www.judicium.it
Massimo Vaccari
Media-conciliazione e funzione conciliativa del giudice
1. Media conciliazione e conciliazione giudiziale: due metodi di a.d.r tra loro alternativi o
concorrenti ? 2. La funzione conciliativa del giudice nel processo ordinario dopo la novella
n.69/2009. 3. La funzione sanzionatoria del giudice dopo il d.l.212/2011. 4. Note critiche sulla c.d.
mediazione delegata dal giudice. 5. Conclusioni
1.Media conciliazione e conciliazione giudiziale: due metodi di a.d.r tra loro alternativi o
concorrenti ?
Con il d.lgs. 28/2010 il legislatore ha chiaramente dimostrato di riporre un particolare
affidamento nella “mediazione volta alla conciliazione” come strumento di deflazione del
contenzioso.
Una simile aspettativa traspare sia dalla scelta di configurare il nuovo istituto come condizione di
procedibilità per un ampio spettro di controversie, sia dalla previsione di una pluralità di tipi di
mediazione attivabili dalle parti (oltre alla mediazione prevista quale condizione di procedibilità,
sono possibili quella obbligatoria per accordo tra le parti, nell’ambito della quale può farsi
rientrare la mediazione delegata o sollecitata dal giudice ai sensi dell’art. 5 comma 2° del d. lgs.
28/2010, e quella facoltativa, contemplata dall’art. 21) sia, infine, dalla previsione di meccanismi
processuali, anche di tipo sanzionatorio, (si pensi ai disposti dell’art. 8 ultimo comma e dell’art.
13), volti a favorire l’effettiva partecipazione al procedimento di mediazione nonché il
raggiungimento di accordi conciliativi nel corso di esso.
Questa predilezione per i metodi stragiudiziali di risoluzione alternativa delle controversie, alla
quale, inevitabilmente, fa da pendant una devalutazione della funzione conciliativa del giudice
non è nuova. Essa, infatti, si inserisce a pieno titolo in un movimento che, come è stato notato2, è
in atto da qualche anno ed è stato favorito da alcuni fattori3 che possono rendere problematico
1
E’ bene precisare che nella relazione governativa al d.lgs. 28/2010 la mediazione delegata viene, in realtà,
indicata come un tipo di mediazione facoltativa.
2
L. BREGGIA, Il tentativo di conciliazione e l’imparzialità del giudice, in Giur. merito, 2008, p.571.
3
Alcuni autori, come quello citato nella nota precedente, hanno individuato tali ostacoli nei problemi di tempo e
nelle carenze di formazione dei magistrati e avvocati in ordine alla funzione conciliativa che possono assolvere, altri,
come S. CHIARLONI, (Prime riflessioni sullo schema di decreto legislativo di attuazione della delega in materia di
1
www.judicium.it
l’effettivo svolgimento della funzione conciliativa che il codice di rito riconosce al giudice
istruttore4.
Tale atteggiamento non appare, però, del tutto coerente con quello che lo stesso legislatore ha
palesato, nello stesso periodo di tempo in cui metteva a punto il d. lgs. 28/2010, in alcuni interventi
normativi che sono stati diretti a rafforzare il ruolo conciliativo del giudice. Basti pensare alle
significative modifiche agli artt. 410 e ss. e 420 c.p.c. introdotte dall’art. 31 della l. 04 novembre
2010 n.183 (c.d. collegato lavoro) riassumibili, in estrema sintesi, nell’abbandono, pressoché
generalizzato 5 , dell’obbligatorietà del tentativo di conciliazione pregiudiziale davanti alle
commissioni provinciali del lavoro e nella contemporanea esaltazione del potere-dovere del giudice
del lavoro di, non solo tentare, ma anche proporre la conciliazione tra le parti6 .
Un analogo intervento, anche se meno esplicito, è stato compiuto sull’art. 91, 1° comma, c.p.c.
dalla legge n.69/2009 il cui art. 60, come è noto, contiene anche la delega al Governo per
l’emanazione del d.lgs. 28/2010.
A fronte dell’indubbia interferenza che, in tal modo, si è venuta a creare tra mediaconciliazione, da un lato, e tentativo di conciliazione giudiziale, dall’altro, occorre verificare se tali
forme di a.d.r, che presentano, indubbiamente, caratteri distintivi propri7, si pongano tra loro in un
rapporto di alternatività. o, piuttosto, di concorrenza e, in questa seconda ipotesi, se esistano norme
o momenti processuali che rendano più proficuo il ricorso all’uno piuttosto che all’altro8.
Per rispondere a tali interrogativi è opportuno delineare compiutamente il ruolo conciliativo
del giudice alla luce delle succitate modifiche normative.
mediazione ex art. 60 legge n.69/2009, in www.ilcaso.it), nella durata eccessiva dei giudizi che renderebbe poco
probabile il successo del tentativo di conciliazione nel giudizio.
4
Fu proprio la valutazione sulla scarsa frequenza di un effettivo e proficuo esperimento del tentativo di
conciliazione nella prima udienza del giudizio di cognizione ordinario che determinò il legislatore a renderlo da
obbligatorio a facoltativo (la modifica risale all’art. 1, comma 1°, l. 28 dicembre 2005 n. 263).
5
L’obbligo del preventivo esperimento del tentativo di conciliazione davanti alla commissione di conciliazione è
stato mantenuto per le sole controversie aventi ad oggetto la certificazione dei contratti di lavoro previste dal d.lgs.
n.276/2003.
6
Ci si riferisce alla modifica del primo comma dell’art. 420 c.p.c., che risulta ora del seguente tenore (in grassetto
le parti aggiunte o modificate): “Nell’udienza fissata per la discussione il giudice interroga liberamente le parti presenti,
tenta la conciliazione della lite e formula alle parti una proposta transattiva. La mancata comparizione personale
delle parti, o il rifiuto della proposta transattiva del giudice, senza giustificato motivo costituiscono comportamento
valutabile dal giudice ai fini del giudizio”. Per un commento alla norma si veda: F. GARRI, L’udienza di discussione: il
ruolo del giudice “conciliatore” e il novum della proposta transattiva, in Quest. Giust., 2010, pp. 149-159.
7
Sui caratteri distintivi della mediazione e della conciliazione si veda: C. PUNZI, Mediazione e conciliazione, Riv.
dir. proc., 2009, pp. 845 ss.
8
C. GRAZIOSI, La nuova figura del giudice tra riforme processuali, moduli organizzativi e protocolli di udienza,
in www.judicium.it , che reputa che l’utilità del tentativo di conciliazione endoprocessuale nella fase di apertura del
processo, già ridottasi a seguito della sua trasformazione da obbligatorio a facoltativo, sia destinata a diminuire
ulteriormente dopo la diffusione della mediazione obbligatoria.
