2
Ministero dell’Università e della Ricerca
a.f.a.m.
ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI PALERMO
DIPLOMA ACCADEMICO DI PRIMO LIVELLO
IN
PROGETTISTA DI MODA
A.A. 2011-2012
TRUCCHI DEL NOVECENTO.
LA COSMESI FEMMINILE NEL XX SECOLO
di
chiara ilarda
Relatore
Prof. Vittorio Ugo Vicari
3
4
INDICE
- Introduzione
p. 9
- Capitolo I. Evoluzione del trucco nel mondo occidentale
dal ‘900 ad oggi
1.I primi del secolo
2.I ruggenti anni ’20
3.La crisi dei ’30
4.La guerra e il glamour
5.Il boom economico
6.La ribellione
7.Il ritorno alla natura
8.Gli aggressivi ’80
9.Contemporaneamente…
p.15
p.24
p.33
p.43
p.53
p.61
p.68
p.79
p.88
- Capitolo II. Icone di bellezza
1.Mata Hari
2.Josephine Baker
3.Louise Brooks
4.Jean Harlow
5.Marlene Dietrich
6.Lauren Bacall
7.Marilyn Monroe
8.Liz Taylor
9.Mina
10.Audrey Hepburn
11.Twiggy
12.Patty Pravo
13.Cher
14.Madonna
15.Anna oxa
16.Kate Moss
17.Lady Gaga
p.101
p.102
p.105
p.108
p.112
p.115
p.117
p.124
p.128
p.133
p.140
p.145
p.150
p.157
p.166
p.171
p.177
5
- Capitolo III. Case cosmetiche e make up artists: una
rassegna
1.Max Factor
2.Helena Rubinstein
3.Elizabeth Arden
4.Maybelline
5.Revlon
6.Shu Uemura
7.Toskan e Angelo (M.A.C.)
8.Pat Mc Grath
p.187
p.191
p.196
p.200
p.206
p.210
p.216
p.219
- Apparati
Glossario
Ricettario
Indice delle illustrazioni
Bibliografia
Sitografia
p.225
p.227
p.233
p.247
p.249
6
7
8
Introduzione
I canoni di bellezza sono costantemente soggetti ad
influenze, modifiche ed evoluzioni. Di pari passo
alla società e alle mode, essi sono in perenne
metamorfosi ed è proprio su questa mutevolezza
che si regge tutto il “fashion system”. Gli ideali di
bellezza, così come la moda, esistono grazie al
carattere di ciclicità che li contraddistingue e che è
intrinseco al concetto stesso di “bello” (così come
lo intendiamo oggi nel XXI secolo).
Questo aspetto, di fondamentale importanza, e la
comune capacità di veicolare visivamente ed
immediatamente messaggi ed informazioni sono
solo due dei punti che hanno in comune la “moda”
ed il “make up”, nonché una delle motivazioni che
mi hanno spinto ad incentrare il lavoro di questa
tesi sull’argomento della cosmesi.
Tra gli obiettivi preposti, oltre quello di integrare
gli studi affrontati durante il percorso accademico,
vi era il comprendere in modo più esaustivo fino a
che punto un elemento apparentemente “frivolo”
come il trucco potesse influenzare socialmente e
psicologicamente la collettività e come ciò
avvenisse di decennio in decennio.
L’opera, su cui probabilmente vi sarebbe ancora
tanto da aggiungere, si propone come una
condensazione di testimonianze raccolte attraverso
la consultazione di molteplici fonti e vuole
tracciare l’evoluzione del trucco e delle abitudini
9
ad esso correlate nel corso di uno dei secoli più
variegati ed affascinanti della Storia.
Con questa finalità ci si è avvalsi di fonti
bibliografiche ma soprattutto di riferimenti
iconografici e filmografici, sfruttando anche
l’enorme banca-dati offerta da Internet, che ha
sopperito alla quasi totale mancanza di fonti
bibliografiche italiane con particolare riferimento
all’argomento “make up”.
Nel primo capitolo, nocciolo fondamentale
dell’intero lavoro di tesi, affronto una sorta di
“viaggio
nel
tempo”,
contestualizzando
storicamente i diversi stili cosmetici e le relative
influenze sui canoni di bellezza femminili. Mentre
nei successivi due capitoli, prima con l’analisi di
diversi casi studio desunti dal mondo delle
celebrità, ed in seguito attraverso una rassegna di
case cosmetiche e make up artist di rilievo, si è
inteso integrare ed arricchire con ulteriori spunti il
panorama designato in precedenza.
Durante la stesura della tesi ho inoltre partecipato
attivamente, in qualità di truccatrice, ad uno stage
presso la Fondazione Teatro Massimo di Palermo.
Questa esperienza, rivelatasi altamente formativa,
mi ha procurato un consistente arricchimento
personale sia sul piano umano che professionale.
In più, mi ha aiutato a sviluppare la parte
laboratoriale del progetto che, discostandosi dal
carattere compilativo della parte “teorica”, mette in
10
luce l’aspetto più originale e di interpretazione
personale dell’argomento di tesi, attraverso la
realizzazione di tavole illustrate, di un servizio
fotografico e di un trailer in dvd.
