Il Molise dal gusto antico
Il Sud degli altri
è sempre meno duro del nostro.
Uno è sangue
l’altro è inchiostro
Il Molise dal gusto antico
Un excursus storiografico, un repertorio di tradizioni, un racconto che indaga
le origini e l’evoluzione della cucina molisana, rivendicandone la piena
identità, in un affresco antropologico improntato alla vita frugale e genuina,
propria di una comunità agricola e pastorale.
Una tradizione culinaria che nasce dallo stretto rapporto con il territorio e
l’ambiente, legata ai prodotti della terra e del mare, del bosco e del pascolo,
all’alternarsi delle stagioni, ai ritmi della vita contadina.
Una storia di gusto rievocata a partire dall’elemento più semplice e prezioso,
l’acqua, che proviene dalle alture e diviene simbolo di una natura
incontaminata, per arrivare all’olio, al vino, al grano, al tartufo, prodotti di
prima qualità che rendono inconfondibili i sapori molisani.
Materie prime che sono l’espressione di una terra straordinaria, densa di
itinerari e paesaggi di rara bellezza, immersi nell’aria pura e nello spazio
rurale; ingredienti che sostanziano piatti poveri, che profumano di storia, di
3fame e fatica, che mescolano gusti antichi e sapori lontani.
Questo libro è dunque un inno alla cucina tipica molisana, che si caratterizza
per una meravigliosa varietà di sapori: la pasta di grano duro, la polenta di
farina di mais, le zuppe realizzate con legumi o verdure fresche di stagione; i
salami che, appesi ad asciugare, evocano la penombra delle cucine da cui
esalano aromi e profumi; le carni insaporite con erbe di montagna. Per finire,
una variegata scelta di formaggi e prodotti caseari, che ricordano la
transumanza praticata lungo i tratturi che attraversano il Molise.
Il Molise dal gusto antico
Un patrimonio gastronomico che, riscoperto, si reinventa per dar vita a piatti
che seducono i palati, proponendo una miscela unica di tradizione e
creatività, a metà strada tra memoria storica e prospettive di sviluppo futuro.
L’Assessore alle Politiche Agricole della Regione Molise
Vittorino Facciolla
Il Molise dal gusto antico
Il Molise dal Gusto Antico, si propone come un viaggio alla scoperta dei
prodotti e dei sapori autentici del nostro territorio, delle principali
eccellenze
gastronomiche
divenendone
veicolo
di
promozione
e
valorizzazione. Un prodotto può, infatti, essere definito tipico solo quando
in esso si concentrano fattori quali, la localizzazione geografica di
produzione, la qualità delle materia prime, la conservazione nel tempo dei
processi di produzione. Tali elementi concorrono ad avere la storicità di un
prodotto in un territorio ben definito, quindi lo rendono unico. Da ciò
deriva la necessità di promuovere “all’esterno” le peculiarità regionali, in
modo da creare il binomio prodotto tipico-territorio.
L’Amministrazione Comunale di Civitacampomarano, grazie al fattivo
supporto e contributo dell’Assessorato alle Politiche Agricole della Regione
Molise, ha sostenuto e condiviso l’dea progettuale dell’Associazione Keste
Terre Onlus, a cui va una particolare riconoscenza. Nel nostro Molise ci
sono tante testimonianze storiche gastronomiche che, abbinate a quelle
culturali ed ambientali, rappresentano davvero delle assolute eccellenze.
Il Sindaco di Civitacampomarano
Paolo Manuele
Il Molise dal gusto antico
Alla mia Terra
“In questa epoca di grande mutamento, di tempo accelerato, tutte le testimonianze
della cultura contadina sono destinate a diventare sempre più marginalizzate. Il più
delle volte espulse dal panorama culturale contemporaneo”.
Sono tempi duri, senz’altro. Ed è proprio per questo, che è giunto il momento di
rimboccarci le maniche, di ricominciare o cominciare, a puntare e scommettere in
modo esclusivo, caparbio e persuasivo sulla nostra amata terra molisana.
Nelle terre del basso Molise, unitamente a tutto il resto del territorio molisano, ci
sono i migliori prodotti d’Italia. Nel mondo dell’enogastronomia in generale, il
“Made in Molise” è quanto vi sia di meglio in circolazione, siamo solo noi gli
artefici di questo processo di divulgazione e promozione. Sono già presenti azioni
produttive, intese a valorizzare ogni giorno di più le caratteristiche dei nostri
prodotti, che hanno come componente fondamentale la qualità.
A noi il compito di difendere con tenacia le nostre produzioni e il lavoro di quanti
ogni giorno cercano di offrire con il proprio lavoro prodotti sempre migliori. In
altre parole il nostro patrimonio agro-alimentare va tutelato e custodito tanto da
farne la nostra cultura.
Le nostre produzioni cresceranno e si affermeranno solo se noi saremo in grado di
difenderle e promuoverle, difendere e valorizzare i prodotti della nostra terra è
come difendere e valorizzare noi stessi.
La nostra regione pur penalizzata per vari aspetti, ha tanto da offrire e nulla da
invidiare al resto della nazione. Le nostre terre possono dare tanto, crediamo nel
nostro territorio, ma facciamolo insieme perché solo in questo modo possiamo
davvero dare maggior valore al nostro “Made in Molise”.
Socio Fondatore Associazione Culturale “Keste Terre”
(Massimo Di Stefano)
Il Molise dal gusto antico
“Il Sud che cerco ogni giorno è annidato nei paesi più sperduti; il Sud che
resiste dove c’è poca gente, dove ci sono alberi, erbacce, cardi, il Sud che
vive ancora solo dove è più dimesso, il Sud che non crede alla pagliacciata
del progresso, il Sud dei cani randagi, dei vecchi seduti sulle scale, delle
case di pietra incollate in lunghe file che si attorcigliano. Questo Sud vive
ancora solo nell’interno ma bisogna andare a cercarlo. Ci vuole che non ci
sia città, che non ci sia pianura, ci vuole che non ci sia l’industria o
l’industria dell’agricoltura, ci vuole che non ci siano uffici e grandi scuole e
strade dritte e mare e serre e nani nei giardini. Il Sud che amo ha più di
ottant’anni e rughe non lisciate, è una tribù di reumi e bastoni, è
ugualmente lontano dall’Europa e dall’Africa, è una terra di magie
arrangiate, di cimiteri sempre ampliati, di piazze livide e rancorose […]
Il Molise mi ha dato questa sensazione di stare in un tempo che da noi è
passato qualche decennio fa […] C’è un senso di retrovia, un retrogusto
anni Settanta. E’ come se il Molise non avesse lo scatto, l’agilità per
balzare agli onori deliranti della postmodernità globalizzata”1.
L’autore di questi pensieri è Franco Arminio, che di mestiere fa il paesologo.
La paesologia secondo lo stesso Arminio “è una via di mezzo tra l’etnologia e
la poesia. La paesologia non è altro che il passare del mio corpo nel paesaggio
e il passare del paesaggio nel mio corpo. E’ una disciplina fondata sulla terra e
sulla carne. E’ semplicemente la scrittura che viene dopo aver bagnato il corpo
nella luce di un luogo”.
Mi piace inaugurare questo viaggio sul mondo enogastronomico del Molise,
con le parole di una persona che dedica la propria vita e la propria attività
all’individuazione di modi di resistenza allo sgretolamento del presente, con un
1
Franco Arminio, Terracarne. Viaggio nei paesi invisibili e nei paesi giganti del Sud Italia,
Milano, Mondadori, 2011.
Il Molise dal gusto antico
forte radicamento nella tradizione, preparandosi però al furore del tempo
venturo.
Il Molise dal gusto antico, come la sua millenaria storia: nelle numerose
citazioni archeologiche, storiche, culturali ed artistiche; nella ricchezza delle
arcaiche e genuine tradizioni montanare e pastorali, nelle feste e nei riti, nella
bellezza delle montagne, dei boschi, dei prati, nei colori della natura.
Una natura incontaminata, che comprende le verdi vallate del Trigno e del
Biferno, le dolci colline che degradano fino alle invitanti spiagge dell’Adriatico
(con la città di Termoli e il suo splendido borgo antico), le suggestioni delle
boscose montagne, in cui l’equilibrio tra sistema ecologico ed insediamenti
umani permane inalterato.
Vario nei paesaggi, ricco d’arte e di storia, felice di una natura ancora
largamente preservata, il Molise costituisce uno straordinario insieme di
combinazioni, che ne fanno uno scrigno di bellezze inedite, un rifugio di
tranquillità, non privo certo di occasioni di svago e di divertimento.
Dal 1963, il Molise è la ventesima regione d’Italia (la più piccola dopo la Val
d’Aosta) ed è la più settentrionale delle regioni del Mezzogiorno. Anche la
popolazione con circa 320 mila abitanti è tra le più basse d’Italia1.
1
Dati ISTAT, censimento 2011.
Il Molise dal gusto antico
Incuneata fra il fiume Trigno e il Fortore, tra l’Adriatico, il massiccio del
Matese e la catena delle Mainarde, la regione confina a nord-est con il mare
Adriatico e con la provincia di Chieti, a sud est con la Puglia, a nord-ovest con
la provincia de L’Aquila, ad ovest con la provincia di Frosinone, a sud con le
province di Caserta e di Benevento.
L’intero territorio, suddiviso in due province, Isernia e Campobasso
(capoluogo di regione), ha una superficie di 4.437,73 Kmq.
