Organo Ufficiale dell’Associazione Regionale Pugliesi
Anno V Num. 10
Iscritta all’Albo delle Associazioni e delle Federazioni dei Pugliesi nel Mondo della Regione Puglia e all’albo delle Associazioni della Prov. di Milano
Sede: Via Pietro Calvi, 29 - 20129 MILANO - e-mail: [email protected] - www.arpugliesi.com - gruppo Facebook “Terre di Puglia”
Una fitta rete
di passioni, visioni, condivisioni...
...questa è la nostra Terra.
Saluti del Presidente
Estate, tempo di vacanza, tempo di ritorno in Puglia, nei propri paesi
di origine. Nostalgia, emozioni di incontri, riproposizione di vecchie
tradizioni ma… anche un nuovo sguardo ai risvolti economici che il
turismo e il rientro dei fuori sede porta al Sud.
E questo non è un ritorno solitario. I fuori sede portano con sé familiari, amici e conoscenti che si affidano all’”indigeno” per un soggiorno più “sicuro” in località delle quali conoscono la fama ma in cui
non sanno come muoversi.
Tante migliaia di arrivi nelle nostre terre corrispondono – scusate la
venalità del discorso – a milioni di euro che trovano canalizzazione nei divertimenti e nel soggiorno pugliese. E’
un discorso pratico, ma questo richiedono i tempi: un sano pragmatismo da collocare intorno al romanticismo
che giustamente sempre pervade questi rientri.
Le particolari contingenze economiche, invece, questa volta denotano la necessità di una visione economica del
turismo a tutto vantaggio di un territorio che avverte, forse più di altri, il periodo di crisi. Il mio occhio di operatore del settore coglie la difficoltà del momento, l’acuita crisi in quel territorio, e una boccata di ossigeno data da
queste risorse che grazie ai figli lontani si riversano sul territorio.
Quali per noi i risvolti pratici? Innanzitutto continuare a “portare” e a suggerire la Puglia a quanta più gente
possibile. Non ne resterà delusa.
E poi creare le condizioni per una buona accoglienza del turista, ancorché emigrante, senza dare “fregature”,
senza approfittare della sua transitorietà, senza mancare di garbo e cortesia che sono i nostri strumenti migliori
che vanno ad aggiungersi ai luoghi paesaggistici pittoreschi e ai monumenti storici oltre che all’enogastronomia.
Uno sforzo in tal senso lo sta facendo il Salento tramite gli operatori turistici e gli enti pubblici. La grande attenzione mediatica ha portato un grande afflusso di visitatori che l’ha reso una delle mete maggiormente ambite
da italiani e non. Infatti sono in forte aumento anche i visitatori stranieri che, incantati dal mare, dal paesaggio
naturale, dalla cultura, dalla tradizione culinaria e dai suoi sapori, scelgono questo territorio non solo per una
vacanza, ma anche per una pausa di tranquillità e serenità. Qui lo sforzo degli operatori del settore è nel superare
alcune criticità al fine di garantire uno standard competitivo di servizi e potenziare lo sviluppo del territorio.
Il tema fondamentale è sempre quello di una maggiore necessità di fare squadra e di creare sinergie tra attività di
accoglienza, esercizi commerciali, associazioni pro loco, assessorati vari per far sì che le competenze si integrino
vicendevolmente, senza sovrapposizioni e latitanze, dando vita ad un clima di accoglienza in condizioni ottimali
per tutti. E’ quindi importante l’aspetto “umano” ma anche l’esigenza di innovarsi dal punto di vista tecnologico,
poiché oggi l’immediatezza dei canali di comunicazione consente di unire il mondo in un istante, e quindi deve
essere utilizzata per divulgare le peculiarità del territorio, rendendolo accessibile agevolmente.
In tal senso è altresì opportuna la collaborazione e il fattivo intervento degli enti pubblici statali sotto forma di
agevolazione del turista nel raggiungere il Sud. Spiace constatare e cogliere i disagi che si sono acuiti negli ultimi
anni dal punto di vista dei trasporti a causa di cancellazione di treni (soprattutto notturni), dimezzamento dei
voli aerei, autostrade in dissesto, a fronte di costi sempre maggiori. E’ giusto dire queste cose perché i politici e gli
amministratori locali si attivino non solo per un atto di considerazione verso il Sud (e la Puglia) ma anche per
rendere un servizio che in fin dei conti torna utile anche all’economia e … alle casse dello Stato. Buona ripartenza.
A presto rivederci.
Cav. Dino Abbascià
Presidente Associazione Regionale Pugliesi
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Sommario
4
Expò 2015
5
Una vita ...in rete!
6-7
14-15
16
S.O.S. - Salviamo il Salento
17
Forza Gargano!
Storia
La Controra
18-19
8-9
padre
Tutto su mio
13
V ediz. Saperi, sapori,
musiche e ... colori di
Terre di Puglia
10-11
20
12
22-23
La semplicità
delle piccole cose
con...
Conversando
Gli Italiani di Crimea
21
Due sogni che
uniscono
Santa Scorese
Recensioni
Hanno Collaborato:
Ornella Bongiorni, Michele Bucci,
Adele Buffa, Rosario Tornesello,
Giuliana de Antonellis, Francesco Lenoci,
Maurangelo Rana, Paolo Rausa,
Antonia Scarciglia, Alfredo Traversa
anno V, n.10
Supplemento a “Il Leuca”
Camminare nella
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Editoriale
Una vita... in rete!
di Giuseppe De Carlo
di Agostino Picicco
L’Expo 2015 è ormai vicino. La
grande kermesse dell’Esposizione universale che si svolgerà
a Milano da maggio ad ottobre
2015 e avrà come tema Nutrire
il Pianeta. Energia per la Vita, è
stata caricata della grande responsabilità di essere lanciata
(giustamente) non solo come
evento lombardo ma come
manifestazione che coinvolge l’intero Paese. E’ previsto
infatti che i milioni di visitatori attesi da tutto il mondo
non giungano solo a Milano ma colgano l’occasione del
lungo viaggio per visitare, oltre all’Expo, anche altri luoghi significativi dell’Italia, non necessariamente classici e
conosciuti, e quindi che possano godere di un periodo
di turismo, di svago, di degustazione di prodotti tipici, di
conoscenza dei numerosi gioielli artistici, monumentali,
paesaggistici d’Italia. In questo contesto anche la Puglia
avrà tanto da mostrare (e promuovere) ai visitatori internazionali.
In ogni caso la città che costituirà la prima interfaccia di
accoglienza, il biglietto da visita dell’Italia e dell’Expo, è
proprio Milano. E per questo dovrà mostrare il suo aspetto migliore. Numerosi sono i lavori di rifacimento del
look della città preventivati da tempo. Purtroppo sono
partiti un po’ tardi. E ora, a circa un anno dall’inizio della
grande kermesse, la città sta rifacendo il suo look, tutto
in una volta, a ritmi serrati, ed è diventata un grande cantiere, a partire dalle zone centrali per finire a quelle più
periferiche. Transenne in cemento e legno, impalcature,
ruspe in continuo movimento, ormai fanno parte integrante dello scenario della città. Nel campo delle opere
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pubbliche è previsto il rifacimento degli impianti, l’adeguamento delle aree pedonali, la riqualificazione delle
piazze, la modifica delle facciate.
Muoversi per la città diventa complicato e disagevole:
numerosi tram sono stati deviati, hanno cambiato le
fermate, alcuni tratti anche lunghi si possono fare solo
a piedi, i percorsi, più stretti, sono guidati da transenne
e occorre destreggiarsi tra gli altri pedoni con cani, biciclette, monopattini che corrono per recuperare i tempi
dei lunghi tratti a piedi,.
Ormai è sempre più difficile parcheggiare, i tempi di spostamento si sono allungati più del solito, occorre rivedere su google maps i trasferimenti più idonei.
Si stringono i denti sperando che si tratti di pochi mesi,
coincidenti per lo più con i mesi estivi, nei quali tali disagi, magari in modo ridotto, erano già preventivati visto
che sempre in estate un po’ di lavori di ristrutturazione
e di rifacimento sono previsti.Si spera comunque nei
benefici dell’Expo: per l’economia, per il turismo, per la
cultura, per la novità che rappresenta.
