La pittura gotica di Fabienne Joubert Storia dell’arte Einaudi 1 Edizione di riferimento: in La pittura in Europa. La pittura francese, a cura di Pierre Rosenberg, vol. I, Electa, Milano 1999 Storia dell’arte Einaudi 2 Indice XIII secolo: espansione del libro miniato, primato dell’arte monumentale 4 Il rinnovamento del primo terzo del secolo XIV 17 Alcuni seguaci di Pucelle: personalità forti, tra naturalismo e poesia 24 Il modello italiano e la fedeltà all’estetica pucelliana nei pittori di corte 29 L’arte delle corti: Berry, Borgogna e Angiò 40 A Parigi: ultimi rinnovamenti, impasses 52 Storia dell’arte Einaudi 3 La pittura gotica costituisce un campo d’indagine particolarmente ricco, in cui i contributi di Jean Lafond e di Louis Grodecki per le vetrate, di Paul Deschamps e di Marc Thibout per la pittura monumentale, di François Avril, Robert Branner, Millard Meiss e Charles Sterling per la miniatura – a voler citare solo i lavori di sintesi che sono divenuti opere di riferimento – informano tutta la riflessione attuale sull’argomento. Tuttavia anche gli studi monografici si moltiplicano: talvolta occasionati da scoperte spettacolari, che invitano a considerare in una nuova luce i pittori e i loro committenti, la loro cultura e le loro preoccupazioni artistiche, la capacità di cui danno prova nell’adattarsi a supporti e a tecniche spesso diversificati. L’esame dei testi relativi agli artisti, che compaiono alla fine del XIII secolo e si fanno in seguito più numerosi, permette di ricostruire una realtà senza grandi delimitazioni, ove pare disegnarsi una gerarchia tra creatori e praticanti che sanno usare una sola tecnica pittorica. Si ricostruiscono in tal modo destini individuali che ci danno oggi una visione pluralistica della produzione pittorica gotica, refrattaria a una cronologia troppo evolutiva. Se è sempre artificiale precisare i limiti di un periodo storico, si possono tuttavia registrare alcuni dati di fatto che – al volgere dei secoli XII e XIII – indussero in modo decisivo i pittori a orientarsi verso nuovi mezzi Storia dell’arte Einaudi 4 Fabienne Joubert - La pittura gotica di espressione. L’ambiente ormai laico della produzione del libro miniato e l’accresciuta importanza della vetrata artistica nell’edilizia religiosa definivano indiscutibilmente un contesto diverso. Inoltre, la tensione verso il naturalismo, caratteristica dell’epoca, portava a sperimentare linguaggi formali più conformi a questa aspirazione generale. XIII secolo: espansione del libro miniato, primato dell’arte monumentale La rottura con il periodo precedente si espresse innanzi tutto nei luoghi in ui ora vedevano la luce i libri miniati. Infatti, l’elaborazione dei manoscritti, fino allora concepiti negli scriptoria delle abbazie, si spostò verso la capitale, grazie allo sviluppo dell’Università che assunse il controllo delle copie. In conseguenza della sua situazione privilegiata ai margini del quartiere Latino, della prossimità del clero di Notre-Dame, così come della corte che dimorava nel Palais de la Cité, il quartiere di Saint-Séverin diventò allora e rimase per molti secoli il settore commerciale in cui operava il librarius, colui che coordinava la fabbricazione del libro e ne assicurava la vendita. Nel Duecento, la Bibbia e i commenti biblici su cui poggiava l’insegnamento teologico occupavano naturalmente il primo posto in questa produzione. Taluni codici, come la Bibbia moralizzata della cattedrale di Toledo, offerta da san Luigi ad Alfonso X di Castiglia, sono ornati da più di cinquemila miniature, e potevano dunque essere realizzati solo da una struttura organizzata ed efficace. Il contesto dell’Università, essenziale allo sviluppo del pensiero e al contenuto iconografico di queste opere, non costituiva tuttavia sempre l’ambiente più stimolante per le esperienze artistiche, poiché sul piano stilistico tendeva a incoraggiare un atteggiamen- Storia dell’arte Einaudi 5 Fabienne Joubert - La pittura gotica to conservatore: così, durante la prima metà del secolo, i miniatori del quartiere Latino si adagiarono nello stile ormai acquisito, sfruttando per quasi mezzo secolo tutti i registri che si erano imposti intorno al 1200. Altre testimonianze, nel corso di tutto il XIII secolo, attestano la qualità della produzione dei libri in altri ambienti, quali il nord e il nord-est della Francia. Forse meno intensiva di quella della capitale e suscettibile di ricorrere, occasionalmente, a pittori non specialisti della miniatura, questa produzione sembra però sfuggire con maggior facilità alla routine. In ogni caso, a Parigi come altrove, cresceva la domanda proveniente da ambienti laici, nobili o persino borghesi, e la natura stessa delle opere evolveva concretamente verso libri di pietà personali, ma anche verso una letteratura profana – storica, romanzesca, didattica – redatta in lingua vernacolare. Dal punto di vista formale, nei primi anni del secolo dominò il ritorno ai modelli antichi, certo mai veramente assenti dai riferimenti obbligati dell’arte medievale, ma riprodotti in quegli anni con intensità e fedeltà rare. L’arte classica era imitata in primo luogo per descrivere la figura umana, il suo spessore carnale, i suoi gesti: a questo proposito si distinguono i panneggi “bagnati”, chiaramente privilegiati dagli artisti; si usava inoltre ricorrere a intermediari bizantini che spesso fungevano da modello. Questo fenomeno si può senz’altro mettere in rapporto con le Crociate e i rinnovati contatti tra il mondo orientale bizantino e il mondo occidentale; esso si espanse principalmente nella Francia settentrionale così come in parecchi ambienti dell’Europa settentrionale e si riconosce in tutti gli ambiti della creazione artistica figurativa. Accanto ai libri miniati prodotti nelle officine del quartiere Latino, si distingue così per il suo lusso il Salterio di Ingeburge di Danimarca, seconda moglie di Filippo II Augusto, ripudiata il giorno dopo le nozze, nel Storia dell’arte Einaudi 6 Fabienne Joubert - La pittura gotica 1193. Si sa che i libri devozionali più usati dai laici e dai religiosi del XII e XIII secolo, erano costituiti da queste raccolte, che contenevano i salmi attributi a re Davide, seguiti da cantici, litanie e preghiere. L’illustrazione di queste opere, di solito accurata, è in questo caso eccezionale. Oltre alle consuete iniziali istoriate, che introducono le parti principali del testo, ventisette pitture a piena pagina illustrano episodi vetero e neotestamentari, nonché il più raro miracolo di Teofilo. Il nord della Francia e in particolare il Vermandois ospitavano allora un’attività artistica di cui la regina, esiliata dalla Corte dal 1193 al 1213 e costretta ad un’esistenza errabonda, sembra essere stata la prima committente. Lo stile “arcaizzante” dominava allo stesso modo nell’arte della vetrata, che occupava un posto fondamentale in seno alla pittura monumentale dell’epoca, poiché tendeva, almeno negli edifici principali, a soppiantare le superfici murarie. La tecnica della vetrata, che richiedeva una struttura produttiva complessa, dalla fabbricazione del vetro fino alla sua impiombatura e alla posa finale, così decisiva, della grisaille, presupponeva una stretta collaborazione tra pittori vetrai e altri artigiani della pittura. Si spiega così l’armonia formale che regnava fra tutte le arti del colore. La Francia settentrionale, ove sin dalla seconda metà del XII secolo si erano aperti grandi cantieri di ricostruzione delle cattedrali ancora attivi in quegli anni, accoglieva vetrate il cui stile presenta in effetti grandi affinità con questa corrente, e, in particolare, mostra rapporti privilegiati specificamente con il Salterio di Ingeburge di Danimarca, come rivelano, per esempio, le vetrate della cattedrale di Laon. Nel medesimo ambiente, la cattedrale di Soissons era dotata di un programma iconografico eccezionale, oggi purtroppo gravemente alterato dai restauri del XIX secolo e in parte disperso in collezioni straniere: alcuni pannelli di insigne qualità danno prova di un raro grado di Storia dell’arte Einaudi 7 Fabienne Joubert - La pittura gotica assimilazione dell’estetica arcaizzante. Il pittore del pannello che rappresenta “il popolo di Reims che assiste al miracolo di san Nicasio”, in origine inserito nella vetrata del deambulatorio, dispone efficacemente su diversi piani le figure, caratterizzate da stature naturali ed equilibrate e da gesti flessuosi. I contorni descritti dalla rete di piombo, l’applicazione vigorosa e sicura della grisaille non sono estranei alla sovrana autorevolezza di questo stile pittorico, essenzialmente umanistico. Al contempo, poiché il crescente numero e le accresciute dimensioni delle vetrate erano accompagnati dalla preoccupazione di rendere più chiaro e gerarchicamente strutturato il discorso figurativo, i pittori vetrai mettevano a profitto le limitazioni proprie della tecnica della vetrata moltiplicando i comparti, variandone le forme, collegandoli per mezzo di motivi ornamentali, avvalendosi a tal fine delle prime ricerche condotte in questo campo sin dalla seconda metà del secolo XII. Alcuni insiemi di vetrate fortunatamente preservati riflettono la ricchezza ma anche il rigore del pensiero teologico che li ha concepiti, a cui gli artisti sono riusciti a dare una forma particolarmente felice. Il deambulatorio e le cappelle radiali della cattedrale di Bourges mostrano così una sequenza di vetrate agiografiche, allegoriche, simboliche o neotestamentarie che offrono una profusione di immagini strettamente organizzate, il cui dotto messaggio costituito da paragoni teologici tra Nuovo e Antico Testamento rimane, se non intelligibile a tutti, almeno leggibile. Molti maestri lavorarono nel grande cantiere delle vetrate della cattedrale e, in particolare, in questa parte terminata sin dal 1214: se il Maestro del Buon Samaritano dà prova della sua fedeltà all’estetica romanica della Francia occidentale, il Maestro della Nuova Alleanza e del Giudizio Finale porta a Bourges la corrente arcaizzante già riscontrata a Laon e Soissons; il Maestro delle reliquie di Storia dell’arte Einaudi 8 Fabienne Joubert - La pittura gotica santo Stefano, responsabile della maggior parte delle finestre, pur avendo uno stile meno originale, rivela una scienza consumata nell’organizzazione dei pannelli e nel nitore delle composizioni; tutti usano la tavolozza cromatica semplificata che contraddistingue quest’epoca, composta principalmente da rossi, azzurri, verdi, porpora, mentre ai colori chiari viene ormai assegnato un ruolo secondario. La diversità stilistica dei maestri incaricati di realizzare il complesso delle vetrate della cattedrale di Bourges – tipica del periodo di svolta in cui operò il cantiere, ma anche della portata stessa dell’impresa che richiese un folto gruppo di artisti – si ritrova parimenti a Chartres, altro monumento chiave dell’inizio del secolo. Qui l’analisi dettagliata dei pannelli, resa possibile da una vasta attività di restauro, consente di riconoscere stupefacenti episodi di collaborazione tra artisti che possedevano culture pittoriche e maniere completamente diverse. L’immagine tradizionale del “maestro” che dirige la sua “bottega” deve cedere, davanti all’evidenza, il posto a quella di artisti dal destino singolare, riuniti e spinti a partecipare a un’opera collettiva dalle esigenze delle commissioni, senza peraltro mai abbandonare la loro individualità. La vetrata, per il ruolo primordiale che assunse allora nelle cattedrali, offre in tal modo un terreno di sperimentazione di cui beneficiano gli altri settori della pittura. Proveniente dall’ambiente di corte e realizzato negli anni 1230, il Salterio di Bianca di Castiglia, sposa di re Luigi VIII, rientra nel cospicuo novero dei codici le cui composizioni dipendono strettamente da quelle della vetrata e presentano assemblaggi più o meno complessi di medaglioni. Alcune Bibbie moralizzate contemporanee adottavano ancora sfondi a mosaico molto simili (Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. lat. 11560). Ma queste opere, il cui sottile contenuto ico- Storia dell’arte Einaudi 9 Fabienne Joubert - La pittura gotica nografico ben riflette gli ambienti teologici in cui sono state concepite, si rivelano alquanto conservatrici sul piano stilistico. Eppure, sin dal 1200 e ancor più nel corso dei decenni seguenti si moltiplicarono nell’arte monumentale rappresentazioni più naturalistiche, osservate e descritte con una cura fino allora sconosciuta. Gli artisti ricercavano nuovi moduli figurativi meglio ancorati al mondo contemporaneo: la preoccupazione di descrivere le vesti e i loro accessori li spingeva così ad abbandonare forme ormai inadatte. La materia stessa degli abiti cambia, diviene più spessa e non si presta quindi più agli effetti di panneggio che disegnano in modo preciso le linee del corpo, bensì sottolinea sobriamente gli atteggiamenti, mettendo in rilievo con efficacia i gesti. Questa nuova visione, eminentemente plastica, apparve