Molteplici le conclusioni:
-
-
-
l’acquisizione
di
una
diversa
consapevolezza della “bellezza” con una
conseguente nascita di riflessioni socioantropologiche;
la prova che il make up è importante per
l’individuo come per la società, in quanto
veicolo di comunicazione ed esternazione
di una realtà interiore;
attraverso la disamina della vita di alcuni
personaggi famosi, il ciclico e talvolta
inconscio ripresentarsi di mode, canoni e
retaggi culturali di antica memoria,
profondamente radicati nel patrimonio
culturale – nella fattispecie estetico – di
ognuno di noi.
Desidero ringraziare coloro che mi hanno
supportata durante il periodo di stesura di questo
lavoro: la fondazione Teatro Massimo, che mi ha
dato la possibilità di partecipare ad uno stage
estremamente edificante; il professor Vittorio Ugo
Vicari, mio relatore e punto di riferimento; nonché
11
i miei cari, che mi sono stati vicini in questo
cammino.
12
13
14
Capitolo I
Evoluzione del trucco
nel mondo occidentale dal’900 ad oggi
1. I primi del secolo
Gli anni dalla fine dell’800 (18951 circa), all’inizio
della prima Guerra mondiale, passati alla storia
come “Belle Epoque”, sono stati definiti l’ultimo
periodo di splendore per le classi dominanti. Prima
che gli sconvolgimenti e il primo conflitto
mondiale travolgessero tutto, si attraversò un
momento di benessere spensieratezza e
divertimenti, dovuto al miglioramento della qualità
di vita di quasi tutti i ceti della società. Dalla fine
dell'ottocento in poi le invenzioni e i progressi
della tecnica e della scienza furono senza paragoni
rispetto alle epoche precedenti: l'illuminazione
elettrica (in Italia nel maggio 1884), la radio, la
pastorizzazione, la penicillina, il vaccino per la
tubercolosi ed altre comodità, contribuirono tutte
ad un netto miglioramento della qualità della vita e
1
Il 1895 fu l’anno in cui si concluse la prima Grande
Depressione, un periodo di deflazione causato da una crisi di
sovrapproduzione economica, prima agraria e in seguito
anche industriale. Crisi che colpì la società occidentale con la
caduta dei prezzi, riduzioni salariali e conseguente riduzione
dei consumi.
15
al conseguente diffondersi di un senso di
ottimismo.
Nelle strade circolavano le prime automobili,
nelle grandi città vennero eretti grattacieli,
l’aeroplano era ormai una realtà. Le continue
importanti scoperte e innovazioni tecnologiche
lasciavano sperare che in poco tempo si sarebbe
trovata una soluzione a tutti i problemi e malattie.
Debellata la maggior parte delle epidemie e ridotta
notevolmente la mortalità infantile, gli abitanti del
pianeta toccavano ormai il miliardo e mezzo.
Anche l’arte, specchio della società, cercò nuovi
linguaggi espressivi con il movimento estetico
dell’Art Nouveau e l’Impressionismo. Il cinema,
muove i primissimi passi (il brevetto del
cinematografo, da parte di Louis Lumière avvenne
nel 1894) distaccandosi progressivamente dal suo
stampo embrionale, e avvicinandosi sempre più
alla sua forma, concezione e utilità odierni.
L’Esposizione Universale di Parigi (1889),
un'incredibile mostra nella quale venivano esposte
tutte le innovazioni più recenti, sanciva i grandi
progressi della scienza e dell’industria: persone da
tutto il mondo sbarcavano in Francia per prendervi
parte. La gente ne visitava ogni padiglione e ne
ammirava tutti gli aspetti: scale mobili dette Tapis
roulant, tram elettrici, la stessa struttura che
ospitava la fiera era un capolavoro di innovazione,
un’architettura gigante e “provvisoria”, costruita
16
come fosse un’enorme serra smontabile in ferro e
vetro: i materiali del futuro.
Durante
la
Belle
Epoque
tutto
era
sovradimensionato: numerosissime erano le feste, i
ricevimenti sfarzosi, le occasioni di svago. Nei
caffè-concerto le ballerine di can can agitavano
gonne piene di volant, mostrando le gambe avvolte
in calze nere, giarrettiere preziose e sottovesti
merlettate. Le dame, invece, con l’eccezione delle
vistose scollature degli abiti da sera, continuavano
a coprire interamente il loro corpo. La moda
subiva ancora fortemente l’influenza degli anni
precedenti, ma non mancarono alcune novità. La
figura femminile acquistò alterigia e slancio, con
abiti e accessori che la assottigliavano facendola
protendere verso l’alto (le piume nei cappelli e le
gonne a corolla, davano una spinta ascensionale
alla figura).
La donna ideale di quel periodo era una donna
matura, padrona di sé ed imperiosa, con il busto
piuttosto fiorente messo ancora più in risalto dai
corsetti detti “della salute”: corsetti intimi che con
il lodevole intento di impedire la pressione
dall’alto verso il basso, costringevano il corpo
della donna, facendole assumere una postura ad
“S”, postura che divenne caratteristica dell’estetica
femminile del periodo.