Ci auguriamo davvero che l’impianto di riflessione, il
coinvolgimento internazionale, l’arrivo di tanti visitatori,
porti - come auspicato negli intenti della kermesse – ad
una prospettiva di confronto, di accoglienza, di attenzione alle loro necessità, di conoscenza di nuovi stili di vita,
di quelle che sono le prospettive per la sussistenza del
pianeta, i valori da considerare, le priorità, le sinergie planetarie, le componenti esistenziali, ecc..
Solo così varrà la pena di aver subito tanti disagi prima e
forse anche durante, sperando che il frutto di tante opere porti benefici effetti per il futuro con nuovi servizi ora
in allestimento, dei quali tutti possano usufruire a lungo,
soprattutto di coloro che ne hanno più bisogno.
Il titolo di questo editoriale può trarre in inganno: non
parliamo di una vita 2.0 o di social network, parliamo di
relazioni, esperienze e scambi. Con l’avvento dei social
network, grazie a queste piccole grandi piazze virtuali si
è sempre più convinti che sia sufficiente un click su un
“mi piace”, un commento ad una foto o una semplice
condivisione di un elemento per sentirsi in contatto con
qualcuno. Una dolce illusione che ci fa sentire sempre
protagonisti di un mondo che tentiamo disperatamente
di controllare. Così in base al numero dei “retweet” cresce la nostra stima personale e la nostra convinzione di
essere connessi con il mondo. Una vita, dunque, spesa a
cercare frasi d’effetto, foto particolari o selfie improbabili. Avere centinaia di amici su Facebook, centinaia di
seguaci su Twitter o una condivisione di un articolo su
Linkedin riesce veramente a farci sentire parte del tutto?
I vari mezzi di comunicazione ci permettano di accorciare le distanze e di interagire in larga scala con passato
e presente, tuttavia allo stesso tempo talvolta innalzano
enormi barriere di esclusione sociale, tra chi si definisce
“nativo digitale”, tra chi si è adeguato al cambio dei mezzi
di comunicazione e chi invece ne resta fuori per scelte
personali, per limiti economici o culturali. Lo schermo
sfalsa i rapporti, le relazioni. Crescono a dismisura gli incontri su internet, perché è più facile relazionarsi se protetti da milioni pixel. È più semplice scegliere tra svariati
smiles per raccontare le emozioni piuttosto che tremare,
arrossire, provare rabbia o vergogna, restare senza fiato
o senza parole davanti al volto dell’altro. I silenzi così importanti nella comunicazione non verbale face to face
lasciano spazio a immagini, punteggiature, frasi di altri.
Le emozioni autentiche vengono felicemente ignorate.
Quando all’improvviso per un caso la gelosia, la rabbia,
la paura, l’imbarazzo fanno capolino nella nostra vita rea-
le, non sappiano riconoscerle,
non sappiamo come gestirle o
controllarle. La consequenzialità tra sentire, pensare e agire si capovolge dando spesso
origine a numerosi episodi
di cronaca nera. “Non siamo
capaci di ascoltarli” scriveva lo psicologo Paolo Crepet,
riflettendo sul rapporto genitori –figli. Oggi dobbiamo
constatare che la generazione “dal dito pollice più veloce” comunica poco e male e soprattutto non è capace
di ascoltarsi, requisito fondamentale dell’ascolto e del
rispetto dell’altro. L’uso intelligente critico e consapevole dei social comporta che questi debbano essere considerati un mezzo, non un traguardo. Essi possono offrire
ulteriori modalità di apprendimento e conoscenza, ma
non l’unica. La vita vera si vive offline. È fatta di successi, fallimenti, crisi, gioie, perdite, dolori, paure, emozioni,
che vanno vissute ed elaborate al di fuori dello schermo.
Tessere dei rapporti è come tessere una rete. Più essi saranno solidi, più la rete sarà solida. E, se per caso un fortuito incidente resetta il pc non dobbiamo disperare. È
l’occasione giusta per affacciarci alla finestra come Palomar di Calvino e osservare la vita che c’è dietro le piccole
cose, è scoprire che il mondo è bellissimo se impariamo
ad ascoltarlo con tutti i cinque sensi. Le storie di uomini
e donne comuni e allo stesso tempo straordinari ci passano davanti, ma noi non sempre prestiamo attenzione,
perché presi a scrivere su un blog che probabilmente
nessuno realmente leggerà mai. Nulla di peggiore di vedere il proprio amico di Facebook, che dopo aver messo
una miriade di “mi piace” alle tue foto estive, incontrandoti, ti chieda dove tu abbia trascorso le vacanze, o peggio, passandoti di fianco neppure ti saluta. Amicizia 2.0!
IN VISTA DELL’EXPO 2015
Martedì 23 settembre 2014, alle ore 17,30, a Milano, Cafè MIB di Piazza Affari (Via Gaetano Negri 10) ospiterà l’Incontro con il professor Francesco Lenoci, Docente presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di
Milano e Vicepresidente dell’Associazione Regionale Pugliesi di Milano,
dal titolo “Storie di Creazione di Valore: Milano e la Puglia in vista dell’EXPO 2015”.
L’Incontro è organizzato dalla Banca Popolare di Puglia e Basilicata (Area
Territoriale Nord BPPB) e dall’Associazione Regionale Pugliesi di Milano.
Interverranno: il dottor Michele Stacca, Presidente della Banca Popolare
di Puglia e Basilicata, il cavalier Dino Abbascià, Presidente dell’Associazione Regionale Pugliesi di Milano, il dottor Franco Bossola, Direttore
Area Territoriale Nord di BPPB e il dottor Giuseppe Saracino, Direttore di
Staff Area Territoriale Nord di BPPB.
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LA CONTRORA
Si ha il tempo per pensare quando ci si estranea dalla ordinata e
ordinaria quotidianità della metodica vita di chi vive in “alta Italia”. Al nord non si usa, nel mio sud
si usa ancora.
Non sono sicuro che un non-meridionale possa capire che cosa
sia la controra. È l’ora del silenzio, in cui ogni rumore echeggia
amplificato, come in una scatola
vuota.Dopo mangiato, quando
arriva il tempo del nulla, chi può
si butta senza remore nelle braccia di Morfeo. Nei nostri paesi di
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di Giuseppe Selvaggi
origine dovrebbe essere portato
agli onori degli altari come “Santa Controra” e adorato in processione come i Santi veri. Sono
stato ultimamente a “casa”, quella
vera, al paese. I pomeriggi il mio
anziano genitore ha mantenuto
l’abitudine del riposo, io non dormo, chi ci riesce? Nella mia testa
continuano a girare domande
senza risposte. Quest’ora è sacra,
caro figlio, io vado a riposare. La
controra (dal latino contra horas,
cioè ore contrarie) richiama alla
mente la “siesta”, parola derivante
dal latino
s e x t a
hora cioè
l’ora sesta degli
antichi
Romani.
Chiamare qualche amico che non
è occupato diventa un’impresa, la
risposta sarebbe: “a quest’ora? dai
ci vediamo a una certa ora questa
sera”. Provo a leggere, provo tutte
le più strane posizioni da kamasutra del riposo, nulla. Alla fine mi
decido, esco.
Devo dire che a Milano per consolidata abitudine dedico, quando
lavoro, la pausa pranzo al riposo,
sempre, anche d’inverno. Un rito,
un’abitudine a cui non ho voluto
rinunciare e che suscita nei miei
colleghi e collaboratori una certa
invidia e curiosità. Come fai, mi
chiedono. Qualcuno ha provato a
imitarmi, il sonno breve è il risultato di una ereditarietà genetica e
di una filosofia di vita antica e per
certi versi saggia. Come spiegare a
chi non è nato al sud cosa rappresenti per noi l’idea della Controra.
E’ un termine dialettale che indica
le prime ore del pomeriggio, soprattutto quello estivo, dedicato
dai salutisti dell’anima e del corpo
al riposo. In questo spazio si ha la
possibilità di riflettere e di lasciarsi andare all’otium, il silenzio è inteso non come conseguenza, ma
come uno stato di attesa, di ricarica, una sorta di pre-occupazione
che segue a questa interruzione.