naturalmente dapprima nella scultura, sin dagli anni 12201230, traducendosi in ricerche di volume, di natura talvolta quasi cubista, ma quasi sempre ammorbidite da un disegno melodioso, percorso dai meandri delle bordure. Nella pittura, si riscontrano versioni più grafiche, ma di analogo intento. Lo stile “duro” delle opere del Maestro di Saint-Chéron che decorano la cattedrale di Chartres, pur nella sua versione schematizzata e rigida, è praticamente equivalente a quello della statua di san Teodoro (?) del portale dei Martiri, collocato nell’atrio meridionale poco dopo il 1225. Questa corrente pittorica si riconosce in numerose vetrate degli anni 1235-1240; avviata dalla ricerca degli scultori – e forse talvolta sviluppata da alcuni artisti polivalenti – troverà nel ciclo dipinto, verso il 1255, nel coro della cattedrale di Angers un’espressione di sovrana originalità. Questo lungo nastro che si spiega sul muro dell’abside rievoca la storia di due santi locali, Maurilio e Renato, e può essere messo in relazione con l’introduzione nel santuario, nel 1255, di un nuovo reliquiario Storia dell’arte Einaudi 10 Fabienne Joubert - La pittura gotica di san Renato. Più che un tema teofanico, qui si è privilegiato un proposito dalle implicazioni deliberatamente contemporanee, che mette in risalto l’unione del capitolo con il vescovo, entrambi glorificati dai racconti agiografici. In questo caso l’atteggiamento del clero di Angers è un chiaro indizio dei mutamenti decisivi in atto nel Duecento. Scoperto una ventina di anni fa, questo spettacolare insieme sconvolge inoltre le concezioni che privilegiano sistematicamente il dominio della vetrata e suggerisce che la pittura murale seguitava a essere un campo di creazioni fondamentali, oggi purtroppo in larga misura devastate. Il ciclo di Angers, infatti, oltre alla compiutezza formale delle sue composizioni, che testimonia una forte affinità con i grandi capolavori della scultura del secondo quarto del secolo – come lo jubé della cattedrale di Bourges – attesta altresì l’uso della pittura a olio e si iscrive nelle sperimentazioni tecniche più sofisticate del momento, attuate nella Sainte-Chapelle di Parigi, nelle cattedrali di Clermont-Ferrand, di Bayeux e di Narbona. Negli stessi anni l’evoluzione dell’architettura gotica influì profondamente sull’arte della vetrata, imponendole di coprire superfici di grande ampiezza ma suddivise da sottili reticolati in muratura: i pannelli si moltiplicano quindi, sostituendo l’antica superficie in muratura con una vetrata che funge da parete divisoria. La Sainte-Chapelle di Parigi è l’espressione più compiuta di questa tendenza. Il numero delle immagini e il loro contenuto presentano strette affinità con i programmi iconografici contemporanei delle Bibbie miniate; eppure la lettura dei medaglioni nell’edificio risulta veramente impossibile. Ma l’intento simbolico della vetrata è pienamente raggiunto, poiché la chiesa, cinta di pareti di luce, diviene l’immagine perfetta della Gerusalemme celeste che affascina il fedele nella sua globalità. Storia dell’arte Einaudi 11 Fabienne Joubert - La pittura gotica Una squadra di pittori vetrai particolarmente numerosa, forse una trentina di artisti, ha dato vita a questo programma grandioso che, dalla Genesi fino alla fine dei tempi, è stato concepito per glorificare le reliquie della Passione ospitate nell’edificio. Esso presenta molte interpretazioni dello stile plastico inaugurato negli anni 1220, fattosi ormai meno monumentale, a causa della dimensione ridotta dei medaglioni, nonché per gli stessi ritmi lavorativi imposti al cantiere che realizzò la cappella reale, e quindi anche le sue vetrate, tra il 1242 circa e il 1248: la rapidità di esecuzione induce infatti una semplificazione dei modellati, per lo più sostituiti da una decisa definizione delle figure e dei gesti; questi vincoli sembrano aver portato alcuni pittori a cercare un tono nuovo, più grafico, più elegante, spinto talvolta fino al preziosismo, nella descrizione degli atteggiamenti, ma sempre preoccupato di tradurre il reale con obiettività, come testimoniano lo scorcio della groppa di un cavallo, la distribuzione su diversi piani di una truppa di soldati, l’uniforme dei militari o la bardatura dei cavalli. Analoghe ricerche stilistiche si riscontrano nella pittura dei codici quando essa è affidata ad artisti adusi alla scala monumentale: è questo il caso della Bibbia Maciejowski la cui decorazione fu eseguita per volere del suo destinatario, non identificato, da uno dei grandi maestri del XIII secolo, che oggi si ritiene operasse nella Francia settentrionale. In questa eccezionale raccolta di quasi trecento immagini, alcune mostrano più specificamente la libertà con cui il pittore si serve della dimensione ridotta della miniatura per svincolarsene in modo geniale, proiettando per esempio una cavalcata sui lati e davanti alla bordura e dando così alla pagina una dinamicità e una profondità insolite alla metà del secolo. La veemenza della rappresentazione è tuttavia temperata dal rigore geometrico delle linee semplici che la ordinano e che corrispondono, questa volta, perfettamente Storia dell’arte Einaudi 12 Fabienne Joubert - La pittura gotica all’ideale estetico che si incontra in tutti i campi dell’arte dell’epoca. L’autorevolezza e il peso delle sue figure, e il vigore dei gesti offrono un contrasto significativo con le figure affilate di un altro dei grandi codici di questo periodo, il Salterio di san Luigi, la cui concezione fu evidentemente affidata a specialisti del libro. Anche in questo caso ci troviamo in presenza di un manoscritto d’eccezione, la cui illustrazione, composta di settantotto tavole a piena pagina, corrisponde a un programma iconografico veterotestamentario, dall’offerta di Caino e Abele fino all’incoronazione di Saul. Eseguito per san Luigi alla fine del suo regno, verso il 1260-1270, esso indica la squisita qualità raggiunta allora dalla miniatura parigina, favorita in modo decisivo dalle commissioni reali. Come nella Bibbia Maciejowski qui regna un perfetto equilibrio tra l’osservazione delle posture e dei gesti, e la preoccupazione di organizzare una composizione simmetrica retta da figure geometriche. Ma il linguaggio denso ed altamente espressivo di questa cede il posto a un tono più delicato nel disegno delle figure, la cui grazia mutevole e raffinata eleganza contrassegneranno a lungo la produzione delle migliori officine della capitale. Al contempo, le ricerche più decisive venivano ancora una volta dall’arte monumentale, poiché l’evoluzione dell’architettura verso effetti decorativi di grande raffinatezza sembra comportare l’abbandono, nelle finestre, dei piccoli medaglioni su fondo a mosaico dalle tinte sature, a vantaggio di vetrate più luminose, che lasciano alla grisaille un posto importante, semplificando inoltre la composizione delle vetrate colorate e figurate. La stessa tavolozza dei pittori vetrai si schiarisce e si arricchisce di sfumature. La chiesa di Saint-Urbain a Troyes ospita, nelle finestre collocate nella parte superiore dell’abside, uno degli insiemi più spettacolari di questa nuova tendenza, che Storia dell’arte Einaudi 13 Fabienne Joubert - La pittura gotica si riallaccia alla tradizione, affermatasi all’inizio del secolo, delle grandi figure di Cristo, della Vergine, dei profeti, degli apostoli e dei santi patroni dell’edificio. Ma la presentazione del corteggio veterotestamentario che incornicia il Calvario rinnova questa formula tradizionale: raffigurati di faccia, di tre quarti, di profilo, i personaggi sembrano intensamente presenti, immobilizzati nei loro gesti solenni. Il disegno per lo più geometrico della rete di piombo è ancora compensato dalla stesura energica della grisaille la quale, più che modellare, descrive le connessioni di pieghe volumetriche. I volti feroci partecipano di questa stessa estetica espressiva. Si tratta di una corrente dell’arte monumentale indubbiamente non trascurabile, di cui si coglie un’eco anche nella pittura dei codici, come testimonia un’opera straordinaria sotto molti aspetti, Le livre d’images de Madame Marie. La tipologia stessa dell’opera è insolita, poiché si tratta di una raccolta di immagini a piena pagina – novanta in origine – con un testo ridotto alle didascalie. I temi iconografici affrontati, la Vita di Cristo e un corteggio di santi dell’Hainaut e del nord-est della Francia, spesso presentati nel contesto del loro martirio, escludono qualsiasi discorso allegorico o simbolico. La destinataria, designata come “Madame Marie” nell’opera, va molto probabilmente identificata nella persona di Marie de Gavre, appartenente alla famiglia de Braine, che nel 1281 prese il velo nell’abbazia cistercense di Wauthier-Braine, a nord di Nivelles. L’opera – che si ritiene il risultato della collaborazione di un pittore di opere monumentali con un miniatore attivo nella diocesi di Cambrai – dimostra un’innegabile coerenza stilistica, grazie all’equilibrio tra il rigore di un’impaginazione ordinata da forme geometriche semplici e la ricchezza delle notazioni “realistiche”, particolarmente efficaci nelle scene di supplizio: i corpi stilizzati dei santi contrastano con la crudeltà dei Storia dell’arte Einaudi 14 Fabienne Joubert - La pittura gotica carnefici, scrupolosamente descritti nell’atto di infliggere la tortura nonché nella barbarie della loro psicologia, chiaramente leggibile sui loro volti. L’impatto di tali immagini, ricercato nell’ambito della devozione privata, si ritrova nella caratteristica fioritura, alla fine del secolo XIII, del Libro d’ore, che tende a soppiantare presso la clientela laica il Salterio, che pure non scomparve mai completamente, ma sopravvisse soprattutto nelle commissioni delle corti. Sulla base di una raccolta di testi abbastanza definita – il calendario, le ore della Vergine, le ore della Croce e dello Spirito Santo, i salmi di penitenza e le litanie, l’ufficio funebre e le preghiere dei santi – il committente poteva imporre le sue devozioni e trovare nell’opera così allestita un sostegno più personale alla sua meditazione e alle sue emozioni. È questa una delle manifestazioni più vistose dell’evolversi della sensibiltà religiosa che conobbe nel Duecento un fondamentale mutamento, causato dallo sviluppo folgorante e dall’influenza spirituale degli ordini mendicanti, in particolare di quello francescano, nonché del nuovo ruolo riconosciuto all’immagine nell’esercizio della Fede. Il Libro d’ore, destinato a incontrare un crescente favore alla fine del Medioevo, orienta l’iconografia religiosa, e in particolare quella incentrata sulla Passione di Cristo, verso un registro di rappresentazioni vivaci e ricche di espressione: la gestualità più marcata e le pose contorte partecipano di questo discorso tendenzialmente dimostrativo, in cui la miniatura parigina eccelleva fin dal regno di Luigi IX. La fine del secolo vide inoltre emergere pittori più attenti alla rappresentazione della terza dimensione, affrontata attraverso la figura, che prende forma grazie agli effetti del modellato, che solo rari artisti fino ad allora si erano applicati a realizzare. La personalità emblematica di questa nuova corrente, essenzialmente plastica, è stata a lungo riconosciuta Storia dell’arte Einaudi 15 Fabienne Joubert - La pittura gotica nel Maestro Honoré, un libraio parigino, la cui fiorente attività è tra le primissime a essere stata ricostruita in base a documenti fiscali, risalenti al periodo dal 1292 al 1300. È lui che nel 1289 vendette il Decreto di Graziano oggi a Tours (Bibliothèque Municipale, ms. 558), e, quasi certamente, ancora lui che fornì al re Filippo il Bello un Breviario citato nei conti regi nel 1296 (Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. lat. 1023). In questi due codici, cui collaborarono diversi artisti, così come in un terzo ad essi vicino, la Somme le Roi di Frère Laurent (Londra, British Library, ms. Add. 54180), spicca una fortissima personalità, la cui raffinata tavolozza è al servizio di una visione fondamentalmente naturalistica, caratterizzata da una rappresentazione precisa della natura, da un deciso inserimento dei corpi nello spazio, dal trattamento efficace dei volumi e da espressioni accuratamente differenziate. Non ci sono prove definitive che si tratti davvero dello stesso miniatore Honoré: in ogni caso, egli rimane l’artista più innovatore della fine del secolo, senza le cui esperienze risulterebbe incomprensibile il grande rinnovamento del secolo XIV. L’influenza spirituale degli ordini mendicanti non è percettibile solo negli oggetti di devozione privata: decisiva per la pittura monumentale italiana, essa non è trascurabile in Francia, ove si rivela nella comparsa di temi nuovi, quale l’Albero della vita ispirato al trattato di san Bonaventura. Centro di questa mistica francescana è l’esaltazione delle sofferenze della Passione, e il legno della Croce è assimilato all’Albero della vita del Paradiso. Questo tema, presente in