2
www.judicium.it
2. La funzione conciliativa del giudice nel processo ordinario dopo la novella n.69/2009.
Con riguardo alla modifica del primo comma dell’art. 91 c.p.c ad opera della L.69/2009 dubbi
sono stati sollevati da una parte della dottrina9 riguardo alla possibilità che sia il giudice istruttore,
di sua iniziativa, a proporre alle parti una soluzione conciliativa della causa, sul presupposto che
tale iniziativa costituirebbe una indebita anticipazione di giudizio, e, quindi, non sarebbe del tutto
compatibile con il suo ruolo di imparzialità. Altri autori, invece, non vedono ostacoli alla possibilità
che il giudice istruttore formuli delle proposte conciliative nel corso del giudizio10.
È bene chiarire che, sotto il profilo pratico, la problematica è meno rilevante di quanto sembri
poiché, nel momento in cui una delle parti accettasse la proposta proveniente dal giudice, la farebbe
propria, così da consentire comunque di dar luogo al meccanismo sanzionatorio previsto dalla
norma in esame (è evidente che, nel caso in cui nessuna delle parti addivenga alla soluzione
conciliativa prospettata dal giudice, non si ponga un problema di una sua applicazione).
La questione merita, però, di essere affrontata sotto il profilo teorico perché ne involge una,
più generale, relativa al ruolo del giudice nel processo civile.
Innanzitutto, sotto il profilo letterale, l’ampiezza dell’espressione utilizzata dall’art. 91 c.p.c. è
tale da consentire di ricomprendervi anche la proposta proveniente dal giudice istruttore11.
Tale lettura risulta, poi, in linea con il chiaro orientamento manifestato, anche di recente, dal
legislatore a favore di un atteggiamento molto più intraprendente del giudice in funzione
conciliativa.
Basti pensare alla previsione, già citata, dell’16, comma 2°, d. lgs. n. 5/2003, la cui
introduzione era stata commentata positivamente da una parte della dottrina,12 o a quella, ancor più
9
L. P. COMOGLIO, La durata ragionevole del processo e le forme alternative di tutela, in Riv. dir. proc. 2007, pp.599-602.
Nell’articolo si dà conto del dibattito giurisprudenziale e dottrinale sulla questione della compatibilità tra il ruolo di
‘conciliatore’ e la funzione del ‘giudicare’ e su quella, strettamente connessa, dell’individuazione dei limiti entro i quali sia
compatibile con il dovere di imparzialità, l’eventualità che il giudice stesso, nel corso di un tentativo di conciliazione, indichi
alle parti proprie proposte transattive. Anche secondo F. CUOMO ULLOA, La Conciliazione. Modelli di composizione dei conflitti,
Padova, 2008, p.306, nt. 416, i suggerimenti di possibili soluzioni conciliative da parte del conciliatore/giudice potrebbero
essere intesi come anticipazioni dell’esito della causa. G. SCARSELLI, invece, (Le modifiche in tema di spese, in Foro it., 2009, V, p.
261), evidenzia il rischio che il giudice sia indotto ad utilizzare questo istituto per risolvere in maniera sbrigativa la
controversia.
10
I. PAGNI, La riforma del processo civile: la dialettica tra giudice e le parti (e i loro difensori) nel nuovo processo di primo grado, in
Corr. giur., 2009, p.1320; D. POTETTI, Novità della l. n.69 del 2009 in tema di spese di causa e responsabilità aggravata, in Giur. merito,
2010, p. 938; D. DALFINO Mediazione, conciliazione e rapporti con il processo, in Foro It., 2010, V, c.105.
11
Il disegno di legge c.d. Mastella (dal nome dell’allora Ministro della Giustizia che lo aveva proposto), era stato più
esplicito al riguardo poiché conteneva una proposta di modifica del primo comma dell’art. 185 c.p.c. del seguente tenore:
«Quando tenta la conciliazione della lite il giudice indica alle parti le ipotesi conciliative che ritiene opportuno formulare.
Ciascuna parte è tenuta a specificare a quali condizioni è disposta a conciliare la controversia».
12
A. BRIGUGLIO, in La riforma delle società. Il processo, a cura di B. SASSANI, sub art. 16, Torino, 2004, pp. 165-167, 2003,
aveva, opportunamente, osservato, con riguardo alla proposta conciliativa del collegio, che: «se formulata con sobrietà ed al
momento in cui la vicenda è pressoché matura per la definizione tranchante […] risulta, da un lato, particolarmente efficace,
3
www.judicium.it
significativa, dell’art. 2378, comma 4, c.c., introdotto dal d. lgs. n. 6/2003 (Riforma organica della
disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n.
366), che attribuisce un potere assai penetrante al giudice designato per la trattazione dell’istanza di
sospensione della delibera assembleare di s.p.a, quale quello di suggerire, a fini conciliativi, le
modificazioni da apportare alla deliberazione impugnata.
A fronte di tale contesto normativo l’abrogazione dell’art. 16, comma 2°, d. lgs. n. 5/2003 non
può certo essere intesa come una sorta di ripensamento, anche perché tale sorte ha riguardato tutto il
rito societario.
A ben, vedere invece, proprio il riferimento, presente nell’art. 91 c.p.c., ad una proposta di
origine non precisata e il mantenimento dell’art. 2378, comma 4°, c.c., sono due dati che inducono a
ritenere che il legislatore abbia voluto estendere la propria opzione sul ruolo di proponente la
conciliazione del giudice istruttore anche al processo ordinario.
Un ulteriore, e ancor più decisivo, argomento a favore di quanto si sta dicendo è rinvenibile
nella recentissima modifica dell’art. 420, comma 1°, c.p.c., ad opera dell’art. 31 della l. 183/2010,
in base alla quale il giudice, nel corso del tentativo di conciliazione, formula alle parti una proposta
transattiva13 e tiene conto del rifiuto di essa, senza giustificato motivo, «ai fini della decisione»14.
Infatti non vi sono ragioni che giustifichino una limitazione delle facoltà del giudice, volte a
favorire la conciliazione, nel processo ordinario rispetto a quello del lavoro, non potendo essa
dipendere, nemmeno, dalla differente natura del tentativo di conciliazione che venga esperito nei
due riti (obbligatorio nel processo del lavoro e, dopo le novelle del 2005, facoltativo in quello
ordinario).
