RAPPORTO FINALE TASK 2.1 REPORT SULLE TECNOLOGIE E I SISTEMI DI PREVENZIONE AMBIENTALE Redazione Verifica Approvazione L. Cutaia E. Fiorini M. Montalto F. Sforza A. Zampiga V. Mazzocato C. Peotta M. Guido A. Lomoro V. Mazzocato F. Frenquellucci Rev. 1 Data emissione 30-06-2005 Cod. Doc. Siam/RF/ZIP/2.1/02/05 SOMMARIO 1. PARTE GENERALE __________________________________________________2 1.1 2. Introduzione _________________________________________________________ 2 TECNOLOGIE E SISTEMI CHE OPERANO SUGLI INPUT DEI SISTEMI INDUSTRIALI_9 2.1.1 2.1.2 2.1.3 2.1.4 Vettori energetici ___________________________________________________________ 9 Approvvigionamento di materie prime__________________________________________ 10 Materie prime/seconde riciclate all’interno delle AI o verso altre AI __________________ 11 Utilizzo di BAT nei sistemi produttivi __________________________________________ 11 3. TECNOLOGIE E SISTEMI CHE OPERANO SUGLI OUTPUT DEI SISTEMI INDUSTRIALI __________________________________________________________14 3.1.1 3.1.2 3.1.3 3.1.4 3.2 Emissioni in atmosfera ______________________________________________________ 14 Depurazione acque civili e industriali __________________________________________ 40 Rumore __________________________________________________________________ 69 Tecnologie per il trattamento, la gestione e lo smaltimento dei rifiuti __________________ 74 Tecnologie e sistemi per il contenimento dell’inquinamento di suolo e sottosuolo 80 3.2.1 3.2.2 Generalità ________________________________________________________________ 80 La normativa nazionale _____________________________________________________ 87 3.3 Tecnologie e sistemi che operano sulle CONDIZIONI AL CONTORNO INFRASTRUTTURALI _____________________________________________________ 88 3.3.1 3.4 Strumenti volontari___________________________________________________ 92 3.4.1 3.4.2 3.4.3 3.4.4 3.4.5 3.4.6 3.5 Il regolamento EMAS: origine ed evoluzione ____________________________________ 92 La norma ISO 14001 _______________________________________________________ 93 Differenze ed integrazioni tra Emas e ISO 14001 _________________________________ 93 La nuova norma 14001:2004 _________________________________________________ 95 Campi di Applicazione del Regolamento EMAS__________________________________ 98 Etichette e dichiarazioni ambientali ____________________________________________ 99 La Normativa Internazionale__________________________________________ 101 3.5.1 3.5.2 4. Piano della mobilità per le merci e per il personale ________________________________ 88 LCA - life cycle assessment _________________________________________________ 101 Labelling e Life Cycle Assessment ___________________________________________ 104 INDAGINE _______________________________________________________105 4.1 Finalità ed obiettivi __________________________________________________ 105 4.2 Criteri per la messa a punto dei questionari______________________________ 105 4.3 Criteri di scelta dei destinatari_________________________________________ 107 4.4 Invio e restituzione dei questionari _____________________________________ 108 4.4.1 4.4.2 4.4.3 4.5 Elenco destinatari _________________________________________________________ 108 Questionari compilati e rinviati ______________________________________________ 110 Elaborazione dei risultati ___________________________________________________ 112 Conclusioni ________________________________________________________ 124 REPORT ON ENVIRONMENTAL TECHNOLOGIES AND POLLUTION PREVENTION SYSTEMS 1. PARTE GENERALE 1.1 INTRODUZIONE L’espressione “area ecologicamente attrezzata” è stata introdotta nell’ordinamento legislativo italiano dal D. Lgs. n. 112/98 che tratta del “Conferimento di funzioni e compiti dello Stato alle Regioni ed agli enti locali, in attuazione del Capo I della Legge n. 59 del 15 marzo 1997”, definita anche come “Legge Bassanini”. All’art. 26 il legislatore italiano la definisce come area dotata di infrastrutture, di sistemi e di forme di gestione necessari a garantire la tutela della salute, della sicurezza e dell'ambiente. Sul territorio nazionale si segnalano manifestazioni di interesse verso questo nuovo concetto: esse offrono uno scenario di informazione abbastanza frammentario e diversificato da regione a regione. L’espressione “area ecologicamente attrezzata” è applicabile ad un’area industriale dedicata alla produzione e al settore manifatturiero, qualora si vogliano progettare, realizzare e gestire contesti produttivi secondo criteri di sostenibilità e di eco-efficienza. Il moderno settore industriale è responsabile di ripercussioni negative sull’ambiente, conseguenti all’adozione di un modello di produzione insostenibile. Lo sfruttamento eccessivo di materie prime primarie, l’utilizzo di risorse energetiche non rinnovabili, l’emissione di sostanze inquinanti, la produzione di rifiuti costituiscono oggi un punto di debolezza per il comparto produttivo e manifatturiero. Quando l’industria produce tali esternalità non è inserita sinergicamente nel contesto ambientale che la ospita. L’approccio suggerito dall’ecologia industriale offre un’alternativa perseguibile qualora si intenda realizzare gli obiettivi di sostenibilità in campo industriale, con lo scopo di ridurre il consumo di materie prime primarie a favore del riutilizzo di materie prime secondarie (o sottoprodotti industriali), di preferire fonti di energia rinnovabile, di minimizzare il quantitativo in volume di rifiuti prodotti altrimenti destinati allo smaltimento e alla messa a dimora, di avvicinarsi asintoticamente all’eliminazione di ogni forma di inquinamento. Alla base della promozione di “aree industriali ecologicamente attrezzate” risiede il principio di precauzione e prevenzione dall’inquinamento, sullo sfondo dell’approccio suggerito dall’ecologia industriale, grazie al quale vengono abbandonati i vecchi approcci end-of-pipe. Non esiste una definizione univoca di ecologia industriale. L’ecologia industriale formalmente emerse in seguito ad un incontro tenutosi nel 1991 alla Accademia Nazionale delle Scienze ed è una disciplina che è stata segnalata dal Presidente del Consiglio sullo Sviluppo sostenibile come “ il nuovo paradigma” nella protezione ambientale, mentre il Consiglio Nazionale di Ricerca ha identificato questa prospettiva emergente come una delle sei aree di ricerca che richiederanno attenzione per i prossimi venti anni (Anastas e Breen, 1997). Le radici dell’ecologia industriale possono essere rintracciate negli anni ‘60 quando venivano svolte le prime analisi sui sistemi Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 2 produttivi; a ricevere su di sé l’attenzione mondiale fu però nel 1989 una ricerca della General Motors condotta dagli scienziati Frosch e Gallopoulos, quando venne elaborata la metafora di ecosistema industriale. Altri autori parlano semplicemente di ecoefficienza e vedono l’ecologia industriale come una disciplina che abbraccia l’interazione tra l’industria e la società con i sistemi naturali. Allenby nel 1992 suggerisce che l’ecologia industriale potrebbe essere considerata come uno strumento col quale è raggiunto e mantenuto lo sviluppo sostenibile. Tale strumento “consiste in una visione sistemica sull’attività economica umana e le sue interazioni con i sistemi biologici, chimici e fisici con l’obiettivo ultimo di stabilire e mantenere la specie umana a livelli che siano sostenibili indefinitamente pur continuando l’evoluzione tecnologica, economica e culturale” (Allenby, 1992). Alcuni contributi mirano a sottolineare il fatto che il tradizionale sviluppo industriale è caratterizzato da un modello lineare che non prevede il riciclo dei materiali e dell’energia e in modo approssimativo inizia con l’estrazione, prosegue con l’uso e termina con la messa a dimora. Un modello lineare, dunque, non prevede la chiusura del ciclo, ma attinge dall’ambiente risorse limitate e restituisce all’ambiente esterno prodotti, che a fine uso sono destinati alla messa a dimora, e sottoprodotti, che non vengono riutilizzati e reinseriti nello stesso ciclo di produzione o in un ciclo di produzione di tipologia diversa. Alcune definizioni di ecologia industriale forniscono delle considerazioni importanti riguardo la profonda differenza tra il sistema industriale e il sistema naturale (sarebbe più opportuno definirlo come ecosistema naturale). L’ecosistema naturale, infatti, non genera rifiuti e si articola attraverso le interazioni tra i membri del sistema. Uno dei maggiori promotori dell’ecologia industriale, Robert A. Frosh, sostiene che tale disciplina “è basata su una semplice analogia con gli ecosistemi ecologici naturali (…). La struttura di sistema dell’ecologia naturale e la struttura di un sistema industriale, o di un sistema economico, sono estremamente simili” (Frosh, 1992). Sulla necessità di imitare gli ecosistemi naturali interviene anche Tibbs con un interessante contributo: “L’ecologia industriale coinvolge la progettazione delle infrastrutture industriali come se fossero una serie di ecosistemi artificiali interconnessi che si interfacciano con l’ecosistema globale naturale (…). Prende in considerazione lo schema dell’ambiente naturale come modello per risolvere problemi ambientali, e per creare un nuovo paradigma per il sistema industriale nel processo produttivo” (Tibbs, 1992). Tibbs nello stesso documento descrive gli obiettivi che l’ecologia industriale si propone di raggiungere: “interpretare e adattare la comprensione del sistema naturale e applicarlo alla progettazione di un sistema artificiale, per cercare di ottenere un modello di industrializzazione che non sia solo molto efficiente, ma anche intrinsecamente adattato alla tolleranza e alle caratteristiche del sistema naturale. L’accento deve essere posto sulle forme di tecnologia che lavorano in sinergia con i sistemi naturali e non contro di essi”. Per Lowe un ulteriore obiettivo è quello di “rendere ciclici i sistemi industriali il più possibile per realizzare un sistema a circuito chiuso, con accanto una completa attività di riciclaggio dei materiali” (Lowe, 1993). Per completare la serie di definizioni, l’ecologia industriale è considerata lo studio per eccellenza dei flussi di materia e energia e la loro trasformazione in prodotti, sottoprodotti e rifiuti (Garner e Keoleian, 1995). Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 3 L’ecologia si occupa dello studio le relazioni tra gli organismi e l’ambiente in cui vivono; tali relazioni includono le risposte fisiologiche degli individui, la struttura e le dinamiche delle popolazioni, le interazioni tra le specie, l’organizzazione delle comunità biologiche, i processi che coinvolgono l’energia e i materiali negli ecosistemi (Ecological Society of America, 1993). Proporre l’espressione “ecologia industriale” significa inserire tale disciplina nel campo più ampio dell’ecologia, in virtù del fatto che tale approccio si propone di studiare le interazioni tra le imprese produttive, tra i loro prodotti e processi, a livello di sistemi locali, regionali, nazionali e globali. Secondo il Journal of Applied Ecology l’applicazione di principi, di idee, di metodi prettamente appartenenti al campo dell’ecologia può essere effettuata nella complessa realtà industriale in modo tale che sia favorita l’integrazione del sistema industriale con l’ambiente esterno. L’approccio innovativo proposto dall’ecologia industriale, dunque, consiste nel ritenere che la macchina industriale sia paragonabile a un organismo inserito nell’ecosistema naturale con il quale è in grado di scambiare energia e materia. L’ecosistema naturale globale, secondo gli studi di ecologia biologica, possiede le seguenti caratteristiche: - è formato da organismi che svolgono la loro attività individualmente o in cooperazione tra loro; - ogni organismo è inserito all’interno di un contesto sistemico di carattere dinamico; - energia e materia circolano continuamente e si trasformano in forme più raffinate (ad esempio, l’energia proveniente dal sole , immagazzinata nei combustibili fossili); - l’ecosistema naturale non genera rifiuti in quanto lo scarto di un organismo costituisce nutrimento per un altro; - tutto è riciclato sotto forma di nutrimento ed energia per gli organismi vivi o morti; - la produzione e il consumo sono strettamente interconnessi; - il sistema ambientale ha un carattere ciclico a circuito chiuso per cui ogni organismo riceve e cede energia e materia esclusivamente all’interno dell’ecosistema senza generare rifiuti di natura materiale ed energetica. Virtualmente niente abbandona il sistema, in quanto ciò che rappresenta rifiuto è utilizzato come substrato per altri organismi. L’ecologia industriale riconosce l’analogia tra i sistemi naturali e industriali e considera i primi come modelli da imitare per i secondi. L’obiettivo che si propone tale disciplina è quello di stimolare l’evoluzione nell’approccio allo studio dei sistemi industriali in modo tale che si possa condividere la stessa modalità di trattazione concernente ai sistemi naturali. Se si intende imitare la natura nell’ambito industriale per promuovere i principi dell’ecologia industriale è necessario puntare al raggiungimento di un equilibrio dinamico e un elevato accordo di interconnessione e di integrazione che esiste e vige in natura, caratterizzata altresì da un complesso sistema di feedback (Garner e Keoleian, 1995). Entrambi i sistemi sono caratterizzati da cicli di energia, nutrienti e materiali. I cicli del carbonio, dell’idrogeno, dell’azoto sono indispensabili per mantenere un ambiente equilibrato. Alcuni flussi possono impattare sull’ambiente globale come per esempio Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 4 l’accumulo di gas serra che provoca cambiamenti climatici globali. Il sistema naturale si distingue per il suo carattere ciclico. Tale caratteristica pone le basi per la formulazione dei concetti di simbiosi industriale, di ecosistema industriale ma anche di metabolismo industriale. La simbiosi industriale è un’applicazione dell’ecologia industriale che tenta di ottimizzare i flussi di materia e di energia attraverso processi industriali a larga scala, attraverso la cascata nell’uso di energia e nell’uso di sottoprodotti come alimentazione per altri processi. Con la creazione collegamenti tra attività formalmente separate, le domande di risorse come input e gli output (inquinamento e rifiuti) sono significativamente ridotti. In questo modo la richiesta di materie prime del processo seguente è parzialmente o totalmente coperta, in quanto è previsto il riutilizzo dei sottoprodotti. In alcuni casi, può essere richiesto di praticare il condizionamento dell’alimentazione per rendere utilizzabile un sottoprodotto come alimentazione in un dato processo. L’uso di energia in cascata coinvolge il calore residuo presente nei liquidi o nel vapore che può essere una o più volte utilizzato per provvedere al riscaldamento o al raffreddamento in altri processi. L’energia possiede un suo grado di qualità, strettamente dipendente dalla forma di energia considerata. L’energia elettrica è quella di più alta qualità: il suo utilizzo determina una sua degradazione in forme di energia di più bassa qualità. Analogamente a quanto accade negli ecosistemi naturali, in cui vige la simbiosi come forma di cooperazione tra gli organismi, le imprese presenti su uno stesso ambito territoriale sono protagoniste di una rete di scambi di flussi di materia e di energia a favore del riciclo e dell’uso a cascata dell’ energia stessa. In natura non esiste il concetto di spreco, poiché i sottoprodotti di un organismo, o gli stessi organismi, diventano alimento per altri. Adattare i concetti di biologia al mondo industriale consente a quest’ultimo di ottimizzare non solo la sua performance ambientale, ma anche la sua performance economica. Un ecosistema industriale è il risultato che si ottiene dall’implementazione della simbiosi industriale. Consiste in una comunità o un network di imprese e altre organizzazioni nell’ambito di una regione che scelgono di interagire nello scambiarsi e fare uso di sottoprodotti e/o energia in modo da ottenere uno o più dei seguenti vantaggi: riduzione dell’utilizzo di materie prime come input di un processo industriale; riduzione dell’inquinamento; aumento dell’efficienza energetica del sistema; riduzione in volume dei rifiuti prodotti; aumento nel numero e nella tipologia di output di processo che hanno valore di mercato. Per porre in essere un ecosistema industriale è necessario avere a disposizione informazioni molto dettagliate sulle imprese e su altre entità presenti su uno stesso territorio a proposito di input e output. Solo da una conoscenza approfondita delle esigenze di ogni componente dell’ecosistema possono stabilirsi accordi per effettuare archi tra i nodi della rete (Gertler, 1995). Il metabolismo industriale è una disciplina che studia il legame tra i flussi di materia di origine antropica e l’impatto potenziale delle attività economiche sull’ambiente. La specie umana altera i cicli che governano e garantiscono l’equilibrio della natura. Tecnicamente ogni bene e servizio può essere contabilizzato attraverso diversi Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 5 “numerari”, come il denaro, l’acqua consumata, la CO2 emessa in atmosfera. Questo approccio consentirebbe di accompagnare la consueta valutazione monetaria con altre valutazioni sul costo ambientale. Il metabolismo industriale consente, infine, di descrivere, contabilizzare, valutare il flusso in unità di massa di una certa sostanza dalla biosfera alle varie branchie della tecnosfera per poi ritornare alla biosfera. Come accade per un organismo vivente, un’impresa per svolgere la sua funzione, che è quella di produrre un bene o un servizio, riceve in alimentazione, come flussi di input, materiali ed energia, li sottopone a processi che li rendano disponibili in forme utilizzabili e rispondenti a determinati standard, e parzialmente li espelle dal sistema sottoforma di scarti. L’insieme di tali operazioni di “scomposizione” possono essere racchiuse nel termine “metabolismo”. La conoscenza dello schema dei flussi di energia e materia all’interno dell’economia di una comunità offre una lettura sistemica della situazione presente attraverso lo sviluppo di indicatori di sostenibilità. Sia i pianificatori che i cittadini sono supportati nelle decisioni dall’analisi di metabolismo industriale condotta attraverso il calcolo di indici numerici la cui determinazione consente di stabilire il grado di sostenibilità ambientale di un sistema. Uno di questi indici è, ad esempio, calcolato rapportando le quantità di materie prime primarie e materie prime secondarie in input ad un sistema produttivo. A diretta implementazione dei presupposti di simbiosi industriale, è di grande rilievo ricordare la duplice esperienza rappresentata dai Parchi Eco-industriali (EIP) e dall’esempio di Kalundborg,. La prima esperienza deriva dall’impostazione statunitense che ha promosso la realizzazione di queste realtà industriali principalmente in America e in Asia; la seconda esperienza arriva, invece, da una cittadina danese di circa 20.000 abitanti sita a 100 chilometri ad ovest di Copenaghen dalla quale prendono spunto i tentativi di gestione integrata tra varie imprese industriali site in uno stesso territorio. Le strade percorribili sono dunque due: creare un ecosistema industriale in aree già industrializzate manovrando i flussi di materia e di energia tra le imprese, come è avvenuto e avviene tuttora a Kalundborg, oppure costruire ex novo aree industriali la cui pianificazione include sin dall’inizio la composizione del tessuto industriale su cui realizzare la simbiosi, come avviene nei Parche Eco-industriali americani e asiatici. I due sistemi, dunque, differiscono profondamente in quanto a modalità di realizzazione, sebbene il fine ultimo è per entrambe quello di realizzare un ecosistema industriale. L’approccio di Kalundborg è di tipo “bottom up” per cui il sistema di relazioni tra le imprese site nella cittadina danese nasce indipendentemente da un riferimento teorico, che poi, in un secondo tempo, potrà essere utilizzato come supporto alla gestione. Da semplici accordi tra due enti, basati sullo scambio di materia e di energia, ora a Kalundborg, per motivi “fisiologici” e per i primi risultati ottenuti, si è considerato molto vantaggioso proseguire in quella direzione tanto da sviluppare e mantenere un solido progetto di simbiosi industriale. A Kalundborg, è attivo un progetto di simbiosi industriale che coinvolge otto partner. Le singole attività, grazie ad accordi contrattuali bilaterali, si scambiano tra loro materia ed energia, ottenendo vantaggi ambientali, tra cui, in primis, la minimizzazione degli impatti ambientali, e parallelamente vantaggi economici, che si traducono nella riduzione dei costi. Come sostiene Noel Brings Jacobsen dell’Istituto di Simbiosi Industriale a Kalundborg, esiste una correlazione Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 6 lineare tra il numero delle imprese localizzate su una stessa area e l’impatto ambientale complessivo. La sollecitazione ambientale associata ad un’area industrializzata è uguale alla somma delle sollecitazioni di ogni singola industria. Ciò significa che maggiore è il numero di industrie riunite in un’area specifica, maggiore è l’impatto ambientale. A Kalundborg, questa correlazione non vale, in quanto nella simbiosi industriale, grazie alle relazioni tra i nodi della rete di scambi, si pratica l’economia delle risorse, il risparmio energetico e la riduzione degli impatti negativi sull’ambiente. I vantaggi apportati dalla realizzazione di un ecosistema industriale come quello implementato a Kalundborg sono: - Il riciclaggio dei sottoprodotti: il sottoprodotto di un’azienda diventa un’importante risorsa per un’altra azienda. - La riduzione nel consumo delle risorse, come acqua, carbone, petrolio, gesso, fertilizzanti,ecc. - La riduzione della pressione ambientale, in termini di riduzione nell’emissione di CO2 e SO2, riduzione di scarichi di acque di rifiuto e meno inquinamento dei corsi d’acqua,ecc. - Un miglioramento nell’utilizzo di risorse energetiche, con l’uso di rifiuti gassosi nella produzione di energia. L’approccio statunitense, invece, è intrinsecamente diverso. Tale approccio è da ritenersi di tipo “top-down”, in quanto è il contenuto metodologico e i presupposti teorici ad informare e sostenere la progettazione di un ecosistema industriale, la sua successiva implementazione e gestione. Con riferimento al tessuto industriale italiano, sono state individuate, in un recente studio, due forme di applicazione del concetto di area industriale ecologicamente attrezzata, che possono eventualmente coesistere, riferite ad aree industriali nelle quali siano presenti attività produttive differenti ovvero uguali: Nel primo caso l’area industriale è vista come la sede in cui si realizza una prassi simbiotica; l’insieme di imprese di tipologia diversa anima una rete di scambi di materiali ed energia con l’obiettivo di minimizzare la produzione di rifiuti e il consumo di materie prime, favorendo l’uso a cascata dei materiali e dell’energia, il recupero e il riciclo, che presuppongono oltre che evidenti vantaggi in termini ambientali anche consistenti risparmi in termini economici. Nel secondo caso l’area industriale è vista come sede in cui si adottano strategie di politica e di governo ambientale atte a migliorare le prestazioni ambientali di ciascuna impresa e dell’area industriale nel suo complesso. In questo caso gli aspetti ambientali, energetici e delle risorse sono governati in maniera integrata da un unico soggetto che possiede non solo una visione sistemica dell’area, ma anche le competenze necessarie per ottimizzare l’utilizzo delle infrastrutture e dei servizi comuni e per gestire, ad esempio, i rifiuti, le acque reflue, le acque di pioggia, l’energia, la mobilità e i trasporti non solo nel rispetto delle normative vigenti ma anche, e soprattutto, in maniera da ridurre ulteriormente i carichi ambientali prodotti. Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 7 Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 8 2. TECNOLOGIE E SISTEMI CHE OPERANO SUGLI INPUT DEI SISTEMI INDUSTRIALI 2.1.1 Vettori energetici Il fabbisogno energetico delle aree industriali è connesso ad esigenze di produzione, riscaldamento, climatizzazione, illuminazione, trasporto e costruzione. La gestione dell’energia è strettamente connessa ad aspetti ambientali che vanno dall’inquinamento atmosferico prodotto dalle centrali elettriche erogatrici a quelli connessi con le produzioni delle singole aziende tra i quali particolare rilevanza hanno le emissioni di anidride carbonica e il depauperamento di risorse non rinnovabili quali il petrolio e il carbone. Il risparmio in consumi energetici ottenuto a parità di produzione è uno dei principali obiettivi che le aziende si pongono, essendo in esso compresi e intimamente legati vantaggi di tipo economico e ambientale. L’importanza dell’efficienza energetica risulta evidente in maniera trasversale nell’ambito dei diversi settori produttivi. Ne è testimonianza la necessità individuata in sede europea nel 2003 di una specifica linea guida sull’ecoefficienza (Energy Efficiency) della cui redazione è stato incaricato uno dei Technical Working Group (TWG) istituiti sulla base della direttiva 96/61/CE (IPPC). Differentemente dalla maggior parte degli altri “best available techniques reference documents (BREFs)” il documento pianificato non riguarderà un singolo settore produttivo ma avrà un approccio di carattere generale. Le considerazioni sulla gestione dell’energia che si vogliono ricavare dal questionario riguardano: - fabbisogno energetico dell’Area Industriale - esistenza di impianti di cogenerazione - esistenza di impianti basati su fonti energetiche alternative - esistenza di una rete di teleriscaldamento - esistenza di riutilizzi energetici interni Le considerazioni sui vettori energetici utilizzati nelle Aree Industriali, infatti, devono necessariamente ricomprendere valutazioni circa un uso razionale di essi in riferimento ai principi dell’efficienza energetica. Un “uso razionale” che nella legislazione italiana viene considerato come una vera e propria fonte energetica. La legge N. 10 del 9 gennaio 1991 “Norme per l’attuazione del piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia”, nell’Art. 1 definisce finalità e ambito di applicazione della legge, favorendo e incentivando: - L’uso razionale dell’energia. - Il contenimento dei consumi di energia nella produzione e nell’utilizzo di manufatti. Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 9 - L’utilizzazione delle fonti rinnovabili di energia. - La riduzione dei consumi specifici di energia nei processi produttivi. - La sostituzione degli impianti nei settori a più elevata intensità energetica. Ai fini della citata legge sono considerate fonti rinnovabili di energia o assimilate le seguenti: - Sole. - Vento. - Energia idraulica. - Risorse geotermiche. - Maree e moto ondoso. - Trasformazione di rifiuti organici, inorganici e vegetali. Sono considerate, inoltre, fonti di energia assimilate alle rinnovabili le seguenti: - La cogenerazione, intesa come produzione combinata di energia elettrica o meccanica e calore. - Il calore recuperabile dai fumi di scarico, impianti termici, elettrici e da processi industriali. - I risparmi di energia conseguibili nella climatizzazione e nell’illuminazione degli edifici con interventi sull’involucro edilizio e sugli impianti. In un certo senso, dunque, l’uso razionale dell’energia può essere considerato come una vera e propria fonte energetica rinnovabile. 2.1.2 Approvvigionamento di materie prime Per motivazioni ambientali ed economiche è essenziale puntare ad una riduzione consistente del prelievo di risorse e dei flussi di materiali e di inquinanti che le attività umane immettono nell’ambiente. Utilizzando le risorse in modo più efficiente nel sistema industriale è possibile conseguire questo obiettivo. I mezzi per attuare questa strategia esistono e sono dati dalle attività di ricerca e sviluppo tecnologico riguardanti processi produttivi volti a: - ridurre il consumo di risorse e materie prime, soprattutto quelle non rinnovabili; - prolungare la vita utile dei prodotti; - sostituire tendenzialmente le merci ecologicamente problematiche; - favorire il riciclaggio ed il riutilizzo dei prodotti non più servibili e della materia in essi incorporata. La riduzione dell’uso di risorse nel sistema economico italiano, consente di ridurre i costi d’acquisto di materie prime all’estero, che rappresentano una voce passiva del bilancio nazionale, e di stimolare la ricerca e lo sviluppo di nuovi processi e nuovi prodotti ad elevata efficienza migliorando la competitività. Sulla base delle risposte ai questionari si potrà avere una prima indicazione sull’esistenza nelle Aree Industriali di sistemi per l’ottimizzazione e la riduzione del consumo di risorse e sulla loro tipologia. Tali indicazioni dovranno poi essere Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 10 confrontate con la normativa e le linee guida in materia. Un esempio può essere quello della valutazione circa il grado di applicazione del DM n. 44 del 16 gennaio 2004 recepimento italiano della Direttiva 1999/13/CE detta comunemente "direttiva solventi". Il decreto infatti cerca di incentivare la selezione, da parte delle aziende soggette, dei solventi a minor impatto ambientale e di favorire il loro recupero e riutilizzo interno. 2.1.3 Materie prime/seconde riciclate all’interno delle AI o verso altre AI L’integrazione tra le diverse aziende e i diversi settori industriali assume un ruolo chiave come indicatore del valore aggiunto di un area industriale “ecologicamente attrezzata”. Il collegamento tra diverse società consente di creare opportunità di scambio dei materiali di scarto nell’ambito dell’area industriale e individuare nuovi settori che utilizzino tali materiali prodotti da altre imprese e/o settori. Un approccio integrato risulta vantaggioso per i proprietari e per le singole società poiché facilita un impiego efficiente delle risorse finanziarie, umane e naturali. Il VI Programma d’Azione Ambientale UE 2000-2010 pone come priorità nel settore rifiuti la riduzione della quantità e della pericolosità. A tal fine, prevede specifiche azioni per intervenire alla fonte del processo produttivo delle merci. La gestione dei rifiuti, come indicata nelle Direttive Comunitarie 91/156, 91/689 e 94/62, assegna allo smaltimento una posizione residuale, considerando come prioritarie le attività di riutilizzo, recupero di materia e recupero di energia. Le strategie finalizzate al recupero di materia si avvalgono della ottimizzazione dei sistemi di raccolta dei rifiuti, che dovranno comunque risultare efficaci sotto il profilo tecnico, economico, ambientale e dello sviluppo del mercato del riciclo e del recupero dei rifiuti e dei materiali ottenuti dal recupero degli stessi. 2.1.4 Utilizzo di BAT nei sistemi produttivi Nei questionari di indagine, una apposita sezione è stata dedicata all’utilizzo di tecnologie avanzate”. Non esiste a livello di distretto o di Area Industriale un BREF (Bat reference Document) dedicato. Quindi il paragone tra le tecnologie adottate dalle varie aziende del distretto o dagli eventuali impianti consortili e le cosiddette Migliori Tecniche Disponibili dovrà essere fatto riferendosi caso per caso ai diversi processi e ai diversi settori industriali. Così come da impostazione del questionario, si intende trattare separatamente le tecnologie in uso dedicate alla produzione e le tecnologie in uso dedicate all’abbattimento e al controllo dei carichi inquinanti. I dati raccolti sono destinati ad un confronto con le MTD (Migliori Tecniche Disponibili) ovvero le tecniche e le tecnologie operativamente ed economicamente perseguibili che garantiscono il più elevato livello di prestazioni ambientali da un punto di vista integrato. Il confronto si svolgerà, a livello nazionale, consultando i lavori (ove realizzati per il processo indagato) redatte dai Gruppi Tecnici Ristretti (GTR) mediante i quali articola le sue attività la Commissione Interministeriale per il supporto alla definizione delle Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 11 linee guida per l'individuazione e l'utilizzazione delle migliori tecniche disponibili (prevista dall'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 372/99 di recepimento della direttiva del consiglio europeo 96/61/CE). La direttiva 96/61/CE stabilisce i criteri con i quali gli Stati membri garantiscono l'applicazione del principio IPPC (prevenzione e controllo integrati dell'inquinamento) all'atto del rilascio dell'autorizzazione all'esercizio degli impianti di maggior presumibile impatto sull'ambiente (elencati nell'allegato 1 della direttiva stessa). Le linee guida in questione rappresentano la contestualizzazione alla realtà italiana dei documenti di riferimento (i cosiddetti BAT Reference documents o BREF) che verranno quindi considerati una fonte di dati di primaria importanza. Dal confronto tra le MTD -BAT così individuate e descritte e lo stato dell’arte dei processi indagati si potranno formulare ipotesi e proposte di risparmio energetico e di sostituzione di tecnologie. La BAT definite a livello comunitario spesso non si conciliano con gli aspetti tecnici ed ambientali insiti in una particolare località. Uno dei maggiori problemi è quello legato all’utilizzo delle BAT in impianti esistenti, per i quali l’efficienza e i vantaggi dell’applicazione delle stesse risulta spesso minore di quanto si verifica in un nuovo impianto. Anche questo aspetto merita quindi un approfondimento specifico e ci si propone di affrontarlo in fasi successive facendo riferimento al BREF “Economic and Cross-Media Issues under IPPC”, che aiuterà a valutare gli investimenti in migliore tecnologia per gli impianti sulla base della loro prospettiva di vita utile e quindi di un recupero economico negli anni a seguire. Nel caso di comparti produttivi per cui non siano state ancora individuate linee guida sulle migliori tecniche disponibili, si farà riferimento a principi di carattere generale e a quanto disponibile su altr fonti di valutazione. Alla base di tali valutazioni vi saranno i principi dell’allegato IV al decreto IPPC che riportiamo nella sua interezza: Allegato IV Considerazioni da tenere presenti in generale o in un caso particolare nella determinazione delle migliori tecniche disponibili, secondo quanto definito all’art. 2 comma 1, lettera o), tenuto conto dei costi e dei benefici che possono risultare da un’azione e del principio di precauzione e prevenzione. 1. Impiego di tecniche a scarsa produzione di rifiuti. 2. Impiego di sostanze meno pericolose. 3. Sviluppo di tecniche per il ricupero e il riciclo delle sostanze emesse e usate nel processo, e, ove opportuno, dei rifiuti. 4. Processi, sistemi o metodi operativi comparabili, sperimentati con successo su scala industriale. 5. Progressi in campo tecnico e evoluzione delle conoscenze in campo scientifico. 6. Natura, effetti e volume delle emissioni in questione. 7. Date di messa in funzione degli impianti nuovi o esistenti; 8. Tempo necessario per utilizzare una migliore tecnica disponibile. Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 12 9. Consumo e natura delle materie prime ivi compresa l'acqua usata nel processo e efficienza energetica. 10. Necessità di prevenire o di ridurre al minimo l'impatto globale sull'ambiente delle emissioni e dei rischi. 11. Necessità di prevenire gli incidenti e di ridurne le conseguenze per l'ambiente; 12. Informazioni pubblicate dalla Commissione europea ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 96/61/CE, o da organizzazioni internazionali. Infine, si vuole fare presente come per “tecnologie avanzate” non bisogna intendere le sole risorse tecniche legate a strumenti e macchinari, ma anche le tipologie dei processi produttivi. Insomma dovranno essere valutati e valorizzati quei meccanismi di produzione che riducono l’inquinamento a monte e non “end of pipe”. L’obiettivo della produzione pulita o cleaner production, infatti, è ridurre al minimo l’impatto ambientale modificando il sistema di produzione di merci e sevizi oppure i prodotti stessi. Il concetto chiave della produzione pulita è una migliore efficienza delle operazioni di trasformazione e del ciclo di vita del prodotto considerato. L’adozione di tecniche di produzione pulita consentono: - risparmio energetico - riduzione del consumo di materie prime - riduzione o eliminazione dell’impiago di sostanze chimiche pericolose - riduzione della produzione di rifiuti Tutto questo con l’obiettivo finale di una riduzione delle emissioni in atmosfera e dell’inquinamento del suolo e delle acque. Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 13 3. TECNOLOGIE E SISTEMI CHE OPERANO SUGLI OUTPUT DEI SISTEMI INDUSTRIALI 3.1.1 Emissioni in atmosfera Tecnologia di abbattimento La necessità di limitare la presenza delle sostanze inquinanti nell’aria comporta spesso l’utilizzo di svariati sistemi di abbattimento. Questi sistemi si sono rivelati pressoché indispensabili nell’ambito delle attività industriali che producono inquinanti aerodispersi in grandi quantità. A seconda della loro funzione, le tecnologie di abbattimento degli inquinanti presenti nelle emissioni industriali si suddividono in tre grandi categorie. Nel caso in cui all’inquinante sia associato un valore economico rilevante, si scelgono dei processi che permettono il suo recupero e l’eventuale riciclo, come l’adsorbimento oppure la condensazione. Se gli inquinanti presenti nelle emissioni sono caratterizzati da un buon potere calorifico e non è molto conveniente dal punto di vista economico un loro recupero per riutilizzarli nel ciclo produttivo, si procede invece al loro incenerimento con il recupero della loro energia sotto forma termica. Se i processi industriali comportano la liberazione di emissioni gassose ricche di particolato si deve invece procedere all’abbattimento degli inquinanti mediante l’utilizzo di sistemi come le camere a deposizione, i cicloni, i separatori ad umido, i precipitatori elettrostatici o i filtri tessili. Al fine di affrontare l’argomento in modo conciso e completo, le varie metodiche di abbattimento sono presentate secondo i principali impianti utilizzati in ambito industriale. Nella trattazione sono delineate le caratteristiche fondamentali, la funzionalità, l’utilizzo e la verifica dell’efficienza di queste strutture. Il tutto è comunque semplificato rispetto alla realtà industriale dove vengono spesso utilizzati più apparati contemporaneamente. Nel corso degli ultimi anni, sulla base di questi grandi sistemi di abbattimento sono stati realizzati molti dispositivi fissi o portatili allo scopo di purificare l’aria negli ambienti confinati lavorativi o abitativi di piccole dimensioni. In pratica questi dispositivi vengono utilizzati per purificare l’aria dai contaminanti e per migliorare in questo modo la qualità di vita abbattendo l’inquinamento indoor. Solitamente la loro struttura è suddivisa in due o più parti adibite a funzioni diverse; spesso ad una zona di filtraggio esterna per l’abbattimento del particolato in sospensione di dimensioni maggiori è associato un filtro per l’abbattimento di polveri più piccole, spore, pollini e allergeni vari. Un filtro a carboni attivi posizionato più internamente permette poi di assorbire le sostanze gassose, fumi ed odori. Il flusso d’aria all’interno di questi dispositivi è garantito da una ventola aspirante che fa defluire all’esterno anche l’aria depurata. Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 14 Camere a deposizione; Predepurazione Cicloni e multicicloni. Filtri con pulizia a scuotimento Filtrazione tessile Filtri con pulizia ad inversione di flusso Filtri con pulizia a getto d’aria compressa. Elettrofiltri a secco con corona negativa Precipitazione elettrostatica Elettrofiltri ad umido con corona negativa Elettrofiltri ad umido con corona positiva Condensatori convenzionali (contatto diretto o “a miscela” e condensatori a superficie) Condensazione Condensatori refrigerativi Condensatori criogenici Torri a nebulizzazione Abbattimento a umido Torri a piatti forati Torri con corpi di riempimento Sistemi Venturi Sistemi di abbattimento Torce Combustione Combustori termici Combustori catalitici Adsorbimento Adsorbimento a carboni attivi Adsorbimento a zeoliti sintetiche Biofiltrazione Predepurazione La predepurazione è un processo che si rende spesso necessario in campo industriale e che consiste in un trattamento preliminare dell’aria contaminata tramite l’abbattimento parziale degli inquinanti; i flussi pretrattati sono poi convogliati ad altri sistemi di abbattimento più costosi ed efficaci che vengono sempre posti a valle dei predepuratori. In genere questo processo viene attuato quando l’aria da trattare presenta una concentrazione di polveri estremamente alta o quando deve essere rimosso del materiale grossolano aerodisperso che potrebbe danneggiare i più fragili dispositivi di depurazione. I predepuratori sono strutturalmente molto semplici e vengono impiegati anche perché Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 15 risultano economicamente molto convenienti: ad un costo d’investimento basso associano un costo di manutenzione irrisorio; per le loro caratteristiche strutturali presentano inoltre una notevole resistenza essendo privi di parti fragili o particolarmente soggette all’usura. I principali sistemi di predepurazione sono: - le camere a deposizione; - i cicloni e i multicicloni. Il materiale si può accumulare a ridosso delle pareti e generare grossi problemi di pulizia; per questo motivo si preferisce utilizzare i predepuratori solo quando l’abbattimento non crea difficoltà nella rimozione delle polveri raccolte. L’intasamento si può prevenire mediante l’utilizzo di opportuni indicatori del livello di materiale raccolto sulle tramogge, inoltre in questi sistemi vi è di solito un indicatore della pressione interna, dato che un aumento di pressione di solito sta ad indicare che si è verificato un intasamento. Al contrario se la pressione interna cala, allora probabilmente c’è un’erosione a livello dei condotti di uscita che provoca una perdita di aria. Per quanto riguarda l’efficienza dei cicloni, questa è strettamente relazionata alla dimensione del particolato e cala bruscamente con le particelle con un diametro inferiore a 2-5 micrometri. Quando la distribuzione delle dimensioni del particolato è relativamente costante, le variazioni nella caduta di pressione lungo il ciclone costituiscono un buon indicatore dei cambiamenti nell’efficacia della raccolta delle polveri. Un ottimo indicatore del funzionamento del sistema è anche l’opacità del flusso trattato: se l’attività della sorgente dell'inquinamento rimane costante, allora un aumento dell’opacità in uscita può indicare che il sistema di abbattimento non funziona correttamente. Un esame delle condizioni generali del predepuratore può facilmente individuare il problema, probabilmente dovuto alla presenza di punti di infiltrazione d’aria esterna che possono determinare sia la risospensione del materiale raccolto che perdite o condensazioni (da evitare perché possono portare alla corrosione dei dispositivi). Filtrazione tessile La filtrazione tessile è un processo di abbattimento del particolato solido che si realizza facendo passare il flusso d’aria contaminato attraverso dei filtri costituiti da fibre tessili di varia natura. Una volta venivano utilizzati solo prodotti naturali, come la lana od il cotone, caratterizzati da un’efficacia ed una resistenza relativamente basse; in seguito, però, l’avvento di fibre sintetiche come il nylon ed il polipropilene ha permesso di ottenere dei nuovi materiali più resistenti al logoramento, al calore, all’erosione ed all’attacco delle sostanze corrosive. In alcuni casi vengono anche utilizzate le fibre di vetro. La filtrazione tessile è anche denominata “filtrazione a tessuto”, questo termine non è comunque molto corretto in quanto nelle varie applicazioni industriali non ci si limita all’utilizzo dei tessuti ma si impiegano anche feltri o addirittura agglomerati di fibre. Di Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 16 solito i feltri garantiscono una migliore filtrazione ma necessitano di sistemi di pulizia più complessi, mentre i tessuti vengono utilizzati con flussi d’aria a bassa velocità e necessitano di una pulizia più occasionale. Gli elementi filtranti possono essere strutturati a pannello, a cartuccia o a tasca, ma molto più frequentemente presentano una forma cilindrica, per cui si parla spesso di sacche o di maniche. I dispositivi più importanti sono sicuramente quelli a maniche per cui nella trattazione si farà quasi esclusivamente riferimento a questa particolare configurazione, anche se in definitiva quelli indicati sono tutti sistemi molto simili dal punto di vista applicativo. I filtri a fibre tessili sono estremamente diffusi perchè offrono il vantaggio di abbinare un’alta efficienza ad un’azione di depurazione in genere indipendente dalla composizione chimica del particolato. Le poche limitazioni al loro impiego si manifestano quando nel flusso contaminato sono presenti delle polveri adesive oppure del liquido che non si può eliminare; in questi casi, infatti, sulla superficie del filtro si possono formare delle incrostazioni che vanno ad ostruire il passaggio dell’aria e quindi la filtrazione. Allo stesso modo possono insorgere problemi quando si ha a che fare con polveri, gas e vapori combustibili o potenzialmente esplosivi per cui risulta preferibile l’utilizzo di altri sistemi di abbattimento, come i sistemi ad umido. Nella filtrazione tessile l’efficienza nella cattura delle polveri è variabile nel tempo a causa della stessa natura del filtro, per cui solitamente si preferisce valutare le varie prestazioni sulla base della concentrazione delle polveri in uscita; in ogni caso l’efficienza è sempre molto alta, supera il 99% e spesso raggiunge il 99,9%. Questo alto rendimento è possibile perché nell’abbattimento entrano in gioco vari fattori: ad un’azione di setaccio data dalla presenza delle fibre si aggiungono un effetto di sbarramento, un’interazione di natura elettrostatica ed un effetto di inerzia dovuto alla deviazione ed al rallentamento del flusso d’aria; la cattura del particolato di minori dimensioni è anche facilitata dal continuo moto browniano a cui sono soggette le particelle. Da notare che la stessa deposizione delle polveri sul materiale filtrante favorisce l’ulteriore cattura di altro particolato aerodisperso in quanto aumenta drasticamente l’azione del vaglio; in pratica tanto più il filtro è sporco, tanto più aumenta l’efficienza di abbattimento. Per mantenere la caduta di pressione entro limiti ragionevoli, è comunque necessario effettuare una periodica pulizia del filtro. Sulla base dei metodi utilizzati per rimuovere il deposito di polveri sugli elementi filtranti si distinguono essenzialmente tre diversi dispositivi di abbattimento: - i filtri con pulizia a scuotimento; - i filtri con pulizia ad inversione di flusso; - i filtri con pulizia a getto d’aria compressa. La valutazione dell’efficienza dei sistemi di filtrazione tessile viene attuata in primo luogo esaminando i vari parametri che entrano in gioco nell’abbattimento del particolato aerodisperso. Estremamente importante è la temperatura operativa dei vari filtri che deve sempre Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 17 essere superiore al punto di condensazione dei vapori presenti nell’aria da depurare. Infatti nel caso in cui l’acqua si condensasse, le gocce che si formerebbero andrebbero ad inumidire lo strato di polveri già depositato sulla superficie del filtro; questo comporta un aumento della resistenza al passaggio dell’aria ed un incremento nella caduta di pressione. Inoltre l’acqua in fase liquida discioglie gli eventuali composti acidi presenti nei depositi favorendone la dissociazione; il tutto porta alla corrosione dei vari componenti dell’impianto, in primo luogo maniche ed intelaiature di sostegno. Infatti quando si ha a che fare con processi industriali che generano emissioni umide e calde, per evitare tutto ciò, il sistema di abbattimento viene solitamente preriscaldato prima dell’utilizzo, anche se è già ben isolato. L’ispezione condotta in loco con una strumentazione portatile permette di valutare la caduta di pressione lungo gli elementi filtranti, per verificare che i valori rientrino nei limiti di riferimento e che non vi siano degli intasamenti. Anche l’individuazione delle infiltrazioni d’aria nell’impianto riveste un ruolo fondamentale, in genere se sono udibili bisogna anche valutarne la portata. Sicuramente l’osservazione ai camini di scarico risulta molto utile, in genere un aumento delle emissioni visibili sta ad indicare una riduzione nell’efficienza di abbattimento. Uno sbuffo di polveri al camino di uscita può essere ricondotto agli elementi filtranti oppure al sistema. Le perdite possono essere dovute alla rottura dei filtri, oppure ad un problema di tenuta causato da una installazione non corretta, oppure ad un’inefficiente filtrazione dovuta al fatto che non si usano gli elementi filtranti più idonei. In questi impianti bisogna stare molto attenti che non si stacchino le sacche filtranti. La cosa può essere dovuta ad un difetto dei supporti, ad un deposito di polveri eccessivo, ad un ciclo di pulizia troppo frequente, ad uno scuotimento troppo violento, ad una ripressurizzazione troppo elevata, e nei sistemi che usano aria compressa ad una pressione eccessiva. Il sistema può entrare in gioco nel caso in cui i compartimenti e i vari moduli non siano perfettamente isolati oppure se vi è la presenza di giunture o connessioni rotte, mal saldate o staccate. Se l’impianto utilizza l’aria compressa bisogna valutarne il consumo. Se è eccessivo può essere dovuto ad un ciclo di pulizia troppo frequente, oppure al fatto che le pulsazioni sono troppo prolungate, o perché si impiega una pressione troppo elevata, o ad un difetto nella valvola di regolazione. L’impiego di un quantitativo insufficiente di aria compressa comporta l’impossibilità di ripulire efficacemente i filtri. La cosa può essere dovuta ad una errata regolazione del sistema, o all’utilizzo di tubazioni non adatte o difettate, a problemi al compressore, a difetti nelle valvole, ecc. Precipitazione elettrostatica La precipitazione elettrostatica viene sfruttata principalmente per abbattere le emissioni degli inquinanti sotto forma di particolato; in condizioni ottimali è in grado di abbattere il particolato in sospensione con un’efficienza superiore al 99%. Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 18 Il processo prevede l’utilizzo di un campo elettrico ad alta tensione che provvede a caricare positivamente o negativamente le particelle solide o liquide presenti nelle emissioni gassose. Il particolato carico elettricamente va quindi a depositarsi per attrazione elettrostatica sull’elettrodo di raccolta da dove può essere rimosso come materiale secco oppure dilavato con acqua. Qualche volta il particolato liquido viene rimosso semplicemente facendolo scolare. Questa rimozione si rende sempre indispensabile dato che lo strato di materiale che si deposita diminuisce l’intensità di campo elettrico e quindi l’efficacia di abbattimento. Convenzionalmente i precipitatori elettrostatici si distinguono in elettrofiltri a secco se non prevedono l’utilizzo di acqua ed elettrofiltri ad umido in caso contrario. Comunemente vi sono 3 tipi diversi di precipitatori elettrostatici: - gli elettrofiltri a secco con corona negativa; - gli elettrofiltri ad umido con corona negativa; - gli elettrofiltri ad umido con corona positiva. La corona non è nient’altro che la debole scarica elettrica che si manifesta alla superficie del conduttore mantenuto ad alto potenziale elettrico. Lo strato d’aria attorno al conduttore perde la capacità isolante e venendo ionizzato da questa scarica diventa luminescente. A seconda della carica elettrica posseduta dall’elettrodo di emissione, la corona si distingue in negativa o positiva. Nella trattazione verrà dato maggiore risalto ai precipitatori elettrostatici a secco a corona negativa in quanto sono di gran lunga i più diffusi. La valutazione dell’efficienza degli elettrofiltri dovrebbe avere due obiettivi principali: il primo è quello di verificare se effettivamente le emissioni rispettano i termini di legge fissati per salvaguardare l’ambiente e la salute pubblica; il secondo obiettivo è invece quello di individuare e risolvere gli eventuali problemi che possono comportare una riduzione nell’efficienza di abbattimento degli inquinanti. Tutti i problemi riscontrati dovrebbero essere registrati e descritti sempre scrupolosamente; dalle registrazioni è possibile infatti determinare sia i punti dell’impianto più soggetti a rottura, sia i vari fattori associati alle operazioni di processo che sono responsabili dei vari malfunzionamenti. L’ispezione sul campo risulta tanto più semplice quanto più il sistema di depurazione è dotato di strumentazione di controllo. Ogni scostamento dei valori rilevati da questo sistema rispetto a quelli di base potrebbe indicare una diminuzione nell’efficacia di abbattimento degli inquinanti. La maggior parte dei grandi elettrofiltri è ben equipaggiata, al contrario i sistemi più piccoli possono avere una strumentazione limitata per cui si devono effettuare molti più controlli di persona. Dato il pericolo di subire delle scariche elettriche ad alto voltaggio, gli strumenti portatili non dovrebbero mai essere utilizzati per effettuare delle misurazioni dei parametri che non sono monitorati dalla strumentazione annessa all’elettrofiltro. L’indicatore più diretto del rendimento dell’elettrofiltro è sicuramente l’opacità del Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 19 flusso d’aria in uscita. Alcuni grandi precipitatori elettrostatici sono dotati di monitor appositi detti opacimetri che sono in grado di rilevare anche le piccole deviazioni nell’opacità media. Comunque le rilevazioni sulle emissioni visibili possono essere fatte anche a vista, risulta infatti abbastanza facile intuire un malfunzionamento dell’elettrofiltro se all’uscita compaiono degli sbuffi di fumo. In definitiva tutte le osservazioni che vengono effettuate in merito forniscono delle informazioni utili per valutare le performance del depuratore e per prevenire dei danni che potrebbero rendere inutilizzabile il sistema. Spesso i picchi di opacità si possono ricondurre al rientro del particolato nel flusso d’aria trattato durante l’azione dei percussori oppure ad un aumento della presenza del particolato a monte dell’elettrofiltro. Facendo una comparazione fra le frequenze dei picchi e i cicli di percussione o le attività di processo, si può determinare se il problema è dovuto ad un aumento di concentrazione di particolato in entrata oppure al cattivo funzionamento dell’elettrofiltro. Anche le variazioni nella resistività del particolato possono comportare un aumento delle emissioni a valle del precipitatore elettrostatico. Vari problemi meccanici o elettrici possono invece essere individuati sulla base delle variazioni del voltaggio, della corrente e del numero delle scariche elettriche. Una diminuzione significativa del voltaggio, assieme ad un aumento della corrente e ad un incremento nella velocità delle scariche può indicare un disallineamento degli elettrodi. Una periodicità ciclica nei valori del voltaggio, della corrente e delle scariche può essere causata da un elettrodo di emissione che si è rotto e che sta ondeggiando nel flusso d’aria da depurare. Se c’è invece una diminuzione nel voltaggio assieme ad un aumento della corrente ed una emissione di scariche bassa o addirittura nulla allora probabilmente c’è un corto circuito. Una diminuzione nel voltaggio assieme ad una diminuzione di corrente e ad un aumento di emissioni di scariche può indicare che il sistema di pulizia con i percussori non funziona. In questo caso un esame all'interno dell'elettrofiltro è utile per identificare i percussori che non funzionano. Nell’esame dei percussori, oltre alle loro condizioni strutturali dovrebbe essere valutata anche l’intensità delle percussioni e la loro frequenza in modo tale da regolarle sulla base delle condizioni di resistività del particolato. In generale, la frequenza delle percussioni è maggiore nella parte in corrispondenza dell’entrata del flusso d’aria da trattare, dove la deposizione del particolato è maggiore, mentre diminuisce progressivamente verso l’uscita. Se la resistività è bassa, il particolato viene trattenuto debolmente e può disperdersi nuovamente nel flusso d’aria trattato nel caso in cui venga attuata una frequenza o un’intensità eccessiva nelle percussioni. Se la resistività è alta il particolato resta adeso più tenacemente per cui serve una maggiore intensità e frequenza. Ci sono comunque dei limiti pratici in quanto delle Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 20 percussioni troppo vigorose e frequenti possono portare alla rottura dei percussori o ad un disallineamento delle piastre di raccolta. Un altro problema che si può verificare è quello delle infiltrazioni d’aria nell’elettrofiltro. Queste infiltrazioni possono portare spesso ad una perdita dell’isolamento degli elettrodi o alla corrosione delle parti metalliche a causa delle condensazioni acide favorite dall’umidità. Un modo per identificare le infiltrazioni consiste nell’esaminare gli scostamenti dalle condizioni standard del flusso d’aria immediatamente a monte e poi a valle dell’elettrofiltro. Se la temperatura diminuisce più del previsto o se vi è un aumento della concentrazione dell’ossigeno all’uscita allora molto probabilmente vi sono dei punti dai quali si infiltra l’aria esterna. Con un’ispezione in loco questi punti dovrebbero essere localizzati e riparati. Condensazione Nei processi di abbattimento tramite condensazione i vapori inquinanti vengono rimossi dal flusso d’aria contaminato cambiandone lo stato fisico da gassoso a liquido; una volta liquefatti, questi contaminanti vengono facilmente separati e spesso riutilizzati nel ciclo produttivo. Solitamente la condensazione può essere ottenuta o con un aumento di pressione o con una riduzione di temperatura, qualche volta con una combinazione delle due cose. Comunque, dato il costo operativo e di manutenzione dei sistemi a compressione, la maggior parte dei condensatori per il controllo dell’inquinamento dell’aria si serve della riduzione della temperatura. Il processo di condensazione prevede il trasferimento del calore dal flusso d’aria da depurare ad un’altra sostanza detta “di raffreddamento”. Quando una massa d’aria carica di vapori viene raffreddata, le molecole presenti diminuiscono la loro energia cinetica e si avvicinano al punto che le deboli forze elettrostatiche che interessano le molecole le fanno condensare. La temperatura alla quale avviene questo processo viene chiamata punto di rugiada. Man mano che i vapori si condensano in forma liquida, diminuisce la loro concentrazione nel flusso d’aria trattato. Una volta liquefatti gli inquinanti possono essere trasformati in sostanze meno pericolose, eliminati oppure riutilizzati nel ciclo produttivo. La condensazione può avvenire per contatto diretto se la sostanza di raffreddamento interagisce direttamente con il flusso d’aria da depurare, per contatto indiretto se è presente una barriera di separazione che impedisce la miscelazione. L’efficienza generale dei sistemi a condensazione dipende essenzialmente dalla temperatura operativa, ma in genere è superiore al 90%, in alcuni casi anche al 99%. L’utilizzo dei condensatori è generalmente limitato a tutti quei processi che prevedono emissioni di vapori inquinanti, soprattutto di natura organica, con alte concentrazioni e basse portate. In alcuni casi il controllo degli inquinanti può essere eseguito utilizzando esclusivamente la condensazione, la maggior parte delle applicazioni industriali richiede, però, dei sistemi di abbattimento supplementari quando nelle emissioni risultano presenti inquinanti che condensano molto difficilmente o del particolato aerodisperso. Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 21 Comunemente vi sono 3 tipi diversi di condensatori, suddivisi sulla base delle sostanze utilizzate per causare l’abbassamento della temperatura: - i condensatori convenzionali; - i condensatori refrigerativi; - i condensatori criogenici. Come sempre, la verifica dell’efficienza dell’impianto di abbattimento è tanto più semplice quanto più il sistema è equipaggiato dal punto di vista strumentale. La maggior parte dei condensatori a refrigerazione e dei complessi sistemi criogenici ha una strumentazione di controllo adeguata allo svolgimento di una corretta valutazione; i sistemi più semplici possono avere, invece, una strumentazione limitata e devono essere esaminati accuratamente tramite la misurazione diretta di vari parametri fondamentali. Quindi, dopo aver verificato il rispetto dei limiti di legge delle emissioni, dovrebbero essere valutati tutti i principali parametri relazionati al rendimento del sistema per vedere se ci sono degli scostamenti dai valori di base, cosa che potrebbe indicare una diminuzione nell’efficienza della raccolta dei contaminanti. Per verificare la capacità operativa di un sistema di abbattimento degli inquinanti per condensazione è sicuramente opportuno controllare la concentrazione dei vapori organici presenti nel flusso d’aria depurato all’uscita. Se il sistema è dotato di un analizzatore apposito, l’affidabilità dei dati raccolti dovrebbe essere valutata come parte integrante della valutazione generale dell’impianto. Devono essere esaminate sia le condizioni di prelievo dei campioni analizzati che l’integrità del sistema di campionamento; devono essere visionate anche le frequenze e le procedure di calibrazione dello strumento, nonché le registrazioni delle relative manutenzioni ordinarie e straordinarie. Gli analizzatori portatili non dovrebbero essere mai utilizzati in questa valutazione dato che i sistemi di abbattimento a condensazione vengono spesso utilizzati nei processi industriali che generano alte concentrazioni di vapori organici. E’ infatti possibile che, durante un malfunzionamento, il flusso del gas in uscita presenti una concentrazione esplosiva; in questo caso l’elettricità statica dello strumento portatile potrebbe fungere da innesco e generare un’esplosione. Un ottimo indicatore del rendimento di questi sistemi è la temperatura del flusso d’aria trattato. Dato che la concentrazione in uscita è proporzionale alla pressione di vapore a quella temperatura, una temperatura più alta della norma indica una diminuzione nell’efficienza di raccolta (infatti se la temperatura è maggiore allora i vapori tendono a condensarsi di meno e permangono nelle emissioni). Un graduale incremento nel tempo della temperatura in uscita si verifica spesso se sulle superfici dello scambiatore di calore vanno accumulandosi ghiaccio o composti organici ghiacciati. Tutte queste incrostazioni devono essere periodicamente eliminate per ripristinare il normale scambio termico. Se i valori delle temperature in uscita vengono registrati, allora si potrebbero esaminare attentamente per determinare le eventuali ciclicità degli incrementi termici. In questo modo si è in grado di relazionare il problema allo svolgimento dei vari processi Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 22 industriali o ad eventuali fattori esterni non previsti. Un indicatore indiretto del rendimento del sistema è anche la diminuzione della differenza di temperatura fra il punto di entrata e quello di uscita della sostanza raffreddante: sta ad indicare una riduzione nello scambio di calore, cosa che riduce l’efficienza di abbattimento degli inquinanti. Dovrebbe essere esaminata anche la portata della sostanza raffreddante in quanto una sua riduzione determina una minore efficienza dell’impianto. Se si è individuata una diminuzione della portata del flusso d’aria da trattare allora probabilmente ci sono delle fughe e vi è una diminuzione nella raccolta dei contaminanti. Da notare, comunque, che le basse portate possono anche essere il risultato della formazione di ghiaccio o dell’accumulo di composti organici ghiacciati all’interno del condensatore. Queste incrostazioni, oltre a limitare gli scambi termici, impediscono fisicamente l’afflusso dell’aria all’interno. Logicamente la valutazione dei vari parametri deve essere accompagnata da un attento esame delle condizioni generali del sistema. Le parti più sollecitate possono essere soggette ad erosione o a incrostazioni, e particolarmente sensibili sono gli ugelli dei diffusori dei condensatori a miscela. Una diminuzione della temperatura in uscita può indicare che c’è stata una corrosione a carico degli ugelli e quindi una maggiore portata del liquido raffreddante. Un aumento della temperatura in uscita può indicare invece che vi è un intasamento e che c’è una portata minore. Una particolare attenzione deve essere riposta anche agli scambiatori di calore in quanto in alcune particolari applicazioni industriali possono essere soggetti ad intasamento per l’accumulo del particolato aerodisperso. In questo caso sono di fondamentale importanza le periodiche operazioni di manutenzione ordinaria e di pulizia. Abbattimento a umido I sistemi di abbattimento ad umido prevedono la rimozione degli inquinanti presenti in un flusso gassoso contaminato mediante l’azione di un liquido, solitamente l’acqua; per questo motivo simili impianti vengono anche definiti sistemi di lavaggio. Per le particelle di diametro superiore ad un micrometro, il principale meccanismo che entra in gioco nella depurazione è dato dall’impatto dei contaminanti con le gocce del liquido o con le superfici bagnate delle strutture appositamente predisposte per favorire un migliore abbattimento. L’acqua cattura questi contaminanti e li trascina via permettendo così di ripulire il flusso inquinato. Al contrario, per il particolato di diametro inferiore e per i gas la depurazione avviene essenzialmente perchè i contaminanti vengono assorbiti nella sostanza liquida. Questo processo che consiste nel passaggio selettivo di uno o più componenti da una fase gassosa ad una liquida viene detto absorbimento. L’absorbimento può essere sia di tipo fisico che chimico. Quello fisico si manifesta quando i contaminanti si disciolgono nel mezzo liquido che funge semplicemente da solvente; quello chimico avviene quando gli inquinanti reagiscono chimicamente con il Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 23 liquido o con opportuni reagenti presenti all’interno di esso. Da notare che l’absorbimento chimico può manifestarsi con reazioni reversibili oppure irreversibili a seconda delle sostanze in gioco. Nel primo caso il liquido può essere recuperato dopo un’opportuna rigenerazione, mentre nel caso delle reazioni irreversibili deve essere necessariamente smaltito e rimpiazzato. L’absorbimento è particolarmente utilizzato per il controllo degli inquinanti gassosi presenti ad alte percentuali in volume, ma è applicabile anche a gas diluiti molto solubili. In genere l’absorbente più utilizzato è l’acqua a meno che non vi sia la necessità di abbattere contaminanti caratterizzati da una bassa solubilità, come gli idrocarburi; in questo caso si utilizzano altri solventi a bassa volatilità e di natura organica. I fattori più importanti nel condizionare la solubilità dei contaminanti gassosi sono la temperatura ed il pH del liquido. I gas inquinanti sono più solubili nei liquidi freddi che non in quelli caldi e sono meno solubili nei liquidi che presentano un basso pH. Anche la pressione del sistema può condizionare la solubilità, ma questa non è la variabile più importante negli absorbitori utilizzati per il controllo dell’inquinamento dell’aria dato che si opera per lo più a pressione atmosferica. Altri fattori che sono direttamente relazionati al rendimento dell’absorbitore sono la superficie dell’area di contatto fra le diverse fasi ed il tempo a disposizione per la diffusione dei contaminanti gassosi nel liquido. Nelle applicazioni industriali, in genere, è possibile ottenere la massima efficienza nell’abbattimento contemporaneo di particolato e di gas solo quando i gas da eliminare hanno un’altissima solubilità nel liquido di lavaggio. E’ anche preferibile che il particolato sia presente a concentrazioni relativamente basse perchè spesso si formano dei fanghi reflui particolarmente difficili da smaltire. Questa particolare situazione non si verifica spesso, così, per rispondere meglio alle diverse esigenze tecniche, i depuratori ad umido sono solitamente progettati o per l’eliminazione del particolato o per l’abbattimento dei gas. Quindi a seconda delle esigenze industriali si dovrà scegliere il tipo di impianto che meglio risponde alle richieste del caso e che garantisce allo stesso tempo alta efficienza ed economicità. Di solito l’efficienza nell’abbattimento del particolato supera il 95%, mentre per quanto riguarda l’abbattimento dei gas e dei vapori l’efficienza varia dal 70 al 99%. Bisogna comunque notare che alla depurazione dei flussi d’aria contaminati si accompagna inevitabilmente la produzione di fanghi e di liquidi reflui che, in molti casi, devono essere smaltiti dopo opportuno trattamento. Le diverse soluzioni ingegneristiche hanno condotto alla realizzazione di un numero estremamente elevato di sistemi di abbattimento ad umido, soprattutto perchè si dimostrano estremamente utili quando i flussi contaminati presentano polveri, gas e vapori potenzialmente combustibili o esplosivi. Comunque, in linea di massima, semplificando molto possono essere individuati sostanzialmente quattro diverse tipologie di impianti: - le torri a nebulizzazione; - le torri a piatti forati; Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 24 - le torri con corpi di riempimento; - i sistemi Venturi. Tutti questi sistemi vengono anche definiti scrubber e sono estremamente diffusi sia come tali che combinati strutturalmente tra loro o con altri sistemi di abbattimento. Nella verifica dell’efficienza di questi sistemi di depurazione bisogna innanzitutto accertare il rispetto dei termini di legge fissati per la tutela della salute e dell’ambiente; in secondo luogo è opportuno individuare e risolvere tutti gli eventuali problemi che possono comportare una riduzione nell’efficienza di abbattimento degli inquinanti. Di fondamentale importanza sono anche le registrazioni relative ai cedimenti dei vari componenti dello scrubber in quanto forniscono spesso ottime indicazioni sulle condizioni dell’impianto. Nel caso in cui il sistema non sia dotato di adeguati sistemi di controllo ben calibrati ed in perfette condizioni, bisogna necessariamente valutare in prima persona tutta una serie di parametri chimici e fisici che sono relazionati al corretto funzionamento dell’impianto. L’indicatore più diretto dell’efficienza del sistema è sicuramente l’opacità del flusso d’aria in uscita: tanto più l’emissione si presenta opaca, tanto più dovrebbe essere contaminata da particolato o da composti chimici di varia natura. Comunque, dato che il flusso emesso è solitamente molto vicino alla saturazione, la presenza di umidità condensante può rendere difficile l’osservazione. Per la stessa ragione i monitor che rilevano l’opacità non vengono di norma utilizzati con questi sistemi, dato che non è possibile distinguere l’offuscamento della luce dovuto al particolato da quello dovuto alle goccioline d’acqua. Un ottimo indicatore è anche la differenza di temperatura fra l’entrata e l’uscita dello scrubber. Il flusso d’aria trattato con il liquido di lavaggio subisce inevitabilmente un raffreddamento; se la temperatura all’uscita si presenta più alta del normale allora è molto probabile che sia diminuita anche l’efficienza di abbattimento, magari a causa di una diminuzione nella portata del liquido non accompagnata da una proporzionale diminuzione della portata del flusso d’aria da depurare. Se queste portate vengono monitorate in modo sistematico, durante l’ispezione si dovrebbero confrontare i valori rilevati con quelli di riferimento. Indicazioni indirette di una diminuzione di portata del liquido utilizzato per l’abbattimento degli inquinanti includono la diminuzione della pressione nella pompa di scarico o un aumento di pressione nei condotti che portano agli spruzzatori, dovuto di solito all’intasamento dei diffusori. Anche il pH dell’acqua in entrata ed in uscita dovrebbe essere valutato. Un pH in entrata sopra il 10 può comportare un accumulo di incrostazioni che possono ostruire gli spruzzatori, il letto di riempimento ed i piatti riducendo così la portata del liquido ed ostacolando il contatto fra la fase gassosa e quella liquida. Il pH in uscita sotto il 6 può comportare una grave corrosione delle componenti in metallo. Anche le variazioni nella caduta di pressione hanno la loro importanza. Un aumento nella caduta di pressione lungo il letto di un sistema a piatti o a corpi di riempimento Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 25 può indicare l’intasamento del letto o dei piatti. Un aumento nella caduta di pressione in uno scrubber venturi può essere causato da un aumento della portata del liquido o da un’errata regolazione della valvola che determina l’apertura della sezione variabile dello scrubber (in pratica è stata chiusa troppo). Una diminuzione della caduta di pressione lungo uno scrubber a piatti può indicare la rottura o il collasso dei piatti, mentre in uno scrubber venturi può essere causato da una diminuzione della portata del liquido o dall’apertura eccessiva della sezione variabile. In modo simile, anche la caduta di pressione lungo i dispositivi che vengono utilizzati per eliminare le goccioline aerodisperse all’uscita delle emissioni fornisce un’indicazione eccellente delle condizioni fisiche di queste strutture. L’incremento della caduta di pressione di solito è dovuto ad un accumulo di materiale sulle superfici, cosa che fa avvicinare le aperture attraverso cui deve passare l’emissione. Questo accumulo causa così un aumento della velocità delle emissioni e spesso comporta un convogliamento delle goccioline aerodisperse all’esterno. Al contrario, una diminuzione nella caduta di pressione può indicare un cedimento strutturale. L’efficienza di questi dispositivi può comunque essere facilmente rilevata osservando il camino e le aree adiacenti. Se è presente all’emissione una caduta di goccioline o se si vedono dei rigagnoli o delle scoloriture attorno al camino, allora sicuramente vi sono dei problemi che devono essere risolti. Combustione La combustione viene utilizzata per eliminare i contaminanti organici presenti nelle emissioni gassose industriali quando non è possibile recuperare questi composti per reintrodurli nel ciclo produttivo sia per difficoltà di natura tecnica che per motivazioni esclusivamente economiche. Il processo di combustione è molto utilizzato per rimuovere aerosol, vapori e gas provenienti da sorgenti come gli sfiati degli impianti chimici o i forni di verniciatura e consiste nell’ossidazione, sostenuta da fiamma, delle sostanze organiche aerodisperse. Se i composti inquinanti sono costituiti solamente da carbonio ed idrogeno allora i prodotti dell’ossidazione sono il biossido di carbonio ed il vapor d’acqua. L’utilizzo dei sistemi a combustione può anche comportare la formazione degli onnipresenti ossidi di azoto, nonché di particolato inorganico rappresentato per lo più dalle ceneri del combustibile eventualmente utilizzato per alimentare la fiamma. Se gli inquinanti contengono anche cloro, fluoro o zolfo, si possono formare vapori di acido cloridrico, di acido fluoridrico, biossido di zolfo e vari altri inquinanti. Nel caso in cui la combustione non sia completa, viene anche prodotta una enorme varietà di sostanze chimiche che, oltre ad aumentare la precipitazione di particolato, risultano spesso tossiche per l’uomo e nocive per l’ambiente (idrocarburi semplici e complessi, alcoli, esteri, chetoni, aldeidi, ecc.). Così, per eliminare la presenza di tutti questi inquinanti derivati, vi è spesso la necessità di associare alla camera di combustione del sistema di depurazione anche un sistema di Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 26 abbattimento dei fumi acidi mediante lavaggio oppure una seconda camera di combustione in grado di ossidare i composti idrocarburici residui. In generale i depuratori a combustione hanno un’efficienza di abbattimento degli inquinanti aerodispersi maggiore del 95%, comunque alcuni sono progettati per raggiungere delle efficienze superiori al 99%. Nella trattazione saranno affrontati i tre diversi sistemi di abbattimento