in altri paesi meno coinvolti (Giordania, Marocco) l’espansione della spesa corrente, sia
in salari (generosi aumenti nel pubblico impiego) sia in sussidi e la contrazione delle entrate dovuta al
deterioramento dell’economia hanno determinato negli ultimi anni un sostanziale allargamento del
disavanzo pubblico (e del debito pubblico) in rapporto al Pil. A partire dal 2014, i minori rischi di tensioni
interne in Tunisia e in Egitto, in fase di stabilizzazione, hanno portato gli stessi paesi ad avviare politiche
di riduzione del disavanzo focalizzate su tagli dei sussidi su combustibili, prodotti alimentari e riordino
delle tariffe in modo da riportare le finanze pubbliche su un sentiero sostenibile. Nell’anno fiscale 2014,
in Egitto il finanziamento della quasi totalità del fabbisogno del settore pubblico è stata resa possibile
dagli acquisti diretti della Banca centrale e da parte delle banche commerciali.
Tassi di riferimento e inflazione
2014
2013
2010
Tasso di policy(*)
Deficit e debito pubblico su Pil
2014
2013
2010
2010
Inflazione tend (**).
2013
2014
Deficit/Pil
2010
2013
2014
Debito/Pil
Algeria
4,0
4,0
4,0
2,7
1,1
2,7
Algeria
-0,6
-0,9
-1,5
9,2
7,1
8,1
Libia
3,0
3,0
3,0
1,1
1,7
3,3
Libia
8,0
-4,1
-9,3
4,8
3,3
2,7
Egitto
10,3
9,3
9,8
11,5
11,6
10,6
Egitto
-8,1
-13,7
-12,2
82,2
91,6
94,5
Marocco
2,8
3,0
3,3
0,0
0,4
2,2
Marocco
-4,6
-5,5
-5,2
61,0
73,1
76,6
Tunisia
4,8
4,0
4,5
5,7
6,0
4,0
Tunisia
-0,9
-4,6
-7,9
40,4
46,2
49,6
Giordania
4,3
4,5
4,3
2,9
2,7
6,1
Giordania -7,7
-8,2
-6,7
61,1
80,1
85,6
Libano
5,9
5,8
6,0
2,7
1,1
4,6
Libano
-7,8
-9,3
-11,9
140,7 139,9 145,2
Siria
n.d.
n.d.
5,0
n.d.
42,6
6,3
Siria
-1,4
-12,4
-8,9
22,7
52,8
54,8
Israele
0,3
1,0
2,0
0,0
1,8
2,7
Israele
-3,5
-3,2
-3,3
69,6
66,5
66,9
Turchia
11,3
7,8
8,8
9,5
7,4
6,4
Turchia
-0,6
-5,5
-3,6
45,6
46,4
43,1
Fonte: Thomson Reuters./(*) Dati fine periodo
Fonte: Thomson Reuters
Per 2014, settembre. (**) Dati di fine periodo
Per 2014 agosto
Tra il 2011 e il 2012 le autorità monetaria dei paesi maggiormente colpiti dai rivolgimenti politici (come
l’Egitto e la Tunisia) o con ampi squilibri di conto corrente (Giordania e Turchia) avevano alzato i tassi
d’interesse per contenere le pressioni al ribasso sulla valute e le spinte inflazionistiche importate o
dovute alle disfunzioni interne. Dal 2013 l’allentamento delle tensioni e il deterioramento della
congiuntura aveva portato gli stessi paesi a far rientrare in parte la precedente azione restrittiva. Nel
corso del 2014 tuttavia rinnovate pressioni inflazionistiche, determinate in alcuni casi da fattori non
congiunturali come il taglio dei sussidi finalizzato a riportare i conti pubblici sotto controllo, e valutarie,
hanno favorito nuovi rialzi da parte delle banche centrali in diversi paesi.
Le tensioni politiche hanno accentuato dal 2011 la tendenza storica al deprezzamento nominale delle
valute dei paesi che seguono un regime di fluttuazione controllata (Algeria, Egitto, Tunisia) o di libera
fluttuazione (Turchia), con tassi di inflazione superiori a quelli dei propri partner commerciali e tassi di
cambio reale che tendono ad apprezzarsi sopra il livello di equilibrio di lungo termine. Nel corso del 2014
la valute sono state interessate da nuove pressioni ribassiste, riflettendo un movimento comune a
molte valute emergenti in corrispondenza alla fase di rafforzamento del dollaro.
Med&Gulf Initiative Bullettin, n. 3, 23 ottobre 2014
11
Tasso di cambio
2014(*)
2013
4y
Variazione % a/a
0,2
2013
Reer vs Equilibrio (**)
Algeria
managed floating (vs USD)
6,6
12,2
In linea
Libia
peg SDR
peg
Egitto
managed floating (vs USD)
2,8
7,9
23,3
Over
Marocco
peg basket (80% Euro; 20% USD)
Peg
-2,9
2,1
Moderate over
Tunisia
managed floating (basket 2/3 Euro; 1/3 USD)
8,8
5,8
23,0
5-10%over
Over
Giordania peg USD
peg
20%over
Libano
peg USD
peg
10%over
Siria
peg SDR abbandonato fine 2011
13,7
100,9
245,8
n.d.
Israele
free floating
6,5
-7,2
4,4
10% over
Turchia
free floating
5,1
21,4
44,9
10% over
Fonte: Thomson Reuters (*) Aggiornato al 12/10. (**)Eventuale sopra/sottovalutazione sulla base dello
scostamento del cambio reale effettivo corrente (Reer) dal valore di equilibrio.
