Articolo pubbicato nella newsletter “minori e garanzie” del mese di giugno 2014
Autorizzazione, DIA, SCIA e diritti delle persone di minore età
di Margherita Govi *
La tutela delle persone di minore età
M
olto si è scritto sulla tutela delle persone di minore età, soprattutto a partire dall’emanazione della
Convenzione ONU si diritti del fanciullo1 e penso esuli dall’argomento della presente riflessione
ricapitolare, anche per sommi capi, tale dottrina, se non per evidenziare come la protezione del minore e,
in genere, delle persone incapaci di agire direttamente per la tutela dei propri diritti, passi per molte strade,
alle volte non immediatamente collegabili con la situazione da tutelare.
Basti qui ricordare una sola norma della Convenzione, dalla quale discendono tutte le altre e che, nonostante
il notevole lasso di tempo percorso dalla sua emanazione (nel 1989) e anche dalla sua ratifica da parte
dell’Italia (1991) non si può dire completamente attuata.
Si tratta dell’art. 3, che afferma: “ In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni
pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi,
l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente.”.
La, almeno tendenzialmente, completa attuazione di tale principio comporterebbe un esame approfondito
dell’intera normativa statale, anche di quella apparentemente inconferente.
E’ forse questo il caso delle norme edilizie che riguardano anche i luoghi nei quali si svolge la vita del
bambino (nidi d’infanzia, scuole, comunità di accoglienza).
Proprio per questi casi l’autorizzazione al funzionamento è volta a mettere in campo e a verificare tutti
gli accorgimenti idonei ad evitare pericoli delle persone di minore età incapaci di agire in proprio e a
promuovere “benessere” di chi vi soggiorna, a tutto vantaggio anche degli adulti che negli stessi ambienti
lavorano.
E’ di tutta evidenza che una normativa che consenta, anche indirettamente, la permanenza del bambino
in luoghi non opportunamente “controllati”, è passibile di ledere uno dei suoi fondamentali diritti, quello
a vivere in un ambiente salubre, che si può considerare presupposto per il godimento di qualsiasi altro
diritto.2
* Esperto giuridico - Regione Emilia-Romagna
1 Il principale riferimento normativo cui occorre
richiamarsi è la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, fatta a New
York il 20 novembre 1989, ratificata dall’Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176. Tutta la dottrina in materia considera la Convenzione
fondamento di ogni diritto del “fanciullo” cioè “di ogni essere umano avente un’età inferiore ai diciotto anni, salvo se abbia raggiunto
prima la maturità, in virtù della legislazione applicabile” (art. 1).
2 Un caso in qualche misura analogo è quello della dichiarazione di nascita: l’art. 30 del DPR 3 Novembre 2000 n. 396
“Regolamento
per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997,
n. 12” che prevede, all’art. 30 (Dichiarazione di nascita), che prevede che la dichiarazione di nascita di uno dei genitori possa “essere
resa, entro dieci giorni dalla nascita, presso il comune nel cui territorio è avvenuto il parto o in alternativa, entro tre giorni, presso la direzione sanitaria dell’ospedale o della casa di cura in cui è avvenuta la nascita. In tale ultimo caso la dichiarazione può contenere anche il
riconoscimento contestuale di figlio naturale e, unitamente all’attestazione di nascita, è trasmessa, ai fini della trascrizione, dal direttore
sanitario all’ufficiale dello stato civile del comune nel cui territorio è situato il centro di nascita o, su richiesta dei genitori, al comune di
residenza individuato ai sensi del comma 7, nei dieci giorni successivi, anche attraverso la utilizzazione di sistemi di comunicazione
telematici tali da garantire l’autenticità della documentazione inviata secondo la normativa in vigore”.
Tale norma può apparire in contrasto con quanto previsto dalla Convenzione ONU che, all’art. 7, dispone “1. Il fanciullo è registrato
immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto ad un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori ed a essere allevato da essi.”. Pare dunque, di trovarsi di fronte a due diritti contrapposti: quello della
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La liberalizzazione delle attività economiche attraverso
le modifiche dell’art. 19 delle legge 241/90
L
e recenti e meno recenti norme in materia di provvedimenti autorizzatori, specificamente edilizi, ma non
solo, rischiano un impatto pesante, anche se probabilmente non voluto, sulle norme di protezione e
tutela di minorenni.
