La chiesetta di Maria SS. Incoronata di Sulmona, a dispetto delle sue piccole dimensioni, estrinseca una grande storia che, attraverso i suoi cinque secoli di vita, l’ha voluta, all’origine, primo insediamento dei Frati Minori Cappuccini a Sulmona e protagonista, poi, di vicende legate alle più illustri famiglie signorili della città. La chiesetta dell’Incoronata oggi Premessa storica Con la bolla “Ite et Vos” del 29 maggio 1517, il pontefice Leone X, papa Giovanni de’ Medici, constatata l’impossibilità di far convivere Conventuali e Osservanti sotto la stessa Regola e lo stesso Governo, mise in atto la “Bella e Santa Riforma” con la quale fuse tutti i gruppi riformati nell’Ordine dei Frati Minori Osservanti, distinto da quello dei Conventuali. Nel 1525, nelle Marche, il francescano Osservante Matteo da Bascio, desideroso di ritornare al primitivo rigore francescano, lasciò il suo convento di Montefalcone ed ottenne da papa Clemente VII il privilegio personale di vestire un lungo saio di tessuto ruvido come quello di Francesco d'Assisi, di osservare rigidamente la Regola in assoluta povertà, di fare vita eremitica e predicare liberamente. Questo esempio ebbe parecchi seguaci tra i Minori e nacque così una nuova famiglia di frati, quella dei Cappuccini, così chiamati per il loro originale cappuccio appuntito. Dopo un periodo di incerte vicende, la nuova famiglia venne riconosciuta come Ordine autonomo da Clemente VII, papa Giulio Zanobi figlio naturale di Giuliano de’ Medici, con la bolla “Religionis Zelus” del 3 luglio 1528. La riforma cappuccina entrò molto presto nella nostra regione, anche per la prossimità geografica con le Marche, culla dei Cappuccini, e con Roma dove questi furono subito presenti nel 1529, appena un anno dopo il “battesimo” ricevuto con la bolla Religionis zelus. Alla provincia religiosa dei frati minori Cappuccini nell’Abruzzo vanno riconosciuti storicamente due inizi: l’uno di fatto con la fondazione del loro primo convento nel 1540, l’altro di diritto o giuridico con la erezione canonica della stessa provincia nel 1575, quando da appena dodici anni si era chiuso il Concilio di Trento. 2 Il primo convento fu fondato a L’Aquila, in località Torretta, nel mese di marzo 1540 ad opera di padre Matteo Silvestri da Leonessa, il quale in tal senso è ritenuto anche iniziatore della provincia cappuccina dell’Abruzzo. L’inizio di diritto della medesima avvenne, invece, nel 1575 con padre Lorenzo Bellarmino da Montepulciano, inviato dal Ministro generale, padre Girolamo da Montefiore, come suo commissario “negli Abruzzi” per erigervi canonicamente la nuova provincia religiosa già ben piantata. Dopo il primo convento sorto a L'Aquila, infatti, altri ne furono fondati: a Tagliacozzo (1555), a Cicoli (1560), a Celano (1570), ad Avezzano (1570), ad Atri (1570), a Teramo (1573), a Penne e a Lanciano nello stesso anno 1575. La nuova provincia cappuccina fu intitolata a san Bernardino da Siena che, morto a L’Aquila nel 1444, vi è rimasto con le sue spoglie custodite all'interno della basilica che porta il suo nome. Nell’anno 1600 i frati cappuccini in Abruzzo toccavano già il numero di 500. Con i frati, naturalmente, era aumentato anche il numero dei conventi, che alla morte del padre Lorenzo Bellarmino (7 marzo 1601) erano saliti già a 25. Nel corso del Seicento saranno aperti altri 8 conventi. I Cappuccini a Sulmona I Cappuccini giunsero a Sulmona intorno alla fine del XVI secolo e si stabilirono in un sito, allora, molto distante dalla città, ameno e silenzioso in direzione sud alle pendici del colle “Savente” nei pressi di un piccolo oratorio dedicato a San Girolamo. I primi cappuccini furono padre Lorenzo da Montepulciano, Ludovico da Sulmona e Silvestro da Cingoli. L’oratorio, che consisteva in un locale piuttosto rovinato e malsano, fu poi ingrandito di abitazione con materiale derivante dalla diruta chiesa di