alcuni codici, si prestava assai bene alle rappresentazioni monumentali. La cappella della Sainte-Croix nell’antica cattedrale di Saint-Nazaire a Carcassonne è dotata di un’imponente vetrata che presenta al centro un Cristo in croce circondato da un Albero della vita lussureggiante, i cui rami sono percorsi da filatteri contenenti versetti del detto trattato. Altri Storia dell’arte Einaudi 16 Fabienne Joubert - La pittura gotica filatteri riportano gli scritti dei profeti, effigiati ai lati. Questo programma di forte connotazione teologica, realizzato durante l’episcopato di Pierre de Rochefort (1310-1322), denota una certa corrispondenza, in quest’area meridionale, con le creazioni più settentrionali, nella funzione fondamentale ormai assegnata al vetro incolore, nel cromatismo radioso, nell’intensità dei tratti di grisaille. I legami con il nord sono altrettanto evidenti nell’insieme degli affreschi eseguiti nella cattedrale di SaintEtienne a Cahors, che rientrano nel novero delle rarissime testimonianze dell’alta qualità raggiunta dalla pittura murale gotica. Di questo insieme, con ogni probabilità realizzato durante l’episcopato di Guillaume de la Broue (1316-1324), importante dignitario della Curia pontificia e bibliotecario di Giovanni XXII, sopravvivono alcune scene del martirio di santo Stefano e otto grandi figure di profeti presentate in una cornice architettonica che ricorda quelle usate – talvolta in modo eccessivo – dai pittori vetrai per integrare le loro opere nell’edficio. Al contrario delle opere miniate del volger del secolo attribuite al Maestro Honoré, la pittura in questo caso partecipa di un’estetica esclusivamente calligrafica ed essenzialmente ornamentale, combinando i larghi arabeschi e i meandri dei panneggi con le linee verticali che assicurano la stabilità di queste figure immateriali. Il primato del tratto, che spesso si riscontra nella pittura monumentale di questo periodo, tende evidentemente a conferire una maggiore leggibiltà all’opera. Il rinnovamento del primo terzo del secolo XIV Jean Pucelle incarna, per eccellenza, la figura del grande pittore francese del Trecento, che gode di una reputazione duratura ed eccezionale, dacché il suo nome Storia dell’arte Einaudi 17 Fabienne Joubert - La pittura gotica viene ricordato settantacinque anni dopo la sua scomparsa in un inventario della biblioteca del duca Jean de Berry, compilato nel 1402. Poco si sa della sua carriera, documentata solo negli ultimi quindici anni che precedettero la sua morte, sopraggiunta nel 1334. Dalle fonti apprendiamo che si muoveva in un ambiente principesco e si dedicava soprattutto alla decorazione dei manoscritti. Se è impossibile definire con precisione i contorni dell’attività della sua officina, contorni con ogni probabilità fluttuanti, lo vediamo però lavorare con miniatori a loro volta molto attivi, come un certo Mahiet o un certo Ancelet – noto anche sotto il nome di Anciau de Sens – la cui collaborazione è attestata da una microscopica iscrizione nel Breviario di Belleville (Parigi, Bibliothèque Nationale, mss. lat. 10483-10484). Pucelle lavorò pure con Jaquet Maci, specialista della decorazione filigranata, che lasciò la sua firma nella Bibbia di Robert de Billyng (Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. lat. 11935). D’altronde un brillante artista della generazione successiva, Jean Le Noir, disponeva visibilmente di un intero repertorio di formule ereditate da Pucelle, che dobbiamo assai concretamente figurarci come veri e propri taccuini di schizzi concepiti dall’artista. Un piccolo numero di codici ben documentati conserva così la testimonianza del profondo rinnovamento della pittura di cui fu autore Jean Pucelle. Tra questi, uno solo sembra dovuto interamente alla sua mano, le Ore di Jeanne d’Evreux. Questo “libretto di orazioni [...] che Pucelle miniò”, come si legge nel testamento della regina, è infatti un lavoro minuscolo che comprende, oltre al calendario, due cicli principali. Il primo è dedicato al ricordo della vita di san Luigi: il culto del re, bisnonno di Giovanna, era naturalmente molto vivo tra i suo discendenti e parecchi complessi monumentali, oggi noti in base a brevi descrizioni, ne davano testimonianza negli edifici soggetti alla tutela dei capetingi Storia dell’arte Einaudi 18 Fabienne Joubert - La pittura gotica – alla Sainte-Chapelle, al convento dei Carmes, al convento delle Cordelières di Lourcines, o ancora a SaintDenis –. L’altro ciclo di illustrazioni accompagna l’ufficio della Vergine, e presenta un originale confronto iconografico tra alcune scene tratte dall’Infanzia di Cristo e quelle della Passione, proponendo così alla regina una meditazione sui misteri dell’Incarnazione e della Redenzione. La cura dei particolari, propria delle composizioni, illustra l’originalità dell’artista tra i decoratori di codici della sua generazione. Questi conosceva innegabilmente gli schemi iconografici toscani e sembra perfino riprendere direttamente alcuni elementi dalla tavola della Maestà di Duccio, collocata sull’altar maggiore del Duomo di Siena nel 1311, ossia una quindicina di anni prima. Nello svolgimento delle scene della Passione del Libro d’ore pare quindi che egli abbia importato per la prima volta alcune formule nuove – come, per esempio, quella dello svenimento di Maria nella scena della Crocifissione – destinate a imporsi a partire da questo momento nell’arte francese. Jean Pucelle sperimentò composizioni spaziali audaci ispirate ad esempi italiani: pur conservando i tradizionali sfondi ornamentali, usava abilmente i motivi architettonici, non più come preziose decorazioni applicate sul piano delle immagini, bensì costruendo un ambiente credibile con l’aiuto di procedimenti prospettici empirici. I numerosi riferimenti ai nuovi moduli espressivi sviluppati dai pittori transalpini, in particolare toscani, portano a considerare l’eventualità di un viaggio di Pucelle nella penisola. Il viaggio in Italia non costituisce più un’eccezione in quest’epoca e sappiamo che nel 1298 il re Filippo il Bello aveva ritenuto opportuno di mandare il suo pittore Etienne d’Auxerre a Roma. Particolarmente sensibile alla cultura italiana, lo stesso re Storia dell’arte Einaudi 19 Fabienne Joubert - La pittura gotica avrebbe preso al suo servizio, alcuni anni più tardi, tre pittori romani: Filippo Rusuti e suo figlio Giovanni, e un certo Nicola “da Roma”. Peraltro, un’altra fonte testimonia della vendita a Parigi nel 1328 di quadri “de l’ouvraige de Rome”: si tratta di una transazione avvenuta tra un certo “Jean de Gand” pittore e la contessa Mahaut d’Artois. Così, la presenza di opere e di pittori italiani a Parigi proprio nel periodo in cui si svolgeva la carriera di Pucelle vietano di situare in un contesto troppo ristretto il ruolo avuto da quest’ultimo. Inoltre, la perdita delle creazioni monumentali di questo periodo invita a una certa prudenza nell’attribuirgli un monopolio che forse non aveva. Rimane che il modello dell’alta torre in aggetto, scelto dall’artista per rappresentare il castello assediato in uno dei Miracles de NotreDame secondo Gautier de Coincy evoca immediatamente il Palazzo Vecchio di Firenze: più che avvalersi di un motivo architettonico anodino tratto da una fonte qualsiasi, il pittore sembra qui trasmettere il ricordo di un’esperienza diretta. Senza alcun dubbio, tuttavia, Jean Pucelle non avrebbe tanto profondamente segnato il suo tempo né influenzato durevolmente i suoi seguaci se non fosse riuscito a integrare queste novità iconografiche e formali in un discorso affatto fedele al tono di eleganza e di lirismo di cui la pittura francese, e parigina in primo luogo, rimaneva la migliore interprete all’inizio del Trecento. I panneggi melodiosamente ritmati sottolineano gli atteggiamenti misurati ma delicatamente vivi, i volti idealizzati contrastano pacatamente con quelli, più contratti, dei carnefici e delle figure grottesche o ibride rappresentate sui margini. Inoltre, Jean Pucelle adottò una tavolozza cromatica rinnovata e assegnò ai colori, peraltro molto chiari e poco numerosi, una funzione secondaria: riservati agli oggetti inanimati, agli sfondi paesaggistici e archi- Storia dell’arte Einaudi 20 Fabienne Joubert - La pittura gotica tettonici, essi servono soprattutto a mettere in risalto l’elaborazione monocroma dei personaggi, detta en grisaille. Questo procedimento gli permette di suggerire, con l’aiuto di raffinati modellati e di contorni delicati, la plasticità dei personaggi – proseguendo così le ricerche del suo precedessore, il presunto Maestro Honoré –, cui conferisce un volume convincente, e gli consente inoltre di dare profondità al campo delle immagini, scurendo leggermente gli scenari posti in secondo piano. La tavolozza monocroma o di colori tenui che si impose allora conquistando altri campi dell’arte quale quello della scultura, potrebbe avere le sue radici nell’arte monumentale del secolo XIII, in cui si caratterizzò, come si è già notato, soprattutto la vetrata. Dapprima combinata con l’estetica ricca di colore del pieno Duecento e integrata in vetrate miste, ove interveniva solo nei registri decorativi che incorniciavano scene dalle tonalità intense, essa conquistò in seguito l’intero spazio della finestra, e indusse ricerche tecniche che puntavano a ottenere una maggiore luminosità e dolcezza della tavolozza dei colori utilizzati. In questa volontà di trovare sfumature delicate e raffinate si moltiplicarono, al volgere del secolo, i tentativi di placcatura di una tinta sull’altra che consentivano di realizzare una gamma cromatica più chiara e più fine; anche la fabbricazione del vetro bianco venne perfezionata e guadagnò in trasparenza e in luminosità. Nel medesimo contesto i pittori vetrai fecero proprio anche l’uso del “giallo d’argento”, applicato con un pennello come la grisaille, che arricchiva la tecnica di infinite variazioni di gialli, dal limone all’arancione se il vetro era bianco, o di verdi se era azzurro. La Normandia, una delle regioni francesi più note per la produzione del vetro, ospita la più antica testimonianza documentata – anche se modesta – che implica Storia dell’arte Einaudi 21 Fabienne Joubert - La pittura gotica l’uso del giallo d’argento: si tratta della vetrata di Mesnil-Villeman, nel Cotentin, datata 1313 in base a un’iscrizione. Ma questa tecnica era certamente usata sin dall’inizio del secolo, con ogni probabilità dapprima dai pittori vetrai della capitale. Tuttavia, è la regione normanna che conserva gli insiemi di vetrate più spettacolari, come quello della cattedrale di Evreux, per esempio, illuminante per capire l’evoluzione di quest’arte nel Trecento. Le affinità con il centro artistico parigino, di cui si conosce oggi principalmente la produzione miniata, sono abbastanza consistenti. Vi si ritrova in particolare l’integrazione discreta, ma effettiva, di costruzioni spaziali innovatrici – come i soffitti a cassettoni – care a Pucelle: siamo in presenza di una testimonianza preziosa, nell’arte monumentale gravemente danneggiata di questa prima metà del Trecento, dell’accoglienza di formule transalpine. Le vetrate della cattedrale di Rouen, di poco precedenti il 1310, o quelle del coro dell’abbaziale di Saint-Ouen a Rouen, precisamente datate tra il 1318 e il 1339, partecipano della stessa corrente: esse permettono di considerare le affinità tra l’arte del manoscritto e quella della pittura monumentale su vetro come una prova supplementare degli stretti contatti esistenti tra tutti gli artigiani del mondo della pittura, e fors’anche della polivalenza di alcuni di essi. Una recente sperimentazione tecnica del giallo d’argento, sulla base della ricetta riportata da Antonio da Pisa alla fine del Trecento, getta nuova luce sulla facilità dell’operazione che si fondava sul semplice ricorso alla limatura d’argento. Bisogna tener presente l’affinità delle materie prime utilizzate da certi artisti e la corrispondenza di talune ricette: orefici, pittori vetrai, miniatori, pittori e scultori operavano fianco a fianco e facevano parte evidentemente dello stesso ambiente. Talvolta uno specifico documento attesta una col- Storia dell’arte Einaudi 22 Fabienne Joubert - La pittura gotica laborazione intensa e particolarmente suggestiva; è questo il caso del vetraio Jean de Sées e di Evrard d’Orléans, Peintre du Roi di Filippo il Bello e dei suoi successori dal 1304 al 1340, ma anche scultore. Sembra che quest’ultimo – un artista indubbiamente più impegnato nella concezione e nel coordinamento dei lavori piuttosto che nella loro realizzazione, parzialmente affidata ad artigiani – fosse una delle figure di primo piano che operavano nei grandi cantieri della corte. Nel campo della vetrata, Evrard d’Orléans lavorò quindi per un lungo periodo con il vetraio Jean de Sées, nell’abitazione parigina di Mahaut d’Artois nonché nella sua residenza di Conflans. Tali collaborazioni consentivano gli scambi di ordine tecnico o estetico, chiaramente testimoniati nelle opere