Il testo attualmente vigente dell’art. 19 della legge 241/90, titolato significativamente “Segnalazione
certificata di inizio attività – Scia”, stabilisce infatti:
“1. Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque
denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività
imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di
requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia
previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il
rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato, con la sola esclusione dei casi
in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni
preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza,
all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti
le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli previsti dalla normativa
per le costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti dalla normativa comunitaria.
La segnalazione e’ corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà per
quanto riguarda tutti gli stati, le qualità personali e i fatti previsti negli articoli 46 e 47 del testo unico di
cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445,
nonché, ove espressamente previsto dalla normativa vigente, dalle attestazioni e asseverazioni di
tecnici abilitati, ovvero dalle dichiarazioni di conformità da parte dell’Agenzia delle imprese di
cui all’articolo 38, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.112, convertito, con modificazioni,
dalla legge 6 agosto 2008, n.133, relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti di cui al primo
periodo; tali attestazioni e asseverazioni sono corredate dagli elaborati tecnici necessari per consentire
le verifiche di competenza dell’amministrazione. Nei casi in cui la normativa vigente prevede
l’acquisizione di atti o pareri di organi o enti appositi, ovvero l’esecuzione di verifiche preventive,
essi sono comunque sostituiti dalle autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni
di cui al presente comma, salve le verifiche successive degli organi e delle amministrazioni
competenti. La segnalazione,
corredata
delle
dichiarazioni, attestazioni e asseverazioni nonché
dei relativi elaborati tecnici, può essere presentata mediante posta raccomandata con avviso di
ricevimento, ad eccezione dei procedimenti per cui è previsto l’utilizzo esclusivo della modalità
donna a non essere nominata, cui l’ordinamento italiano assegna un termine di dieci giorni per decidere sulla dichiarazione di nascita, e
quello del bambino “ad essere registrato immediatamente”, come impone la Convenzione ONU. Anche superando la considerazione
della prevalenza del superiore interesse del minore, che pare quello alla immediata registrazione, si può forse trovare un éscamotage
che prova a contemperare entrambi i diritti: prima del riconoscimento il neonato non è giuridicamente figlio della donna che lo ha
partorito, dunque la stessa non dispone del diritto di sottrarlo al luogo nel quale si trova. Si può dunque legittimamente consentire alla
donna di attendere fino al decimo giorno prima di riconoscere il bambino, a condizione che non lo sottragga al luogo nel quale si trova.
E’ chiaro che questo éscamotage ha qualche possibilità di essere efficace solo laddove il parto avvenga in un luogo sicuro ed idoneo
anche sotto l’aspetto della vigilanza, come l’ospedale.
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telematica; in tal caso la segnalazione si considera presentata al momento della ricezione da parte
dell’amministrazione.
2. L’attività oggetto della segnalazione può essere iniziata dalla data della presentazione della
segnalazione all’amministrazione competente.
3. L’amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui
al comma 1, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo
comma, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli
eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a conformare
alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall’amministrazione, in
ogni caso non inferiore a trenta giorni. E’ fatto comunque salvo il potere dell’amministrazione
competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e
21-nonies. In caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto
di notorietà false o
mendaci, l’amministrazione, ferma restando l’applicazione delle sanzioni penali di cui al comma 6,
nonché di quelle di cui al capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28
dicembre 2000, n. 445, può sempre e in ogni tempo adottare i provvedimenti di cui al primo periodo.
4. Decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti di cui al primo periodo del comma 3 ovvero
di cui al comma 6-bis, all’amministrazione e’ consentito intervenire solo in presenza del pericolo di
un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica
o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell’impossibilita’ di tutelare comunque
interessi
mediante
tali
conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente.
4-bis. Il presente articolo non si applica alle attività economiche a prevalente carattere finanziario,
ivi comprese quelle regolate dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia
di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e dal testo unico in materia di intermediazione
finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.
5. Comma abrogato dal D.Lgs 2 luglio 2010, n. 1043.
6. Ove il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni
che corredano la segnalazione di inizio attività, dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei requisiti
o dei presupposti di cui al comma 1 è punito con la reclusione da uno a tre anni.