I canoni di bellezza e rispettabilità della donna
erano ancora piuttosto ancorati ai dettami del
secolo precedente. In quegli anni, infatti, il
17
maquillage era usato in modo molto discreto e non
per tutti una spolverata di cipria2 era generalmente
consentita. Gradualmente però tutto divenne meno
castigato: aumentarono gli artifici per sedurre, i
mezzi per valorizzarsi e, di pari passo alle nuove
scoperte, anche nel mondo della cosmesi si
introdussero delle novità. Donne come la Bella
Otero (1868-1965), e Mata Hari (v. infra, cap. II, §
1) brune torride dalla pelle d'alabastro, evocavano
un mondo sensuale di odalische e beduine (che si
contrapponeva al precedente periodo vittoriano –
dal 1837 al 1901 –, rinomato per il suo
bigottismo), ed erano la combinazione di colori e
lineamenti che andava per la maggiore, tuttavia
anche bellezze algide e dai colori chiari non erano
disdegnate.
Bionde o brune, tutte adoperavano la cipria
(fig.1) (che era già in uso da secoli) che dava al
2
La cipria è uno dei più antichi cosmetici, il suo nome deriva
dall’isola di Cipro ed è direttamente collegato al suo uso:
l’importanza primaria della cipria è infatti quella di far
apparire più curate e quindi più belle le donne e l’isola di
Cipro, in età classica, era intitolata alla dea Venere,
protettrice dell’amore e simbolo di massima bellezza. Non si
sa molto circa le origini della cipria: pare che essa fosse
utilizzata già nell’antico Egitto, tra i Sumeri e persino in
Grecia ma probabilmente è di origine cinese o comunque
orientale. Indubbiamente si tratta di un fitoestratto: un amido
di riso o di frumento o di tuberi. All’inizio del’900,
cominciano a comparire le prime ciprie colorate, declinate in
diverse tonalità in modo da adattarsi ai diversi incarnati e ai
differenti momenti della giornata.
18
volto e al decolleté un aspetto porcellanato3 e
candido. Con la polvere di riso (in uso ancora
adesso, dal forte potere assorbente), col talco
(silicato di magnesio, diffusosi dagli Stati Uniti) o
con l'olio di rosa o di lavanda, le donne
illuminavano e uniformavano l'incarnato. Nel 1907
la rivista «Vogue» pubblicizzò un nuovo prodotto
per valorizzare le unghia. Si trattava di creme o
polveri tingenti da massaggiare sulle unghia per
colorarle lievemente; queste poi venivano
accuratamente lucidate con un panno di camoscio.
Era in uso anche una sorta di pasta lucidante
chiamata Graf’s Hyglo (fig. 2) ed una vernice
lucida trasparente da applicare con un pennello in
peli di cammello, ma l'effetto di questi arcaici top
coat svaniva nel giro di un giorno. Dovremo
aspettare l’invenzione delle vernici da carrozzeria,
3
C’è chi prese molto sul serio, il modo di dire “viso di
porcellana”: Franca Florio (1873-1950) ad esempio, fu una
pioniera dei trattamenti estetici (che oggi inseriremmo nella
chirurgia). Si recò infatti a Parigi per eseguire un trattamento
di dolorosa “seduta di smalto” per porcellanare il volto,
troppo scuro (olivastro) per tempi in cui l'abbronzatura non
era ancora uno status symbol. Questo vezzo era molto
pericoloso e fastidiosissimo ed era praticato dalle belle donne
dell’alta società dell’epoca. Veniva descritto dalle riviste di
quei tempi suscitando vero e proprio orrore: il trattamento
consisteva infatti nell’asportazione dell’epidermide a
pezzetti, poi si spruzzava sul viso un antisettico e vi si
passava lo smalto liquido, asciugandolo successivamente con
lo sventolio di un ventaglio.
19
negli anni ’20 per veder comparire il primo vero
smalto per unghia.
Per ciò che concerne il resto del trucco,
ufficialmente era disdicevole farne un uso
eccessivo. Il rosso sulle labbra e sulle gote era
solitamente appannaggio delle donne di
malcostume e dunque considerato scandaloso:
perciò non troviamo una grande varietà di
cosmetici o di colori; tuttavia le donne
desideravano apportare un tocco di colore in tutto
quel pallore e perciò usavano il rouge (sia sulle
labbra che sulle guance) di nascosto4.
Per enfatizzare leggermente la rima ciliare e le
sopracciglia si usava la punta di un chiodo di
garofano bruciata: questa, lasciava una traccia
color
antracite,
facilmente
sfumabile
e
dall’intensità modulabile (inoltre la forma del
chiodo di garofano permetteva una certa precisione
nell’applicazione, quasi come un applicatore in
spugna moderno). Per ciò che concerne le labbra,
esistevano prodotti nutrienti come lo stick per
labbra di Roger & Gallet (fig.3), prodotto nel 1910
e contenuto in un cilindretto di cartoncino5; lo stick
veniva spinto fuori da uno stantuffo e rappresenta
4
Un consiglio a riguardo, fornito dalle riviste di bellezza
dell'epoca era di mordicchiarsi le labbra e pizzicarsi le
guance vigorosamente prima di entrare in una sala. Questo
avrebbe riattivato la circolazione sanguigna dando un aspetto
più roseo e colorito senza l’uso di “polveri proibite”.
5
Il portarossetto in plastica o metallo, che conosciamo noi fu
inventato nel 1915 dall’americano Maurice Levy.