Il Molise dal gusto antico
Il gusto antico della cucina molisana
Sulla “tipicità” della regione Molise, si possono individuare atteggiamenti
contrastanti, sia dal punto di vista naturale sia da quello culturale1.
Anche sul piano enogastronomico, la specificità è sostenuta da alcuni e negata
da altri. Nella pubblicazione Almanacco del Molise del 1970 si sostiene, dopo
aver dichiarato che “manca un vero e proprio studio sulle origini ed evoluzioni
della cucina molisana”, che essa “ha risentito molto della povertà della sua terra
e lo dimostrano la semplicità delle sue ricette e la mancanza di una vera e
propria gastronomia originale”, che, per una serie di motivi, esplicitati nel testo,
non avrebbe “potuto raggiungere i livelli di raffinatezza e varietà raggiunti da
regioni più fortunate”2.
In disaccordo con questa tesi sono gli autori di più ricettari, come, ad esempio,
Angelo Santagostino, Fernanda Pugliese D’Angelo e, soprattutto, Anna Maria
Lombardi e Rita Mastropaolo, autrici di La cucina molisana, una specie di
“summa” delle pietanze che si preparano e consumano nella regione, guidata da
un intento classificatorio, che esclude ogni possibilità di selezione di ciò che è
“tipico” da ciò che non lo è3.
Nella Statistica murattiana del 1811 troviamo una serie preziosa di
informazioni di ordine alimentare, a cominciare dall’acqua, che in molti paesi è
di fonte, provenendo dai monti e dai colli prossimi agli abitati, in altri casi
conservata in grandi contenitori di terracotta per favorire la sedimentazione di
eventuali impurità. Non mancano le cisterne, come a Ripalimosani, dove “in
tempo di straordinaria siccità provvede ai bisogni della popolazione una larga e
1
Si veda per esempio: R. Giordano, Molise, un’identità violata, p. 34; AA.VV., Molise.
Un’aria di festa, Salerno-Napoli, Edizione Segno Associati, 1995, p. 3.
2 Almanacco del Molise 1970, Ferrazzano, Edizioni Enne.
3 Anna Maria Lombardi, Rita Mastropaolo, La Cucina molisana, Campobasso, Cultura e
Sport, 1995.
Il Molise dal gusto antico
profonda conserva di acqua sorgiva, situata nel chiostro del soppresso monastero
dei Padri Riformati”1.
Per quanto riguarda più specificamente il cibo, “i campagnoli e gli indigenti si
nutrono di verdure e legumi e mangiano diversamente solo ti al tempo della
mietitura quando gravano sulle finanze dei datori di lavoro, i quali li nutrono
meglio, arrivando a fornire loro la carne, perché rendano di più. Quanto alla
maniera di prepararla, “si cuoce in allesso, in arrosto o nel tegame” e “il lesso
spesso è condito con carne porcina salata”2.
Il pane è “il cibo più usitato e più abbondante presso la classe meschina” e si
cuoce sotto la brace del focolare. “Certe famiglie povere si han presa la pena di
mescolare le patate cotte e poi stemperate nell’acqua calda con la farina di grano
ed han formato così un pane di ottima qualità, bianco, morbido, di facile
digestione, nutritivo e che conserva la morbidezza per molti giorni”3.
Un po’ dappertutto si preparano pizze di mais o frumentone che per la cottura
sono “coverte con coppe di ferro a guisa di padelle”4. Comuni, sono anche le
polente, condite variamente con olio, strutto, vino cotto, aceto e aromatizzate
con pepe rosso piccante, menta e aglio e le pizzette, ottenute con lo stesso tipo di
farina, fritte in padella come a Ripalimosani e Larino, dove appunto “i figliuoli
fanno uso piuttosto per golosità delle pasterelle fritte con olio, chiamate
comunemente scagliozzi”5.
Il pesce proviene da Vasto, Campomarino e Termoli, nonché, quello di acqua
dolce, dai laghi di Lesina e Varano. Oltre ciò, “le anguille sono vendute dai
1
Archivio Storico Campobasso, Intendenza di Molise, b. 1011, fasc. 133.
Ibidem.
3 Ibid.
4 Ibid.
5 Ibid.
2
Il Molise dal gusto antico
naturali di Rodi [...], le sarde vengono dal Vasto e le alici il potecaro va a
comprarle a Salerno”1.
Come in tutto il Mezzogiorno è difficile commercializzarlo nelle zone interne
per la difficoltà delle comunicazioni, per cui si consuma prevalentemente quello
salato (alici, anguille, aringhe, baccalà, sarde).
Per quanto riguarda Larino, data la vicinanza della costa, “non mancherebbe
pesce fresco di mare [...] ma le due comuni vicine di Campomarino e di Termoli
non hanno legni da pescare, né genti nazionali occupate a tale oggetto. I tranesi,
che con le loro barche pescarecce provvedevano di pesce quasi tutta la provincia
del Molise, hanno abbandonato i nostri mari vicini a causa dei corsari nemici,
per cui il pesce fresco non è cosi frequente come prima anche nelle stagioni
proprie” 2 . L’ultima parte del discorso fa riferimento al periodo invernale,
quando
era
più
facile
per
ragioni
climatiche
il
trasporto
e
la
commercializzazione del pescato.
Infine, articolato è il discorso sul vino, che è di “cattivissima qualità e va tutto
alla fermentazione acida all’accostarsi del maggio”, nel circondario di
Campobasso e a Vinchiaturo; tende all’“acescenza” e alla “mollezza” nel
circondario di Trivento; è “mediocre e acido” nel circondario di Jelsi; mentre nel
circondario di San Giovanni in Galdo “è il migliore che si possa desiderare [...];
si raccoglie dalle proprie vigne ed è oggetto di industria e di commercio presso
tutti gli abitanti del circondario”3.
1
Ibid.
Ibid.
3 Ibid.
2
Il Molise dal gusto antico
Lo stesso accade a Montagano, dove si trovano “vigne latine ben tenute e
coltivate [...], tutte esposte a mezzogiorno”, dalle quali si ottengono vini
“spiritosi e forti”1.
Un panorama, tutto sommato, non soddisfacente, tanto che si tiene a
sottolineare come “i vini potrebbero essere migliori se si piantassero vitigni più
scelti e se ne migliorasse la condizione con gli innesti; sarebbero ottimi se si
conoscesse meglio la zimotecnia. Coloro che la praticano ottengono buoni
risultati”2.
Il consumo di vino provoca, come sostiene uno dei responsabili delle risposte
ai quesiti della Statistica murattiana, “malattie di petto che degenerano in tisi
pituitose”; ma anche “il parlar sconcio in pubblico o bestemmie e giuramenti di
Santi”, oltre “morti immature, agendo il vino come un lento veleno che
distrugge la vita dalle sue fondamenta”3 . Un altro scrive, a proposito di San
Giovanni in Galdo, che “la mancanza totale di vino provoca quei mali che
comunemente diconsi anemici e di debolezza”, per cui “i contadini ne bevono in
quantità per sopportare con maggior forza i loro ingenti travagli, specialmente
estivi”4.
Interessante risulta anche quanto si dichiara a proposito di Ripalimosani, dove
“nella sola classe delle donne si osservava dell’astinenza per una scrupolosa
morale, ma finalmente la voce dei medici è qualche anno che ha superato un sì
forte ostacolo”5.
Un discorso simile a quello sul vino è sviluppato nella Statistica murattiana a
proposito dell’olio, che non solo non è abbondante, ma lascia a desiderare anche
1
Ibid.
Ibid.
3 Ibid.
4 Ibid.
5 Ibid.
2
Il Molise dal gusto antico
qualitativamente, fatta eccezione per San Giovanni in Galdo, Termoli, Larino,
Isernia, Baranello, dove se ne produce uno “puro, scolorato o di color gialliccio,
chiaro e di sapore dolce”1.
Ottimi sono, inoltre, i latticini di Ferrazzano e Campodipietra; ma non si esita
a evidenziare una serie di difetti e di problemi della produzione casearia,
soprattutto di quella a base di latte di capra.
Abbondante la produzione di legumi, frequentemente presenti sulle tavole. Si
consumano soprattutto fagioli che “mangiati caldi con focacce di frumentone
egualmente calde producono dolori viscerali e spesso coliche”2.
Quanto agli ortaggi, spesso “ogni casa ha il suo orticello per proprio
commodo” e abbondante è la produzione di frutta, in particolare pere e mele.
Largo impiego si fa delle patate e per il circondario di Baranello si dichiara
che parecchi contadini le mangiano “cotte nell’acqua e sotto le ceneri calde, e le
danno ancora a mangiare ai loro figlioli per risparmiare il pane. Alcune famiglie
meschine con l’uso delle patate han scampato la vita nelle stagioni di penuria e
non si sono caricate di debiti per mangiare”3.
Un altro dato interessante riguarda l’abbondante produzione di maccheroni a
Campobasso, che vengono commercializzati un po’ dappertutto nella regione.
In coda a questo excursus non si può fare a meno di cogliere l’attinenza
esistente tra i fatti e le informazioni culinarie della Statistica murattiana, e i cibi
e le abitudini culinarie molisane odierne. Tecniche alimentari del passato che
ritornano oggigiorno, come quella concernente la preparazione della pizza di
mais da associare alle verdure (pizza e minestra).
1
“Risposte alle dimande sulla sussistenza e conservazione della popolazione del
circondario di Baranello”, in Archivio Storico Molisano, III, 1979, p. 147.