6-bis. Nei casi di Scia in materia edilizia, il termine di sessanta giorni di cui al primo periodo del comma
3 e’ ridotto a trenta giorni. Fatta salva l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 4 e al comma 6,
restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità
e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n.3804, e dalle leggi
regionali.
6-ter. La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non
costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili.
Gli
interessati possono
sollecitare
l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente
l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104.”.
Si tratta di una delle norme più “tormentate”5 della legge 241/90: nel percorso verso la progressiva
3 L’originario testo disponeva: “5. Restano ferme le norme attualmente vigenti che stabiliscono regole analoghe o equipollenti a
quelle previste dal presente articolo.”.
4 Il regolamento citato riguarda esclusivamente l’ambito edilizio, pertanto esula dalla presente trattazione: rimane comunque il problema
della sua incidenza, ove l’attività edilizia riguardi immobili adibiti a servizi per bambini o ragazzi
5 Articolo prima sostituito dall’art. 2, legge 24 dicembre 1993, n. 537, poi modificato dall’art. 21, legge 11 febbraio 2005, n. 15, so-
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liberalizzazione delle attività economiche, infatti, il testo ha subito numerose e sostanziali modifiche.
Da notare che Il D.L. 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni dalla L. 12 luglio 2011, n. 106,
ha disposto (con l’art. 5, comma 2, lettera c)) che
“Le disposizioni di cui all’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 si interpretano nel senso che
le stesse si applicano alle denunce di inizio attività in materia edilizia disciplinate dal decreto del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n.380, con esclusione dei casi in cui le denunce stesse,
in base alla normativa statale o regionale, siano alternative o sostitutive del permesso di costruire.
Le disposizioni di cui all’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 si interpretano altresì nel
senso che non sostituiscono la disciplina prevista dalle leggi regionali che, in attuazione dell’articolo 22,
comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, abbiano ampliato
l’ambito applicativo delle disposizioni di cui all’articolo 22, comma 3, del medesimo decreto e nel
senso che, nei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, la Scia non sostituisce
gli atti di autorizzazione o nulla osta, comunque denominati, delle amministrazioni preposte alla
tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale.”
L’originario articolo 19 , titolato “ Denuncia di inizio attività” prevedeva .
“1. Con regolamento6
adottato ai sensi del comma 2 dell’art. 17 della legge 23 agosto 1988, n.
400,… sono determinati i casi in cui l’esercizio di un’attività privata, subordinato ad autorizzazione,
licenza, abilitazione, nulla osta, permesso o altro atto di consenso comunque denominato, può
essere intrapreso su denuncia di inizio dell’attività stessa da parte dell’interessato all’amministrazione
competente. In tali casi spetta all’amministrazione
competente verificare d’ufficio la sussistenza
dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti e disporre, se del caso, con provvedimento
motivato, il divieto di prosecuzione dell’attività e la rimozione dei suoi effetti, salvo che, ove ciò
sia possibile, l’interessato non provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi
effetti entro il termine prefissatogli dall’amministrazione stessa. 2. Con il regolamento di cui al comma 1
vengono indicati i casi in cui all’attività può darsi inizio immediatamente dopo la presentazione
della denuncia, ovvero dopo il decorso di un termine fissato per categorie di atti, in relazione alla
complessità degli accertamenti richiesti. …4. Le disposizioni del presente articolo si applicano
stituito dall’art. 3, D.L. 14 marzo 2005, n. 35, modificato dal commi 3, 4, 5 e 6 dell’art. 9, legge 18 giugno 2009, n. 69, dal comma 1
dell’art. 85, D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59 e, infine, così sostituito dal comma 4-bis dell’art. 49, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, nel testo
integrato dalla relativa legge di conversione, dal D.Lgs.104/2010 + poi dal D.L. 125/2010, convertito con modificazioni dalla legge
1 ottobre 2010 n.163, poi Dl 70/2011, convertito con modificazioni dalla legge v12 luglio 2011, n. 106, poi D.L,. 138/2011 come
modificato dalla legge di conversione e infine dal D.L. 9 febbraio 2012, n.5, convertito con modificazioni, 4 aprile 2012, n.35.
