Manuela Alterini Giada Barbaglia Emanuela Beggiato Anna Eccher Desirèe Gatti Caterina Masé Paola Agnese Mauri Dare alla luce , accogliere al mondo ANNO 2010 | 1A EDIZIONE | CONCORSO LETTERARIO Marilena Pedroni Bruna Pistelli Alessandra Zucchelli Raffaella Caldonazzi Letizia Isabella Chesi Monica Gabrielli Maria Diletta Longo Elisabetta Marinelli Maria Luisa Salvadori Salvatore Sammarco Stefania Scartezzini Marzia Todero Carmen Valentinotti Racconti personali sull’esperienza della nascita e l’arte della levatrice Un concorso letterario sul tema della nascita, un'idea apparentemente semplice ma estremamente efficace quella del Collegio delle Ostetriche di Trento, che con il patrocinio della Provincia Autonoma di Trento ha indetto questo primo premio:“Dare alla luce, accogliere al mondo. Racconti personali sull'esperienza della nascita e l'arte della levatrice”. 54 i racconti giunti alla redazione, 37 dalla provincia di Trento e 17 un po' da tutta Italia. Hanno scritto ostetriche, mamme, papà, una zia e anche un nonno... La giuria, composta da ELISABETTA MALVAGNA, giornalista e scrittrice, MATTIA MAISTRI, insegnate, giornalista e scrittore, FEDERICA RICCI GAROTTI, docente presso la Facoltà di Lettere dell'Università di Trento, Fabrizia TENAGLIA, dirigente del reparto Ostetricia e Ginecologia Ospedale Santa Chiara di Trento; MADDALENA BERTOLINI, ostetrica e scrittrice; GIOVANNI MOSNA esperto di comunicazioni e filosofo e dalla sottoscritta AMINA CONTIN, caporedattrice della rivista D&D il Giornale delle Ostetriche, ha prima valutato separatamente, tutti gli elaborati affidando un punteggio a ciascuno di essi, poi si è riunita per decretare il vincitore fra i dieci racconti finalisti per ogni sezione, che qui troverete pubblicati. Carmen Valentinotti, mamma trentina e Paola Agnese Mauri, ostetrica lombarda, sono le vincitrici di questa prima edizione. Nella difficile scelta di questi venti elaborati abbiamo cercato di tener conto dell'aspetto letterario, certo, ma anche di quello umano, dell'originalità della storia come pure della capacità di avventurarsi nel mondo della fantasia... storie personali, storie professionali, storie inventate ma non per questo meno vere... un variegato mondo, diversi i linguaggi e gli stili, il denominatore comune rimane l'intensità espressiva e il tema centrale della nascita, del venire al mondo. Come dice Giovanni Mosna (coordinatore della giuria, nonché del convegno IL MESTIERE DI NASCERE): “Interrogarsi sul tema della nascita pone immediatamente, da un punto di vista prima esistenziale e poi filosofico, domande sul senso dell'esistenza, quindi filosofiche. La nostra tradizione filosofica si è occupata molto della morte e poco della nascita. Sembra che l'essere “natali” abbia molta meno importanza dell'essere “mortali”. (…) In fondo nascere e morire condividono un identico destino: scissione, medicalizzazione, scientificizzazione. Il nascere e il morire sono invece come la copertina di un unico libro che è il libro della vita: una pagina apre, l'altra chiude, in mezzo c'è un percorso.” Riportare l'attenzione a questa prima copertina, attraverso la parola scritta, significa ridare valore, spessore, consistenza, significato a questo momento, a partire dalle proprie esperienze, per assurgere ad un significato più universale, nel suo essere attraverso la lettura, condivisibile. Scrivere è diverso dal raccontare, non solo appunto perché la parola riversata sulla carta diviene materia di emozione e condivisione per i lettori, ma perché rappresenta anche uno straordinario mezzo di autoanalisi, riflessione, autocura intesa come possibilità di “prendere in cura noi stessi”. Raccontare un evento libera senz'altro emozioni, così come scriverlo. Ma la scrittura possiede alcune caratteristiche che la parola detta non ha, tra cui la possibilità di revisione, che è strettamente connessa all'estetica. Che si sia scritta una poesia o un racconto, la possibilità di intervenire in un secondo momento permette di “prendere coscienza dei nostri ricordi e poterli così selezionare” (Revault). La revisione del testo, che è sempre separata dalla fase creativa, consente di mettere in gioco la capacità di sintesi e rielaborazione, che alla fase liberatoria può aggiungere una fase propositiva, in cui ridefinire gli obiettivi e ricollocare al posto giusto gli eventi. Il lavoro sulla forma, la scelta del linguaggio, l'uso delle immagini e del costrutto sintattico, non è un atto secondario, ma come suggerisce sempre Revault: “obbligano ad essere più precisi con se stessi”. La parola scritta possiede quindi sì una funzione liberatoria, catartica, esorcizzante, ma anche riparatrice e ri-orientante; capace di inserire un singolo particolare in un arazzo molto più grande, attraverso la paziente tessitura della memoria. Amina Contin