2 Archivio Storico Campobasso, Intendenza di Molise, b. 1011, fasc. 133.
3 “Risposte alle dimande sulla sussistenza e conservazione della popolazione del
circondario di Baranello”, cit.
Il Molise dal gusto antico
Di tutto ciò è traccia, tra l’altro, una serie di dati sul folklore della regione:
Per la frutta, in una ninna nanna:
Nonna, nonna, / la mamma tè n’ce sta, è iuta alla vigna;/ è iuta alla vigna, è
iuta a coglie l’uva, / le pere muscatelle e le pricoche:/ sul nu percuchiello
c’era rimaso, / arrète a na frunnecella steva annascuso.
(Nonna, nonna / la mamma tua non c’è, è andata alla vigna;/ è andata alla
vigna, è andata a cogliere l’uva, / le pere moscatelle e le pesche:/ solo una
piccola pesca c’era rimasta / dietro a una frondicella stava nascosta)1.
Per particolari pietanze, in due canti:
Sera sera scura / ‘n coppa campe lepre / ce stévene le nore / che facevene
casce e ova; / me ne dierne nu puchitte, / le mettieve ‘n copp’ a ru
banchitte...
(Sera, sera scura, / sopra campo lepre / ci stavano le nuore / che facevano
cacio e uova; / me ne dettero un pochino, / lo misi sul panchetto ... )2;
Carnevale, musse unte, / z’ha magnate le panunte; e la moglie pe despiette /
z’ha vennute le sese mpiette.
(Carnevale, muso unto, / ha mangiato il pane unto; e la moglie per dispetto /
s’è venduta le “sise” in petto )3.
Nell’ottica dell’attuale crescente omologazione, all’interno del panorama
alimentare della regione non mancano le novità, ma nel contempo resistono le
pietanze tradizionali, soprattutto nei paesi, il che, per il Molise, significa
dappertutto.
1
Riportata in La Lapa, a. 1 (1953), n. 1, p. 29.
Ivi, p. 155.
3 Ivi, p. 177.
2
Il Molise dal gusto antico
Il dominio delle paste, quanto ai primi, è indiscutibile (ciufoli, frascatielle,
fusilli, gravinole, laganelle, recchietelle, sagnatelle, taccozz, ecc.); ma non
mancano le polente, le minestre di verdura, le zuppe, i risotti, come quello con le
lumache.
I secondi vedono la prevalenza di carni, in particolare del maiale che spesso,
ancora oggi, si macella in casa. Ad esso fa riferimento Eugenio Cirese in una
poesia intitolata1:
Lu puorche accise
La neve.
Nu strille com’a nu strille d’ome
che z’affucava, e lota e neve e sanghe
mieze a lu fume dell’acqua vullente.
Affacciàta ‘n finestra,
dentr’ a na spasa,
come a nu san Giuvanne, la coccia che pareva viva2
Segue, in ordine d’importanza, il baccalà, che precede polli e conigli, agnelli e
capretti.
Per le verdure in primo piano ci sono: cicoria, broccoli, cavolfiori, muscari. In
questo modo, però, non si coglie la genialità di una pietanza come il cavolfiore
al vino cotto e mandorle; la sapidità dei broccoli con le aringhe; l’originalità
della “tiella con lampasciuni, funghi e tapane”.
Le uova sono prevalentemente trasformate in frittate, talora in polpette (‘u
scescìlle) o in prelibati triangoli, ad esempio, con muscari e salsiccia.
Che dire, poi, dei dolci?
1
E. Cirese, Oggi domani ieri, a cura di A.M. Cirese, vol. II, Marinelli, p. 198.
Il porco ucciso. La neve / Uno strillo come uno strillo d’uomo che si strozzava, e fango e
neve e sangue / in mezzo al fumo dell’acqua bollente. / Affacciata alla finestra, dentro a un
piatto piano, come un san Giovanni, / la testa che sembrava viva.
2
Il Molise dal gusto antico
Le ostie ripiene, anticipo di celestiali dolcezze; fettine di salame di noci;
cauciuni speziati, gonfi di ceci e cacao, umidi di vincotto e miele; godetevi la
scopece (pesce fritto con aceto e zafferano) frequentando fiere e mercati;
cicerchiata; pepatelli; screppelle.
Genuina e saporita nei suoi ingredienti, la cucina molisana è, dunque, frutto
dello stretto rapporto con il territorio. Una cucina legata ai prodotti della terra e
del mare, del bosco e del fiume, del pascolo e del cortile; alle tradizioni e ai riti,
alle feste e, soprattutto, ai prodotti stagionali, alle verdure, alle erbe campestri.
Una cucina che, nonostante le contaminazioni delle regioni limitrofe, rivela una
sua identità ed un forte legame con la tradizione agro-pastorale.
Piatti che riscaldano il cuore per la loro semplicità e riescono a toccare punte
estreme del gusto, grazie alla genuinità
dei prodotti.
Le paste di granoduro, quelle fresche
preparate in casa con la maestria,
l’amore di una volta e tanto “olio di
gomito”,
o
quelle
industriali,
che
conciliano genuinità e continuano a
mantenere vivo il legame con la
tradizione, sia nelle forme, sia nei
condimenti.
Il quotidiano piatto di pasta fresca,
taccozze,
recchietelle,
sagnette
e
cecatielle, condito semplicemente con
ciò che la terra offriva, legumi o
verdure, nei giorni di festa diventava più ricco.
Il Molise dal gusto antico
La pasta rinforzata dalle uova, assumeva forme diversi: cavatelli, crejuoli,
lagane, graviuole, sagne e fusilli, e veniva condita con il generoso ragù
molisano, preparato secondo un’atavica ritualità ed abbondante pecorino, il tutto
aromatizzato da peperoncino forte.
La farina di mais è l’ingrediente base della polenta o muacche dai mille
condimenti, delle pizze cotte “sotto la coppa” (insaporite con verdure e bollito di
Macina in pietra del Molino Cofelice di Matrice (CB)
Il Molise dal gusto antico
maiale) e del panrozzo, piatti emblematici del mondo contadino1.
La polenta, fino a qualche tempo fa, era l’unico pasto, preparato ogni santo
giorno dai contadini, che dovevano fare i conti con il grano e con il mais, con i
pochi ingredienti a disposizione per riuscire a superare il giro del sole. Ancora
oggi, la polenta costituisce uno dei piatti forti della cucina molisana, piatti
accattivanti, che profumano di rito e di socialità, capaci di coinvolgere in un
attimo tutti i sensi.
In anni recenti molti ristoranti
hanno riscoperto l’antica cucina
contadina e popolare con notevole
successo. Essi servono ciufele e
tanne
de
rape,
conditi
semplicemente con pancetta, aggio
ed olio; pizza e fojje, pizza di
granone cotta sulla “liscia” (pietra
del
focolare),
mista
a
verdura
campestre; taccuzzelle con fagioli,
condite
con
lardo
soffritto
ed
insaporite con peperoncino piccante;
ri sciusce, miscuglio di cereali e
legumi lessati e conditi con olio
d’oliva, sale e pepe; ri vrucchelune,
Mais Agostinello, antica varietà coltivata in Molise
broccoloni soffritti in padella, specialità di Vinchiaturo; lacce e patane, un
1
Ancora oggi il granoturco molisano costituisce un prodotto di eccellenza. Alcuni
contadini ne coltivano una preziosa qualità: quello agostinello, sgranato a mano e fatto
essiccare esclusivamente al sole. Da questo tipo di mais viene ricavata un’ottima farina
di granoturco, ideale per fare la polenta, e che costituisce un prodotto molisano di filiera
corta. In questa direzione un grande lavoro sul territorio viene realizzato dal Molino
Cofelice di Matrice (paese in provincia di Campobasso).
Il Molise dal gusto antico
zuppa di sedani e patate; sagne e fasciuole, pasta di casa con fagioli, in uso un
po’ dovunque.
I latticini, le scamorze, la stracciata, i burrini, i caciocavalli, i formaggi freschi
o lungamente stagionati, evocano i luoghi della transumanza. Rinomati i salumi
dal sapore antico: i prosciutti affumicati di Rionero Sannitico, le soppressate
tagliate a becco di clarino, le mulette di Macchiagodena, la ricercata ma
introvabile signora di Conca Casale (unico presidio SlowFood della regione
Molise), le salsicce odorose d’aglio e finocchione, gli insuperabili capocolli, la
ventricina di Montenero di Bisaccia e dei paesi dove è forte la tradizione
albanese.
Il Molise dal gusto antico
I legumi, i fagioli, i ceci, le cicerchie e le lenticchie (ottime quelle di
Capracotta, le miccole), insieme agli ortaggi arricchiscono i primi piatti a base di
pasta o costituiscono gli ingredienti di saporite zuppe.
Le carni, in particolare, quelle di agnello, di capretto e di pecora, sono
cucinate allo spiedo o a spezzatino; a ciffe e ciaffe o a casce e ova, caratteristica
preparazione delle zone del Matese ricche di allevamenti ovini, in cui i pezzi di
carne ben cotti e odorosi di erbe di montagna si amalgamano, a fine cottura, con
uova e formaggio; alla pecorara o alla monteforte, una specialità a base di
agnello farcito e cotto al forno, che si può gustare a Venafro; al cotturo, come la
pezzata, che si prepara a Capracotta con pezzi di carne di pecora insaporiti da
erbe aromatiche di montagna, o alla brigante, un piatto ti pico di
Roccamandolfi, che evoca lontane memorie. C’è, infine, la miscischia, una
preparazione a base di carne di pecora, che trova la su origine nella cucina dei
pastori e che può ancora essere gustata nei paesi dell’Alto Molise, crocevia di
itinerari di transumanza, o a Guardialfiera, sulla Valle del Biferno, o a Ururi.