Peraltro alla conclusione qui esposta sul ruolo propositivo che il giudice può assumere era
possibile giungere, anche in mancanza di norme specifiche, già sulla base di un’attenta
considerazione della funzione che egli svolge nell’ambito del tentativo di conciliazione di cui agli
artt. 183 e 185 c.p.c. e che, va subito detto, non rischia di comprometterne l’imparzialità.
d’altro lato non induce anticipazioni indebite più di quanto non facciano l’invito del relatore ad illustrare particolari aspetti
della controversia nelle conclusionali, o le risoluzioni, nel decreto, circa l’ammissione dei mezzi di prova.»
13
Il tenore letterale della norma depone per l’obbligatorietà dell’iniziativa del giudice anche se alla sua eventuale
omissione non viene ricollegata nessuna conseguenza.
14
La nuova versione della norma ricollega al rifiuto della proposta transattiva del giudice la stessa conseguenza che,
nel testo previgente, era prevista per la sola mancata comparizione all’udienza di discussione, stabilendo che esso costituisca
«comportamento valutabile dal giudice ai fini della decisione». Questa espressione consente, ad avviso di chi scrive, di
attribuire rilievo al rifiuto della proposta transattiva non solo ai fini della regolamentazione delle spese di lite ma anche, a
differenza di quanto accade nel giudizio civile ordinario, quale argomento di prova. Se così è riesce difficile individuare la
ragione di questa diversità di disciplina rispetto al giudizio ordinario, nonché di quella relativa alla misura della condanna alle
spese per la parte che ha rifiutato la proposta conciliativa (è evidente, infatti, che nel processo del lavoro essa non è
sottoposta ai limiti quantitativi dell’art. 91, 1 comma, c.p.c.).
4
www.judicium.it
Proprio questi aspetti sono stati ben chiariti dal Tribunale di Verbania in un’ordinanza del 10
aprile 2004 15 , con la quale, nella vigenza della disciplina che prevedeva l’obbligatorietà
dell’esperimento del tentativo di conciliazione, venne rigettata un’istanza di ricusazione che era
stata proposta, ex art. 51 c.p.c., nei confronti di un giudice istruttore che aveva formulato una
proposta conciliativa alle parti16. Nella puntuale motivazione del provvedimento si legge: «in linea
generale spetta al Giudice istruttore il potere di sottoporre alle parti proposte di conciliazione della
causa, potere fondato nel disposto degli artt. 183 e 185 c.p.c. Il tentativo di conciliazione delle parti,
che il Giudice deve obbligatoriamente effettuare all’udienza di prima trattazione della causa e che
può facoltativamente rinnovare in ogni altra fase del processo, altro non è che la sottoposizione alle
parti di ipotesi di definizione bonaria della causa. Ne consegue che l’attività conciliativa del
Giudice, lungi dal potersi considerare indebita manifestazione del convincimento sui fatti della
causa, costituisce un doveroso esercizio di poteri stabiliti dalla legge. Deve poi rilevarsi che la
proposta conciliativa fatta dal Giudice non contiene una valutazione dei fatti di causa, che possa
qualificarsi come un’anticipazione del giudizio e non può certo pregiudicare la decisione della
causa».
In dottrina mi pare che abbia colto esattamente il ruolo del giudice nella conciliazione
giudiziale chi ha osservato che egli «cumula una natura promiscua: quella di mediatore dell’accordo
conciliativo, contenente la regolamentazione transattiva della lite, e quello di titolare del potere di
decisione della controversia, in caso di fallimento della conciliazione»17. Se poi, come ha affermato
lo stesso autore, «il giudice non deve premere per la conciliazione, ma deve certamente
promuoverla», si comprende come egli, nell’ambito del tentativo di conciliazione, ben possa essere
l’autore di una proposta conciliativa che, per essere degna di considerazione, non può prescindere
da un attento studio della controversia e, al tempo stesso, da una prognosi su tempi e modi di
svolgimento del giudizio e, spesso, anche sull’esito di esso.
15
L’ordinanza è leggibile per esteso nella sezione giurisprudenza civile del sito dell’Ordine degli avvocati di quella
città (www.ordineavvocativerbania.it).
16
Nel caso esaminato dal Tribunale piemontese l’istanza di ricusazione si fondava sulla duplice circostanza che la
proposta di conciliazione era stata avanzata contestualmente al rigetto delle istanze istruttorie delle parti e consisteva
nell’accoglimento della pretesa di una delle parti con la compensazione delle spese di lite.
17
A. SCARPA, Corr. merito, 2010, p. 905. Lo stesso autore giudica infondate le«diffuse resistenze di carattere ideologico
e arretratezze di natura culturale, che paventano il rischio di indebite anticipazioni del convincimento del giudice, rilevanti
come motivo di astensione, ogni qual volta il giudice stesso, nel dirigere il tentativo di conciliazione, o anche nel decidere
motivatamente sulle istanze di tipo anticipatorio o sulla ammissibilità e rilevanza dei mezzi di prova, esprima le sue
valutazioni preventive sull’esito della lite» e ritiene che le predette occasioni siano piuttosto «espressione del principio di
collaborazione del giudice con le parti, e in quanto tali non possono mai pregiudicare l’esito del giudizio».
5
www.judicium.it
Peraltro è bene chiarire che tale valutazione viene compiuta allo stato degli atti e quindi, se
viene formulata in una fase iniziale del giudizio, è suscettibile di essere sempre rivista in seguito,
sulla base delle acquisizioni istruttorie e delle argomentazioni dei difensori delle parti.
D’altro canto il giudice deve comunque considerare, caso per caso, se, pur a fronte della
manifestazione di una disponibilità conciliativa delle parti, sia opportuno formalizzare, con le
modalità di cui si è detto, una proposta conciliativa giacché, qualora essa risultasse conveniente per
solo una, o alcune, di esse, queste molto difficilmente considereranno soluzioni transattive diverse.
Il giudice, pertanto, ben potrà acquisire dalle parti, o dai loro procuratori, le informazioni utili ad
orientarlo sul punto e, sulla base di esse, optare, in alternativa alla proposta formale, per delle
indicazioni, sempre idonee a favorire la conciliazione, informali o di massima.
Se si condivide il quadro, sin qui delineato, delle ampie facoltà che l’attuale disciplina
codicistica attribuisce al giudice conciliatore non si dovrebbe avere difficoltà a riconoscere che egli,
nel caso in cui, alla prima udienza, rilevi il mancato esperimento della mediazione obbligatoria,
prima di rinviare la causa per consentire che si realizzi la condizione di procedibilità, possa valutare,
soprattutto attraverso il confronto con i difensori, la sussistenza di concrete possibilità conciliative.