E’ un rito, una adesione quasi religiosa alla estraneazione dalla
frenesia della giornata, è una dilatazione del giorno conseguente
all’esigenza di rallentare o cessare
ogni attività, il tempo sembra non
andare così in fretta come dicono,
se si pratica questa disciplina. La
controra è il momento in cui cessa il tempo delle occupazioni e
inizia quello della libertà dal tutto, è quando ti ritrovi solo con te
stesso. E’ una pratica che per chi
è nato al Nord è percepita come
qualcosa di strano ed estraneo,
forse perché si troverebbero ad
affrontare l’horror vacui del “e
adesso che faccio?”
Come dicevo, esco, sono le tre
del pomeriggio, un pomeriggio
di pre estate decisamente caldo,
mi accoglie una città semideserta, pochi i bar aperti e tutt’intorno
l’indolenza della provincia meridionale. E’ un momento cruciale
della giornata, poche le macchine, pochissimi i passanti, un gatto
si striracchia al sole e mi guarda
stupito, nella sua piccola testa
avrà pensato: “questo è “frastiero”, a quest’ora dove và? È tutto
chiuso”, è il dopopranzo, tutto apparentemente si ferma, una voce
fuori campo mi convince che poi
non sono solo. Arrivo in pochi minuti alla villa comunale, le uniche
presenze sono i mezzi busti marmorei di illustri eroi e grandi del
passato. Davanti a un’associazione di ex combattenti, fermi, quasi
immobili statue viventi, due anziani si guardano senza parlare, a
un tratto come a parlarsi addosso
uno dice: “ a quest’ora a casa di
mio figlio è tutto tranquillo”.Una
bottega di barbiere è aperta, lo
conosco, entro lo saluto e gli chiedo: “maestro a quest’ora a bottega”, non si scompone, mi guarda
e mi risponde: “sono aperto, ma
sono chiuso”, maa!. Passo oltre,
l’obiettivo è arrivare al Porto, li
voglio godermi il rientro delle
barche e andare sino in fondo al
molo nuovo per sentirmi in mezzo la mare, infine, lontanissimo, il
Gargano, che nelle giornate più
limpide si mostra in tutta la sua
magnificenza. Mentre cammino
spedito, fotografando come farebbe un turista angoli del mio
paese, passo davanti ad antichi
Palazzi che pure ho frequentato e
penso: “chi sa se Don ….. è ancora
vivo e le figlie che proprio Veneri
non erano, si saranno sposate, ma
certo che si con quel patrimonio
di famiglia si saranno sicuramente accasate. E’ la controra, forse
dorme anche una consolatrice di
cuori solitari che un tempo esercitava la più antica arte. Mi fermo
davanti ad un’edicola votiva, dentro i nostri tre Santi protettori, una
lucina e fiori di plastica, percorro
le antiche vie e viuzze del Borgo
Antico, non tutto è in ordine, dai
bassi arrivano odori di ogni genere, musiche esotiche e sulle cassette postali nomi da altri luoghi
del pianeta raccontano di come
convivano nuove e vecchie storie
di povertà; Moruccio, Lillino, Marì,
Sergin …. sono rimasti in pochi
ad abitare le vecchie pietre, hanno avuto la casa popolare o sono
emigrati. Sulla parte alta della città vecchia che si affaccia sul porto
c’è ancora e non potrebbe essere
diversamente un gradino in pietra dove io e alcuni altri amici ci
appiattivamo il fondo schiena a
parlare del nulla per interi pomeriggi. Vedo il mare e riacquisto il
buon umore, la controra non dura
in eterno, tra qualche mezzora il
paese sarà tornato più vivo e animato di una grande metropoli
che già alle sette di pomeriggio
comincia ad abbassare le cler
dei negozi mentre da noi allora
si aprono, le urla da muezzin che
ascolto passando dal mercato del
pesce mi avvisa che il paese si è
ridestato e che tra non molto mi
sottoporrò al rito dello struscio
serale. Un altro mondo.
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TUTTO SU MIO PADRE
di Adele Buffa* e RosarioTornesello
Ha fatto la storia. Lo diciamo subito
e ci togliamo il pensiero. Un capitolo
particolare, e fondamentale, di questa zona d’Italia. Poteva andare male,
malissimo. La criminalità tracimava,
il sangue scorreva, i negozi saltavano... Occorreva alzare un argine. È
andata bene. Non è solo fortuna. È
storia, storia di uomini. E di sacrifici.
Ora che si approssima il tempo del
riposo, forse darà un ripasso anche
alla geografia. Sono pochi i monumenti che hanno la fortuna di camminare sulle proprie gambe. Lui lo è.
Ammesso che gli risalga la voglia di
viaggiare.
Nato in Calabria, approdato a Lecce; estate a Gallipoli, buen retiro a
Roma (zona Trastevere, effluvi magici se non fosse
che lui odia la
confusione,
il frastuono,
il caos capitolino, anche
se d’estate gli
tocca sorbirsi
quello gallipolino). Un moto
perpetuo, insomma. Consumato molto,
quasi
tutto,
all’interno del
proprio ufficio: mattina,
p o m e r i g gi o,
sempre lì. Il 13
gennaio compirà 75 anni. Quel giorno riporrà la toga.
Mario Buffa raccontato dalla figlia Adele e dal figlio Francesco è
un’iperbole. Un giudice visto da una
Cancelliera e da un altro giudice: si
sfiora il cortocircuito logico, un frontale interpretativo. Una generazione che riflette l’altra e l’attualizza, la
prosegue. La proietta nel futuro. Il
primo è stato presidente della Corte
d’appello di Lecce, Brindisi e Taranto:
il più anziano in ruolo in Italia se si
esclude Carnevale, il ben noto Cor-
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rado Carnevale, processato, assolto
e tornato in servizio per recuperare
gli anni di sospensione. Altra storia.
La seconda è Cancelliera alla Procura
della Repubblica di Milano ed è secondogenita; Il fratello Francesco, è
giudice di Cassazione, sezione Lavoro, dopo esser transitato dal Massimario della Suprema Corte e, per un
anno, dalla Corte europea dei diritti
dell’uomo a Strasburgo. Il loro ciuffo ribelle è segno distintivo. Non ci
vuole poi molto, del resto, a intuire il
vincolo di discendenza diretta. Chi è
il più bravo fra i tre???
Francesco dice «Io lo so chi è più
bravo tra me e lui e ho sempre evitato, opportunamente, il confronto.
Un giorno il vecchio presidente del
Consiglio dell’Ordine degli avvocati Gaetano De Mauro disse a me e
suo figlio Antonio, professore universitario ed avvocato cassazionista,
una frase che ancora ricordo: “Ne ati
mangiare ancora friseddre”. E aveva
ragione...».
In attesa che le “friselle” finalmente
finiscano, il nutrimento è condito da
affetto filiale: «Ho sempre adorato il
suo stile di scrittura: semplice, perché la sua idea è che le parti e non
solo gli avvocati debbano comprendere la decisione, e diretto, evitando
di perdersi tra cavilli e disquisizioni.
Ma lui ha una dote in più: è un grande organizzatore. Dirigere l’ufficio è
altro mestiere rispetto a scrivere belle sentenze». Osiamo? È decisionista,
ma un tantino accentratore... Giusto
un po’, ecco. «Io lo direi senza “un
po’...”», rincara il figlio. Oggi a tavola
faranno i conti. Anche perché Buffa junior cala il sovrappiù: «Per dirla
tutta, a volte è pure un po’ brusco,
visto che non tutti vogliono lavorare quanto lui. Ma quando ci mette le
mani, le cose funzionano. È un capo
che lavora e che sprona con l’esempio. Certo, pretende molto. Ma difende a spada tratta i suoi giudici. E chi
fa questo mestiere sa quanto è facile
restare soli ed esposti...».
Cinquantuno
anni
in magistratura, un
po’ di civile e tantissimo penale. Sua la
prima sentenza sulla
presenza di un’associazione mafiosa nel
Salento. Sua la guida
del secondo maxiprocesso alla Sacra
Corona Unita in Corte d’assise, quello degli omicidi (46 in sei
anni, dall’86 al ’92)
e degli attentati (al
palazzo di giustizia,
nel ’91; all’Espresso Lecce-Zurigo, il
5 gennaio ’92): tre
anni di dibattimento, quasi trenta
ergastoli distribuiti fra gli oltre settanta imputati. Tutto filato via liscio.
Perché lui dirige, organizza, giudica,
ma al momento giusto gigioneggia.