a combustione più comunemente utilizzati: - le torce; - i combustori termici; - i combustori catalitici. La capacità di valutare i problemi durante un’ispezione sul campo dipende essenzialmente dalla strumentazione di controllo di cui è fornito il sistema. La maggior parte dei grandi impianti presenta una ricca strumentazione, invece quelli più piccoli possono averne una ridotta all’osso. Quindi, dopo aver valutato il rispetto dei limiti di legge delle emissioni, dovrebbero essere controllati i vari parametri fondamentali che definiscono l’operatività generale del sistema per vedere se vi sono degli scostamenti dai valori di routine e per capire se vi è una perdita di efficienza nell’ossidazione dei composti inquinanti. Anche se questi sistemi di abbattimento vengono utilizzati per eliminare gas che generalmente non possono essere visti, l’opacità al camino è ancora un utile parametro di ispezione. In ogni caso, la misura più diretta del rendimento è la concentrazione dei vapori organici nel flusso d’aria in uscita, nei combustori di solito misurata a valle dello scambiatore di calore. Concentrazioni molto elevate in uscita potrebbero essere la conseguenza di varie cause diverse: una bassa temperatura di combustione, problemi a carico dei bruciatori, una miscelazione inadeguata delle massa d’aria, una ridotta permanenza nella zona di ossidazione, una riduzione dell’attività del catalizzatore o un corto circuito all’interno dello scambiatore di calore a causa di un intasamento o di un cedimento strutturale. Se vi è un monitor analizzatore installato permanentemente, bisogna valutare l’affidabilità dei dati raccolti come parte della procedura generale di verifica dell’efficienza del sistema. La valutazione include un’ispezione delle condizioni e dell’integrità del sistema di campionamento ed una verifica della portata del campione d’aria che deve essere esaminato. Oltre a questo, dovrebbero essere valutate le frequenze e le procedure di calibrazione, nonché le registrazioni relative. Se non c’è un analizzatore fisso, allora le misure delle concentrazioni degli inquinanti devono essere effettuate tramite un analizzatore portatile. Comunque è necessario utilizzare un sistema di diluizione per impedire che l’alta temperatura possa danneggiare gli strumenti. Dato che questi analizzatori hanno una limitata capacità di aspirazione, le misurazioni devono essere effettuate nella porzione del condotto di uscita che presenta una pressione interna positiva. Sia gli analizzatori fissi che quelli portatili possono fornire delle indicazioni accurate Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 27 della concentrazione in uscita quando sono calibrati per specifici composti presenti nel flusso d’aria trattato; spesso per effettuare queste calibrazioni si utilizzano così dei gas di riferimento come il metano, il propano, l’esano o il 1,3 butadiene. Il parametro operativo più importante per valutare il rendimento di un combustore termico è la temperatura in uscita del flusso d’aria trattato. Questa viene sempre monitorata dato che viene utilizzata per controllare l’erogazione del combustibile ai bruciatori. Delle temperature inferiori alla norma implicano una diminuzione nella distruzione dei contaminanti dato che aumentano di conseguenza i tempi di reazione. Inoltre, quando la temperatura scende sotto i 700°C, le condizioni di equilibrio fanno sì che l’ossidazione del carbonio porti alla formazione di monossido di carbonio, più che di anidride carbonica. Per valutare il rendimento di un combustore catalitico si prendono in esame sia le temperature in entrata che quelle in uscita, dato che la differenza di temperatura è direttamente relazionata all’ammontare di vapori organici che vengono distrutti. Vi è la possibilità, comunque, che vi sia una diminuzione di questa differenza perché ci sono meno vapori organici contaminanti in entrata; per questo la situazione dovrebbe essere valutata mediante l’utilizzo di un analizzatore portatile o magari fisso, già installato allo scopo di individuare il limite inferiore di esplosività. Una diminuzione nella differenza di temperatura può anche manifestarsi se vi è una perdita dell’attività del catalizzatore, dato che in questo modo vengono ossidati meno composti organici. Se viene monitorata in continuo anche la temperatura in uscita, allora le registrazioni dovrebbero essere esaminate per individuare le escursioni di temperatura maggiori, dato che queste potrebbero danneggiare il catalizzatore o il sistema dello scambiatore di calore a valle. L’aumento della temperatura nel flusso d’aria da trattare lungo lo scambiatore di calore fornisce un’utile indicazione delle sue condizioni fisiche. L’accumulo di particolato nello scambiatore di calore riduce l’efficienza di trasferimento, cosa che comporta una richiesta supplementare di combustibile per mantenere alte le temperature. Un altro parametro molto utile è la portata dei flussi in entrata ed in uscita. Una diminuzione delle portate in entrata può essere relazionata ad una diminuzione nella raccolta dei contaminanti alla sorgente; una diminuzione in uscita sta generalmente ad indicare che ci sono delle perdite o delle fughe nell’impianto. Adsorbimento L’adsorbimento è un fenomeno che consiste nell’adesione e nel concentramento di sostanze disciolte o aerodisperse a ridosso della zona superficiale di un corpo. Nel campo dei sistemi di bonifica delle emissioni si sfrutta questo processo facendo fluire l’aria da trattare attraverso un materiale poroso; il materiale, detto adsorbente, è in grado di trattenere gli inquinanti sulla sua superficie e permette così di ripulire il flusso dai contaminanti volatili. L’adsorbimento viene generalmente utilizzato quando l’aria è contaminata da uno o due composti pregiati che devono essere riutilizzati nei processi industriali; in questo caso il materiale adsorbente permette di raccogliere queste sostanze per poi reimpiegarle nel Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 28 ciclo produttivo. Il processo di adsorbimento viene utilizzato anche in presenza di un gran numero di composti organici a bassa concentrazione: non essendo economicamente vantaggioso procedere alla loro raccolta, bisogna necessariamente preconcentrare questi inquinanti per adsorbimento per poi eliminarli tramite combustione termica o catalitica. Sulla base della natura delle forze che impegnano il materiale adsorbente e l’inquinante, cioè la sostanza adsorbita, si possono distinguere l’adsorbimento chimico e quello fisico. L’adsorbimento chimico non viene molto utilizzato in quanto i legami chimici che si vengono ad instaurare tra sostanza adsorbente e contaminante pregiudicano l’utilizzo continuativo del sistema: una volta formatisi i legami bisogna necessariamente rimpiazzare la sostanza adsorbente. Nell’adsorbimento fisico, invece, la molecola contaminante viene trattenuta sulla superficie del materiale adsorbente da deboli forze elettrostatiche. In questo caso il materiale adsorbente può essere facilmente riutilizzato dopo un processo di rigenerazione che consiste in definitiva nella rimozione del contaminante. In questi sistemi gli adsorbenti più utilizzati sono quelli che permettono di attuare la rigenerazione. Le numerose applicazioni industriali prevedono il raro utilizzo del gel di silice, dell’allumina attivata e dei polimeri sintetici, molto diffuse sono invece le zeoliti sintetiche ed estremamente utilizzato è il carbone attivo. Tutti questi materiali sono caratterizzati da una microporosità talmente elevata da garantire loro uno sviluppo superficiale impressionante. La superficie per unità di peso è quasi sempre superiore a 500 metri quadrati per ogni grammo di materiale per cui le sostanze in grado di legarsi sono quantitativamente molto elevate. I sistemi di adsorbimento si impiegano spesso per la rimozione dei composti organici e possono essere utilizzati nell’ambito di un’ampia gamma di concentrazioni che varia da 10 ppm a circa 10000 ppm. Il limite superiore di concentrazione è essenzialmente dovuto al pericolo di esplosione che si può verificare quando la concentrazione totale dei composti organici volatili supera il 25% del LEL e può essere soggetta a forti oscillazioni. Per quanto riguarda l’efficacia nell’abbattimento, un sistema ad adsorbimento predisposto nel modo più appropriato è generalmente in grado di rimuovere dal 95 al 98% dei contaminanti organici presenti nell’aria. Tra i sistemi di adsorbimento più diffusi si ricordano: - adsorbimento a carboni attivi - adsorbimento a zeoliti sintetiche La verifica dell’efficienza dei sistemi di depurazione per adsorbimento risulta abbastanza semplice negli impianti più complessi che dispongono di uno o più analizzatori installati permanentemente; in questo caso bisogna sempre ricordarsi di verificare il funzionamento di tali strumenti esaminando sia le frequenze che le procedure di calibrazione, le varie registrazioni delle relative manutenzioni ordinarie e straordinarie, le condizioni di prelievo dei campioni analizzati e l’integrità del sistema Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 29 di campionamento. Da notare che gli adsorbitori progettati per operare al 10-25% del limite inferiore di esplosività hanno solitamente anche un monitor che riporta il valore di LEL nel condotto di entrata per appurare se la concentrazione degli inquinanti rientra nel range prestabilito. Nel caso in cui gli impianti non siano equipaggiati con una strumentazione di controllo adeguata, i vari parametri fondamentali relazionati al rendimento dell’impianto devono essere esaminati direttamente da chi effettua le verifiche. La prima misurazione da attuare è sicuramente la rilevazione della concentrazione dei vapori organici presenti nel flusso d’aria già trattato. La misurazione dell’aria depurata deve essere effettuata con un analizzatore portatile dotato di spia indicatrice del livello di esplosività, per non incorrere in pericolosi incidenti. Se non vi è saturazione del materiale adsorbente, la concentrazione dei contaminanti in uscita dovrebbe essere all’incirca uguale a quella che caratterizza un materiale nuovo o appena rigenerato; nel caso in cui la concentrazione sia maggiore, allora l’impianto può avere qualche problema. A tal proposito bisogna sottolineare che, solitamente, anche un aumento della concentrazione in entrata può portare ad un corrispondente incremento all’uscita, a meno che non venga aumentata la frequenza di rigenerazione. Dato che gli analizzatori portatili hanno una limitata capacità di aspirazione, le misurazioni devono essere effettuate nella porzione del condotto che presenta una pressione interna positiva. Se la rigenerazione avviene mediante un flusso di vapore, allora le misure non dovrebbero essere effettuate quando il materiale adsorbente si trova nel suo ciclo di spurgo (cioè nel periodo in cui il letto viene deidratato e raffreddato); infatti le goccioline d’acqua e l’alta umidità potrebbero danneggiare lo strumento utilizzato. Una delle variabili che condiziona maggiormente il rendimento degli adsorbitori (e che per questo bisogna sempre controllare) è la temperatura del flusso d’aria da trattare. Un aumento della temperatura comporterà sostanzialmente una riduzione della capacità del letto adsorbente, cosa che provoca spesso un aumento delle emissioni. Se questi valori termici vengono registrati sistematicamente, allora esaminandoli si possono anche determinare le eventuali anomalie che si verificano nel tempo per individuarne le possibili cause. Un ottimo indicatore del rendimento del sistema è anche la caduta di pressione lungo il letto del materiale adsorbente. Il carbonio attivo, ad esempio, con il passar del tempo sedimenta e si compatta, facendo sì che vi sia un aumento della caduta di pressione rispetto ai valori abituali. La coesione di molti granuli di carbone comporta una diminuzione della capacità del materiale adsorbente e si accompagna spesso ad una riduzione nella distribuzione del flusso d’aria da trattare. L’aumento nella caduta di pressione può essere causato anche da un accumulo di particolato nella parte del letto dove il flusso è in entrata oppure dal collasso parziale o completo del letto fisso a causa della corrosione della griglia di supporto o anche dall’accumulo di materiale organico condensato. Il tutto provoca una diminuzione nella capacità di adsorbimento ed un conseguente aumento delle emissioni. Un altro fattore condizionante è la portata dell’aria da trattare: se è eccessiva può Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 30 provocare potenziali rotture dell’impianto. In questo caso indicatori importanti dell’aumento della portata sono l’aumento della caduta di pressione e l’incremento della pressione statica a carico del rivestimento. Nella verifica dell’efficienza degli adsorbitori bisogna anche comparare con i valori di riferimento sia la frequenza di rigenerazione che i tempi del ciclo di adsorbimentodesorbimento. La diminuzione in frequenza o in durata della rigenerazione riduce spesso la capacità del letto di carbonio, cosa che può comportare un aumento delle emissioni. Bisognerebbe anche verificare se la quantità di materia organica raccolta rientra nei parametri di base; infatti se la quantità di vapori organici che entrano nell’adsorbitore è costante, una riduzione nell’ammontare di inquinante raccolto sta sempre ad indicare una riduzione dell’efficienza dell’abbattimento. Infine dovrebbero essere valutate le condizioni fisiche del sistema di adsorbimento. Varie parti del sistema e, in particolar modo, la base dei supporti e i condotti di uscita possono essere soggetti a corrosione a causa della formazione di composti acidi, soprattutto se si accumulano dei liquidi magari dovuti alla condensazione dell’umidità che si libera durante il ciclo di spurgo. Biofiltrazione La biofiltrazione è un processo di abbattimento degli inquinanti aerodispersi che sfrutta l’ossidazione biologica: l’aria contaminata viene fatta passare attraverso un mezzo nel quale sono presenti dei microrganismi in grado di decomporre gli inquinanti utilizzandoli come fonte di nutrimento. In pratica il sistema permette di ottenere gli stessi risultati della combustione, ad eccezione del fatto che l’ossidazione dei composti organici volatili ad anidride carbonica non avviene termicamente ma biologicamente; se i composti contengono zolfo, azoto o cloro, allora i sottoprodotti dell’ossidazione sono sali minerali. Queste applicazioni sono economicamente più convenienti dei sistemi a combustione sia nella costruzione che nella manutenzione, ma richiedono comunque una buona progettazione perchè dimostrino un utilizzo ottimale. Anche la gestione dei biofiltri può rivelarsi abbastanza complessa, dato che le variabili implicate nel corretto abbattimento degli inquinanti sono molte e tutte di notevole importanza. In genere la biofiltrazione si impiega con i flussi d’aria che contengono una concentrazione di inquinanti relativamente bassa, di solito inferiore a 1000 ppm, e la maggior parte delle applicazioni trattano flussi con una concentrazione variabile tra 5 e 500 ppm. L’efficienza di abbattimento dei composti organici volatili supera spesso il 95% e per questo motivo i biofiltri vengono utilizzati per eliminare un’ampia varietà di inquinanti organici spesso caratterizzati dall’avere un odore insopportabile. Gli alcoli, gli eteri, le aldeidi e i chetoni si biodegradano velocemente, gli alcani impiegano più tempo, mentre i composti aromatici necessitano di un tempo di ossidazione ancora maggiore; anche i composti solforati possono essere facilmente trattati, mentre i composti organoalogenati presentano grosse difficoltà. Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 31 Una piccola puntualizzazione è comunque doverosa: nel caso in cui nel flusso d’aria da trattare siano presenti alcune sostanze che risultino tossiche ai microorganismi, si deve necessariamente utilizzare un altro tipo di sistema di abbattimento e non la biofiltrazione. Variabili implicate I microrganismi utilizzati nei biofiltri possono essere di diversa natura: funghi, lieviti, muffe e soprattutto batteri. Tutti comunque sono estremamente sensibili alla temperatura del flusso dell’aria da trattare. La maggior parte dei filtri a biossidazione opera essenzialmente con batteri mesofilici, fra i 20 e i 40°C circa. Le temperature relativamente elevate garantiscono un biofiltro più attivo e richiedono un tempo di trattamento più breve. Quelle al di sopra dei 40°C causano una diminuzione dell’efficienza di abbattimento perché provocano la morte dei microrganismi. Al contrario, le temperature inferiori riducono la velocità metabolica delle reazioni, cosa che comporta l’utilizzo di volumi filtranti maggiori per ottenere la stessa efficienza di abbattimento realizzabile con temperature più alte. Per ovviare a questi problemi è spesso necessario condizionare le emissioni da trattare; per esempio se le emissioni sono ad alta temperatura si possono utilizzare sia il raffreddamento evaporativo che quello forzato. Le installazioni negli ambienti freddi richiedono invece l’utilizzo di vapore per riscaldare il flusso d’aria da trattare. L’efficienza nell’abbattimento è direttamente legata al numero di microrganismi presenti, numero che è estremamente dipendente dal grado di umidità presente nel mezzo filtrante. Se un flusso di aria secca viene immesso nel mezzo, l’umidità viene rimossa velocemente ed il numero dei batteri presenti crolla, parallelamente all’efficienza di rimozione degli inquinanti. Quindi una progettazione ideale dovrebbe fare in modo che il flusso d’aria in entrata sia quasi a saturazione. A seconda della particolare configurazione dell’impianto, l’umidità relativa può variare al mutare delle condizioni ambientali, per cui l’umidità dovrebbero essere rilevata sia in stagioni diverse che durante la giornata ed anche in occasione di cambiamenti nei processi produttivi. Anche l’eventuale presenza di particolato può creare grossi problemi: accumulandosi sul materiale filtrante ostacola l’afflusso dell’aria nel mezzo dove sono presenti i microrganismi. Per eliminare questo problema, di solito si utilizzano dei sistemi di pretrattamento, come ad esempio gli scrubber venturi che servono sia per umidificare che per rimuovere le polveri. Si impiegano qualche volta anche dei filtri elettrostatici, oppure dei sistemi per mantenere la temperatura del flusso d’aria al di sopra della temperatura di condensazione e polimerizzazione se gli inquinanti si possono condensare nel filtro. Un fattore estremamente importante per la sopravvivenza dei microrganismi è il pH del mezzo in cui si trovano. Composti acidificanti come l’acido solfidrico, il cloruro di metile o l’ammoniaca comportano la formazione di acidi (solforico, cloridrico e nitrico) che abbassano notevolmente il pH. Per questo, con il passar del tempo, gli agenti neutralizzanti si esauriscono e bisogna riampiazzare il mezzo filtrante. Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 32 Dato che i biofiltri utilizzano degli organismi viventi, è bene ricordare che bisogna provvedere periodicamente al loro nutrimento. In questo senso il biofiltro deve essere utilizzato in modo pressochè continuativo, cercando cioè di evitare che i microrganismi muoiano per mancanza dell’apporto degli inquinanti. Spesso è anche necessario fornire un adeguato nutrimento che garantisca gli elementi fondamentali nel giusto rapporto quantitativo. Tipologia degli impianti Come già accennato, il flusso d’aria da trattare necessita spesso di un condizionamento preliminare prima di essere immesso nel materiale filtrante. Per questo motivo l’aria contaminata viene prefiltrata per eliminare le polveri e i grassi che potrebbero ostruire i pori del biofiltro causando un incremento eccessivo della differenza di pressione ed ostacolando così la depurazione. Successivamente l’effluente subisce un processo di umidificazione che spesso permette di raggiungere anche la temperatura adatta alla sopravvivenza dei microrganismi all’interno del filtro. Una volta effettuato il condizionamento, l’aria viene immessa nel biofiltro vero e proprio, facendola passare attraverso un reticolo che permette un afflusso regolare. Il corpo filtrante è costituito da un materiale di supporto caratterizzato dall’avere un’estesa superficie per unità di volume ed è composto solitamente da materiale organico, anche per fornire ai microrganismi il necessario apporto di sostanze nutritive nei periodi non operativi. Per prevenire l’eventuale consumo di questo supporto, in alternativa vengono anche utilizzati dei materiali inerti ricoperti da composti organici, fra cui il carbone attivo che facilita l’assorbimento degli inquinanti. La popolazione microbica si trova nella sottilissima pellicola d’acqua che, per l’alta umidità, ricopre il materiale filtrante; questi microrganismi proliferano degradando i vari composti inquinanti che si disciolgono nello strato acquoso. Risulta chiaro, quindi, che tanto più i contaminanti dell’effluente sono solubili, tanto maggiore sarà la loro eliminazione. Il flusso d’aria da trattare viene convogliato nel corpo filtrante dal basso verso l’alto e, dopo un adeguato tempo di contatto, viene immesso direttamento in atmosfera attraverso il camino di scarico. Nel caso in cui nell’effluente fossero presenti ancora inquinanti, allora si utilizzano degli ulteriori sistemi di abbattimento, come scrubber o dispositivi a carboni attivi. Gli impianti di abbattimento a biofiltrazione prevedono nella loro progettazione anche un sistema per il trattamento del percolato che si forma nel corso del trattamento, uno che garantisce il lavaggio del corpo filtrante e spesso uno che permette la somministrazione del nutrimento ai microrganismi nei periodi non operativi. I sistemi di abbattimento tramite biofiltrazione sono degli impianti concettualmente semplici e che garantiscono spesso degli alti rendimenti. Purtroppo la resa può essere drasticamente ridotta da tutta una serie di fattori che necessariamente devono essere monitorati perché il sistema mantenga l’efficienza che lo caratterizza. I biofiltri più complessi dispongono di uno o più analizzatori installati permanentemente per rilevare la concentrazione degli inquinanti sia all’entrata che all’uscita; in questo Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 33 caso bisogna sempre ricordarsi di verificarne il funzionamento esaminando sia le frequenze che le procedure di calibrazione, le registrazioni delle varie manutenzioni ordinarie e straordinarie, le condizioni di prelievo dei campioni analizzati e l’integrità del sistema di campionamento. Spesso sono anche presenti dei sistemi di controllo automatici per mantenere e registrare gli appropriati valori di pH e di umidità all’interno del mezzo. Il parametro dell’umidità è di fondamentale importanza in quanto l’essiccazione porterebbe all’uccisione dei microrganismi, mentre un eccesso d’acqua nel corpo filtrante comporterebbe la formazione di una condizione di anaerobiosi. La mancanza di ossigeno è particolarmente controindicata in quanto innesca tutta una serie di reazioni di fermentazione e di imputridimento che liberano nell’aria una gran quantità di composti volatili puzzolenti; in pratica il biofiltro diventa una fonte di inquinamento, più che un sistema per eliminarlo. Di fondamentale importanza è anche il controllo della temperatura dell’effluente dopo il condizionamento preliminare: bisogna accertarsi che il biofiltro operi all’interno delle temperature prescritte dal costruttore del sistema. Un ottimo indicatore del rendimento dell’impianto è anche la caduta di pressione lungo il sistema. Una elevata differenza di pressione può indicare l’otturazione del corpo filtrante a causa dei depositi di polveri e grassi e questo comporta un crollo dell’efficienza dell’abbattimento. Da notare che spesso la pressione eccessiva può portare anche alla rottura del corpo filtrante, per cui ad una diminuzione dell’efficienza non si accompagna la drastica diminuzione della pressione; in questo caso un’indicazione dell’integrità del biofiltro può essere fornita dalla concentrazione degli inquinanti all’uscita, che risulta notevolmente più alta della norma. Infine dovrebbero essere controllate le condizioni fisiche del biofiltro. Varie parti del sistema e, in particolar modo, la base dei supporti e i condotti di uscita possono essere soggetti a corrosione a causa della formazione di composti acidi, soprattutto se si accumulano dei liquidi. La struttura deve essere perfettamente integra e non deve permettere che vi sia una perdita che possa contaminare il terreno circostante o la falda acquifera sottostante. Sistemi di controllo e monitoraggio Il monitoraggio degli inquinanti dell’aria rappresenta la misurazione degli agenti aerodispersi potenzialmente pericolosi per la salute o per l’ambiente. Il processo non si limita, però, alla mera raccolta dei dati, in quanto le misure ricavate vengono utilizzate per valutare l’esposizione agli inquinanti mediante una comparazione con degli appropriati valori di riferimento estrapolati da un gran numero di studi scientifici specifici ed accurati. La filosofia che sta alla base della valutazione dell’esposizione si fonda sulla determinazione dei valori di concentrazione delle sostanze tramite degli approcci induttivi e deduttivi. Nel primo caso si utilizzano delle misurazioni dirette, ottenute mediante l’impiego di analisi chimico/fisiche, sensori o strumenti più o meno complessi e realizzati per ricavare dei dati reali di concentrazione degli agenti in esame. Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 34 L’approccio deduttivo, invece, si basa su tutta una serie di dati meno diretti, dai quali si calcola la concentrazione presunta degli inquinanti nell’aria. Il monitoraggio si fonda essenzialmente sui metodi induttivi, in modo particolare nell’ambito degli studi volti a valutare la sicurezza occupazionale, a patto che i risultati individuati rispecchino fedelmente le concentrazioni degli agenti pericolosi ai quali sono esposti i lavoratori. In alcuni casi però, è estremamente difficile rapportare la concentrazione degli inquinanti rilevata nei punti di campionamento alla realtà espositiva, per cui risulta conveniente integrare i dati sperimentali con una valutazione più organica, che può sfruttare anche dei calcoli più o meno complicati o dei modelli matematici opportuni. Il discorso si può chiarire con due esempi molto semplici. Un conto è monitorare l’esposizione al monossido di carbonio di un impiegato che lavora in un ufficio confinante con un’autorimessa, un altro è valutare l’esposizione al biossido di azoto della popolazione di una città. Nel primo caso basta posizionare un sistema di misura a fianco della scrivania dove il dipendente lavora e raccogliere i dati dopo le canoniche otto ore; nel secondo caso, da un singolo punto di campionamento di una centralina ambientale, si dovrebbe desumere l’esposizione all’agente inquinante di tutti gli abitanti, anche di quelli che risiedono a chilometri di distanza. Risulta quindi evidente la difficoltà di questa ultima valutazione, spesso inficiata da fattori condizionanti esterni come la presenza di fonti inquinanti circoscritte, la diversa dispersione nelle varie zone, la presenza di eventuali fattori interferenti localizzati, ecc. Nei casi più semplici, si può procedere alla determinazione della concentrazione degli inquinanti aerodispersi con il solo approccio induttivo, in altri con il solo metodo matematico-deduttivo; nei casi più complicati, invece, risulta sempre preferibile un approccio globale che preveda l’integrazione dei dati analitici con le elaborazioni matematiche. In questa parte del sito verrà trattato il monitoraggio dell’aria nelle sue diverse tipologie, facendo riferimento pure ai sistemi predittivi e quindi ai modelli matematici. Una particolare attenzione verrà anche posta sui sistemi di misura degli inquinanti, specialmente di tipo quantitativo. Data la complessità dell’argomento, è opportuno affrontare il tema illustrando dapprima dei concetti base che permetteranno di valutare più compiutamente i vari aspetti del problema. Il controllo delle emissioni in atmosfera, unitamente al monitoraggio della qualità dell'aria, costituisce uno dei momenti conoscitivi fondamentali per l'individuazione delle cause che portano al deterioramento della composizione naturale della bassa atmosfera. Il controllo delle emissioni consente di valutare l'efficacia delle azioni adottate sui processi produttivi, sulle tecnologie di produzione e/o di abbattimento degli effluenti gassosi, miranti alla riduzione delle pressioni sulla matrice "aria". I controlli alle emissioni sono finalizzati alla: - verifica del rispetto delle autorizzazioni, di cui al DPR 203/88 e/o dei limiti in Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 35 - emissione, di cui al DM 12 luglio 1991; conoscenza in termini quali-quantitativi delle pressioni in atmosfera, in un determinato territorio; acquisizione di informazioni sulla correlazione tra i processi produttivi e gli "output "nella matrice aria; acquisizione di dati sperimentali per la costruzione di fattori di emissione per determinati settori produttivi; valutazione della qualità dell'aria attraverso l'utilizzo di modellistica diffusionale; verifica dell'efficacia dei provvedimenti adottati per la riduzione delle emissioni, a seguito di modifiche apportate sui processi produttivi, alle materie prime, ai sistemi di abbattimento degli effluenti, ecc. Sviluppo di sistemi di rilevamento e controllo degli inquinanti in atmosfera Il problema del controllo e della pianificazione ambientale ha acquistato negli ultimi anni una grande rilevanza dal punto di vista sia scientifico sia applicativo in quanto non è ancora chiaro quali siano gli effetti che le attività antropiche hanno sui sistemi naturali e sugli esseri viventi. Ciò è particolarmente vero nel caso dell'inquinamento atmosferico. Anche la legislazione corrente ha ormai recepito che il problema del monitoraggio va inquadrato come strumento conoscitivo che deve consentire di definire le priorità di intervento. Non a caso i piani di tutela e risanamento si articolano in tre fasi: la prima rivolta alla caratterizzazione del territorio e del sistema delle attività antropiche, la seconda rivolta all'individuazione degli interventi ottimali per ridurre le emissioni di inquinanti, la terza di verifica degli effetti conseguiti. Questo insieme di problemi è stato affrontato nel progetto ed i principali risultati conseguiti sono i seguenti: - è stato sviluppato un sistema di telerilevamento attivo che consente di misurare contemporaneamente la concentrazione in quota di più inquinanti gassosi e del particolato. La sperimentazione di tale tecnica sarà proseguita nell'ambito di una convenzione tra Provincia di Potenza ed INFM; - è stata sviluppata una tecnica che consente di misurare indici sintetici della qualità dell'aria; - sono state sviluppate tecniche basate sull'uso dei diodi laser che consentono di misurare gli inquinanti anche quando essi siano presenti in concentrazioni molto basse; - e' in corso l'analisi di fattibilità di una rete a basso costo per il rilevamento dell'inquinamento urbano basata sull'accoppiamento di diodi laser e fibra ottica; - e' stata studiata l'integrazione di tecniche di monitoraggio chimico-fisiche e biologiche, in situ ed in telerilevamento, in automatica e non; - e' stato implementato un modello che consente di individuare l'insieme degli interventi ottimali per ridurre le emissioni in atmosfera tenendo conto non solo delle attività per la produzione di beni e servizi ma anche dei processi di riciclaggio e smaltimento. Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 36 Alcuni dei principali limiti delle attuali reti di monitoraggio riguarda il fatto che esse danno informazioni solo sulle concentrazioni al suolo. Ciò rende difficile interpretare correttamente le complesse dinamiche dei fenomeni di inquinamento. Nell'ambito del progetto è stato sviluppato un sistema di telerilevamento degli inquinanti che consente di conoscere contemporaneamente la distribuzione tridimensionale di più inquinanti mediante la tecnica LIDAR. Lo strumento sviluppato è estremamente innovativo in quanto si basa su di un nuovo tipo di sorgente che copre con continuità un ampio intervallo spettrale; siccome ogni inquinante è caratterizzato da specifiche bande spettrali questo equivale ad aumentare il numero d'inquinanti che possono esser rivelati. Il sistema, altamente automatizzato, opera attualmente su cinque canali contemporaneamente per la rivelazione di specie gassose e del particolato. Un ulteriore problema affrontato nel progetto è stato quello dell'abbassamento delle soglie di rivelabilità degli inquinanti. Ciò è stato realizzato accoppiando sistemi a diodi laser con cavità che consentono di simulare un percorso in atmosfera di circa 700 m. E' inoltre allo studio un sistema di monitoraggio alla scala urbana, basato su sorgenti a diodo laser e reti in fibra ottica, che consentira' la rivelazione degli inquinanti in vari punti di misura usando un'unica sorgente emittente ed un unico rivelatore, abbassando così i costi di installazione e gestione delle reti, che al momento sono abbastanza elevati con tutti i risvolti che ne derivano per gli enti incaricati delle politiche di controllo del territorio. Infine è stato sviluppato un approccio alle reti di monitoraggio basato sull'integrazione di tecniche chimico-fisiche e biologiche, in situ ed in telerilevamento, in automatica e non, che utilizza i Sistemi Geografici Informativi per descrivere il territorio nei suoi vari aspetti (rete di monitoraggio dell'impianto SATA-FENICE di San Nicola di Melfi). Un ulteriore aspetto del problema riguarda il contenimento delle emissioni in atmosfera. E' stato sviluppato un modello che consente di individuare gli interventi ottimali a ciò necessari. Il modello si basa su una descrizione accurata dell' intero sistema di produzione di beni e servizi e consente un approccio "globale" al problema individuando il mixing delle fonti di energia ottimale e l'insieme delle tecnologie più appropriate con cui soddisfare la domanda di usi finali di energia e contemporaneamente diminuire le emissioni. Esso individua anche gli strumenti, quali incentivazioni, tasse, tariffe, piu' utili a favorire la penetrazione di tali tecnologie sul mercato. Per la prima volta al mondo, tale modello e' stato implementato in modo da tener conto dei flussi di materiali e del ciclo di vita dei prodotti valutando i costi ambientali connessi con il riciclaggio e lo smaltimento. Normativa DPR 24 maggio 1988, n. 203 Ha attuato le direttive 80/779/CEE, 82/884/CEE, 84/360/CEE e 85/203/CEE concernenti norme in materia di qualità dell'aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli impianti industriali. DPCM 21 luglio 1989 Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 37 Atto di indirizzo e coordinamento alle Regioni per l'attuazione e l'interpretazione del Dpr 203/1988. DM 12 luglio 1990 Stabilisce le linee guida per il contenimento delle emissioni degli impianti esistenti come definiti dal DPR 203/1988 e dal DPCM 21 luglio 1989, i valori di emissione minimi e massimi per gli impianti esistenti, i metodi generali di campionamento, analisi e valutazione delle emissioni, i criteri per l'utilizzazione di tecnologie disponibili per il controllo delle emissioni e i criteri temporali per l'adeguamento progressivo degli impianti esistenti. DPR 25 luglio 1991 Ha modificato il DPCM 21 luglio 1989, indicando (allegato I) le attività che producono un inquinamento poco significativo, che rimangono quindi escluse dal campo di applicazione del DPR 203/1988, e che pertanto non devono essere autorizzate. D.M. 21 dicembre 1995 Disciplina dei metodi di controllo delle emissioni in atmosfera dagli impianti industriali DLgs 4 agosto 1999, n. 351 Attuazione della direttiva 96/62/CE in materia di valutazione e di gestione della qualità dell'aria ambiente DM 4 ottobre 1999 Proroga dei termini di adeguamento dei valori limite di emissione delle polveri relativamente ad imprese di produzione del vetro DM 25 agosto 2000 Aggiornamento dei metodi di campionamento, analisi e valutazione degli inquinanti, ai sensi del DPR 24 maggio 1988, n. 203. DM 1° giugno 2001 Recepimento della rettifica alla direttiva 1997/68/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 1997 concernente i provvedimenti da adottare contro l'emissione di inquinanti gassosi e particolato inquinante prodotti dai motori a combustione interna destinati all'installazione su macchine mobili non stradali. DPCM 8 marzo 2002 Disciplina delle caratteristiche merceologiche dei combustibili aventi rilevanza ai fini dell'inquinamento atmosferico, nonché delle caratteristiche tecnologiche degli impianti di combustione. DM 2 aprile 2002, n. 60 Recepimento della direttiva 1999/30/CE del Consiglio del 22 aprile 1999 concernente i Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 38 valori limite di qualità dell'aria ambiente per il biossido di zolfo, il biossido di azoto, gli ossidi di azoto, le particelle e il piombo e della direttiva 2000/69/CE relativa ai valori limite di qualità dell'aria ambiente per il benzene ed il monossido di carbonio. Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 39 3.1.2 Depurazione acque civili e industriali Il processo di depurazione delle acque di scarico civili ed industriali è costituito principalmente da quattro fasi: 1. trattamento meccanico; 2. trattamento biologico 3. trattamento chimico – fisico; 4. trattamento e smaltimento dei fanghi. Tali fasi a loro volta possono essere ulteriormente suddivise in sezioni specifiche. TRATTAMENTI MECCANICI Con i trattamenti meccanici si eliminano dalle acque reflue urbane, affluenti all'impianto di depurazione, le sostanze grossolane mediante una separazione fisica. Tale separazione avviene specificamente nelle seguenti fasi: Asportazione materiale lapideo Il materiale lapideo, trasportato dalle acque di scarico, cade in apposita fossa inserita all'interno del canale di adduzione da dove, tramite benna di carico a chiusura idraulica accoppiata a carro ponte o mediante coclea, viene asportato e scaricato in contenitore scarrabile. Grigliatura grossolana Con la grigliatura grossolana vengono trattenuti i materiali aventi dimensioni superiori ai 2 ÷ 5 centimetri (legno, stracci, materiale vario) trasportati dalle acque reflue; la griglia è costituita da una intelaiatura in acciaio avente barre poste verticalmente e distanziate di 2 ÷ 5 cm. L'asporto del materiale trattenuto dalle barre può essere fatto in modo manuale od automatico in funzione della tipologia della griglia. Grigliatura fine La grigliatura fine serve a trattenere le particelle sospese aventi dimensioni superiori ad 1 ÷ 1,5 millimetri; il mercato offre diverse tipologie costruttive di griglie fini ad es. a gradini, a tamburo, a disco, ecc. Trattasi sempre di macchine a funzionamento automatico. Il materiale trattenuto viene inviato ad un compattatore per mezzo di coclea e insaccato. Dissabbiatore Con la dissabbiatura vengono trattenute le sabbie fini trasportate dalle acque reflue; la Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 40 separazione fisica avviene in apposita vasca che, in funzione della tipologia costruttiva, può essere, di tipo circolare con asporto per aspirazione centrale delle sabbie, oppure di tipo rettangolare con asporto per aspirazione delle sabbie mediante pompa installata in carro ponte va e vieni. Le sabbie estratte sono inviate al dissabbiatore statico munito di coclea inclinata per il caricamento del cassone contenitore. 