I rapporti con l’estero e vulnerabilità esterna
I paesi della sponda sud del Mediterraneo hanno rapporti con l’estero attraverso vari canali. Gli stati del
Nord Africa, Israele e Turchia hanno flussi commerciali, migratori e turistici principalmente con l’Europa,
mentre quelli del Levante soprattutto con il Golfo. A parte Algeria e Libia, i due paesi petroliferi del Nord
Africa, che beneficiano di ampi surplus commerciali, e Israele, che ha un ampio avanzo nelle partite
invisibili, gli altri stati registrano consistenti disavanzi delle partite correnti determinati da significativi
saldi commerciali negativi. In tali paesi i deficit sono dovuti a una limitata diversificazione della base
produttiva, che porta a indirizzare la domanda di beni capitali e di consumo durevole verso le
importazioni, e da un posizionamento delle esportazioni nella fascia di merci a medio/basso contenuto
tecnologico. Le entrate legate al turismo e alle rimesse dei lavoratori emigrati, particolarmente
consistenti in rapporto al Pil per Egitto, Marocco, Tunisia, Giordania, Libano e Siria (prima della guerra
civile), bilanciano solo parzialmente i disavanzi commerciali. L’Egitto, soprattutto nell’ultimo anno, e
Giordania e Marocco, su base più regolare, hanno inoltre beneficiato di donazioni dei paesi arabi amici.
Nei paesi maggiormente colpiti dalle tensioni politiche, il deterioramento della posizione esterna ha
determinato un aumento del debito estero in rapporto al Pil e un calo dello stock di riserve valutarie. Fa
eccezione il Libano, dove le riserve sono state sostenute dal costante afflusso di depositi dall’estero. Nel
2014 è comunque iniziato un seppur lento processo di ricostituzione delle riserve.
Med&Gulf Initiative Bullettin, n. 3, 23 ottobre 2014
12
Stock riserve valutarie (miliardi di dollari)
40
Debito estero/Pil
2010
2011
2012
2013
2014
Algeria
4,5
3,0
2,7
2,5
2,2
Libia
9,3
14,8
7,4
8,6
6,2
Egitto
16,4
14,3
15,5
18,5
18,9
15
Marocco
28,9
29,2
35,2
33,5
33,0
10
Tunisia
50,7
49,7
56,4
57,6
59,9
Giordania
63,2
60,1
60,1
67,2
73,3
Libano
67,7
63,6
69,6
69,6
70,6
Siria
12,4
15,8
19,1
23,2
27,7
Israele
46,2
40,7
37,6
32,9
30,2
Turchia
39,5
39,9
39,6
45,1
40,9
2010
35
2013
2014
30
25
20
5
0
Egitto Marocco Tunisia Giordania Libano
Fonte: Thomson Reuters Datastream. Il dato 2014 si
riferisce al mese di luglio.
Fonte: Eiu
Per la copertura del fabbisogno finanziario esterno, i paesi con squilibri di conto corrente hanno potuto
contare sugli Ide (particolarmente sostenuti per Egitto, Marocco, Tunisia, Libano e Giordania),
investimenti di portafoglio (principalmente la Turchia) e sui depositi esteri (privati il Libano, e di governi
di paesi amici soprattutto il Marocco, la Giordania e in epoca più recente l’Egitto). La sostanziale
contrazione degli afflussi di capitali privati conseguenza dell’instabilità politica ha tuttavia costretto di
recente Giordania, Tunisia e Marocco a chiedere il sostegno finanziario del Fmi, i primi due sotto forma
di un prestito stand-by, mentre Rabat ha ottenuto una linea di credito precauzionale. Inoltre, per molti
paesi le riserve valutarie garantiscono una bassa copertura delle importazioni e del fabbisogno
finanziario esterno.
Copertura riserve valutarie
Principali mercati di esportazione (2013)
2014E
2015E
Europa
Mena
Africa
Asia
America
Altri
Import cover*
Reserve cover**
Quote %
Algeria
36,1
45,2
Algeria
69,1
5,4
0,2
5,4
17,2
2,7
Libia
58,2
20,1
Libia
72,5
3,7
n.d.
9,7
6,3
7,8
Egitto
2,8
0,7
Egitto
35,9
30,9
6,6
12,4
7,4
6,8
Marocco
5,2
1,4
Marocco
66,0
3,9
6,3
7,1
11,5
5,2
Tunisia
3,2
0,5
Tunisia
76,9
10,5
2,4
0,9
3,4
5,9
Giordania
7,6
0,9
Giordana
5,2
50,7
2,7
8,1
16,0
17,3
Libano
18,9
3,9
Libano
18,3
50,7
20,6
3,9
3,1
3,4
Siria
2,4
0,3
Siria(*)
47,0
42,7
1,2
2,9
4,0
2,2
Israele
11,5
8,2
Turchia
50,9
27,3
2,7
3,6
6,4
9,1
Turchia
6,1
0,5
Israele
36,2
0,4
1,6
19,1
31,6
11,2
Fonte: Eiu, Thomson Reuters. (*) Rapporto tra riserve e
mesi importazioni. (**) Rapporto tra Riserve 2014 e
fabbisogno finanziario estero 2015.