stesse, oltre che nei documenti. Quanto a Jean Pucelle, sembra che egli collaborasse in particolare con gli orefici. Le cornici, che riprendono la forma delle montature dei reliquiari e degli oggetti liturgici, utilizzate nelle Ore di Jeanne d’Evreux sembrano in effetti dimostrare una specifica esperienza nel campo del disegno di tali oggetti. Una commissione proveniente dalla confraternita dell’ospedale di Saint-Jacques-aux-Pèlerins a Parigi, istituzione patrocinata da tre fra le più grandi dame di Francia, è a sua volta illuminante: i confratelli gli chiedono di disegnare il “pourtraict” – ovvero il modello – del suo sigillo. Del resto non era raro che in Francia alla fine del Medioevo si affidasse ai pittori l’ideazione di oggetti vari, poi realizzati da artigiani, ad esempio orefici o scultori. La fortissima influenza dell’arte di Jean Pucelle in tutti i campi della produzione artistica durante il secondo quarto del Trecento, e oltre, si spiega probabilmente con la larga diffusione dei modelli usciti dalla sua bottega. Storia dell’arte Einaudi 23 Fabienne Joubert - La pittura gotica Alcuni seguaci di Pucelle: personalità forti, tra naturalismo e poesia La fedeltà alle nuove formule applicate da Pucelle perdurò ben al di là della generazione a lui contemporanea e si manifestò innanzi tutto, com’è ovvio, nel campo della miniatura. Il caso di Jean Le Noir illustra meglio di ogni altro questo fenomeno, e tante sue formule di dettaglio si rivelano così vicine a quelle di Pucelle, che è giocoforza riconoscere in lui l’erede diretto del maestro e della sua bottega. Benché fosse anch’egli, come certificano le fonti, protetto da re e principi, da Iolanda di Fiandra a Giovanni il Buono, poi da Carlo V e infine da Jean de Berry, nessuna delle sue opere è tuttavia autenticata, ma la coerenza dei codici che gli sono attribuiti è abbastanza convincente. Se ne ricava l’immagine di un artista interessante per la sua personalità, molto originale, che si espresse sempre più apertamente nel corso di una lunga carriera – documentata dal 1335 circa al 1380 – a mano a mano che l’ombra del suo geniale predecessore si dissolveva. Tuttavia egli si avvalse molto delle esperienze del maestro, specie nel campo della prospettiva, conservando il linguaggio tradizionale dei drappeggi ornamentali, sovraccarichi di meandri e di volute. Ricopiando la composizione dell’Arresto di Cristo delle Ore di Jeanne d’Evreux ad opera di Pucelle, per realizzare la sua nelle Ore di Jeanne de Navarre (Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. nouv. acq. lat. 3145), un manoscritto che potrebbe risalire agli anni 1336-1340 e quindi agli inizi della sua carriera, il pittore rivela tuttavia già un temperamento diverso: le due figure che circondano Cristo, san Pietro e Giuda, dimostrano quanto egli si distaccasse dal tono elegante e riservato di Pucelle, infondendo ai suoi personaggi un carattere e un’umanità meno generici. Storia dell’arte Einaudi 24 Fabienne Joubert - La pittura gotica L’evoluzione dell’artista seguirà questo orientamento, sfruttando tutti i registri della gestualità e delle espressioni esagerate, talvolta al limite dell’eccentricità, ma a vantaggio di una narrazione vivace e ricca di gustose osservazioni. Un nuovo confronto con la stessa scena dell’Arresto di Cristo delle Petites heures de Jean de Berry (Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. lat. 18014), intraprese a quanto pare intorno al 1375, è a sua volta rivelatore della capacità di rinnovamento e dell’autonomia di un’identità artistica che non è per nulla imbrigliata dal genio sovrano del maestro. La rappresentazione di Cristo oltraggiato, nello stesso codice del duca di Berry, attesta ancor meglio la vivacità espressiva del pittore, ricca di gesticolamenti e contorsioni audaci, teste rovesciate o sprofondate nelle spalle, mentre l’insieme crea un’immagine movimentata in cui, sola figura contenuta e quasi impassibile, Cristo si offre al furore dei suoi carnefici. Si scopre così in Jean Le Noir un tono ben diverso da quello di Pucelle, che si esprime fin dalle prime opere e che continuerà a crescere nel tempo: abile nei tocchi naturalistici, nelle notazioni aneddotiche o pittoresche, l’artista orienta la decorazione dei manoscritti cui sembra si fosse dedicato – con la figlia Bourgot, la “miniatrice” citata nei conti del reggente Carlo nel 1358 – in una direzione che in Francia sarà seguita poi da molti altri pittori. Uno di essi, rimasto anonimo e oggi soprannominato il Maestro della Bibbia di Jean de Sy – detto un tempo il “Maître aux bouqueteaux” – riprende curiosamente certe costanti di Le Noir, nella definizione dei personaggi dalle corporature tarchiate animate da gesti veementi, pregni di autorità; le teste sprofondate nelle spalle ricordano nuovamente formule predilette da Le Noir. Anche l’attività di questo artista sembra essere stata particolarmente incoraggiata dalla clientela princi- Storia dell’arte Einaudi 25 Fabienne Joubert - La pittura gotica pesca: egli intraprese così l’illustrazione della Bibbia glossata, tradotta da Jean de Sy per Giovanni il Buono (Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. fr. 15397), poi partecipò a quella di vari codici destinati a Carlo V. Le opere poetiche di Guillaume de Machaut, in cui l’artista realizzò verso il 1375 due grandi pagine che accompagnano il prologo, dimostrano lo spazio sempre maggiore riservato all’epoca dai pittori di codici alla descrizione della natura. Quest’ultima si sostituisce totalmente allo sfondo ornamentale, dando luogo a una sorprendente mescolanza: le note corrette – il cielo azzurro, prefigurazione del cielo atmosferico, destinato ad imporsi un quarto di secolo più tardi sotto il pennello del Maestro di Boucicaut, gli animali accuratamente descritti e gli alberi raggruppati in boschetti – sono iscritte in un mondo dai colori pastello da un pittore che ignora il rispetto delle proporzioni, che risolve in modo approssimativo gli effetti prospettici e colloca i suoi personaggi nel primo piano dell’immagine, quasi in posizione eretta davanti a uno scenario da cui finisce con l’emanare più poesia che naturalismo. L’universo di Guillaume de Machaut è certamente molto vicino a quello di questo artista, che pure non è il solo ad averne illustrato gli scritti: già verso la metà del secolo un altro pittore rimasto anonimo, detto Maestro del Remède de fortune, dal titolo di un racconto dello stesso Machaut, visibilmente stimolato da questo autore romanzesco, dà prova di un talento altrettanto originale. Ripropone le figurine eleganti e ornate, raffigurandole tuttavia in abiti scrupolosamente ripresi dalla moda del momento: così, il poeta, rappresentato nei dintorni del castello della sua dama, indossa l’abito corto e attillato in voga verso gli anni 1340. La sua figura, invece, come quella del servo che lo accompagna, rimane contornata e animata dalle linee sinuose e dalle volute che appartengono ancora al vocabolario Storia dell’arte Einaudi 26 Fabienne Joubert - La pittura gotica formale delle generazioni precedenti. D’altronde, le vesti che modellano le forme delicate, il collo e le spalle graziosamente denudate della dama e delle sue compagne evocano ancora più deliberatamente il mondo contemporaneo cantato dal poeta. Come il Maestro della Bibbia di Jean de Sy, anche il Maestro del Remède de fortune dà molta importanza alla strutturazione dello sfondo che ha un peso preponderante nei racconti da lui illustrati. Nelle sue opere appaiono numerosi motivi volti a suggerire profondità e spazio, che tuttavia non sono costruiti a partire da un punto di vista unico. Qui primeggia sempre il dettaglio ornamentale – come la colonnetta a tortiglione ripresa da qualche fonte accessibile al pittore – e forme più o meno naturalistiche si intersecano in una composizione irreale. Ma l’artista dimostra tutte le sue capacità di pittore della natura nell’illustrazione di un altro testo di Guillaume de Machaut, il Dit du lion. Una pagina, interamente dedicata alla descrizione della fauna e della flora, rievoca la contemplazione da parte del poeta di un “orto misterioso”. Fedele alla tradizione, il pittore conserva lo sfondo ornamentale, che il Maestro della Bibbia di Jean de Sy, più audace, sostituirà con una fascia di cielo; ma, soprattutto, i suoi boschetti, alberi e fiorellini vibranti di minuscoli tocchi dorati, danno più l’idea di una messe di motivi astratti distribuiti sul piano dell’immagine che di un’autentica osservazione delle rinnovate bellezze della natura. Peraltro il posto dato a quest’ultima, seguendo fedelmente il discorso poetico, rivela le nuove prospettive della pittura francese a metà del secolo. Siamo qui di fronte innanzi tutto a un fatto di civiltà – si pensi in particolare all’importanza attribuita dai principi all’allestimento dei giardini delle loro residenze – e non a un fenomeno esclusivamente visivo. Sul piano formale, bisogna qui riconoscere il netto divario tra tali rap- Storia dell’arte Einaudi 27 Fabienne Joubert - La pittura gotica presentazioni e quelle del mondo italiano: ignari, o forse insensibili alle creazioni dei Lorenzetti a Siena o a quelle, più vicine, di un Matteo Giovannetti ad Avignone, i due artisti rimanevano legati alle costruzioni poetiche del loro immaginario. Nell’ambito monumentale, un insieme di vetrate poste in opera verso il 1370 in una cappella della cattedrale di Evreux presenta figure di santi in una struttura architettonica, la medesima che reggeva tradizionalmente le composizioni delle finestre e che, del resto, acquisì nel Trecento una notevole ampiezza. La vetrata di un santo vescovo, straordinariamente ben conservata, presenta un’edicola in cui il pavimento piastrellato, l’ornamento a traforo delle pareti laterali e il baldacchino sono costruiti secondo una prospettiva empirica piuttosto convincente. In secondo piano, una tappezzeria spettacolare imita visibilmente una seta lucchese, restituendo il verde brillante dei pappagalli grazie alla tecnica del giallo d’argento. Ma, stranamente, questo suggestivo abitacolo rimane vuoto e il santo galleggia in primo piano, senza un legame organico con lo spazio che lo circonda. Sembra quasi che sia stato utilizzato un modello ispirato alle ricerche spaziali di un Pucelle o di un Le Noir, da un pittore che non è riuscito a sfruttarne le risorse nella presentazione del suo personaggio. La seconda metà del secolo è quindi ancora contrassegnata da alcune creazioni paradossali, in cui “arcaismo” e audacia si mescolano dando vita a immagini sorprendenti, che sfuggono alla presentazione lineare di una evoluzione artistica che condurrebbe esclusivamente verso l’illusionismo realistico. Le Grandes Chroniques de France de Charles V rientrano in questa fase: si tratta del testo ufficiale della storia dei re di Francia, completato dal racconto degli eventi relativi ai regni più recenti di Giovanni il Buono e di Carlo V, la cui portata politica è chiaramente visualizzata dall’illustrazione. Storia dell’arte Einaudi 28 Fabienne Joubert - La pittura gotica L’accento è posto soprattutto sulla visita dell’imperatore Carlo IV di Lussemburgo, nel 1378, e sui festeggiamenti che lo attendevano a Parigi. Al ricevimento dato al Palais de la Cité è dedicata una composizione assai singolare: una scena che rievoca lo sbarco dei crociati in primo piano a sinistra, in cui l’albero del vascello si confonde con l’astragalo della cornice, mentre lo scafo della nave e il predicatore Pietro l’Eremita sono rappresentati liberamente, fuori del campo dell’immagine. La stessa libertà regge la descrizione dell’assedio di Gerusalemme a destra, iscritta, questa volta, sullo stesso piano degli spettatori, i cui volti impersonali sembrano, a dire il vero, poco interessati all’“intermezzo” che si svolge davanti ai loro occhi. La proporzione dei personaggi è assolutamente simbolica, e rovescia i rapporti: qui è la fila di personaggi in secondo piano, occupata dai sovrani e dai prelati, ad assumere un’importanza preponderante. Un tale irrealismo, accentuato da una gamma cromatica costituita quasi unicamente di oro, bianco, rosso e azzurro, convive tuttavia con numerose descrizioni di vestiario e di utensili, e con una gestualità animata che conferisce alla rappresentazione un tocco di naturalismo. Il pittore di questa pagina vibrante e preziosa, privilegia quindi alcuni codici e ne trascura altri. Più che l’indizio di una regressione, in quest’opera troviamo la conferma della diversità e dell’autonomia dei miniatori della corte in tutti gli ultimi anni del regno di Carlo V e all’epoca dell’avvento al trono di Carlo VI. Il modello italiano e la fedeltà all’estetica pucelliana nei pittori di corte Alcuni pittori si dimostrarono tuttavia, sin dalla metà del secolo, molto ricettivi nei confronti dell’estetica e Storia dell’arte Einaudi 29 Fabienne Joubert - La pittura gotica dei valori della pittura transalpina. A corte un artista certamente di rilievo, a cui fu affidato l’incarico di dipingere