Qualora detta verifica dovesse avere riscontro positivo il giudice potrebbe e dovrebbe tentare la
conciliazione fissando a tal fine udienza ai sensi dell’art. 185 c.p.c., che, come è noto, costituisce
prosecuzione di quella ex art. 183 c.p.c. e, solo in caso di esito negativo di tale intermezzo,
dovrebbe fissare l’udienza ai sensi dell’art. 5 comma 1° del d.lgs. 28/2010. Tale modo di procedere
costituisce, a ben vedere, piena esplicazione di quei poteri di direzione, “intesi al più sollecito e
leale svolgimento del procedimento”, che l’art. 175 c.p.c. riconosce al giudice istruttore e, per di più,
consente di appurare se la parte che abbia sollevato l’eccezione di improcedibilità della domanda sia
animata da un effettivo intento conciliativo, anziché dilatorio, e di scongiurare, quindi,
comportamenti poco conformi con il dovere di lealtà e probità.
Si noti poi che nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo, non ancora provvisoriamente
esecutivo, la possibilità di un esito positivo del tentativo di conciliazione può essere resa ancor
più concreta dalla prospettiva per le parti di evitare in tal modo la pronuncia sull’immancabile
istanza di concessione della provvisoria esecuzione.
Ancora va evidenziato come il giudice istruttore potrebbe procedere in modo analogo a quello
sopra visto anche nel caso in cui, dopo l’esperimento infruttuoso della mediazione, ravvisi
possibilità conciliative prima insondate18.
18
Tale eventualità è menzionata espressamente anche nella parte della relazione governativa al d. lgs. 28/2010
dedicata all’illustrazione dell’istituto della mediazione delegata.
6
www.judicium.it
3. La funzione sanzionatoria del giudice dopo il d.l.212/2011
Può rappresentare un ostacolo al concreto assolvimento, da parte del giudice istruttore, del
ruolo conciliativo che il codice gli attribuisce la recentissima modifica dell’art. 8 ultimo comma del
d.lgs. 28/2010, introdotta dal d.l.22.12.2011 n.212, che ha configurato per tale organo il poteredovere di condannare, già in prima udienza, la parte rimasta assente davanti al mediatore, senza
giustificato motivo, ad una sanzione pecuniaria. Il giudice, infatti, potrebbe essere indotto a
concentrarsi sulla verifica dei presupposti per la condanna piuttosto che a valutare l’esistenza di
condizioni per tentare la conciliazione.
Poiché questo intervento è il secondo che ha interessato la disposizione nell’arco di soli otto
mesi, (esempio di una tecnica legislativa di innesto su un testo preesistente sempre più frequente),
prima di esaminarlo nel dettaglio è opportuno ricostruire a ritroso la loro sequenza a cominciare
dalla originaria formulazione della norma19.
Tutti i commentatori avevano osservato, al momento della sua entrata in vigore, come essa, al
pari, invero, dell’art. 13 primo comma, che stabilisce le conseguenze del rifiuto della proposta
conciliativa del mediatore, attribuisse rilievo processuale a scelte o condotte assunte dalle parti
prima e di fuori del processo20.
Secondo parte della dottrina21 la disposizione trovava applicazione nei casi in cui la parte
fosse stata obbligata, per legge (nelle materie in cui la mediazione è prevista come condizione di
procedibilità) o per contratto (ossia nelle ipotesi di cui all’art. 5 comma 5° del d.lgs.28/2010 e di
mediazione delegata), ad attivare il procedimento di mediazione ma non anche all’identica
situazione che si fosse verificata nel corso di una mediazione volontaria. Altro autore 22 aveva
invece ritenuto che rientrassero nell’ambito di applicazione della norma le ipotesi in cui le parti
avessero assunto un obbligo a percorrere la strada della mediazione e aveva invece giudicato
irragionevole, oltre che in contrasto con il parametro dell’art. 24 Cost., una interpretazione estensiva
di essa tale da ricomprendervi anche le ipotesi di mediazione obbligatoria ex lege.
19
“Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può
desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’art. 116 secondo comma, del codice di procedura
civile”.
20
La scelta non è nuova perché era stata già compiuta nell’art. 40 comma 5° del d.lgs. 5/2003 (articolo abrogato
dall’art. 23 del d.lgs. 28/2010), laddove era stato previsto che: “La mancata comparizione di una delle parti e le
posizioni assunte davanti al conciliatore sono valutate dal giudice nell’eventuale successivo giudizio ai fini della
decisione sulle spese processuali, anche ai sensi dell’art. 96 codice di procedura civile”.
21
M. BOVE, La mancata comparizione davanti al mediatore, in Le Società, 2010, pp. 760-761.
22
M. FABIANI, Profili critici del rapporto tra mediazione e processo, in www.judicium.it.
7
www.judicium.it
Tali dubbi interpretativi potevano però ritenersi superati dopo la modifica, introdotta dall’art.
2, comma 35-sexies, del d.l. 138/2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 148/201123, con
cui si era previsto che il giudice condannasse “la parte costituita che, nei casi di cui all’art. 5, non ha
partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello
Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio”24.
Infatti, poiché l’eventualità della condanna alla sanzione pecuniaria era stata limitata ai casi di
mediazione di cui all’art. 5 del d.lgs. 28/2010, la possibilità di attribuire rilievo, ai sensi dell’art. 116
c.p.c., all’assenza innanzi al mediatore, di cui alla prima parte della disposizione, doveva intendersi
riferita a tutte le diverse tipologie di mediazione, ivi compresa, quindi, la mediazione facoltativa25.
La disciplina è stata resa di nuovo più articolata con l’entrata in vigore, il 23.12.2011, del
d.l.22.12.2011 n.212, recante “Disposizioni urgenti in materia di composizione delle crisi da
sovraindebitamento e disciplina del processo civile”, il cui art.12, comma 1° lett. b), ha stabilito
che la condanna alla sanzione sopra citata venga adottata dal giudice d’ufficio, con ordinanza non
impugnabile, alla prima udienza di comparizione delle parti, ovvero all’udienza successiva di cui
all’art. 5 comma 1°26.
In mancanza di una norma transitoria, e dovendosi riconoscere all’art. 8 natura processuale,
quantomeno alla parte di esso che colloca in un preciso momento processuale la valutazione del
contegno della parte durante la fase di mediazione, il primo problema che si pone è quello di
stabilire se la nuova norma si applichi ai giudizi per i quali la prima udienza si tenga dopo la sua
entrata in vigore, anche qualora il correlativo procedimento di mediazione si fosse svolto prima di
quel momento, o, piuttosto, ai giudizi rispetto ai quali il corrispondente procedimento di mediazione,
preventivo o successivo all’inizio del giudizio, si svolga dopo quel momento.
