L’ALCHEMICA NOTTE
DI MARC E BELLA CHAGALL
DI
IRENE BATTAGLINI
Allora Shahrazad disse a sua sorella di prestarle attenzione: e rivoltasi quindi
a Schahriar diè principio alla narrazione della prima novella, la quale, non
essendo terminata collo spuntar del sole, fu capace di interessare la curiosità
del Sultano.
«Per Allah – disse il re, - non la ucciderò finché non avrò udito il seguito del
suo racconto» E trascorsero quel che restava della notte addormentati l’uno
nelle braccia dell’altra, finché spuntò il giorno.
Il re le permise lasciarla dire il giorno appresso, e così interrottamente di
Novella in Novella poté la Favorita, col suo stratagemma, invogliare quel
Sire ad ascoltarla per mille e una notte.
LE MILLE E UNA NOTTE. NOVELLE ARABE.
INNER UNDERGROUND. RECENSIONI.
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Prato, 18 giugno 2012
«Pendo dal cielo spento di questa chiesa/ Intanto sogno il tempo d'amor
perduto/quel breve tempo che non ho mai vissuto»
LUCIO DALLA (ALL’ARTISTA AMICO ASPERTINI)
IL
lutto per la morte di Bella si stinge tutto nell’azzurro, come il sangue
porpora si stempera nel fiume vivido di acqua che scortica; il lutto della sua
perdita è nei fondi oscuri dei palazzi di Persia, si annida sotto i tetti lucidi
delle regge assolate come volo smarrito, si avvolge tra le pieghe dei vestiti
delle
concubine, come la violenza silenziosa della mietitrice sta negli sguardi dei mercanti e
dei maghi, disegnati in tutta la loro fredda e immorale miseria da Marc Chagall, (Vitebsk,
1887 – Saint-Paul de Vence, 1985).
La vedovanza dai colori accesi di Chagall è il luogo della regressione ad un’infanzia dai
contorni difficili, come ricordi rapidi e giustapposti in un superotto sfrangiato, senza
alcuna istanza di perfezione, coniugandosi a quel che Schahrazad fa dire agli amanti divisi
nella storia “Il cavallo d’ebano”, nel passaggio della trecentosessantatreesima notte:
II
non pensare che in me la tua assenza sia seme d’oblio:
a che varrebbe il ricordo, se dai miei ricordi tu fossi svanito?
Il tempo muore ma non muore mai per te lo sconfinato amore
e se amandoti morirò, amandoti riconoscerò.
Ossessionato dalla memoria, «i miei quadri sono i miei ricordi» come afferma nella sua
biografia, Chagall si fa toccare dalla psicologia della memoria di cui Shahrazade è
padrona e stratega. La memoria si fa scacchiere intarsiato, quasi a simulare una tavola
dell’Ars Memorativa di cui Petrarca fu maestro incomparabile, una tavola di giochi terribili
in cui questa creatura deliziosa scommette con la leggerezza del condannato a morte
tutta la questione di una vita, in una temeraria danza a piedi legati e a volto coperto,
sommesso, umile, fiero del suo solo credo. Tutte le questioni fondamentali del pensiero
occidentale, sintetizzate nel verso di un’amante negata: assenza, oblio, ricordo,
decadimento, tempo, morte, amore, eternità, rinascita. Il rapporto con Dio si fa stretta
congruenza nella speranza di giustizia, animata dalla persuasione del pensiero che si
avviluppa come una coperta calda e sicura intorno al cuore ferito.
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La memoria ha un senso solo se può mantenere il ricordo, come una taglia-e-cuci che
deve continuamente fare i conti con gli angoli, i bordi, gli strappi, le disuguaglianze delle
cose che non sono più adatte al presente. Le vesti non hanno più orli, i monili
splendenti sono corrosi, i poteri del re sono nel giogo di una donna. Una memoria
quella dipinta da Chagall, disponibile al gioco del sogno che riunisce, come nella
litografia n. 13 “La notte di Shahrazad”, una alchimia di albedo e rubedo, di “fiamma
che brucia” in un “fuoco blu”, come una fotografia sviluppata al tempo intermedio e a
mezza luce, troppo presto liberata dal buio in cui il segno diviene forma e spazio.
Sostiene James Hillman in “Blu alchemico e unio mentalis”
Gli aspetti che siamo andati scoprendo in questa amplificazione mettono in
rilievo l'importanza del blu nel processo alchemico. Qualcosa di essenziale
andrebbe perduto se l'apparire del bianco non fosse che il risultato di una
liberazione dall'oscurità; qualcosa deve incorporare nell'albedo una risonanza, una
fedeltà a quel che è accaduto, e trasmetterne la sofferenza con un'altra sfumatura:
non più come dolore lancinante, come decomposizione o come memoria della
depressione, ma come valore.