Med&Gulf Initiative Bullettin, n. 3, 23 ottobre 2014
Fonte: Itc Comtrade. (*) Dati 2010
13
Il rating delle agenzie e la valutazione dei mercati
Le preoccupazioni riguardo agli sviluppi politici, il deterioramento della posizione finanziaria verso
l’estero, il calo delle riserve valutarie e il peggioramento dei conti pubblici avevano portato negli anni
scorsi le agenzie di rating a operare ripetuti tagli ai rating del debito sovrano in valuta di diversi paesi
della sponda sud del Mediterraneo. Di recente, nonostante la fragilità ancora dell’area, le stesse hanno
offerto una valutazione meno negativa. Nello specifico S&P ha portato il rating dell’Egitto da CCC+ a B- e
ha tolto l’outlook negativo ai rating di Tunisia e Libano (entrambi B), sottolineando per tutti e tre i paesi
sia i positivi sviluppi politici in corso sia il miglioramento del quadro finanziario. Per l’Egitto, questo
risultato è stato ottenuto grazie al sostegno dei paesi amici, mentre per il Libano, è dovuto soprattutto
al costante flusso di depositi dall’estero. Le stesse agenzie hanno invece mostrato un atteggiamento più
critico verso la Turchia (BB+ outlook negativo) sottolineando l’incoerenza della politica economica, la
vulnerabilità della posizione esterna e i maggiori rischi di natura politica. In parallelo, e grazie a
un’analoga dinamica che ha interessato la maggior parte i paesi emergenti nell’ultimo anno, in tutti i
paesi della sponda sud del Mediterraneo, con l’eccezione della Turchia, i Cds spread si sono ridotti.
Nel 2014, i mercati azionari dei paesi della sponda sud del Mediterraneo caratterizzati da un
miglioramento del clima politico come Egitto, Tunisia e dell’andamento dell’economia come il Marocco,
Israele e Turchia hanno ampiamente sovra-performato l’indice Msci emergenti.
Rating (S&P) e Cds spread 5a
Performance mercati azionari
Rating
2014
Algeria
Cds spread 5a
2013
2010
n.d.
Libia
2014
2013
Variazione % a/a
2010
n.d.
ritirato
A-
n.d.
2014(*)
2013
2014-2010
MSCI EM
1,2
4,1
4,6
Egitto
B-
CCC+
BB+
281
654
258
Egitto
35,1
24,2
29,4
Marocco
BBB-/S
BBB-/N
BBB-
190
237
150
Marocco
9,6
-2,6
-21,1
Tunisia
B/S
B/N
BBB-
295
450
140
Tunisia
5,1
-4,3
-9,9
Giordania
BB-/N
BB-/N
BB-
n.d.
n.d.
n.d.
Giordania
-1,3
-6,8
-20,6
Libano
B/S
B/N
B
383
450
325
Libano
1,8
-1,6
-20,7
Siria
n.d.
Siria
n.d.
Israele
A+
A+
A
88
109
132
Israele
9,8
15,3
-33,5
Turchia
BB+/N
BB+/S
BB/P
282
239
144
Turchia
8,4
-13,3
11,3
n.d.
Fonte: Thomson Reuters, Datastream. Gli spread si riferiscono a
fine anno per il 2010 e 2013 e dal13 ottobre per il 2014.
Med&Gulf Initiative Bullettin, n. 3, 23 ottobre 2014
Fonte: Thomson Reuters - Datastream.
(*) Per il 2014, gennaio-10 ottobre.
14
Gli scambi commerciali dei paesi del Mediterraneo
Nel 2013 gli scambi mondiali dei paesi della sponda sud del Mediterraneo sono stati pari a circa 994
miliardi di dollari, pari nel complesso al 2,7% del totale mondiale. I volumi di interscambio hanno visto
una contrazione dello 0,2% sul 2012 (dopo una crescita del 5,9% sul 2011). Nel dettaglio le esportazioni,
pari a circa 407 miliardi di dollari (2,3% del totale mondiale) si sono contratte del 4,9% mentre le
importazioni, pari a circa 587 miliardi di dollari (3,1% del totale mondiale) sono cresciute del 3,3%.
Andamento scambi commerciale quota su totale mondiale
Mld USD
Media 2005/2008*
2009
2010
2011
2012
2013
Import
354,7
383,0
464,8
554,8
568,1
587,0
Export
293,7
294,8
349,0
385,9
428,2
407,2
Saldo
-61,0
-88,2
-115,8
-168,9
-139,9
-179,8
Interscambio
648,4
677,8
813,8
940,7
996,3
994,2
Var % a/a import
21,5
-21,3
21,4
19,4
2,4
3,3
Var % a/a export
24,2
-27,9
18,4
10,6
11,0
-4,9
Var % a/a interscambio
22,7
-24,3
20,1
15,6
5,9
-0,2
Quota import su mondo
2,7
3,0
3,0
3,0
3,1
3,1
Quota export su mondo
2,3
2,4
2,3
2,1
2,4
2,3
*Non comprende i dati di Libia. Fonte: Itc Comtrade
La struttura settoriale e la ripartizione geografica del commercio estero
La struttura settoriale del commercio, seppur con differenze tra sottogruppi di paesi in relazione al
grado di specializzazione produttiva, vede nelle importazioni del complesso dell’area una prevalenza dei
minerali energetici, in larga misura destinati al consumo o alla trasformazione. Nel 2013 essi hanno
costituito oltre il 20% del totale importato. Sono seguiti per importanza i macchinari, con una quota
superiore al 20%, i prodotti dell’agro alimentare (circa l’11% dell’import complessivo), i metalli (oltre il 10%
del totale, prevalentemente utilizzati per la trasformazione in lavorati più complessi). I mezzi di
trasporto (9%) sono anch’essi importati per soddisfare la domanda interna ma anche per essere
successivamente esportati una volta sottoposti a ulteriori fasi della lavorazione, per la presenza sul
territorio di linee produttive di alcune importanti case automobilistiche europee (Fiat in Tunisia, Renault
in Marocco). I prodotti chimici (8%) vengono utilizzati nella lavorazione dei prodotti petroliferi, in
processi industriali e nel trattamento di minerali. Sono importanti anche i comparti della gomma e della
plastica (6%) e il tessile e abbigliamento (6%), quest’ultimo soprattutto nei paesi del Maghreb e in Egitto.