Tra l’ironico e il sarcastico, la battuta
che stempera. Fin qui, visto da fuori.
Perché “lato figlio” le doti sono anche
altre: «Modesto, sincero, per nulla
invidioso. Con una spiccata sensibilità verso umili ed emarginati: in un
convegno raccontò la compassione
provata verso un povero cristo che
vide cercare cose molto economiche
alla Standa e che aveva dovuto
giudicare qualche giorno prima.
E poi protettivo verso la famiglia:
ha vissuto per anni sotto scorta e
ha sempre taciuto o minimizzato
le minacce ricevute per non farci
stare in pensiero». Manifestazioni
d’affetto poche, ma grandi slanci
di generosità: «Ne ricordo due.
Il primo, un viaggio notturno a
Roma per confortare mia sorella Adele, che si era trasferita da
poco nella capitale e aveva paura
di notte nella grande metropoli. Il
secondo, la rinuncia a un incarico
presso il Consiglio superiore della
magistratura per restare vicino a
mia madre, a Lecce».
Il protocollo prevede la sosta
forzata nell’area dei difetti. Francesco ci prova. Riflette ed enumera: «Difetti? Due». Vabbè, è
pur sempre il figlio... «La fiducia eccessiva nel prossimo, con quel suo
“tout comprendre, tout pardonner”,
e il troppo rigore che a volte riserva ai familiari: se gli mostro una mia
sentenza, particolare e impegnativa,
per farmi bello, lui subito la critica e
la corregge. Ma è per non concedersi alle smancerie: le manifestazioni
d’affetto le reputa un po’ sdolcinate».
Il lavoro ha imposto a Buffa senior di
sacrificare gran parte del tempo destinato ai suoi affetti. Ha compensa-
Mario Buffa: una vita trascorsa
nell’amministrare e far ruotare
la complessa e difficile macchina della giustizia. A 75 anni,
molti dei quali vissuti da magistrato, Mario Buffa lascia la
toga e la magistratura, congedandosi dal ruolo di presidente
della Corte d’Appello.
Calabrese d’origine ma salentino d’adozione, il presidente Buffa è tornato a Lecce nel
2008 dopo un’assenza di circa
nove anni. Per oltre cinque, invece, è stato a capo della Corte
d’appello del capoluogo sato con la tolleranza: motorino, orari
di rientro... Risvolti molto apprezzati dai ragazzi. «Papà è stato molto
attento agli aspetti pratici, meno a
quelli psicologici. Molto esigente nel
pretendere impegno a scuola, mi ha
insegnato ad approfondire le cose
in modo analitico, a comprendere le
ragioni degli altri, a non essere forte
con i deboli e debole con i forti, a
privilegiare sempre e comunque la
conoscenza alle conoscenze». Il tempo si annuvola. I ricordi si affastellano. Una vita da stringere in poche
lentino, cui fanno capo anche
i distretti di Brindisi e Taranto.
A Lecce Mario Buffa ha trascorso gli anni più bui della storia
della penisola salentina, quelli
della lotta alla Sacra corona
unita, protagonista dei maxi
processi alla quarta mafia, tra
gli anni ottanta e novanta.
Tanti gli ergastoli inflitti ai boss
della Sacra Corona Unita. Tante ancora le polemiche sollevate e le critiche che negli anni ha
mosso, senza mai risparmiare
nessuno, come solo un grande
magistrato può e sa fare.
immagini, da confezionare e consegnare al racconto: le sciate assieme,
a Bormio; i viaggi in roulotte, in giro
per l’Europa. «A quel tempo, sul finire degli anni ’70, si viveva in un clima
di grande libertà. Poi la roulotte l’abbiamo data ai terremotati dell’Irpinia». E infine le grandi “scoperte” trasmesse per contatto, per induzione,
per simpatia: il “Mistero buffo” di Dario Fo, i primi dischi di Giorgio Gaber,
il Neorealismo, Truffaut e la nouvelle
vague, il computer Vic 20. E ancora:
le poesie di Brel, i testi di Calamandrei, i romanzi russi.
«Chiude la sua lunga esperienza in
magistratura con amarezza: non è il
mondo che immaginava da ragazzo.
Lo indigna la corruzione dilagante;
lo mortifica la difficoltà ad amministrare la giustizia». Cosa farà, smessa
la toga? «Spero non faccia altri lavori.
Spero possa regalare ai suoi familiari
la cosa più preziosa che ciascuno di
noi ha: il tempo. Spero possa dedicarsi all’educazione dei suoi due nipotini, 11 e 10 anni. Lui stravede per
loro». E loro per lui. Mario, il più grande, stesso nome: «Il nonno è come
uno spartano: non si arrende mai».
E Gabriele, il più piccolo: «Semmai è
come gli ateniesi: vincono anche con
i persiani».
*Cancelliera presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano
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La semplicità delle piccole cose
di Giuseppe De Carlo
Ho letto questo volume tutto d’un
fiato: ogni parola, ogni frase ed ogni
luogo hanno fatto riaffiorare in me,
usanze e tradizioni, e riscoprire cose
semplici, svilite ora dal consumismo
e che, invece, costituiscono un patrimonio di saggezza.
Spezzoni di vita vissuta, profumi,
suoni e sapori emergono nel volume
del caro amico Agostino Picicco; in
esso c’è tutto quello che posso ricor-
dare anche del mio passato; molte
cose le avevo dimenticate, altre non
le ricordavo più come una volta, nitide e splendenti.
Più che un semplice saggio è un manuale di vita, una vita non così lontana e che molti di noi conservano
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nell’anima, chiusa in uno
scrigno.
Scorrendo le pagine mi
si presentano squarci di
vita pugliese ed avverto
le emozioni di un bambino ormai uomo, che
mantiene saldamente le
radici nel passato, proiettandosi nel futuro.
Il tempo che cambia, le
mode, le stagioni: tutto
sintetizzato in maniera
armonica. Ciò che colpisce e trascina però sono le emozioni,
quelle di una vita vissuta in un periodo sicuramente più bello, privo degli
agi a cui ora siamo abituati, ma un
periodo vero, intenso, non corroborato da amicizie virtuali, fatto di marachelle e confidenze, di paure e di
sogni, tutte rigorosamente reali.
L’autore con quest’opera ha voluto
mettere in risalto la creatività e l’originalità di un tempo, ormai lontano,
in cui tutto era più genuino e spontaneo perché, se oggi l’individuo
gode di una tecnologia avanzata, la
quale offre più stimoli rispetto ad un
tempo, questi però sono quasi tutti
pre-costituiti.
Nei vari paragrafi si alternano le sensazioni vere, appartenenti ad una
vita fatta di piccole cose, capaci di
offrire soddisfazioni e
gioie grazie
alla loro semplicità.
Lo scrittore
prova ad osare, a vincere
delle paure,
quelle stesse
che hanno
accompagnato la nostra infanzia
e valorizza la
vita che molti di noi hanno condotto fino a qualche tempo fa, sempre
a contatto diretto con la natura, con
giochi semplici, molto diversi da
quelli attuali. Il ricordo diventa, quindi, il filo conduttore che lega il passato al presente, così ricco di tradizioni,
ma soprattutto di valori.
L’uomo, nel corso della sua vita, progredisce di continuo ma, ad un certo
punto, si accorge che nonostante i
vantaggi che il progresso e l’evoluzione gli offrono, nel contempo gli
tolgono quelle piccole gioie di cui
sono state intessute la sua infanzia
e la sua giovinezza, ricche di valori e
tradizioni che oggi, man mano vanno svanendo nel nulla.
L’autore, attraverso questa sorta di
autobiografia comune a tanti, ripercorre gli anni migliori vissuti da ciascuno di noi, quelli fatti di piccole
cose, a stretto contatto con le persone più care, che permettevano di
vivere straordinari momenti affettivi, e che aiutano l’uomo a crescere,
allontanandosi man mano da quel
“fanciullino” che è sempre dentro di
noi.
Quest’opera di Agostino Picicco servirà non solo da sprone, per conservare ancora viva quella cultura, in cui
affondano le nostre radici, ma anche
per AMARE, TUTELARE e VALORIZZARE tutto ciò che fa parte del nostro
passato.