Ai palati più raffinati e robusti la gastronomia molisana riserva gli abbuoti o
torcinelli, che ricordano gli gnummerieddi pugliesi: involtini ottenuti
avvolgendo le budelline di agnello intorno a pezzi di animelle, fegatino e, in
alcuni casi, ad uova sode, il tutto fortemente aromatizzato. E, ancora, le
annodate di trippa, piatto sostanzioso e dal gusto forte, preparato con strisce di
trippa di agnello o di capretto annodate con pezzetti di lardo, prezzemolo, sale e
pepe; la trippa a la cambuasciana, irrorata da una salsetta ottenuta con trito di
lardo, cipolletta fresca, carota, sedano, aglio e abbondante maggiorana;
l’allullere, trippa confezionata a piccole sfere, ripiena di interiora di agnello,
animelle, sale e pepe, nel cui brodo si cuociono i tubetti.
Il Molise dal gusto antico
La
pampanella
è
un
piatto tipico molisano. Essa
è fatta con la carne di
maiale
opportunamente
speziata
con
peperoncino.
aglio
Dopo
e
la
cottura in forno essa si
presenta di un rosso vivo, è
molto morbida e ha un gusto piccante.
Non si sa molto riguardo all’origine di questo piatto, ma il suo nome deriva
dalla parola pàmpino indicante le foglie dove la carne veniva cotta anticamente;
la denominazione esatta sarebbe, infatti, carne di maiale cotta alla pampanella.
San Martino in Pensilis è tradizionalmente legato a questa ricetta perché i
venditori di pampanella, nelle grandi feste locali, erano esclusivamente
sanmartinesi. Presumibilmente essa, una volta, veniva prodotta in casa e
consumata nel ristretto ambito familiare, poi si iniziò a commercializzarla e a
venderla nelle feste e sagre paesane locali, nella zona del Basso Molise.
Attualmente, ci sono diversi produttori e venditori di questo prodotto nel paese
basso molisano. Tuttavia la più antica testimonianza storica documentaria la si
ritrova ne “La fisica appula” di Michele Angelo Manicone, dove si descrive
l’antico metodo di cottura nella terra, e dove il piatto viene indicato come tipico
dei pastori garganici; ancora oggi in alcuni paesi del Gargano la pampanella è un
piatto tipico. Questo farebbe pensare ad un prodotto legato alla transumanza,
dato che la pampanella (ma di formaggio) esiste anche in Abruzzo.
Il sanmartinese Domenico Zurro, riconoscendone e apprezzandone la
squisitezza, come per un debito di riconoscenza, decise di immortalarla in una
composizione, che, sebbene non possa essere considerata alla stregua di una
Il Molise dal gusto antico
vera e propria poesia, ne offre però un elogio sperticato, riconoscendone tutte le
sue qualità.
A pambanelle è tutte carne de porche,
aglie e pepedineje fuorte,
dend 'u forne cacce 'u grasse
e pijje 'u sapore che nge sta paragone.
[...]
E come 'na tentazione;
pe chi a ssagge a prima vote
devende come 'na droghe
e no cchiù a po' lassà.
[...]
A pambanelle è 'na specialità,
perciò nesciune ci'a po' squerdà
e sole a San Martine a sanne fà.
Il verso finale è esplicativo del fatto che la pampanella nasca proprio in questo
paese, perché solo a San Martino (almeno così era di certo all’inizio della sua
produzione) la sanno fare (sole a San Martine a sanne fa), nel senso che
inizialmente ne conoscessero gli ingredienti e il modo esatto di prepararla e
cuocerla. Altro fatto rilevante è che sembra proprio che, come il cioccolato,
anche la pampanella crei dipendenza, quasi fosse una droga, (...come 'na
droghe).
Ricerche sulle pampanella indicano che costa molto, poiché fabbricata
esclusivamente in Molise, a San Martino. Dunque, pochi se la possono
permettere. Nel 1800 i baroni più ricchi la mangiavano a pranzo e a cena, ma
non era da offrire agli ospiti, perché era segno di inospitalità. I fabbricanti delle
Il Molise dal gusto antico
volte scendevano a compromessi: barattavano la pampanella per un oggetto caro
o prezioso, da rivendere poi ad alto prezzo.
Nel 1900 la pampanella assume una particolarità pregiata, ovvero che il
prezzo scende, è più comune, ma non ha più quel valore inospitale, e quindi è
ottima prelibatezza da offrire agli ospiti1.
1
Tutto il paragrafo è tratto dalla voce Wikipedia: Pampanella
Il Molise dal gusto antico
Il Molise dal gusto antico
I formaggi, sono legati all’allevamento ed alla transumanza: tra essi primeggia
per il gusto deciso ed unico il caciocavallo a pasta bianca, lavorato con latte
crudo; e, poi, le ricotte, le giuncate e i caci ricotta di primo sale; i pecorini
freschi o stagionati e le manteche ripiene di burro odoroso; le scamorze, le
trecce e le stracciate. Non solo: nell’agro di San Giuliano del Sannio, dal recente
allevamento di bufale, si producono mozzarelle e formaggi più o meno
stagionati, a volte conservati sott’olio.
Lungo la fascia costiera, dal pesce (quello povero che un tempo i pescatori
barattavano, e quello pregiato) si originano zuppe, brodetti e papponi, piatti nati
poveri ma dalla durevole popolarità per la straordinarietà dei sapori e la varietà
delle proposte che allettano il palato dei turisti.
Il Molise dal gusto antico
A Termoli, dove l’offerta gastronomica è tipicamente marinara, è d’obbligo
assaggiare la pescatrice ripiena al sugo che accompagna i fusilli, le taccozze con
sugo di cicale, i crostini con le cozze, il brodetto alla marinara, la zuppa di
pesce, servita nei caratteristici tegami di terracotta, e le aragoste delle Tremiti.
Lungo i fiumi, la gastronomia molisana utilizza in abbondanza pesci di acqua
dolce: le trote fario, i cavedani, i lucci; a Bojano è possibile gustare la trota alla
lucciola e al coppo; a Carovilli la trota a zuppa d’olio.
Piatti da accompagnare con il pane, la grossa pagnotta tradizionale, dorata e
croccante, a cui sono legate usanze, tradizioni e ritualità religiose. Nei forni,
insieme al pane è possibile acquistare i taralli salati, insaporiti con finocchione,
vino o peperoncino; i fiadoni, un rustico primaverile della tradizione pasquale,
ripieno di uova, formaggio fresco e tocchetti di salsiccia; i dolci tipici, quelli che
le massaie preparano nelle maggiori ricorrenze religiose; a Natale, la cicerchiata
e le ostie di Agnone, i bocconotti e i mostaccioli ripieni di marmellata di
amarene; la pigna, i casciatelli, i piccellati a Pasqua; i caragnoli, gli sfringiune
e i cauciune o cavezune a San Giuseppe (ottimi quelli di Riccia), nonché la
lunga varietà di taralli all’uovo ed al naspro.
E ancora, l’olio pubblicizzato dalle numerose Città dell’Olio, con una
produzione non elevata ma, sicuramente, di notevole qualità; e i vini, alcuni dei
quali hanno ottenuto il riconoscimento della Denominazione d’Origine
Controllata, e oggi compaiono sulle tavole di tutto il mondo. I più rinomati sono
il Montepulciano, il Cerasuolo, il Trebbiano e quelli prodotti da vitigni autoctoni
come la Tintilia.
I vini - insieme ai liquori - (il Milk, il Poncio, e il Nocino) - sono il degno
accompagnamento di un pranzo molisano.
Il Molise dal gusto antico
Questi gli ingredienti che connotano la gastronomia di una regione dal sapore
antico, dove l’allevamento e l’agricoltura possono giocare un ruolo importante
nella conservazione dei paesaggi e dei sapori.
La viticoltura molisana
Situata tra l’Abruzzo e il Tavoliere delle Puglie, la regione Molise a occidente
è protetta dalle alture del Sannio e del Matese e a oriente è bagnata dal mare
Adriatico.
È una regione piccola, caratterizzata da un territorio prevalentemente collinare
e montuoso, dove la vite ha trovato fin dal passato un ambiente assai favorevole
a quote inferiori agli 800 metri.
La viticoltura, perciò, ha sviluppato un settore produttivo di un certo interesse,
anche in relazione alla situazione
climatica
tendenzialmente
temperata,
con
buone
precipitazioni (tra i 750 e i 1000
mm
all’anno),
concentrate
soprattutto nel periodo autunnale e
invernale.
Nella denominazione di uno
degli attuali vini a Denominazione
di Origine Controllata, il Pentro di
Isernia, c’è il riferimento al
popolo che anticamente avrebbe
abitato questo territorio, i Pentri,
coloro che rappresentavano il
Il Molise dal gusto antico
ramo più importante dei Sanniti e avevano come capital Bojano. Attualmente
questa Doc è utilizzata da un’unica azienda vinicola molisana, situata nella
provincia di Isernia.
C’è chi sostiene che il termine “Pentri” contenga la stessa radice del celtico
“Pen” che significa sommità; il che avvalora la definizione riferita ai Pentri di
“popolo delle montagne”.