Circa gli andamenti, nel 2013 l’import di minerali è calato del 9,3% a/a mentre i macchinari hanno visto un
incremento di quasi l’11%. I mezzi di trasporto sono pure cresciuti del 5% a/a mentre i prodotti agro
alimentari hanno visto una contrazione dello 0,4% a/a. In calo anche i metalli, seppur di poco (-0,2% a/a),
mentre i prodotti chimici hanno registrato un incremento del 2,4% a/a. La gomma e plastica, come il
tessile e abbigliamento crescono di circa il 7% a/a.
Circa la struttura delle esportazioni, esse sono costituite in larga parte da minerali, soprattutto
energetici (circa il 33%) seguiti da macchinari (13%), prodotti del tessile e dell’abbigliamento (11%),
prodotti chimici (9%), pietre vetro e ceramica (8%) e prodotti dell’agro alimentare (8%), mezzi di
trasporto (6%). Esistono forti differenze tra paesi grandi esportatori di idrocarburi (Libia e Algeria) e gli
altri paesi con struttura della manifattura relativamente diversificata. Macchinari, agro alimentare,
chimica e settore “moda” mostrano una rilevanza particolare per Tunisia, Marocco, Egitto e Turchia.
Med&Gulf Initiative Bullettin, n. 3, 23 ottobre 2014
15
Tra le variazioni delle principali categorie esportate si segnala nel 2013 la contrazione di quasi il 16% dei
minerali insieme, anche in questo caso, con l’incremento di oltre il 5% dei macchinari e di quasi il 18% dei
mezzi di trasporto. Il tessile e l’abbigliamento hanno visto un incremento del 7%, mentre i prodotti
chimici si sono fermati al 3%. Le pietre, il vetro e la ceramica, elementi caratteristici dell’Egitto, del
Libano, della Turchia e soprattutto di Israele, hanno subito una contrazione di oltre il 21%, mentre l’agro
alimentare è cresciuto di quasi il 10% a/a.
Dettaglio merceologico – 2013
Mld USD
Quota %
Quota %
Var % a/a
Saldo
su Mondo
Import Export Import Export Import Export
Import Export
Gomma e plastica
33,7
13,4
5,7
3,3
4,2
1,7
8,4
7,1
-20,2
Legno, carta e stampa
15,6
3,5
2,7
0,9
3,8
0,9
1,2
-1,4
-12,1
Macchinari
118,5
52,0
20,2
12,8
2,2
1,1
10,7
5,1
-66,4
Merci varie
5,1
3,0
0,9
0,7
0,9
0,6
1,8
28,5
-2,1
Metalli
60,6
28,2
10,3
6,9
4,8
2,3
-0,2
-4,1
-32,3
Mezzi di Trasporto
50,7
24,5
8,6
6,0
2,9
1,3
4,9
17,7
-26,2
Minerali
119,7
133,6
20,4
32,8
3,2
3,9
-9,3
-15,9
13,9
Mobili
4,4
3,8
0,8
0,9
2,1
1,7
13,5
13,1
-0,6
Pietre, vetro e ceramica
36,0
33,7
6,1
8,3
5,1
4,4
44,4
-21,5
-2,3
Prod. Agr., Aliment. e tabacco
63,2
33,6
10,8
8,2
4,2
2,3
-0,4
9,8
-29,6
Prodotti chimici
46,7
34,6
8,0
8,5
2,8
2,2
2,4
2,8
-12,1
Tessile, Abbigl., Calz. e Pellami
32,9
43,3
5,6
10,6
3,4
4,2
7,0
6,5
10,3
Totale
587,0
407,2
100,0
100,0
3,1
2,3
3,3
-4,9
-179,8
Fonte: Itc Comtrade
I saldi settoriali netti sono prevalentemente negativi, fatta eccezione per i minerali (il surplus nel 2013 è
stato pari a quasi 14 miliardi di dollari) e per i prodotti del tessile e abbigliamento (10 miliardi di dollari). I
deficit più elevati si registrano nei macchinari (oltre 66 miliardi di dollari), nei metalli (32 miliardi di
dollari), nei prodotti dell’agro alimentare (30 miliardi di dollari), nei mezzi di trasporto (26 miliardi di
dollari) e nella gomma e plastica (20 miliardi di dollari).