il ritratto di Giovanni, duca di Normandia, poco prima della sua ascesa al trono di Francia, ha lasciato un quadro impregnato da una influenza italiana abbastanza significativa, nonostante le alterazioni dovute all’usura e ai rimaneggiamenti. Questo pannello, il più antico ritratto autonomo conservato, dà un’immagine sorprendente del principe, visto di profilo, che indossava in origine il costume del saggio, come testimonia una copia realizzata nel Seicento per François-Roger de Gaignières. I tratti ben individualizzati rivelano un artista appassionato di naturalismo ed evidentemente sensibile alle ricerche di caratterizzazione fisionomica, intraprese dall’inizio del secolo dai pittori italiani. Senza dubbio non bisogna minimizzare il ruolo svolto in questo caso dalla richiesta del committente reale, né scordare i contatti politici stabiliti tra la curia pontificia di Avignone e la corte del Regno di Francia, contatti certamente decisivi anche sul piano artistico, dopo l’ondata di italianismo del primo quarto del secolo. Il ricordo di un viaggio di Giovanni, duca di Normandia e futuro re di Francia, nel 1342, è peraltro tramandato da un quadro oggi noto attraverso una copia seicentesca realizzata per Gaignières: una testimonianza fondamentale, che rappresenta il dono di un dittico fatto al principe da papa Clemente VI, in presenza del duca Eudes IV di Borgogna. Copia di modesta qualità estetica ma certamente affidabile, come tutte quelle eseguite su incarico del collezionista, questo dipinto potrebbe riprodurre un’opera del pittore ufficiale del papa, Matteo Giovannetti, poiché vi si rinvengono due delle maggiori qualità del pittore di Viterbo: il suo interesse per le costruzioni spaziali – quella in questione è abbastanza semplice ma capace di suggerire un’ampiezza monumentale –, e il suo talento per la descrizione delle fisionomie. Storia dell’arte Einaudi 30 Fabienne Joubert - La pittura gotica Sappiamo che Matteo Giovannetti è segnalato nella capitale pontificia sin dalla fine del 1343, con il titolo di “maestro”, indi, a partire dal 1347 e fino alla sua morte nel 1367, con la qualifica di “pictor pape”. I numerosi cicli eseguiti dall’artista, fortunatamente in parte conservati, sono verosimilmente serviti da punto di riferimento ai pittori francesi del Trecento e probabilmente prima ancora ai loro committenti della corte vivamente impressionati dallo splendore del Palais des papes. Il ritratto dell’incontro tra Clemente VI e Giovanni, duca di Normandia e futuro re di Francia, sia esso di Matteo Giovannetti o di un suo emulo, è importante nella storia della pittura in Francia, poiché ne è nota la destinazione. Sappiamo infatti che venne trasferito dagli appartamenti del Palais de la Cité quando Carlo V si insediò al Louvre, poco dopo il 1364, per essere appeso nella Sainte-Chapelle, a sinistra dell’altare, sopra la porta della sagrestia, divenendo pertanto accessibile a tutti coloro che si muovevano nella cerchia del re, e quindi anche agli artisti ufficiali. Oggi questo dipinto è una testimonianza insostituibile dei modelli che contribuirono al rinnovamento della visione dei pittori della corte di Francia, come dimostra il caso di Jean de Bruges, pittore al servizio di Carlo V. Costui fa parte degli artisti nordici il cui arrivo coincise, forse, con la nuova regolamentazione dei mestieri, promulgata a Parigi dalla “grande ordinanza” del 1351, che aprì ormai le porte alla manodopera straniera: dopo un periodo all’insegna di un forte protezionismo, in quel momento si era reso necessario tenere conto della nuova situazione creatasi con l’epidemia di peste del 1348, che aveva causato la scomparsa di circa un quarto della popolazione. Il bisogno di riacquistare forze vive e di rilanciare l’attività in tutti i campi si impose anche nel mondo degli artisti, con l’arrivo di uomini provenienti da orizzonti nuovi. Storia dell’arte Einaudi 31 Fabienne Joubert - La pittura gotica L’ampiezza del fenomeno, difficile da valutare in assenza di documenti numerosi ed espliciti, in ogni caso non deve essere sovrastimata. Abbiamo notizia di molti artisti nordici, in particolare scultori, che lavoravano a Parigi prima dell’ordinanza del 1351. E nell’ambiente cortigiano, in cui si muoveva nel Trecento la clientela più esigente, gli artisti godevano di statuti particolari che permettevano loro di sfuggire alle regole dei mestieri. Comunque sia, la vicinanza geografica di città quali Liegi, Valenciennes e Bruges, di cui erano originari alcuni tra i grandi nomi del regno di Carlo V, le relazioni tra uomini accomunati dalla medesima provenienza, se non addirittura appartenenti alla stessa famiglia, e soprattutto la crescita della domanda nella capitale sono altrettanti fattori che favorirono l’insediamento degli artisti settentrionali: così, nel corso di parecchi decenni, la storia della pittura francese sarebbe stata strettamente legata a quella degli antichi Paesi Bassi. All’inizio del secolo successivo, in seguito a un’inversione della congiuntura, lo sviluppo dell’attività artistica nei territori nordici avrebbe invece indotto i suoi grandi creatori a non lasciare il paese. Il pittore Hennequin de Bruges è segnalato al servizio di Carlo V sin dal 1368, e, benché non sia l’unico – anche un certo Jean d’Orléans rivestirà, nello stesso periodo, la funzione di Peintre du Roi – riceverà prove tangibili del favore del suo padrone: prima il dono di una casa a Saint-Quentin che gli assicura una rendita regolare, poi un comodo salario assegnatogli “a vita” dal 1380, data in cui l’artista sembra avesse raggiunto un’età rispettabile, visto che è una delle ultime occasioni in cui è menzionato. Come gli altri pittori della Corte già ricordati, non lavorava esclusivamente per il re ed era chiamato da altri principi a svolgere compiti talvolta ingrati – come la decorazione di una portantina citata nei conti della con- Storia dell’arte Einaudi 32 Fabienne Joubert - La pittura gotica tessa d’Artois, nel 1371-1373 – e talaltra spettacolari, come la realizzazione dei cartoni degli arazzi dell’Apocalisse ad Angers. Quest’impresa, che possiamo seguire grazie alla contabilità del committente, Luigi d’Angiò, durò circa dieci anni (1373 circa-1382 circa). Pare che un semplice membro della corporazione, forse quel famulus di cui parlano i testi e che Jean de Bruges è incaricato di pagare, collaborasse inizialmente con il maestro, operando poi sotto la sua direzione per portare a buon fine questa commissione particolarmente ambiziosa ed esigente. L’opera completa era infatti costituita da sei arazzi di circa venticinque metri di lunghezza per sei metri di altezza, pari a un totale di ottantaquattro quadri. Le differenze tra la maniera dell’assistente e quella del maestro mettono in risalto le qualità di ciascuno. Jean de Bruges è tra i rari pittori dell’epoca di cui si sia conservata l’opera monumentale. Le sue composizioni, facendo sempre intervenire uno sfondo naturalistico, mettono in scena pochi personaggi di alta statura, che si fanno carico di una narrazione che risuona alta e chiara. Il suo assistente ricerca invece gli effetti pittoreschi e si serve dello sfondo naturalistico per trarne una scenografia, moltiplicando le rocce, i terreni accidentati e i boschetti, secondo la consuetudine di molti miniatori contemporanei, mentre i folti gruppi di personaggi contribuiscono a rendere il discorso più animato e ciarliero. Anche nei particolari, quali il panneggio o l’elaborazione delle capigliature, sono evidenti la miniaturizzazione e la moltiplicazione degli effetti, benché l’assistente non operi una profonda trasformazione del linguaggio del maestro. L’ampiezza e la potenza monumentale di Jean de Bruges qui sono semplicemente rivedute e corrette dal suo assistente attraverso un’accentuazione pittoresca e ornamentale, mentre l’uno e l’al- Storia dell’arte Einaudi 33 Fabienne Joubert - La pittura gotica tro si esprimono nel linguaggio tradizionale a Parigi dal tempo di Pucelle. L’originalità sta altrove e si percepisce soprattutto nelle prime composizioni dell’Apocalisse, la cui paternità si deve riconoscere a Jean de Bruges: il rigore dell’impaginazione, in cui l’artista introduce talvolta una costruzione architettonica in prospettiva (come nella scena della misurazione del Tempio), l’affinità con la natura resa nella sua diversità – le specie sono descritte con esattezza – e con la figura umana: i suoi personaggi dai tratti forti, dallo sguardo intenso, introducono nella pittura francese una dimensione ancora sconosciuta, salvo forse all’ambiente provenzale, grazie all’opera di Matteo Giovannetti. Che quest’ultimo abbia potuto ispirare Jean de Bruges non è più in discussione, specie se si ammette che il dipinto della Sainte-Chapelle sia del pittore viterbese. Infatti l’altra opera sicuramente documentata di Jean de Bruges, il frontespizio di una Bibbia donata a Carlo V da un cortigiano, Jean de Vaudetar, testimonia un’evidente contaminazione del secondo artista da parte del primo. Il frontespizio è accompagnato da un’iscrizione in lettere d’oro che reca la data (1371) e certifica che la pittura è proprio opera del solo Jean de Bruges. Giacché è verosimile che Carlo V abbia definito personalmente i codici della rappresentazione, suggerendo con ogni probabilità quale modello il dipinto della Sainte-Chapelle – e infatti la rappresentazione del re è identica, negli abiti e nella gestualità, nelle due opere – è a questo pittore che va attribuita la grande abilità nel suggerire lo spazio, ineguagliata nella pittura francese e testimonianza non di un’imitazione servile del modello italiano, bensì della sua comprensione e assimilazione da parte dell’artista nordico. La tappezzeria gigliata spostata in secondo piano, la concezione del pavimento piastrellato e più ancora quella dell’imponente baldacchino reale, e infine la rappresentazione del trono di tre quarti aiutano il pit- Storia dell’arte Einaudi 34 tore a collocare i due protagonisti in una prospettiva convincente. Il trattamento dei volumi, per mezzo della tradizionale grisaille, e soprattutto la grandissima finezza con cui il pittore affronta la resa di tutti i materiali – il legno e le sue venature, la garza trasparente del béguin – sono altrettante note emesse da un artista profondamente realistico. E realistico è pure il ritratto del sovrano, che, per quanto purtroppo consumato, come tutto il frontespizio, ci restituisce ancora lo sguardo intenso e sensibile del monarca. Allo stato attuale della documentazione – gravemente penalizzato dalla scomparsa di numerose opere nell’ambito della pittura monumentale – Jean de Bruges campeggia come un artista d’eccezione, una sorta di precursore del genio fiammingo che fiorirà un cinquantennio più tardi. Non bisogna tuttavia sottovalutare due aspetti del mondo in cui evolveva l’artista e che condizionarono il suo percorso. Il primo di questi è il progresso di un naturalismo che non va certo attribuito a un solo artista ma costituisce un duraturo fenomeno di civiltà originato anzitutto dai committenti stessi e dalle loro aspettative. La tendenza, che già si presentiva nel ritratto di Giovanni il Buono, si affermerà compiutamente con Carlo V, cui spetta l’iniziativa di modificare profondamente lo spirito della scultura funeraria in Francia: è lui infatti a chiedere che la sua effigie sia realizzata ad vivum, sin dall’anno della sua incoronazione, da un altro artista nordico su cui dovremo tornare, André Beauneveu. La ricca collezione di documenti copiati per Gaignières, relativi a opere oggi perdute, propone una galleria di ritratti (come il Registro dei feudi della Contea di Clermont-enBeauvaisis) significativa del gusto largamente diffuso nell’ambiente della corte. Inoltre, numerose allusioni nei testi confermano la medesima infatuazione, che sempre di più spinge i pittori e gli scultori a cimentarsi in Storia dell’arte Einaudi 35 Fabienne Joubert - La pittura gotica questo campo. L’arte del ritratto ha quindi segnato la seconda metà del secolo e le rare testimonianze sopravvissute non devono essere considerate eccezioni. Un altro parametro va individuato nel modello italiano, di cui già si è segnalata la multiforme presenza in Francia. Nell’apprezzare l’esattezza della rappresentazione dei materiali in Jean de Bruges, tornano alla memoria le stoffe e altri materiali tessili squisitamente descritti da Simone Martini, che già all’inizio del secolo, nel ciclo delle Storie di san Martino ad Assisi (il Miracolo del fanciullo risuscitato), si studiava di suggerire la trasparenza di un béguin; la descrizione scrupolosa dei legni e delle loro venature era altrettanto consueta in Italia, per esempio, in un Giotto (Apparizione di san Francesco al capitolo di Arles, sempre ad Assisi) e, più vicino alla corte di Francia, in Matteo Giovannetti. Questo artista ha certamente potuto fungere da ispiratore nel campo della ritrattistica, tanto la sua acutezza pare condurre, senza provocare una profonda rivoluzione, a quella