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Conversando, tra gli altri, con Agostino Picicco,
Dino Abbascià, Francesco Lenoci, Giuseppe Selvaggi,
Rossella Ivone sui temi delle tradizioni, usi e
consuetudini delle genti di Terre di Puglia
V ediz. Saperi, sapori, musiche e …
...colori di terre di Puglia
di Antonia Scarciglia
Il 14 settembre, in concomitanza alla
riapertura delle attività dell’ Associazione Regionale Pugliesi di Milano, si
è svolta la V edizione dell’evento organizzato dagli amici dell’Associazione Pugliesi di Sesto San Giovanni alla
quale abbiamo partecipato con una
numerosa delegazione come dalla
prima edizione per condividere il pia-
Festival del libro possibile - Polignano a Mare
Terrazza di Palazzo Margiotta - Martina Franca
Festival del libro - Città di Cantù
La Vedetta del Mediterraneo - Giovinazzo
Volti delle donne di un tempo, Poppiti
e Li fiuri della Pathria in scena nel Salento
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sa provenienza. Oggi è avvertibile l’esigenza
di un recupero del valore aggregativo della
festa, intesa come spazio/ambiente dell’anima, luogo di riflessione e confronto culturale
e interculturale, tramite l’organizzazione associazionistica di volontariato culturale, dove
le attività e i laboratori creativi per il recupero
storico, ambientale del territorio favoriscano
l’incontro, attraverso valori condivisibili.
Nell’associazionismo è possibile ricostruire il
momento comunitario se ogni singolo conquista la consapevolezza di una significativa
appartenenza alla comunità, di una partecipazione nella condivisione di valori, significati e
ideali dettati dall’esperienza.
cere della Festa che quest’anno ha avuto come
ospite d’onore la cantante Rossana Fratello.
Sagre popolari, feste di origini contadine e popolari che risalgono alla notte dei tempi, manifestazioni in piazza ... da sempre animano la vita
delle città e trovano le loro radici nel mondo
rurale,agreste.
Quella di Sesto San Giovanni, città di arrivo nel
secolo scorso di tante braccia provenienti dalle
nostre terre, è una rivisitazione delle tradizioni
di aggregazione nella città del lavoro e delle
fabbriche quale è stata siano a pochi decenni
addietro la città di Sesto San Giovanni, laboratorio naturale di integrazioni tra genti di diverPagina 13
S.O.S. - SALVIAMO IL SALENTO
Acciaio e cemento sotto una morbida spiaggia bianca del Salento.
1.900 ulivi divelti. I vigneti del negroamaro sventrati da un tubo di
acciaio e cemento del diametro
di due metri per due. Il rischio incombe sul Salento, il territorio divenuto la prima meta del turismo
in Italia, scelto per l’approdo di
un mega-gas dotto che dovrebbe
portare gas all’Europa dai pozzi dell’Azerbajjan. Alla Fiera del
Levante inaugurata da Renzi 40
sindaci del Salento, con il sindaco di Melendugno Marco Potì in
testa, hanno manifestato contro,
alzandosi in piedi e applaudendo
quando il presidente della Regione Nichi Vendola ha ribadito che
la Puglia non è la pattumiera degli
altri. Renzi ha detto che si può ancora discutere sull’approdo, ma il
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di Carmen Mancarella*
ministro dell’Ambiente Galletti,
che ha da poco approvato il rapporto di Valutazione impatto ambientale, ha detto che l’approdo
è ormai stato deciso. Il ministero
dei Beni culturali ha espresso parere contrario.
Il gasdotto dovrebbe approdare su un’incantevole spiaggia la
Caciulara San Basilio, a San Foca,
una delle cinque marine di Melendugno, sul Mare Adriatico, insignita per ben quattro volte della Bandiera blu e Le cinque Vele di
Legambiente e distante appena
un chilometro e mezzo dalla riserva naturale di interesse internazionale Le Cesine. Siamo in una
zona ad alta intensità turistica,
dove i giovani si sono inventati
un lavoro puntando sul turismo
e sulla tutela delle risorse naturali, tra numerosi siti di interesse
comunitario e un sito archeologico di straordinaria bellezza, Roca
Vecchia, la Micene del Salento. Su
appena 500 metri di arenile, che
viene puntualmente segnalato
dalle riviste di turismo nazionali
tra le spiagge più belle della Puglia, ci sono ben tre stabilimenti
balneari. E poco distante sorge
un residence albergo, Punta Cassano. Tra le dune depongono le
uova le ormai rare tartarughe di
mare, caretta caretta.
Qui la TAP AG ha progettato l’approdo di un gasdotto che parte
dall’Azerbajian, risparmia, giustamente, le bellissime coste della
Grecia, attraversa le montagne a
1.990 metri di altitudine, per ar-
rivare in Albania dalla cui costa
dovrebbe immettersi in mare,
poggiandosi per 111 chilometri
sui fondali del Canale d’Otranto,
un mare, avvisano gli esperti, particolarmente esposto alle correnti
e a forte rischio sismico. Il gasdotto approda poi sulla spiaggia La
Caciulara San Basilio a San Foca.
Ma, siccome anche l’occhio vuole la sua parte il tubo di acciaio
ricoperto da cemento armato si
immergerà sotto la sabbia e le
dune con un microtunnel a una
profondità di 18 metri.
La
voragine scavata
nei fondali per ottenere l’immersione del gasdotto sarà ricoperta
da cemento armato e
malta. Lo spiegano in
un controrapporto presentato sin dal novembre dello scorso anno al
Ministero del’Ambiente,
ben 25 esperti tra architetti, ingegneri, geologi,
chimici, medici e avvocati, chiamati a mettere a disposizione le
loro competenze dal Comune di
Melendugno e cooordinati dal
professore del Politecnico di Bari
ingegner Guido Borri.
Allo stato attuale il ministero
dell’Ambiente ha approvato il
rapporto di Valutazione Impatto Ambientale presentato dalla
società Tap con 58 prescrizioni, il
ministero dei Beni Culturali lo ha
bocciato.
Parla chiaro il controrapporto
presentato sin dal novembre
dello scorso anno dal Comune di Melendugno al Ministero
dell’Ambiente: “Abbiamo convocato gli esperti“, spiega il sindaco
di Melendugno, Marco Potì, “perché potessero liberare il Comitato
No Tap e il territorio dall’accusa di
campanilismo o sindrome Nimby.
C’è un lavoro serio dietro le osser-
vazioni presentate, non potranno
dire che siamo degli estremisti
incompetenti, ci sono dei grandi
professionisti tra le firme del contro-rapporto che svela tutti i punti più controversi del progetto”.
Il gasdotto dopo essere riemerso
in pineta, che sarà praticamente
rasa al suolo per due ettari, si snoderà via terra. Per consentirne il
passaggio e creare le zone di sicurezza e la viabilità di emergenza
intorno, saranno divelti 1900 ulivi
secolari, in un paese che vanta di
dustrializzata, fatta di masserie e
uliveti che caratterizzano il tipico
paesaggio salentino. Non si indica nel progetto dove si andrebbe
ad attingere l’acqua necessaria
a far funzionare l’impianto con il
grave rischio di prosciugare il già
delicato equilibrio delle falde freatiche salentine.
A meno che, non ci arrivi volando,
il gasdotto attraverserà poi anche
i vigneti di Negroamaro del Nord
Salento per arrivare ad immettere il gas nella centrale SNAM di
Mesagne. Tutta questa opera sarà dimessa
tra 50 anni o poco più,
avvertono gli esperti.
La società che intende
realizzarla la considera
“opera persa”. I tubi di
acciaio ricoperti di cemento armato per un
diametro di tre metri,
saranno abbandonati
in balia delle correnti
del mare e degli agenti
meteorologici, lentamente corrosi e mai smaltiti da alcuno. “Un
bel regalo per le generazioni future, i bambini di oggi, per i quali
i loro genitori stanno lavorando
con grandi sacrifici, inventandosi
attività turistiche, nella speranza
di consegnare a loro una terra migliore!, commenta il direttore responsabile della rivista di turismo
e cultura del Salento, Spiagge,
Carmen Mancarella.
Alcuni giornalisti nazionali esperti di turismo e tour operator internazionali sono stati ricevuti
dai sindaci di Melendugno e di
Guagnano sulla spiaggia dell’approdo e hanno commentato e già
postato sui loro profili facebook:
“Questo è il paradiso, sarebbe un
vero peccato distruggerlo”.
detenere il 4 per cento della produzione di olio, a livello regionale.