20
l’archetipo di rossetto come lo intendiamo
oggigiorno. Un po’ di colore alle labbra era
tollerato solo per le donne sposate o che avevano
superato i trent’anni. Dato quindi che la possibilità
di truccare il volto era soggetta a restrizioni, la
cura della persona verteva principalmente sull’uso
di creme antirughe (fig.4) o nutrienti come la cold
cream, varie cure di bellezza6 e sostanze sbiancanti
per la pelle del corpo e del viso, che spesso erano
altamente tossiche7 (oltre che sull’acconciare e
6
Tra il 1915 e il 1920 si incominciò a parlare di cure di
bellezza grazie ad Ella Adelia Fletcher, che a New York
pubblicò un libro intitolato Woman Beautiful (FLETCHER
ELLE ADELIA, Woman Beautiful, W. M. Young & co., New
York, 1899). Con esso, la Fletcher esortava le donne a
migliorare il proprio aspetto fisico per mezzo di pratiche
ginniche, integrate dall’uso di cosmetici curativi e
ammettendo come unico cosmetico decorativo la cipria. Fu la
stessa ginnastica a scoprire man mano il corpo femminile,
che fino a quel momento era stato nascosto e ingabbiato.
7
Nonostante lo sviluppo delle conoscenze mediche, già a
partire dall’800, cosmetici pericolosi continuarono ad essere
frequentemente usati. Gli sbiancanti per la pelle contenevano
sostanze come l'ossido di zinco, il mercurio, il piombo, il
nitrato d'argento e acidi. Alcune donne addirittura
mangiarono gesso o bevvero iodio per raggiungere il tanto
anelato candore. Tuttavia, dal 1913 si cominciò a
comprendere il rischio di usare sostanze così pericolose e
dunque a cercare di arginarne l’uso. A Parigi, in quell’anno
divenne vietato produrre sostanze tossiche come la biacca
(velenosa perché contiene piombo) e fu favorita la
produzione di cosmetici a basso prezzo, presso i grandi
magazzini.
21
curare i propri capelli). La cold cream nella
fattispecie era una crema (denominata fredda per la
sensazione di freschezza che donava alla pelle)
composta da cera d’api, oli essenziali, ad esempio
quello di rosa (ma anche dell’olio d’oliva) e acqua
distillata. Inizialmente fu introdotta nella routine di
bellezza femminile, come struccante, ma la sua
versatilità le permise di essere anche un’ottima
crema idratante, anche da notte, ovvero una base
per il trucco ed anche una crema mani.
Un’altra pietra miliare nel campo della cosmetica
fu la crema Nivea (fig.5): uno dei più importanti
prodotti culturali del XX secolo, una crema che
racchiudeva al suo interno la storia stessa
dell’Europa di quegli anni, con le sue regole, i suoi
complicati meccanismi sociali e le sue
contraddizioni8. La formula originale della Nivea,
inventata nel 1911, conteneva anche acido citrico il principio attivo schiarente dei limoni,
8
Il suo nome significa "bianca come neve" (dal latino
nix/nivis = neve), ma non si trattava né del bianco polveroso
del Rococò francese, né del bianco porcellanato delle fate,
ma bensì una sfumatura di bianco particolare che dava una
gran luce e radiosità. L'Europa orientale a quel tempo era una
sorta di torre di Babele con una gran varietà di etnie e tipi di
pelle, ognuno con il suo bagaglio di complicati significati
sociali. Gli inventori della crema - il professore Paul Gerson
Unna, il Dr. Oscar Troplowitz e il chimico Isaac Lifschütz furono abili però a comprendere che c’era una cosa su tutte
che abbatteva le differenze razziali: ed era l’ossessivo
inseguimento di una pelle perfetta, fedele alla propria razza
di appartenenza, ma uniforme e priva di difetti.
22
ingrediente base usato ancora adesso nella
cosmetica - e un nuovo agente emulsionante
chiamato Eucerit, derivato dalla lanolina. Questa
crema continuò a permanere nel beauty delle
donne per tutto il secolo, ed ancora adesso è sul
mercato e riscuote sempre lo stesso successo,
nonostante ci siano milioni di altri prodotti e
alternative. Altri “preparati da toeletta” utilizzati
erano la vaselina, la lozione “glicerina e cetriolo”
della Beetham’s e lozioni antirughe come Ayer’s
Recamier9 (fig.6) prodotto da Mrs. Harriet
Hubbard10, “Moth and Freckle Lotion” che
conteneva sostanze corrosive, emulsionate con
acqua o pasta di mandorle, come riferisce il
«Boston Journal of Health».
9
Cfr. BLAUGRUND ANNETTE, Dispensing beauty in New
York & beyond. The triumph and tragedies of Harriet
Hubbard Ayer, Historical Press, Charleston 2011, p. 93.
10
Nel 1886 Harriet Hubbard Ayer fondò la Recamier
Manufacturing Company. Costituita nel 1887, il range dei
prodotti della compagnia comprendeva la maggior parte dei
prodotti di bellezza di quel momento ma si estendeva anche a
farmaci. Dato il periodo, i cosmetici erano in gran parte
limitati alla cura della pelle e non comprendevano prodotti
decorativi come rouge o rossetti. Quest’ultimi erano ancora
considerati delle "pitture" e quindi non idonei per l'uso
quotidiano in una società considerata – civile – . La società
Recamier dunque produsse, commercializzò e vendette dei
prodotti d'igiene e medicine brevettate piuttosto che
cosmetici.
