20/11/2015
Tom & Jerry e la macchina utensile
EDITORIALE
Tom & Jerry e la macchina utensile
Giorgio Vittadini
venerdì 20 novembre 2015
E' un'Italia che non ha perso il "desiderio", controcorrente rispetto alla vulgata che ci vede fermi e viziati.
Un'Italia che riesce ancora ad avere gli "occhi di tigre" contro tutte le tigri della nuova economia globalizzata, ma
anche contro i vecchi leoni della concorrenza di sempre. E' un'Italia ­ quella degli industriali delle macchine
utensili, ma non solo la loro ­ che non soffre più la fame, ma che conserva una salutare memoria della fame che
mordeva quando, nel 1945, dieci imprese fondarono l'Ucimu. Fame di cibo, di lavoro e anche di riscatto, di
realizzazione personale e collettiva. E' in questo humus che ha messo radici ­ tuttora salde ­ un settore che esporta
i due terzi dei 5 miliardi di produzione stimata per il 2015. Un capitalismo fatto di capitali finanziari reali ­ cioé
di profitti d'impresa continuamente reinvestiti da parte di aziende tipicamente familiari ­ e di altrettanto reali
capitali umani, quell'accumulo di knowledge indispensabile all'eccellenza nella progettazione di robot.
I duecento associati dell'Ucimu non sono certo un'isola felice nell'Italia odierna. Luigi Galdabini, presidente
dell'Ucimu, lo ha ripetuto più volte negli ultimi giorni: ospitando il Circolo del Sussidiario e poi durante la
celebrazione ufficiale del settantesimo anniversario dell'Unione. Solo al termine di quest'anno il settore delle
macchine utensili potrà parlare di uscita dalla grande crisi ­ se non proprio di ripresa effettiva ­ dopo il lungo
buio prodotto dal collasso dei mercati finanziari e poi dalla recessione, soprattutto in Italia e in Europa. Luca Orlando, l'inviato del Sole 24 Ore che ha scritto "La fabbrica delle macchine", volume dell'anniversario
Ucimu, ha raccontato un viaggio di tremila chilometri "fra imprenditori sopravvissuti". Che però alla fine sono
molti: e ciascuno forte di una strategia di sopravvivenza, anzi di proiezione in un futuro inesorabilmente nuovo.
"Il produttore di macchine utensili ­ ha notato Gian Mario Gros­Pietro ­ è per sua natura un problem solver, deve
quasi sempre elaborare una soluzione ad hoc per un'esigenza specifica di un altro imprenditore". Chi pensa e
fabbrica una macchina utensile dev'essere sveglio, rapido, flessibile. Forse per questo ­ sottolinea sempre Gros­
Pietro ­ sono stati molti gli associati Ucimu a diventare casi da manuale nella "strategia di Tom e Jerry": il
topolino prevale sempre sul gatto che lo insegue (la pressione competitiva, un ciclo recessivo, la spinta
dell'innovazione, eccetera) non solo perché è più veloce, ma anche grazie a un'abilità specifica nell'individuare
nel muro la nicchia giusta. Certo, la partita da vincere è sempre la prossima. E non sorprende che ­ riflettendo sui loro 70 anni assai più che
festeggiandoli ­ gli industriali dell'Ucimu si sono interrogati: la crescita dimensionale sta diventando una
variabile strategica prioritaria trasversale nel settore? La struttura proprietaria e finanziaria della larga parte
delle imprese ­ ancora legata alla famiglia o alle persone ­ dev'essere ripensata con maggiore apertura a
investitori professionali, a combinazioni industriali con gruppi esteri? Per il sistema­paese, tuttavia, il "caso Ucimu" rimane un test per capire se abbiamo capito, se vogliamo capire: se
la crisi rappresenta un punto di svolta per il Paese oppure se in fondo è una tappa inevitabile di un epilogo
altrettanto scontato, un finale in cui l’Italia si avvia più o meno rapidamente verso il declino. In economia esistono le medie ma anche, per fortuna, le varianze, cioè le misure della variabilità. Davanti alla recessione l'Italia si è spaccata in due e la crisi ha approfondito il solco tra imprese: da una parte chi
esporta e innova e riesce a battere anche la Germania, dall’altra il resto delle imprese, che purtroppo rappresenta
la maggioranza. Imprese che boccheggiano in parte perché concentrate sul mercato interno, in parte perché sono
poco inclini a competere e sono sussidiate e protette. In termini darwiniani si tratta di «animali» che non sono
riusciti a cambiare adattandosi all’ambiente esterno.
Se per Germania e Giappone ciò che non è standardizzato spesso è un problema, mentre per noi è
un’opportunità, una chance di rispondere in modo creativo al bisogno di un cliente: la capacità di interagire
diventa così un vantaggio competitivo, a maggior ragione in un mondo in cui la velocità di obsolescenza dei
prodotti cresce. Queste aziende, e penso alle macchine utensili ma anche al settore del mobile, alla meccanica avanzata o al bio­
tech, in effetti sono più forti di prima e in un certo senso questo è il risultato "positivo" della crisi.
Il nostro mondo può vincere rispetto ai paesi low­cost solo inserendo nei prodotti dosi sempre maggiori di
conoscenza. Per questo, per valorizzare al meglio il nostro capitale umano, va rafforzato il rapporto tra mondo
imprenditoriale e università che nel nostro Paese è ancora troppo debole.
C'è naturalmente dell'altro. Un sindacalista «moderato» qualche tempo fa mi disse che a suo avviso l’azienda era
– cito testualmente perché l’espressione mi colpì – una vacca da mungere. Se questa è la mentalità non andiamo
http://www.ilsussidiario.net/News/Editoriale/2015/11/20/Tom­e­Jerry­e­la­macchina­utensile/print/657109/
1/2
20/11/2015
Tom & Jerry e la macchina utensile
lontano. Ecco il problema di fondo dei nostri tempi, l’inversione logica dei concetti: la ricchezza, per poterla
distribuire, devi prima produrla. Se questo è vero, la fabbrica è centrale. Questo concetto credo che non sia
ancora «passato», l’imprenditore ancora oggi è visto come qualcuno che «traffica», che ha i soldi, qualcuno di cui
diffidare. Solo dopo si capisce, quando le fabbriche chiudono, quando si presenta il problema reale
dell’occupazione. E in quel momento è tardi.
© Riproduzione riservata.
http://www.ilsussidiario.net/News/Editoriale/2015/11/20/Tom­e­Jerry­e­la­macchina­utensile/print/657109/
2/2
Scarica

Tom & Jerry e la macchina utensile