1.5 Sollevamento Generalmente le acque reflue urbane devono essere sollevate alfine di consentire loro di attraversare le diverse sezioni dell'impianto di depurazione che si susseguono idraulicamente. Il sollevamento può essere posto, in funzione delle quote, sia successivamente alla asportazione del materiale lapideo sia successivamente ai pretrattamenti meccanici sopra descritti. Le acque vengono sollevate alle successive sezioni dell'impianto per mezzo di pompe di tipo sommergibile installate in pozzi di sollevamento adeguatamente attrezzati con paratoie di separazione. Omogeneizzazione In funzione della tipologia di impianto può essere presente una vasca avente lo scopo sia di omogeneizzare il carico inquinante affluente sia di equalizzare le portate da inviare ai successivi trattamenti. All'interno della vasca sono installati dei miscelatori sommergibili ed un sistema di aerazione per evitare fenomeni di anaerobiosi. TRATTAMENTI BIOLOGICI Con i trattamenti biologici s'intende eliminare dalle acque reflue urbane, affluenti all'impianto di depurazione, le sostanze organiche ed inorganiche che possono essere assimilate in via aerobica e/o anaerobica da parte dei batteri e dei microrganismi che fanno parte dell'ecosistema. Nel trattamento biologico dove viene favorita la crescita e le riproduzione batteriche si distinguono le seguenti fasi: Denitrificazione Con la denitrificazione viene ridotta la quantità dei nitrati presenti nel liquame trattato, che verrà successivamente avviato allo scarico. La denitrificazione è il processo biologico di riduzione dei nitrati per mezzo di batteri denitrificanti presenti in ambiente anossico. I microrganismi denitrificanti metabolizzano la sostanza organica utilizzando come fonte di ossigeno l'ossigeno dei nitrati e riducendo quest'ultimi ad azoto. I residui della reazione di denitrificazione, in sintesi, sono: microrganismi e azoto gassoso. La reazione avviene in vasche di opportune dimensione dove vengono posti in contatto i fanghi di ricircolo, contenenti i batteri denitrificanti, e/o il liquame proveniente dal processo di ossidazione - nitrificazione, contenenti i nitrati, e le acque reflue in ingresso che contengono il carbonio organico biodegradabile. Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 41 Ossidazione - Nitrificazione Con la ossidazione - nitrificazione vengono ridotte le quantità di sostanze organiche e di ammoniaca presenti nelle acque reflue urbane. L'ossidazione è il processo biologico di metabolizzazione delle sostanze organiche e di ossidazione dell'ammoniaca, per mezzo di batteri aerobi e nitrificanti. I residui della reazione di ossidazione - nitrificazione, in sintesi, sono: microrganismi, nitrati, acqua e anidride carbonica. La reazione avviene in vasche di opportune dimensione dove vengono posti in contatto le acque reflue provenienti dalla omogeneizzazione e/o dalla denitrificazione con i microrganismi aerobi e nitrificanti e l'ossigeno loro necessario per il metabolismo; i microrganismi, comunemente denominati fango biologico, vengono mantenuti in concentrazione di circa 3 ÷ 5 gr./lt. A mezzo di un sistema di compressione e distribuzione di aria in microbolle viene fornito l'ossigeno necessario alla metabolizzazione delle sostanze organiche e alla ossidazione dell'ammoniaca contenuti nel liquame. Il processo di ossidazione - nitrificazione determina una crescita batterica, quantificata in circa 0,2 ÷ 0.3 gr. per kg. di COD trattato, che deve essere giornalmente asportata e smaltita. Decantazione/Ricircolo fanghi La decantazione è la fase di separazione fisica del fango biologico, prodotto nel trattamento di ossidazione, dall'acqua depurata che lo contiene. La decantazione viene effettuata in vasche circolari munite di sistema raschia fanghi. Il fango depositatosi sul fondo del decantatore con una concentrazione di circa 6 ÷ 8 gr./lt. viene, tramite pompe, in parte ricircolato nelle vasche di ossidazione con lo scopo di mantenere in queste la concentrazione ottimale di microrganismi ed in parte, denominato "fango di supero", inviato al trattamento fanghi. TRATTAMENTI CHIMICO - FISICI Lo scopo dei trattamenti chimico - fisici è quello di rimuovere dalle acque trattate biologicamente le sostanze colloidali e sospese residue, parte delle sostanze organiche non biodegradabili (colore e tensioattivi) e i microrganismi residui. Chiariflocculazione La chiariflocculazione è un trattamento effettuato con lo scopo di eliminare dalle acque trattate biologicamente parte delle sostanze sospese e colloidali. Il contatto fra acqua da trattare, sale di alluminio e polielettrolita avviene in una vasca di reazione munita di agitazione lenta. La separazione del fiocco di fango dall'acqua limpida che lo contiene viene effettuata in decantatori di tipo lamellare. Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 42 Decolorazione - Ozonizzazione Le acque trattate presentano una colorazione residua derivante dalla presenza di coloranti non metabolizzati nel processo biologico. Al fine di ridurre o eliminare detta colorazione vengono utilizzati prodotti organici decoloranti, dosati nella vasca di ossidazione, oppure si applica il processo di ossidazione mediante reazione con ozono. Ozonizzazione L'ozonizzazione consente una reazione di ossidazione violenta fra l'ozono (O3) e le residue sostanze organiche presenti nell'acqua trattata, prima di essere avviata allo scarico. L'ozono ha anche un effetto battericida. L'ozono viene prodotto in reattori sottoponendo l'ossigeno gassoso a scariche elettriche. La miscela gassosa di ossigeno e ozono viene inviata alle vasche di contatto, a tenuta di gas, dove è diffusa nell'acqua attraverso setti porosi. TRATTAMENTO E SMALTIMENTO FANGHI I microrganismi cresciuti a seguito della metabolizzazione delle sostanze organiche, il cosiddetto "fango di supero", sono allontanati dal sistema depurativo e smaltiti nel seguente modo: Digestione La digestione è un processo biologico finalizzato alla riduzione della massa di microrganismi separati con il fango di supero; può essere di tipo anaerobico o aerobico. I residui della reazione di digestione, dopo la riduzione della massa di microrganismi sono in sintesi: - per la digestione anaerobica: metano, idrogeno solforato; - per la digestione aerobica: acqua e anidride carbonica In quest'ultimo caso il fango di supero asportato dai decantatori secondari viene inviato alla vasca di digestione aerobica dove viene ossidato con ossigeno, insufflando aria e/o ossigeno gassoso. Addensamento Con l'addensamento del fango digerito si riduce ulteriormente il volume della massa separandone l'acqua contenuta sino ad ottenere una concentrazione di sostanza secca di circa 30 ÷ 40 gr./lt. Il fango proveniente dal ricircolo fanghi e/o dalla digestione aerobica viene addensato e successivamente disidratato, mentre l'acqua drenata è ricircolata in testa alla linea acqua dell'impianto. Disidratazione meccanica Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 43 I fanghi provenienti dall'addensamento e/o dalla digestione biologica vengono ulteriormente ridotti di volume mediante disidratazione meccanica in centrifughe. Dopo centrifugazione il fango, contenente circa il 18 ÷ 20% di sostanza secca, è avviato allo stoccaggio per mezzo di coclee trasportatrici e/o pompe monovite. Stoccaggio In attesa del conferimento per lo smaltimento finale come rifiuto speciale, il fango disidratato viene stoccato in appositi silos muniti di sistema di caricamento dei cassoni adibiti al trasporto. Essiccazione Il fango stoccato nel silos, prima di essere avviato allo smaltimento, può essere ulteriormente disidratato in impianto di disidratazione termica a film sottile; dopo l'essiccamento il contenuto di sostanza secca nel fango si eleva a circa il 80 ÷ 90 %. PRINCIPI DI FUNZIONAMENTO DEGLI IMPIANTI BIOLOGICI Per eliminare le sostanze organiche da acque di scarico sono usati oggigiorno su vasta scala dei processi biologici che distruggono tali sostanze con meccanismi analoghi a quelli d'autodepurazione di un corpo idrico, ma con la differenza di una maggiore velocità e una maggiore resa di trasformazione. Come in natura, così in ambito tecnologico, le condizioni in cui i processi biologici di spurgo idrico si realizzano possono essere aerobiche o anaerobiche: cioè caratterizzate dall'intervento dell'ossigeno o dalla sua assenza. In entrambi i casi sono interessati microrganismi eterotrofi, che cioè abbisognano di sostanze organiche come apportatrici di materiale cellulare plastico e come substrato di produzione energetica che non sono però in grado di autosintetizzare direttamente (al contrario degli autotrofi) e pertanto rientrano nella catalogazione ecologica dei consumatori. Nei processi biologici artificiali volti a depurare le acque, come del resto in natura, operano anche microrganismi che possono essere attivi sia in senso aerobico che in senso anaerobico (i microrganismi facoltativi), risultando determinato il loro tipo d'attività dalle condizioni ambientali in cui vengono a trovarsi. La scelta del tipo di microrganismi e delle condizioni operative viene fatta sulla base dei risultati che si vogliono ottenere: preferendosi adozione d'attività microbiologiche aerobiche, di tipo veloce, quando il depurare l'acqua è lo scopo principale, ed anaerobiche se si vuol produrre energia alternativa, in forma di biogas, attraverso un percorso più lento richiedente minori dispendi energetici. La caratteristica principale dei processi aerobici consiste nell'utilizzazione dell'ossigeno disciolto nell'acqua, in condizioni favorevoli a mantenere l'attività dei microrganismi. Il risultato è la produzione di molto materiale biologico flocculento che rimane attaccato alle superfici delle apparecchiature di trattamento in certi tipi d'impianto e che resta disperso nella massa del liquido in altri tipi d'impianto. In ogni caso i fiocchi di materiale biologico aggregano particelle colloidali fini e adsorbono altre sostanze disciolte. Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 44 Un'altra constatazione riguarda l'ottenimento di sostanze altamente ossidate quali CO2 e H2O (ed anche di anioni quali (NO2-, NO3-, ecc.). Affinché i microrganismi si mantengano attivi bisogna che la concentrazione di ossigeno in soluzione non sia mai inferiore ad un certo livello; sicché occorre rifornirlo continuamente con dispositivi adeguati. Nei processi anaerobici la crescita dei microrganismi, energeticamente alimentata dalla rottura dei legami chimici che porta a convertire in CH4 (oltre che in NH3, H2S e PH3) e CO2 l' 80 ¸ 90% delle sostanze organiche presenti nell'acqua, è bassa; i fanghi sono perciò scarsi e facilmente smaltibili. In questi processi non è richiesta energia per fornire ossigeno al sistema ma solo per scaldare alquanto l'ambiente. Peraltro il metano ottenuto ("biogas") può essere utilizzato per produrre energia in quantità eccedente quella necessaria all'esercizio del processo che lo ha fatto formare. Metodi di sfruttamento dei microrganismi aerobici I principali processi tecnologici in cui si sfruttano microrganismi aerobici comportano: - uso di filtri percolatori e biodischi; - trattamenti con sistemi a fanghi attivi; - adozione di bacini d'ossidazione ("lagune aerate"), nel contesto di altre strutture impiantistiche di supporto e complemento. I filtri percolatori sono costituiti da un letto poroso, formato da materiale in pezzatura grossolana (sassi, carbon fossile) disposti alla rinfusa o da materiali di forma prestabilita (mattoni, fogli di plastica) normalmente sagomati ad alveare. Si tratta di strutture che forniscono una vasta superficie per unità di volume, che si ricopre di film biologico attivo. La distribuzione dell'acqua da trattare, che scorrendo sul film biologico consente la trasformazione biochimica delle sostanze organiche convogliate, è affidata ad un sistema a braccio ruotante o ad un meccanismo di spruzzatori collocati sopra tutta la sezione del letto in azione. La massa cellulare in crescita viene continuamente rinnovata perché tutta quella in eccesso si stacca a fiocchi dal film biologico e fuoriesce con l'effluente. Sul fondo del filtro è predisposto un sistema di drenaggio dell'acqua trattata che viene inviata ad un sedimentatore secondario nel quale si separa dal fango biologico. L'ossigeno utilizzato dai biochimismi è in piccola parte quello presente originariamente nell'acqua da trattare, più quello che l'acqua acquista nell'atto in cui si distribuisce sul letto e soprattutto quello che si discioglie nel velo liquido del letto poroso sia naturalmente e sia a seguito del risucchio d'aria provocato dal drenaggio dell'acqua attraverso pavimento forellato. Per incrementare ulteriormente l'apporto d'ossigeno si può aumentare la velocità di circolazione dell'aria nel letto poroso in confronto a quella che si ha in condizioni di tiraggio naturale. I biodischi sono costituiti da una batteria di strutture discoidali sorretta da un albero centrale e alloggiata in una vasca semicilindrica orizzontale. L'albero viene fatto ruotare lentamente (2 ¸ 5 giri al minuto), sicché i dischi vengono ad avere le superfici alternativamente esposte per metà all'atmosfera e per metà al liquame che riempie la Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 45 vasca. I dischi hanno diametri fino a 2 ¸ 3 m e sono di materia plastica (polistirene o resine ureiche espansi). Talvolta si adottano involucri cilindrici di rete metallica contenenti vari materiali di riempimento o anche corpi cilindrici costituiti da fogli di polietilene collegati reciprocamente in modo da formare una sagoma <<a nido d'api>> d'elevata superficie specifica; raggiungendosi i 35 ¸ 40 m2/m3. La manutenzione dei biodischi è assai limitata per la semplicità dell'apparecchiatura ed essa consiste essenzialmente, oltre che in normali disintasamenti, nel controllo e nella periodica lubrificazione delle parti in movimento. I fanghi attivi non sono altro che fanghi prodotti in un trattamento biologico ossidativo delle acque fatti maturare attraverso ripetuto riciclo. In questo modo infatti s'incrementano nei fanghi gli agenti della catalisi enzimatica, con il duplice effetto di accelerare i fenomeni ossidativi e rendere più integrale l'utilizzazione dell'ossigeno apportato. Le fasi fondamentali coinvolte in questo trattamento sono la produzione di materiale biologico che si aggrega in fiocchi e l'adsorbimento su questi delle sostanze da rimuovere per ossidazione biocatalitica. Per favorire l'adsorbimento e la successiva ossidazione è necessario che i fiocchi siano mantenuti in sospensione e riforniti d'ossigeno. L'operazione si compie in vasche per lo più rettangolari, rifornite d'ossigeno e dotate della possibilità di mantenere sospesi i fiocchi bioattivi attraverso una di queste tre tecnologie: - per diffusione d'aria; - per agitazione meccanica; - a sistema misto. Le vasche d'areazione, costruite in cemento o prefabbricate in ferro opportunamente protetto, ricevono l'acqua presedimentata e i fanghi attivi di riciclo oltre a scaricare in continuo la miscela aerata in vasca di sedimentazione secondaria. L'effluente depurato viene mandato a destinazione ed i fanghi scaricati sono smistati tra il riciclo e lo spurgo. Le lagune aerate sono bacini d'ossidazione consistenti in vasche di grande volume, ricavate mediante scavo e riporto di terra, impermeabilizzate se la natura del terreno lo richiede, solitamente di profondità non superiore a 2 m. I tempi di residenza dell'acqua trattata in lagune aerate sono lunghi e così l'ossidazione è possibile senza riciclo di fanghi. La fornitura d'ossigeno è effettuata con turbine galleggianti o con sistema a diffusione d'aria per lagune più profonde di 1,5 m. Nei bacini d'ossidazione di modesta profondità (1 ¸ 1,5 m) la luce raggiunge il fondo provocando sviluppo d'alghe dotate d'attività fotosintetica che contribuisce pure a rifornire d'ossigeno l'ambiente. Se la profondità dei bacini supera i 2 m, sul fondo si viene a stabilire una zona non aerata funzionante in regime anaerobico. Campi di applicazione ed efficienza dei metodi di sfruttamento di microrganismi aerobici. I filtri percolatori a basso e medio carico vengono normalmente utilizzati per trattare effluenti urbani e consentono di ottenere gradi di rimozione di BOD5 anche fino al 95 %. I filtri ad alto carico sono particolarmente adatti per trattare liquami derivanti da Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 46 scarichi domestici abbinati a quelli di attività agroalimentari (allevamenti di polli e macelli, ad esempio) o industriali (di fabbriche di birra, di raffineria di petrolio, ecc.) ed arrivano a rimuovere una media del 60 ¸ 70 % del BOD5 dell'influente iniziale. Con sistemi a biodischi si possono trattare liquami provenienti da concerie, da macelli, da industrie lattiero-casearie e da stabilimenti farmaceutici; oltre che da agglomerati urbani d'ordine massimo di 100.000 abitanti. L'efficienza del trattamento è in relazione soprattutto con le dimensioni della superficie dei biodischi. Nel caso di scarichi urbani, orientativamente si va da rimozione di BOD5 dell' 80 % sfruttando 1 m2 di superficie di dischi per abitante alla rimozione di circa il 95 % del BOD5 iniziale adottando 3 m2 di superficie per abitante. Il trattamento a fanghi attivi è, di tutti i metodi basati sullo sfruttamento di microrganismi aerobici per trattare scarichi contenenti sostanze organiche, di gran lunga il preferito. Esso infatti si presta, variando il quantitativo d'aria fornito e il sistema d'aerazione, la modalità di flusso, l'età del fango, il rapporto di riciclo del fango e il suo tempo di residenza, ad ogni tipo di scarico urbano o industriale. Spesso si opera abbinando i processi di depurazione dei due gruppi di scarico, realizzando se occorre preventivi procedimenti di depurazione degli effluenti industriali attraverso trattamenti chimici. L'efficienza di rimozione del BOD5 con sistema a fanghi attivi variamente modificato oscilla in margini piuttosto ampi: andando dal 75 % per carichi normalmente trattati al 95 % prolungando l'aerazione, caricando progressivamente la vasca d'aerazione o, se la fonte d'ossigeno è economica, "aerando" con ossigeno puro. Le lagune aerate, il cui sfruttamento è favorito dalla disponibilità d'ampi spazi, da tollerabilità di miasmi e da insolazione, si prestano in particolare per trattare effluenti industriali inquinati da sostanze organiche come idrocarburi, fenoli, ammine e derivati, aldeidi e micropolimeri. Metodi di sfruttamento di microrganismi anaerobici. La biodepurazione anaerobica per processi fermentativi causati da attività batteriche e sfruttata di solito per trattare scarichi liquidi d'elevato BOD5 (> 2.000 mg/l), presenta rispetto ai trattamenti aerobici dei vantaggi: - minor costo d'esercizio; - possibilità di trattamento anche nel caso di alimentazione discontinua; - possibilità di realizzarsi anche in corrispondenza di quantità di sostanze nutritive dei microrganismi nei liquami minori di quelle richieste dai processi aerobici; - limitata produzione di fanghi; - sviluppo di gas ricco in metano ed utilmente impiegabile. Le industrie da cui più frequentemente possono provenire gli scarichi liquidi da biodepurare anaerobicamente sono principalmente: - conserviere; - farmaceutiche; - birrarie; Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 47 - lattiero-casearie; - allevamento. Ai processi di depurazione che sfruttano microrganismi anaerobici appartengono anche le "fosse settiche": cioè le vasche di ridotte dimensioni alle quali arrivano liquami che, per opera dell'abbondante flora batterica locale, formano schiume superficiali agenti da scudo nei confronti dell'atmosfera. Il fango di fondo vasca di tanto in tanto va rimosso e deve essere reso asettico per clorazione, data l'alta carica batterica, anche di tipo fortemente patogeno che include. Tipiche apparecchiature che sfruttano depurazione biologica anaerobica delle acque sono le vasche Imhoff, d'uso assai diffuso in passato ma ora notevolmente ridotto e fatto quasi sempre in impianti di piccole dimensioni. I tempi di residenza in processi di biodepurazione anaerobica vanno da una decina di giorni a poco meno di due mesi, ed il carico organico rimosso, misurato in COD, varia dal 70 al 98 % curando opportunamente i parametri operativi (temperatura, pH, tempi, ecc.). Tuttavia, data l'elevata concentrazione iniziale di sostanze organiche, quando l'efficienza della rimozione è meno del 90 % gli effluenti devono essere generalmente sottoposti ad ulteriori processi depurativi. Processi bionitrificanti e biodenitrificatori. Attualmente nella maggior parte degli impianti di rimozione dell'azoto dagli effluenti di processi industriali e da scarichi agricoli è adottata la nitrificazione-denitrificazione biologica. La nitrificazione biologica consiste nell'ossidazione biochimica dell'azoto ammoniacale per mezzo di batteri nitrificanti autotrofi (batteri chemiosintetici, in quanto utilizzano l'energia ricavata dalla rottura dei legami chimici per produrre autonomamente il materiale biorganico per il loro sostentamento). Il processo può essere condotto in reattori a film biologico (filtri percolatori e biodischi) o in reattori con biomassa in fase dispersa (impianti a fanghi attivati). Il chimismo del processo è duplice: in un primo tempo l'azoto organico dell'influente viene rapidamente trasformato in composto ammonico e successivamente, per catalisi operata da batteri nitrosomonas e nitrobacter, rispettivamente, l'azoto ammonico viene portato ad azoto nitrico secondo queste schematiche reazioni: Durante la nitrificazione avviene anche una spinta rimozione delle sostanze organiche, come in un normale processo biossidativo. La denitrificazione consiste invece nella trasformazione dell'azoto nitrico in azoto Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 48 molecolare, in ambiente anaerobico. In pratica però o si ricorre a lenta agitazione meccanica o si insuffla una portata controllata d'aria, così da creare agitazione sufficiente ad evitare sedimentazione della biomassa ma non tanto intensa da recare all'ambiente un apprezzabile contenuto di ossigeno. Se la denitrificazione segue la nitrificazione occorre reintegrare nel sistema un substrato carbonioso che faccia da donatore di elettroni nel processo di riduzione dei nitrati. La fonte di carbonio più frequentemente impiegata è il metanolo; nel qual caso la reazione d'ossidoriduzione enzimaticamente catalizzata si può cosi' rappresentare: NO3-+0,833 CH3OH+0,167 H2CO3 ® 0,5 N2(g)+1,33 H2O+HCO3-. TRATTAMENTO DEI FANGHI I processi di depurazione delle acque comportano produzione di fanghi che derivano dalla separazione dei materiali in sospensione, dalla precipitazione di sostanze disciolte, dall'aggiunta di prodotti chimici e soprattutto dalla trasformazione di sostanze organiche in massa cellulare microbica. Altra fonte di fanghi sono poi gli scarichi civili ed industriali contenenti una gran vasta quantità di solidi in sospensione, prodotti del metabolismo, emulsioni varie, solventi, soluzioni acide ecc.; in pratica una vastità di sostanze inorganiche ed organiche oltre ad una enormità di microrganismi. I fanghi di per sé e perché fermentano emanano in generale cattivi odori e spesso sono infettivi; inoltre deturpano l'ambiente per voluminosità ed aspetto. Occorre dunque ispessirli, disattivarli, smaltirli direttamente o dopo essiccamento. I fanghi possono subire ispessimento a gravità in apparecchi ispessitori simili ai sedimentatori, dotati di meccanismi rotanti che rompono in vario modo i fiocchi di fango allontanandone i gas e l'acqua occlusa. Il fango ispessito viene estratto dal pozzetto centrale ed il liquido separatosi, surnatante, viene raccolto da canalette periferiche. Si può anche operare ispessimento per flottazione, previa aggiunta di additivi chimici che modificano la superficie delle particelle per farvi aderire le bolle d'aria. Così tali particelle vengono portate in superficie dove formano un denso strato che ne favorisce la rimozione. I fanghi sono sistemi biologicamente attivi, se si vogliono smaltire senza ricorso ad essiccamenti ad alte temperature (350 ¸ 400 °C) o ad incenerimenti, bisogna disattivarli. Per rendere i fanghi biologicamente disattivati si possono attuare digestioni o lagunaggio microbiologici. Si ha digestione aerobica ossidando per aerazione in vasche aperte il fango. Il processo è impiantisticamente economico ma fa perdere del biogas e richiede forti spese d'agitazione e d'aerazione, perché la concentrazione di ciò che viene trattato è circa decupla di quella del contenuto delle acque analogamente lavorate nei processi a fanghi attivi. Più utile ed usata è la digestione anaerobica: complesso procedimento biochimico nel quale numerosi gruppi di microrganismi anaerobici e facoltativi assimilano e degradano la materia organica. In un primo tempo si verificano fermentazioni acide ed in un secondo tempo gli acidi formati sono degradati a CO2 e CH4 ("biogas").n aerobica Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 49 Tipo di fango Temperature A basso carico Ambiente A medio carico 30 ¸ 40 °C Ad alto carico 35 ¸ 60 °C Tempi di ritenzione Numero degli stadi (giorni) e tipi di stadio 30 ¸ 60 10 ¸ 20 Microrganismi rimossi Ad un solo stadio 100 % Entamoeba hystolytica ed Escherichia coli, 92 A due stadi: 1)senza % Salmonella riciclo fanghi; 2)con typhosa, 90 % riciclo fanghi Mycobacterium tubercolosis Il lagunaggio, terzo metodo di stabilizzazione dei fanghi, si pratica quando si dispone di terreni non troppo lontani dall'impianto di trattamento, sufficientemente isolati e non costosi. Il lagunaggio consiste nel trattare i fanghi in bacini con argini e fondo in terra, profondi circa 1,5 m, dagli accessi controllabili. Il metodo implica semplicemente un lungo immagazzinamento dei fanghi (ordine di 24 ¸ 36 mesi). Il liquame supernatante che si forma in parte evapora ed in parte, come già quello dei processi di digestione, viene ritrattato biologicamente. Dopo stabilizzazione i fanghi possono essere prima portati ad un contenuto d'acqua di circa il 70% (disidratazione) e successivamente ad un contenuto dell'ordine del 10% (essiccamento). La disidratazione si può compiere, previa una eventuale ulteriore fase di ispessimento, principalmente per centrifugazione , ma anche per filtrazione sottovuoto in filtri Dorr-Oliver od operando in filtripressa. L' essiccamento dei fanghi disidratati si fa avvenire in speciali forni flash o in forni rotativi operanti a 350 ¸ 400 °C. Già a tali temperature viene meno ogni causa di cattivo odore e di infezione. I fanghi già dopo stabilizzazione possono essere smaltiti per spandimento sul suolo, con il duplice vantaggio di utilizzare il contenuto organico come umificante e parte del contenuto minerale come fertilizzante. La stessa cosa si può fare, in dipendenza dal tipo di terreno, solo dopo aver oltre che stabilizzato disidratato il fango. Talvolta viene praticato il semplice interramento o confinamento in discariche controllate, anche di fanghi più o meno ancora attivi. Oggigiorno però sempre più spesso i fanghi subiscono combustione (incenerimento) dopo ispessimento e disidratazione. A questo tipo di smaltimento dei fanghi si ricorre, in particolare, quando non esistono richieste di fanghi stabilizzati od essiccati (ad es. per uso agricolo). L'incenerimento si fa in forni a ripiani o in forni "a letto fluidizzato": i primi agenti da 550 a 1.000 °C e gli altri da 760 ad 820 °C. Le ceneri prodotte da qualunque tipo di fango trovano usi nell'industria ceramica e soprattutto si prestano a fare da "ingredienti" nella preparazione di conglomerati per costruzioni. Si usa anche disperdere, al largo, in mare le ceneri di fanghi di spurgo d'acque. IMPIANTI DI FLOTTAZIONE La flottazione per mezzo di aria disciolta rappresenta la migliore soluzione per la Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 50 separazione dalle acque, civili ed industriali, dei solidi sospesi e sedimentabili. Gli impianti di chiarificazione che impiegano questo principio, hanno numerosi vantaggi rispetto ad altri tipi di chiarificatori tradizionali che hanno tempi di ritenzione molto alti, in genere da 1 a 4 h, mentre il tempo di ritenzione di un flottatore è di circa 3 minuti. Il processo di flottazione è quasi istantaneo, non ha bisogno di vasche in c.a. e di contatto per la flocculazione. I flottatori producono una minore quantità di fanghi, in quanto i solidi sospesi non devono essere appesantiti con la soluzione di calce idrata per essere separati dall’acqua ma solo pressurizzati con aria compressa a 5,5 – 6 ate. Nei vecchi sedimentatori non c’è possibilità di variare la portata, mentre gli impianti di flottazione lo consentono facilmente. Per questi motivi gli impianti di flottazione ad aria disciolta ed a basso battente idraulico hanno sostituito gli obsoleti sedimentatori poco flessibili e molto lenti. La flottazione si ottiene con la pressurizzazione di una parte delle acque depurate, nella quale viene disciolta una certa quantità di aria compressa a 5,5–6 ate; dopo la decompressione, questa miscela libera le bollicine d’aria che vengono inglobate nei fiocchi di solidi in formazione e li trascinano in superficie. I fanghi vengono estratti contemporaneamente da una coclea raschia fanghi posta sul ponte mobile. La pressurizzazione dell’acqua può essere totale, riguardando l’intera portata dell’impianto, oppure parziale in base alle esigenze dell’utilizzatore e riguarda solo una parte di acqua chiarificata, che viene aggiunta alla portata di esercizio prevista. Campi d'impiego: - Disoleazione ( Lavorazione sott’olio) Eliminazione sostanze grasse ( Ind. Casearie ) Trattamento ( Reflui Industriali ) Trattamento ( Liquami civili ) Trattamento acque primarie ( Deferrizzazione ) Recupero materie prime ( Cellulosa ) Eliminazione Fecce ( Ind. Vinicole ) Petrolchimico (Eliminazione petrolio) IMPIANTI OSMOSI L’osmosi inversa è un processo di separazione dei corpi estranei dall’acqua mediante l’utilizzo di membrane semipermeabili. Queste sono strutture che permettono il passaggio dell’acqua, ma ritengono gli elementi minerali disciolti, i colloidi e i batteri. Il trattamento di osmosi inversa consiste nel forzare l’acqua attraverso una membrana semipermeabile per separare i corpi estranei disciolti, di origine sia organica che inorganica, pur avendo dimensione dei posi minima, in ordine di micron, l’osmosi inversa non opera una filtrazione convenzionale, ma un tipo di filtrazione della “filtrazione tangenziali”. Nella filtrazione convenzionale, l’intera soluzione acquosa da filtrare e ogni impurità troppo grande per passare attraverso i pori del mezzo filtrante, spinta attraverso il mezzo filtrante, viene trattenuta o intrappolata dal mezzo stesso. Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 51 Nella filtrazione tangenziale, vi sono due flussi in uscita dal sistema: il concentrato, ovvero il flusso che contiene quelle impurità che vengono respinte o che non passano attraverso la membrana; il permeato, ovvero il flusso che viene spinto ed attraversa la membrana generando l’acqua osmotizzata. Consumi e vantaggi economici L’osmosi inversa oltre a non avere consumo di prodotti chimici consente un notevole risparmio economico nel tempo, rispetto agli altri tipi di depurazione delle acque di pozzo per uso industriale e potabile. Il sistema consuma solo energia elettrica e tale consumo è assorbito dalla pompa di alimentazione ad alta pressione, poiché il processo depurativo si esplica con la sola pressione creata dalla pompa sull’acqua e quindi sulle membrane, è previsto un lavaggio periodico, al fine di ottenere una lunga durata delle stesse. E’ consigliabile effettuare un’analisi chimica delle acque necessaria al dimensionamento. Gli impianti sono automatici e forniti preassemblati su strutture o cabinati costruiti in acciaio inox. Campi d'impiego: - Potabilizzazione Dialisi Industriale Floricoltura Recupero salamoie Concentrazione di succhi Dissalazione acqua di mare IMPIANTI ADDOLCITORI Gli addolcitori industriali consentono l’eliminazione della durezza temporanea dall’acqua, costituita principalmente da molecole di carbonati di calcio e magnesio. L’addolcimento si effettua facendo passare l’acqua grezza su un letto di resine cationiche forti, che vengono rigenerate con acido cloridrico ottenuto da una soluzione di salamoia. Durante il processo di addolcimento, il contenuto di calcio e magnesio della resina scambiatrice aumenta dall’alto alla base del letto di resina; la capacità operativa di scambio diminuisce gradualmente e non appena il contenuto di calcio e magnesio nell’acqua depurata, supera un certo limite prefissato deve essere effettuata la rigenerazione che riporta la resina nella forma sodica. Per effettuare la rigenerazione, la concentrazione di salamoia deve essere di circa il 10– 15%. Le principali fasi di funzionamento di un addolcitore sono: esercizio, rigenerazione, lavaggio e controlavaggio. Addolcire l’acqua, quindi, significa rimuovere i sali incrostanti trasformandoli nei rispettivi sali solubili. Principali applicazioni Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 52 Gli addolcitori sono utilizzati per decalcificare le acque di Alimentazione di: generatori di vapori, acque di raffreddamento, lavorazione lavanderie e tintorie industriali, acque madri, ecc. IMPIANTI FILTRAZIONE La filtrazione è uno dei primi e fondamentali trattamenti per la chiarificazione delle acque e consiste principalmente nel trattenere i solidi sospesi sedimentabili e non, presenti nelle acque primarie, facendoli passare attraverso gli interstizi di un letto filtrante in modo da rendere un affluente limpido e chiarificato. I solidi sospesi non sedimentabili sono costituiti da particelle solide (fanghi, limo), sostanze argillose e colloidali di dimensioni ridotte e di difficile sedimentabilità, che si vengono a trovare nelle acque primarie superficiali e di profondità, in misura tale da impedirne gli usi sia a scopo civile che industriale. La filtrazione su quarzo Il filtro è costituito da letti stratificati di quarzite naturale in granulometrie molto fini (0,4/0,8 mm.) in modo da ottenere una porosità del letto filtrante di almeno il 50%del volume unitario. I filtri chiarificatori vengono adottati per chiarificazioni a valle di trattamenti diversi, come ad esempio la potabilizzazione, la deferrizzazione, l'addolcimento alla calce/soda, le filtrazioni di acqua per piscina, ecc. Gli impianti di filtrazione sono comunque preceduti nella quasi totalità dei casi da trattamenti preliminari di coagulazione e di sedimentazione. I filtri di tipo verticale, alimentati in pressione e costituiti da letti di materiale eterogeneo e incoerente, permettono di ottenere portate molto alte anche con torbidità elevate. I letti filtranti sono costituiti da materiale ad alto o diverso peso specifico in modo da poter contenere l'espansione del letto in controlavaggio e permettere al filtro di espellere anche le particelle filtrate più pesanti senza fuga di materiale filtrante. Essi vengono inoltre utilizzati per rifinire la fase biologica di alcuni impianti di depurazione per il trattamento di acque di scarico, di lavorazioni industriali. Principio di funzionamento Il ciclo di servizio di un filtro chiarificatore è stabilito e controllato da un programmatore a tempo o volumetrico. Alla fine di ogni ciclo di servizio generalmente della durata di un ciclo lavorativo, si deve provvedere a ripristinare il potere di filtrazione del letto filtrante facendo il lavaggio con acqua. Detti lavaggi sono programmabili ed avvengono tramite l'impulso di un timer programmabile inserito nella centrale di comando valvole, con il quale si comanda anche la durata degli stessi. Il lavaggio si divide in due parti:1°Controcorrente 2° Equicorrente. Le fasi sopra descritte sono comandate e controllate automaticamente dalla centrale posta sul pannello frontale dove sono evidenti le fasi effettuate dal filtro. Due pressostati differenziali provvedono allo scambio delle colonne filtranti. La filtrazione su carbone attivo Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 53 I filtri a carbone attivo di tipo verticale alimentati a pressione e costituiti da letti di materiale eterogeneo ed incoerente, permettono di ottenere portate molto alte anche con torbidità elevate (oltre 50 mg/lt ). I letti filtranti sono costituiti da materiale a basso peso specifico in modo da poter contenere l'espansione del letto in controlavaggio e permettere al filtro di espellere anche le particelle filtrate più pesanti senza fughe di materiale filtrante. La tecnica della filtrazione su carbone attivo granulare particolarmente adatta per la eliminazione del cloro, dell'ozono, del permanganato, contaminanti organici, (cattivi odori, B.O.D., cattivi sapori, saponi e tensioattivi ecc.)I filtri che proponiamo sono completamente automatici; non richiedono operazioni con consumo di prodotti chimici, ma solo di un lavaggio per il riassetto dello strato filtrante con la stessa acqua da reintegrare a quella consumata. IMPIANTI DI LAVAGGIO Le principali fasi di processo sono: L’OMOGENEIZZAZIONE, viene realizzata in una vasca di raccolta posta a monte dell’impianto al fine di rendere omogenee e costanti le caratteristiche chimiche del refluo da depurare. La FLOCCULAZIONE, si realizza nel