23
Si tratta del maximendamento-bis alla manovra economica.
L’articolo, dopo la modifica citata nel testo, era risultato il seguente (in grassetto la parte aggiunta
nell’occasione citata nel testo): “Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione
il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’art. 116 secondo comma, del codice di
procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita, che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al
procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata di bilancio dello stato di una somma di
importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio”.
25
Anche questa soluzione risulta quantomeno inopportuna potendosi prestare ad abusi della parte che, pur non
essendo intenzionata a conciliare, attivi il procedimento di mediazione in una sede lontana da quella di residenza del
convenuto per provocarne così l’assenza e giovarsi nel meccanismo previsto dalla prima parte dell’art. 8 d.lgs. 28/2010.
26
Il testo dell’art. 8 quinto comma d.lgs. 28/2010 risulta ora il seguente (in grassetto le parti aggiunte dal d.l.
212/2011): “Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può
desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’art. 116 secondo comma, del codice di procedura
civile.Con ordinanza non impugnabile pronunciata d’ufficio alla prima udienza di comparizione delle parti,
ovvero all’udienza successiva di cui all’articolo 5 comma 1, il giudice condanna la parte costituita, che, nei casi
previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata di
bilancio dello stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio”.
24
8
www.judicium.it
Quest’ultima è la soluzione da preferirsi poiché consente, sul piano astratto, alla parte
coinvolta nella mediazione di conoscere le conseguenze sanzionatorie della propria eventuale
condotta omissiva (sull’effettiva possibilità per la parte di cogliere tale aspetto si tornerà di qui a
breve).
Tale lettura, peraltro, pare conforme sia al principio fondamentale tempus regit actum, desunto
dalle preleggi (art. 11, comma 1, e 15), che al correlativo divieto di retroattività della legge
processuale che, come ha chiarito un’attenta dottrina27, comporta “l’impossibilità di applicare la
legge sopravvenuta ad atti posti in essere, ossia perfezionatisi nella loro astratta fattispecie, prima
dell’entrata in vigore della legge nuova”, ma anche quella di “associare, a quegli stessi atti,
effetti processuali ed extraprocessuali che essi non avevano in base alla legge del loro tempo”. E’
evidente, infatti, che proprio a questa conseguenza condurrebbe l’opzione interpretativa che
ritenesse che l’assenza in un procedimento di mediazione svoltosi prima dell’entrata in vigore
del d.l.212/2011 ricada nell’ambito di applicazione di tale testo normativo.
Con riguardo all’intervento sull’art. 8 del d.lgs. 28/2010 qui in esame più che fondati dubbi sono
stati sollevati28 in ordine alla sussistenza dei requisiti della necessità ed urgenza idonei a
giustificare l’utilizzo dell’istituto di cui all’art. 77 Cost..
E’ però il contenuto di esso, che è chiaramente diretto a rafforzarne la funzione deterrente, a
destare numerose perplessità .
Innanzitutto il riferimento alla specifica udienza in cui il giudice è chiamato a valutare la
sussistenza della condizione di procedibilità induce a ritenere che la modifica si applichi solo
nell’ipotesi di assenza nel procedimento di mediazione obbligatoria ex lege e che, quindi, esulino
dal suo ambito di applicazione la mediazione obbligatoria ex contractu e quella delegata dal
giudice29. Questa difformità di disciplina, quale conseguenza della diversa fonte dell’obbligo di
attivare la mediazione, pur a fronte dello stesso atteggiamento omissivo, risulta assai poco
giustificabile. A ben vedere non si comprende perché la parte, che non abbia mai manifestato
nessun intenzione di adire la mediazione, nel caso in cui non si presenti davanti al mediatore, debba
subire un trattamento processuale peggiore di quella che abbia invece espresso la propria volontà in
tal senso, in una clausola contrattuale o aderendo all’invito del giudice. Proprio in quest’ultima
ipotesi, invece, la previsione di una sanzione avrebbe potuto essere giustificata perché il
comportamento in esame sarebbe in contrasto con il dovere di leale e probità di cui all’art. 88
c.p.c.30.
27
B. CAPPONI, La legge processuale civile e il tempo del processo , in www.judicium.it.
Si veda sul punto il parere espresso dall’ufficio studi del Consiglio Nazionale Forense sullo schema del decreto
legge (reperibile nel sito di tale organo: www.consiglionazionaleforense.it).
29
M. BOVE, Le sanzioni per la mancata cooperazione in mediazione, in www.judicium.it, p.1, ritiene invece che
la sanzione economica possa operare anche per la mediazione scelta contrattualmente dalle parti o delegata dal giudice.
30
Così M. BOVE, La mancata comparizione…, cit. p.760.
28
9
www.judicium.it
L’ultima modifica dell’art. 8 comporta, per la parte rimasta assente davanti al mediatore, che
si sia poi costituita nel conseguente giudizio31, anche un’insolita anticipazione, rispetto a quella che
è l’ordinaria scansione processuale, degli oneri di allegazione e probatori riguardanti la specifica
circostanza della sua assenza. E’ evidente, infatti, che essa debba allegare la propria giustificazione,
e formulare le relative istanze istruttorie, nel primo atto difensivo con l’ulteriore, insolita,
conseguenza che si potrebbe dover dar luogo ad un incidente istruttorio sul punto ancor prima della
definizione del thema decidendum del giudizio32.
Tale disciplina, oltre a creare un’evidente disarmonia processuale, risulta seriamente limitativa
del diritto di difesa poichè non è stata corredata dalla previsione che la parte intimata sia avvertita,
al momento della convocazione davanti al mediatore, delle conseguenze della sua assenza
ingiustificata33 e, nell’atto di citazione, del termine, che di fatto è perentorio, per il compimento
delle attività processuali sopra citate. Il primo di tali avvisi sarebbe stato ancor più necessario del
secondo se si considera che, non essendovi l’obbligo di avvalersi di un difensore nella fase di
mediazione, la parte che decidesse di non comparire davanti al mediatore facilmente potrebbe non
essere in grado di cogliere le conseguenze di tale sua decisione.