A Melendugno, poi, in località
Masseria del Capitano dove ci
sono i dollmen preistorici Placa
e Gurgulante sarà realizzata la
centrale di depressurizzazione,
con camini alti dieci metri per
smaltire i fumi. Intorno il deserto:
12 ettari di terreno, vasto quasi
quanto 24 campi di calcio, dove
non sarà ammessa alcuna attività.
La centrale servirà per riportare la
temperatura del gas ad un valore
di almeno tre gradi centigradi. I
Consiglio comunali dei Comuni
interessati hanno peraltro dichirato con delibere del 14 ottobre
2013 inidoneo il luogo destinato
a ospitare la Centrale di depressurizzazione perché si trova molto vicino ai centri abitati di Melendugno, Vernole e Calimera e *Direttore della rivista Di turismo
perché sorge in una zona non in- e cultura del Salento “Spiagge”
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CAMMINARE NELLA STORIA
di Ornella Bongiorni
1914-1918
l’incitazione, la vicinanza e l’augurio
degli amici dell’Associazione Regionale Pugliesi di Milano
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“La meta è nel passo il tuo passo” dice Paolo Rumiz e io
di passi ne ho fatti tanti percorrendo quelle 52 gallerie
scavate nella roccia per poter arrivare alle Porte del Monte Pasubio versante Trentino e raggiunse i luoghi della
Grande Guerra 1914 -1918.
E se il cammino è il racconto di un viaggio ecco il mio:
partenza da Milano 7,30 con un gruppo affiatatissimo di
camminatori, gente esperta e appassionata di montagna ma soprattutto del buon cammino. Arriviamo dopo
tre ore di macchina a Passo di Xomo, Bocchetta Campiglia dove inizia il sentiero delle 52 gallerie. Siamo pronti
e convinti che questo non è un percorso qualunque ma
un viaggio nel tempo dove la maestria dell’uomo fu usata per sopravvivere a una guerra fatta tutta in salita.
E su questa salita ci incamminiamo per ben 6 km, attenti
a non perderci nelle miriadi di gallerie costruite dal 33°
corpo dei minatori Italiani. Una dopo l’altra, ci sembrano
non finire mai, una targa ci ricorda il numero di quella
che stiamo percorrendo e quella che arriverà. Una diversa dall’altra, gallerie corte, lunghissime, con aperture verso il lato della montagna chiamati pozzi di luce
e dopo un pò ti chiedi come abbiano potuto adattarsi
degli uomini in queste condizioni: buio, freddo, umidità,
solitudine, malattie, fame, sofferenza, morte. Su questo
monte pensate, trasportando morti e feriti lo scrittore
Ernest Hemingway scriverà il romanzo “Addio alle armi”
pubblicato nel 1929.
Percorro questi buchi come una talpa dentro a un dedalo di cunicoli attenta a non perdersi in questa montagna
addomesticata e ridotta ad un pezzo di groviera. Verso la
fine del percorso ho quasi l’impressione di sentire le voci
di chi per anni abitò questi luoghi, ma è solo il gioco del
vento che entrando a forza nelle gallerie produce mille
suoni incomprensibili ma che ti fanno rabbrividire. Cerco
l’uscita dall’assurdo che li ha creati in un clima uggioso
dove una nebbia fitta appesantisce i nostri abiti e pene-
tra indisturbata nelle nostre ossa.
Superata la 52esima galleria arriviamo finalmente alle
Porte del monte Pasubio e ci avviamo al rifugio Achille
Papa 1926 mt dove un camino acceso asciugherà i nostri
vestiti bagnati e una tazza di tè bollente riscalderà le nostre ossa. Il gruppo si prepara al meritato riposo in attesa
di gustare l’ottima cena preparata dal gestore del rifugio.
Una notte senza stelle ci accompagna al sonno. Ci svegliamo presto e il sole albeggiando sui monti del Pasubio ci offrirà un panorama nascosto che non ci era stato
dato di vedere e tutta la vallata si mostra nella sua bellezza e la pace che senti ti riempie l’anima.
Ci incamminiamo lungo i percorsi di guerra quelli veri
lungo le trincee chiamati: dente degli Italiani e dente degli austriaci. Arriviamo dopo due ore di cammino a 2200
mt e qui, “fischia il vento e infuria la bufera”, dentro una
nebbia fitta e un vento freddo che non ci permette di vedere chi ci precede, attraversiamo i cimiteri italiani e austriaci in quella che oggi è chiamata la strada della pace.
Un percorso segnato da molte croci dove morirono circa
800 uomini al giorno sui diversi fronti di guerra. Soldati
che si fronteggiavano trovandosi ad una distanza di 220
mt. Si uccidevano per conquistare una roccia di giorno e
perderla di notte per un costo di 8000 morti.
Restiamo li impressionati ed esausti, vediamo fili spinati rimasti raccolti in gomitoli, pezzi di ferro usati come
sportelli ad uso dei cecchini e leggiamo cartelli che ci
raccontano la nostra tragedia Europea.
Ripartiamo, affrontando una discesa di 1100 mt. che
metterà a dura prova i miei muscoli stanchi.
Scendendo al piano tutto si ridimensiona, ci allontaniamo dalla storia per entrare nella nostra quotidianità. Arriviamo alle macchine appagati e contenti di avercela fatta e salutandoci affettuosamente percorriamo la strada
del ritorno a Milano convinti di aver arricchito il nostro
zaino di storie da raccontare.
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Gli Italiani di Crimea
al Ministero degli Affari Esteri:
fra attese, speranze e delusioni
‘Com’è andato a Roma? Ci sono le
promesse vere?’ Anna Fedorova,
fra le più attive nell’Associazione
‘Il CERKIO’ degli Italiani di Origine
a Kerch, in Crimea, sull’istmo fra
il Mar Nero e il Mar d’Azov, con
queste domande tocca il cuore
del problema che riguarda la condizione degli Italiani di Crimea,
deportati per ordine di Stalin il
29 gennaio 1942 e privi tutt’ora
del riconoscimento dello status
a differenza degli altri popoli, i
tedeschi, gli armeni, i greci, i bulgari e i tatari. Sul monumento che
ricorda nella piazza della stazione
di Kerch le deportazioni manca il
riferimento agli italiani. Eppure è da
anni ormai
che l’Associazione
il CERKIO
continua
ad accumulare
documenti
e testimonianze grazie all’incessante
l avo ro
della presidente Giulia
Giacchetti Boiko, sostenuta in Italia
dal prof. Giulio Vignoli, docente
universitario di diritto internazionale, e da numerose Associazioni e cittadini che riconoscono in
questa tragedia un diritto violato,
quello alla dignità di una popolaPagina 18
di Paolo Rausa
zione, proveniente per lo più dalle località rivierasche della Puglia,
da Bari, Bisceglie, Molfetta, Trani,
ecc. in diverse ondate, negli anni
‘20 e ‘40 e ’70 dell’Ottocento, che
qui aveva costituito una fiorente
comunità di almeno 5.000 abitanti. Aveva costruito una Chiesa e
assunto incarichi di primo piano
nella società. Di questa presenza
umana ora restano i figli o i nipoti dei sopravvissuti. Si parla di un
numero ridotto ormai a 300 individui. Da qui siamo partiti nell’incontro del 14 maggio con gli Alti
Dirigenti del Ministero degli Affari Esteri per porre fine a questa
ingiustizia. E’ vero che le responsabilità del fatto che la situazione
non sia stata risolta ricadono sul
passato, ma il problema persiste
e quindi occorre – è stato ribadi-
to dalla delegazione convenuta
– riprendere a tal fine l’azione nei
confronti delle Autorità Ucraine e Russe. Sappiamo, come ci è
stato chiarito se ce ne fosse bisogno, che la situazione in Crimea è
molto difficile e che la diplomazia
italiana e internazionale non riconoscono l’avvenuta annessione
della Russia, illegittima benché
mascherata da un referendum
svolto sotto la ‘protezione’ del suo
esercito. La delegazione degli Italiani di Crimea era rappresentata
direttamente dalle allieve che
partecipano ai corsi di lingua e
cultura italiana presso la Società
Dante Alighieri,
qui giunta con
un funzionario,
da una ex allieva