Il valore fa parte della fenomenologia dell'argento: il senso del valore delle
realtà psichiche non si genera soltanto dal sollievo alla più nera disperazione. È
proprio il blu che da valore al bianco, nei modi che abbiamo indicato, e
specialmente con l'introdurre preoccupazioni di ordine morale, intellettuale e
religioso; così portando alla mente imbiancata una capacità di valutare le
immagini, di dedicarvisi con devozione, e un senso della loro verità, invece di
riflettere semplicemente lo spettacolo che offrono considerandolo una fantasia.
Un desiderio di fuga, gli amanti che volano, o piuttosto la rappresentazione del luogo
inatterrabile in cui gli amanti con-fondono le loro immagini, a costruire città il cui ordine
è governato dalle sfumature degli abiti delle spose, dalla musica persuasiva del violinista,
dalla mirabolante gioiosità di acrobati e giocolieri? Città, quelle di Chagall, che tentano
una sintesi tra le radici di Vitebsk, - con le immagini della madre, e di Bella; e Parigi, città
in sostiene egli stesso essere «nato una seconda volta». A Parigi Chagall abbandona le
remore e i muschi della sua terra, e fa librare i colori in una sarabanda di tetti che si
fanno tappeti, di ombrelli che si fanno mongolfiere, di amanti e spose suggellati in un
fermo immagine di lilla, di bianco, di azzurro.
Nelle tavole che adornano le quattro storie scelte ne Le Mille e una notte a colori, illustrate da
Marc Chagall (Donzelli, 2011, pp. 239) la dolcezza delle donne lunari, la frenesia
dell’amore dei principi, si fa a malapena tratto e contorno per queste figure. Lo slancio
delle gambe si trasforma in una sorta di immobile omaggio alla bellezza perfetta
descritta da Shahrazad, i fianchi generosi delle ancelle vestite di broccato e di oro si fanno
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III
curva di bambina, gli sguardi pietosi dei dervisci tentati da giovani uomini concupiscenti
si fanno occhi di ragazzi imberbi.
Chagall accetta di illustrare le Novelle Arabe scegliendo quattro delle storie narrate da
Shahrazad al terribile sultano: Il cavallo d’ebano, Julnar del Mare, Abdullah della Terra e
Abdullah del Mare, Kamar al-Zaman.
Il tentativo di allontanare la morte, il fantasma aggressivo del “re felice” Schahriar
tradito da tutte le donne, che abbatte la sua falce saturnina sulle donne che gli si
accostano, è docile materia di colore nei suoi lavori di illustrazione.
La morte di Bella è inaccettabile, ed è il fiore ghiacciato del destino che si inscrive sulle
pietre di Vitebsk, nei primi anni di vita sfigurati dal freddo, dall’ambiente scarno, spento.
Per un uomo come Marc Chagall, sensibile ed eccentrico, un talento ineguagliato
originale e senza pieghe di identità, la morte di Bella non può essere ratificata. Non è che
una gemmazione della sua esistenza in vita, le tavole a colori le “occasioni” per
celebrarne con delicata veemenza maschile il talento di scrittrice: il marito illustrerà con
devozione il Diario Sentimentale, tre anni dopo la sua scomparsa.
A Bella si allude nei corpi allungati come lance, nel blu profondo e lunare in cui
s’avverte un’alba di solitudine, a Bella si incide il desiderio d’amore in ogni singolo tratto
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IV
di matita scura che simula il kohl delle donne persiane: così può essere presente oltre il
giorno disegnato, oltre l’oriente dell’amore separato. Donne bellissime e magre, di un
tempo ancora senza storia come il nostro, donne con il volto scoperto, abbellite di luce
serale, coperte da collane lunghissime come abiti da sera, sensualissime, eppure glabre,
tenere, dai capelli sciolti e leggeri, libellule carezzevoli, aurorali, distese in un campo di
azzurro come appena morte. Dipinte dalla mano senza rimorsi di Chagall.
Nella sua pittura si ravvisano le stesse oscillazioni di Amedeo Modigliani, un affetto
discreto per le avanguardie, e un farsi docilmente attraversare dalle correnti dominanti,
mantenendo sempre la cifra di nascita. Tormentato dai ricordi di Bella, della loro vita
insieme, e soprattutto della vita di Bella prima di incontrarlo, dipinge braccia che si
devono allacciare ai fianchi per non sperdersi, stelle che si devono appiccicare come di
stagnola, per librarsi nella loro polvere divina.