san Pietro Terrazzano che sorgeva nelle vicinanze e della quale si hanno notizie fino al 1559. Chiesa e convento furono dedicati alla Madonna della Croce, passando presto da una capacità ricettiva di tre frati a ben 15. La costruzione del convento fu finanziata dal barone Pompeo Tabassi, magnanimo nobile sulmonese, il quale lasciò memoria dell’impresa in una cappella attaccata alla chiesa, dove alla metà del Seicento era ancora possibile vedere la sua arma. La data della fondazione del convento è controversa: il 1575 per lo storico Enrico de Mattheis, il 1580 per Egidio Ricotti e Antonino Chiaverini. Nella relazione stilata da due commissari pontifici, frate Agostino da Pianella e frate Benigno da Cicoli, a corredo de “I conventi cappuccini nell’inchiesta del 1650” (trascrizione a cura di Mariano da Alatri, Roma 1984), una specie di censimento dei conventi alla data del 1650, voluta dal pontefice Innocenzo X, è riportato come anno di costruzione il 1580, precisando che tale data è desunta dalla memoria dei più anziani del luogo, non essendoci documenti scritti. Nella stessa relazione così viene descritto il complesso cappuccino: “…il convento di Santa Croce de’ cappuccini, della provincia d’Apruzzo, situato nella città di Sulmona, alle pendici di un colletto distante da essa città un miglio et mezzo, poco più lontano dalla strada pubblica di Napoli in loco campestre rimoto dal selvaggio….fu eretto secondo il modello che s’usa 3 da cappuccini, con celle ventidue, una libraria picciola, un’infermeria, una communità et due altre stanzette da tener lana, con l’officine inferiori, fatto secondo il prescritto della povertà cappuccina, et non più di numero di quelle che da essi si usano. Vi fu poi aggiunto un altro dormitorio, per commodità della famiglia, l’anno 1637, con celle sei et cinque infermarie, et di sotto un refettorio, una cannavetta et un’altra stanzolina a lato, essendosi fatto del refettorio vecchio le stanze della lana, necesarie per l’esercizio del lanificio di tutta la provincia”. Il sito scelto dai Cappuccini per edificare il loro convento era sì ameno e silenzioso ma proprio perché isolato e molto lontano dalla città, fu spesso oggetto di scorribande di briganti e di attacchi di bestie selvatiche in cerca di cibo specie nelle notti d’inverno. Tanto era considerato pericoloso che quando i frati si attardavano in città oltre il calare del sole, preferivano non tornare al convento ma passare la notte nella stanzetta al piano superiore di Porta Napoli, loro offerta dai Padri Celestini proprietari della Porta. All’ennesima scorreria dei briganti, decisero di trasferirsi in località più sicura a qualche centinaio di metri dalle mura della città, poco oltre Porta Pacentrana in “via Alta” ultra Vellam in un sito che la generosità della famiglia Sardi aveva loro predisposto là dove attualmente è la chiesa di San Giovanni Evangelista, precedentemente intitolata a sant’Anastasio. L’8 agosto del 1658, dopo 80 anni, i frati Cappuccini abbandonano definitivamente il sito originario. Da Madonna della Croce a Maria SS. Incoronata Se sconosciuta risulta la data del cambio di intitolazione da Madonna della Croce a Maria SS. Incoronata, la motivazione di tale cambio invece sembra essere il rispetto della devozione che i pastori abruzzesi transumanti in Puglia nutrivano per questa figura, in memoria della famosa apparizione della Madonna al conte di Ariano Irpino nell’anno 1001 nel bosco del Cervaro nel foggiano. Padre Filippo da Tussio nella sua opera “I frati cappuccini della provincia monastica degli Abruzzi” del 1888 così si esprime: “…i pastori trattenuti nelle Puglie a svernare i greggi abbondanti, ricordavano quella misteriosa visione ricevuta dai famigliari del Conte Guevara…portarono una immagine dell’Incoronata di Puglia e ne curarono l’affissione nel tempietto di san Pietro Terrazzano…..” Una volta abbandonato il sito, i