primo scomparto dell’impianto con l’immissione un prodotto chimico in polvere regolata da un dosatore a coclea provvisto di motovariatori di giri. La miscelazione, tra refluo da depurare ed il prodotto chimico, viene assicurata da un agitatore a lenti giri. La SEDIMENTAZIONE, avviene nello stesso scomparto della fase di flocculazione dopo la fermata dell’agitatore e del dosatore. La fase solida costituita dai fanghi formatisi nel precedente trattamento si raccoglie sul fondo del sedimentatore, mentre il surnatante, costituisce la parte depurata e, tramite lo scarico automatico laterale, viene convogliato in una vasca di rilancio per essere sottoposto alla fase di filtrazione su carbone attivo. Il DRENAGGIO DEI FANGHI sedimentati, avviene in un sistema automatico di filtrazione a sacchi per il drenaggio e la compattazione. I fanghi drenati ed insaccati, verranno affidati ad una ditta autorizzata al trasporto dalla Regione ed inviati in discarica. La FILTRAZIONE SU CARBONE ATTIVO del refluo depurato, viene realizzato in un filtro a pressione automatico, che provvede ad ottimizzare le caratteristiche chimiche del refluo. Sono note, infatti, le proprietà adsorbenti del carbone attivo che oltre a trattenere i solidi sospesi, eventualmente presenti, riesce ad adsorbire i tensioattivi, cloro e sostanze organiche. Determinazioni chimico-analitiche I metodi di campionamento e di analisi sono così definiti: Metodo di riferimento: "Una metodica già collaudata e che dà sufficienti garanzie di precisione ed accuratezza ai fini degli obiettivi dell'analisi. Qualora la metodica sia stata Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 54 proposta a livello Comunitario, essa sarà accettata come metodo di riferimento. L'I.S.P.E.S.L., l'I.S.S. ed il C.N.R. hanno il compito di fornire le raccomandazioni tecniche e tutte le informazioni utili alla buona realizzazione delle misure." Metodo equivalente: "Un metodo in grado di fornire la misura del parametro considerato, confrontabile con il metodo di riferimento, seguendo le norme di buona tecnica." Il campionamento Le operazioni di campionamento relative all'analisi delle acque devono essere effettuate sia in base a criteri generali di rappresentatività e di casualità (validi per qualsiasi altro prodotto), sia in base a criteri più specifici e caratteristici. Rappresentatività significa che le caratteristiche del campione devono rispecchiare al massimo le caratteristiche medie dell'acqua in esame, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Nel caso in cui interessi evidenziare eventuali caratteristiche di inomogeneità da un punto all'altro del corpo idrico, come pure la non costanza nel tempo di tali caratteristiche, il criterio di rappresentatività deve essere ovviamente limitato a quei particolari punti o istanti di cui, o in cui, si intende valutare le caratteristiche. Il requisito di casualità è altrettanto essenziale in quanto consente di impostare le operazioni di campionamento da un punto di vista statistico, particolarmente utile per indagini d'un certo rilievo. I campioni devono essere prelevati in recipienti perfettamente puliti e con tappo a tenuta. Per determinazioni molto delicate occorrono bottiglie di vetro neutro, lavate con miscela cromica, poi pulite più volte con acqua distillata, ed infine essiccate in stufa. Per determinazioni correnti si possono utilizzare anche bottiglie di polietilene o di acciaio inossidabile. È opportuno pulire il recipiente con l'acqua in esame, prima del prelievo del campione, e riempire quanto più possibile la bottiglia prima di chiuderla, per evitare che vi rimangano bolle d'aria. Per il prelievo di acque di fiume è opportuno prelevare il campione al centro della corrente, a 20-25 cm dal pelo dell'acqua. Nel caso dei laghi, o comunemente di acque non correnti, si devono eseguire prelievi a varie profondità con adatti campionatori. Vi sono determinazioni che devono essere necessariamente eseguite in situ: tra queste sono da citare la temperatura, il pH, il potenziale redox, il cloro libero, la conducibilità elettrolitica, l'ossigeno disciolto; per quest'ultimo saggio è indispensabile procedere almeno alla fissazione del campione, e lo stesso dicasi per i solfuri. Tra il prelievo del campione e l'esecuzione dell'analisi deve passare il minor tempo possibile; i campioni in attesa di analisi devono essere tenuti in frigorifero a temperatura leggermente superiore a 0 °C, affinché non gelino. Infine su ogni campione devono essere riportati tutti i dati che lo riguardano come ad esempio il luogo di provenienza, la data, l'ora e il punto esatto del prelievo, la temperatura del campione e quella ambiente, ecc. Caratteri organolettici dell'acqua Il termine organolettico si riferisce ai caratteri che cadono direttamente ed Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 55 immediatamente sotto il dominio dei sensi: ossia l'aspetto (e particolarmente il colore), l'odore e il sapore. Si ricordi che un'acqua pura deve essere assolutamente incolore e limpida, inodore ed insapore (a parte il contributo delle diverse salinità). La percezione del colore, dell'odore e del sapore, è quanto mai soggettiva, e pertanto la descrizione che ne verrà fatta non potrà avere doti di esattezza scientifica; tuttavia sono state stabilite alcune regole che attenuano l'arbitrarietà del responso analitico, accrescendo quindi l'utilità di questi saggi. Colore. Un'esatta identificazione e valutazione del colore di un'acqua può essere eseguita mediante lo spettrofotometro di Pulfrich, determinando le frequenze alle quali si verificano gli assorbimenti maggiori. Nella pratica comune si impiega generalmente un metodo alquanto empirico, descritto da Hazen, consistente nel confrontare il campione in esame con una serie di standard contenenti quantità crescenti di cloroplatinato di potassio e cloruro di cobalto. Il confronto può avvenire per visione diretta nei tubi di Nessler, oppure con un colorimetro fotoelettrico. Da una soluzione base dei due sali precedentemente menzionati, alla quale si assegna arbitrariamente un grado di colore pari a 500 ("unità colore" corrispondente a 1 mg/l di platino), si preparano per diluizione gli standard tra 1 e 500. Nella pratica non è però opportuno preparare standard di valore superiore a 100; se il campione in esame ha una colorazione più forte, lo si diluisce con acqua distillata tenendone conto nel calcolo. Talvolta è più conveniente fare il confronto con una serie di dischi di vetro o plexiglass, di colorazione corrispondente a quella dei campioni al platino-cobalto, applicati sul fondo di un tubo di Nessler pieno d'acqua distillata. Odore Secondo la Royal Commission of Sewage Disposal, gli odori che indicano inquinamento cloacale appartengono alle seguenti categorie: a) odori putridi (dovuti all'idrogeno solforato); b) odor di pesce (dovuto ad ammine organiche); c) odore di vermi (dovuto a sostanze fosforate); d) odore di terra (dovuto all'humus). L'odore di "stantio" è dovuto all'effetto combinato delle cause c) e d); se prevale l'ultima, l'odore risultante può non essere fortemente sgradevole. Invece, dalla somma delle cause a) e b) deriva sovente un tanfo insopportabile, avvertibile anche se l'acqua contiene ancora un po' di ossigeno disciolto, qualora sul fondo vi sia fango in putrefazione. Le acque residue industriali contengono sovente numerose sostanze naturali o sintetiche che producono le più diverse sensazioni olfattive. Un metodo semplice per l'esecuzione del test sull'odore richiede la presenza di due operatori. il primo operatore prepara una serie di campioni (naturalmente l'acqua in esame è il campione n° 1), ottenuti mediante diluizione dell'acqua da analizzare con acqua sicuramente inodore, e li introduce in beute con tappo a smeriglio numerate. Successivamente egli fa annusare all'altro analista i campioni, cominciando da quelli più diluiti, ma non in stretto ordine di diluizione, ed alternandoli con un campione di acqua Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 56 inodore. Il secondo analista deve solamente dire quando avverte l'odore. I risultati sono espressi come soglia di sensibilità, definita come la massima diluizione alla quale l'odore è ancora percepibile. Naturalmente la vetreria da impiegare per questo test deve essere scrupolosamente pulita, e l'operatore che annusa i campioni deve trovarsi in un locale ove non entri alcun odore. Salvo il caso in cui si compiono ricerche di particolare delicatezza è sufficiente lavorare a temperatura ambiente. Sapore. È noto dalla fisiologia che l'uomo percepisce solo quattro sapori, e precisamente: agro, salato, amaro e dolce. La sensazione che si ha comunemente di avvertire molti altri sapori dipende non tanto dalla combinazione dei quattro gusti suddetti, quanto dall'influenza dell'odorato, come è dimostrato dal fatto che le persone raffreddate trovano sovente insipidi i cibi. Regola fondamentale del chimico è quella di non assaggiare mai sostanze che non siano sicuramente innocue; pertanto la prova del sapore deve essere fatta solo su campioni d'acqua che siano già stati sottoposti ad analisi. La tecnica da impiegare è identica a quella già descritta per la rilevazione degli odori, e così pure il modo di esprimere i risultati. Determinazioni tecnico analitiche. Trasparenza. La determinazione della trasparenza avviene con una prova di scrittura: si ottiene così un'espressione numerica della limpidità dell'acqua. Un cilindro di vetro incolore a fondo piano tarato in cm lineari (non cm3) e munito di rubinetto di scarico, lateralmente appena sopra il fondo, viene fissato con uno stativo e un morsetto. La metodica consiste in una prova di scrittura in lettere maiuscole, corrispondente alla norma tedesca DIN3,5 , stampata chiaramente con inchiostro nero, nel seguente modo: ABCDEFGHILMNOP con 3,5 mm di larghezza delle lettere e con il fondo del cilindro che deve trovarsi 20 mm sopra il campione di scrittura. Si esegue la lettura immediatamente dopo la raccolta del campione d'acqua, in luce diurna chiara e diffusa o, in mancanza, in luce diffusa artificiale. Si riempie il cilindro con l'acqua in esame fino alla tacca superiore, se ne scarica la quantità sufficiente a rendere la scrittura chiaramente leggibile, infine si legge il livello dell'acqua sulla divisione centimetrica. Occorre operare rapidamente, per evitare la deposizione delle sostanze sospese. Torbidità. La torbidità è una diminuzione della trasparenza dell'acqua, dovuta alla presenza di sostanze solide sospese, costituite da particelle finissime, incapaci di sedimentare in un tempo ragionevolmente breve. Le particelle in sospensione determinano un assorbimento di certe lunghezze d'onda luminose, dipendente tra l'altro dal numero e dalle dimensioni delle particelle suddette. Entro certi limiti, e soprattutto quando le particelle sono molto fini e di dimensioni relativamente uniformi, si può ritenere valida la legge di Lambert-Beer. In pratica, si confronta spettrofotometricamente (più correttamente, in questo caso, nefelometricamente) l'assorbimento del campione in esame con una curva di taratura costruita mediante sospensioni di silice colloidale (Kieselguhr) in acqua, aventi concentrazione nota. Il risultato si esprime in mg/l di silice Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 57 (unità nefelometriche di torbidità, NTU). Sostanze solide sedimentabili. Si determina il volume delle sostanze sospese suscettibili di depositersi in due ore sul fondo del recipiente; a tale scopo, si cerca di riprodurre fedelmente le condizioni esistenti in un bacino di sedimentazione. L'apparecchiatura da utilizzare è un cono Imhoff tarato e della capacità di un litro. Se il contenuto di sostanze sedimentabili è elevato si preferisce usare un cono munito di rubinetto che consente di simulare, alla fine del saggio, le operazioni di spurgo dei fanghi da un bacino di sedimentazione. Il risultato si esprime in ml di sostanze sedimentabili per un litro d'acqua in due ore. Sostanze solide sospese. Si dicono sostanze solide sospese quelle sostanze che si possono separare mediante mezzi meccanici energetici (filtrazione sotto vuoto o, meglio, centrifugazione) dalla fase liquida, che deve rimanere limpida. Una sospensione è una dispersione di solidi in un liquido, che si può separare nei suoi costituenti appunto con mezzi meccanici; tra questi la centrifugazione è il più veloce e sicuro. Nella pratica analitica, appunto, questa determinazione viene effettuata centrifugando l'acqua in esame, sifonando il liquido surnatante e raccogliendo le sostanze solide che verranno seccate in stufa o con lampada a raggi infrarossi, raffreddati in essiccatori e quindi pesati. Eventualmente si può procedere a calcinazione in muffola determinando in questo modo, sempre per pesata, il contributo delle sostanze inorganiche ed organiche alla quantità totale di solidi sospesi. I risultati sono espressi in mg/l. Sostanze oleose e grasse. Si trasferiscono, mediante un'estrazione liquido-liquido in imbuto separatore, le sostanze grasse e oleose contenute nel campione d'acqua (opportunamente acidificato) ad un adatto solvente (solitamente tetracloruro di carbonio, CCl4). Successivamente si distilla quest'ultimo (preferibilmente sotto vuoto) e si pesa il residuo. Per maggiore precisione è preferibile riferire i risultati come "sostanze estraibili in CCl4 a freddo" anziché come sostanze oleose e grasse, espresse in mg/l. Stabilità relativa (saggio di putrescibilità). Il campione d'acqua da analizzare viene lasciato a riposo in assenza di aria in una beuta a tappo smeriglio, in presenza di blu di metilene. Se le sostanze organiche in esso contenute vanno in putrefazione, essi sviluppano composti riducenti (in particolare H2S) i quali decolorano il blu di metilene. Il saggio fornisce pertanto un indice dell'attitudine delle sostanze organiche contenute nell'acqua in esame a subire una demolizione anaerobica e viene eseguito in un armadio termostatato a 20 °C per almeno 5 giorni (la stabilità è accettabile se la decolorazione supera i 5 giorni). Il risultato si esprime in giorni occorrenti per la decolorazione. Carbonio organico totale (TOC). Con questo parametro viene misurata la quantità totale di sostanze organiche, ivi comprese quelle particolarmente resistenti all'ossidazione e che difficilmente possono essere ossidate in condizioni naturali o anche in condizioni di laboratorio (BOD, COD ecc.). Per la sua determinazione si ricorre ad una combustione ad alta temperatura dei Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 58 composti organici contenuti nell'acqua, con conseguente produzione di CO2 , la quale può essere misurata mediante rivelatore infrarosso. Potenziale redox. Il parametro "potenziale redox" serve a dare un'indicazione globale del potere ossidante dell'acqua, prescindendo dagli equilibri delle singole coppie redox che ne sono responsabili. Per la sua determinazione si utilizza un potenziometro, correlato da una coppia di elettrodi calomelano/platino. In genere un potenziale superiore a 200 mV è indice di processi ossidativi in atto, mentre sotto i 50 mV è da escludere la presenza di ossigeno libero nell'acqua. Conducibilità. Questo parametro dipende dalle componenti ioniche dell'acqua e costituisce quindi una misura diretta del suo contenuto salino. La sua determinazione viene effettuata mediante i conduttometri che si dimostrano strumenti particolarmente adatti sia per misure discontinue di laboratorio, sia per il controllo continuo di impianti ove sia importante rilevare eventuali variazioni di composizione dell'acqua nel tempo. Questo parametro, che viene espresso in µS/cm, nella maggior parte delle acque naturali è compreso tra 100 e 1.000, ma non sono rare le acque che presentano valori esterni a questo intervallo. Come riferimento si rammenti che per l'acqua distillata assume un valore inferiore a 2. La temperatura. Questo parametro fisico è di notevole interesse in quanto fattore condizionante tutte le cinetiche delle reazioni che avvengono nel corpo idrico. Una sua variazione può infatti alterare, talvolta in modo irreversibile, gli equilibri chimici e biochimici dell'acqua. Per le acque sorgive la misura della temperatura fornisce preziose indicazioni sulle caratteristiche della falda in quanto, un valore costante alla sorgente, testimonia un'origine profonda, che non risente cioè delle variazioni né diurne né stagionali della temperatura esterna. Ciò al contrario delle acque di falda freatica, e ancor più di quelle superficiali, che sono soggette ad escursioni termiche più o meno ampie. Valori normali della temperatura di una buona acqua potabile sono compresi tra i 9 e i 12 °C, ma sono comunque tollerate temperature sino a 25 °C. Valori superiori sono indizio di inquinamento termico, di cui le cause più frequenti risiedono negli scarichi caldi delle acque di raffreddamento, o di altra natura, prodotti dalle industrie. Questo fatto si ripercuote sfavorevolmente sul bilancio dell'ossigeno, con tutte le conseguenze negative che il fatto può comportare sia direttamente, a causa della sua diminuita solubilità, sia indirettamente attraverso il maggior consumo di ossigeno che l'aumentato metabolismo della flora acquatica comporta (ciò è stato già trattato nella sezione "Inquinamento delle acque"). Acidità. In genere un'acqua viene considerata acida se il suo pH è inferiore a quello di viraggio dell'indicatore metilarancio (3,4). Poiché una tale acidità può essere dovuta soltanto alla presenza di acidi minerali liberi, o anche a notevoli quantità di sali di acidi forti (cloruri, solfati, nitrati) con basi deboli, un'acqua con queste caratteristiche deve essere considerata anomala. Valori superiori a 3,4 , rientranti pur sempre nel campo acido, sono principalmente dovuti ad anidride carbonica libera e quindi possono far rientrare Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 59 l'acqua nel campo della normalità. L'acidità viene determinata mediante titolazione con NaOH 0,01 N usando la fenolftaleina come indicatore. Il relativo parametro viene espresso in meq/l di base consumata. Il pH ideale dei corpi idrici biologicamente attivi è compreso approssimativamente tra 7 e 8,3. Le acque naturali, tuttavia, possono presentare un'acidità (come precedentemente si è detto) o una basicità superiore a tali limiti a causa della qualità e/o della quantità delle sostanze presenti. Valori inferiori a 3,4 o superiori a 8,5 sono indizio di componenti meno comuni e probabilmente di inquinamento. Per le acque destinate all'alimentazione umana la CE ha fissato il pH tra 6,5 e 9,5. Il pH viene misurato per via potenziometrica usando un elettrodo indicatore a vetro ed uno al calomelano come riferimento. Ossidabilità al permanganato. Con questo metodo si può determinare un parametro aspecifico, definito genericamente come sostanze organiche, ma definito più correttamente come ossidabilità al permanganato. Esso consiste in una ossidazione a caldo e prolungata (10 minuti) con KMnO4 in ambiente acido per H2SO4. In queste condizioni solo le sostanze organiche meno resistenti subiscono l'ossidazione, mentre vengono ossidati taluni ioni inorganici come ad esempio gli ioni ferroso, nitroso, solfito, solfuro, ecc. Ciò depone a favore della seconda definizione, più generica, ma anche più aderente alle caratteristiche del metodo. Riducendo il tempo di reazione a 3 minuti, questo metodo può essere convenientemente impiegato per misurare la domanda immediata d'ossigeno (IOD ovvero "ossigeno consumato secondo Kübel"). Domanda chimica di ossigeno (COD). Secondo questo metodo le sostanze organiche vengono ossidate a caldo con bicromato in ambiente acido, usando il solfato d'argento come catalizzatore. Per evitare l'ossidazione dei cloruri (in quanto questa non avviene nei corpi idrici naturali), il campione viene addizionato di solfato mercurico, infine un refrigerante a ricadere evita la perdita di sostanze volatili e mantiene costanti nel tempo (2 ore) le condizioni di reazione. Il risultato si esprime in mg/l di ossigeno consumato. Domanda biochimica di ossigeno (BOD). Il campione di acqua in esame viene frazionato in due parti e portato a pH 7. Sulla prima si determina subito l'ossigeno libero contenuto dopo termostatazione a 20 °C; sulla seconda si effettua la stessa determinazione dopo incubazione di 5 giorni al buio e alla stessa temperatura di 20 °C. La differenza tra queste misure corrisponde all'ossigeno consumato per attività biologiche (BOD). Affinché questo parametro assuma il significato voluto, nel campione in esame ossigeno e microrganismi devono essere eccedenti rispetto alle sostanze biodegradabili, in modo che soltanto queste ultime fungano da fattore limitante delle reazioni e la misura di ossigeno effettuata corrisponda alla quantità di tali sostanze. La soluzione di semina viene impiegata solamente se i batteri non sono contenuti a sufficienza nell'acqua in esame. Il risultato viene espresso in mg/l di ossigeno consumato e può raggiungere valori unitari per acque poco inquinate e 1.000 per scarichi ad alto grado d'inquinamento. Ossigeno disciolto (OD) Metodo Winkler. Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 60 Lo ione manganoso in soluzione alcalina è ossidato dall'ossigeno disciolto nell'acqua ad acido manganoso. Questo, trattato con acidi forti, restituisce l'ossigeno consumato il quale in presenza di ioduri, libera iodio, titolabile con tiosolfato: - Mn2++2 OH-+1/2 O2 ® H2MnO3¯; - H2MnO3+2 H+® Mn2++2 H2O+O; - 2 I-+O+2 H+ ® I2+H2O. Per questa determinazione si fa uso di un apposito bottiglino di capacità esattamente nota evitando attentamente di provocare formazione di bolle d'aria. Il risultato si esprime in mg/l di ossigeno disciolto. SATURAZIONE DI OSSIGENO A PRESSIONE ATMOSFERICA 760 TORR Temperatura acqua (°C) Saturazione (mg/l) Temperatura acqua (°C) Saturazione (mg/l) 0 8,6 13 5,6 1 8,4 14 5,4 2 8 15 5,25 3 7,8 16 5,2 4 7,6 17 4,9 5 7,2 18 4,8 6 7 19 4,7 7 6,8 20 4,5 8 6,6 21 4,4 9 6,4 22 4,3 10 6,2 23 4,2 11 6 24 4,1 12 5,8 25 4 È molto utile esprimere la quantità di ossigeno disciolto come valore percentuale rispetto al limite di saturazione in determinate condizioni di temperatura e pressione atmosferica: in tal caso si trova che una buona acqua (non di falda) deve contenere oltre il 90 % d'ossigeno, mentre valori al di sotto del 75 % sono indizio d'inquinamento. Alcalinità L'acqua in esame viene titolata con acido forte, usando come indicatori dapprima la fenolftaleina e quindi il metilarancio. Il consumo di acido nella prima titolazione può essere dovuto alla presenza di CO32-, OH-, PO43-, ecc., mentre l'acido consumato nella seconda titolazione dipende da HCO3-, HPO42-, ecc. In base a questi consumi si possono calcolare due parametri aspecifici (alcalinità alla fenolftaleina e alcalinità al metilarancio), nonché tre parametri specifici (idrossidi, carbonati e bicarbonati). Questa Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 61 seconda possibilità richiede che le altre specie presenti, oltre alle tre citate, diano un contributo trascurabile all'alcalinità, la qual cosa è spesso verificata. Indicando con F il volume d'acido consumato con la fenolftaleina e con M quello consumato in presenza del metilarancio, si possono presentare 5 casi: 1. F=0, M≠0: non avendosi alcalinità alla fenolftaleina sono presenti i soli bicarbonati; 2. F≠0, M=0: sono assenti sia bicarbonati che carbonati e quindi sono presenti i soli idrossidi; 3. F=M≠0: sono presenti i soli carbonati; 4. F>M≠0: sono presenti soltanto idrossidi e carbonati; 5. M>F≠0: sono presenti solo carbonati e bicarbonati. I parametri aspecifici dell'alcalinità si esprimono in meq/l ed in particolare si ha rispettivamente alcalinità alla fenolftaleina o al metilarancio se nella titolazione si consuma acido solamente col rispettivo indicatore utilizzato. I parametri specifici sono espressi in mg/l. Residuo fisso Si fa evaporare un conveniente volume d'acqua in esame fino a secchezza, e il residuo viene riscaldato ad una temperatura determinata. Si definisce quindi un residuo a 100 °C che corrisponde alla quantità totale di soluto ivi compresa eventuale acqua di cristallizzazione, un residuo a 180 °C che risulta totalmente privo di acqua ma contiene ancora anche la maggior parte delle sostanze organiche, ed infine un residuo fisso a 550 °C che corrisponde alle sole sostanze minerali. In ogni caso il residuo viene espresso in mg/l ed occorre sempre esprimere la temperatura alla quale è stato determinato. Durezza La durezza si determina complessometricamente titolando l'acqua in esame con acido etilendiamminotetracetico (EDTA), usando come indicatore il nero eriocromo T (NET). Le reazioni implicate nella formazione del complesso in un'analisi di questo tipo, indicando con EH22- l'EDTA, sono le seguenti: EH22-+Mg2+ ® EMg2-+2 H+; EH22-+Ca2+ ® ECa2-+2 H+. L'acqua in esame viene tamponata a pH 10, riscaldata a circa 45 °C e quindi si procede a titolazione ottenendo in questo modo la durezza totale. Riscaldando invece un'altra aliquota fino all'ebollizione per 30 minuti e procedendo a titolazione come fatto prima, si ottiene la durezza permanente. Con ebollizione prolungata avviene la seguente trasformazione: Me(HCO3)2 ® MeCO3¯+CO2+H2O. Defalcando dalla durezza totale quella permanente, si ottiene la durezza temporanea (dovuta appunto a bicarbonati dei metalli della durezza). I parametri vengono espressi in °F. Durezza calcica e magnesiaca Si esegue una determinazione complessometrica con EDTA, impiegando come indicatore la muresside (purpurato d'ammonio), che assume colorazione rossa in presenza di ioni Ca2+ e viola in sua assenza. La durezza magnesiaca è calcolabile per differenza tra durezza totale e durezza calcica che viene determinata esattamente come precedentemete detto. Lo ione Mg2+ non interferisce nella determinazione della durezza calcica in quanto al valore di pH di lavoro (> 12) precipita sotto forma di Mg(OH)2. Cloro Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 62 Dicesi "cloro residuo totale" la quantità di cloro che rimane dopo un certo tempo in un campione di acqua sottoposto a trattamento di clorazione. Si indica col termine di "cloro libero" il cloro presente come ione ipoclorito o acido ipocloroso; e con quello di "cloro combinato" il cloro presente sotto forma di clorammine. Il cloro reagisce con la ortotolidina formando un composto di colore giallo, determinabile spettrofotometricamente a lunghezza d'onda di 440 nm. L'aggiunta di arsenito di sodio (NaAsO2) permette di distinguere le due forme di cloro (libero e combinato). Il risultato si esprime in mg/l di cloro. Cloruri Metodo argentometrico di Mohr. Lo ione Cl- viene titolato con nitrato d'argento ed il punto di fine titolazione viene rivelato dall'indicatore cromato di potassio; viene effettuata anche una prova in bianco titolando acqua distillata. In questo genere di titolazioni sono implicate reazioni di precipitazione: Ag++Cl- ® AgCl¯ , Il pH ottimale è tra 6 e 9. La titolazione può essere condotta anche per via conduttometrica. I risultati sono espressi in mg/l. Bromuri Metodo argentometrico di Mohr. Si esegue esattamente come prima, tenendo in dovuto conto le possibili interferenze reciproche soprattutto in base alle rispettive concentrazioni. Anche in questo caso si possono effettuare titolazioni conduttometriche. Il parametro è espresso in mg/l. Ioduri Metodo argentometrico di Mohr già descritto o determinazione spettrofotometrica dopo ossidazione di I- con reagenti quali BrO3- o Ce4+ in presenza di salda d'amido che si colora in blu di intensità proporzionale alla concentrazione di I2 sviluppato. Si può anche far sviluppare iodio, estrarlo con solventi quali CHCl3 o CCl4 e quindi dosarlo direttamente con lo spettrofotometro. Il parametro è espresso in mg/l. Fluoruri In soluzione acida lo zirconio reagisce con la eriocromocianina R e forma un complesso rosso. Il fluoruro forma con lo zirconio un complesso incolore più stabile (ZrF62-), pertanto la presenza di fluoruro fa diminuire proporzionalmente l'intensità della colorazione rossa. In pratica si effettuano misure di colore alla lunghezza d'onda di 540 nm e si costruisce una curva di taratura con soluzioni standard. Il risultato è espresso in mg/l. Silice La silice reagisce con molibdato d'ammonio dando origine ad un complesso che viene ridotto con acido 1-ammino-2-naftol-4-solfonico con produzione di una colorazione blu di cui si misura l'intensità a 650 nm con uno spettrofotometro. Il risultato è espresso in mg/l di SiO2 , si tenga presente che 1 mg di SiO2 = 0,46 mg di Si. Anidride carbonica libera Dicesi "anidride carbonica libera" quella parte di anidride carbonica presente in soluzione sotto forma di CO2 e di H2CO3 indissociato. Con i termini "anidride Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 63 carbonica semicombinata e combinata" si indicano rispettivamente le quantità di anidride carbonica presenti in soluzione come ione HCO3- e come ione CO32-. L'acido carbonico (in larga maggioranza sotto forma di H2O+CO2 piuttosto che H2CO3) viene titolato con NaOH per via potenziometrica, fino al pH di formazione del bicarbonato. Essendo però questa tecnica molto soggetta ad errori e particolarmente delicata, si preferisce determinare il tenore di anidride carbonica libera mediante nomogrammi, fondati sugli equilibri chimico-fisici, che prendono in considerazione il pH e l'alcalinità dell'acqua espressa in mg/l di CaCO3. L'anidride carbonica libera è misurata in mg/l di CO2. Borati Si misura spettrofotometricamente a 580 nm (dopo riposo di 40 - 60 minuti) l'intensità d'assorbimento del complesso rosso-violetto ottenuto dai borati per reazione con acido carminico. Costruita come al solito la curva di taratura, con l'ausilio di soluzioni standard, si ricava la concentrazione di borati che verrà espressa come mg/l di boro. Solfati Determinazione turbidimetrica. Questo metodo si basa sulla formazione di BaSO4 che deve tuttavia rimanere in sospensione finissima senza precipitare. Ciò si ottiene addizionando alla sospensione sostanze stabilizzatrici adatte, quali ad esempio tensioattivi, elettroliti, liquidi viscosi, ecc. Inoltre si dovrà effettuare la misura turbidimetrica del campione incognito e quella degli standard nelle stesse condizioni operative, con speciale riguardo al tempo. In ogni caso la grandezza che viene misurata è la pseudo-assorbanza, dovuta all'intercettazione della luce da parte delle particelle in sospensione. La determinazione dei solfati può anche essere fatta per via ponderale e conduttometrica. Il parametro si esprime in mg/l di SO42-. Ammoniaca L'ammoniaca forma con il reattivo di Nessler (HgI42-) un precipitato bruno che, per tracce di ammoniaca, resta in soluzione colloidale gialla: 2 HgI42-+3 OH-+NH3 ® [NH2Hg2O]I+7 I-+2 H2O. Le misure di assorbanza vengono effettuate a 420 nm ed il risultato si esprime in mg/l di ione ammonio (NH4+). Nitriti Metodo di Griess. L'acido solfanilico viene diazotato dai nitrati presenti nelle acque e il diazocomposto così ottenuto, copulandosi con l'a-naftilammina, produce un colorante azoico rosso (reazione di Griess) il cui massimo di assorbimento è a 520 nm. Il risultato è espresso in mg/l. Nitrati Metodo alla brucina. I nitrati danno con la brucina (alcaloide derivato della stricnina) un composto di ossidazione rosso, instabile, che dopo un certo tempo assume una colorazione gialla. Entrambi i composti possono essere utilizzati per la determinazione colorimetrica, ma il secondo presenta una migliore ripetibilità; il suo massimo di assorbimento è a 410 nm. Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 64 Questo parametro analitico viene espresso in mg/l di NO3-. Fosfati Metodo al blu di molibdeno. I fosfati presenti nell'acqua vengono trattati con molibdato ammonico e trasformati in fosfomolibdato in base alla seguente reazione: HPO42-+12 MoO42-+3 NH4++11 H2O ® (NH4)3PO4 ·12 MoO3+23 OH-. Per concentrazioni dell'ordine di 1 mg/l il fosfomolibdato ha una debole colorazione gialla o appare del tutto incolore. Trattato con riducenti quali acido ascorbico, idrochinone, cloruro stannoso, esso si trasforma in blu di molibdeno, un composto in cui in Mo si trova contemporaneamente a diversi stati d'ossidazione. Le letture spettrofotometriche possono essere effettuate nella banda tra 650 e 800 nm. Il parametro relativo si esprime in mg/l di P2O5. Solfuri. Metodo al blu di metilene. L'ossidazione della dimetil-para-fenilendiammina ad opera del cloruro ferrico ed in presenza di solfuro, porta alla formazione del blu di metilene, un colorante tiazinico con massimo di assorbimento a 670 nm. Questo parametro viene espresso in mg/l di H2S. Ferro Il ferro (III) presente nell'acqua viene ridotto mediante idrossilammina a ione ferroso il quale, trattato con orto-fenantrolina, si trasforma in un chelato rosso, stabile in un campo di pH compreso tra 2 e 9, con massimo di assorbimento a 508 nm. Il parametro viene espresso in mg/l di Fe. Cromo Metodo alla difenilcarbazide. La difenilcarbazide in presenza di ioni bicromato dà un composto d'ossidazione rosso viola con massimo di assorbimento a 540 nm. Per la determinazione del cromo totale nelle acque occorre una ossidazione preliminare del Cr3+ mediante persolfato, mentre per il dosaggio del solo cromo esavalente, si procede direttamente alla determinazione spettrofotometrica. Il risultato viene espresso in mg/l di cromo precisando, ove richiesto, il suo stato di ossidazione nel campione di acqua in esame. Manganese Il manganese viene ossidato in ambiente acido, mediante persolfato, a permanganato colorato di violetto, del quale si musara l'assorbanza a 525 nm. Il risultato è espresso in mg/l. Alluminio L'alluminio reagisce con l'aluminon (sale ammonico dell'acido aurintricarbonico) formando una lacca rossa, della quale si misura l'assorbanza a 525 nm. Il parametro viene espresso in mg/l. Rame Gli ioni rame formano con la dietanolammina e il solfuro di carbonio un complesso giallo del quale si misura l'assorbanza a 425 nm. Il risultato è espresso in mg/l di rame. Nichel Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 65 Il nichel forma con la dimetilgliossima un complesso rosso fragola che può essere determinato gravimetricamente o spettrofotometricamente a 530 nm. Il risultato si esprime in mg/l. Zinco Lo zinco forma con lo ione ferrocianuro Fe(CN)64- un precipitato colloidale suscettibile di dosaggio colorimetrico a lunghezza d'onda di 650 nm. Il risultato è espresso in mg/l di zinco. Cadmio Il cadmio reagisce con ditizone formando un composto di colore rosso di cui, previa estrazione con cloroformio, si misura l'assorbanza a 518 nm. Il risultato è espresso in mg/l di cadmio. Piombo Tracce di piombo reagiscono con solfuro di sodio formando solfuro di piombo colloidale, di colore bruno-nerastro, del quale si misura l'assorbanza a 410 nm. Il relativo parametro è espresso in mg/l. Mercurio Il mercurio monovalente viene ossidato a bivalente dal permanganato ed i composti organico-mercurici vengono mineralizzati con acido solforico, riscaldando in microKjeldahl. Dopo estrazione selettiva con cloroformio, il mercurio è dosato per titolazione diretta con di-b-naftiltiocarbazone. Il risultato si esprime in mg/l di mercurio. Arsenico I composti di arsenico pentavalente vengono ridotti con cloruro stannoso ad arsenico trivalente; questo, mediante idrogeno nascente generato per reazione di granuli di zinco con acido concentrato, è ulteriormente ridotto ad arsina AsH3 volatile che viene assorbita da una soluzione di dietilditiocarbammato di argento. Questo reagente forma con l'arsina un colorante rosso di cui si determina l'assorbimento a 535 nm. Il risultato si esprime in mg/l di arsenico, tenendo presente che 1 mg di As = 1,32 mg As2O3 = 1,53 mg As2O5. Molibdeno Il molibdeno reagisce con il solfocianuro di potassio (KSCN), in presenza di cloruro stannoso, formando un complesso di colore arancio che può essere dosato spettrofotometricamente a 475 nm. È importante raffreddare i reattivi a 15 °C prima del loro impiego, al fine di assicurare una colorazione regolare. Il risultato si esprime in mg/l di molibdeno. Sodio, potassio e litio Vengono determinati per fotometria di fiamma in emissione alle lunghezze d'onda di 589 nm per il sodio, 768 nm per il potassio e 679 nm per il litio. Costruita la curva di taratura con l'ausilio di soluzioni standard, si ricavano i risultati che verranno espressi in mg/l dei rispettivi cationi alcalini. Cianuri Il cianuro si può titolare con nitrato d'argento, usando come indicatore la p- Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 66 dimetilamminobenzilidenrodanina. Se il tenore di cianuro è inferiore a 2 mg/l, lo si fa reagire con cloramina T e con un reagente piridina-pirazolone. Si forma una colorazione rosa che col tempo diviene blu e si stabilizza; si misura l'intensità di tale colorazione a 620 nm dopo 30 - 40 minuti di riposo. Il risultato si esprime in mg/l di ioni cianuro. Fenoli Dopo distillazione, i composti fenolici vengono fatti reagire con 4-ammino-antipirina formando un composto giallo estraibile con cloroformio e dosabile colorimetricamente a 460 nm. Il risultato si esprime in mg/l di fenolo (C6H5OH). Detergenti anionici (MBAS) Sotto questo nome si comprendono le sostanze attive al blu di metilene, o MBAS, le quali costituiscono la parte attiva della maggior parte dei detergenti sintetici. In pratica, si tratta quasi sempre di ABS (alchilbenzensolfonati non biodegradabili) ovvero di LAS (alchilbenzensolfonati a catena lineare, biodegradabili). Pertanto il saggio qui descritto, eseguito prima e dopo una prova di biodegradazione, è atto a definire il grado di biodegradabilità di un detergente. In pratica si fa reagire la parte attiva del detergente con blu di metilene e si estrae mediante cloroformio il complesso blu formatosi; quindi si misura l'assorbanza del complesso a 650 nm. Il risultato si esprime in mg/l di detergente anionico. Pesticidi, diserbanti e affini Questa categoria di sostanze viene determinata prevalentemente mediante metodi cromatografici strumentali quali la gascromatografia e la cromatografia liquida ad alte prestazioni (HPLC). Classica retta di lavoro per ricavare le concentrazioni incognite di analiti da misure di assorbanza o fotometriche Principale normativa di riferimento DLgs n. 152 del 11 maggio 1999 Disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole", a seguito delle disposizioni correttive ed integrative di cui Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 67 al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 258 DLgs n. 258 del 18 agosto 2000 Disposizioni correttive ed integrative del DLgs 11 maggio 1999, n. 152, in materia di tutela delle acque dall'inquinamento, a norma dell'articolo 1, comma 4, della legge 24 aprile 1998, n. 128 Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 68 3.1.3 Rumore Normativa Normativa comunitaria Con l'introduzione delle nuove politiche ambientali la Comunità Europea (CE) ha elaborato il quinto programma d'azione a favore dell'ambiente, iniziando in tal modo a porre attenzione al problema dell'inquinamento acustico. Questo programma fissava gli obiettivi da conseguire entro l'anno 2000 al fine di ridurre i livelli di esposizione al rumore della popolazione dell'Unione Europea (EU). Da questa iniziativa ha preso spunto la creazione del Libro Verde della Commissione Europea “Politiche future in materia di inquinamento acustico” (novembre 1996), che riassume la situazione nella CE e individua i settori in cui l'azione della Comunità può contribuire alla riduzione dei livelli di inquinamento da rumore. Inoltre la Commissione Europea ha sviluppato, sempre in materia di “inquinamento acustico”, un nuovo testo basato sulla responsabilità condivisa tra la UE, le singole nazioni e le diverse autorità locali al fine di standardizzare e rendere maggiormente uniforme le diverse azioni da svolgere. Questo documento è stato scritto nel 1998 sulla base dei seguenti criteri: - costituire un gruppo di lavoro, composto da esperti, con il compito di assistere la Commissione nello sviluppo delle leggi sul rumore; - esigere dalle autorità competenti degli stati membri la formazione delle mappe strategiche del rumore secondo alcuni indicatori armonici al fine di pianificare le azioni da realizzare per ridurre il rumore e per informare la popolazione sugli effetti derivanti dall'esposizione al rumore; - favorire l'emanazione della direttiva sulle “apparecchiature” usate all'aperto, con il fine di semplificare la legislazione sul rumore emesso in tali circostanze; - tenere aggiornata la legislazione esistente nella UE al fine di dare supporto agli investimenti economici nella ricerca in materia di fonti di emissione di rumore (ad esempio il traffico stradale, gli aeromobili, le ferrovie, ecc.). Il Parlamento e il Consiglio Europeo hanno adottato inoltre le seguenti direttive: - Direttiva 2002/49/CE del 25 giugno 2002, relativa alla determinazione e alla gestione del rumore ambientale; - Direttiva europea sul rumore ambientale, proposta COM (2000) 468 definitivo 2000/0194 (COD), presentata dalla Commissione nel luglio 2000. Normativa nazionale I principali riferimenti legislativi per il contenimento dell’inquinamento acustico sono rappresentati, a livello nazionale, dalla Legge Quadro n.447 del 26/10/1995 e dal DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) del 14/11/1997 per la “Determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore”. Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 69 La Legge Quadro n.447 del 26/10/1995 - "Legge quadro sull'inquinamento acustico" che stabilisce i principi fondamentali in materia di tutela dell'ambiente esterno e dell'ambiente abitativo dal rumore, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 117 della Costituzione. La legge individua le competenze dello Stato, delle regioni, delle province, le funzioni e i compiti dei comuni. Allo Stato competono principalmente le funzioni di indirizzo, coordinamento o regolamentazione della normativa tecnica e l'emanazione di atti legislativi su argomenti specifici. Le Regioni promulgano apposite leggi che definiscono, tra le altre cose, i criteri per la suddivisione in zone del territorio comunale (zonizzazione acustica). Su questo settore molte regioni sono già intervenute. Alle regioni spetta inoltre la definizione di criteri da seguire per la redazione della documentazione di impatto acustico, delle modalità di controllo da parte dei comuni e l'organizzazione della rete dei controlli. La parte più importante della legge regionale riguarda, infatti, l'applicazione dell'articolo 8 della Legge Quadro 447/95. La Legge Quadro riserva ai Comuni un ruolo centrale con competenze di carattere programmatico e decisionale. Oltre alla classificazione acustica del territorio, spettano ai Comuni la verifica del rispetto della normativa per la tutela dall'inquinamento acustico all'atto del rilascio delle concessioni edilizie, la regolamentazione dello svolgimento di attività temporanee e manifestazioni, l'adeguamento dei regolamenti locali con norme per il contenimento dell'inquinamento acustico e, soprattutto, l'adozione dei piani di risanamento acustico nei casi in cui le verifiche dei livelli di rumore effettivamente esistenti sul territorio comunale evidenzino il mancato rispetto dei limiti fissati. Inoltre, i Comuni con popolazione superiore a 50.000 abitanti sono tenuti a presentare una relazione biennale sullo stato acustico del comune. DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) del 14/11/1997 – “Determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore”. I diversi valori limite sono riportati nelle tabelle A, B e C. Tabella A: valori limite di emissione - Leq in dB(A) Classi di destinazione d'uso del territorio Tempi di riferimento Diurno (06.00 - 22.00) Notturno (22.00 - 06.00) I aree particolarmente protette 45 35 II aree prevalentemente residenziali 50 40 III aree di tipo misto 55 45 IV aree di intensa attività umana 60 50 V aree prevalentemente industriali 65 55 VI aree esclusivamente industriali 65 65 Tabella B: valori limite assoluti di immissione - Leq in dB(A) Classi di destinazione d'uso del territorio Tempi di riferimento Diurno (06.00 - 22.00) Notturno (22.00 - 06.00) I aree particolarmente protette 50 40 II aree prevalentemente residenziali 55 45 Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 70 III aree di tipo misto 60 50 IV aree di intensa attività umana 65 55 V aree prevalentemente industriali 70 60 VI aree esclusivamente industriali 70 70 Tabella C: valori di qualità - Leq in dB(A) Classi di destinazione d'uso del territorio I aree particolarmente protette Tempi di riferimento Diurno (06.00 - 22.00) Notturno (22.00 - 06.00) 47 37 II aree prevalentemente residenziali 52 42 III aree di tipo misto 57 47 IV aree di intensa attività umana 62 52 V aree prevalentemente industriali 67 57 VI aree esclusivamente industriali 70 70 Definizioni: - Valori limite di emissione: il valore massimo di rumore che può essere emesso da una sorgente sonora, misurato in prossimità della sorgente stessa; - Valori limite assoluti di immissione: il valore massimo di rumore immesso nell'ambiente esterno dall'insieme di tutte le sorgenti; - Valori di qualità: i valori di rumore da conseguire nel breve, nel medio e nel lungo periodo con le tecnologie e le metodiche di risanamento disponibili, per realizzare gli obiettivi di tutela previsti dalla Legge Quadro. La tabella seguente riporta i riferimenti legislativi nazionali specifici per tipologia di sorgente di emissione. Sorgente Rumore da traffico stradale Rumore ferroviario Rumore aeroportuale Impianti industriali Riferimento legislativo Decreto Ministero dell’Ambiente 16/3/1998 Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri 14/11/1997 Decreto Ministero dell’Ambiente 16/3/1998 Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri 14/11/1997 Decreto Presidente della Repubblica 18/11/1998 Decreto Ministero dell’Ambiente 31/10/1997 Decreto Ministro dell’Ambiente 20/5/1999 Decreto Presidente della Repubblica 9/11/1999 Decreto Ministro dell’Ambiente 3/12/1999 Decreto Ministero dell’Ambiente 16/03/1998 Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri 14/11/1997 Decreto Ministero dell’Ambiente 11/12/1996 Sorgenti sonore nei luoghi di intrattenimento Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri danzante, di pubblico spettacolo e nei 16/4/1999 pubblici esercizi Attività motoristiche Decreto Presidente della Repubblica Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 71 Sorgenti sonore specifiche Caratterizzazione acustica del territorio Piani di risanamento acustico per le infrastrutture di trasporto 3/4/2001 Decreto Ministero dell’Ambiente 16/3/1998 Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri 14/11/1997 Norma UNI 9433, 1995 Norma UNI 10855, 1999 Norma UNI 9884, 1997 Decreto Ministero dell’Ambiente 29/11/2000 Elenco della normativa nazionale DM 3.12.99 (G.U. 10 dicembre 1999, n.289) Procedure antirumore e zone di rispetto degli aeroporti DPR 9.11.99 n°476 (G.U. 17 dicembre 1999, n.295) Regolamento recante modificazioni al DPR 11.12.97 n° 496, concernente il divieto di voli notturni LEGGE 25.6.99 n° 205 (G. U. 28 giugno 1999, n.149) Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale e tributario Indicazioni applicative al DPCM 16.4.99 n° 215 DPCM 16.4.99 n° 215 (G.U. 2 luglio 1999, n.153) Regolamento recante norme per la determinazione dei requisiti acustici delle sorgenti sonore nei luoghi di intrattenimento danzante e di pubblico spettacolo e nei pubblici esercizi LEGGE 23.12.98 n° 448, art.60 (G.U. 29 dicembre 1998, n.302 S.O.) Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo LEGGE 9.12.98 n° 426 (G.U. 14 dicembre 1998,n. 291) Nuovi interventi in campo ambientale DPR 18.11.98 n°459 (G.U. 4 gennaio 1999, n.2) Regolamento recante norme di esecuzione dell'art. 11 della legge 447/95 in materia di inquinamento acustico derivante da traffico ferroviario DPCM 31.3.98 (G.U. 26 maggio 1998, n.120) Atto di indirizzo e coordinamento recante criteri generali per l'esercizio dell'attività di tecnico competente in acustica, ai sensi della L. 26 ottobre 1995, n.447 DM 16.3.98 (G.U. 1 aprile 1998 n.76) Tecniche di rilevamento e di misurazione dell'inquinamento acustico DPR 11.12.97 n° 496 (G.U. 26 gennaio 1998, n.20) Regolamento recante norme per la riduzione dell'inquinamento acustico prodotto dagli aeromobili civili DPCM 5.12.97 (G.U. 22 dicembre 1997, n.297) Determinazione dei requisiti acustici passivi degli edifici DPCM 14.11.97 (G.U. 1 dicembre 1997, n.280) Determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore DM 31.10.97 (G.U. 15 novembre 1997) Metodologia di misura del rumore aeroportuale DPCM 18.9.97 (G.U. 6 ottobre 1997, n.233) Determinazione dei requisiti delle sorgenti sonore nei luoghi di intrattenimento danzante DM 11.12.96 (G.U. 4 marzo 1997, n.52) Applicazione del criterio differenziale per gli impianti a ciclo produttivo continuo LEGGE 26.10.95 n° 447 (G.U. 30 ottobre 1995, n.254 S.O.) Legge quadro sull'inquinamento acustico Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 72 DLvo 15.8.91 n° 277 (G.U. 27 agosto 1991 n.200 S.O.) Attuazione delle direttive n°80/1107/CEE, n°82/605/CEE, n°83/477/CEE, n°86/188/CEE, n°88/642/CEE, in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro, a norma dell'art.7 della legge 212/90 DPCM 1.3.91 (G.U. 8 marzo 1991, n.57) Limiti massimi di esposizione al rumore negli ambienti abitativi e nell'ambiente esterno DM 18.12.75 (G.U. 2 febbraio 1976,n. 29) Norme tecniche aggiornate relative alla edilizia scolastica, ivi compresi gli indici minimi di funzionalità didattica, edilizia ed urbanistica da osservarsi nella esecuzione di opere di edilizia scolastica DM 1444 2.4.68 (G.U. 16 aprile 1968, n.97) Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti. ai sensi della L. 6 agosto 1967, n.765 Circolare del Ministro dei Lavori Pubblici n° 3150 del 22.5.67 Criteri di valutazione e collaudo dei requisiti acustici negli edifici Circolare del Ministro dei Lavori Pubblici n° 1769 del 30.4.66 Criteri di valutazione e collaudo dei requisiti acustici nelle costruzioni edilizie Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 73 3.1.4 Tecnologie per il trattamento, la gestione e lo smaltimento dei rifiuti Premessa In termini di prestazione operativa dell’area industriale è importante avere informazioni riguardo tutta l’attività di gestione dei rifiuti. Alla luce dell’attuale politica nazionale e comunitaria, nel questionario si da ampia enfasi al concetto di Gestione Integrata dei Rifiuti, in quanto risulta una strategia necessaria per poter governare in modo sostenibile un processo dai complessi aspetti tecnici, economici, amministrativi, legali e ambientali, quali sono quelli di un’area industriale. Tale tipo di gestione può essere realizzata attraverso uno schema logico descritto in Fig. 1. PREVENZIONE RIFIUTI RECUPERO DELLA MATERIA (Riutilizzo e Riciclaggio) SMALTIMENTO IN DISCARICA RECUPERO ENERGETICO Fig. 1 - Gestione Integrata Rifiuti Sulla base della prescrizioni previste dalla gestione integrata, oltre alla diminuzione dei quantitativi di rifiuti prodotti, si deve prevedere una strategia per: - privilegiare il recupero, il riuso e il riciclaggio della materia; - predisporre impianti per il recupero dell’energia intesa come produzione di calore e/o energia elettrica. Normativa Il D. Lgs. n. 22 del 5 febbraio 1997 (Decreto Ronchi), rappresenta la legge quadro in materia di rifiuti, attuando alcune fra le più importanti direttive europee (direttiva Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 74 91/156/CEE sui rifiuti, direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi, direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio). Il sistema introdotto dal D. Lgs. n. 22/97, essendo basato sulla gestione integrata a differenza di norme previgenti come il D.P.R. 915/82, implica uno spostamento della centralità sull’intero ciclo di vita dei rifiuti, dove lo smaltimento rappresenta il momento conclusivo, riservato in via residuale alle frazioni non più recuperabili. Il Decreto Ronchi non disciplina tutte le tipologie di rifiuti; sono esclusi dal campo di applicazione una serie di materiali e sostanze elencati nell’art. 8 che sono disciplinati da specifiche disposizioni di legge. In termini di gestione integrata una novità è rappresentata dalla Direttiva IPPC che introduce il concetto di Autorizzazione Ambientale Integrata mentre dal punto di vista delle tecnologie si da importanza alle BAT (migliori tecniche disponibili). Recupero di Materia e di Energia Ai fini del recupero si possono citare due dei 71 provvedimenti che rendono operativi gli obiettivi del D. Lgs. 22/97; in particolare il D.M. 5 febbraio 1998 – “Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22” e il D.M. 12 giugno 2002 n. 161 – “Regolamento attuativo degli articoli 31 e 33 del D. Lgs. 5 febbraio 1997 n.22, relativo all'individuazione dei rifiuti pericolosi che è possibile ammettere alle procedure semplificate”. In questi decreti si evidenzia come tra le operazioni di recupero siano presenti anche il recupero energetico dei rifiuti cosi come il loro impiego sul suolo; è bene sottolineare che l’attività di stoccaggio dei rifiuti destinati al recupero è considerato come operazione di recupero (messa in riserva). Se le attività di recupero non rientra tra quelle indicate nel D.M. 5/2/98 e nel D.M. 161/02, sarà soggetta ad autorizzazione in forma ordinaria ai sensi degli art. 27 e 28 del D. Lgs. 22/97. I prodotti ottenuti dal recupero per non essere assoggettati al regime ordinario dei rifiuti devono rispondere a determinate caratteristiche e in particolare non devono presentare caratteristiche di pericolo superiori a quelle dei prodotti ottenuti dalla lavorazione di materie prime vergini, inoltre devono essere destinati in modo effettivo ed oggettivo in cicli di produzione o di consumo. Nel caso in cui i prodotti ottenuti dal recupero dei rifiuti sono destinati a venire a contatto con alimenti ci si deve attenere a quanto previsto dal D.M. 21 marzo 1973. Oltre alle prescrizioni tecniche previste alle singole voci, il D.M. 5/2/98 e il D.M. 161/02 stabiliscono che devono essere osservate le prescrizioni e i valori limite per le emissioni in atmosfera; tali prescrizioni sono differenziate per le attività di recupero a freddo, rispetto a quelle che comportano l’impiego di rifiuti in cicli termici. Una rilevante novità introdotta con il D.M. 5/2/98 è rappresentata dal concetto di Materia Prima Secondaria (MPS); dal contesto delle norme tecniche e dalla Direttiva 91/156/CEE di deduce che le MPS rappresentano il risultato della valorizzazione del Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 75 rifiuto, effettuata a valle di una serie di trattamenti finalizzati al recupero del materiale, alla verifica della compatibilità ambientale ed al raggiungimento di standard merceologici definiti. Come tali le MPS risultano comparate ad una materia prima o ad un prodotto e, in quanto tali, completamente escluse dalle norme dei rifiuti. Questa condizione è raggiungibile soltanto da alcuni rifiuti e seguendo specifici trattamenti indicati dal decreto; i rifiuti con le relative voci sono: carta ( 1.1 e 1.2), vetro (2.1, 2.2 e 2.3), rottami ferrosi (3.1), rottami non ferrosi (3.2), plastica (6.1 e 6.2), inerti (7.1), tessili (8.3 e 8.9), legno (9.1 e 9.2). Pertanto una volta verificata la rispondenza agli standard merceologici ed ambientali, le MPS possono essere impiegate in sostituzione delle materie prime vergini, compatibilmente con le caratteristiche prestazionali, senza alcun ulteriore adempimento derivante dalle norme sui rifiuti. Smaltimento Uno degli ultimi provvedimenti, ritenuto fondamentale per il decollo di un sistema integrato di gestione dei rifiuti basato su logiche economiche-industriali di tipo distrettuale, è il D. Lgs. n. 36 del 13 gennaio 2003, di recepimento della Direttiva 1999/31/CE in materia di discariche ed il D.M. 13 marzo 2003 relativo ai criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica. Tali provvedimenti inducono nell’ordinamento nazionale la nuova disciplina in materia di discariche e comporteranno notevoli cambiamenti nel settore, dando un efficace contributo nell’impostare un sistema di gestione integrata basato anche qui sul riciclaggio e recupero energetico. Modalità di gestione La costruzione di un sistema integrato deve prevedere il passaggio da una struttura semplice basata sul destinare i rifiuti direttamente in discarica (ciò vuol dire perdere risorse materiali ed energetiche) alla realizzazione di una struttura flessibile ed articolata, composta da diverse attività. Nello schema di Fig. 2 sono elencate le principali attività di gestione dei rifiuti. Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 76 RACCOLTA Cernita Raggruppamento rifiuti per il trasporto Raccolta differenziata RECUPERO 9 Trasporto per il recupero 9 Trasporto per lo smaltimento SMALTIMENTO TRASPORTO Prelievo Allegato C del D. Lgs. 22/97 Allegato B del D. Lgs. 22/97 ALTRE ATTIVITA’ ATTIVITA’ DI GESTIONE 9 9 9 9 9 9 9 9 9 Deposito temporaneo Miscelazione Bonifica e messa in riserva de siti inquinati Commercio e intermediazione dei rifiuti Gestione impianti Fig. 2 - Attività di Gestione dei Rifiuti L’adesione da parte di tutte le aziende del distretto industriale al processo descritto prevede la pianificazione di diverse attività di tipo organizzativo e tecnico e in particolare c’è bisogno di: - promuovere sistemi tendenti ad intercettare a monte del conferimento, i materiali Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 77 recuperabili dai rifiuti speciali; - promuovere sistemi tecnici e produttivi tendenti a ridurre la quantità e la pericolosità dei rifiuti prodotti; - sviluppare azioni di recupero-riutilizzo all’interno dei cicli di produzione anche attraverso incentivi all’innovazione tecnologica; - sottoscrivere accordi volontari fra industrie e attività economiche presenti nel distretto industriale, finalizzati a massimizzare le possibilità di recupero reciproco fra gli scarti prodotti; - adottare sistemi di gestione ambientale (es. ISO 14000, EMAS); - integrare per quanto possibile la gestione dei rifiuti speciali con quella dei rifiuti urbani, in modo da consentire il conseguimento di efficaci e vantaggiose economie di scala; - valutare l’efficienza del sistema di gestione dei rifiuti attraverso un bilancio lungo l’intero ciclo di vita di un prodotto o servizio sia in termini economici che ambientali (Life Cycle Assessment - LCA). In Fig. 3 è schematizzata la logica di gestione integrata, applicata all’Area o Distretto Industriale. RSU Prodotti Consumo Rifiuti industriali Materie prime Produzione Recupero e riciclo Emissioni Gestione Rifiuti Smaltimento AREA INDUSTRIALE / DISTRETTO INDUSTRIALE Fig. 3 - Gestione Integrata nell’Area/Distretto Industriale Tecnologie Come già detto, le tecniche di trattamento e gestione dei rifiuti devono avere due obiettivi primari: Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 78 - riduzione della quantità - riduzione della pericolosità Entrambi gli obiettivi possono essere raggiunti agendo sui processi industriali, anche mediante l’adozione delle migliori tecnologie (BAT) nei processi industriali. I BREFs sui singoli comparti industriali contemplano sempre le corrette modalità di prevenzione, riduzione e trattamento/smaltimento dei rifiuti concernenti il processo di produzione esaminato. Di conseguenza le migliori tecniche applicabili andranno verificate caso per caso. A livello di Distretto o Area Industriale, sarà invece importante valutare l’esistenza di centri baricentrici di trattamento/smaltimento ottimizzati per le tipologie di rifiuto da essa generati. Le tecnologie impiegate in tali aziende di trattamento/smaltimento potranno essere valutate utilizzando gli stessi concetti di individuazione delle BAT presentati nel paragrafo ad esse dedicato. Facendo un rapido esame dei BREFs emanati si possono fare i seguenti esempi: - Il BREF sui metalli non ferrosi copre l’intera filiera del recupero dei rifiuti prodotti alla fine del processo di produzione; - Il BREF specifico per le industrie di produzione della carta copre parte della filera del recupero. La selezione e la preparazione del rifiuto-carta non sono esplicitate, ma sono trattati gli step per la rimozione degli inchiostri; - I BREFs su acciaio e ferro, sul vetro e sull’incenerimento, non contemplano il pretrattamento degli scarti ma hanno apposite indicazioni sull’utilizzo dei rifiuti nei processi; - I BREFs sulle raffinerie e sui grandi volumi di sostanze chimiche organiche, menzionano che l’utilizzo di sottoprodotti/residui/rifiuti come alimento nel processo produttivo attraverso complessi cicli di recupero è divenuta una pretica standardizzata. Non è molto chiaro se questo possa includere rifiuri generati da altri processi e non vi è un approfondimento sugli aspetti inerenti l’uso di tali materiali come materia prime alternativa; - I BREFs su allevamenti e sottoprodotti animali ha numerosi riferimenti alla gestione dei rifiuti. Sebbene non sia un BREF dedicato in maniera specifica al trattamento dei rifiuti, è interessante notare la presenza di indicazioni sull’incenerimento delle carcasse (l’incenerimento delle carcasse è escluso dalla Direttiva quadro sull’incenerimento); - Il BREF sul cemento tratta solo in maniera superficiale gli aspetti relativi ai rifiuti; - Il BREF sul tessile prende in considerazione l’uso di fibre sintetiche e naturali ma non le fibre riciclate. Infine devono essere tenute in considerazione le BAT esistenti specifiche per il trattamento dei rifiuti che sono state improntate sui seguenti settori: - impianti di selezione; - incenerimento; Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 79 - rigenerazione oli usati; - trattamento meccanico biologico. Rientrando gli impianti di gestione dei rifiuti nell’allegato 1 della direttiva IPPC, l’applicazione dalle BAT deve essere considerata una condizione obbligatoria. Per quel che riguarda le discariche l’autorizzazione all’esercizio ai sensi del D.lgs. 36 del 2003 viene considerata già di per se una garanzia dell’adozione delle migliori tecniche. 3.2 TECNOLOGIE E SISTEMI PER IL CONTENIMENTO DELL’INQUINAMENTO DI SUOLO E SOTTOSUOLO 3.2.1 Generalità Con il termine “siti contaminati” ci si riferisce a tutte quelle aree nelle quali, in seguito ad attività umane svolte o in corso, è stata accertata un'alterazione puntuale delle caratteristiche naturali del suolo, da parte di un qualsiasi agente inquinante presente in concentrazioni superiori a determinati limiti tabellari stabiliti per un certo riutilizzo (limiti stabiliti dal D.M. 471/99 attuativo dell'articolo 17 del D. Lgs. 22/97). Rientrano in questa definizione di siti le contaminazioni locali del suolo soprattutto in aree industriali attive o dimesse, nonché in aree interessate da smaltimenti abusivi o non ambientalmente corretti di rifiuti, mentre ne sono escluse le contaminazioni diffuse dovute sia ad emissioni in atmosfera che ad utilizzi agricoli; gli interventi di bonifica e di ripristino ambientale eseguiti servono a ridurre il danno ambientale eliminando i pericoli di contaminazione delle altre matrici, permettendo solamente un recupero parziale della funzionalità del suolo, ad esempio per una determinata destinazione d’uso, mentre solo in alcuni casi tali operazioni hanno portato ad un recupero totale della funzionalità stessa. L’attività di gestione dei siti contaminati deve comunque tener presente che sotto il nome di sito contaminato sono comprese situazioni estremamente diverse, in quanto caratterizzate da differenti dimensioni e livelli di visibilità, nonché e soprattutto da un diverso grado di rischio. La Comunicazione della CE - COM(2002)179 - afferma che “l’introduzione di contaminanti nel suolo può danneggiare o distruggere alcune o diverse funzioni del suolo e provocare una contaminazione indiretta dell’acqua. La presenza di contaminanti nel suolo oltre certi livelli comporta una serie di conseguenze negative per la catena alimentare e quindi per la salute umana e per tutti i tipi di ecosistemi e di risorse naturali. Per valutare l’impatto potenziale dei contaminanti del suolo, è necessario non solo valutarne la concentrazione, ma anche il relativo comportamento e il meccanismo di esposizione per la salute umana.” Questa affermazione ci permette di comprendere bene il significato di “contaminazione ambientale” nel suo duplice aspetto di contaminazione puntuale, o siti contaminati, e contaminazione diffusa: si parte dunque da questa prima distinzione per effettuare poi successive classificazioni. I siti contaminati possono essere suddivisi in tre principali categorie: Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 80 - Siti industriali: aree dove è stata o è aperta una qualsiasi attività industriale o commerciale; - Siti rifiuti: aree usate per lo smaltimento di rifiuti; - Siti militari: aree che sono state o sono usate per qualsiasi scopo militare, produzione di armi compresa. Per l’individuazione e la caratterizzazione dei siti sono stati elaborati diversi tipi di indicatori. Classificazione dei siti da bonificare: - Siti inquinati da amianto - Siti inquinati da TENORM - Siti minerari dismessi - Gestione dei sedimenti contaminati - Brownfields Siti inquinati da amianto A oltre dieci anni dalla L.257/92, che stabiliva la “cessazione dell’impiego dell’amianto”, questo minerale è ancora presente su tutto il territorio nazionale con conseguente pericolo per la salute delle persone che lavorano o vivono in tali aree. Il problema della diffusione dell’amianto è una questione di grande rilevanza, perché il tasso di mortalità collegato alle malattie causate dall’asbesto è in aumento e perciò diventa sempre più necessario intervenire nei siti contaminati da amianto con attività di bonifica finalizzate ad evitare esposizioni indebite dei lavoratori o della popolazione residente. Nella bonifica di un sito con presenza di amianto intervengono diverse leggi: oltre al già citato D.M. 6 settembre 1994, si deve far riferimento al D.M. 471/99, decreto che ha definitivamente regolamentato la bonifica di suolo, sottosuolo e acque sotterranee, e al D.M. 14 maggio 1996. Il D.M. 471/99 “stabilisce i criteri, le procedure e le modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti contaminati”, nonché “i limiti di accettabilità della contaminazione dei suoli, delle acque superficiali e delle acque sotterranee”. Il DM 6 settembre 1994 contiene i principi per la valutazione del rischio, per garantire la sicurezza durante gli interventi di bonifica e i metodi per svolgerli. Il D.M. 14 maggio 1996 è il disciplinare tecnico che si può direttamente applicare alla bonifica dei siti contaminati; in particolare riguarda i siti estrattivi, i siti dimessi e le tubazioni e i serbatoi in amianto-cemento. Questa norma si occupa anche della contaminazione del terreno da amianto. Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio ha individuato 50 Siti Contaminati di Interesse Nazionale che devono essere sottoposti a bonifica, in molti dei quali è presente contaminazione da amianto. In alcuni l’amianto costituisce la fonte principale di inquinamento, come ad esempio Bagnoli, Balangero, Bari Fibronit, Broni, Biancavilla, Casale Monferrato, Emarese; in altri l’asbesto è uno dei vari fattori di Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 81 rischio presenti (ad esempio nei siti di Falconara marittima, Gela, Livorno, Napoli orientale, Piombino, Taranto, Trieste, Venezia), in altri, infine, è solo una componente limitata (litorale domizio – flegreo, Serravalle Scrivia, litorale vesuviano). Quando si parla di bonifiche d’amianto, comunque, le problematiche che si riscontrano sono spesso comuni e riconducibili alle seguenti classi: - ex insediamenti produttivi; - insediamenti industriali con presenza di amianto in qualità di manufatti, materie prime; - insediamenti con presenza di amianto in depositi rifiuti; - cave di “pietra verde” dimesse; - insediamenti realizzati con materiali contenenti amianto; - centrali termiche, mezzi rotabili, navi. Per comprendere a fondo quanto sia grave la problematica legata a questo tipo di inquinamento è bene fare un riassunto delle situazioni rinvenute nei Siti di Interesse Nazionale per i quali l’amianto rappresenta la prima fonte di contaminazione. Il sito di Balangero, in Piemonte, appartiene alla categorie delle cave di pietra verde dimesse. Questa è stata la più grande d’Europa (circa 310 ettari) e l’inquinamento che la caratterizza è dovuto perciò alla residua presenza di questo minerale, il quale è localizzato nella zona di estrazione, nello stabilimento e negli impianti per la lavorazione dell'amianto, nonché nelle due discariche lapidee e nelle vasche di decantazione fanghi. Un’altra area interessata da una presenza diffusa di manufatti di amianto, alcuni dei quali in stato di avanzato degrado e pertanto altamente pericolosi, è Casale Monferrato. In essa sono presenti la zona industriale ex-Eternit ed il territorio dei Comuni compresi nella ex-USL 76, dove furono utilizzati polveri di tornitura dei tubi Eternit, sfridi e scarti di lavorazione in sottotetti, cortili, strade o aree sportive, nonché coperture di edifici pubblici e privati in eternit. Anche il sito di Bagnoli, come il precedente, è caratterizzato dalla coesistenza di contaminazione sia in ex insediamenti produttivi, che nell’abitato civile. In particolare al suo interno sono stati individuati siti industriali dimessi come l’area ex ILVA ed ex Eternit (quest’ultimo caratterizzato dalla presenza di asbesto), lo stabilimento di produzione di fertilizzanti (Federconsorzi), lo stabilimento di produzione del cemento (Cementir), basi militari e i comuni inclusi nel territorio della conca di Agnano, comprendente le relative Terme. Importante è anche il sito di Emarese, in Val D’Aosta, ubicato ad un'altitudine di 1.370 m circa s.l.m e con un'estensione di circa 40.000 mq. L'area presenta cumuli ingenti di amianto in scaglie, derivanti dalle vecchie attività di cava, con conseguente dispersione in atmosfera delle fibre libere dai cumuli. Merita particolare attenzione l’area di Bari Fibronit, ubicata nel centro cittadino, su di una vasta superficie di 148.000 mq. L’insediamento produttivo è stato adibito, dal 1934 al 1985, alla produzione di manufatti in cemento amianto ed è perciò interessata da un grave inquinamento dovuto alla pregressa attività lavorativa ed all’incauta gestione dei Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 82 rifiuti e delle materie prime contenenti amianto. Un altro caso molto difficile è rappresentato da Biancavilla, in provincia di Catania. Il sito è costituito da una cava ubicata in località Monte Calvario, in prossimità del centro abitato di Biancavilla, dalla quale si estraeva del pietrisco lavico contaminato da materiali fibrosi della famiglia dell'amianto e da molti edifici del centro storico di Biancavilla, costruiti con malte e intonaci prodotti attraverso la macinazione della roccia proveniente dalla cava citata. La presenza diffusa dell’amianto in forma disperdibile sia nel sito di estrazione che nel centro abitato, le preoccupanti evidenze epidemiologiche di incremento della mortalità per patologie riconducibili all'amianto portano a ritenere la situazione ad elevato rischio sanitario ed ambientale. E’ da citare infine il sito di Tito (Potenza). E’ un’area di 51 ettari circa di proprietà della ex Liquichimica. Si tratta di un complesso industriale dimesso, precedentemente adibito alla produzione di fertilizzanti, nel quale sono presenti fabbricati e impianti in parte demoliti o in evidente stato di abbandono. La contaminazione prevalente del sito consiste nella presenza di capannoni con coperture in eternit e rifiuti contenenti amianto, abbandonati sul suolo. Siti inquinati da TENORM (Technologically Enhanced Naturally-Occurring Radioactive Materials) Nelle rocce che formano la crosta terrestre sono contenuti diversi radionuclidi di origine naturale che contribuiscono a produrre il livello di radiazioni detto di background, al quale tutti gli esseri viventi risultano naturalmente esposti. Alcune attività umane, estraendo e processando i materiali della crosta terrestre, hanno prodotto un’alterazione del livello naturale di radiazioni, attraverso l’incremento della probabilità di esposizione per l’uomo a tali materiali, conseguente alla rimozione di essi dalla loro originaria e inaccessibile collocazione, e/o l’incremento della concentrazione di radionuclidi in essi contenuti. In questo modo si sono prodotti i cosiddetti TENORMs - Technologically Enhanced Naturally-Occurring Radioactive Materials. I principali radionuclidi presenti nei TENORM sono gli isotopi naturali a lunga vita del Radio, Torio e Uranio e i loro prodotti di decadimento radioattivo (come il Radon e il Potassio 40). I TENORM sono caratterizzati da concentrazioni di radionuclidi ampiamente variabili in funzione della diversità dei materiali e/o dei processi cui sono stati sottoposti, e l’entità del rischio da essi prodotto è dovuta, oltre che al loro livello di radioattività (nella maggior parte dei casi basso) e ai loro volumi, alle specifiche caratteristiche fisico-chimiche. Per la loro derivazione naturale e a causa degli enormi volumi in gioco, ai TENORM non vengono applicate le medesime regolamentazioni stabilite per i residui dell’industria nucleare. Attualmente non si ha a disposizione una chiara regolamentazione normativa che orienti la gestione di tali materiali, resa ulteriormente difficoltosa dal fatto che nelle aree Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 83 oggetto di contaminazione da TENORM, risulta spesso presente anche una contaminazione di tipo convenzionale, per lo più chimico. Sorgenti di TENORM: - industria che utilizza minerali fosfatici per la produzione di acido fosforico e di fertilizzanti; - lavorazione di minerali nella estrazione di stagno, ferro-niobio da pirocloro e alluminio da bauxite; - lavorazione di sabbie zirconifere e produzione di materiali refrattari; - lavorazione di terre rare; - lavorazione ed impiego di composti del torio, per quanto concerne elettrodi per saldatura con torio, produzione di lenti o vetri ottici e reticelle per lampade a gas; - produzione di pigmento al biossido di titanio; - estrazione e raffinazione di petrolio ed estrazione di gas. Attualmente in Italia è stata rinvenuta una contaminazione da TENORMs all’interno della perimetrazione di due Siti Contaminati di Interesse Nazionale, quello di Porto Marghera (Venezia) e quello di Gela (Caltanisetta). In entrambi i casi sopra citati i TENORMs sono costituiti da fosfogessi, prodotti di scarto derivanti nel caso di Porto Marghera da un’attività industriale dismessa di produzione di fertilizzanti e nel caso di Gela da passati processi industriali di produzione di acido fosforico. Siti minerari dismessi L’articolo 22 della legge 179/02 (“Disposizioni in materia ambientale”) fa riferimento al censimento di tutti i siti minerari abbandonati, senza meglio specificarli. Il RD 1443/27 all’art.2 definisce come miniere i siti destinati alla “ricerca e coltivazione" delle seguenti sostanze ed energie: - minerali utilizzabili per l'estrazione di metalli, metalloidi e loro composti, anche se detti minerali siano impiegati direttamente; - grafite, combustibili solidi, liquidi e gassosi, rocce asfaltiche e bituminose; - fosfati, sali alcalini e magnesiaci, allumite, miche, feldspati, caolino e bentonite, terre da sbianca, argille per porcellana e terraglia forte, terre con grado di refrattarietà superiore a 1630 gradi centigradi; - pietre preziose, granati, corindone, bauxite, leucite, magnesite, fluorina, minerali di bario e di stronzio, talco, asbesto, marna da cemento, pietre litografiche; - sostanze radioattive, acque minerali e termali, vapori e gas.” Dall’elenco sopra riportato appare chiaro come nella definizione di siti minerari vanno comprese non solo le miniere propriamente dette, ma anche i giacimenti di idrocarburi e geotermici, nonché le sorgenti di acque minerali e termali e alcuni siti con coltivazione a cielo aperto. D’altra parte il DPR del 9/4/1959 n.159 (“Norme di polizia delle miniere e delle cave”) Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 84 fa riferimento a siti abbandonati solo per quanto riguarda la cessazione “dell’esercizio di una miniera o cava sotterranea” (art. 39), concentrando l’attenzione sul concetto di “sotterraneo” (“A cura dell’imprenditore il sotterraneo deve essere tenuto in normale manutenzione e accessibile …” ). Infine, la ricerca e la coltivazione di idrocarburi e dei campi geotermici è a sua volta regolata dalla L. 6/57, che istituisce, tra le altre cose, il “Comitato tecnico per gli idrocarburi e la geotermia”, separando di fatto l’ambito delle coltivazioni mediante pozzi di perforazione da quello delle coltivazioni in sotterraneo. Di conseguenza, tenendo anche in conto che la cessazione della coltivazione mediante pozzi è subordinata al ripristino delle condizioni di partenza attraverso la chiusura cementata dei pozzi stessi, l’ambito del censimento dei siti minerari abbandonati è stato circoscritto a: - Miniere con coltivazione in sotterraneo; - Miniere a cielo aperto che comportano attività di sbancamento (miniere di carbone, di marna per cemento, ecc.); - Cave coltivate in sotterraneo. Gestione dei sedimenti contaminati I sedimenti rappresentano un comparto ambientale estremamente complesso, con modalità di formazione, caratteristiche chimico-fisiche, organismi viventi e tipi di contaminazione estremamente variabili. I materiali prodotti dalla degradazione meteorica (sia fisica che chimica), dall’erosione o formatisi direttamente per precipitazione chimica o per fissazione biogena, vengono trasportati dalla forza di gravità, dalle acque, dal vento o dai ghiacci in zone dove avviene la sedimentazione e l’accumulo. Lungo il tragitto tra luogo di provenienza e di deposizione finale si attuano normalmente vari processi, quali variazioni delle modalità di trasporto, della composizione e della tessitura del materiale. Quella dei sedimenti contaminati è una problematica piuttosto recente e, soprattutto nel nostro Paese, ricerche e risorse investite in tale settore risultano molto limitate. La scarsa attenzione a tale problematica è dovuta in gran parte all’assenza di una Normativa ad hoc in materia. Infatti, contrariamente a quanto si è verificato in altri Paesi (quali Stati Uniti, Olanda e Germania), in Italia non è stata ancora emanata una legge che regolamenti organicamente il problema dei sedimenti; a tutt’oggi confrontarsi con il problema sedimenti si riduce al dragaggio ed al conferimento in discarica controllata del materiale proveniente da aree portuali. Il primo passo nella gestione dei sedimenti contaminati è normalmente il dragaggio, che deve essere realizzato avendo cura di minimizzare la perdita di sedimenti e/o il rilascio di contaminanti nell’ambiente acquatico. Dato che la maggior parte dei contaminanti è legata alle particelle fini, che sono quelle più facilmente possono passare nuovamente in sospensione, si cerca di minimizzare tale fenomeno attraverso attrezzature innovative e controlli mirati, oltre che con speciali barriere (cortine, schermi limosi, galleggianti, ecc.). Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 85 Il materiale dragato viene di norma stoccato in maniera permanente o provvisoria in apposite aree opportunamente predisposte; lo stoccaggio può riguardare sia i sedimenti dragati che i residui da trattamenti preliminari e/o trattamenti dei sedimenti stessi. Una diffusa forma di stoccaggio è il camping: il materiale contaminato (contaminazione moderata) viene disposto sul fondo, su una superficie piana a formare un cumulo, quindi si procede al ricoprimento con un “tappo” di materiale non contaminato al fine di isolare fisicamente e chimicamente la contaminazione. Il confinamento è un tipo di stoccaggio molto diffuso, consiste nel collocare il materiale in siti o strutture progettati per contenere e controllare i sedimenti contaminati. Spesso si tratta di discariche controllate, in cui i sedimenti possono essere impiegati per il ricoprimento giornaliero o per la costruzione di setti e coperture. Un’alternativa alla discarica commerciale è rappresentata dai CDF (Confined Disposal Facility), o vasche di colmata: si tratta di una struttura ad elevato grado di contenimento che consente lo stoccaggio, per un tempo indefinito, dei sedimenti maggiormente contaminati ed il successivo monitoraggio della fuoriuscita dei contaminanti. Una vasca di colmata deve anche provvedere all’essiccamento dei sedimenti per avere una maggiore compattazione e massimizzare lo spazio. Brownfields Sono definibili come “brownfields” quei siti che hanno ospitato in passato insediamenti produttivi attualmente dismessi o sotto-utilizzati e per i quali il recupero è ostacolato da una situazione, reale o potenziale, di inquinamento. Si tratta di siti che, sebbene degradati e con conseguente impatto sulle matrici ambientali e sugli insediamenti circostanti, sono in genere già dotati di tutte le opere di urbanizzazione (luce, acqua, gas, rete fognaria ecc.) e ubicati in prossimità di linee e raccordi di trasporto. Si possono distinguere tre principali categorie di brownfields, che richiedono differenti approcci e strategie di recupero: - siti interni a centri abitati che ospitavano insediamenti manifatturieri caratteristici del XIX secolo, o attrezzature a servizio di ferrovie e porti, successivamente dimessi, o trasferiti in aree più periferiche, a seguito dei processi di sviluppo economico e di crescita della città; - grandi zone industriali, spesso costiere, che hanno visto lo sviluppo ed il successivo declino di settori produttivi quali l’industria chimica, le acciaierie, l’attività estrattiva, l’industria meccanica. Questi siti possono essere di notevoli dimensioni. In tal caso sono definiti megasiti, e possono determinare impatti ambientali e socioeconomici su scala regionale. Necessitano, di conseguenza, di estesi lavori di decontaminazione e ripristino, con considerevoli costi che, il più delle volte, rendono indispensabile l’intervento pubblico. La loro bonifica e riqualificazione richiedono l’adozione di soluzioni tecniche avanzate ed, in particolare, di un approccio integrato all’intero sito, al fine di definire priorità e obiettivi di bonifica secondo un bilancio di costi ambientali e benefici socio-economici; - siti extraurbani, un tempo connessi con attività primarie quali l’agricoltura,le attività Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 86 forestali o con l’industria mineraria. I siti possono trovarsi in via di dismissione, dismessi di recente oppure dismessi da molti anni. Nei primi due casi si può verificare che la presenza attiva della proprietà favorisca il rapido recupero e la trasformazione del sito, specie se è di piccole o medie dimensioni. Nel terzo caso, i siti si configurano come veri e propri “vuoti” urbani, ormai isolati dal contesto circostante e possono quindi richiedere, per la loro rivitalizzazione, progetti di recupero partecipati, tesi a ricostruire il loro rapporto con la città. Attualmente in Italia manca un censimento dei siti brownfields, tranne che per la Provincia di Milano dove ne sono stati stimati per circa 1260 ettari. Le Regioni con il maggior numero di brownfields sono comunque quelle del nord, in particolare la Lombardia, il Piemonte e il Veneto in cui, nei decenni passati, si è avuto il più intenso sviluppo industriale. Il centro-sud si caratterizza per la presenza di poche ma estese zone industriali, testimoni di uno sviluppo concentrato in un limitato numero di aree. Considerando i dati disponibili relativi a 50 siti contaminati “di interesse nazionale” risulta che il 72% sono siti industriali. Si tratta di insediamenti prevalentemente localizzati in ambiti urbani o sub-urbani e, nel 44% dei casi, costieri. Oltre la metà supera i 100 ettari; tra i maggiori ci sono Taranto, Brindisi e Venezia Porto Marghera. Alcune aree sono definibili come “multisiti” in quanto contengono più di un sito (es. Sassuolo-Scandiano, con 19 siti). Nel 42% dei casi si tratta di aree industriali “eterogenee”, comprendenti cioè diverse industrie, mentre nel 28% di aree “omogenee” ossia con una sola industria. Nel 30% dei casi si tratta di siti con presenza di discariche. Tra i principali settori industriali a cui collegare lo sviluppo dei siti emergono il settore chimico, quello petrolchimico, siderurgico e metalmeccanico. I siti attualmente in produzione risultano il 61%, ma in quasi la metà degli insediamenti sono presenti stabilimenti dismessi o in via di dismissione. A titolo di esempio, tra le più importanti esperienze di recupero sul territorio nazionale si possono citare: a Sesto S. Giovanni, il recupero delle aree delle ex grandi fabbriche Breda, Marelli, Falk (reindustrializzazione e insediamenti terziari); a Venezia, Porto Marghera (riconversione delle aree per nuovi insediamenti industriali, logistici e terziari); a Genova, l’area di Campi (circa 22 ettari occupati da uno stabilimento siderurgico trasformati in un nuovo polo produttivo diversificato, con circa 100 aziende e 1800 addetti); a Napoli, l’area ex siderurgica di Bagnoli (realizzazione di un insediamento integrato con attrezzature per il turismo e il tempo libero, attività produttive ad alto contenuto tecnologico, interventi di edilizia residenziale). 3.2.2 La normativa nazionale Decreto Legislativo 5 febbraio 1997 n° 22 Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio (pubblicato in G.U. 15 febbraio 1997, n.38, S.O.) Legge 9 dicembre 1998, n° 426 Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 87 Nuovi interventi in campo ambientale (pubblicata in G.U. 14 dicembre 1998, n. 291) Decreto Ministeriale 25 ottobre 1999, n° 471 Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell'articolo 17 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n.22, e successive modificazioni e integrazioni (pubblicato in G.U. 15 dicembre 1999, n.293, S.O.) È il regolamento tecnico di attuazione dell'art.17 del D.Lgs 22/97, entrato in vigore il 16/12/99. Fissa criteri e procedure amministrative da seguire nella bonifica dei siti contaminati; Definisce i "valori limite di concentrazione per il suolo/sottosuolo e per le acque" superati i quali il sito in oggetto dovrà essere considerato inquinato.(All. 1). Nel caso del suolo, i limiti sono fissati in funzione della destinazione d'uso (rispetto alla pregressa normativa regionale toscana, il DM non stabilisce limiti per i suoli agricoli): - verde pubblico e privato - residenziale - siti ad uso commerciale - industriale Il decreto: - Individua le procedure per il prelievo e l'analisi dei campioni (All. 2); - Fissa i criteri per la redazione del progetto di bonifica (All. 4); - Fissa i criteri per gli interventi di messa in sicurezza d'emergenza, bonifica e ripristino ambientale, per le misure di sicurezza e messa in sicurezza permanente (All. 3). Legge 23 dicembre 2000, n° 388 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001, pubblicata in G.U. 29 dicembre 2000, n.302, S.O.) Legge 23 marzo 2001, n° 93 Disposizioni in campo ambientale (pubblicata in G.U. 4 aprile 2001, n.79) D. M. Ambiente 18 settembre 2001, n. 468 Programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati 3.3 TECNOLOGIE E SISTEMI CHE OPERANO CONTORNO INFRASTRUTTURALI SULLE CONDIZIONI AL 3.3.1 Piano della mobilità per le merci e per il personale Il mobility manager La figura professionale del Mobility Manager è stata introdotta dal Decreto Ministeriale Ronchi del 27 Marzo 1998, secondo cui aziende ed Enti pubblici con più di 300 Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 88 dipendenti per unità locale, ed imprese con complessivamente oltre 800 dipendenti, devono individuare un responsabile della mobilità del personale. Nell'ambito del Decreto si delineano due figure professionali: - il Mobility Manager di azienda - il Mobility Manager di area. Il Mobility Manager di azienda ha l'incarico di ottimizzare gli spostamenti sistematici dei dipendenti, con l'obiettivo di ridurre l'uso dell'auto privata adottando “il piano degli spostamenti casa-lavoro (PSCL)”, teso a favorire soluzioni di trasporto alternativo a ridotto impatto ambientale, quali car pooling, car sharing, trasporto pubblico a chiamata, navette, ecc. Gli obiettivi da perseguire riguardano pertanto, la generale riduzione del traffico veicolare privato e delle sue nocive conseguenze quali, consumo energetico, inquinamento atmosferico ed acustico, riduzione di emissioni di gas serra e di incidenti stradali, dando la priorità a strategie volte ad assicurare la mobilità delle persone e il trasporto delle merci in modo efficiente. Dal 2000 il Mobility Manager aziendale si confronta con il Mobility Manager di area. Il Mobility Manager di area è una figura di supporto e coordinamento dei responsabili della mobilità aziendale, istituita presso l'Ufficio Tecnico del Traffico, ed adibita a mantenere i collegamenti con le strutture comunali e le aziende di trasporto locale, a promuovere le iniziative di mobilità di area, a monitorare gli effetti delle misure adottate e coordinare i PSCL delle aziende. L'azienda deve comunicare la nomina del Mobility Manager aziendale al Mobility Manager di area del Comune. Attraverso le loro aziende, e quindi, attraverso la figura del Mobility Manager, i fruitori passivi del trasporto possono divenire protagonisti attivi , e in qualche modo orientare le scelte di mobilità decise dall'amministrazione comunale, nel pieno interesse della collettività. La normativa nazionale Il Decreto Interministeriale ''Mobilità Sostenibile nelle Aree Urbane'' del 27/03/1998, ha stabilito una strategia di azione finalizzata a perseguire gli impegni assunti dall'Italia nella conferenza di Kyoto, ed ha promosso linee di intervento per ridurre l'inquinamento e la congestione da traffico, nelle aree urbane. Il decreto istituisce la figura professionale del Mobility Manager, definendo le “strutture di supporto alle reti cittadine dei responsabili della mobilità aziendale”. Nello specifico: - Istituzione, presso le imprese e gli enti pubblici con unità locali con più di 300 dipendenti e presso imprese con complessivamente più di 800 addetti in più sedi, di un responsabile della mobilità aziendale (Mobility Manager d'azienda) e l'adozione del piano degli spostamenti casa-lavoro del personale dipendente. - Istituzione, da parte dei comuni, di una struttura di supporto e di coordinamento tra i responsabili della mobilità aziendale, che mantiene i collegamenti con le Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 89 amministrazioni comunali e le aziende di trasporto (Mobility Manager d'area). Al fine di ottimizzare la mobilità collettiva come alternativa necessaria alla mobilità privata, nel suddetto decreto, e nei successivi, sono previste ulteriori iniziative, quali l'incentivazione di uso collettivo ottimale delle autovetture e di forme di multiproprietà (Car sharing), veicoli elettrici, GPL, metano o carburanti alternativi, veicoli elettrici su due ruote e taxi collettivo. DM Ambiente 27 Marzo 1998 “Mobilità sostenibile nelle aree urbane” (G.U. n.179 del 3 agosto 1998) Obiettivo: Il risanamento e la tutela della qualità dell'aria. Politiche: La riduzione dei gas serra e l'attuazione delle linee di intervento stabilite a Kyoto nel Dicembre 1998. Azioni: - Le Regioni devono adottare entro il 30/6/1999 il piano regionale per il risanamento e la tutela della qualità dell'aria (DM 20/5/1991); - I Sindaci dei comuni di cui all. III DM 25/11/1994 e quelli indicati dalle regioni, adottano misure di prevenzione e riduzione di emissioni inquinanti in caso di superamento dei limiti previsti dal DM 25/11/1994 e 16/5/1996; - Istituzione del Mobility Manager di azienda; - I Comuni di cui sopra, incentivano forme di carpooling e carsharing, l'uso collettivo e la multiproprietà con mezzi ''ecologici'' (elettrici, ibridi, gas naturale, GPL); - Il rinnovo del parco autoveicolare pubblico in quota parte dal 5% nel 1998 al 50% nel 2003, con mezzi ecologici. DM Ambiente 20 Dicembre 2000 “Incentivazione dei programmi proposti dai MM aziendali” (G.U. n.80 del 5 aprile 2001) Obiettivo: La riduzione strutturale e permanente dell'impatto ambientale derivante dal traffico. Politiche: Interventi di organizzazione e gestione della domanda di mobilità e attuazione di politiche radicali di mobilità sostenibile. Azioni: - Introduzione della figura del MM di area; - Inserimento di PSCL facoltativi per aree industriali, artigianali, commerciali, di servizi, poli scolastici e sanitari o aree che ospitano manifestazioni anche temporanee con specifici MM d'area e aziendali; - Cofinanziamento per tutti i comuni. DM Ambiente 20 Dicembre 2000 “Promozione del car sharing” (G.U. n.80 del 5 aprile 2001) Obiettivo: Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 90 La riduzione strutturale e permanente dell'impatto ambientale derivante dal traffico. Politiche: L'attivazione di politiche di mobilità sostenibile. Azioni: - Integrazione e completamento del progetto di realizzazione del sistema coordinato ed integrato di servizi locali di car sharing. DM Ambiente 21 Dicembre 2000 “Programmi radicali per la mobilità sostenibile” (G.U. n.80 del 5 aprile 2001) Obiettivo: La riduzione strutturale e permanente dell'impatto ambientale derivante dal traffico. Politiche: Un cofinanziamento di progetti per “aree di intervento”. Azioni: - Trasporto collettivo innovativo; - Road e area pricing; - Trasporto pubblico elettrico; - Mezzi ecologici; - Monitoraggio dell'inquinamento atmosferico; - Progetti dimostrativi di carburanti alternativi. Il trasporto intermodale delle merci Il Trasporto intermodale è una tipologia particolare di trasporto, effettuato, come dice il nome, con l'ausilio di una combinazione di mezzi diversi come camion e treno o camion e nave. Caratteristica di questo tipo di trasporto è che la merce viene sistemata presso la fabbrica o presso il magazzino di uno spedizioniere in uno specifico contenitore, da dove non viene mossa fino al raggiungimento della destinazione finale. Questa mancanza di manipolazioni intermedie garantisce evidentemente un minor rischio di danneggiamento del contenuto, un minor costo di trasbordo tra mezzi di tipo diverso e garantisce spesso anche una maggiore velocità nell'effettuazione del trasporto. Dopo che l'aumento del traffico internazionale di merci aveva creato la necessità di una soluzione di questo tipo, si è cercato di trovare un modo per standardizzare il più possibile questo tipo di trasporto, arrivando a dei primi accordi internazionali negli anni '50. L'ottimizzazione del trasporto è partita dalla base e si può far risalire, come primo passo, all'inizio dell'uso abituale del pallet, per proseguire poi con l'invenzione del container che ha rivoluzionato le tecniche di trasporto sulle lunghissime distanze, specialmente di quelle che prevedevano, oltre ad una parte di trasporto terrestre una parte di trasporto via nave. Oggi il trasporto intermodale (detto anche combinato) si svolge principalmente in 2 Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 91 modi, in un primo caso con l'ausilio del container che viene agganciato di volta in volta, secondo la necessità, su un autocarro speciale, su un vagone ferroviario o sul ponte di una nave. Il secondo caso, utilizzato perlopiù sulle medie distanze, prevede il carico della merce su un semirimorchio stradale, il trasferimento dello stesso ad una vicina stazione ferroviaria, il successivo trasferimento a mezzo treno sino ad una stazione prossima alla località di destinazione ed infine l'ultimo tratto, per effettuare la consegna delle merci, nuovamente effettuato su strada. La normativa nazionale Schema di decreto ministeriale sul trasporto intermodale (Previsto dalla legge 311/2004 - "Finanziaria 2005") (in progress) DPR 22 dicembre 2004, n. 340 (Legge 166/2002 - Disciplina delle agevolazioni tariffarie, in materia di servizio di trasporto ferroviario di passeggeri e dell'incentivazione del trasporto ferroviario combinato, accompagnato e di merci pericolose - Stralcio) Legge 1° marzo 2005, n. 32 (Delega al Governo per il riassetto normativo del settore dell'autotrasporto di persone e cose) Dlgs 30 settembre 2004, n. 268 (Attuazione della direttiva 2001/16/Ce in materia di interoperabilità del sistema ferroviario transeuropeo convenzionale) Legge 1 agosto 2002, n. 166, “Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti”, con particolare riferimento a: - Art. 37. (Disposizioni sugli interporti) - Art. 38. (Disposizioni in materia di trasporto ferroviario e interventi per lo sviluppo del trasporto ferroviario di merci) 3.4 STRUMENTI VOLONTARI 3.4.1 Il regolamento EMAS: origine ed evoluzione Il regolamento EMAS nella sua prima versione approvata il 29 giugno 1993 era basato su tre elementi peculiari: - La condizione del rispetto della normativa in campo ambientale da parte dell’azienda che intende aderire ad EMAS; - la previsione di un nuovo strumento di comunicazione, denominato Dichiarazione Ambientale; - La fase di verifica EMAS - La procedura di certificazione, prevista dal regolamento, si concludeva con l’iscrizione del sito industriale nel registro dei siti certificati EMAS ad opera dell’organismo competente a livello nazionale. L’impresa registrata aveva come risultato finale la possibilità di rendere noto ai propri interlocutori il riconoscimento del Sistema di Gestione Ambientale, attraverso due strumenti pubblicitari (la dichiarazione di partecipazione al sistema ed il logo EMAS) previsti dal regolamento. Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 92 La commissione ha iniziato a lavorare sulla revisione del regolamento sin dal 1997. Dopo un lungo e dettagliato processo di revisione e rielaborazione, il nuovo regolamento comunitario (2001/761/CE) è stato approvato il 14 febbraio 2001, entrando in vigore il 27 aprile 2001. Per quanto riguarda gli elementi di novità contenuti nel regolamento EMAS II, il principale riguarda l’estensione della possibilità di registrazione e certificazione a tutti i settori di attività con impatto ambientale. In particolare, le novità introdotte nel regolamento EMAS II, possono essere descritte in sintesi nei seguenti punti: - Ampliamento della possibilità di adesione a EMAS a ogni società, azienda, autorità o istituzione di natura pubblica o privata - Riconoscimento della riproduzione dei Sistemi di gestione ambientale certificati ISO 14001 nei successivi percorsi di ecogestione per la registrazione EMAS. - Istituzione di riunioni periodiche del Organismi competenti e di accreditamento - Disciplina per l’utilizzo del logo EMAS - Inclusione della autorità ambientali nella procedura di registrazione dei siti - Rinnovato invito a stimolare la partecipazione al sistema dei lavoratori e delle piccole e medie imprese. Nel percorso di eco-gestione, un’organizzazione deve analizzare e valutare, oltre che gli aspetti ambientali diretti (emissioni atmosferiche, scarichi idrici, rifiuti, rumore, ecc.) anche quelli indiretti. Tali aspetti riconducibili a quelli diretti, ma per essi l’organizzazione in esame ha un controllo gestionale condiviso con almeno un soggetto esterno. Per quanto riguarda l’elemento innovativo introdotto, relativo al formale riconoscimento della validità dei contenuti della norma ISO 14001 come riferimento per l’attuazione di un Sistema di Gestione Ambientale, si ritiene importante sottolineare le principali differenze tra i due schemi ISO ed EMAS, che tuttavia, permangono. 3.4.2 La norma ISO 14001 La norma 14001 fa parte degli standard internazionali ISO 14000, adottati dall’International Organization for Standardization (ISO), e avente per oggetto i Sistemi di Gestione Ambientale. Lo standard ISO 14000 è nato come risposta ad esigenze diverse, quali i rapporti commerciali ed i rapporti tra imprese. Lo standard UNI EN ISO 14001, nato nel 1996 e recentemente aggiornato (2004), si caratterizza per essere una norma riconosciuta a livello internazionale, pur essendo regolata a livello privatistico, e per la partecipazione aperta a tutti i settori. 3.4.3 Differenze ed integrazioni tra Emas e ISO 14001 Le differenze tra la norma e tra il regolamento EMAS possono essere riassunte in sintesi, come di seguito: - Le norme ISO hanno fonte giuridica privata, derivante da un mutuo riconoscimento di Organismi di normazione nazionali, mentre EMAS ha natura giuridica pubblica Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 93 ed è pertanto regolamentato da Organismi pubblici. - Nella gestione del Programma Ambientale EMAS chiede, oltre al consolidamento del proprio Sistema di Gestione Ambientale, di garantire una gestione indirizzata verso un ciclo di miglioramento delle prestazioni ambientali continuo nel tempo. - Il regolamento EMAS pone maggiore attenzione sugli aspetti ambientali indiretti. - Il regolamento EMAS è riconosciuto a livello europeo, mentre la norma ISO 14001 a livello internazionale. - Solo EMAS chiede e predispone una Dichiarazione Ambientale. Il regolamento EMAS riveste, pertanto, un ruolo di eccellenza nella gestione dell’ambiente, sia per i contenuti specifici, sia per l’aspetto della comunicazione; questa prevede l’elaborazione e pubblicazione di una Dichiarazione Ambientale convalidata da un verificatore accreditato, come strumento per fornire al pubblico e ad altri soggetti interessati informazioni sull’impatto e sulle prestazioni ambientali dell’organizzazione, nonché sul continuo miglioramento delle prestazioni ambientali. La connessione tra ISO 14000 ed EMAS avviene nell’ambito del Sistema di Gestione ambientale, il quale secondo quanto indicato dalla sezione A del Regolamento EMAS prevede che debba essere attuato in conformità dei requisiti previsti dallo standard EN ISO 14001:1996 (2004). Il SGA deve essere progettato prendendo in considerazione i macro-aspetti di figura 1.1. Attuazione e funzionamento Controlli e azioni correttive MIGLIORAMENTO CONTINUO Pianificazione Riesame della direzione Figura 1.1 Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 94 Il SGA è definito come quella “parte del sistema complessivo di gestione comprendente la struttura organizzativa, le attività di pianificazione, le responsabilità, le pratiche, le procedure, i processi e le risorse per sviluppare, mettere in atto, realizzare, riesaminare e mantenere la politica ambientale”. Attraverso, quindi, un SGA conforme al Reg. EMAS/ISO 14001 l’azienda realizza un processo circolare volto al miglioramento continuo delle proprie prestazioni ambientali attraverso: - pianificazione delle attività, - realizzazione delle attività pianificate, - verifica delle modalità di esecuzione delle attività e valutazione sull’apporto di azioni correttive, - analisi delle prestazioni ambientali raggiunte con lo svolgimento delle attività pianificate e definizione, attraverso la nuova pianificazione, di nuove azioni volte al miglioramento continuo. Requisiti Contenuti POLITICA AMBIENTALE Definizione Pianificazione Aspetti ambientali Prescrizioni legali e altre Obiettivi e traguardi Programma/i di gestione ambientale Attuazione e funzionamento Struttura e responsabilità Formazione, sensibilizzazione e competenze Comunicazione Documentazione del Sistema di Gestione Ambientale Controllo della documentazione Controllo Operativo Preparazione alle emergenze e risposta Controlli e azioni correttive Sorveglianza e misurazioni Non-conformità, azioni correttive e preventive Registrazioni Audit del Sistema di gestione Ambientale Riesame della direzione Revisione 3.4.4 La nuova norma 14001:2004 La norma, pubblicata per la prima volta nel 1996, è stata di recente revisionata e, dal 15 novembre 2004, è in vigore la nuova edizione. E' previsto un periodo di transizione, per coloro che sono in possesso della certificazione, per adeguarsi alla edizione 2004 della Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 95 norma. Le differenze sostanziali tra la norma pubblicata nel 1996 ed il suo aggiornamento del 2004, possono essere riassunte in sintesi come di seguito: UNI EN ISO 14001-1996 UNI EN ISO 14001-2004 4.1 Requisiti generali 4.1 Requisiti generali • Miglioramento continuo del SGA • Definire il campo di applicazione del SGA 4.3.1 Aspetti ambientali 4.3.1 Aspetti ambientali • Considerare gli sviluppi nuovi o pianificati di attività, prodotti e servizi 4.3.2 Prescrizioni legali e altre 4.3.2 Prescrizioni legali e altre prescrizioni • Determinare come le prescrizioni si applicano ai propri aspetti ambientali • Tenerle in considerazione nello stabilire e attuare il SGA 4.3.3 Obiettivi e traguardi 4.3.3 Obiettivi, traguardi e programmi 4.3.4 Programmi di Gestione Ambientale 4.4.1 Struttura e responsabilità 4.4.2 Formazione, competenze 4.4.1 Risorse, ruoli, responsabilità e autorità sensibilizzazione e 4.4.2 Competenza, formazione e consapevolezza • Estendere al personale che opera per conto dell'organizzazione • (Conservare le registrazioni) 4.4.4 Documentazione del SGA 4.4.4 Documentazione Puntualizzare che comprende: • Politica, obiettivi e traguardi ambientali • Descrizione del campo di applicazione del SGA • Descrizione dei principali elementi del SGA e delle loro interrelazioni e riferimenti a documenti correlati • Documenti e registrazioni richiesti dalla norma • Quelli ritenuti necessari per un'efficace pianificazione, attuazione e controllo dei processi relativi agli aspetti ambientali significativi Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 96 UNI EN ISO 14001-1996 UNI EN ISO 14001-2004 4.4.5 Controllo della documentazione 4.4.5 Controllo dei documenti • (Approvare i documenti prima dell'emissione) • Identificare e gestire in forma controllata i documenti di origine esterna ritenuti necessari per pianificare, attuare e controllare. 4.4.7 Preparazione alle emergenze e risposta 4.4.7 Preparazione e risposta alle emergenze • Rispondere alle emergenze reali - 4.5.2 Valutazione del rispetto delle prescrizioni • Conservare le registrazioni delle valutazioni periodiche di conformità alle prescrizioni legali o sottoscritte. 4.5.3 Non-conformità e azioni correttive e azioni preventive 4.5.2 Non-conformità e azioni correttive e preventive Puntualizzare che comprende: • Identificazione e correzione delle non conformità e azioni per mitigare gli impatti ambientali • Esame delle non conformità, determinazione delle cause e azioni per evitare il ripetersi • Valutare se necessarie azioni per prevenire le non conformità • (Registrare i risultati delle azioni correttive e preventive) • Riesaminare l'efficacia delle azioni correttive e preventive 4.5.3 Registrazioni 4.5.4 Controllo delle registrazioni 4.5.4 Audit del sistema di gestione ambientale 4.5.5 Audit interno Specificare: • Responsabilità e requisiti per pianificare, condurre e registrare gli audit • Criteri, campo di applicazione, metodologia degli audit frequenza e La selezione degli auditor e la conduzione degli audit deve assicurare obiettività e imparzialità Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 97 UNI EN ISO 14001-1996 UNI EN ISO 14001-2004 4.6 Riesame della direzione 4.6 Riesame della direzione Gli elementi in ingresso devono comprendere: • I risultati degli audit interni e delle valutazioni sul rispetto delle prescrizioni legali e sottoscritte • Le comunicazioni provenienti dalle parti interessate, compresi i reclami • Le prestazioni ambientali dell'organizzazione • Il grado di raggiungimento degli obiettivi e traguardi • Lo stato delle azioni correttive e preventive • Lo stato di avanzamento delle azioni previste dai precedenti riesami della direzione • I cambiamenti di situazioni circostanti, compresi quelli alle prescrizioni legali e sottoscritte • Le raccomandazioni per il miglioramento Gli elementi in uscita devono comprendere, coerentemente con l'impegno al miglioramento continuo, tutte le decisioni e azioni relative a possibili modifiche di: • Politica, obiettivi e traguardi ambientali • Altri elementi del SGA 3.4.5 Campi di Applicazione del Regolamento EMAS La linea guida recepita nell’ambito della decisione della Commissione del 7 settembre 2001 (2001/681/CE), ha preso in esame differenti casi, prevedendo, per ciascuno di questi, una specifica descrizione del tipo di organizzazione identificabile: - Organizzazioni che operano in un unico sito - Organizzazioni più piccole che operano all’interno di un sito più grande - Organizzazioni che operano in più siti con prodotti e servizi identici o simili, con prodotti e servizi diversi. - Organizzazioni per le quali non è possibile definire adeguatamente un sito specifico - Organizzazioni che controllano siti temporanei - Organizzazioni indipendenti da registrare come un’organizzazione comune - Piccole imprese che operano un grande territorio determinato e producono prodotti o servizi identici o simili - Autorità locali e istituzioni governative. Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 98 Ai fini del presente documento risultano molto interessanti almeno due casi. Il primo è il caso delle organizzazioni indipendenti operanti in un’area limitata, ma che hanno anche funzioni e campi d’azione diversi, nonché differenti e specifiche amministrazioni. Questi soggetti possono desiderare di mettere in comune le loro risorse per chiedere ed ottenere una registrazione comune EMAS. In tal caso, devono mettersi nelle condizioni di dimostrare di avere una comune responsabilità per la gestione degli aspetti e degli impatti ambientali significativi; inoltre, di aver raggiunto accordi definiti relativi agli obiettivi di miglioramento ambientale relativi all’intera area occupata dalle imprese. E’ importante sottolineare come, in questi casi, il logo EMAS può essere utilizzato solo dall’organizzazione che ha raggiunto la registrazione e, quindi, solo in connessione con l’area industriale in quanto tale, e non con le singole imprese in essa operanti. Di conseguenza, i criteri che presiedono ad una registrazione di un’area industriale possono essere individuati nella compatibilità delle politiche ambientali delle singole imprese con quella concordata per l’intera area, una comune responsabilità nella gestione ambientale dell’area, con perdita della registrazione se anche solo un’impresa non è più nelle condizioni richieste dal regolamento. Il secondo caso, analogo ma non simile, è quello che contempla la situazione di piccole imprese in un vasto territorio con la stessa produzione. Quando un’area è troppo vasta ed include molte imprese con differenti tipi di produzione, o anche nel caso dei distretti industriali dove sono presenti molte piccole imprese che coesistono con altre che garantiscono i servizi di pubblica utilità, o ancor con la presenza di aree residenziali, diviene necessario incentivare la partecipazione di tutti i soggetti ad un percorso comune. L’attuazione di ciò richiede l’attivazione di un organismo promotore dell’iniziativa, la redazione ed approvazione di uno studio di fattibilità del programma definito, la verifica indipendente della credibilità degli obiettivi ambientali stabiliti ed un’analisi della loro realizzabilità anche dal punto di vista economico. Una volta che questi obiettivi ed i traguardi ambientali siano stati stabiliti e riconosciuti come fattibili e credibili, ciascuna organizzazione che operi nell’area (PMI, servizi pubblici, Autorità Locali, altri operatori, ecc.) può dotarsi di un proprio Sistema di Gestione Ambientale finalizzato al programma di miglioramento ambientale per l’intera area e, quindi, richiedere la registrazione EMAS secondo una procedura semplificata. Al momento della verifica ispettiva, il verificatore dovrà in questo caso, in sostanza, limitarsi a controllare solo lo specifico contributo della singola impresa al programma generale di miglioramento ambientale dell’area, nonché a verificare che il relativo Sistema di Gestione Ambientale e la relativa Dichiarazione Ambientale siano coerenti con la possibilità di perseguimento del predetto programma generale. 3.4.6 Etichette e dichiarazioni ambientali Ecolabel Il regolamento 880/92 CEE (Ecolabel), approvato dal consiglio dei Ministri CEE nel Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 99 febbraio del 1992, sottolinea il carattere di complementarietà dell’Ecolabel rispetto ai marchi ecologici, esistenti e futuri, e la volontà di creare le condizioni per giungere a un marchio di qualità ecologica valido in tutta la Comunità. La comparsa del marchio europeo di qualità ecologica si affianca infatti ad altri marchi nazionali di qualità ambientale, riconosciuti pubblicamente e presenti da alcuni anni, tanto in alcuni paesi della comunità quanto in altre nazioni. La qualità ecologica nei vari paesi viene valutata secondo degli standard i qualità che considerano diversi parametri, a seconda del paese: - Paesi scandinavi: ciclo di vita del prodotto, il contenuto in sostanze pericolose e l’impatto ambientale complessivo - Germania: ciclo di vita, tutti gli aspetti di protezione ambientale, l’usabilità e sicurezza del prodotto. - Giappone: considera che nella produzione del prodotto devono essere applicate misure di prevenzione dall’inquinamento, che lo smaltimento del prodotto, dopo l’uso, deve essere semplice, che il suo uso deve comportare un risparmio energetico o di risorse, che il prodotto deve corrispondere a tutte le normative e standard vigenti sulla qualità e sicurezza, che il suo prezzo non deve essere eccessivamente più elevato di quello di altri prodotti con la stessa funzione. - Canada: Ciclo di vita del prodotto. - In Italia, l’orientamento del Ministero dell’ambiente e del governo è quello di adottare il regolamento CEE 880/92. ”E' uno strumento ad adesione volontaria che viene concesso a quei prodotti e servizi che rispettano criteri ecologici e prestazionali stabiliti a livello europeo. L'ottenimento del marchio costituisce, pertanto, un attestato di eccellenza che viene rilasciato solo a quei prodotti/servizi che hanno un ridotto impatto ambientale. I criteri sono periodicamente sottoposti a revisione e resi più restrittivi, in modo da favorire il miglioramento continuo della qualità ambientale dei prodotti e servizi. I criteri ambientali si applicano a tutti i beni di consumo (eccetto alimenti, bevande, e medicinali) e ai servizi. I criteri sono definiti a livello europeo per gruppi di prodotto/servizio, usando l'approccio "dalla culla alla tomba" (LCA - valutazione del ciclo di vita) che rileva gli impatti dei prodotti sull'ambiente durante tutte le fasi del loro ciclo di vita, iniziando dall'estrazione delle materie prime, dove vengono considerati aspetti volti a qualificare e selezionare i fornitori, passando attraverso i processi di lavorazione, dove sono gli impatti dell'azienda produttrice ad essere controllati, alla distribuzione (incluso l'imballaggio) ed utilizzo, fino allo smaltimento del prodotto a fine vita. ” (www.apat.gov.it). Dichiarazione Ambientale di Prodotto La Dichiarazione Ambientale di Prodotto, meglio nota come EPD (Environmental Product Declaration) è, in sintesi, uno strumento pensato per migliorare la comunicazione ambientale fra produttori, da un lato (business to business), e distributori e consumatori, dall'altro (business to consumers). La EPD, prevista dalle Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 100 politiche ambientali comunitarie, e derivante dalle norme della serie ISO 14020, è fondata sull'esplicito utilizzo della metodologia LCA, cardine attorno a cui ruota la Dichiarazione e fondamento metodologico da cui scaturisce l'oggettività delle informazioni fornite. Pur mantenendo l'attenzione al prodotto, sia esso merce o servizio, le aziende hanno la possibilità di comunicare le proprie strategie e l'impegno ad orientare la produzione nel rispetto dell'ambiente valorizzando il prodotto stesso. 