che testimonia il Carlo V di Jean de Bruges. Quest’ultimo sembra infatti sintetizzare nel modo più felice le aspirazioni della clientela principesca dell’epoca, poiché rispetta la tradizione formale francese nutrita di forme eleganti e ornate, introducendovi al contempo il sapore del concreto, del reale, seguendo così una via aperta dai pittori italiani del primo Trecento. Uno straordinario dipinto murale scoperto nel 1977 nella collegiata di Notre-Dame a Semur-en-Auxois possiede appunto queste medesime qualità, tanto che un’analisi più approfondita spinge ad attribuirlo allo stesso Jean de Bruges. Ovviamente la tecnica della pittura murale semplifica gli effetti più sottili di modellato del frontespizio della Bibbia di Vaudetar, e quest’opera si avvicina dunque di più a quella della monumentale Apocalisse di Angers. Non esistono documenti relativi al san Cristoforo, collocato nella chiesa vici- Storia dell’arte Einaudi 36 Fabienne Joubert - La pittura gotica no all’ingresso dei parrocchiani e destinato ad assicurar loro la sua protezione; tuttavia tre testi rendono nota la presenza di un “Hennequin, ymagier de Bruges”, in rapporto d’affari con un pittore vetraio del duca di Borgogna, attivo a Montbard (a pochi chilometri da Semur) negli anni 1371-1372: si può credere che in quella circostanza l’artista avesse fornito cartoni per delle vetrate, non senza notare quanto la coincidenza sia sconcertante. Il campo della pittura murale, fatalmente trascurato dalla storiografia a causa delle perdite subite e del mediocre stato in cui versano le testimonianze, permette ulteriori scoperte ampliando la conoscenza della pittura dell’epoca, troppo sovente limitata a Parigi e ai codici principeschi. Così l’insieme degli angeli musicanti che decorano la volta della cappella assiale della cattedrale di Le Mans può essere considerato in una nuova luce dopo il restauro che l’ha reso finalmente leggibile. La commissione proviene dal vescovo Gontier de Baigneux, che occupò la sede di Le Mans dal 1367 al 1385 avvalendosi degli appoggi di cui godeva alla corte di Francia, in particolare di quello della famiglia Dormans. Dopo aver conosciuto grandi difficoltà nei rapporti col capitolo, riuscì a concludere la propria carriera a Sens, in virtù di una nomina all’arcivescovado nel 1385, anno in cui probabilmente morì. Ma scelse di essere sepolto a Le Mans, e fece sistemare la propria tomba nella cappella in asse dedicata alla Vergine, finanziando al contempo – come testimoniano i numerosi scudi araldici ancora visibili – un programma di affreschi di cui è sopravvissuta solo la decorazione della volta, nella quale si snoda un corteggio celeste composto da quarantasette angeli musicanti: alcuni cantano le lodi mariane trascritte su un filatterio o su un libro, mentre altri li accompagnano con i loro strumenti. Nonostante vaste lacune, riesce ancora facile apprez- Storia dell’arte Einaudi 37 Fabienne Joubert - La pittura gotica zare la ricchezza e la qualità dell’insieme. Le figure che si stagliano su uno sfondo rosso disseminato di stelle sono opera di un pittore di primo piano. L’artista descrive minuziosamente gli strumenti, come pure gli atteggiamenti e i gesti, definiti con grande esattezza, riproducendo la delicata coreografia propria dell’uso di ogni strumento musicale. Egli si sofferma poi sui tratti fisionomici, riservando ai volti degli angeli un’attenzione sostenuta, ma sempre diversa, e ritraendo così alcune figure stupefacenti come quella che, presentata di faccia e assorta nella lettura di un libro, ne gira le pagine una a una; o ancora quelle di parecchi altri angeli che, in posture più involute, rivolgono al cielo il canto di lode. Il pittore qui dà prova di saper descrivere la figura umana con consumata abilità e di essere capace di svincolarsi dalle limitazioni della cornice monumentale, rappresentate in questo caso dalla forma inospitale dei costoloni della volta. Le stesse doti gli permettono di tradurre la materia untuosa dei panneggi colorati rischiarati da tocchi di bianco, portati su tuniche decorate di sapienti motivi ornamentali: i dolci arabeschi e i meandri delle bordure, le dita affusolate, le ciocche dei capelli morbidamente ondulate indicano un pittore che si era formato secondo i principi estetici della corte francese, ma capace di adattarli alle esigenze del naturalismo di fine secolo. Nonostante il programma iconografico che limita il suo registro espressivo, il pittore lascia una testimonianza forte, che lo rende uno dei grandi artisti dell’ultimo terzo del Trecento. Esatto contemporaneo di Jean de Bruges, un altro pittore, Jean d’Orléans, occupava alla corte francese un posto di rilievo. Forse discendente di Evrard d’Orléans – ma non abbiamo documenti che certifichino questa circostanza – egli entrò, dopo il padre Girard, al servizio di Giovanni il Buono a partire dal 1361 e poi di Storia dell’arte Einaudi 38 Fabienne Joubert - La pittura gotica Carlo V. Nessuna delle sue opere è autenticata, ma gli viene attribuito con argomenti convincenti il paramento di Narbona (Parigi, Musée du Louvre), delicato ornamento di altare in seta bianca, in cui le composizioni a inchiostro nero rappresentano alcune scene della Passione che incorniciano la Crocifissione: si tratta senza dubbio di un ornamento d’altare utilizzato durante la liturgia della Quaresima. I ritratti di Carlo V e di Giovanna di Borbone in veste di donatori, come pure la cifra K ripetuta sulla bordura, garantiscono la provenienza di questo paramento e lo inscrivono nella tradizione delle donazioni regie alla cattedrale di Saint-Just a Narbona, che ospitava la tomba di Filippo III, morto nel 1285. L’artista si dimostra particolarmente fedele alla tradizione formale affermatasi a corte dopo Pucelle. Persino nelle figure del re e della regina, nelle quali abbandona gli ampi panneggi riservati alle figure bibliche e sceglie invece abiti contemporanei, conserva la tradizione delle bordure che disegnano meandri melodiosi, di cui fa un uso ancor più abbondante nelle scene della Passione. Anche le sue fisionomie rispettano la tradizione pucelliana e corrispondono piuttosto a dei tipi fissi: il vecchio, la donna, il carnefice. Una fuga ornamentale di archi regge sempre l’ordine delle scene, come nelle opere dell’inizio del secolo. Tuttavia i suoi personaggi possiedono solidi corpi, accuratamente inseriti nello spazio solo per mezzo del volume. Infatti l’aspetto più originale della maniera di questo artista risiede nelle sue ricerche di modellato, che gli permettono di inscrivere le figure in una realtà plastica inconsueta nella pittura della fine del Trecento. I critici concordano nell’attribuire allo stesso maestro la prima fase dell’illustrazione delle Très belles heures de Notre-Dame de Jean de Berry, manoscritto dal destino accidentato, il cui committente potrebbe essere stato lo Storia dell’arte Einaudi 39 Fabienne Joubert - La pittura gotica stesso duca, che intendeva offrire il libro al giovane re di Francia, Carlo VI. Accanto ad alcune composizioni che denotano l’intervento di collaboratori, almeno due pagine che illustrano rispettivamente l’Incoronazione della Vergine e Cristo in pietà sembrano essere di sua mano. Si ritrovano qui, sul corpo nudo e costellato di ferite, le ombre marcate che delineano le forme e accompagnano una rappresentazione anatomica scrupolosa: lo stesso procedimento caratterizza in particolare le figure del paramento di Narbona trattate con il chiaroscuro. È indubbiamente questo il principale contributo del pittore agli esperimenti naturalistici della fine del secolo. L’arte delle corti: Berry, Borgogna e Angiò Sebbene l’identificazione del Maestro del paramento di Narbona con Jean d’Orléans non sia definitivamente dimostrata, sappiamo quanto meno che egli era uno dei pittori della corte di Francia e che godeva della stima di Jean de Berry, al quale nel 1369 e nel 1371 vendette dei quadri. Come abbiamo visto, nel 1372 e nel 1375 il principe aveva fatto lavorare anche il principale allievo di Jean Pucelle, Jean Le Noir, per le Petites heures, lasciate però incompiute dall’artista, presumibilmente a causa della sua tarda età. Ma Jean de Berry non si limitava solo a specifiche commissioni di codici o di quadri, ma diede un duraturo impulso alla creazione artistica della sua provincia facendo aprire numerosi cantieri prestigiosi, come quelli del castello di Mehun-sur-Yèvre o della SainteChapelle di Bourges e assicurandosi per lunghi periodi la disponibilità di personalità di primo piano; suo fratello Filippo III l’Ardito agirà più tardi in modo analogo in occasione della fondazione della Certosa di Champmol a Digione. Questi centri artistici non presentano differenze sostanziali nel reclutamento della manodopera: i due Storia dell’arte Einaudi 40 Fabienne Joubert - La pittura gotica principi trattengono al loro servizio alcuni pittori di origine nordica, la cui reputazione è ormai consolidata a Parigi. Così, prima del 1386, quando Jean de Berry assume André Beauneveu, si rivolge a un artista affermato nel suo paese, l’Hainaut e le vicine province della Fiandra e dell’Artois, come pure in Francia. La sua opera più celebre, e certamente più incisiva nella storia dell’arte francese, rimane la statua giacente della tomba di Carlo V – espressione di un naturalismo possente – destinata all’abbaziale di Saint-Denis e scolpita nell’anno dell’incoronazione del re, il 1364. Ma la figura di André Beauneveu non può essere ridotta alla sola pratica della scultura, tanto è vero che la prima menzione dell’artista pervenutaci, grazie ai conti di Yolande de Bar, contessa di Fiandra, relativi a lavori effettuati nella cappella del suo castello di Nieppe, vicino a Cassel, tra il 1359 e il 1362, parla di “mestre Andrieu le pointre”. Nato a Valenciennes, l’artista si dimostrerà molto fedele alla sua terra, l’Hainaut, e lavorerà nelle province settentrionali in modo regolare fino al 1384, anno in cui sarà assunto da Jean de Berry. Sempre in qualità di pittore, lo troviamo impegnato a decorare nel 1374 la Halle des Jurés di Valenciennes, e nel Berry, presso il castello di Mehun-sur-Yèvre, è ricordato nel 1390 come pittore “maistre de ses oeuvres de taille et de pointure... [oeuvrant] à faire nouvelles ymages et pointures” dal celebre cronista Jean Froissart. Nulla rimane dei dipinti realizzati a Mehun-sur-Yèvre, ma due testimonianze gettano luce sul periodo in cui André Beauneveu lavorò al servizio di Jean de Berry. L’inventario del duca, compilato nel 1402, registra il Salterio miniato verso il 1386, poco dopo il suo arrivo, segnalando che “pluseurs histoires” sono di sua mano: oggi si è concordi nel riconoscere all’artista la paternità delle pagine in cui sono rappresentati i dodici profeti e i Storia dell’arte Einaudi 41 Fabienne Joubert - La pittura gotica dodici apostoli, illustrazione classica della concordanza dei due Testamenti, che si ritrova nel programma delle sculture e delle vetrate della Sainte-Chapelle di Bourges, parimenti concepite dall’artista. L’impressione di monumentalità suscitata da queste pagine proviene in primo luogo dal disegno delle cattedre, sontuosamente costruite nello spazio e ornate di modanature complesse e sempre diverse. Non c’è da stupirsi di tale raffinatezza, certo insolita nell’ambito dei codici, poiché due documenti attestano il riconoscimento delle capacità di Beauneveu. Infatti, sappiamo che fu chiamato come esperto in ben due cantieri: la prima volta nel 1363 per la facciata di Saint-Pierre a Valenciennes, la seconda nel 1377, per il collaudo di una torre della cattedrale di Cambrai. Ma la monumentalità è legata soprattutto all’elaborazione degli stessi personaggi, abilmente concepiti in corrispondenza di due a due. Il raffronto tra l’Antico e il Nuovo Testamento avviene così attraverso queste figure in chiaroscuro, scrupolosamente modellate, ma soprattutto straordinariamente presenti grazie ai loro atteggiamenti e ancor più ai loro volti. Domina qui una certa uniformità, fondata su un tipo fisionomico animato da un medesimo spirito: occhi immensi velati di malinconia, capigliature e barbe folte. Un abisso separa queste figure da quelle, più sterotipate, che si ritrovano nei dipinti contemporanei dei codici. È lecito pensare che fosse proprio il riconoscimento di queste notevolissime capacità a indurre il duca a chiedere al suo artista la realizzazione di queste pagine: c’era stato un caso analogo, con Jean d’Orléans chiamato a illustrare alcune delle Très belles heures; e la prassi si confermerà con Jacquemart de Hesdin per due altri Libri d’ore. E prima di lui, re Carlo V aveva sollecitato in modo analogo l’intervento di Jean de Bruges per la Bibbia di Jean de Vaudetar. Storia dell’arte Einaudi 42 Fabienne Joubert - La pittura gotica Così André Beauneveu non si ridusse o limitò alla pratica di una sola tecnica e si dimostrò capace di indicare l’impianto generale e le linee principali delle opere, condividendone poi eventualmente la realizzazione con alcuni