Dal punto di vista viticolo, la superficie vitata del Molise si attesta attualmente
intorno ai 6000 ha totali, con predominanza nella provincia di Campobasso
rispetto a quella di Isernia1.
La produzione annua di vino è vicina ai 255.000 ettolitri2.
La limitata qualificazione della produzione vitivinicola molisana, trova
conferma anche nel numero delle denominazioni di origine: solo 3 Doc,
accompagnate da due Igt.
Si scontano oggi alcune scelte compiute nel passato, ispirate più alla volontà
di produrre quantità che qualità e che hanno fatto prevalere tra le forme di
allevamento di gran lunga la controspalliera e il tendone.
I vitigni più coltivati sono il Montepulciano, il Sangiovese e l’Aglianico tra
quelli a bacca nera e il Trebbiano toscano, il Bombino bianco e la Malvasia del
Chianti tra le varietà bianche.
Si tratta di vitigni capaci di produrre uve e vini di qualità ma, devono essere
posti in condizioni pedoclimatiche adeguate e le tecniche colturali devono essere
rigorosamente e tecnicamente irreprensibili.
Questa considerazione, unitamente alla constatazione che negli ultimi anni la
piattaforma ampelografica molisana si è arricchita di vitigni di provenienza
estera e di indubbia potenzialità qualitativa (Chardonnay, Cabernet, Pinot),
1
2
Dati ISTAT, riferiti all’anno 2011.
Dati ISTAT, riferiti all’anno 2011.
Il Molise dal gusto antico
consente di progettare un futuro con altre prospettive.
Da qualche anno a questa parte l’obiettivo è stato quello di insistere sul
cambio di orientamento negli atteggiamenti colturali, a cominciare dalla scelta
dei terreni, dei vitigni, e dei sistemi di allevamento, preferendo varietà e metodi
meno produttivi, e che rispondono alle richieste del mercato.
La struttura delle denominazioni di origine ha già beneficiato di un primo
sostanziale intervento: alle due Doc in vigore è stata affiancata negli ultimi anni
la denominazione di territorio “Molise o del Molise”, nella quale sono state
recepite le produzioni sia di vitigni tradizionali (come per esempio la “Tintilia”,
sinonimo del “bovale grande nero”), sia di varietà internazionali coltivate in una
zona di origine molto ampia, fatta da una settantina di comuni delle province di
Campobasso e Isernia.
Le Doc storiche Biferno (rosso, rosato e bianco) prodotto in provincia di
Campobasso, esclusivamente da varietà tradizionali (Montepulciano, Trebbiano
toscano, Aglianico, Bombino bianco e Malvasia bianca) ed il Pentro o Pentro di
Isernia, anch’esso delle tre precedenti tipologie e ottenuto con l’apporto di
Montepulciano e Sangiovese per il rosso e il rosato, e di Bombino bianco e
Trebbiano toscano per il bianco1.
DOC Molise
Questa Denominazione di Origine Controllata comprende l’intero territorio
della regione Molise, considerato che si tratta di una regione piccola e piuttosto
omogenea territorialmente.
Novità importante di questa nuova Doc è l’introduzione del vino “Tintilia”,
1
Per un approfondimento sulla viticoltura molisana, si veda: Michele Tanno, Vite e vino
nel Molise, Campobasso, Editrice Lampo, 1997.
Il Molise dal gusto antico
vitigno autoctono molto interessante e da valorizzare1.
I vini devono essere ottenuti dai corrispondenti vitigni per almeno 1’85%;
possono concorrere alla produzione anche le uve di varietà a bacca di colore
analogo, raccomandate e autorizzate per le rispettive province di Campobasso ed
Isernia.
Il Molise Doc viene prodotto nelle seguenti tipologie:
Aglianico, Moscato bianco, Cabernet Sauvignon, Pinot Bianco, Chardonnay,
Sangiovese, Falanghina, Sauvignon, Greco bianco, Trebbiano, Montepulciano,
Tintilia.
Numerosissime sono le varietà dei vini a Doc “Molise” o “del Molise”, dal
tipo Novello, a sei tipologie di bianchi, ai tre Moscati dolce, spumante e passito,
e quattro rossi più due con la menzione riserva per l’Aglianico e la Tintilia.
I vitigni autoctoni molisani:
Il Moscato
Il Moscato giallo è il vitigno tradizionale del Molise, pur tuttavia nel passato,
sebbene sia stato presente un po’ in tutti i comuni, era coltivato maggiormente a
Montagano, Macchiagodena, Macchiavalfortore, Poggio Sannita, Belmonte ed
altri luoghi nei quali ancora sussiste qualche vecchio ceppo della varietà.
In Molise si hanno notizie sul moscato già prima dell’occupazione da parte dei
Romani, data la vicinanza e i contatti delle popolazioni locali con i coloni greci,
che avevano introdotto il vitigno in Italia. Da allora questo vitigno è stato
presente prima presso i villaggi sannitici e nelle ville romane, poi nei conventi
delle corti feudali, ed infine, dopo l’affrancamento della proprietà terriera,
1
La Denominazione di Origine Controllata “Molise” o “del Molise” – Tintilia – è stata
riconosciuta con decreto del dirigente del Comitato Nazionale per la Tutela e la
Valorizzazione delle Denominazioni di Origine e delle Indicazioni Geografiche Tipiche
dei Vini, del 18 maggio 1998.
Il Molise dal gusto antico
sempre più diffusamente nel territorio molisano. Sono tre le tipologie di moscato
maggiormente coltivate in regione: il “Moscatello giallo”, il “Moscatellone
nero” e il “Moscato bianco di Terracina”. L’uva a maturazione si presenta con
grappolo caratteristicamente spargolo, alato, di grandezza media; l’acino è
sferoidale con buccia consistente, color giallo carico nella parte esposta al sole,
con macchie brunastre, molto pruinoso. Il profumo dell’uva e del vino è molto
intenso e caratteristico. Attualmente sono stati impiantati ceppi di Moscato
giallo soprattutto nel Basso Molise. Questo vino dolce ed aromatico dalle
promettenti potenzialità, si produce sotto la denominazione “Molise” o “del
Molise” nelle varie tipologie anche passito e spumante.
La Tintilia
La Tintilia è da considerarsi il vitigno più intimamente legato alla storia e alla
tradizione della civiltà contadina del Molise. La sua area
originaria di diffusione comprendeva buona parte del territorio
interno ed alcune zone della Campania e dell’Abruzzo.
Quest’antico vitigno, che appartiene al gruppo ampelografico
delle “tintorie” (varietà a bacca rossa, con succo e buccia
molto colorati), è stato in passato uno dei pilastri della
viticoltura molisana.
La caratteristica principale dell’uva risiede nella sua notevole carica di
sostanze coloranti e tanniche, che sono trasmesse integralmente al vino, il quale
da giovane assume riflessi nero-violacei.
In passato l’uva era raccolta e vinificata soprattutto in purezza per ottenere un
vino molto robusto, alimento tipico e indispensabile per tutte quelle persone che
svolgevano lavori particolarmente pesanti. Con la Tintilia si producevano anche
vini di “pronta beva”, vino naviello o navellato, cioè vino novello, combinata ad
Il Molise dal gusto antico
altre uve bianche e nere.
L’origine della vite Tintilia (Tintiglia o Tentiglia – tingere - per la proprietà
del vino di macchiare di rosso scuro la tovaglia o qualunque indumento) è
tuttora incerta.
Una prima ipotesi avanzata è quella che la fa derivare da qualche ceppo della
varietà sarda conosciuta con i1 nome di “Bovale Grande”; altre ipotesi dal
“Piedirosso” campano o dal “Colorino” toscano. La possibilità che sia arrivata
in Molise nella seconda parte del 1700, sotto la dominazione spagnola dei
Borboni, è forse la più attendibile.
Questa nuova varietà si acclimatò così bene per le sue notevoli doti di
adattamento, da diffondersi sul territorio molisano così rapidamente che, alla
fine del 1800, era senza dubbio la varietà maggiormente coltivata in tutto il
contado del Molise.
Nel dopoguerra si è assistito invece ad un progressivo abbandono delle vigne,
proprio nelle zone di antica coltura della Tintilia, e alla sua estirpazione, tanto
che lo schedario vinicolo compilato nel 1998, riportava che la presenza del
vitigno era di circa i12% nella provincia di Campobasso, e del 5% circa nella
provincia di Isernia. Oggi grazie anche al riconoscimento della Doc “Molise”, si
spera di riportare la produzione di Tintilia a livelli più significativi, e soprattutto
di recuperare appieno la cultura e la tradizione di questo vitigno autoctono
molisano di grande valore1
1
Per un approfondimento sulla Tintilia, si veda il preziosissimo volume: Tintilia del
Molise, a cura di Michele Tanno, Campobasso, Regione Molise-Assessorato
all’Agricoltura e Foreste, 2009.
Il Molise dal gusto antico
L’Olio del Molise
Nel 2003 è arrivata in Molise la Dop, il riconoscimento comunitario per la
denominazione di origine protetta dell’olio extravergine di oliva.
Una lunga attesa che premia un territorio assolutamente vocato e da
conoscere: siamo in presenza di una superficie di circa 13.000 ettari olivati, oltre
364.000 quintali di olive, una produzione di circa 55.000 quintali di olio, circa
130 frantoi1.