Dettaglio quote settoriali import 2013
20,4
40,0
20,2
32,8
8,0
20,0
12,8
10,6
8,5
8,3
8,2
Prodotti agricoli,
alimentari
8,6
Pietre vetro e
ceramica
10,3
Prodotti chimici
10,8
Tessile e
abbigliamento
30,0
Fonte: Itc Comtrade
Med&Gulf Initiative Bullettin, n. 3, 23 ottobre 2014
Macchinari
0,0
Minerali
Prodotti chimici
Mezzi di
trasporto
Metalli
Prodotti agricoli,
alimentari
Macchinari
10,0
Minerali
25,0
20,0
15,0
10,0
5,0
0,0
Dettaglio quote settoriali export 2013
Fonte: Itc Comtrade
16
Da un punto di vista geografico, l’Europa è il principale partner commerciale dei paesi della sponda sud
del Mediterraneo, con una quota di oltre il 51% dell’interscambio totale nel 2013 (i dati sono parziali
poiché non comprendono le statistiche della Libia). Il 51,4% dell’import proviene dall’Europa, in
particolare il 37,9% dai paesi Ue. Il secondo continente fornitore è l’Asia con il 29,8% e tra esso spiccano
la Cina e l’India con oltre il 13%. Il Medio Oriente contribuisce con l’8% e la regione del Golfo persico in
particolare con oltre il 7%. Il continente americano rappresenta quasi l’11% dell’import, con Stati Uniti e
Canada il 7%. L’Africa non copre una quota particolarmente rilevante, meno del 3%, e i paesi del Nord
Africa non superano il 2%. Le importazioni sprovviste di dichiarazione di origine costituiscono oltre il 5%
del totale.
Il principale mercato di sbocco dei paesi della sponda sud del Mediterraneo è ancora l’Europa (51,1% nel
2013) e in particolare l’Unione europea (43,8%). L’Asia mostra un’importanza più contenuta rispetto alle
importazioni, sebbene oltre un quarto dell’export totale venga acquistato in Asia. All’interno del
continente spicca per l’importanza il Medio Oriente (12,2%), soprattutto i paesi del Golfo, a cui è
destinato quasi il 10% dell’export. Cina e India acquistano solo il 5%, mentre i Nies (New industrialized
economies) il 3%. Le Americhe assorbono oltre il 13% e Stati Uniti e Canada ricoprono oltre il 10%. L’Africa
è un interessante mercato di sbocco con una quota di quasi l’8% (Nord Africa oltre il 5%)
Dettaglio quote geografiche import 2013
Dettaglio quote geografiche export 2013
60,0
60,0
51,4
51,1
50,0
50,0
40,0
40,0
29,8
30,0
30,0
20,0
25,5
20,0
13,3
10,5
10,0
5,4
2,9
0,0
7,9
10,0
2,2
0,0
Europa
Africa
Asia
Americhe
Altro
Esclusa la Libia. Fonte: Itc Comtrade
Europa
Africa
Asia
Americhe
Altro
Esclusa la Libia Fonte: Itc Comtrade
Gli scambi commerciali dell’Italia con i paesi del Mediterraneo
L’Italia ha scambiato con i paesi del Mediterraneo nel 2013 circa 55 miliardi di euro, in calo oltre l’11% sul
2012. I paesi dell’area coprono una quota importante nell’interscambio italiano: nel 2013, sulla base dei
dati Istat, circa il 7,2% del totale importato dall’Italia proveniva da questi paesi e a essi veniva destinato il
7,5% del totale esportato. La dinamica delle importazioni è risultata penalizzata nel 2013 soprattutto
nella voce dei minerali (-38,2% a/a) e quella delle esportazioni dall’andamento dei prodotti petroliferi
raffinati (-7,1% a/a), del legno e dei suoi lavorati (-4,6% a/a), dei prodotti chimici (-1,9% a/a), del tessile e
abbigliamento (-1,8% a/a).
Tra le varie categorie di beni scambiati è da segnalare l’importanza dell’area, come ci si poteva
aspettare, nella fornitura di minerali, in particolare energetici, e derivati petroliferi: l’Italia importa da
essi rispettivamente il 23% e il 22% del totale di categoria. Questi paesi forniscono inoltre quasi il 10% del
tessile e abbigliamento, oltre il 5% dei mezzi di trasporto, come il 5% sia di gomma e plastica sia di
apparecchi elettrici. Come mercato di destinazione, i paesi del Mediterraneo acquistano oltre il 37% dei
prodotti petroliferi raffinati dall’Italia, il 23% di prodotti minerari, quasi il 9% di apparecchi elettrici e di
macchinari meccanici, l’8% di prodotti chimici e oltre il 7% di metalli e loro lavorati. Importanti sono anche
le quote dell’export di legno e prodotti in legno (7%), delle merci varie e della gomma e della plastica
(entrambi con il 6%).
Med&Gulf Initiative Bullettin, n. 3, 23 ottobre 2014
17
I dati relativi al 1° semestre 2014 evidenziano una caduta ulteriore degli scambi dell’Italia con i paesi
dell’area: l’interscambio ha registrato una contrazione del 17,3% a/a, con una caduta di quasi il 31% a/a
dell’import e del 3% a/a dell’export. Il calo dell’import è ricollegabile al perdurare della recessione in Italia
e alla contrazione dell’import di minerali energetici dalla Libia (-62% a/a), ma anche dall’Algeria (-42% a/a).