Egli è orientale e russo, incorona uomini bellissimi, dipinge donne-sirene, noctiluche dal
ventre imperlato di figli innumerevoli, immersi tutti nel porpora che abbraccia, nel blu
che naufraga, nel bianco che vìola la morte.
Definito “fantastico”, “onirico”, “fantasmagorico”, dall’ “ispirazione infantile”, egli è
un pittore provato dall’esistenza, che si libera dalle categorie per la via alchemica
dell’amore. Egli sa guardare e ritrarre a sé la bellezza del mondo, e nella bellezza del
mondo stanno le sue lacrime per Bella. Le lacrime di Bella per essersene andata, per aver
avuto il coraggio di guardare sorridendo l’amato nel giorno dell’addio estremo, sapendo
che lui sarebbe rimasto a creare quei nuovi colori che ella ancora aveva da mostrargli.
Quei segreti, quelle cose piccole di una donna con le sue lettere, i suoi diari, tutti donati
alla cura di colui che rimase fedele al suo ricordo. Ebbe un’altra moglie, Chagall:
Valentina. E nei suoi occhi incontrò forse il palmo che raccoglie le lacrime che
finirebbero inghiottite, divorate anche queste dal petto di chi è solo.
Le pagine a colori, come i bozzetti a matita, si danno al lettore con lo stesso candore con
cui Bella si dà allo sguardo del marito: «Aprendo gli occhi per la prima volta incontrai il
mondo, la città e la casa, che poi, poco a poco, si fissarono in me per sempre. Dopo
incontrai una ragazza. Ella attraversò il mio cuore e si assise nelle mie tele» (Marc
Chagall, 1933). E ancora dirà: «Mia soltanto è la patria della mia anima. Vi posso entrare
senza passaporto e mi sento a casa; essa vede la mia tristezza e la mia solitudine ma non
vi sono case: furono distrutte durante la mia infanzia, i loro inquilini volano ora nell'aria
in cerca di una casa, vivono nella mia anima. Ci fu un tempo in cui avevo due teste, vi fu
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V
un tempo in cui questi volti erano bagnati dalla rugiada dell'amore e disciolti come
profumo di rosa. Ora mi sembra che anche quando indietreggio avanzo verso un’ampia
porta, oltre la porta ci sono ampie distese di pareti, rombi di tuoni smorzati e lampi
spezzati riposano. Mia soltanto è la patria della mia anima».
Bella è in tutte le donne delle Novelle Arabe. E’ imago sublime, impalpabile, portata via
dal vento, incantatrice di anima, poetessa di una favola russa che racconta di una sposa
senza radici, che si infilza nel cuore, patria ultima dell’anima, che altrimenti s’alzerebbe
nel vento come un aquilone, come le diecimila foglie vaganti nell’aria di un haiku senza
fine, come la nuvola che senz’avvisare muta, in una elementare estetica del perenne, il
proprio volto.
L’identità Bella = Shahrazad è tautologica. Shahrazad tiene in vita non già se stessa, ma un
intero regno, una stirpe che diversamente si estinguerebbe sotto il dominio di Crono, il
dio ingiusto e senza tenerezza, incurante dei figli, che divora le notti e insemina giovani
creature già tolte alle vita.
Shahrazad usa la storia, perché ella è la storia, depositaria di tradizione, per questo il re
non la può uccidere: ucciderebbe se stesso, il suo lignaggio, e la sua unica possibilità di
discendenza. Shahrazad è l’unica che sa mantenere alta la tensione erotica del sultano,
ancorandolo ad una narrazione inanellata di stratagemmi eleganti, di bugie segrete come
gemme preziose che si gingillano sulle labbra umide e voraci di Schahriar, come gli oli
profumati che scivolano sulla pelle d’ambra del suo «re felice».
Chagall farà così con Bella, Polimnia di un coro a due voci, che ancora si sentono
duellarsi nel dolore fremente di un mondo azzurro e fratturato dell’amore la cui sola
colpa è aver sfiorato le sponde della felicità. Forse che all’uomo che si avvicini troppo al
paradiso, non è dato di soggiornarvi troppo a lungo.
Le lascerà raccontare del loro amore, firmandone per sempre il canto, del suo blu, del
suo viola, del suo porpora, non esitando a donare alla sua donna la pittura che ne fece
un autore universale. Lui avrebbe dipinto sulle tele quel che lei sapeva scrivergli sulla
pelle.
Le Mille e una Notte a colori.
Illustrate da Marc Chagall. Donzelli, 2011, pp. 239.
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