6 Il regolamento, approvato con DPR 300/92 stabilisce, all’art. 2: 1. Il presente regolamento disciplina, ai sensi degli articoli 19 e 20
della legge, i casi in cui l’esercizio di un’attività privata può essere intrapreso sulla base della denuncia di inizio dell’attività stessa, da parte dell’interessato, all’amministrazione competente e quelli in cui la domanda di un atto di consenso, cui sia subordinato lo svolgimento
di un’attività privata, si considera accolta qualora non venga comunicato all’interessato il provvedimento di diniego entro il termine
fissato per categorie di atti. 2. Le attività di cui al comma 1, con l’indicazione della fonte normativa e dell’amministrazione competente,
sono elencate nelle allegate tabelle A, B e C, che costituiscono parte integrante del presente regolamento. 3. Sono elencate nella
tabella A le attività alle quali può darsi inizio immediatamente dopo la presentazione della denuncia. Sono elencate nella tabella B le
attività cui può darsi inizio una volta decorso il termine indicato dalla medesima tabella per ciascun tipo di attività. Sono elencate nella
tabella C le attività al cui svolgimento si applica il silenzio-assenso ai sensi dell’art. 20, comma 1, della legge.
L’art.3, dello stesso DPR ha disposto poi che “Qualora la denuncia o la domanda del privato non siano regolari o complete, l’amministrazione ne dà comunicazione al richiedente entro dieci giorni, indicando le cause di irregolarità o di incompletezza. In questi
casi, il termine di cui al comma 1 decorre dal ricevimento della denuncia o della domanda regolari”. …omissis… “Nel caso in
cui l’amministrazione non provveda alla comunicazione di cui al comma 3, il termine del procedimento decorre comunque dal ricevimento della denuncia o della domanda.”
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nei casi in cui il rilascio
dell’atto
di
assenso dell’amministrazione dipenda esclusivamente
dall’accertamento dei presupposti e dei requisiti prescritti, senza l’esperimento di prove a ciò
destinate, non sia previsto alcun limite o contingente complessivo per il rilascio dell’atto stesso e in
ogni caso non possa derivare pregiudizio alla tutela dei valori storico-artistici e ambientali e siano
rispettate le norme a tutela del lavoratore sul luogo di lavoro. …”
Un breve excursus della norma, ai soli fini dell’oggetto del presente articolo, potrà forse dare atto dello
spirito delle varie modifiche.
La legge 24 dicembre 1993, n. 537 Interventi correttivi di finanza pubblica ha sostituito l’art. 19 con il testo
seguente:
“Art. 19. - 1. In tutti i casi in cui l’esercizio di un’attività privata sia subordinato ad autorizzazione,
licenza, abilitazione, nulla-osta, permesso o altro atto di consenso comunque denominato, ad
esclusione delle concessioni edilizie e delle autorizzazioni rilasciate ai sensi delle leggi 1 giugno
1939, n. 1089, 29 giugno 1939, n. 1497, e del decreto-legge 27 giugno 1985, n.
312,
convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, il cui rilascio dipenda esclusivamente
dall’accertamento dei presupposti e dei requisiti di legge, senza l’esperimento di prove a ciò
destinate che comportino valutazioni tecniche discrezionali, e non sia previsto alcun limite o
contingente complessivo per il rilascio degli atti stessi, l’atto di consenso si intende sostituito
da una denuncia di inizio di attività da parte dell’interessato alla pubblica amministrazione
competente, attestante l’esistenza
dei presupposti e dei requisiti di legge, eventualmente
accompagnata dall’autocertificazione dell’esperimento di prove a ciò destinate, ove previste. In
tali casi, spetta all’amministrazione competente, entro e non oltre sessanta giorni dalla
denuncia,
verificare d’ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti e
disporre, se del caso, con provvedimento motivato da notificare all’interessato entro il medesimo
termine, il divieto di prosecuzione dell’attività e la rimozione dei suoi effetti, salvo che, ove ciò sia
possibile, l’interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti
entro il termine prefissatogli dall’amministrazione stessa”. Con regolamento governativo, da emanare
ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro novanta giorni dalla data
di entrata in vigore della presente legge e previo parere delle competenti Commissioni parlamentari,
sono determinati i casi in cui la disposizione del comma 10 non si applica, in quanto il rilascio
dell’autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla-osta, permesso o altro atto di consenso comunque
denominato, dipenda dall’esperimento di prove che comportino valutazioni tecniche discrezionali.