Interscambio dell’Italia con i paesi del Mediterraneo
Mld di euro
2011
2012
2013
1S13
1S14
Import
26,1
33,4
25,8
15,3
10,6
Export
25,5
28,4
29,1
14,4
14,0
Saldo
-0,5
-5,0
3,3
-0,9
3,4
Totale interscambio
51,6
61,8
54,8
29,7
24,5
Tasso di crescita import
-19,7
28,1
-22,9
-10,9
-30,7
Tasso di crescita export
-1,8
11,0
2,5
4,1
-3,0
Tasso di crescita interscambio
-11,7
19,6
-11,2
-4,2
-17,3
Quota Import su tot. Italia
6,5
8,8
7,2
8,4
5,9
Quota export su tot. Italia
6,8
7,3
7,5
7,4
7,1
Quota Interscambio su tot. Italia
6,6
8,0
7,3
7,9
6,5
Fonte: Istat
Dettaglio merceologico import Italia 2013
25,0
51,9
21,0
20,9
20,0
10,0
10,0
5,9
5,0
7,4
7,3
Prodotti chimici
10,2
Mezzi di trasporto
11,5
15,0
5,0
Fonte: Istat
Metalli e lavorati
in metallo
Prodotti
petroliferi raffinati
Macchinari
meccanici
Metalli e lavorati
in metallo
Mezzi di
trasporto
Tessile e
abbigliamento
Prodotti
petroliferi
raffinati
0,0
Minerali
60,0
50,0
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
Dettaglio merceologico export Italia 2013
Fonte: Istat
Nel dettaglio per paese, l’Italia ha importato nel 2013 minerali dall’Algeria per l’85,3%, dalla Libia per
l’85,5% e dall’Egitto per il 33,5%. Dal Marocco prevalgono le importazioni di prodotti alimentari (25,1%) e
mezzi di trasporto (17%), mentre dalla Tunisia spicca l’import di prodotti del tessile e abbigliamento
(38,5%). Le importazioni provenienti dal Libano sono costituite da prodotti chimici (19,5%). La Turchia
fornisce mezzi di trasporto (23%) e prodotti del comparto moda (23%) mentre da Israele l’Italia acquista
per il 35% prodotti chimici.
Di converso, le esportazioni dell’Italia verso l’Algeria hanno riguardato nel 2013 per lo più macchinari
meccanici e metalli (entrambi con quote del 25%), cui sono seguiti prodotti petroliferi raffinati (16%).
Verso la Libia sono andati per quasi la metà del totale esportato prodotti petroliferi raffinati (49%),
Med&Gulf Initiative Bullettin, n. 3, 23 ottobre 2014
18
seguiti da macchinari meccanici (11%). Ancora macchinari meccanici sono stati esportati verso l’Egitto
con una quota pari al 32% del totale, seguiti da prodotti petroliferi raffinati (25%). Anche in Marocco il
comparto della meccanica italiana riesce a rappresentare quasi il 23% dell’export, seguito da prodotti
petroliferi raffinati (13%) e dal tessile e abbigliamento (10%). Verso la Tunisia i prodotti petroliferi raffinati
raggiungono il 22%, seguiti dal comparto moda (19%) e dai metalli (15%). L’export diretto in Giordania
vede il prevalere dei macchinari meccanici (34%) e dei derivati petroliferi (19%). I derivati raffinati dal
petrolio rappresentano oltre il 43% dell’export diretto in Libano. Anche la Turchia vede nella meccanica il
settore cardine dell’export italiano (23%), seguito dai prodotti petroliferi raffinati (15%) e dai metalli
(10%). Israele vede il prevalere dei macchinari meccanici (18%), seguito dai prodotti chimici (12%) e dalle
merci varie (10%).
Dettaglio merceologico, importi variazioni annue e saldi (Mld €) - 2013
Mld €
Quota %
Quota % su totVar % a/a
mondiale
Saldo
Import
Export
Import
Export Import
Export Import Export
Prodotti agricoli
0,512
0,255
2,0
0,9
4,1
4,3
24,0
-0,6
-0,0257,6
Prodotti minerari
13,373
0,279
51,9
1,0
22,5
23,4
-38,2
4,0
-1,3093,6
Prodotti alimentari
0,711
0,765
2,8
2,6
2,5
2,8
10,3
15,1
0,0053,9
Tessile e abbigliamento
2,584
1,931
10,0
6,6
9,7
4,3
-2,0
-1,8
-0,0653,6
Legno e prod. in legno
0,034
0,502
0,1
1,7
0,4
6,5
-18,0
-4,6
0,0467,4
Prod. petroliferi raff.
2,628
6,065
10,2
20,9
21,5
37,1
18,9
-7,1
0,3436,8
Prodotti chimici
1,019
2,127
4,0
7,3
2,9
8,3
-6,9
-1,9
0,1108,4
Prodotti farmaceutici
0,021
0,425
0,1
1,5
0,1
2,2
-25,4
2,6
0,0405,0
Gomma e plastica
0,570
1,418
2,2
4,9
4,9
6,1
7,3
11,7
0,0848,3
Metalli e lav. in metallo
1,287
3,355
5,0
11,5
3,7
7,4
14,8
-0,2
0,2068,1
Computer, app elettr.
0,210
0,482
0,8
1,7
0,9
3,9
-18,4
0,4
0,0271,2
Apparecchi elettrici
0,604
1,733
2,3
6,0
4,7
8,6
-2,4
7,8
0,1128,9
Macchinari meccanici
0,391
6,090
1,5
21,0
1,8
8,5
-3,8
7,3
0,5699,0
Mezzi di trasporto
1,532
2,155
5,9
7,4
5,2
5,8
1,2
7,6
0,0622,5
Altre att. Manifatt.