23
Il primo decennio del ‘900 vede inoltre comparire
sulla scena alcuni tra i più grandi fautori della
cosmetica e dell’industria del makeup, nomi come
Max Factor (v. infra, cap. III, § 1), Elizabeth
Arden (v. infra, cap. III, § 3), Helena Rubinstein
(v. infra, cap. III, § 2), hanno fondato le proprie
compagnie proprio in questo periodo, ed è anche
grazie a loro se la concezione negativa del
truccarsi si è andata via via dissipando,
progressivamente infatti, il trucco non fu più
malvisto e anzi, vedremo nel successivo paragrafo
come da una quasi assenza di trucco d’inizio
secolo si passerà al volto carico e caricaturato
tipico degli anni ’20.
2. I ruggenti anni venti
I ruggenti anni ’20 si possono perfettamente
evocare attraverso alcune coppie di termini: jazz e
charleston, capelli corti portati alla garçonne
(fig.7) e trucco marcato, amore libero e sigarette,
controllo delle nascite e orli delle gonne corti …
ed infine, il crollo della borsa americana e la
Depressione del 1929.
Dopo il grigiore della prima Guerra mondiale e
superata la crisi economica postbellica, si sentì il
bisogno di gettarsi alle spalle gli orrori e la morte,
dandosi al divertimento e alla spensieratezza. Il
desiderio di svago e la grande esigenza di ripresa
24
vennero alimentati da realtà come l’automobile
(che si era ormai affermata come il più innovativo
e popolare mezzo di trasporto), i primi
elettrodomestici (ad esempio in America i primi
modelli rudimentali di lavatrice, di frigo e di
scaldabagno), il telefono, la radio, il grammofono e
la cucina a gas, tutti contributi tecnologici che
resero la vita più semplice e più piacevole,
rafforzando così l’illusione di un futuro migliore.
Le donne – grandi protagoniste del decennio, che
negli Stati Uniti ottennero il diritto al voto proprio
nel 1920 – si lanciarono in professioni più
appetibili e meglio retribuite dei lavori domestici,
spendendo il denaro guadagnato come meglio
credevano: principalmente nell’aspetto e in cure
per il corpo. Si diffuse la moda dell’istituto di
bellezza (idea d’oltreoceano) fondato da attrici o
donne d’affari: questi luoghi, si proponevano come
oasi di pace dove le donne venivano “coccolate” e
rigenerate nella mente e nel corpo, attraverso la
cura dello stesso. Fu anche grazie a questa moda
che si cominciò a concepire il trucco nella sua
accezione positiva e non come segno di distinzione
(in negativo) di donne equivoche. In breve tempo
incipriarsi e perfino truccarsi in pubblico divenne
un gesto socialmente accettato, pur conservando
un che di malizioso ed erotico.
La guerra apportò vari cambiamenti alla vita e
alla società e le donne non furono escluse da
questo mutamento, anzi abbracciando una
25
rinnovata libertà di movimenti, scelte e pensieri, e
furono grandi protagoniste del decennio. Dismesso
il corsetto (ed ogni costrizione corporea utilizzata
fino a pochi anni prima) e scoperte le caviglie (via
via l’orlo delle gonne si alzò ulteriormente) la
donna si dedicava ad attività come il ballo, lo
sport, il lavoro (sia esso nelle fabbriche o in
ufficio); un tale cambiamento di ruolo e di
mentalità non poté che riflettersi sulla moda e sulle
abitudini “igieniche” e di cura del proprio aspetto
estetico. Con i nuovi modelli d’abito, che adesso
erano corti, larghi, trasparenti e leggeri, la ragazza
moderna poteva così trascorrere le notti ballando
spensierata, dato che il suo abbigliamento non
pesava praticamente nulla (è difficile immaginare
quanto la liberazione da abiti pesanti e voluminosi
abbia alla fin fine contribuito all’emancipazione
femminile), ma si vide contemporaneamente
“costretta” a fronteggiare nuove esigenze come il
depilarsi le gambe (ormai in bella vista) ed anche il
resto del corpo. Per far ciò, inizialmente “rubò” il
rasoio all’uomo di casa; in seguito furono prodotti
dei mini rasoietti talmente piccoli da potersi
considerare “da borsetta”, pensati appositamente
per il pubblico femminile. Tuttavia la pelle delle
gambe era delicata e i rudimentali rasoi di quei
tempi (per quanto piccoli e studiati ad hoc)
lasciavano antiestetiche ferite. Iniziarono così
ricerche scientifiche condotte da chimici e medici
per inventare pomate depilatorie.
26
Uno dei metodi più famosi nell’ambito delle
pomate depilatorie era la Rusma Turca. Questa
pratica, piuttosto grossolana, prevedeva l’uso di
una mistura di elementi11 tra i quali la calce e lo
zolfo. Questo impasto, per sortire il suo effetto,
doveva soggiornare sulla pelle dell’interessata fino
a produrvi un principio di ustione che ovviamente
‘distruggeva’ il pelo (ma a lungo andare anche le
gambe). Un altro diktat imprescindibile era
emanare soavi effluvi floreali. La donna degli anni
’20 non poteva permettersi di far trapelare, dopo
aver ballato uno scatenato charleston, i suoi
naturali ma sgradevoli odori. Secondo una
pubblicità del tempo12 (fig.8) ciò era disdicevole e
11
In un barattolino standard di polvere di Rusma si celavano
i seguenti ingredienti: calce viva gr. 15; orpimento in polvere
gr. 6 (che altro non è che solfuro d'arsenico); salnitro gr. 2;
liscivia caustica gr. 60; zolfo gr. 3.