La legge 11 febbraio 2005, n. 15 “Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti
norme generali sull’azione amministrativa” aveva inserito la rubrica dell’art. 19, “Denuncia di inizio attività”,
poi sostituita dal Decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35 Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione
per lo sviluppo economico, sociale e territoriale, con “Dichiarazione di inizio attività”.
Il Dl 35 del 2005 convertito in legge 14 maggio 2005, n.80. all’art. 3 , stabiliva :
1. L’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, è sostituito dal seguente: “Art. 19. Dichiarazione
di inizio attività. 1. Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o
nulla osta comunque denominato,comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per
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l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente
dall’accertamento dei requisiti e presupposti di legge o di atti amministrativi a contenuto generale e
non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione
settoriale per il rilascio degli atti stessi, con la sola esclusione degli atti rilasciati dalle amministrazioni
preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’amministrazione della
giustizia, alla amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del
gettito, anche derivante dal gioco, alla tutela della salute e della pubblica incolumità, del patrimonio
culturale e paesaggistico e dell’ambiente, nonché degli atti imposti dalla normativa comunitaria, è
sostituito da una dichiarazione dell’interessato corredata, anche per mezzo di autocertificazioni, delle
certificazioni e delle attestazioni
normativamente richieste. L’amministrazione competente può
richiedere informazioni o certificazioni relative a fatti, stati o qualità soltanto qualora non siano attestati
in documenti già in possesso dell’amministrazione stessa o non siano direttamente acquisibili presso
altre pubbliche amministrazioni.
La legge 18 giugno 2009, n. 69 “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività
nonché in materia di processo civile”, aveva stabilito all’.Art. 7 comma 4.
“Per tutti i procedimenti di verifica o autorizzativi concernenti i beni storici, architettonici, culturali,
archeologici, artistici e paesaggistici restano fermi i termini stabiliti dal codice dei beni culturali e del
paesaggio,di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. Restano ferme le disposizioni di legge e
di regolamento vigenti in materia ambientale che prevedono termini diversi da quelli di cui agli articoli
2 e 2-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, come rispettivamente sostituito e introdotto dal presente
articolo”.
La stessa legge, all’art.9 comma 6 aveva stabilito “Al comma 5 dell’articolo 19 della legge 7 agosto 1990,
n. 241(ora abrogato dall’art. del DLgs 104 del 2010,NdR) e successive modificazioni, e’ aggiunto, in fine,
il seguente periodo:
“Il relativo ricorso giurisdizionale, esperibile da qualunque interessato nei termini di legge, può
riguardare anche gli atti di assenso formati in virtù delle norme sul silenzio assenso previste dall’articolo
20”.
Il Dlgs 26 marzo 2010, n.59 “Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno”
all’art 14 (Regimi autorizzatori), stabilisce:
1. Fatte salve le disposizioni istitutive e relative ad ordini,collegi e albi professionali, regimi
autorizzatori possono essere istituiti o mantenuti solo se giustificati da motivi imperativi di interesse
generale, nel rispetto dei principi di non discriminazione, di proporzionalità, nonché delle disposizioni
di cui al presente titolo.
2. Nelle materie di legislazione concorrente, le Regioni possono istituire o mantenere albi, elenchi,
sistemi di accreditamento e ruoli, solo nel caso in cui siano previsti tra i principi generali determinati
dalla legislazione dello Stato.
3. Il numero dei titoli autorizzatori per l’accesso e l’esercizio di un’attività di servizi può essere limitato
solo se sussiste un motivo imperativo di interesse generale o per ragioni correlate alla scarsità delle
risorse naturali o delle capacità tecniche disponibili.
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4. Le disposizioni del presente capo non si applicano agli aspetti dei regimi di autorizzazione che
sono disciplinati direttamente o indirettamente da altri strumenti comunitari
Il Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di
competitività economica” convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n.22, stabilisce all’art.4bis. L’ articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, è sostituito dal seguente:
«Art. 19. - (Segnalazione certificata di inizio attività - Scia) - 1. Ogni atto di autorizzazione, licenza,
concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per
le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il
cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o
da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo
o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una
segnalazione dell’interessato, con la sola esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali,
paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla
pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia,
all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito,
anche derivante dal gioco, nonché di quelli imposti dalla normativa comunitaria. ….omissis…
Il Dlgs 104 del 2010 (vedi nota 1) ha abrogato il comma 5 dell’art. 19.