frati vendettero il 17 marzo 1659 chiesa e convento a Giovanni Paolo de Letto per 600 ducati. Alla morte di questi, avvenuta il 30 dicembre 1668, subentrò il figlio Camillo il quale, con atto del 14 gennaio 1695, ne fece donazione al barone Domenico Fabrizio Mazzara. Le ragioni di questa improvvisa donazione non sono mai emerse ma per motivi legati a intricate questioni ereditarie risulta che Camillo de Letto con atto del 27 maggio 1697 revocò la donazione e con un nuovo atto la dispose in favore del proprio figlio Paolo de Letto, professo nell’Ordine dei Celestini col nome di padre Bernardo, abate del convento di Celano. Tale operazione, però, non fu bene accolta dal figlio Paolo, ritenendola contraria a quanto disposto in precedenza dal padre. Camillo in seguito ad autorizzazione dei superiori Celestini, distrusse materialmente la donazione in favore del figlio e tornò con un quarto atto, del 17 4 gennaio 1709, alla decisione originaria. La donazione, ancora più inspiegabile della prima, non riguardò però Domenico Fabrizio Mazzara, come era stato disposto anni prima, ma due suoi cugini: i fratelli Michelangelo, abate, e Francesco Andrea Mazzara. Un comportamento a dir poco strano se si considera che Camillo aveva, oltre Paolo, altri due figli: Anna, maritata Giovan Battista Capograssi, e Panfilo. Alla morte dei due fratelli, la proprietà passò ai figli di Francesco Andrea: Camillo e Smeralda. A seguito del devastante terremoto del 1706, la chiesa andò quasi totalmente distrutta ma nel giro di qualche anno fu interamente ricostruita, ampliata e abbellita subendo però una radicale trasformazione che stravolse completamente il tipico modello cappuccino fino ad assumere l’attuale aspetto a croce greca, come testimonia una lapide (fig. 1) conservata al suo interno datata 1718: “Questa chiesa, eretta inizialmente con l’intitolazione alla Beata Maria Vergine Incoronata, danneggiata poi da scotimento della terra, e ricostruita a proprie spese dal signor barone Francesco Andrea Mazzara, patrizio sulmonese, in forma ingrandita e più nobile, infine il figlio, barone signor Camillo, emulando il sentimento religioso di suo padre, abbellì in ogni sua parte, donò e pose sotto la protezione regia. Nell’ano del Signore 1718”. (traduzione dal latino). Questa epigrafe oltre a riferire degli interventi dei baroni Mazzara sulla chiesetta, chiarisce che prima del terremoto del 1706 e quindi prima del definitivo passaggio dai de Letto ai Mazzara la chiesa era già intitolata a Maria Incoronata (…primum erectam…). Si può dunque ritenere con certezza che la nuova intitolazione fosse riconducibile al periodo in cui la chiesa era proprietà della famiglia de Letto. Da allora il culto per quella Madonna si accese rapidamente in larga parte del territorio e in considerazione di tale accrescimento e dei consistenti donativi dei numerosi pellegrini che ivi si recavano, il parroco di S. Maria della Tomba, dietro istigazione dell’allora vescovo Francesco Onofrio Odierna, pretese che la chiesa fosse trasferita sotto la sua 5 giurisdizione. I Mazzara ovviamente si opposero dando origine ad una lite che durò fino al 1732 con vittoria finale in favore di questi ultimi, grazie soprattutto all’interessamento del barone Vincenzo Maria Mazzara, marito e cugino di Smeralda, futuro marchese di Torre dei Passeri, che dall’alto della sua posizione, molto vicina al re Carlo III, seppe smorzare e placare le brame terrene di un vescovo bisbetico e importuno, il peggiore nella storia della diocesi di Valva e Sulmona che finì cacciato in malo modo qualche anno dopo. Camillo Mazzara morì senza figli e la proprietà “Incoronata” seguì gli insigniti dal titolo di marchese: Domenico, figlio di Smeralda e da lui al figlio Vincenzo II Beda, da questi al pronipote Panfilantonio jr. che la tramandò al figlio Vincenzo III il quale la legò alla primogenita Anna (Marianna), maritata Alvaro Colecchi, che se ne disfece vendendola ai fratelli Pasquale e Panfilo Taglieri nel 1959. Oltre alla lapide sopra descritta, altri segni della presenza dei Mazzara nella chiesetta si trovano nello scudo di pietra, ovale e accartocciato, posto all’esterno sopra la porta d’ingresso (fig. 2) e in altri cinque all’interno della chiesa: quattro affrescati nelle vele alla base della cupola; il quinto sul paliotto dell’altare, ovale di stucco (fig. 3 e 4). 