12
Si tratta della pubblicità cartacea del deodorante in polvere
compatta “odo-ro-no”, prodotto dall’omonima azienda di
New York. Il caso di studio del deodorante Odorono
dimostra come la pubblicità abbia cambiato l'atteggiamento
del pubblico nei confronti di quei prodotti che scatenavano
nell'acquirente una certa riluttanza o imbarazzo (in questo
caso l'argomento spinoso era il cattivo odore corporeo). Ma è
anche un caso utile a capire come i contenuti pubblicitari e lo
stile promozionale era gradualmente ma decisamente
cambiato. Si propendeva verso la pubblicità scientifica e non
più su una promozione unicamente incentrata sull'esaltazione
dell'attraente confezione o sul buon nome della marca, come
era stato fino a quel momento. Le nuove aziende investivano
enormi budget per condurre ricerche di mercato e indagini di
tipo psicologico, per riuscire a concepire la più efficace
27
ripugnante e l’inconveniente doveva essere
assolutamente evitato con l’uso di profumi, colonie
e polveri profumate (simile a ciprie) da tamponare
sulla pelle e portare sempre appresso.
Vi fu perciò un’enorme produzione di deodoranti
di vario tipo, ma anche la produzione di creme,
pomate e lozioni di vario genere continuava
fiorente. Si aggiunsero inoltre ulteriori creme che
risolvevano sempre più diversificate esigenze: ad
esempio, adesso era il momento delle creme
opacizzanti (dato che andava di moda la pelle
perfettamente opaca) e sebo regolatrici. Con
l’accettazione del trucco si ebbe una
diversificazione dei cosmetici: fard in polvere per
le guance, pigmenti per gli occhi e rossetti di varie
tonalità per le labbra, creati industrialmente con
coloranti sintetici. Il mascara per le ciglia (fig.9),
che era già stato inventato nel 1840 e in seguito
perfezionato nel 1913 da Maybelline (vedi infra,
cap. III, § 4), adesso era un cosmetico
irrinunciabile per ottenere lo sguardo profondo che
andava tanto di moda (fig.10-11). Via via i prodotti
si raffinarono maggiormente, offrendo sempre più
colori e formulazioni che avevano una tenuta più o
pubblicità. Si arrivò progressivamente ad inserire negli ads,
dei veri e propri consigli, che spesso facevano leva sulle
intime insicurezze della gente. Era indubbiamente una
strategia efficace, e le pubblicità divennero quasi un mezzo
di "educazione" circa le abitudini igieniche, abbigliamento,
stile di vita etc...
28
meno lunga in base all’untuosità, alla densità degli
ingredienti e altri fattori. Nel 1923, comparve sul
mercato anche il primo accessorio piegaciglia. Si
chiamava Kurlash (fig. 12) (nome derivato
dall’inglese to curl = piegare e lash = ciglia) e fu
inventato negli Stati Uniti da William Beldue e
commercializzato un’azienda di Rochester, New
York, chiamata Kurlash Co. Nonostante fosse
costoso e difficile da usare (si impiegavano ben 10
minuti per ottenere una buona piega) diventò ben
presto molto popolare.
La guerra aveva aperto gli occhi a tutta la
popolazione, soprattutto ai più giovani: si era
capito che tutto era caduco e poteva scomparire
nell’arco di una notte, e questo portava
inevitabilmente a godere del quotidiano (ivi
compresa la bellezza esteriore della gioventù)
finché si era giovani e vitali, spesso eccedendo in
comportamenti che arrivavano ad essere più
sbandati che edonisti. Il culto della giovinezza in
tutte le sue sfaccettature, è un concetto nato
proprio in questo decennio (quello degli anni ’60
sarà solo un revival). Figlie di questa linea di
pensiero sono le ragazze flapper, figure degli anni
’20 per antonomasia: le flapper girls erano giovani
donne che indossavano gonne corte, portavano i
capelli corti con il taglio a bob, ascoltavano jazz,
fumavano come ciminiere dai loro lunghissimi e
vezzosi bocchini e bevevano alcool in barba al
proibizionismo; trattavano il sesso in modo
29
noncurante e leggero ed ostentavano il loro sdegno
per quello che era considerato un comportamento
socialmente accettabile. L’atteggiamento quasi da
maschiaccio delle flapper, era considerato
stravagante e sfacciato, e rappresentò una cesura
con la figura della donna dei tempi precedenti
cambiando in modo indelebile la concezione e la
posizione della donna nella società. L’estetica di
questa ragazza moderna ed in generale del
decennio (fig.13), derivava dal cinema muto e dal
trucco
teatrale
per
ciò
che
concerne
l’esasperazione delle linee. Le pellicole
cinematografiche, erano in bianco e nero e le
prime attrici contavano molto sulla gestualità, la
drammaticità dell’interpretazione e l’intensità dello
sguardo: a questo proposito si usava un trucco
piuttosto marcato che puntava all’esaltazione dei
lineamenti. Il look anni ’20 prevedeva quindi un
incarnato perfettamente opaco e pallido13,
13
In realtà la moda del pallore riguarda solo la primissima
parte del decennio poiché, a partire dal 1923 circa,
l’abbronzatura e l’incarnato dorato introdotti da Coco Chanel
(1883-1971) divennero la nuova preferenza. La nascita di
questa moda viene accreditata a Coco, perché tornata a Parigi
dopo una vacanza a Juan-les-Pins, fu notata da tutti per la sua
carnagione dorata dal sole della Costa Azzurra.