Il D.L. 5-8-2010 n. 125 “Misure urgenti per il settore dei trasporti e disposizioni in materia finanziaria” ha
disposto: “All’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, dopo il comma 4 è inserito il seguente:
“4-bis. Il presente articolo non si applica alle attività economiche a prevalente carattere finanziario, ivi
comprese quelle regolate dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto
legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e dal testo unico in materia di intermediazione finanziaria di cui al
decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58”.
Da segnalare il D.Lgs.26-3-2010, n.59 Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato
interno”, che ha stabilito all’art. 14 “Regimi autorizzatori”:
1. Fatte salve le disposizioni istitutive e relative ad ordini, collegi e albi professionali, regimi autorizzatori
possono essere istituiti o mantenuti solo se giustificati da motivi imperativi di interesse generale, nel
rispetto dei principi di non discriminazione, di proporzionalità, nonché delle disposizioni di cui al presente
titolo. 2. Nelle materie di legislazione concorrente, le Regioni possono istituire o mantenere albi, elenchi,
sistemi di accreditamento e ruoli, solo nel caso in cui siano previsti tra i principi generali determinati
dalla legislazione dello Stato. 3. Il numero dei titoli autorizzatori per l’accesso e l’esercizio di un’attività
di servizi può essere limitato solo se sussiste un motivo imperativo di interesse generale o per ragioni
correlate alla scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche disponibili. 4. Le disposizioni del
presente capo non si applicano agli aspetti dei regimi di autorizzazione che sono disciplinati direttamente
o indirettamente da altri strumenti comunitari.
Inoltre l’art. 3 del D.L. 13 agosto /2011, n.138 “Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e
per lo sviluppo” convertito in legge 14 settembre 2011, n. 148 sotto il titolo Abrogazione delle indebite
restrizioni all’accesso e all’esercizio delle professioni e delle attività economiche, stabilisce, con norma
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definita dal decreto stesso principio fondamentale per lo sviluppo economico e che attua la piena tutela
della concorrenza tra le imprese, stabilisce:
“Comuni, Province, Regioni e Stato, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto, adeguano i rispettivi ordinamenti al principio secondo cui l’iniziativa e
l’attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla
legge nei soli casi di:
a) vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali;
b) contrasto con i principi fondamentali della Costituzione;
c) danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e contrasto con l’utilità sociale;
d) disposizioni indispensabili per la protezione della salute umana, la conservazione delle specie animali
e vegetali, dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale;
e) disposizioni relative alle attività di raccolta di giochi pubblici ovvero che comunque comportano effetti
sulla finanza pubblica.
Tra le esclusioni non compare – almeno espressamente – la previsione di norme a tutela di persone
incapaci o impossibilitate ad agire direttamente, quali, soprattutto, i minori di età .
Tali categorie di persone – e di norme a loro tutela – potrebbero rientrare in altre lettere: nella a) in quanto la
Convenzione ONU sui diritti del fanciullo del 1989, ratificata dall’Italia con legge 176 del 1991 rappresenta
jus cogens per i paesi firmatari; nella b) in quanto la tutela dei soggetti deboli (tra i quali la Costituzione
tuttavia non annovera espressamente i minori di età) è imposta dalla Costituzione, tra l’altro, agli articoli 2,
3 e 4; nella c) e nella d), che ancora una volta richiamano principi costituzionali.
Tuttavia, trattandosi di norme derogatorie a un principio fondamentale per lo sviluppo economico e quindi
di stretta interpretazione, la via interpretativa appare irta di rischi.
Inoltre l’adeguamento di Comuni, Province e Regioni all’obbligo di cui al comma 1 costituisce elemento
di valutazione della virtuosità dei predetti enti ai fini della ripartizione dell’ammontare del concorso alla
realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica fissati a decorrere dall’anno 2012.