Ancora sfugge il motivo per cui la sanzione sia stata ricollegata, a ben vedere già con la
l.148/2011, al solo fatto della mancata comparizione davanti al mediatore, a prescindere da ogni
considerazione dell’atteggiamento che la parte rimasta assente possa assumere nel corso del
giudizio conseguente, ed in particolare della disponibilità conciliativa che potrebbe palesare in
quella sede, eventualmente anche attraverso la formulazione di una proposta ai sensi dell’art. 91,
primo comma, c.p.c34. Proprio per dar modo al giudice di valutare il contegno complessivo della
parte sarebbe, allora, stata assai più opportuna una disciplina analoga a quella dell’art. 40, comma 5,
del d. lgs. 5/2003, riportata alla nota n.20, secondo cui la medesima condotta omissiva che fosse
31
Come è stato notato (M. BOVE, Le sanzioni…cit., p.3), appare irragionevole la scelta di aver sottratto alla
possibilità di sanzione la parte che non abbia collaborato alla mediazione e neanche al processo e di avervi invece
assoggettato chi, dopo aver scelto di non partecipare alla mediazione, abbia poi deciso di partecipare attivamente al
processo.
32
L’ordinanza di condanna, che viene qualificata espressamente come non impugnabile, non è nemmeno
modificabile o revocabile cosicché, dopo il deposito del primo atto difensivo, non potranno essere avanzate richieste
istruttorie a sostegno dell’allegazione della sussistenza del giustificato motivo di assenza. Questa possibilità va esclusa
anche qualora si ammetta (così M. BOVE, Le sanzioni…cit,, p. 3) che l’ordinanza di condanna al pagamento della
sanzione possa essere adottata dal giudice anche dopo la prima udienza, giacchè le facoltà istruttorie relative alla
circostanza dell’assenza si esauriscono al momento della sua costituzione in giudizio.
33
Si noti come l’art.11, 1° comma, del d.lgs. 28/2010 preveda, invece, il previo avvertimento sulle conseguenze
del rifiuto della proposta conciliativa che il mediatore intenda avanzare.
34
Una simile diversità di contegno tra la fase di mediazione e quella giudiziale potrebbe spiegarsi con la volontà
della parte che lo tenesse di demandare la controversia, per le sue caratteristiche intrinseche, al giudice.
10
www.judicium.it
stata tenuta davanti al conciliatore stragiudiziale era valutata dal giudice “ai fini della decisione
sulle spese processuali”.
La scelta di anticipare alle prime fasi del giudizio la possibilità della condanna alla sanzione
pecuniaria 35 ripropone infine, in maniera più evidente di prima, il problema dell’individuazione
della nozione di “giustificato motivo” di assenza, atteso che la sua indeterminatezza la rende anche
poco funzionale rispetto alla finalità sanzionatoria della norma che avrebbe richiesto
l’individuazione dei motivi di assenza non giustificati36.
4.Note critiche sulla c.d. mediazione delegata dal giudice
Come è noto il secondo comma dell’art. 5 del d.lgs. 28/2010, in conformità all’art. 5 della
direttiva europea, prevede che il giudice, in pendenza del processo e anche in appello, possa invitare
le parti a procedere ad una mediazione della loro controversia.
L’invito, che può essere formulato anche nelle controversie per le quali la mediazione
costituisce condizione di procedibilità, e anche quando essa sia già stata inutilmente esperita prima
del giudizio, allorché il giudice ravvisi nuovi presupposti, utili a favorire l’esito positivo della
mediazione, non è vincolante per le parti; né, d’altra parte, il decreto contempla sanzioni di sorta per
la parte che rifiuti, anche senza giustificato motivo, di aderire alla sollecitazione del giudice.
Qualora invece le parti aderiscano ad esso il giudice deve fissare la successiva udienza ad una
distanza di quattro mesi.
Vale la pena precisare che, alla luce del disposto dell’art. 24 del d.lgs. 28/2010, secondo il
quale: “le disposizioni di cui all’art. 5, comma 1, acquistano efficacia decorsi dodici mesi dalla data
di entrata in vigore del presente decreto e si applicano ai processi successivamente iniziati”, la
mediazione delegata, in quanto disciplinata dal secondo comma dell’art. 5, può essere espletata
anche nei giudizi già in corso al momento dell’entrata in vigore del d.lgs. 28/201037.
L’introduzione generalizzata di questo strumento, che non era del tutto ignoto nel nostro
ordinamento 38 , è stata giudicata positivamente da diversi commentatori che l’hanno considerato
35
L’’utilizzo del verbo indicativo presente fa propendere per l’obbligatorietà della condanna, allorché non sia
dimostrata la sussistenza del giustificato motivo di assenza. Il particolare poi che essa sia disposta dal giudice
officiosamente induce a ritenere che essa abbia natura sanzionatoria. Ciò non toglie che la parte possa sollecitare il
giudice all’esercizio ditale potere-dovere.
36
Per alcuni ipotesi di giustificato motivo di assenza si veda: M. BOVE, La mancata comparizione…, cit.., pp.
761-762.
37
Nei termini riferiti nel testo: E. FABIANI, M. LEO, Prime riflessioni sulla “mediazione finalizzata alla
conciliazione delle controversie civili e commerciali” di cui al d.lgs. 28/2010, in www.judicium.it.
38
Si pensi alla possibilità della mediazione familiare di cui all’art. 155 sexies 2° comma c.c., introdotto dalla
l.54/2006, nel caso in cui il giudice debba adottare provvedimenti sull’affidamento dei figli nel corso dei giudizi di
separazione personale dei coniugi.
11
www.judicium.it
utile a superare i limiti della conciliazione giudiziale, da alcuni individuati nella scarsa propensione
del giudice a tentare la conciliazione e in quella delle parti a scoprirsi di fronte a chi dovrà decidere
la causa, ove il tentativo fallisca39, e da altri nell’inopportuna commistione tra funzioni giudicanti e
funzioni conciliative che tale istituto comporterebbe40, sia pure con riguardo alla disciplina della
conciliazione giudiziale precedente la novella n.69/2009.
Orbene, con riferimento a quest’ultima opinione, valgono le osservazioni critiche che si sono
già esposte al paragrafo 2 di questo scritto.
Se si condivide la ricostruzione del ruolo del giudice istruttore che si è tentato di offrire in
quelle righe è quasi inevitabile ritenere assai remota la possibilità che egli possa delegare a terzi
l’esperimento del tentativo di conciliazione, qualora si avveda, autonomamente o su segnalazione
dei difensori, di una disponibilità conciliativa delle parti, tanto più se si ammette che egli possa
avvalersi a tal fine del nuovo istituto della proposta conciliativa. Non va trascurato poi che, di fronte
ad una simile prospettiva, l’effettivo esperimento del tentativo di conciliazione giudiziale, in
un’apposita udienza 41 , avverrebbe necessariamente in tempi brevi perché, come è possibile
constatare nella prassi, solo così avrebbe delle probabilità di successo.