0,201
1,406
0,8
4,8
1,9
6,4
2,9
29,9
0,1205,8
Altro
0,084
0,079
0,3
0,3
0,7
0,9
19,3
-3,4
-5,2
Totale
25,761
29,067
100,0
100,0
7,2
7,5
-22,9
2,5
0,3315,2
Fonte: Istat
Med&Gulf Initiative Bullettin, n. 3, 23 ottobre 2014
19
Dettaglio merceologico paesi Mediterraneo – quote % import italiano per paese - 2013
Algeria Libia Egitto Marocco Tunisia Giordania Libano Siria Turchia Israele
Prodotti agricoli
0,04
0,01
Prodotti minerari
85,3
Prod. alim., bev. e tabacco
5,8
2,8
1,7
0,5
9,6
13,4 5,4
4,2
85,5 33,5
3,6
13,0
0
1,4
4,2 2,8
0,2
0,7
0,02 3,2
25,1
9,9
4,9
2,1
17,0 3,4
2,2
Tessile e abb., pelletteria
0,2
0,03 11,8
21,9
38,5
12,1
3,7
35,5 23,3
2,0
Legno e prodotti in legno
0
0
0,0
1,4
0,3
0,1
2,0
0
0,3
0,1
Prodotti petroliferi raffinati
13,1
13,3
15,9
7,5
5,2
0
0
0
2,9
10,8
Prodotti chimici
0,3
0,5
10,9
4,8
3,4
20,7
19,5
8,5 5,4
35,1
Prodotti farmaceutici
0
0
0,1
0,1
0
0,0
0
0,0 0,2
1,1
Gomma e plastica
0,1
0
2,3
0,6
3,0
0,1
2,8
3,1
6,9
Metalli e lavorati in metallo
0,2
0,6
14,0
2,2
3,4
41,0
11,7
17,3 14,4
5,7
Computer e app. elettronici
0,01
0
0,1
0,1
2,7
0,5
0,6
0,02 1,2
8,5
Apparecchi elettrici
0
0
0,4
11,3
9,2
0,3
0,9
0,1
4,9
4,1
Macchinari meccanici
0,05
0,01
1,0
0,5
3,6
1,8
2,9
0,4 4,3
5,0
Mezzi di trasporto
0,02
0,03 0,1
17,0
3,9
0,5
4,5
0,01 23,3
4,5
Altre attività manifatturiere
0
0
0,3
0,3
1,7
7,2
4,7
0,5 1,3
8,1
Altro
0,01
0,04 0,7
0,8
0,7
10,2
33,6
0,0 0,2
1,6
Totale
100,0
100,0 100,0 100,0
100,0
100,0
100,0
100 100,0 100,0
Totale in mld €
6,3
8,1
2,3
0,04
0,04
0,03 5,5
1,9
0,7
6,9
0,9
Fonte: Istat
Med&Gulf Initiative Bullettin, n. 3, 23 ottobre 2014
20
Dettaglio merceologico paesi Mediterraneo – quote % export italiano per paese 2013
Algeria Libia Egitto Marocco Tunisia Giordania Libano Siria Turchia Israele
Prodotti agricoli
0,8
2,4
0,9
0,4
1,7
0,7
0,7
0,1
0,4
0,4
Prodotti minerari
0,4
0,6
0,4
0,3
0,5
0,4
0,6
0,2
1,6
1,7
Prod. alim., bev. e tabacco
1,9
5,3
1,5
1,9
2,0
3,1
4,1
2,3
1,9
6,1
Tessile e abb., pelletteria
0,9
1,3
2,9
10,4
19,0
3,3
9,1
2,6
7,4
5,2
Legno e prodotti in legno
1,2
0,7
1,7
2,6
2,4
1,1
2,1
2,0
1,6
3,2
Prodotti petroliferi raffinati
15,9
49,4
24,9
12,9
21,5
18,7
43,4 0,02
15,3
6,8
Prodotti chimici
3,9
2,4
9,2
8,7
4,8
3,8
4,0
19,9
9,8
11,7
Prodotti farmaceutici
0,8
0,4
1,7
0,6
0,6
1,7
1,6
1,8
2,3
1,7
Gomma e plastica
4,1
3,8
3,4
8,5
5,2
4,0
5,3
4,3
4,2
9,8
24,9
4,3
8,4
9,4
14,5
7,0
5,1
6,8
9,9
9,5
Computer, apparecchi elettronici
1,2
1,0
1,6
1,5
1,8
1,2
1,1
6,1
1,7
3,5
Apparecchi elettrici
5,3
6,9
7,3
8,9
7,6
5,4
5,1
9,0
4,6
6,4
Macchinari meccanici
25,4
11,4
32,0
22,8
10,9
34,0
9,5
35,8 22,5
18,1
Mezzi di trasporto
6,1
6,3
2,6
5,7
5,5
2,9
2,7
2,9
12,0
5,3
Altre attività manifatturiere
7,1
3,8
1,5
4,9
1,6
12,7
5,4
6,0
4,4
10,2
Altro
0,1
0,02
0,1
0,6
0,2
0,1
0,3
0,0
0,4
0,3
100,0
100,0
100,0
1,5
3,2
0,7
Metalli e lavorati in metallo
Totale
Totale in mld €
100,0 100,0 100,0
4,3
2,8
2,8
100,0 100 100,0
1,3
0,1
10,1
100,0
2,1
Fonte: Istat
Med&Gulf Initiative Bullettin, n. 3, 23 ottobre 2014
21
Gli Ide e gli investimenti diretti esteri italiani
Sulla base dei dati Unctad, lo stock di Ide nei paesi mediterranei era di circa 540 miliardi di dollari a fine
2013, pari a circa il 2,1% del totale mondiale. La Turchia è lo stato che maggiormente ha catalizzato
l’interesse degli investitori stranieri: al 2013 risultavano investiti oltre 145 miliardi di dollari. Seguono
Israele con 88 miliardi di dollari e l’Egitto con 85. Rispetto al 2008, quando gli Ide dell’area erano pari a
349 miliardi di dollari, si nota un sensibile incremento (+56% complessivo del quinquennio) nonostante
l’occorrenza della crisi finanziaria e delle turbolenze politiche che hanno toccato diversi paesi.