Nella zona di Venafro la
varietà
più
pregiata
e
conosciuta è la “Licina”, dal
nome dell’agricoltore toscosannita
Marco
indicato
dalla
Licinio,
tradizione
come colui che introdusse la
coltivazione
dell’olivo
in
queste terre.
La varietà autoctona più
conosciuta è la “Gentile di
Larino”,
circa
che
rappresenta
un
terzo
dell’olivicoltura
molisana,
con una maggiore diffusione
nelle
colline
di
nord-est
affacciate sul mare e sulla
piana di Larino.
1
I dati si riferiscono all’anno 2012. Fonte: www.ercoleolivario.net
Il Molise dal gusto antico
Accanto alle varietà tradizionali del centro Italia, altre autoctone – “Curina”,
“Olivastra”, “Cerasa di Montenero” - in oliveti dislocati nelle altre aree a
maggior vocazione: la già menzionata piana di Venafro e la Valle del Biferno.
Una situazione dinamica, con molte nuove realtà, anche cooperative, che si
affiancano ad aziende di consolidata tradizione: tutte decise a puntare su un
prodotto di alta qualità.
Riferimenti storici
L’olivo è da sempre parte integrante del patrimonio storico, economico ed
ambientale del Molise; la sua presenza accompagna e caratterizza l’intero
territorio molisano.
La coltura dell’ulivo nel Molise è ampiamente documentata nella letteratura
latina.
La più antica citazione risale agli inizi del II sec. a.c., ed è attribuita a Catone
il Vecchio. Ma gli elogi e le lodi sono venute anche da Marrone, Plinio, Orazio,
Cicerone ed altri ancora.
Interessante risulta essere la testimonianza della presenza della coltivazione
nel frentano, che viene resa da Livio negli Annales, e la coniazione di monete
(87°C.) nella zecca di Larino, con effige di Minerva recante un ramo di olivo.
La rinomanza e la notorietà degli oli del Molise sono state affermate sin da
tempi remoti da diversi autori.
In particolare all’epoca dei romani li troviamo menzionati e decantati da
Catone il Prisco nel Trattato “De re rustica”, da Plinio in “De Oleo” e da Orazio
nelle sue “Satire”.
Anche Cicerone, nella “Pro Cluentio” loda la laboriosità dei Larinati (abitanti
del territorio di Larino) e la fertilità della loro terra. D’altronde il territorio ben si
adatta alla coltivazione dell’olivo che, nel corso dei secoli, si è specializzata
Il Molise dal gusto antico
caratterizzandosi in alcune pregiate varietà come la “Aurina”, la “Gentile di
Larino” la “Rosciola” e la “Oliva nera di Colletorto”, che sono il vanto di interi
territori, e sono intimamente legati alla zona geografica in cui si sono distinte.
In epoche successive il pregio dell’olio del Molise trova ulteriore riscontro
negli scritti dello studioso salentino del 1700 Giovanni Presta, il quale ricorda
come in passato fosse riservato ai palati “più delicati, più schifiltosi e ricchi”.
Il Tartufo nel Molise
Il Molise ha il primato, spesso sconosciuto ai non addetti al settore, di essere
la regione italiana più ricca di tartufo, in particolare di quello bianco (Tuber
magnatum Pico). Si stima che il 40% della produzione di tartufo in Italia
provenga dalla piccola regione. Un dato significativo, sicuramente condizionato
dalla
qualità
dell’habitat
naturale
ancora
incontaminato,
ideale
alla
proliferazione di questo fungo pregiato.
San Pietro Avellana,
Carovilli,
Agnone,
Fossalto
questi
e
i
molisani
Riccia:
comuni
in
cui
si
producono le maggiori
quantità di tartufo, ma
lo si può raccogliere
nell’intero
molisano.
Nel Molise si raccoglie e si commercializza soprattutto:
-Tuber brumale Vittadini o tartufo nero invernale (trifola nera);
territorio
Il Molise dal gusto antico
-Tuber magnatum Pico o tartufo bianco pregiato: è considerato il tartufo per
antonomasia poiché è il più grande tra i tartufi commestibili e anche il più
pregiato. Mediamente arriva a pesare dai 250 ai 500 grammi. Il colore varia
dall’ocra pallido al crema scuro fino al verdastro. La sua polpa o gleba è bianca
o giallo-grigiastra con sottili venature bianche. Il suo profumo aromatico e
gradevole lo rende superiore a qualsiasi altro tartufo, per questo motivo è da
sempre il più ricercato e costoso. Vive in simbiosi con pioppo, salice, quercia,
tiglio. Si raccoglie da ottobre a dicembre;
-Tuber aestivum Vittadini o tartufo d’estate (scorzone);
-Tuber albidum Pico (Tuber Borchii Vittadini o tartufo bianchetto);
-Tuber brumale var (Moschatum De Ferry o tartufo moscato);
Tuber mesentericum Vittadini o tartufo nero ordinario (tartufo di Bagnoli).
I formaggi del Molise
Burrino
Il Burrino o la Manteca è costituito da un nucleo centrale di grasso estratto
dalla ricotta del siero o burro derivato dal processo di zangolatura, rivestito da
pasta filata, entrambi derivanti dalla lavorazione del Caciocavallo podolico o da
razze miste.
Il siero, trasferito in una caldaia, viene riscaldato fino all’affioramento della
“manteca” o “prima ricotta”. Questa si lascia riposare in un panno fino al giorno
seguente quando viene lavorata in un recipiente, con acqua prima calda e poi
fredda, in modo tale da consentire la separazione del grasso e il suo
rassodamento. Le “palle” di Manteca vengono poi rivestite con la pasta filata.
La produzione di questo formaggio in passato rappresentava un sistema di
conservazione del grasso del latte.
Il Molise dal gusto antico
È di colore bianco o giallo paglierino, ha un sapore dolce e viene consumato
come prodotto da tavola. Prodotti simili sono ottenuti anche in altre regioni quali
Puglia e Basilicata e Campania.
Latte: Vaccino
Caglio: in pasta di agnello
Pasta: grassa, filata esternamente, cremosa all’interno
Facce: lisce, con un diametro di 6-8 cm
Spessore/peso: 10-12 cm / 150-250 gr
Territorio: tutto il territorio Molisano, in particolare Matese ed Alto Molise
Caciocavallo dell’Alto Molise
Il caciocavallo di questa zona particolarmente vocata, che comprende i
comuni di Vastogirardi, Capracotta, Agnone, si produce riscaldando il latte a 37
gradi ed aggiungendo caglio in pasta di agnello o capretto a seconda della
piccantezza che si vuole ottenere: la coagulazione avviene in circa 50 minuti.
Dopodiché si procede ad una prima grossolana rottura della cagliata e a una
estrazione parziale del siero. Quindi si rompe in grani piccolissimi e si lascia
maturare la massa in siero caldo (45-50 gradi) per parecchie ore. Dopo aver
liberato la cagliata dal siero residuo si taglia la pasta a fette, la si colloca in
acqua calda a 80 gradi e si dà inizio alla filatura. Quando la massa è
sufficientemente elastica la si modella in forma di grossa pera, che viene poi
immersa in un bagno di salamoia, per un periodo variabile dalle 12 alle 20 ore.
I caciocavalli vengono legati a coppie e posti a maturare in ambiente fresco e
ventilato per circa 20 giorni. A questo punto ha inizio la stagionatura che
tradizionalmente viene effettuata in grotte naturali, a temperatura costante, per
un tempo che varia da tre mesi ad un anno.
Latte: Vaccino
Caglio: in pasta di agnello o di capretto
Crosta: liscia, sottile, dura, di colore marrone chiaro
Il Molise dal gusto antico
Pasta: compatta, con eventuali rare fessurazioni, di colore paglierino di varia intensità
Facce: curve, con un diametro di 16-22 cm
Spessore/peso: 18-28 cm / 1,5-3 kg
Territorio: tutta la regione ed in particolare l’Alto Molise
Caprino di Montefalcone del Sannio
Il formaggio di capra è prodotto un po’ in tutta la regione, dove sono presenti
allevamenti prevalentemente bradi, ma in particolare a Montefalcone del Sannio
è molto rinomato quello ottenuto a latte crudo dalla razza autoctona, la “Capra
di Montefalcone”. Al latte scaldato a 38°C viene aggiunto il caglio che viene
lasciato coagulare per circa 30 minuti. Quando la cagliata raggiunge una buona
consistenza, viene rotta in grani fini e lasciata precipitare sul fondo portando
contemporaneamente la temperatura a 42°C. Quando la massa si è concentrata,
viene prelevata dalla caldaia e pressata nelle fuscelle di giunco; queste vengono
poi calate interamente nel siero bollente della lavorazione della ricotta. Le forme
così ottenute vengono salate a secco per 24 ore.
La produzione si protrae da aprile a settembre, la maturazione avviene in
tradizionali cascere appese sotto al soffitto, per un periodo non inferiore a due
mesi, in cantine fresche ed areate.
Latte: Caprino
Caglio: di capretto
Crosta: lievemente rugosa, di colore giallo paglia
Pasta: tenera, umida, di colore bianco gesso
Facce: piane, con un diametro di 15-17 cm
Spessore/peso: 6-8 cm / 500-600 gr
Territorio: l’intero territorio regionale ed in particolare il Comune di Montefalcone del
Sannio
Pecorino di Capracotta
E’ un formaggio di origini molto antiche, addirittura risalente ai Sanniti,
popolo che aveva colonizzato questo territorio. Al latte riscaldato fino a 37 gradi
Il Molise dal gusto antico
viene aggiunto il caglio e dopo 20-30 minuti circa, quando il coagulo ha
raggiunto la consistenza desiderata, si esegue una rottura piuttosto spinta fino a
raggiungere le dimensioni di un chicco di riso. Quando la pasta si è raccolta, si
opera una semi cottura a 42-45 gradi per qualche minuto e poi si passa alla
messa in forma. Una volta eseguita la scottatura, si fa una salatura a secco.