E’ ancor meno verosimile che il giudice possa essere indotto a delegare la mediazione nei
giudizi che si protraggono da più tempo, come, solitamente, quelli di appello, che pure l’art. 5
comma 2° menziona espressamente, se si considera che, in questo caso, il tempo dedicato alla
mediazione verrebbe computato ai fini della determinazione della ragionevole durata del processo,
secondo quanto è possibile evincere, a contrario, dal disposto dell’art. 7 del d. lgs. 28/201042.
Lo strumento in esame, quindi, non offre nemmeno il vantaggio di ridurre i tempi di
definizione del giudizio.
In dottrina c’è chi ha sostenuto che la sollecitazione del giudice ad espletare la mediazione
potrebbe intervenire nell’ambito di controversie nella quali, avendo le parti già dato mostra di
39
M. BOVE, Mediazione civile: una disciplina poco liberale che richiede una visione legata agli interessi, in
Guida al diritto, n.13/2010, p.12.
40
F. CUOMO ULLOA, La conciliazione modelli di composizione dei conflitti…, cit. p. 305.
41
Al riguardo è opportuno evidenziare che, secondo la prevalente dottrina, il giudice istruttore è addirittura
obbligato a fissare l’udienza ai sensi dell’art. 185 c.p.c in caso di richiesta congiunta delle parti (tra gli altri: G. REALI,
Tentativo di conciliazione, in Cipriani, Monteleone, La riforma del processo civile, Padova, 2007, p.103).
42
S. CHIARLONI, Prime riflessioni sullo schema di decreto legislativo di attuazione della delega in materia di
mediazione ex art. 60 legge n. 69/2009, in www.ilcaso.it, p. 13, critica la scelta di concedere al giudice il potere invitare
le parti a procedere di nuovo alla mediazione quando sia già fallito il primo tentativo, ritenendo più opportuno, nel caso
in cui emergano nuove chances conciliative, il ricorso al tentativo di conciliazione operato dal giudice, con un
considerevole risparmio di tempo sulla durata complessiva del processo. Lo stesso ragionamento però vale nel caso in
cui la prospettiva conciliativa emerga in un giudizio che non sia stato preceduto dalla fase di mediazione.
12
www.judicium.it
disponibilità transattive, la collaborazione di un mediatore professionale, magari specializzato in
una determinata materia, può costituire uno strumento utile e proficuo43.
Questa eventualità presupporrebbe, però, che il giudice potesse nominare direttamente il
mediatore o costringere le parti a rivolgersi ad esso, come accade in altri ordinamenti che
contemplano l’istituto della conciliazione o mediazione delegata.44
Nel nostro ordinamento mancano analoghe previsioni e, d’altro canto, qualora la controversia
implichi la soluzione di questioni tecniche o scientifiche che richiedano l’espletamento della c.t.u. il
giudice può delegare al professionista prescelto anche l’esperimento di un tentativo di conciliazione,
sebbene tale facoltà sia contemplata espressamente solo per la consulenza consistente nell’esame di
documenti contabili e registi (art. 198, comma 1, c.p.c.)
Il rilievo dell’infrequente ricorso alla conciliazione giudiziale, quale ulteriore argomento a
sostegno della prognosi favorevole al successo della mediazione delegata, invece non è
condivisibile nella sua assolutezza.
Infatti se è indubbio che spesso il giudice, per temperamento o formazione culturale, abbia
una certa ritrosia45 a svolgere concretamente un ruolo conciliativo non si dispone di dati oggettivi
che consentano di stabilire quanto questo atteggiamento sia diffuso.
Una verifica sul punto sarebbe invece indispensabile per poter esprimere una valutazione
attendibile al riguardo, specie se si considera che, con riferimento al processo del lavoro, la ragione
del fallimento della fase conciliativa pregiudiziale è stata individuata nella preferenza che le parti,
nell’esperienza pratica, hanno accordato alle capacità di conciliazione del giudice46.
Quanto poi alla caratteristica della riservatezza, tipica della mediazione, essa non costituisce
di per sé un elemento favorente la conciliazione poiché spesso le parti preferiscono affidare anche
l’individuazione della soluzione transattiva della controversia a colui che è deputato a deciderla.
Occorre poi considerare che, per evitare che l’invito a procedere alla mediazione venga
formulato inutilmente, con conseguente perdita di tempo, il giudice dovrà verificare
preventivamente che tutte le parti del giudizio siano disposte ad aderirvi. Ebbene le possibilità che
questo avvenga sono piuttosto rare innanzitutto perché le parti potrebbero non essere d’accordo sul
punto, per mancanza di volontà conciliativa o per indisponibilità a utilizzare lo strumento in esame,
43
L. DITTRICH, Il procedimento di mediazione nel d.lgs. n.28 del 04 marzo 2010, in www.judicium.it.
Si pensi, ad esempio, all’art. 829 del NCPC francese, come modificato dalla riforma del 2003, che prevede che
il giudice possa costringere le parti a partecipare ad almeno un incontro formativo sulla conciliazione. Per un’analisi
approfondita di tale disciplina si veda: F. CUOMO ULLOA, La conciliazione…cit., pp.134-135.
45
A tale proposito è utile rammentare come la relazione governativa al d. lgs.5/2003 indicasse, tra le ragioni che
avevano giustificato l’introduzione della conciliazione stragiudiziale societaria, la “naturale ritrosia del magistrato
giudicante verso la recita di ruoli autenticamente propositivi di soluzioni di bonario componimento”.
46
F. GARRI, op. cit., p.149.
44
13
www.judicium.it
e tale volontà non sarebbe in nessun modo coercibile da parte del giudice 47 . Qualora, invece,
avessero comuni propositi conciliativi, avrebbero la possibilità di attuarli autonomamente secondo
una triplice alternativa: attivando un procedimento di mediazione volontaria, o, sempre in via
stragiudiziale, ma tramite i propri difensori, o, più probabilmente, con l’ausilio del giudice, che già
conosce i fatti di causa e al quale, per questo motivo, esse saranno più facilmente indotte a
demandare la soluzione del loro conflitto.
E’ evidente come la seconda e la terza tra le predette alternative siano maggiormente
vantaggiose della prima per le parti, sia sotto il profilo del contenimento dei tempi di definizione del
giudizio, per le ragioni sopra esposte, sia sotto quello economico, perché la proposizione di una
mediazione nel corso di un giudizio le esporrebbe ad una spesa aggiuntiva rispetto a quelle già
sostenute, senza la garanzia di un risultato utile.
Poiché, come si è visto, i maggiori ostacoli all’applicazione dell’art. 5 comma 2 del d.lgs.