Ide inward (mld Usd)
Quota % sul totale mondiale
2008
2013
2008
2013
Algeria
14,479
25,298
Algeria
0,09
0,10
Libia
11,115
18,461
Libia
0,07
0,07
Egitto
59,997
85,046
Egitto
0,38
0,33
Marocco
39,388
50,280
Marocco
0,25
0,20
Tunisia
28,525
33,557
Tunisia
0,18
0,13
Giordania
20,406
26,668
Giordania
0,13
0,10
Libano
36,529
55,604
Libano
0,23
0,22
Siria
5,900
10,743
Siria
0,04
0,04
Turchia
80,385
145,467
Turchia
0,51
0,57
Israele
49,748
88,179
Israele
0,32
0,35
Totale Med
346,472
539,303
Totale Med
2,21
2,12
Fonte: Unctad
Fonte: Unctad
I flussi di Ide in ingresso nel corso del 2013 sono stati pari a 41,7 miliardi di dollari, in calo rispetto all’anno
precedente dello 0,7%. La Turchia è lo stato che ha visto il flusso più consistente di Ide nel 2013 (12,8
miliardi di dollari), sebbene in contrazione rispetto ai dati del 2012 quando erano stati investiti
nell’economia turca 13,2 miliardi di dollari (-2,7% a/a). A causa degli eventi bellici e del perdurare
dell’incertezza politica si segnalano contrazioni o assenza di flussi in Siria e in Libia (-51% a/a).
Flussi Ide inward (mln $)
1998
2010
2011
2012
2013
Algeria
607
2301
2581
1499
1691
Libia
-128
1909
0
1425
702
Egitto
1076
6389
-483
6881
5553
Marocco
400
1574
2568
2728
3358
Tunisia
668
1513
1148
1603
1096
Giordania
310
1651
1474
1497
1798
Libano
1135
4280
3485
3674
2833
Siria
82
1469
804
0
0
Turchia
940
9058
16171
13224
12866
Israele
1967
5510
10766
9481
11804
Fonte: Unctad
Med&Gulf Initiative Bullettin, n. 3, 23 ottobre 2014
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Sulla base dei dati del ministero dello Sviluppo Economico italiano, dal 1992 al 2012 si sono avuti Ide
italiani nei paesi del Mediterraneo per circa 12 miliardi di euro, di cui 5 miliardi circa a favore del solo
Egitto. Importanti anche gli investimenti in Algeria (quasi 4 miliardi di euro) e in Turchia (oltre un
miliardo di euro).
Ide Italia nei paesi della sponda sud del Mediterraneo
mln di euro
2007
2008
2009
2010
2011
2012
2013
Flussi Cumulati 1992-2012
Algeria
3
75
222
1114
1182
1311
Nd
3903
Libia
-17
-11
74
52
20
4
nd
143
Egitto
27
541
384
465
1107
1068
nd
5013
Marocco
17
-57
8
0
-64
34
21
24
Tunisia
25
79
307
-307
117
199
nd
504
Giordania
1
176
-9
233
96
1
nd
498
Libano
1
17
-1
0
2
nd
nd
22
Siria
0
30
20
79
nd
nd
nd
129
Turchia
-2339
172
-13
470
650
989
184
1120
Israele
12
79
-76
180
116
93
nd
574
Fonte: ministero dello Sviluppo Economico Italiano
Molte sono le aziende italiane presenti nei paesi mediterranei. Sulla base dei dati del ministero degli
Affari Esteri Italiano vi sono circa 940 imprese operanti per lo più nei settori nell’energia e della
raffinazione petrolifera, del tessile e della moda, delle infrastrutture e delle costruzioni, del cemento e
del materiale edile, della metallurgia e dei trasporti. Le imprese italiane sono presenti attraverso propri
stabilimenti e forme di collaborazione con aziende locali volte alla produzione per soddisfare sia la
crescente domanda interna che per l’esportazione, attuando in loco parte del processo produttivo.
Tra i nomi più noti di imprese italiane si ricordano:
-
per l’energia Eni, Enel, Edison, Snam;
-
per l’aeronautica e la difesa Finmeccanica e Alenia;
-
per i mezzi di trasporto e loro componenti Fiat, Piaggio, Iveco veicoli industriali, Pirelli e Magneti
Marelli;
-
per i materiali edili e le costruzioni Cementir e Italcementi;
-
per le infrastrutture e le comunicazioni Impregilo, Ferrovie dello Stato, Ansaldo, Alcatel, Trevi,
Tiscali, Telecom;
-
per il comparto “moda” il Gruppo Miroglio, Benetton, Ermenegildo Zegna, Pompea, Marzotto,
Tacchini;.
-
tra le banche, UniCredit, Intesa Sanpaolo, Mps, Bnl, mentre per le assicurazioni Generali.
Med&Gulf Initiative Bullettin, n. 3, 23 ottobre 2014
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