collaboratori. Del resto alcune imperizie e visibili diversità nell’elaborazione del pavimento e degli sfondi ornamentali del Salterio possono quindi spiegarsi con l’intervento di praticanti della miniatura. Lo stesso vale per le vetrate della Sainte-Chapelle di Bourges, oggi parzialmente rimontate nella cattedrale, poiché un medesimo spirito qui sottende la presentazione degli apostoli e dei profeti, opera di un artista attento soprattutto al problema dell’illusionismo monumentale. L’ideatore presenta infatti i personaggi di faccia, ma spesso anche di tre quarti o di profilo, e li colloca in uno spazio suggerito da nicchie aperte, o al contrario chiuse davanti a loro, creando così un sorprendente effetto teatrale. Una formula di tal genere appare tanto più originale se la si confronta a quella tipica delle vetrate contemporanee, ove i motivi architettonici, pur strutturati in termini convincenti, rimangono tuttavia un abitacolo privo di un vero rapporto con la fisicità dei personaggi, piuttosto statici, in essa inseriti. In effetti, troviamo un equivalente di queste ricerche tecniche solo nel campo della scultura, ovverosia nella tomba di Filippo l’Ardito di cui Claus Sluter rimaneggiò profondamente la concezione, non appena fu nominato a capo dell’officina di Champmol nel 1389. Il disegno delle vetrate della Sainte-Chapelle a Bourges – la cui costruzione risale precisamente al periodo compreso tra il 1391 e il 1397 – si deve evidentemente ad André Beauneveu: si rimane colpiti dal modo in cui le scelte artistiche dei due grandi creatori del momento si misurano quasi in esatta coincidenza con l’incontro reale avvenuto, come sappiamo, a Mehun-sur-Yèvre nel 1393. Lo stile di André Beauneveu si ritrova ancora nella Storia dell’arte Einaudi 43 Fabienne Joubert - La pittura gotica maggior parte delle figure di apostoli e di profeti della Sainte-Chapelle; queste ultime, tuttavia, sono affiancate da figure piuttosto caratterizzate, la cui tipologia presenta una parentela diretta con quelle di Jacquemart de Hesdin, dipinte da un altro pittore, rispettando la cornice monumentale definita dal responsabile del programma. Jacquemart de Hesdin compare per la prima volta nella contabilità di Jean de Berry nel 1384, con la qualifica di Peintre du duc, mentre non esiste alcuna testimonianza documentale delle sue attività anteriori all’arrivo a Bourges. Egli rimarrà al servizio del duca almeno fino al 1409. L’artista è esplicitamente menzionato a proposito della realizzazione di due codici da tempo ormai identificati con le Ore di Bruxelles (Bruxelles, Bibliothèque Royale Albert Ier, mss. 11060-11061), registrate nell’inventario del 1402 e poi donate a Filippo l’Ardito, e con le Grandes heures (Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. lat. 919), terminate nel 1409, come precisa un’iscrizione. A proposito di questo secondo lavoro, l’inventario del 1413 cita la collaborazione di Jacquemart de Hesdin e di altri “ouvriers de Monseigneur” per la realizzazione delle pitture a piena pagina. A partire da queste opere di paternità quasi certa, altre gli sono state attribuite, sia nell’ambito dei codici sia in quello della vetrata artistica. Pare infatti che dopo aver partecipato all’elaborazione di certi pannelli della Sainte-Chapelle a Bourges, l’artista si vedesse affidare alcune vetrate delle cappelle laterali della cattedrale, come per esempio quella degli Aligret e quella dei Trousseau. In un documento del 1399 è accusato di aver rubato a un altro pittore di Jean de Berry, Jean de Hollande, allora impegnato al castello di Poitiers, certi colori e modelli; il testo allude a un comportamento probabilmente alquanto diffuso presso gli artisti avidi di arricchire i loro taccuini di modelli. Eppure non era affatto un artista privo di risorse proprie, come ben dimostrano le sue due Storia dell’arte Einaudi 44 Fabienne Joubert - La pittura gotica versioni della Via Crucis nelle Ore di Bruxelles e nelle Grandes heures, direttamente ispirate dalla medesima scena concepita da Simone Martini nel polittico Orsini, custodito in quel periodo alla Certosa di Champmol; a meno che non l’avesse a sua disposizione, certo l’artista conosceva perfettamente i particolari di questa composizione e ne utilizza alcuni, peraltro diversi, in ognuna delle sue rappresentazioni. Quella delle Grandes heures – l’unica immagine a piena pagina del codice oggi conservata – si rivela la più accuratamente elaborata: il pittore colloca in una posizione emblematica, in primo piano, due piccole donatrici tuttora non identificate e dei cagnolini di Pomerania, messi davanti ad esse in modo un po’ artificioso, che evocano il gusto del principe per questi animali. Tenta di realizzare una presentazione spaziale complessa, richiamandosi al modello martiniano della grande croce disposta di sbieco, che qui viene raddoppiata a rischio di imprigionare la vivacità del racconto nell’intreccio delle traverse. Sempre da Simone Martini riprende poi la descrizione della folla animata e mobile, ma tutto il pathos del maestro senese qui lascia il posto a una rievocazione silenziosa, quasi interiorizzata. Anche la tavolozza del pittore, benché spenta dal tempo, conserva un carattere proprio: scartando gli ori e le tinte calde del modello, egli ricerca effetti più sobrii ma pregni di realtà concreta: come, per esempio, nella descrizione del paesaggio e del cielo sullo sfondo. Probabilmente per volere del duca, il libro ha dimensioni inusuali per l’epoca, che si ritroveranno, ancora ampliate, solo nel caso delle Très riches heures du duc de Berry (Chantilly, Musée Condé). Nel codice in questione il formato ha evidentemente contribuito all’aspetto finale dei dipinti, che per dimensioni si avvicinano a quelli di opere di devozione privata. Si è indotti a pensare che Jacquemart de Hesdin abbia lavorato solo alle illustrazioni a piena pagina: ritroviamo qui una divisione dei Storia dell’arte Einaudi 45 Fabienne Joubert - La pittura gotica compiti molto significativa, già frequentemente constatata. Al pari di Jean de Bruges, André Beauneveu e Jean d’Orléans, Jacquemart de Hesdin era con ogni probabilità un pittore di pannelli e di affreschi, “sviato” dal duca per soddisfare la sua passione per i libri. Anche nel caso dei fratelli de Limbourg si può parlare della polivalenza degli artisti dell’ultimo periodo del Medioevo, poiché la prima fonte in cui compaiono i loro nomi, un documento del 1400 della contabilità di Filippo l’Ardito, presenta due di essi, Hermann e Jean, come giovani apprendisti orefici. Essi provenivano da una famiglia di artisti di Nimega: il padre, allora scomparso, era stato scultore e lo zio, Jean Malouel, era pittore del duca di Borgogna. Proprio al servizio del duca, nel 1402, essi cominciarono la loro carriera francese, con l’illustrazione di una Bibbia, alla quale Pol e Jean de Limbourg dedicarono parecchi mesi (Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. fr. 166). La contabilità relativa a questo lavoro li qualifica indifferentemente come “paintres et historieurs”, pittori e istoriatori, o come “enlumineurs”, miniatori. Dopo la morte di Filippo l’Ardito avvenuta nel 1404, i fratelli de Limbourg paiono legati a Jean de Berry, da cui ricevono regali e gratificazioni. Nei rapporti con il duca, Pol sembra occupare un posto privilegiato, tanto che entra al suo servizio in qualità di “valet de chambre”, cameriere personale, sin dal 1413, mentre i suoi fratelli saranno insigniti dello stesso titolo nel 1415. La loro morte, sopraggiunta nel 1416, coinciderà con quella del principe. La loro prima opera documentata, una Bibbia moralizzata, allestita a Parigi da Pol e Jean per Filippo l’Ardito (Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. fr. 166), è una chiara testimonianza dei principi estetici imposti alla corte di Borgogna dai pittori del duca, Melchior Broederlam e Jean Malouel. Benché profondamente attaccati all’estetica calligrafica e ornamentale della tradizione Storia dell’arte Einaudi 46 Fabienne Joubert - La pittura gotica francese, i due artisti si dimostrano tuttavia sensibili all’influenza italiana nell’elaborazione della figura umana, di cui si sforzano di rendere la sensualità grazie a modellati che mettono in luce la morbida consistenza degli incarnati. I codici realizzati in seguito non smentiscono questa doppia cultura. Si vedano per esempio le Belles heures du duc Jean de Berry (New York, The Metropolitan Museum of Art, The Cloisters Collection), miniate tra il 1405 e il 1408, e il celebre volume delle Très riches heures du duc de Berry (Chantilly, Musée Condé), un lavoro degli ultimi anni della loro vita, rimasto incompiuto alla loro morte nel 1416. Questo codice, che rimane il capolavoro incontestato del mecenatismo di Jean de Berry, deriva non poco del suo pregio dalle parti iconografiche, di grande originalità, senza dubbio largamente suggerite dal principe stesso. Il calendario diviene così lo spunto di una creazione insolita, la cui iniziativa spetta certamente al duca, visto che la rappresentazione dei lavori dei mesi si svolge davanti alle sue principali residenze, cui se ne aggiungono alcune appartenenti al fratello, re Carlo V. Così vediamo, nel corso del mese di luglio, i contadini che si dedicano alla raccolta del grano e alla tosa delle pecore in un paesaggio che ricorda i dintorni del castello di Poitiers, uno dei soggiorni preferiti da Jean de Berry. Una tale evocazione dimostra il grado di naturalismo raggiunto da Pol de Limbourg, che si adopera con la stessa minuzia a descrivere le forme architettoniche, quelle della natura, nonché i comportamenti degli uomini. Il pittore concepisce uno spazio ampio, suggerendo un’idea di crescente lontananza grazie a un raffinato utilizzo delle linee oblique seguite dal ruscello, dal ponte e dalle mura. Le proporzioni inverosimili degli alberi e la presenza di nubi d’oro nel cielo non alterano la potenza “realistica” dell’immagine. Alcune pagine di questo calendario saranno Storia dell’arte Einaudi 47 Fabienne Joubert - La pittura gotica terminate, una trentina di anni dopo, da Barthélemy d’Eyck e testimonieranno di una nuova tappa dello sviluppo delle ricerche illusionistiche. In appendice al calendario tradizionale, una pagina riassume, in una composizione anch’essa straordinaria e assolutamente unica, le credenze astrologiche a cui il duca di Berry era molto interessato: essa illustra l’influsso degli astri sul corpo umano; il corpo, al centro dell’immagine, è rappresentato sotto la forma di due figure nude, di faccia e di schiena, la prima di carnagione e di capigliatura più chiare simboleggia la femminilità, la seconda, più solida, allude al principio maschile. I simboli astrologici sono disposti lungo tutto il corpo femminile, vicino ai punti che si ritiene debbano influenzare. Anche qui è verosimile il riferimento a un modello antico, interpretato tuttavia da Pol con un’infinita dolcezza e un raffinatissimo modellato. Hermann si rivela più rigidamente debitore del modello italiano, di cui riproduce con attenzione i motivi. Ma la suggestiva rappresentazione degli atteggiamenti degli uomini che sollevano la lastra dal sarcofago, e soprattutto la posa e l’anatomia di Lazzaro, ripresi da un qualche modello antico, convivono con un gusto decorativo assolutamente tradizionale che lo porta a riproporre lo sfondo coperto di racemi lumeggiati di oro e a moltiplicare gli ornamenti delle vesti e delle acconciature. Infine, egli privilegia una tavolozza ricca di toni scuri e pesanti modellati che mirano a effetti piuttosto drammatici. Tutti questi elementi contribuiscono a rievocare la resurrezione di Lazzaro in un’atmosfera crepuscolare abitata da personaggi comunicativi. Al modello brillante della corte di Francia del Trecento subentrarono quindi all’inizio del Quattrocento i cantieri ducali delle province. Questi, a loro volta, diedero origine a un’attività locale favorita da una clientela di signori e grandi borghesi laici o religiosi desiderosi di Storia dell’arte Einaudi 48 Fabienne Joubert - La pittura gotica imitare i principi. Sulle terre del duca di Berry gli affreschi della chiesa di Ennezat costituiscono un esempio precoce di questo fenomeno, tipico del nuovo secolo. Su una superficie di quasi cinque metri di larghezza per due di altezza, si dispiega un Giudizio universale, in cui – tra gli eletti – figura una coppia identificata da un’iscrizione: i due personaggi sono rispettivamente il canonico Etienne Horelle, parroco della chiesa, e sua zia Audine Horelle, che hanno fatto eseguire l’affresco nel 1405. La disposizione equilibrata dell’insieme, il dinamismo degli angeli che partecipano al Giudizio, l’intensità delle espressioni sui volti gravi e attenti degli intercessori conferiscono all’opera una forza tutt’altro che scontata in una chiesa pur sempre modesta. Ma il fatto è che la località di Ennezat si trova assai vicina a Riom, ove Jean de Berry possedeva una lussuosa residenza, e la qualità dello stile di questo