L’odore è intenso; il sapore è piccante, se il formaggio è stagionato. È molto
apprezzato quando viene cucinato indorato e fritto.
Latte: Ovino
Caglio: in pasta o liquido di agnello o di capretto
Crosta: dura, compatta, di colore giallo-marrone
Pasta: grassa, dura, semi cotta, di colore paglierino
Facce: piane, con un diametro di 14-22 cm
Spessore/peso: 4-9 cm /1-2,5 kg
Territorio: i comuni di Capracotta, Agnone, Carovilli, Vastogirardi, San Pietro
Avellana, Pescopennataro
Scamorza molisana
Il latte è di razza Bruna alpina, genericamente allevate al pascolo brado. La
tecnica è sostanzialmente quella per la produzione del caciocavallo, a pasta
filata, con una temperatura più bassa dell’innesto del caglio, che avviene a 32-36
gradi, mentre la temperatura dell’acqua di filatura è leggermente più alta.
Dopo la normale filatura, i pezzi vengono modellati a mano a forma di pera
con testina mozzata.
La salatura si esegue in salamoia per 20 minuti, quindi legate a coppie
vengono poste ad asciugare, tradizionalmente vengono consumate in fretta o
dopo qualche giorno, con una consistenza che diventa sempre più asciutta.
Fresche, le scamorze, rilasciano al taglio residui di latticello.
Sono ottime consumate alla brace.
Il Molise dal gusto antico
Latte: Vaccino
Caglio: in pasta di vitello o capretto
Pasta: filata, morbida e compatta, di colore giallo paglierino
Facce: lisce, a pera caratteristiche
Spessore/peso: 6/7 cm / 150-200 gr
Territorio: l’intero territorio regionale, pregiate quelle dell’Alto Molise
Stracciata
Il latte crudo viene scaldato fino alla temperatura di 37 gradi e poi coagulato
in 20-30 minuti mediante aggiunta di caglio di vitello. La cagliata è rotta in
granuli delle dimensioni di un chicco di mais e lasciata raffreddare per una o due
ore. Una volta matura, la pasta viene tagliata e filata in modo tale da ottenere
delle strisce di pasta filata che, raffreddate in acqua e salate in salamoia,
vengono ripiegate su loro stesse e confezionate in pezzi da circa mezzo chilo.
La stracciata è un formaggio che si consiglia di mangiare subito come
prodotto da tavola, tal quale, accompagnato da insaccati quali salame, prosciutto
e soppressate o anche con contorni quali: insalate, pomodori, rucola.
Se conservata per qualche giorno si “stracchina”, diventa cioè spalmabile e
gustosa.
Latte: Vaccino
Caglio: liquido o in pasta di vitello
Pasta: filata, morbida, di colore bianco avorio
Facce: lisce, piane
Spessore/peso: 2 cm / 400-500 gr
Territorio: il comune di Agnone e l’intero territorio dell’Alto Molise
Il Molise dal gusto antico
I salumi del Molise
Capicollo
Chiamato Capicollo o Capocollo, questo salume, la cui denominazione deriva
appunto dall’utilizzo della parte superiore del collo, ma anche del dorso del
maiale fino alla sesta vertebra, è tipico di tutta l’area centro - meridionale.
Il tipo molisano utilizza un taglio di carne di circa 2,5 kg e di lunghezza pari a
30/40 centimetri, e dieci di diametro, ed utilizza peperoncino, pepe nero, vino
bianco, velo della sugna e budello.
Il pezzo di carne viene ben rifilato al coltello per fargli assumere la tipica
forma cilindrica e posto in una bacinella a salare e a riposare per alcuni giorni.
Lavato abbondantemente con vino bianco locale, asciugato con canovacci,
viene ricoperto di pepe nero macinato o peperoncino dolce e/o piccante.
Avvolto nella pelle che avvolge la sugna dell’intestino del suino, ed inserito in
una doppia rete di spago, e quindi, messo a stagionare. Il periodo di produzione
va da novembre a gennaio. Al taglio si presenta di colore rosso carico con
tipiche striature di grasso. La stagionatura dura almeno tre mesi, ma ottimali
sono 90, fino a 150 giorni in locali areati ed asciutti.
Cotechino
Si tratta sicuramente dell’insaccato da cuocere più diffuso in Italia.
Accompagnato dal classico contorno di lenticchie, è legato tradizionalmente,
nelle tavole del nostro paese, al cenone di fine anno.
Il nome deriva dalla presenza nell’impasto della cotenna di maiale (la cotica,
appunto) in proporzioni variabili, un tempo, la percentuale era addirittura del
50% (il resto è costituito da tagli diversi), carne di secondo taglio, grasso, alloro,
buccia di arancia, semi di finocchio selvatico, aglio, budello, peperoncino e/o
pepe, sale.
Il Molise dal gusto antico
Le odierne abitudini alimentari hanno inevitabilmente portato a una modifica
delle proporzioni: oggi, i cotechini non ne contengono più del 30%.
La cotica liberata dal grasso viene lessata e passata al tritacarne, come la
carne, quindi il trito viene aromatizzato e ed amalgamato, quindi insaccato in
budello naturale.
Il periodo di produzione va da novembre a gennaio.
La Muscisca
La muscisca (o misciska, o micischia) è un salume anomalo, ma meritevole di
essere ricordato per lo straordinario legame con un territorio molisano e comune
anche a quello di altre aree legate alla transumanza nella fascia appenninica
abruzzese, pugliese e marchigiana.
La sua produzione è oramai decisamente esigua.
La tradizione nasce con la necessità di conservazione delle carni in un’epoca
in cui non esistevano frigoriferi.
Carni piuttosto magre di pecora o capra (a volte erano usate anche le carni
bovine), una volta disossato l’animale, erano tagliate in pezzi lunghi 20-30 cm e
dallo spessore di 3-4 cm.
Erano salate e insaporite con peperoncino piccante, finocchietto selvatico e
aglio, quindi esposte al sole o all’aria (coperte per evitare l’assalto degli insetti)
per qualche settimana fino alla completa essiccazione.
Durante la transumanza, all’occorrenza, pezzi di carne erano scaldati e magari
aromatizzati con erbe spontanee di campo. Ancora oggi per indicare
spregiativamente un pezzo di carne dura si utilizza il termine di misciska, eco
non lontanissimo di privazione e indigenza, trasformata in singolare esperienza
gustativa.
Il Molise dal gusto antico
La produzione di questo salume è presente in alcune località molisane, in
particolare a Capracotta.
Salsiccia di fegato
E’ uno degli insaccati più diffusi nel Molise; è comune anche al vicino
Abruzzo, con varianti locali e differenze nelle modalità di conservazione si
distingue quella di Rionero Sannitico (IS).
La tecnica di preparazione più comune prevede di passare due volte al
tritacarne il fegato, il cuore e i polmoni del maiale.
Il macinato è poi steso su un tavolo, possibilmente di marmo o di legno, e
cosparso uniformemente di sale, pepe (variante molto diffusa il peperoncino),
aglio, buccia d’arancio e alloro, tagliati finemente.
Le budella di maiale sono pulite accuratamente, passate in aceto e sale,
sciacquate e asciugate con un canovaccio: riempite dell’impasto, sono legate con
uno spago sottile ogni dieci centimetri.
Le salsicce così ottenute sono messe ad asciugare sotto un camino, appese a
una canna, e lasciate così per quattro-cinque giorni.
La stagionatura, in un luogo fresco e umido, dura circa un mese. Se invece si
decide di passare direttamente alla conservazione, le salsicce sono tagliate a una
a una, disposte in un barattolo di vetro, e coperte con olio di oliva o strutto di
maiale.
Il periodo di produzione va da novembre a gennaio.
La Signora di Conca Casale
È sicuramente uno dei salumi meno conosciuti della regione, prodotto nel
piccolo centro tra i monti sopra Venafro. La sapienza produttiva è affidata a
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poche anziane signore che continuano a realizzare questo straordinario salume,
oggi tutelato da un presidio Slow Food e dalla comunità locale.
Le materie prime sono quelle derivate dal filetto e dalla spalla del maiale, il
lardo della pancetta e del dorso. Tutto viene tagliato a punta di coltello e lasciato
maturare per qualche ora dopo aver conciato il composto con pepe nero in grani,
coriandolo, peperoncino rosso in polvere e finocchietto selvatico.
Il budello cieco del maiale viene lavato accuratamente con farina grezza di
mais rosso, arance, limoni, aceto e vino. Il composto viene quindi insaccato
sapientemente nell’intestino con grande perizia aiutandosi con una macchina a
imbuto. Legato accuratamente viene posto ad affumicare in idonei locali
curandolo con grande attenzione.
La Signora è prodotta nei periodi più freddi dell'inverno e la maturazione
ottimale avviene dopo non meno di sei mesi. Si consuma piacevolmente in
estate in grandi fette.
Il Presidio intende stimolarne la produzione, garantendo il recupero delle
capacità manuali frutto di sapienza tramandata e alla base della qualità del
salume, il recupero della redditività produttiva e dell'attività dell'allevamento
suino.