In ambito squisitamente edilizio, si segnala inoltre il D.L. 13-5-2011 n. 70 “Semestre Europeo - Prime
disposizioni urgenti per l’economia” convertito in legge 12 luglio 2011, n. 106, che dispone: “le disposizioni
di cui all’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 si interpretano nel senso che le stesse si applicano
alle denunce di inizio attività in materia edilizia disciplinate dal decreto del Presidente della Repubblica
6 giugno 2001, n. 380, con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa statale
o regionale, siano alternative o sostitutive del permesso di costruire. Le disposizioni di cui all’articolo 19
della legge 7 agosto 1990, n. 241 si interpretano altresì nel senso che non sostituiscono la disciplina
prevista dalle leggi regionali che, in attuazione dell’ articolo 22, comma 4, del decreto del Presidente
della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, abbiano ampliato l’ambito applicativo delle disposizioni di cui all’
articolo 22, comma 3, del medesimo decreto e nel senso che, nei casi in cui sussistano vincoli ambientali,
paesaggistici o culturali, la Scia non sostituisce gli atti di autorizzazione o nulla osta, comunque denominati,
delle amministrazioni preposte alla tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale.
Infine, il DL 9 febbraio 2012, n.5, convertito con modificazioni in legge 4 aprile 2012, n. 35 si è limitato ad
Articolo pubbicato nella newsletter “minori e garanzie” del mese di giugno 2014
inserire “, ove espressamente previsto dalla normativa vigente,” per quanto riguarda, l’obbligo di inserire
le attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati alla segnalazione.
L’elaborato excursus della norma dimostra, dunque, la preoccupazione del legislatore statale di non
eccedere nelle liberalizzazioni, buttando, come si dice, il bambino con l’acqua sporca.
L’autorizzazione al funzionamento a tutela dei bambini
L
a Regione Emilia-Romagna7 8, così come molte altre Regioni, ha assoggettato ad autorizzazione al
funzionamento l’apertura e la gestione di nidi d’infanzia e di tutti i servizi educativi per bambini da zero
a tre anni, nonché delle comunità per l’accoglienza di bambini e ragazzi allontanati dalle famiglie.
Per i servizi educativi, così come in ambito sociale, l’attività è consentita solo previa autorizzazione al
funzionamento, mentre per i servizi ricreativi9, la legge emiliano-romagnola prevede oggi la segnalazione
certificata di inizio attività. Come si è visto sopra, in seguito ad una delle modifiche dell’art. 19 della legge
241/90, quest’ultima tipologia di atto dà facoltà al richiedente di iniziare l’attività contestualmente alla
comunicazione all’ente pubblico contenente l’autocertificazione relativa ai requisiti richiesti, in seguito alla
quale l’Amministrazione procede (può procedere?) ai controlli, dai quali può sortire anche il divieto di inizio
dell’attività.
La vigente direttiva emiliano-romagnola in materia di accoglienza fuori famiglia10, tuttavia, richiede
l’autorizzazione al funzionamento per tutte le tipologie di comunità, a maggior garanzia per i ragazzi. E’ di
tutta evidenza la più macroscopica differenza della DIA (denuncia di inizio attività, prevista dall’originario
art. 19 della legge 241/90 ed ora sostituito dalla SCIA) dalla SCIA (segnalazione certificata di inizio attività):
in seguito alla prima, il richiedente non poteva iniziare l’attività prima che fosse trascorso il tempo dato
all’Amministrazione per i controlli, mentre la presentazione della SCIA abilita all’immediato inizio dell’attività,
7 Vedi L.R. 10 gennaio 2000, n.1 “Norme in materia di servizi educativi per la prima infanzia” e la L.R. 12 marzo 2003, n. 2 “Norme
per la promozione della cittadinanza sociale e per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”. Entrambe le leggi
sono state più volte modificate Se ne consiglia pertanto la lettura sui link:
http://demetra.regione.emilia-romagna.it/al/monitor.php?vi=nor&dl=f14da02d-9815-8b9d-416d-4e4cc14e952f&dl_id=10&dl_
t=xml&dl_a=y&ev=0 e
http://demetra.regione.emilia-romagna.it/al/monitor.php?vi=nor&dl=e88205be-ef01-73df-c38d-4e4cc1971723&dl_id=10&dl_
t=xml&dl_a=y&ev=0
8 La Regione Emilia-Romagna ha emanato, nel 2008, la L.R. 28 luglio 2008, n. 14 “Norme in materia di politiche per le giovani generazioni” che, per quanto riguarda le normative in materia di servizi educativi per la prima infanzia e ragazzi fuori famiglia, fa espresso
riferimento alle richiamate leggi regionali 1/2000 e 2/2003.