che è rimasta in
Italia e ha svolto
l’opera preziosa
di interprete dal
russo in italiano, da un figlio
di profughi con
tanto di certificato rilasciato dal Governo
Facta al nonno
che nel 1920,
all’indomani del
Congresso
di
Losanna, aveva
perso le speranze di una dissoluzione della Russia e aveva preferito abbandonare la Crimea per ritornarsene a
Genova, e da una rappresentanza
dell’Associazione Regionale Pugliesi di Milano, che da quattro
anni con convegni, cerimonie di
ricordo e partecipazione alla cerimonia di Kerch segue la vicenda, perché nell’Associazione c’è
la componente in piccolo degli
emigrati pugliesi in Crimea. Inoltre le questioni trattate
sono state molte altre:
la cittadinanza italiana,
la cui concessione è subordinata a richieste singole e prevede che non
ci sia stata interruzione
di godimento, mentre
dalle testimonianze raccolte dai libri curati da
Giulia Giacchetti e da
Giulio Vignoli risulta che
i deportati furono privati
dei passaporti su cui era riportata l’indicazione della loro cittadinanza italiana; le borse di studio
– la domanda scade il 28 maggio
- che pur continuando ad essere erogate per la comunità degli
italiani di Crimea con riferimento
all’Ambasciata di Kiev, si avranno
dei problemi ad usufruire perché la Crimea è stata annessa e
fa parte di un altro Stato, la Russia – con chi si relazioneranno gli
studenti per i permessi?; l’aspetto
culturale molto importante delle
biblioteche da inviare in Crimea;
l’organizzazione dei corsi direttamente a Kerch per permettere
la partecipazione del maggior
numero possibile dei cittadini di
origine italiana; programmi predisposti dalla Regione Puglia che
coinvolgano gli anziani in uno
scambio in modo che possano rivedere le sponde da cui partirono
i loro nonni, anche se la Regione
inspiegabilmente non ha assunto
finora la vicenda su di sé; infine la
raccolta di materiale documentario, librario e visivo da consegnare
al Museo delle Migrazioni aperto
di recente all’interno dell’Altare della Patria. Tutte cose
importanti che richiedono
l’intervento del Parlamento
per una legge deroga che
allarghi il diritto alla cittadinanza a questa nostra comunità che conserva nel sangue e nel cuore una italianità
eroica, come si può ben vedere dalla bandiera e dalla
carta geografica dell’Italia
appese sulle pareti del locale posto in un seminterrato, la
loro scuola! Non possiamo tradire
la loro fiducia e le loro speranze!
Perciò è necessario che i mille rivoli di solidarietà si riuniscano
per fare la dovuta pressione verso
le Autorità, cosicché accolgano
questi fratelli, vittime di sventure
della storia ma non della nostra
dis/umanità!
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SANTA SCORESE
di Alfredo Traversa
DUE SOGNI CHE SI UNISCONO
di Francesco Lenoci
va spesso a Bologna nella sede
centrale delle missionarie. Nel
contempo frequenta l’Università
a Bari, si iscrive a Pedagogia. Da
alcuni anni Santa sta scrivendo
un diario personale (lo si scoprirà
solo alla sua morte), un diario particolare perché è un vero e proprio epistolario tra lei e Dio. La sua
attività e presenza nei movimenti
di preghiera e di volontariato non
passa inosservata. Purtroppo un
uomo che ha la fissa di farsi prete
(è stato già allontanato da diverse
parrocchie) imbratta le vie di Bari
con scritte e frasi sconcie su Dio,
Nasce in via Dante a Bari nel feb- la Madonna... Quest’uomo pedibraio 1968. E’ la seconda figlia di na Santa, la segue dovunque per
Piero Scorese (poliziotto alla Que- ben tre anni.
stura di Bari) e di Angela D’Achil- La ragazza racconta tutto in famile, la sorella maggiore si chiama glia ed il padre la porta in QueRosamaria. Sin da piccola è la pe- stura, ma le denunce non portaperino della casa. Per via del suo no nessun risultato. La famiglia si
nome il parroco scherza sempre trasferisce in un paese vicino Bari,
con lei auspicandole un futuro da a Palo del Colle. L’uomo prende
santa. Santa si forma nella Chie- il treno e la segue anche qui. Gli
sa del Redentore con i Salesiani amici della giovane sempre acdi Bari. E’ attiva nella Croce Ros- compagnano Santa nelle attività
sa, nell’Azione Cattolica nel mo- quotidiane o all’Università. Una
vimento “I focolari”. A
Bari frequenta il liceo
classico ‘Orazio Flacco’. Ad un certo punto
della sua giovane esistenza non le basta più
dedicarsi al volontariato, sente la necessità di
una scelta radicale. Nel
1988 riunisce i familairi
e comunica la sua decisione di farsi suora e
di entrare nella Milizia
dell’Immacolata di Padre Kolbe. Per queste
ragioni, oltre alla Comunità presente a Bari
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sera però dopo la catechesi Santa
torna a casa da sola. Ad aspettarla nascosto c’è quest’uomo che
vedendola la ferisce a morte con
tredici pugnalate. Piero, che è affacciato al balcone, vede tutta la
scena e corre giù per soccorrere
la figlia, ma invano. Portata al policlinico di Bari morirà poche ore
dopo.
L’allora Arcivescovo di Bari, Mons.
Mariano Magrassi, dopo la lettura attenta del diario e la testimonianza di oltre cento testimoni
dichiara Santa Scorese ‘serva di
Dio’ e trasmette gli atti ed il diario presso la Congregazione per
le Cause dei Santi in Vaticano. Anche il Vescovo Mons. Luciano Bux
interviene e scrive una preghiera
ufficiale per Santa.
L’opera di testimonianza sulla vita
di Santa è ricca di occasioni e di
incontri, in Italia ed all’estero la
sua incredibile vicenda è nota e
diversi sono i gruppi di preghiera
e di comunità giovanili che riflettono annualmente su questa giovane pugliese.
A Milano, nel 1947, due ragazzi di 26
e 28 anni, Giorgio Strehler e Paolo
Grassi, inventarono un sogno: il Piccolo Teatro di Milano. Al loro fianco
c’era una ragazza: Nina Vinchi.
Strehler, Grassi, Vinchi, un sodalizio a
tre che ha fatto la storia del teatro, a
Milano, in Italia, nel Mondo, che ha
saputo fare della sala di via Rovello
uno dei maggiori centri culturali europei.
A Martina Franca, nel 1975, un gruppo di appassionati musicofili, capeggiati da Alessandro Caroli, con
il determinante supporto di Franco
Punzi, allora Sindaco della Città Pugliese e di Paolo Grassi, all’epoca sovrintendente del Teatro alla Scala, inventarono un altro sogno: il Festival
della Valle d’Itria.
È proprio vero (e non mi stancherò
mai di ripeterlo): “Se non si sogna,
non si progetta. E se non si progetta,
non si realizza”.
È incredibile a dirsi ma, ogni anno,
nel ricordo di Paolo Grassi, i due citati sogni annullano i 1.000 km che li
separano e si uniscono. Ciò avviene
ogni anno, senza soluzione di continuità, al punto che Sergio Escobar
è solito dire: “Il Festival della Valle
d’Itria è una costola del Piccolo Teatro di Milano. E il Piccolo Teatro di Milano è una costola del Festival della
Valle d’Itria”.
È un pensiero che arriva dritto al mio
cuore, facendomi emozionare.
Così come mi fa emozionare la strategia del Festival.
“Tempi di crisi e di paure diffuse, di
necessaria prudenza e di rinunce
forzose, ma per un Festival che sente
l’alto richiamo del servizio pubblico
alla Cultura arretrare e chiudersi in
difesa è una soluzione semplicemente non percorribile.
Il Festival della Valle d’Itria accetta la sfida, nella con- vinzione
che l’unica risposta possibile, per
una società smarrita, sia stringersi
intorno ai propri valori.
E quindi rilancia, scommettendo sulla curiosità e qualità del suo pubblico, trovando coraggio nelle proprie
radici e cercando di trasformarsi con
sempre maggior convinzione in un
laboratorio pubblico di idee, creatività, emozioni, dibattito”.