Probabilmente Chanel aveva sentito parlare dell'elioterapia,
pratica edonistica diffusasi in Germania a fine '800, divenuta
una moda dopo il 1918, alla conclusione della prima Guerra
mondiale, quando la gente voleva dedicarsi a sé e riprendere
il contatto con la natura.
30
uniforme e quasi trasparente, sul quale spiccavano
le vene bluastre opportunamente evidenziate con
l’uso di pigmenti. Sul volto pallido (fig.14) si
stagliavano enormi occhi scuri, bistrati di nero o
truccati di blu, viola o bordeaux (si usava
ombreggiare maggiormente la palpebra inferiore,
quasi a voler rimarcare l’occhiaia), resi più
profondi dal mascara (sempre nero) e contornati da
sopracciglia sottilissime e piangenti (si usava
sfoltirle dall’alto in modo da creare questa forma
discendente e dall’aspetto “triste”) che venivano
allungate e scurite con polveri nere o castane. Le
guance erano ravvivate da fard rossi, distribuiti
principalmente sulle gote in forma tondeggiante
(fig.15). La bocca, veniva disegnata a forma di
cuore con il rossetto bordeaux (era la tinta che
andava per la maggiore), in modo da risultare più
piccola ed il colore stesso aiutava in questa
illusione ottica. Il rossetto era senza dubbio uno
dei cosmetici più amati: si celava un rossetto in
quasi tutti gli accessori femminili del tempo,
all’interno di ciondoli o pendagli, nei bangle di
metallo (con tanto di specchietto portatile) e
perfino all’interno del manico della spazzola per i
capelli. Un fenomeno interessante del periodo è
legato al costo dei cosmetici che era molto basso,
una cifra che ad oggi si aggirerebbe intorno ai 70
centesimi di euro. Ciò fa intendere che si fosse
probabilmente compreso (o quantomeno si trattava
di un inizio) il risvolto “psicologico” del trucco e
31
la sua più nobile funzione: la sua capacità di
influenzare l’umore, l’autoconsapevolezza di sé
stessi, la capacità di interagire con la società in
modo più disinvolto e sicuro. Nonostante molte
donne utilizzassero ancora metodi caserecci per
truccarsi, ad esempio il sughero bruciato per
annerire gli occhi, è per questo democratico
motivo che i cosmetici costavano così poco, per
poter entrare nelle case di quasi tutte le donne e
donare svago, maggiore sicurezza in sé stesse e un
pizzico di ludicità.
Con il crollo della borsa del 1929, il famoso
venerdì nero, finì la dorata stagione dei roaring
twenties14: il denaro perse di colpo valore, i poveri
si impoverirono ancora di più e molti ricchi
persero tutti i loro averi. Ancora una volta il trucco
ebbe però la sua ragione d’essere: in un momento
così economicamente difficile, avere un aspetto
curato e self-confident, grazie anche all’ausilio del
trucco, poteva essere di grande aiuto nella ricerca
ed ottenimento di un lavoro. Alla fine del decennio
truccarsi era ormai la norma, solo il secondo
conflitto
mondiale
potrà
avere
qualche
ripercussione su questo ormai diffuso uso
(forse…).
«Signore, siate belle. L’intelligenza è
ingannevole. L’amabilità è inutile e la virtù è
vaga. Se volete piacere al maschio forte,
14
Dall’inglese, significa letteralmente ruggenti anni venti.
32
strenuo e silenzioso, il vostro aspetto esteriore
è l’unica freccia al vostro arco … Siate carine,
o rassegnatevi a perderlo.»
«La vecchia e decantata supremazia del
maschio è sparita per sempre. Siete battuti,
superati, scartati, spogliati e accantonati. Avete
perso il privilegio di poter essere brutti. Non vi
resta che il vostro fascino. Quindi, sfruttatelo
al massimo … Siate belli, o rinunciate a
vivere.»15
3. La crisi degli anni ‘30
Agli sfrenati anni ’20 e alla loro brama di vita
seguì un decennio di sobrietà ed eleganza. Dal
punto di vista storico i tempi erano incerti, il
grande crollo della Borsa del 1929 causò fallimenti
e disoccupazione di massa, non si investiva più, le
attività commerciali e produttive si riducevano, si
perdeva il posto di lavoro. La popolazione, presa
dal panico, correva in banca a chiedere il denaro
versato, che ovviamente non c’era. Il decennio si
aprì quindi con una crisi economica di grande
portata, tale da coinvolgere tutte le principali
nazioni: Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Italia,
Germania, Russia e Giappone. Queste grandi
potenze colpite dalla crisi con effetti differenti,
attraversarono problemi economici, sociali, politici
15
Messaggio pubblicitario di un salone di bellezza, 1927,
citato in, PICCOLO PACI 2006, vol. III, p. 141.