La Ventricina di Montenero di Bisaccia
Tradizionalmente, le parti nobili del maiale, tagliate in grossi pezzi, erano
insaccate nel ventre del maiale. Si ottenevano palloni di carne di dieci, undici
chili.
Per produrre la ventricina si utilizzano carni suine di grandi qualità.
Un tempo si macellavano maiali neri o rossi semibradi; oggi si acquistano a
primavera le razze più diffuse, allevate in casa sino al periodo della
macellazione.
Il Molise dal gusto antico
Le parti nobili (cosce, lombo, spalle), separate, mondate, disossate e private
delle parti più dure, sono sezionate in piccoli pezzi di due-tre centimetri. Dopo
aver riposato una notte, sono conditi con sale, polvere di peperone dolce e,
talvolta, finocchietto selvatico e poco pepe.
L’impasto è insaccato nella vescica e ben pressato: si ottiene una palla di unodue chili che sarà posta nella rete, legata con lo spago e appesa ad asciugare per
una settimana in una stanza col camino acceso.
Dopo l’asciugatura, la ventricina stagiona in un ambiente ventilato e fresco per
sei-sette mesi.
Al terzo mese si pulisce la superficie esterna dalle muffe e si ricopre con lo
strutto. Si consuma dopo sette-otto mesi, tagliata grossolanamente a punta di
coltello.
Il periodo di produzione va da novembre a marzo.
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“I Ciell” di Civitacampomarano
Per “i ciell” si intendono i biscotti preparati con gli stessi ingredienti a forma di
anello ed a ferro di cavallo, per le “cornacchie” quelli a forma di uccello, le
“zite” quelli a forma di bambole, che si preparavano in occasione dei matrimoni
e di altre feste familiari.
“i
ciell” di Civitacampomarano a Denominazione Comunale di Origine,
vengono identificati dal logo De.Co., che è assegnato a coloro che ne facciano
apposita richiesta dietro presentazione di autocertificazione e di dichiarazione
attestante di essere in regola con il Regolamento istitutivo della De.Co. e con il
presente disciplinare.
Con la De.Co. si mira a favorire lo sviluppo di una rete di piccoli produttori
artigianali qualificati.
Il dolce può essere prodotto, in qualsiasi periodo dell’anno da laboratori
abilitati, pasticcerie e forni siti in agro di Civitacampomarano, sempre nel
rispetto di quanto previsto dal disciplinare di produzione.
Il Molise dal gusto antico
Notizie storiche
Questi dolci, tempo fa, si preparavano nelle famiglie solo in occasione delle
feste, in particolare nei matrimoni, oggi si producono durante tutto l’anno.
Con molte varianti tra gli ingredienti, forme e nomi diversi essi sono diffusi in
molti paesi della provincia di Campobasso, anche in quelli Slavi ed Albanesi.
Gli elementi che sono necessari per l’esecuzione della ricetta de “i ciell” che li
caratterizzano sono quelli a disposizione, anche una volta, delle famiglie
molisane ad eccezione delle spezie, del cioccolato, del cacao, degli agrumi (in
tempi più recenti dei liquori) che si acquistavano o scambiavano, con i prodotti
della campagna nel negozio del paese provvisto di merci diverse.
Uno degli ingredienti, molto particolare che caratterizza questi dolci tipici di
Civitacampomarano è il mosto cotto, che insieme al miele era il dolcificante più
diffuso. Conosciuto e prodotto già anticamente nel mondo romano è citato nel
De re coquinaria testo di cucina attribuito ad Apicio, autore classico vissuto nel
IV° secolo d.C.
E’ citato anche nei ricettari medioevali del 1300, dove si consiglia di usare il
mosto cotto la “sapa” con carni o pesci, ma anche per i dolci, esattamente come
si fa da noi.
In entrambe le testimonianze la preparazione è identica a quella di oggi, una
lunga ebollizione per ridurre ad 1/3 il succo di uva fresca.
E’ interessante il legame che intercorre tra cucina ed artigianato, l’abitudine e
la tradizione di usare attrezzature di usare attrezzature ed utensili particolari, in
questo caso quelli di legno: “ a mes” – “ u tavelier”” – “u cannellucc” – “ a
cucchiar”, quelle di rame come “u cavedar”, quelli di ferro smaltato o di
terracotta, come le insalatiere, come le “pizzicarole” una diversa dall’altra,
adatte a decorare. Molto diffuse e ricercate in Paese erano e lo sono tutt’ora
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anche se introvabili, quelle realizzate dal Sig. Lorenzo Mazziotta e del Sig.
Nicola Caprara, valenti artigiani del ferro battuto.
Caratteristiche del prodotto finito
“i ciell” di Civitacampomarano De.Co, come prodotto finito presenta le
seguenti caratteristiche: la particolare friabilità, il colore leggermente "dorato"
, la “mollica” del ripieno umida e morbida emana un aroma che deriva dalla
presenza del mosto cotto, del miele, delle spezie e delle bucce di agrumi.
La superficie si presenta armonicamente decorata con la “pizzicarola”. Il
prodotto anche dopo alcuni giorni presenta morbidezza e profumo del ripieno,
friabilità dell’involucro esterno.
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Riferimenti bibliografici
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Campobasso, Provincia di Campobasso, 2006.
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• Lombardi, Anna Maria – Mastropaolo, Rita, La cucina molisana,
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• Murolo, Luigi, Il libro del brodetto, Vasto, Editrice Il Nuovo, 2007.
• Nocera, Enzo – Nocera Mastropaolo, Rita, Mangiar per sagre. Guida ai
sapori delle feste del calendario molisano. Luglio, agosto, settembre,
Ferrazzano, Edizioni Enne, 2003.
• Nocera, Enzo, Memorie del gusto. Viaggio alla scoperta dei profumi e dei
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• Race, Gianni, La cucina del mondo classico, Napoli, Edizioni Scientifiche
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Il Molise dal gusto antico
• Tanno, Michele, Grano e civiltà rurale del Molise, Campobasso, Editrice
Studio Emme, 2006.
• Tanno, Michele, Vite e Vino nel Molise, Campobasso, Editrice Lampo,
1997.
Webgrafia
• Comune di Civitacampomarano: www.comune.civitacampomarano.cb.it
• Associazione Keste Terre: www.kesteterre.it
• Molise Cucina Regionale: http://molise.cucinaregionale.net
• Ass. al Turismo Regione Molise: www.regione.molise.it/web/turismo
• Slow Food Abruzzo e Molise: www.slowfoodabruzzo.it
• Italia.it Regione Molise: www.italia.it/it/scopri-litalia/molise.html#box_1
• Discover Molise: www.discovermolise.com
• Il Tartufo Molisano: www.iltartufomolisano.com
• Fiera Nazionale del tartufo bianco molisano: www.fieratartufomolise.com
• Butta la pasta (cucina molisana): www.buttalapasta.it/s/cucina-molisana
• Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Categoria:Cucina_molisana
• Cucina e Ricette: www.cucinaericette.it/cucina-molisana.asp
• Agricamping: www.agricamping.it/cucina_tipica_molisana.htm
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• Premio Nazionale Ercole Olivario: www.ercoleolivario.net
• Ventricina.com: www.ventricina.com
• Ricetta della pampanella: www.cucinaericette.it/ricetta-pampanella.asp
• ARSIAM: www.arsiam.it
• AIS Molise: www.aismolise.it
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Nota sull’autore
Angelo Sciaudone è napoletano, ma da qualche anno, molisano d’adozione.
Laureatosi in Scienze Politiche, si è specializzato in Relazioni Internazionali,
conseguendo un Master presso l’Università di Bologna.
E’ giornalista pubblicista, ed è da sempre appassionato di enogastronomia.
In questo settore ha maturato esperienze lavorative sia in Italia sia all’estero: in
Irlanda, ha lavorato come Project Manager per la società Flavour of Italy,
specializzata in cultura enogastronomica della regione Molise; in Molise ha lavorato
per diverse società nel settore agro-industriale; in questo periodo il suo lavoro si
concentra sulla produzione e sulla commercializzazione di alimenti senza glutine.
E’ il fiduciario della condotta Slow Food di Campobasso, socio AIS (Associazione
Italiana Sommelier) e socio dell’Associazione Culturale Agrituristica “Keste Terre”.
Ringraziamenti
- Paolo Di Paolo, Presidente Regionale “Keste Terre Molise”
- Claudio Leone, Direttore Generale del Consiglio Esecutivo “Keste Terre”
- Enzo D’Aulerio, Vice Presidente Regionale “Keste Terre Molise”
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- Donatella Di Stefano, Tesoriere Nazionale “Keste Terre”
- Miriam D’Ascenzo, Segretario Regionale “Keste Terre Molise”
- Massimiliano Monaco, Direttore Comunicazione Web Regionale “Keste Terre
Molise”
- Antonella Francioni, Responsabile Amministrativo del Consiglio Esecutivo
Regionale “Keste Terre Molise”
- Dr. Angelo Sciaudone, Portavoce Regionale “Keste Terre Molise”
- Massimo Di Stefano, Socio Fondatore “Keste Terre”.
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Volume realizzato grazie al contributo della
Regione Molise Assessorato alle Politiche Agricole
Comune di Civitacampomarano
Piazza Municipio n° 13 – 0874.748103
www.comune.civitacampomarano.cb.it –
[email protected]
www.turismo-civitacampomarano.it
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