3.5 LA NORMATIVA INTERNAZIONALE L’espansione nell’utilizzo degli strumenti di comunicazione ambientale e il bisogno di regole che consentano di valutare la validità dei marchi di qualità econologica e delle dichiarazioni ambientali hanno spinto l’ISO a sviluppare norme in materia. Tali standard sono compresi nelle norme della serie ISO 14020, ovvero: ISO 14020: Environmental labels and declarations – General principles Questa norma stabilisce le linee guida per lo sviluppo delle etichette e delle dichiarazioni ambientali, e non è stata realizzata con lo scopo di consentire la certificazione e la registrazione.. Ai suoi principi generali sono coerenti tutti gli altri standard della serie, che contengono requisiti specifici rispetto ai diversi programmi di labelling. ISO 14021: Environmental labels and declarations – Self – declared environmental claims (Type II – Environmental Labelling) – Principles and procedures. Questa norma specifica i requisiti per le autodichiarazioni relative a istanze, dichiarazioni, simboli e grafici riguardanti i prodotti. Introduce i termini comunemente usati e le modalità per un loro uso corretto. Descrive inoltre una metodologia di valutazione e verifica dei contenuti ambientali delle autodichiarazioni. ISO 14024: Environmental labels and declarations – Type I – Environmental Labelling) – Principles and procedures. Questa norma riguarda la selezione delle categorie di prodotto, i criteri ambientali per i prodotti e le caratteristiche funzionali dei prodotti nonché le modalità di valutazione e dimostrazione della conformità. Stabilisce anche le procedure di certificazione delle etichette e delle dichiarazioni ambientali. Ecolabels ISO 14025: Environmental labels and declaration – Type III Environmental declarations. Si tratta, in sostanza, di un metodo per rappresentare in modo breve, sintetico e chiaro, i dati essenziali per individuare gli aspetti ambientali rilevanti di un prodotto. (EPD) 3.5.1 LCA - life cycle assessment La Valutazione del Ciclo di Vita (Life cycle assessment) viene definita come un processo per identificare i carichi ambientali associati ad un prodotto, processo o attività, passando dall'estrazione e trasformazione delle materie prime, fabbricazione del prodotto, trasporto e distribuzione, utilizzo, riuso, stoccaggio, riciclaggio, fino alla Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 101 dismissione. La SETAC , Society of Environmental Toxicology and Chemistry1, definisce la LCA come: La valutazione degli aggravi ambientali associati a un prodotto, a un processo o a una attività attraverso l’identificazione e la quantificazione dei materiali, dell’energia utilizzata e dei rifiuti immessi nell’ambiente. La valutazione comprende l’intero ciclo di vita del prodotto, processo o attività, dall’estrazione e lavorazione delle materie prime, alla fabbricazione di componenti e al successivo assemblaggio, al trasporto e alla distribuzione, all’utilizzo, al riciclo, al riuso, allo stoccaggio e allo smaltimento finale. Identifica e valuta anche l’opportunità di realizzare miglioramenti sul prodotto, processo o attività. La stima del ciclo di vita è uno strumento preventivo che consente innanzitutto l’applicazione strategica alla progettazione di nuovi prodotti, processi o servizi, poiché permette di avere accesso alle informazioni ambientali necessarie per individuare i punti di forza e di debolezza e quindi di operare le scelte più opportune per il miglioramento delle prestazioni Una LCA è fondamentalmente una tecnica quantitativa che permette di determinare fattori di ingresso (materia prime, uso di risorse, energia, ecc) e di uscita (consumi energetici, produzione di rifiuti, emissioni inquinanti) dal ciclo di vita di ciascun prodotto valutandone i conseguenti impatti ambientali. Attraverso la realizzazione di una LCA si finiranno allora con l'individuare le fasi e i momenti in cui si concentrano maggiormente le criticità ambientali, i soggetti che dovranno farsene carico (produttore, utilizzatore ecc.) e le informazioni necessarie per realizzare gli interventi di miglioramento. Come riconoscimento della sua validità ed utilità è stata pubblicata tra le norme ISO la 14040, che descrive appunto i criteri generali e la metodologia attraverso cui effettuare un LCA: essa rappresenta un riferimento importante per la diffusione di tali studi in quanto sviluppata e riconosciuta in ambito internazionale all'interno del più vasto corpus di norme (serie ISO 14000) sui sistemi di gestione ambientale. Le norme della serie ISO 14040 Il comitato TC 207 dell’International Standard Organization ha inserito tra le norme della famiglia ISO 14000 anche quelle relative alla stima del ciclo di vita, definite usualmente come le norme della serie 14040, al fine di regolamentare la materia e proporre una metodologia operativa il più riproducibile possibile. A questa famiglia normativa appartengono i seguenti standard: - ISO 14040 – Valutazione del ciclo di vita – Principi e quadro di riferimento - ISO 14041 – Valutazione del ciclo di vita – Definizione dell’obiettivo e del campo di applicazione e analisi dell’inventario 1 Documento edito nel ’93 con titolo Guidelines for LCA: a code of practice. Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 102 - ISO 14042 – Life cycle Assessment – Life Cycle impact assessment ISO 14042 – Life cycle Assessment – Life Cycle impact interpretation ISO 14049 – Life Cycle Assessment – Examples of application of ISO 14041 to goal and scope definition and inventory analysis. Le fasi dell’LCA La procedura in base alla quale condurre una LCA passa attraverso le seguenti quattro fasi: 1. Definizione degli obiettivi (Goal and scope definition) 2. Definizione del bilancio Ambientale (Inventory o LCI) 3. Valutazione degli impatti (Impact Assessment) 4. Analisi dei possibili miglioramenti (Interpretation): ricerca dei legami e punti di contatto con le altre tecniche di gestione ambientale (ISO 14043). Definizione degli obiettivi Nella fase della definizione degli obiettivi vengono evidenziate: le motivazioni per effettuare lo studio tra cui per esempio le opzioni di miglioramento delle criticità eventualmente riscontrate. E' prevista l'individuazione ed analisi di scenari ottimali di gestione del fine vita con lo scopo di ottimizzarne gli aspetti ambientali, tenendo conto di considerazioni economiche e delle esperienza in atto. Inoltre, può costituire ulteriore motivazione l'utilizzo dei risultati dello studio come punto di partenza per valutare l’applicabilità dei criteri di Ecolabel o operare una Dichiarazione Ambientale di Prodotto. - le applicazioni previste - i destinatari dello studio Definizione del bilancio Ambientale (Inventory o LCI) La fase di Inventory necessita del reperimento dei dati relativi alle quantità di energia e di materiali che costituiscono gli ingressi e le uscite in tutto il ciclo di vita del prodotto fra cui per esempio: - Elenco materiali e pesi dei componenti - Consumi energetici termici ed elettrici, (compresa la quota di uffici, magazzini, ecc) attribuibili alla produzione - Consumi idrici - Schema impianti e consumi relativi - Emissioni al camino (composizione, concentrazione ed origine) - Logistica in ingresso e uscita (almeno per i componenti principali): mezzi di trasporto usati, distanza, fattore di carico medio ecc. - Consumi per trasporto interno (muletti, ecc.) - Informazioni su impianto di depurazione acque (tipologia, consumi, acqua trattata, smaltimento dei fanghi) Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 103 - Rifiuti prodotti: categorie, quantità, destino Valutazione degli impatti (Impact Assessment) e Analisi dei possibili miglioramenti (Interpretation) La fase di valutazione degli impatti consente di evidenziare le criticità e da lì il passo successivo conduce alla ricerca delle opzioni di miglioramento tenendo conto: dei costi, della tecnologia disponibili e dei possibili benefici. 3.5.2 Labelling e Life Cycle Assessment E’ già stato segnalato come questi due strumenti presentino l’analogia di orientarsi entrambi verso i prodotti e come sia naturale la loro integrazione. In seno all’UK Ecolabelling Board, l’organismo britannico per lo sviluppo del marchio di qualità ecologica, esiste un’apposita Commissione per l’Eco-Labelling e l’LCA che ha messo a punto una linea guida per l’applicazione del LCA nell’ambito dello schema comunitario per l’ottenimento dell’ECOLABEL. Nella tabella seguente vengono specificati i momenti in cui l’LCA può essere di supporto all’interno di ciascuna fase dell’ECOLABEL. N.° Fase decisionale dell’Ecolabel 1 Fase preliminare (selezione Attività LCA per l’Ecolabel categorie di Nessuna prodotto) 2 Studio di mercato Nessuna 3 Inventario Definizione degli obiettivi/Analisi dell’inventario 4 Valutazione degli impatti ambientali Valutazione degli impatti e proposte per la definizione dei criteri 5 Definizione dei criteri Nessuna 6 Presentazione della proposta alla Commissione Nessuna Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 104 4. INDAGINE 4.1 FINALITÀ ED OBIETTIVI Tra i criteri di definizione delle aree ecologicamente attrezzate è importante rilevare che: 1. la localizzazione e la progettazione devono rispondere a requisiti urbanistici e territoriali determinati dalle caratteristiche e dai vincoli del territorio in cui l’area si inserisce e dalle esigenze ed obiettivi degli attori che nel territorio operano; 2. all’interno dell’area devono essere presenti infrastrutture e servizi comuni progettati e gestiti in modo da massimizzare l’efficienza nell’uso delle risorse da parte delle singole aziende insediate e da minimizzare il loro impatto sull’ambiente circostante. A tal fine le infrastrutture ed i servizi devono essere inseriti in un più ampio Piano di Gestione dell’area industriale, che indichi, sulla base di una specifica analisi della situazione, gli obiettivi da raggiungere e le modalità attraverso le quali ottenerli. L’indagine presso le aree industriali inserite nell’analisi ha avuto, pertanto, quale obiettivo l’individuazione delle caratteristiche della loro gestione, con particolare riferimento alle tematiche ambientali. In particolare, si è voluto appurare quali tecnologie, impianti e procedure operative, con particolare riferimento a quelle comuni, vengano impiegati all’interno delle aree industriali per evitare o minimizzare gli impatti ambientali. Sono inoltre stati indagati gli strumenti di pianificazione territoriale e di controllo delle attività delle aree industriali posti in essere dagli enti locali di riferimento di tali aree. 4.2 CRITERI PER LA MESSA A PUNTO DEI QUESTIONARI È stato deciso di effettuare l’indagine attraverso la somministrazione di due questionari, in modo da poter disporre di uno strumento omogeneo per la raccolta delle informazioni nelle diverse aree analizzate. I questionari riguardano l’analisi delle tecnologie, impianti e procedure operative, con particolare riferimento a quelle comuni, impiegati all’interno delle aree industriali per Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 105 evitare o minimizzare gli impatti ambientali, e gli strumenti di pianificazione territoriale e di controllo delle attività delle aree industriali posti in essere dagli enti locali di riferimento. Entrambi gli strumenti sono sviluppati sia attraverso domande a risposta multipla che attraverso domande a risposta aperta Sono stati individuati quali destinatari dei questionari, i soggetto gestori delle aree industriali, in considerazione del fatto che la loro presenza e le modalità che attuano nella gestione delle diverse tematiche all’interno del territorio è un ulteriore criterio di individuazione delle aree ecologicamente attrezzate, ed anche per aumentare, con la presenza di un interlocutore chiaramente individuato all’interno dell’area, le possibilità di risposta positiva. Il primo questionario si suddivide in 13 sezioni più una scheda preliminare dell’area. La scheda indaga le caratteristiche generali dell’area e delle aziende quali: • l’estensione dell’area industriale • il numero di aziende presenti • la tipologia delle aziende • il numero complessivo di dipendenti nell’area • i dati di produzione per tipologia d’imprese • la presenza di un sistema di gestione ambientale comune • la presenza di figure di riferimento per diversi ambiti di intervento • la presenza di problematiche ambientali di particolare rilevanza. Le successive sezioni indagano la realtà dell’area secondo le seguenti tematiche d’intervento: a) aria b) acqua c) rifiuti d) risorse energetiche e) rumore f) trasporti g) tutela del paesaggio h) procedure comuni Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 106 i) azioni comuni presso le pubbliche amministrazioni j) riduzione del consumo di risorse k) utilizzo di tecnologie avanzate l) suolo e sottosuolo Il secondo questionario affronta gli strumenti pianificazione e controllo messi in atto dagli enti locali nei confronti delle aree industriali ed i rapporti di collaborazione e convenzione con enti e organizzazioni per la realizzazione di progetti a favore dell’area. Si sviluppa attraverso 16 domande, suddivise a loro volta in ulteriori quesiti a specificazione della risposta principale. 4.3 CRITERI DI SCELTA DEI DESTINATARI Nel campione individuato per l’analisi sono state prioritariamente inserite le 8 aree industriali partner nel progetto SIAM e che saranno successivamente oggetto della sperimentazione del modello di area industriale sostenibile. Il campione è poi stato completato inserendo nell’analisi alcune aree industriali che soddisfacessero i seguenti criteri: 1. esistenza di un soggetto gestore dell’area; 2. distribuzione delle aree sul territorio italiano. La presenza di un soggetto gestore all’interno dell’area è stata ritenuta una caratteristica importante. Tale condizione, infatti, rispetta un elemento che tutte le leggi regionali sin qui emanate individuano come prioritario, e individua allo stesso tempo un interlocutore con cui rapportarsi per la raccolta dei dati necessari all’analisi, aumentando le possibilità di risposta. Per l’individuazione delle aree non inserite nel progetto SIAM ci si è avvalsi anche della collaborazione di FICEI, la Federazione Italiana dei Consorzi Industriali, che ha informato i circa 60 consorzi associati delle finalità del progetto in corso. Le aree inserite nell’analisi sono gestite principalmente da Consorzi per lo Sviluppo Industriale (disciplinati dalla L. 634/1957, L 64/1986, L 317/1991), che hanno lo scopo Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 107 di promuovere le condizioni necessarie per la creazione e lo sviluppo di attività produttive nel settore dell’industria attraverso: • l’ottimizzazione dell’offerta di infrastrutture e di suoli; • la migliore ubicazione e locazione delle imprese secondo le esigenze; • l’offerta di servizi alle imprese; • la difesa ed il controllo ambientale. L’area del Macrolotto di Prato invece, è gestita da CONSER, una società cooperativa consortile a responsabilità limitata che ha quali soci le aziende stesse. La situazione economica, industriale ed infrastrutturale dell’Italia si presenta in modo eterogeneo sul territorio. Il nord del Paese è stato caratterizzato da una forte industrializzazione nei decenni scorsi, soprattutto con la nascita di piccole e medie imprese. Nel sud Italia, invece, l’industrializzazione è stata frenata a causa di una concomitanza di fattori economico-sociali. Per tali ragioni si è ritenuto opportuno inserire nell’indagine aree industriali localizzate in diverse parti del territorio italiano, che potessero fornire un quadro complessivo della realtà delle aree industriali nel nostro Paese. 4.4 INVIO E RESTITUZIONE DEI QUESTIONARI 4.4.1 Elenco destinatari Aree partner del progetto SIAM • area industriale di Mongrando • area industriale di Padova • area industriale di Arquà Polesine/Villamarzana (RO) • macrolotto industriale di Prato • area industriale di Frosinone • area industriale di Rieti – Cittaducale • area industriale della Maiella (CH) • area industriale di Molfetta. Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 108 Aree non inserite nel progetto SIAM • area industriale Ponte Rosso (PN) • are industriale Monfalcone (GO) • area industriale Udine • area industriale Aussa-Corno (UD) • area industriale di Trieste (TS) • area industriale Jesi (AN) • are industriale Ancona (AN) • area industriale Corinaldo (AN) • area industriale Ostra (AN) • area industriale Avellino • area industriale di Trapani • area industriale Ferrara • area industriale Ostellato • area industriale Crotone • area industriale Potenza • area industriale Reggio Calabria • area industriale di Matera Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 109 Rappresentazione delle aree industriali a cui sono stati inviati i questionari Le aree partner nel progetto SIAM sono segnate in rosso Le aree non inserite nel progetto SIAM sono segnate in verde 4.4.2 Questionari compilati e rinviati A fronte di 25 aree a cui sono stati somministrati i questionari per l’analisi, sono stati raccolti 16 questionari compilati per quanto riguarda l’analisi delle tecnologie, impianti e procedure operative, con particolare riferimento a quelle comuni, impiegati all’interno delle aree industriali per evitare o minimizzare gli impatti ambientali, mentre si è avuto un minor riscontro (10 questionari restituiti) per quanto riguarda gli strumenti pianificazione e controllo messi in atto dagli enti locali nei confronti delle aree Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 110 industriali. Elenco Questionari Tecnologie Ricevuti • area industriale di Mongrando • area industriale di Padova • area industriale di Arquà Polesine/Villamarzana (RO) • macrolotto industriale di Prato • area industriale di Frosinone • area industriale di Rieti – Cittaducale • area industriale di Molfetta. • are industriale Monfalcone (GO) • area industriale Udine • area industriale Aussa-Corno (UD) • area industriale Jesi (AN) • are industriale Ancona (AN) • area industriale Corinaldo (AN) • area industriale Ostra (AN) • area industriale di Potenza • area industriale di Trapani Elenco Questionari sugli strumenti di pianificazione ricevuti • area industriale di Mongrando • area industriale di Padova • area industriale di Arquà Polesine/Villamarzana (RO) • macrolotto industriale di Prato • area industriale di Rieti – Cittaducale • area industriale di Molfetta. • are industriale Monfalcone (GO) • area industriale Udine • area industriale Aussa-Corno (UD) • area industriale di Trapani Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 111 Alcuni questionari sono stati rinviati direttamente via e-mail compilati, per altri sono state fatte delle interviste dirette presso l’ente gestore. In alcuni casi si è provato a ricontattare i consorzi per poter avere maggiori informazioni sulle risposte fornite ma ciò non ha inciso sulla completezza delle risposte poiché le informazioni non erano in possesso del gestore. Si può evidenziare inoltre che non si è riscontrata una sostanziale differenza nella completezza delle risposte tra i questionari ritornati via mail dai destinatari e quelli compilati in loco dai partner del progetto. Nel caso dell’area di Molfetta, si è provveduto ad un’ulteriore analisi presso le aziende per la raccolta di alcuni dati mancanti. Anche tale approfondimento non ha modificato in modo sostanziale la qualità dei dati raccolti. 4.4.3 Elaborazione dei risultati Una prima considerazione da farsi, riguarda il grado di risposta ai quesiti posti: le risposte risultano essere talvolta molto precise e puntuali, talaltra molto vaghe o del tutto assenti. In linea generale si ha un discreto riscontro nel quadro complessivo dei questionari, con un numero maggiore di questionari pervenuti riguardanti le tecnologie rispetto alle informazioni fornite sulla pianificazione territoriale. A fronte di domande spesso a risposta chiusa con possibilità di specifiche in successivi punti a risposta aperta, si sono avute un numero soddisfacente di risposte nei quesiti chiusi, raramente supportati da integrazioni a tali asserzioni richieste dai quesiti a risposta aperta. Il parametro che si è scelto di utilizzare è la “prestazione ambientale”, ovvero una percentuale ricavata attraverso le risposte positive rispetto a un totale di risposte predefinito. Il totale delle risposte è stato scelto tenendo conto delle caratteristiche più significative per ogni tematica (acqua, aria, rifiuti…), riportate nelle domande relative nei questionari. E’ sembrato inoltre opportuno procedere all’elaborazione non utilizzando dei pesi diversi per ogni risultanza, in quanto tale assunzione implica indirettamente una prevalenza di una caratteristica ambientale su un’altra; assunzione peraltro difficilmente giustificabile di fronte alla necessità di avere una serie di parametri descrittivi della totalità degli aspetti impattanti sull’ambiente relativi a un’area industriale. Si è quindi proceduto alla semplice media dei risultati totali ottenuti, derivati da una serie di schede relative a ogni area industriale indagata. Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 112 La disomogeneità della quantità e della qualità dei dati ha comportato semplificazioni nelle modalità di elaborazione dei dati contenuti e ha consentito un approfondimento solo parziale delle tecnologie attualmente sviluppate e applicate all’interno delle aree industriali indagate. Si riporta l’analisi delle risposte fornite per singola tematica: Aria Si No Emissioni significative 7 9 Abbattimento emissioni 2 14 Rete fissa di monitoraggio 6 10 Parziale A fronte di 7 realtà in cui sono state individuate emissioni significative, solamente in 2 aree avviene un abbattimento delle emissioni e solo nel caso del consorzio di Rieti sono specificate le modalità con cui tale abbattimento avviene (ciclone, filtri a maniche, carboni attivi). In 6 aree sono presenti delle reti fisse di monitoraggio; tali reti, e la rispettiva azione di rilevamento però, non sono gestite dall’ente gestore, che nella maggior parte dei casi, non è in possesso dei dati rilevati, ma dalle Aziende Regionali competenti. Si presenta di seguito il grafico delle prestazioni ambientali relative all’aria nelle diverse aree: Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 113 Prestazioni ambientali - Aria 100% 100% 90% 80% 70% 60% 50% 50% 50% 50% 50% 50% 50% 40% 30% 20% 10% Z. R ie ti - Acqua Si No Esistenza depurazione 10 6 Pre-trattamento privato 2 4 10 Acque di prima pioggia 4 6 6 Rete idrica per usi non potabili 10 6 Rete fognaria 16 Parziale La tematica acqua risulta essere quella affrontata in modo più completo all’interno delle aree; ciò è determinato probabilmente dalla più organica legislazione vigente in merito agli scarichi e più in generale alla qualità delle acque. La rete fognaria risulta sempre presente all’interno delle aree indagate, supportata da impianti di depurazione talvolta esclusivi, talaltra a servizio dell’intero territorio. E’ da sottolineare che dei 10 depuratori dichiarati, non tutti sono ad uso esclusivo dell’area e gestiti direttamente, e risulta pertanto difficile ottenere informazioni complete circa le loro caratteristiche. Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 I.U .U di ne itt a Tr ap an i 0% du ca le at o 0% Pr te nz a 0% Po O st ra 0% C M on fa lc on e M on gr an do ol fe tta 0% M si Je Fr os in on e or in al do C 0% Au ss aC or no 0% Ar qu à -V illa m An co na I.P . Z. 0% ar za na 0% 0% 114 Si riportano di seguito le informazioni dei gestori: • ZIU: depurazione primaria con una linea acque e una linea a fanghi • ZIP: depuratore comunale, depurazione primaria a trattamento chimico-fisico • Aussa-Corno: depurazione primaria, con trattamento chimico fisico biologico • Ancona: depurazione comunale • Corinaldo: depurazione primaria, monoblocco sedimentatore-ossidatore e vasca di contatto • Jesi: depuratore comunale, con depurazione primaria, secondaria, terziaria e fitodepurazione • Ostra: depurazione primaria, monoblocco ad ossidazione totale • Potenza: depurazione secondaria a fanghi attivi con riutilizzo delle acque in parte industriale, secondari ossidativi, terziari a sabbia a gravità • Frosinone: 2 impianti di depurazione primaria chimico-fisico biologico e un impianto terziario di recupero delle acque con osmosi inversa a sabbia e carboni attivi • Rieti: primaria a fanghi attivi Gli impianti di pre-trattamento, così come le strutture per le acque di prima pioggia, solo in pochi casi risultato a sevizio esclusivo dell’area, ma è significativo il fatto che tali operazioni vengano svolte piuttosto in forma privata presso le singole aziende. Le acque di prima pioggia sono prevalentemente trattate con disoleatori privati. In dieci aree sono presenti reti idriche per usi non potabili, ma non si hanno dati circa le loro caratteristiche. Si presenta di seguito il grafico delle prestazioni ambientali relative all’acqua nelle diverse aree: Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 115 Prestazioni ambientali - Acqua 100% 100% 90% 80% 80% 80% 80% 70% 60% 60% 60% 60% 60% 60% 50% 40% 40% 40% 40% 40% 30% 20% 20% 20% 20% 10% Z. R ie ti - Rifiuti Si No Esistenza impianto specifico recupero rifiuti 2 14 Smaltimento/riciclo 4 12 Termodistruzione 3 13 Area di stoccaggio esclusiva 1 15 Parziale Altro Come si evidenzia dalle risposte ottenute, il trattamento dei rifiuti è fatto da aziende specializzate. Non si hanno indicazioni riguardo ad impianti di recupero dei rifiuti esclusivamente dedicati all’area. La termodistruzione, ove presente, non è gestita Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 I.U .U di ne Tr ap an i du ca le at o itt a te nz a Po st ra O Pr C M on fa lc on e M on gr an do ol fe tta M si Je Fr os in on e or in al do C ss aC or no ar za na Au Ar qu à -V illa m An co na Z. I.P . 0% 116 direttamente dal gestore dell’area, ma da soggetti privati o aziende del settore. In un solo caso l’area è dotata di un’area di stoccaggio esclusiva. Si presenta di seguito il grafico delle prestazioni ambientali relative ai rifiuti nelle diverse aree: Prestazioni ambientali - Rifiuti 100% 90% 80% 70% 60% 50% 50% 50% 50% 40% 30% 25% 25% 25% 25% 20% 10% Z. Risorse Energetiche Si No Esistenza impianto di cogeneraz. 3 13 Investimenti su energie alternative 3 13 Teleriscaldamento Parziale 16 Altro Dai dati rilevati risulta che la gestione delle tematiche energetiche avviene principalmente secondo usi tradizionali. Alcuni interventi circoscritti sono stati attuati nelle seguenti aree: • Monfalcone: impianto fotovoltaico con potenza di picco 10+20kW e producibilità annua 36000kW/anno con allacciamento in rete in bassa tensione. • Aussa-Corno: un tetto fotovoltaico Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 I.U .U di ne Tr ap an i itt a Pr at du ca le o 0% R ie ti - Po te nz a 0% C M 0% st ra 0% O 0% on fa lc on e M on gr an do ol fe tta 0% M Je si Fr os in on e or in al do C ss a -C or no 0% Ar qu à -V illa m ar za na 0% Au I.P . Z. An co na 0% 0% 117 • Frosinone: impianti di cogenerazione aziendali nonché centrali termiche aziendali • Rieti: impianto di cogenerazione consortile con biogas come combustibile e produzione di energia elettrica, installata 260 kW, a fronte di una richiesta energetica stimata di 20MW/anno. • Trapani: impianti di cogenerazione aziendali e rete a metano attiva; investimenti per energia eolica e fotovoltaica per illuminazione dell’area. • Prato: è stata effettuata una ricognizione degli impianti (centrali aziendali) determinando un fabbisogno di 80 GW/anno Si presenta di seguito il grafico delle prestazioni ambientali relative alle risorse energetiche nelle diverse aree: Prestazioni ambientali - Risorse energetiche 100% 90% 80% 70% 60% 50% 50% 50% 40% 30% 25% 25% 25% 25% 20% 10% Z. Rumore Si Mappatura acustica Strutture per l’abbattimento acustico No Parziale 16 5 11 Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 I.U .U di ne Tr ap an i itt a Pr at o du ca le 0% R ie ti - Po te nz a 0% C M 0% O st ra 0% on fa lc on e M on gr an do 0% M ol fe tta Je si Fr os in on e C ar za Au illa m 0% Ar qu à -V 0% or in al do 0% na ss aC or no 0% An co na 0% Z. I .P . 0% 118 Allo stato attuale non risulta sia stata eseguita la mappatura acustica in nessuna delle aree in esame. Tuttavia 5 aree hanno effettuato degli interventi per la limitazione dell’inquinamento acustico, in particolar modo attraverso la piantumazione di quinte di alberi ad alto fusto o la creazione di fasce alberate di adeguato spessore. La zona industriale di Aussa-Corno ha provveduto all’installazione di cabine insonorizzate, pannelli e barriere anti-rumore. Si presenta di seguito il grafico delle prestazioni ambientali relative al rumore nelle diverse aree: Prestazioni ambientali - Rumore 100% 90% 80% 70% 60% 50% 50% 50% 50% 50% 50% 40% 30% 20% 10% Z. R ie ti - Trasporti Si No Esistenza raccordo ferroviario 10 6 Intermodalità fluvio-marittima 2 14 Mobility manager 3 13 Parziale Altro La tematica dell’intermodalità risulta ben sviluppata per quanto riguarda l’integrazione Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 I.U .U di ne at C itt a 0% Tr ap an i 0% du ca le o 0% Pr te nz Po O a 0% st ra 0% on fa lc on e M on gr an do 0% M M ol fe tta 0% Je si Fr os in on e C ss a -C or no or in al do 0% Ar qu à -V illa m ar za na 0% Au I.P . Z. 0% An co na 0% 0% 119 tra il trasporto merci su gomma e su rotaia: infatti in 10 delle 16 aree esaminate è presente un raccordo ferroviario. Per quanto riguarda l’intermodalità fluvio-marittima, questa risulta più limitata poiché vincolata dalle caratteristiche geomorfologiche del territorio. La tematica della specifica pianificazione dei trasporti all’interno dell’area risulta, invece, scarsamente sviluppata, dal momento che solo 3 aree possono contare sulla presenza di un mobility manager. Si presenta di seguito il grafico delle prestazioni ambientali relative ai trasporti nelle diverse aree: Prestazioni ambientali - Trasporti 100% 90% 80% 67% 70% 67% 67% 67% 60% 50% 40% 33% 33% 33% 33% 33% 33% 33% 30% 20% 10% Z. R ie ti - Tutela del Paesaggio Presenza di aree verdi Si No 11 5 Parziale La tutela del paesaggio risulta legata al solo parametro quantitativo della presenza di aree verdi, in funzione degli standard a verde previsti dagli strumenti urbanistici. Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 I.U .U di ne Tr ap an i du ca le o at itt a a te nz Po O Pr C M 0% st ra 0% on fa lc on e M on gr an do ol fe tta M Je si Fr os in on e C Au ss a -C or no ar za na 0% Ar qu à -V illa m An co na I.P . Z. 0% or in al do 0% 0% 120 Procedure Comuni Procedure Consortili Si No 10 6 Parziale Il quadro d’insieme delle procedure consortili attuate all’interno delle aree risulta molto frammentato e legato alle specificità e criticità di ogni singola area. L’attività prevalente risulta essere legata alla formazione di carattere ambientale, senza tuttavia fornire particolari indicazioni. Azioni comuni con la Pubblica Amministrazione Azioni intraprese o in programma Si No 7 9 Parziale Le azioni comuni con la Pubblica Amministrazione in atto sono principalmente orientate alla realizzazione di progetti specifici all’interno dell’area. Riduzione dei Consumi di Risorse Si No Riutilizzo degli scarti produttivi 16 Riutilizzo energetico 16 Altro 3 Parziale 13 Il riutilizzo a scopo di recupero o di produzione energetica coinvolge direttamente le singole aziende , risultando perciò di difficile applicazione a livello di area. Vi sono esperienze a livello di telecontrollo della pubblica illuminazione (Rieti) e di riciclo delle acque nel ciclo produttivo tessile (Prato). Si presenta di seguito il grafico delle prestazioni ambientali relative alla riduzione dei consumi delle risorse nelle diverse aree: Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 121 Prestazioni ambientali - Riduzione del consumo delle risorse 100% 90% 80% 70% 60% 50% 40% 33% 33% 33% 30% 20% 10% Utilizzo di Tecnologie Avanzate Si No Nel comparto produttivo 3 13 Abbattimento/controllo carichi inquinanti 2 14 Altro Parziale 16 Anche l’implementazione nel ciclo produttivo di tecnologie avanzate risulta di competenza delle singole aziende, per questo motivo raramente i soggetti gestori dell’area sono a conoscenza di tali tecnologie. Si presenta di seguito il grafico delle prestazioni ambientali relative all’utilizzo di tecnologie avanzate nelle diverse aree: Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 0% Z. I.U .U di ne Tr ap an i R ie t i- C itt a du ca le to 0% Pr a en za 0% Po t st ra 0% O on gr an do 0% M M on f M 0% al co ne 0% ol fe tta 0% Je si no -C or sa 0% C or in al do Fr os in on e 0% Au s illa m ar za na 0% Ar qu à -V Z. I.P 0% An co na 0% . 0% 122 Prestazioni ambientali - Tecnologie avanzate 100% 90% 80% 67% 70% 60% 50% 40% 33% 33% 33% 30% 20% 10% Z. Suolo e sottosuolo Si No Procedure di controllo e monitoraggio 3 13 Controllo di qualità delle acque 3 13 Siti da bonificare: bonifica programmata 3 13 Parziale La gestione degli interventi di controllo e di bonifica del suolo e del sottosuolo, laddove presenti, sono gestite dalle Agenzie Regionali competenti. Si presenta di seguito il grafico delle prestazioni ambientali relative al suolo e al sottosuolo nelle diverse aree: Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 I.U .U di ne at itt a Pr Tr ap an i 0% du ca le o 0% R ie ti - Po te nz a 0% C M 0% st ra 0% O 0% on fa lc on e M on gr an do ol fe tta 0% M Je si 0% Fr os in on e or in al do C ss a -C or no 0% Ar qu à -V illa m ar za na 0% Au I.P . Z. 0% An co na 0% 0% 123 Prestazioni ambientali - Suolo e sottosuolo 100% 100% 100% 90% 80% 67% 70% 60% 50% 40% 33% 33% 30% 20% 10% 4.5 Z. R ie ti - CONCLUSIONI L’analisi delle informazioni riportate nei questionari raccolti evidenzia come le diverse tematiche ambientali siano gestite in modo indipendente da diversi soggetti competenti e non rientrino all’interno di un Piano di Gestione dell’area complessivo. Questa situazione comporta l’impossibilità da parte del gestore dell’area di poter disporre dei dati relativi ai fabbisogni dell’area e alle caratteristiche specifiche e prestazionali delle infrastrutture e dei servizi comuni relative alle diverse aree di intervento. Diventa pertanto impossibile valutare l’adeguatezza delle infrastrutture e dei servizi presenti nella aree, rispetto alle effettive necessità. La prestazioni ambientali all’interno delle diverse aree, devono poi essere valutate tenendo presente la fase di sviluppo dell’area. Dall’analisi risulta, infatti, che le aree che raggiungono prestazioni migliori sono aree in completamento, e quindi con una gestione più consolidata del territorio ed una variabilità minore dei cambiamenti derivanti dagli Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 I.U .U di ne at itt a C Tr ap an i 0% du ca le o 0% Pr te nz a 0% Po O st ra 0% M M 0% on fa lc on e M on gr an do 0% ol fe tta 0% Je si 0% Fr os in on e or in al do C ss a -C or no 0% Ar qu à -V illa m ar za na 0% Au I.P . Z. An co na 0% 0% 124 insediamenti, mentre le aree in espansione, o in fase di realizzazione, si attestano su prestazioni ambientali inferiori che potrebbero però essere soggette a maggiori evoluzioni con l’espansione dell’area. In particolar modo si segnalano l’area di Arquà Polesine/Villamarzana, un’area attualmente in fase di realizzazione per la quale alcune infrastrutture non sono ancora state pianificate, e l’area industriale di Mongrando per la quale, la attuale presenza di sole 2 aziende non giustifica l’attivazione di infrastrutture e servizi specifici che potranno invece essere previsti successivamente all’insediamento di un maggior numero di imprese. Procedendo ad un’analisi delle tecnologie utilizzate nelle aree industriali italiane, una prima considerazione da farsi riguarda la concentrazione dei dati, numerosi nell’ambito del trattamento delle acque rispetto a quelli disponibili per le altre tematiche ambientali. Per quel che riguarda le acque, i dati sono presenti in modo quasi sistematico per ogni questionario e denotano un buon approfondimento tecnico, almeno in termini descrittivi, indice di una buona conoscenza del processo e delle tecnologie esistenti nell’area. Le tecniche utilizzate per ridurre il carico inquinante sono molteplici e diverse per ogni area, sia per la fase depurativa primaria, sia per la secondaria e terziaria. La tematica delle emissioni in atmosfera risulta accompagnata da un minor numero di dati: tale mancanza è probabilmente dovuta al fatto che tali tecnologie sono impiegate direttamente dalle aziende al loro interno, dovendosi differenziare a seconda delle diverse tipologie di produzione, rendendo più complessa una loro valutazione. Per quanto riguarda i rifiuti, si nota come sia ancora non consolidata la pratica di riciclo per il riutilizzo delle cosiddette “materie prime secondarie” in ambito d’area industriale; spesso i rifiuti risultano essere gestiti da aziende municipalizzate secondo un piano complessivo per il territorio. Gli impianti segnalati, di cui peraltro non si hanno specifiche tecniche, riguardano la sola termodistruzione. Per quanto riguarda le risorse energetiche, si può notare una diffusa metanizzazione degli impianti industriali. Tale scelta è determinata in modo sostanziale dall’economicità di tale risorsa e dalla facilità di approvvigionamento. Risultano invece ancora scarsamente utilizzate fonti di energia rinnovabile e ciò è probabilmente dovuto, oltre ad una complessità tecnica per la produzione, ai notevoli costi correlati rispetto Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 125 all’efficacia delle attuali tecnologie. Un altro ambito d’intervento interessante risulta quello della mobilità, che inizia ad essere oggetto di studio soprattutto nell’ottimizzazione dei percorsi e dei tempi di percorrenza. È importante rilevare inoltre le prime esperienze di car-sharing per lo spostamento dei dipendenti all’interno delle aree e l’impiego di mezzi di trasporto a basso impatto ambientale. Si riportano negli allegati 2.1 e 2.2 copia dei questionari distribuiti per l’analisi. I questionari compilati saranno consultabili presso il capo progetto. Progetto Life Ambiente 524/04 SIAM Rapporto finale Task 2.1 126