9 In base all’art. 9 della legge regionale 1/2000, come modificata, da ultimo dalla L.R. 22 giugno /2012, n.6 “1. I servizi con finalità
puramente ricreativa rivolti a bambini di età inferiore a tre anni che ne fruiscono occasionalmente sono
soggetti esclusivamente alle norme vigenti relative alla sicurezza e alla salute.
2. A tal fine i soggetti gestori devono trasmettere al comune competente per territorio, ai sensi dell’articolo 19 della legge 7 agosto
1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), la segnalazione certificata di inizio attività comprendente l’autocertificazione del possesso dei requisiti relativi alla sicurezza e alla salute previsti
dalla normativa vigente.
3. In caso di mancata segnalazione, il comune competente può ordinare la sospensione dell’attività fino all’effettuazione dei necessari
controlli.
4. I comuni dispongono controlli, anche a campione, sull’idoneità e la corretta utilizzazione dei servizi di cui al comma 1….”
10 DGR 19 dicembre 2011, n. 1904 “Direttiva in materia di affidamento familiare, accoglienza in comunità e sostegno alle responsabilità familiari”
Articolo pubbicato nella newsletter “minori e garanzie” del mese di giugno 2014
salva la possibilità da parte dell’Amministrazione di procedere ai controlli ed, eventualmente, inibire l’attività
stessa.
E’ quindi possibile un periodo di tempo (virtualmente indefinito), durante il quale la mancanza o il venir
meno di un requisito dichiarato esistente provochi un danno al bambino. E’ di tutta evidenza che una
normativa pensata essenzialmente per i settori edilizio e commerciale abbia presenti “danni” alle cose, più
che alle persone…
Il problema dei controlli
A
ben vedere il problema sta tutto nella effettività ed efficienza dei controlli: tanto più questi saranno
tempestivi ed accurati, tanto maggiore sarà l’attenzione del richiedente nel verificare ed autocertificare
il possesso dei requisiti richiesti. Ma qual è la finalità dell’attività di vigilanza e controllo? La prospettiva di
una sanzione amministrativa è deterrente sufficiente ad impedire il comportamento sanzionato? La Corte
costituzionale, con la sentenza n.106/2006 (ma anche con le sentenze n. 63/2006 e n. 384/2005) ha
affermato “questa Corte è ferma nel negare che il potere di vigilanza sia autonomo rispetto alla materia cui
inerisce, in quanto «la vigilanza è spesso la fote dell’individuazione di fattispecie sanzionabili o comunque di
carenze che richiedono interventi anche non sanzionatori diretti ad assicurare il rispetto di una determinata
disciplina”. Se finalità dell’attività di vigilanza è quella di “assicurare il rispetto di una determinata disciplina”,
occorrerà trovare meccanismi che, superando la logica meramente sanzionatoria, mettano a punto attività
di sostegno e che lascino davvero all’ultimo posto la prospettiva di chiusura del servizio.
Nel caso della SCIA, tuttavia, lascia perplessi la possibilità di iniziare un’attività anche in (eventuale)
carenza di requisiti complessiva dei bambini, tanto più quando, come nel caso della L.R..1/2000 emilianoromagnola (art. 9), questi sono volti esclusivamente ad assicurare la sicurezza dei bambini.
Difficile trarre vere e proprie conclusioni dall’esame, peraltro parziale, di una normativa così tormentata.
Quello che ci si sente qui di affermare è che l’autorizzazione cui la normativa fa costante riferimento non
è certo quella che molte Regioni hanno scelto per la tutela delle persone di minore età, sia per i servizi
educativi, che per le comunità per i ragazzi fuori famiglia.
Chi scrive non ritiene che l’autorizzazione al funzionamento sia un sistema sempre valido per evitare “guai”
e - tanto meno – che sia l’unico immaginabile.
Tuttavia, fino a quando non si troverà uno strumento atto a perseguire con ragionevole possibilità di riuscita
la tutela dei soggetti più deboli, la disciplina dell’autorizzazione al funzionamento dovrà essere considerata
dal legislatore statale anche in questa prospettiva.
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La tutela delle persone di minore età