28/2010 sono sia di ordine pratico che di ordine normativo, non deve, né può, sorprendere che,
secondo una rilevazione del Ministero della Giustizia, alla data del 27 ottobre 2011 48 solo una
percentuale minima., pari all’1 %, dei procedimenti di mediazione svoltisi nei primi sei mesi di
applicazione del d.lgs. 28/2010, era stata sollecitata dal giudice.
Con questo non si vuole negare che vi possono essere dei casi che rendono opportuno il
ricorso alla mediazione delegata, anche se essi sono più limitati di quelli a cui, evidentemente, ha
pensato il legislatore. Uno di questi è quello in cui la possibilità di raggiungimento di una
conciliazione dipenda dall’individuazione di soluzioni facilitative49. Un’altra ipotesi a cui si può
pensare è quella del cumulo oggettivo o soggettivo di domande per una sola delle quali la
mediazione è prevista quale condizione di procedibilità50.
A fronte di caratteristiche intrinseche, che ne limitano fortemente l’applicazione, non mi pare
utile ad incentivare il ricorso all’istituto in esame il recentissimo intervento operato dal legislatore
con l’articolo 12, comma 1, lettera a), del d.l. 212/2011 il quale ha aggiunto un nuovo comma (il 6bis, che diviene l’ultimo) all’articolo 5 del d. lgs. 28/2010. Questa modifica stabilisce che il capo
47
Non si può escludere che una parte che, al pari delle altre, abbia dichiarato, di fronte al giudice, la sua iniziale
disponibilità ad accedere alla mediazione, poi, a seguito della convocazione davanti al mediatore, non si presenti. In
questo caso, se si segue l’interpretazione dell’art. 8 quinto comma che si è proposta al paragrafo 3, la conseguenza sarà
che il suo comportamento sarà valutabile ai sensi dell’art. 116 c.p.c., ed eventualmente, anche ai sensi degli artt. 88 e 92
c.p.c.
48
Il dato è riportato in un primo commento, alla novità legislativa citata nel testo, di M. Marinaro, Al giudice la
valutazione sull’assenza delle parti, Guida al diritto, 2011, p.53
49
A questo caso fa riferimento la relazione governativa al d.lgs. 28/2010 nella parte in cui definisce l’ambito di
applicazione della mediazione sollecitata dal giudice.
50
Sull’argomento si veda: G. BATTAGLIA, La nuova mediazione obbligatoria e il processo oggettivamente e
soggettivamente complesso, in Riv. Dir. proc., 2011, pp.127-144.
14
www.judicium.it
dell’ufficio giudiziario, oltre a vigilare sull’applicazione di quanto previsto dal comma 1, “adotti,
anche nell’ambito dell’attività di pianificazione prevista dall’art. 37 comma 1 del d.lgs.98/2011,
ogni iniziativa necessaria a favorire l’espletamento della mediazione su invito del giudice”.
Orbene non si vede quali siano le misure di questo tipo che potrebbe attuare il dirigente se non
quella di una mera raccomandazione ai magistrati in servizio presso il proprio ufficio, che, anche se
venisse recepita, non sortirebbe nessun risultato concreto poiché, come si è detto, l’attivazione del
procedimento presuppone il consenso di tutte le parti e il giudice non dispone di strumenti
processuali per ottenerlo.
5. Conclusioni
L’analisi del quadro normativo di riferimento condotta fin qui consente di rispondere
affermativamente al quesito, che si era posto al primo paragrafo, sulla possibilità di utilizzare la
conciliazione giudiziale come metodo di a.d.r. concorrente con la mediazione.
La pluralità di sistemi conciliativi non costituisce però automatica garanzia di un loro successo,
singolo o congiunto, giacchè questo dipende soprattutto dalle capacità di chi si trovi a svolgere
concretamente le funzioni di mediatore o di conciliatore giudiziale e, in questa prospettiva, occorre
constatare come il fondamentale aspetto della formazione alla conciliazione sia stato trascurato nel
d. lgs. 28/2010 così come lo era già stato con riguardo ai giudici istruttori51.
Il rafforzamento della funzione conciliativa del giudice, per il quale ha optato il legislatore con
la modifica dell’art. 91 c.p.c., per essere completo avrebbe, invece, richiesto anche un intervento sul
piano della formazione, così dei magistrati come anche degli avvocati, che avrebbe costituito anche
un significativo progresso in quel percorso di formazione comune di cui si parla da anni e che è
ancora ai suoi albori. Si noti poi che, con tutta probabilità, per assicurare un adeguato livello di
preparazione a queste figure sarebbe stato sicuramente sufficiente lo stesso numero di ore52 che è
stato destinato alla
formazione dei mediatori, cosicché quell’attività non avrebbe nemmeno
richiesto tempi prolungati né avrebbe comportato spese aggiuntive a carico dello Stato (la
51
L’esigenza che il giudice sia preparato, sul piano psicologico e culturale, ad affrontare il compito di conciliare è
stata rappresentata da L. BREGGIA, Il tentativo di conciliazione e l’imparzialità del giudice, cit., p. 582.
52
Il D.M. 180 del 2010 aveva fissato in cinquanta ore la durata dei corsi di formazione per i mediatori, che si è
palesato subito insufficiente se è vero che, dopo pochi mesi dalla sua entrata in vigore, venne emanato il D.M. 145/2011
che ha stabilito che il regolamento degli organismi di mediazione debba prevedere “criteri inderogabili per
l’assegnazione degli affari di mediazione predeterminati e rispettosi della specifica competenza professionale del
mediatore designato, desunta anche dalla tipologia di laurea universitaria posseduta nonché che i mediatori
partecipino “nel biennio di aggiornamento e in forma di tirocinio assistito, ad almeno venti casi di mediazione svolti
presso organismi iscritti”.
15
www.judicium.it
formazione dei magistrati, infatti, avrebbe potuto essere affidata al Csm e quella degli avvocati ai
relativi consigli dell’ordine) .
A questa misura, sempre in una ottica di incentivazione della conciliazione giudiziale, sarebbe
stato opportuno affiancare la duplice previsione che il dirigente vigilasse sull’esercizio da parte dei
magistrati in servizio presso il proprio ufficio delle funzioni conciliative, sulla falsariga di quanto
ora disposto dal comma 6 bis dell’art. 5 d. lgs. 28/2010 con riguardo alla mediazione delegata, e che
la capacità del singolo magistrato di definire le controversie in via conciliativa divenisse elemento
di cui tener conto ai fini della valutazione di professionalità.
Operando contemporaneamente sotto questi diversi ma concorrenti profili, forse, non vi
sarebbe stata la necessità di introdurre nel nostro ordinamento un ulteriore sistema di conciliazione.
16
Scarica

Media-conciliazione e funzione conciliativa del giudice