Ciò, nonostante lo straordinario monito di Paolo Grassi, ricordato da Alberto Triola, Direttore Artistico del
Festival della Valle d’Itria il 21 maggio 2014 presso il Piccolo Teatro di
Milano:
“Un’idea di fare teatro, in un modo
diverso dagli altri, non vi servirà molto. Anzi, vi farà soffrire di più.
Ma sarà anche il segno del vostro orgoglio. Portate con voi l’esempio di
una moralità teatrale per un mondo
migliore e più buono. Non dimenticatevi: in epoche oscure anche le
luci più tenui brillano come stelle. E
ricordatevi anche che, nonostante
tutto, il Mondo non finisce qui. Che
il Teatro non finisce qui”.
Martina Franca, la Città che - dal 18
luglio al 3 agosto 2014 - porterà i
protagonisti e il pubblico del Festival
della Valle d’Itria, grazie a programmi
di musica vocale spirituale, mottetti
e madrigali, a scoprire le sue chiese,
i suoi chiostri e dintorni in fasce orarie inedite: il mezzogiorno domenicale (All’ora sesta), tutti i sabati alle
ore 18,00 (I concerti del sorbetto) e
nella suggestiva atmosfera notturna
(l’inizio di Canta la notte è fissato a
mezzanotte).
Sia lode e gloria al Festival della Valle
d’Itria, un sogno pugliese-milanese
che da 40 anni inorgoglisce ed emoziona nel nome della Cultura.
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Pietre preziose
Devi tornare
dai luoghi lontani
dove le pietre
hanno un altro aspetto
e sono nel cuore
di chi incontri.
Devi tornare
a calpestare
pietre e zolle,
in un luogo
abitato solo
dalla natura.
Devi tonare
a incontrarti
solo con te stesso
e poi farti accompagnare
da un antico motivo
appena accennato.
Conosco la strada,
ogni passo è già stato fatto.
Strada pietrosa
muretti a secco
pigre lucertole al sole
ulivi argentati
giganteschi carrubi.
Il sentiero della nostra vita
dalla nascita in poi
è piena di pietre
su cui inciampiamo,
pietre con le quali
costruiamo muri
intorno a noi
altre che lastricano
la strada aiutando
il cammino.
Da ragazzo
raccoglievo sassi
di diversi colori,
li nascondevo
credendoli un tesoro.
Ora cerco
quel tesoro nascosto,
le pietre colorate
della vita
sono un dono,
ormai sono
tutto quello che rimane
del mio spirito bambino.
G.S.
Andrea Virgilio
Emi edizioni
CUCINA A 2 PIAZZE. INSIEME AI FORNELLI: LA RICETTA DELLA COPPIA FELICE
Recensioni a cura di Agostino Picicco
Questo primo volume di Andrea
Virgilio, che nella vita fa il ristoratore, coniuga il cibo e la cucina
alla sua esperienza di vita. Non è
un libro di cucina o di ricette, ma
un libro di vita. Di vita buona. Mi
sembra ben riuscito l’amalgama,
sulla trama della sua biografia, dei
vari contenuti del volume: i ricordi del passato, gli antichi sapori,
la saggezza dei consigli, le esperienze di vita (positive e negative,
ma tutte produttrici di nuova linfa e di sviluppi risolutivi), i valori
che ne sono alla base, la filosofia
di vita, il rapporto con se stesso,
la ricerca e l’individuazione della
felicità, l’attenzione agli altri. Insomma emerge il percorso di vita
dell’autore attraverso il cibo e la
cucina. In qualche modo il cibo
diventa la chiave interpretativa
della sua vita. La chiave del suo
successo professionale e personale. L’ingrediente alla
base dello stupore che sempre lo accompagna, della
passione per il lavoro, della sofferenza che pure ha col-
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pito la sua vita ed è diventato
motivo di riscatto ed elemento
di maturazione. E’ bello notare
come Virgilio descriva la cucina
in relazione all’amore e al matrimonio, il cibo quale motivo
di aggregazione, di allegria, di
compagnia, e anche di aiuto,
di sostegno morale, di consolazione. Interessante il cibo allo
snodo tra Sud e Nord d’Italia
in relazione alla sua esperienza di emigrante. L’importanza
che ogni cibo abbia i suoi riti
e i suoi tempi, come accade in
quei contesti rurali in cui la vita
è scandita dal ritmo delle stagioni e dai riti stabiliti dai padri,
proprio come ci descrivevano i
libri delle scuole elementari di
cinquant’anni fa. Insomma mi
è molto piaciuto il voler comunicare in questo libro il senso di
una vita, bella e buona, nel contesto del lavoro e della
famiglia, che diventano asse portante della felicità. Insieme al cibo e alla cucina, beninteso!
“A MEMORIA D’UOMO” DI OTELLO CONOCI
(Ed Insieme)
Serravecchia, città immaginaria della zona salentina, offre
lo scenario per l’ambientazione di vicende e racconti che
Otello Conoci dà alle stampe
tirandoli fuori dai cassetti della sua scrivania (scampoli di
opere già edite), della sua memoria, del suo passato.
Tre le chiavi di lettura dalle
quali partire per interpretare
i racconti, (e più ancora in filigrana) l’animo e il pensiero
dell’autore: la caratterizzazione ambientale, le emozioni, il
ricordo (volutamente al singolare).
La caratterizzazione ambientale, nella sua precisa illustrazione, offre un contesto
di paese della metà del secolo scorso, lontano anni luce
dall’attuale contesto globalizzato: un mondo di vicende familiari, intrecci, chiese,
piazze, strade, monumenti,
campi, dove si svolge la vita di tante famiglie, placida
nello scorrere del tempo ma animata da passioni, talvolta intrighi, animosità, impeti di generosità e abnegazione. Immagini che riportano vecchie storie, cronache di
paese, paesaggi che riscaldano il cuore, frutto dell’amore
dell’autore per il suo paese, la sua terra, il suo passato, le
sue tradizioni.
Le emozioni sono quelle dell’autore che emergono dal
racconto di episodi e storielle che
hanno puntellato
il
suo vivere
e ne hanno
in qualche
modo forgiato il pensiero
e il sentimento. Un mondo
rurale, ricco di
tradizioni e usi
locali, che ha
altresì forgiato
il carattere e la vita dei suoi
abitanti.
Il ricordo - inteso più come
memoria del passato che
come insieme di singole vicende - è l’humus che consente all’autore di ritrovarsi
– o di riconciliarsi? – con il
passato della sua terra e
della sua storia. Un mondo
ormai scomparso ma vivo e
carico di valori, reso significativo dalle singole storie
di vita dei semplici e degli
umili, dalle quali traspare
una ricca umanità e il calore delle cose buone. Storie
fatte di piccoli interessi, ma
anche di bontà, di collaborazione, di buon vicinato.
Storie di amori, di miserie,
di riscatti. Scenette curiose,
con personaggi di paese, e
piccole lezioni di vita.
La memoria storica porta
l’autore ad inquadrare, in
modo discreto, anche il suo presente e a intravedere il
suo futuro. La metafora la fa da padrona nell’individuare i percorsi dell’esistenza e nel dare un giudizio (se così
si può dire) al passato, talvolta venato da tristezza e da
qualche solitudine, da un’aspirazione mancata, da un
passo indietro, da una fuga. Talvolta la conclusione di
una storia è affidata più alla immaginazione del lettore,
c’è un “dire-non dire”, una sfumatura di grigio, che a chi
non è allenato alla metafora esistenziale potrebbe sembrare addirittura pessimismo o stanchezza. Magari non
c’è un lieto fine a tutti i costi ma un anelito di speranza è
lecito coglierlo nell’intreccio delle vicende.
E alla fine il lettore si accorge, o quanto meno così è parso a me, che l’illustrazione del tempo che fu, delle storie
antiche tramandate dalla tradizione orale, della vita nascosta di Serravecchia, non sono che una scusa – o l’artificio letterario - dell’autore per parlare di quel tempo che
è la sua vita, di quel ricordo che gli scalda il cuore, per
lasciare ai posteri un po’ delle sue emozioni e una traccia
definita della memoria del passato, che nella sistematica
dello scritto continuerà ancora a vivere.
A memoria d’uomo, appunto!
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Imprenditoria Giovanile...
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Tacco&Sperone Numero 10 - Associazione Regionale Pugliesi