6 Al suo interno Il complesso dell’Incoronata, a riprova della sua originaria vocazione a santuario pastorale, non presenta all’interno, come all’esterno, elementi di particolare valore artistico. Quattro tele di arte popolare a carattere devozionale tutte prive di pregi artistici ornano l’altare e le pareti della chiesa. Quella posta sull’altare maggiore, (fig. 5)di autore ignoto, databile tra il XVII e XVIII secolo, rappresenta la Madonna Incoronata, nera, che sovrasta la quercia, ma differisce dall’originale di Foggia, prototipo di tutte le “Madonne Incoronate”, per non avere in braccio il Bambino né il giglio nella mano destra; mancano gli angeli che sorreggono la corona sul capo di Maria; ai piedi della quercia invece del conte e il contadino Sfrazzacappa inginocchiati con la muta dei cani e le mucche genuflesse, vi sono due suorine in adorazione: le beate Alessandrina e Gemma de Letto. Le due suore furono aggiunte in un secondo tempo sulla tela, ad indicare l’antica appartenenza della chiesa alla famiglia de Letto. Alessandrina de Letto nata a Sulmona nel 1385, figlia di Nicola, patrizio sulmonese e Drusiana Capograssi, all’età di 15 anni entrò nel convento di santa Chiara dove rimase per 23 anni insieme alla cugina Margherita Sanità. Nel 1423, in seguito alla cacciata da Sulmona dei Merolini e i Quatrario e famiglie a loro imparentate, tra cui i de Letto, allo scopo di porre fine alle sanguinose lotte tra le due fazioni, le due clarisse trovarono rifugio a L’Aquila insieme ad altre suore tra cui Lisa (Elisabetta), sorella di Alessandrina, Chiara, sorella di Margherita e Gemma, madre di Chiara e Margherita, vedova di Francesco Sanità. Restarono un paio di anni all’Aquila prima di essere trasferite al monastero di santa Lucia in Foligno il 19 luglio 1425 dove Alessandrina fu la prima badessa. Insigne per osservanza monastica, fervida nella preghiera e illustre per carità, morì beata il 3 aprile 1458. Gemma de Letto, moglie di Francesco Sanità (1319-1363), stimatissimo giureconsulto del Regno, nominato Avvocato dei Poveri dalla regina Giovanna d’Angiò, ebbe oltre ai figli maschi Buzio e Giovanni, anche due femmine: Margherita e Chiara le quali emulando la madre, acquisirono anche loro il titolo di beate. Rimasta vedova nel 1363, entrò insieme alla figlia Chiara nelle suore agostiniane del convento di Santa Monica di Sulmona, di cui resta solo il toponimo piazzetta santa Monica. Come la nipote Alessandrina, fu costretta a lasciare Sulmona per recarsi a Foligno presso il convento di santa Lucia e visse là in continua preghiera, contemplazione e penitenza. Sebbene vecchia, nell’esercizio delle opere di pietà superava tutte le altre sorelle. Morì beata il 24 aprile 1435. 7 La seconda tela rappresenta sant’Antonio da Padova con Bambino, (fig. 6) anche questa di scarso valore artistico. Un olio su tela di ignoto del sec. XIX. La terza nell’altare di sinistra rappresenta san Filippo Neri inginocchiato a colloquio col crocifisso mentre riceve la visione di cherubini festanti (fig. 7). Autore ignoto sec. XIX olio su tela, è la peggio conservata delle quattro. Una quarta, (fig. 8) olio su tela sempre di autore ignoto, riprende la scena biblica dell’arcangelo Raffaele che salva Tobia dall’attacco di un pesce. Pur se non eccelsa, rivela in alcuni tratti come nel delicato viso dell’angelo e nel panneggio delle vesti di Tobia una certa finezza di esecuzione. Attualmente la chiesa, meta