affresco, che ben traspare nelle parti intatte, si deve presumibilmente a pittori attivi nei cantieri ducali. Sotto molti aspetti l’attività dei pittori al servizio di Filippo l’Ardito era comparabile a quella che scopriamo alla corte di Jean de Berry. Se il principe di Borgogna dimostrava una passione un po’ meno frenetica per i libri, ne possedeva tuttavia una gran quantità e nelle fonti documentarie compare come il primo principe francese cliente dei Limbourg e di Jacques Coene (il Maestro di Boucicaut?). Ma l’impresa della Certosa di Champmol a Digione lo portò anche a commissionare un gran numero di pannelli e di retabli, dipinti e scolpiti, di cui alcuni ci sono fortunatamente pervenuti. Filippo l’Ardito reclutava molti dei suoi artisti a Parigi. Così, nel 1375, prese al suo servizio dapprima Jean de Beaumetz, un artesiano presente nella capitale fin dal 1371. Alla morte di Beaumetz, nel 1396, gli succedette Jean Malouel: nato a Nimega, in quel periodo lavorava alle dipendenze della regina Isabella di Baviera, sposa di Carlo VI. La sua partecipazione al cantiere di Champmol Storia dell’arte Einaudi 49 Fabienne Joubert - La pittura gotica fu fondamentale e non si limitò alla pittura di pannelli, dal momento che gli fu affidata tutta la doratura e la policromia del grande Calvario eretto al centro del chiostro, una delle più importanti opere di Claus Sluter. Proprio nel contatto con questo scultore di genio va probabilmente ravvisata l’origine di una visione plastica senza eguali all’epoca: una Vergine con il Bambino, dipinta su tela – forse originariamente affiancata da un ritratto di Giovanni Senza Paura in adorazione, noto da una copia secentesca – presenta una straordinaria figurazione, originale per l’iconografia, perché dipinta in un tempo in cui si andavano moltiplicando le opere di devozione che rievocavano la Passione di Cristo, ma soprattutto per l’ampiezza data alla figura di Maria, di cui l’imponente mantello azzurro suggerisce tutta la maestà. Per quanto sia innegabile l’influenza delle forme dilatate e tese, imposte da Sluter nelle opere concepite per la Certosa, essa è qui però temperata da curve melodiose che percorrono i panneggi e si fonde con una cultura pittorica nutrita dagli esempi italiani, in particolare nell’uso dei modellati: le mani paffute del Bambino, le dita affusolate di Maria, i volti pieni di gravità dell’uno e dell’altra sembrano scolpiti in un incarnato solido e dolce insieme, di cui si intuisce il tepore. Nel 1415, dopo la morte di Malouel, Giovanni Senza Paura prese al suo servizio Henri Bellechose, che seguì una carriera un po’ diversa da quella dei suoi predecessori, al punto che percorsi artistici come il suo segnarono l’avvio di una svolta significativa. Originario di Breda in Olanda, sembra fosse già insediato a Digione al momento del suo ingaggio, forse come assistente di Malouel. Tuttavia, sebbene rimanesse poi alle dipendenze di Filippo il Buono dal 1420 al 1445, anno della sua morte, in assenza del principe, spostatosi nelle sue terre francesi, la sua posizione di pittore ufficiale non ebbe più nulla di splendido. Le commissioni ducali si Storia dell’arte Einaudi 50 Fabienne Joubert - La pittura gotica limitavano ad affidargli compiti per lo più decorativi e sembra che la sua bottega sopravvivesse solo grazie alla clientela locale. Di questo artista oggi si conserva una sola opera documentata, risalente al principato di Giovanni Senza Paura: una pala d’altare compiuta nel 1416 e destinata alla Certosa di Champmol, che sviluppa un’iconografia adatta all’intitolazione di questa “Casa della Trinità”, secondo la formula usata all’atto della sua fondazione: un Cristo in croce presentato da Dio Padre e dalla colomba dello Spirito Santo occupa il centro, mentre ai lati compaiono due scene tratte dalla vita di san Dionigi, l’ultima comunione e il martirio. Lo stile di questo pittore non è estraneo a quello del suo predecessore e rimane fedele all’atmosfera del centro artistico borgognone: ma Bellechose aggiunge una maggior cura per la caratterizzazione fisionomica, in particolare nel caso delle figure del martire e dei carnefici. In tal modo, nonostante l’abbondanza tradizionale degli ori dello sfondo e dei vestimenti, la solida corporatura dei personaggi, il vigore muscoloso del carnefice e i volti contratti degli astanti orientano incontestabilmente la sua opera verso un nuovo modulo espressivo, più autenticamente realistico e, soprattutto, ricco di futuro. Un altro pittore, profondamente originale e difficile da classificare, testimonia della vitalità e della creatività fuori Parigi, in questo caso, pare, grazie all’iniziativa della casa d’Angiò. Parliamo del Maestro di Rohan, che un’opera in larga parte di miniatore ci mostra negli anni della sua giovinezza a Troyes, poi per qualche anno a Parigi, e che lavora infine ad Angers per la corte e la nobiltà. Il soggiorno parigino svolge un ruolo importante per capire il suo repertorio, ove compaiono, tra l’altro, elementi direttamente ripresi dai fratelli de Limbourg e dal Maestro di Boucicaut. Ma egli attuò una trasformazione radicale di questa eredità, attraverso una sensibilità Storia dell’arte Einaudi 51 Fabienne Joubert - La pittura gotica profondamente espressionistica. Aderì senza dubbio all’estetica lineare ma la deviò dai suoi fini ornamentali per volgerla a vantaggio dell’espressività, che si rivela più intensa nelle scene di dolore o di meditazione sul destino tragico dell’uomo. L’artista era circondato dai suoi assistenti, e la parte dell’uno e degli altri è da tempo oggetto di un acceso dibattito. Dalle composizioni più rilevanti del suo codice eponimo, le Ore di Rohan (Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. lat. 9471), traspare una forza ignota all’arte del libro, al punto che pare difficile ridurre le sue capacità a quelle di un miniatore. Alcuni critici gli attribuiscono l’anta di una pala d’altare, conservata al museo di Laon: un lavoro che in ogni caso partecipa della medesima corrente pittorica, forse oggi sottovalutata a causa delle massicce perdite subite dall’arte monumentale. Il donatore e la santa che lo presenta formano un gruppo compatto e statico di belle dimensioni, che contrasta con la mobilità dell’angelo e la raffigurazione tesa ed esaltata del suo volto spigoloso. A Parigi: ultimi rinnovamenti, impasses Con il Maestro di Boucicaut compare al centro della scena una nuova categoria di artisti indipendenti, la cui clientela apparteneva ad ambienti sociali molto diversi. Se numerosi principi, quali Jean de Berry, Giovanni Senza Paura e Louis de Guyenne, gli affidarono parecchi lavori, egli era non meno apprezzato da cultori italiani dell’arte, come i Trenta di Lucca, presenti a Parigi per curare i loro affari. Il suo nome convenzionale evoca del resto Jean II le Meingre, detto il maresciallo di Boucicaut, che gli commissionò un Libro d’ore ricco di numerose composizioni decisive nell’evoluzione della pittura francese. Storia dell’arte Einaudi 52 Fabienne Joubert - La pittura gotica Il contributo di questo artista è di grande importanza. A capo di una bottega che produceva un grande numero di codici, peraltro di diversa qualità, e che si faceva carico di diffonderne le formule, il maestro si associava spesso a collaboratori dotati di spiccata personalità, come il Maestro di Bedford. Le sue opere denotano un costante rinnovamento, sintomatico di un artista alla ricerca di soluzioni nuove. Una parte importante della pittura francese del Quattrocento sarà più o meno debitrice delle sue invenzioni e taluni artisti, Jean Fouquet per esempio, si dimostreranno profondamente ispirati dalla sua arte. Ciò nondimeno bisogna riconoscere che l’artista deve molto alla cultura pittorica della generazione precedente e rimane fedele alle formule calligrafiche e ornamentali che descrivono panneggi sinuosi. Ma ricorre spesso anche a figure più statiche, di natura ben diversa, in cui le vesti, che formano semplici pieghe tubolari, impongono il loro carattere di sobrietà, particolarmente adatto alle rappresentazioni pregne di gravità come l’Ufficio dei Morti. Il pittore sembra così riallacciarsi alla grande tradizione dell’arte monumentale francese del Duecento, ma conosce bene anche la pittura italiana. Tuttavia, non si preoccupa più di imitare le morfologie senesi o i modellati che insistono sull’incarnato, ma dà prova di un’assimilazione molto più profonda delle esperienze spaziali del Trecento italiano, che gli consente di calare l’azione dei suoi dipinti in un ambiente ampio ed equilibrato. In questo campo le iniziative del pittore sono molto numerose. Va rilevato in particolare l’uso abbastanza sistematico dell’”arco-diaframma” – già noto a un Jean de Bruges – che, svolgendo la funzione di cornice ma al contempo e ancor più di elemento di contrasto, permette all’artista di allontanare o, secondo i casi, dissimulare una parte della scena. In seguito, questa tecnica sarà ripresa spesso dai suoi seguaci. Le sue ricerche in mate- Storia dell’arte Einaudi 53 Fabienne Joubert - La pittura gotica ria di paesaggi non sono meno incisive e feconde, poiché, dopo il primo tentativo ad opera del Maestro della Bibbia di Jean de Sy, rimasto isolato, egli mette a punto la prospettiva aerea e crea i primi orizzonti sbiaditi, le prime vedute di città offuscate da un velo di nebbia. La sua fame del mondo reale si coglie ugualmente nella descrizione delle fisionomie: molti ritratti, soprattutto nelle scene dedicatorie, confermano il suo talento in questo campo, tanto da far pensare che avesse un’esperienza di ritratti su pannelli. Basandosi sulle caratteristiche della sua arte, si è pensato di identificare il Maestro di Boucicaut con un artista originario di Bruges, Jacques Coene, la cui carriera parigina è documentata a partire dal 1398. Le fonti lo designano sempre come pittore, e ciò vale anche per il documento che, all’inizio dell’anno 1404, ricorda la sua partecipazione all’illustrazione di una Bibbia commissionata da Filippo l’Ardito: in questo caso i suoi assistenti sono semplicemente definiti miniatori. La sua esperienza di artista spaziò in diversi campi, visto che nel 1399 venne incaricato di eseguire un disegno per il Duomo di Milano. Un tale riconoscimento nel campo dell’architettura concorda perfettamente con l’attenzione costante e con la perizia consumata che si riscontrano nelle raffigurazioni monumentali del Maestro di Boucicaut. Tra i seguaci di questo artista di primo piano, il Maestro di Bedford deve il suo nome convenzionale all’illustrazione di tre importanti codici approntati per John of Lancaster, duca di Bedford, reggente di Francia tra il 1422 e il 1435: un Libro d’ore, un Breviario destinato a Salisbury (Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. lat. 17294) e un Benedizionale messale (andato distrutto nel Settecento). Questo artista incarna la sopravvivenza di una certa attività artistica nella capitale nonostante l’occupazione inglese, poiché dirigeva una bottega tanto prolifica quanto quella del Maestro Storia dell’arte Einaudi 54 Fabienne Joubert - La pittura gotica di Boucicaut, con il quale peraltro collaborò ripetutamente durante gli anni della giovinezza, e come quest’ultimo lavorava per una clientela varia. L’avvento di Carlo VII, anziché segnare un rallentamento della sua attività, corrispose invece a una sua considerevole espansione, che avrebbe dato un’impronta durevole all’arte della miniatura nella capitale. Seguendo l’esempio dei fratelli de Limbourg e del Maestro di Boucicaut, il Maestro di Bedford privilegiava strutture architettoniche ampie e costruite con cura, ma ne faceva un uso eccessivo, rischiando di nuocere all’unità delle sue composizioni. I numerosi piccoli personaggi che popolano le sue pagine sono elaborati con una grande abbondanza di particolari osservati dal vivo, relativi sia alle loro azioni sia alle vesti e agli accessori, che certo preannunciano gli sviluppi della vena realistica fiamminga, ma ricordano pure talune scene suggestive della vita degli artigiani, create da Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo Pubblico di Siena. In tal modo, proprio nel momento in cui l’artista dimostra, nelle sue ultime opere, una conoscenza delle prime opere dei grandi primitivi fiamminighi – Robert Campin e Jan van Eyck – di cui riproduce persino alcuni motivi, l’atmosfera della sua pittura è interamente condizionata da una propensione all’accumulo minuzioso che genera una visione più ornamentale che naturalistica, rimanendo così ancorata all’ideale gotico. Bisognerà attendere che i pittori francesi assimilino la lezione dei fiamminghi, le cui brillanti carriere si svolgono ormai nei loro luoghi d’origine, perché un nuovo afflato animi le loro creazioni: i loro propositi non saranno così dissimili da quelli dei loro predecessori, costantemente stimolati dalla loro sete di naturalismo, ma i loro mezzi pittorici non dipenderanno più dall’estetica dominante da due secoli. Storia dell’arte Einaudi 55