ancora di pellegrinaggi, è posta sotto la giurisdizione della parrocchia di san Francesco da Paola e il culto e la devozione verso la Madonna dell’Incoronata è ancora molto vivace come testimoniano i numerosi ex voto allineati sulle pareti, storie di disgrazie terminate felicemente per intercessione della Madonna. Carlo Maria d’Este (Centro Regionale Beni Culturali) Appendice Si riportano i nomi dei Guardiani Superiori del convento Santa Maria della Croce: 1620 padre Anselmo da Fossa 1626 padre Cornelio da Sulmona 1636 padre Luca da Raiano 1638 padre Luca da Raiano 8 1649 padre Serafino da Atri (morì Guardiano in atto) 1650 padre Agostino da Pianella 1658 padre Barnaba da Chieti (ultimo guardiano del convento Santa Maria della Croce e primo del convento di San Giovanni Evangelista). Dai manoscritti fotocopiati da Padre Candido Donatelli la cronotassi risulta incompleta perché interrotta dal 1626 per trascuratezza e ripresa nel 1638 quando si celebrò il primo Capitolo dopo il contagio di peste che interessò l’intero Regno di Napoli. Dal 1636 al ’38 non si tennero Capitoli per la suddetta epidemia. Nel 1959, quando la chiesa passò sotto la giurisdizione della Parrocchia di San Francesco da Paola, le sue condizioni, per l’incuria del tempo e l’azione degli agenti atmosferici, erano piuttosto critiche. I vari parroci che si avvicendarono fecero del loro meglio per migliorarla e restaurarla ma ogni intervento non potè che essere parziale. Le varie e reiterate richieste di un intervento globale e radicale presso le autorità statali non ebbero esito felice per mancanza di fondi. Dopo il sisma del 1984, la chiesa fu inserita, grazie all’interessamento del parroco padre Vito Volpe, tra gli edifici danneggiati e si riuscì ad ottenere un finanziamento sufficiente per la ristrutturazione del tetto e della facciata. Ai finanziamenti dello Stato si aggiunsero quelli derivanti dall’aiuto dei fedeli, circa 60 milioni di lire, con i quali fu possibile il rifacimento del pavimento, dell’impianto elettrico e del riscaldamento a metano. I lavori furono curati e progettati dalla Soprintendenza ai BAAAS, diretti dall’ing. Claudio Quartaroli dell’Aquila e i restauri interni dall’ing. Carmelo Pantè di Sulmona. Il quadro della Madonna Incoronata sull’altare maggiore fu restaurato dalla ditta Norma Carnicelli di Pizzoli riportando alla luce lo splendore dei colori originali. Il 30 aprile 1994 fu possibile riaprire ufficialmente la chiesa al culto e alla devozione dei fedeli. BIBLIOGRAFIA e FONTI Antonino Chiaverini, La città fortificata, Sulmona, 1949 Mariano da Alatri (trascrizione di), I conventi cappuccini nell’inchiesta del 1650, Roma 1884 Filippo da Tussio, I frati cappuccini della provincia monastica degli Abruzzi, Sant’Agnello di Sorrento, 1888 Ignazio Di Pietro, Memorie istoriche degli uomini illustri della città di Solmona, 1807 Raffaele Giannantonio, La chiesa di san Giovanni Evangelista a Sulmona, Raiano Graphitype, 2004 Fabio Maiorano, Sulmona dei nobili e degli onorati, Sulmona, 2007 Innocenzo Molinari, Carmine Cucinelli, Piccola storia della chiesa di Maria SS Incoronata, Sulmona, ciclostilato in proprio, 1996 9 Virgilio Orsini, Un convento una città, 1982 Egidio Ricotti, La provincia francescana abruzzese di san Bernardino dei frati minori conventuali: tradizioni, memorie, notizie, Roma, 1937 Francesco Sardi de Letto, La città di Sulmona, Sulmona Circolo Letterario 1979 Angela Emanuela Scandella (a cura di), Ricordanze del monastero di S. Lucia in Foligno (cronache 1424-1786), Assisi, 1987 Luigi Torres, L’immagine di Maria SS dell’Incoronata che si venera nel santuario di Sulmona, in D.A.S.P. supplemento del Bullettino, n.XII, Rosciano, 2005 SITOGRAFIA: www.fraticappuccini.it Postato sul sito della Regione Abruzzo in data 08 ottobre 2014. Tutti i diritti sono riservati. Vietata la riproduzione anche parziale senza l’assenso del CRBC. 10