33
e di alleanze, e tutto ciò gettava le basi per quello
che nel 1939 fu lo scoppio del secondo conflitto
mondiale, una guerra ancora più letale della
precedente.
In Europa, mentre il capitalismo era in grave crisi
e il socialismo si affermava, le nuove dittature
italiana e tedesca sembravano avere maggiore
capacità di superamento dell’empasse. In Italia
Mussolini andava consolidando il suo potere con
imprese di prestigio e vari interventi, tra cui il
sostegno pubblico delle aziende, mentre Hitler
incarnava per le masse tedesche la via d’uscita da
una situazione insostenibile: debiti di guerra che
non si potevano pagare, disoccupazione e miseria,
limitazioni territoriali. Nonostante quindi, un
generale impoverimento, la depressione e una
spiccata caratteristica di transizione, questo
periodo vide l’affermarsi di nuove abitudini di vita
e modelli di consumo. Lo standard di qualità della
vita andava aumentando: la potenza del vapore, fu
progressivamente sostituita dall’elettricità; i
trasporti adesso potevano contare su motori a
benzina; i primi tentativi di materiali plastici
comparvero sostituendo alcuni metalli e si
sperimentarono nuove tipologie di fibre in campo
tessile come l’introduzione del Nylon16 nel 1935 e
16
Nylon è la denominazione generica della famiglia di
polimeri sintetici nota genericamente anche come
poliammide. Fu brevettato il 28 febbraio 1935 da Wallace
Carothers nella struttura di ricerca di DuPont, presso la
34
l’affermazione del rayon come una delle fibre più
amate del decennio (chiamata anche seta artificiale
era insieme alle paillette e alla seta uno dei
materiali più usati per confezionare gli abiti da sera
del decennio).
Il clima di transizione e di incertezza si rifletté
nelle arti e anche nella moda attraverso uno stile
sobrio, pulito, razionale (fig.16). Gli eccessi degli
anni ’20 erano ormai un ricordo, e se in precedenza
le parole d’ordine erano modernismo ed
ostentazione, adesso il clima storico e sociale
imponeva una totale inversione di marcia. Era ora
di abbandonare linee angolose e rigide preferendo
linee morbide e curve, delicate e fascinose. La
moda femminile ne è un esempio lampante: le
donne vivevano una sorta di dualità, gli abiti da
giorno, con gonne nuovamente lunghe sotto il
ginocchio avevano una silhouette romantica,
ordinata e con dettagli sartoriali raffinati; mentre di
sera l’abito era rigorosamente lungo, morbido sulle
curve femminili nuovamente enfatizzate e
apprezzate, confezionato con tessuti che
scivolavano sinuosamente, morbidi e luminosi. I
modelli, sempre piuttosto “semplici”, presentavano
profonde scollature sulla schiena, che veniva poi
coperta e protetta dalla pelliccia, vero must have
del decennio insieme ad altri accessori quali
Stazione Sperimentale dell’omonima azienda. Il nylon è ad
oggi uno dei polimeri più comunemente utilizzati spesso
mescolato ad altre fibre.
35
guanti, foulard17 e fantasiosi copricapo. Ma forse
più d’ogni altro accessorio, ad evocare
immediatamente gli anni ’30 sono le calze di rayon
con la cucitura posteriore e gli occhiali da sole: nel
1932, la Carl Zeiss Company lanciava il modello
Perivist e nel 1937 fu presentato il primo modello
da aviatore denominato Ray-Ban Aviator, prodotto
da Bausch & Lomb.
Questo decennio vide anche nascere e fiorire lo
Star
system
hollywoodiano;
major
cinematografiche come la 20th Century Fox, nata
nel 1935, la Paramount, la MGM, detenevano il
monopolio, se così si può dire, della produzione di
pellicole di successo. Si aprì la stagione
cinematografica dei telefoni bianchi18: l’età d’oro
di Hollywood, che nell’arco di soltanto una decina
d’anni produsse le più grandi stelle del firmamento
hollywoodiano, star che con la loro seducente
bellezza facevano sognare sia uomini che donne e
creavano - grazie anche ai ruoli interpretati ed alla
17
Nel 1933, Hermès mise sul mercato il primo dei suoi
fantasiosi foulard di seta che ancora oggi sono molto
ricercati come pezzi da collezione o per doni sofisticati. Le
cromie erano principalmente incentrate su contrasti di colori
raffinati: blu marine e marrone, nero e bianco, marrone e
crema.
18
Il nome proveniva dalla presenza di telefoni bianchi nelle
sequenze di alcuni film prodotti in questo periodo, presenza
sintomatica di benessere sociale: uno status symbol atto a
marcare la differenza dai telefoni neri, maggiormente diffusi.
36
maestria di costumisti truccatori e direttori della
fotografia - immagini di raffinata eleganza e
folgorante bellezza cui ispirarsi ed ambire (fig.17).
È per mezzo del cinema che si diffondono nuovi
modelli e nuove mode: i volumi del corpo
femminile si ispirano a quelli delle star americane:
se nel 1930 andava di moda la donna ancora
piuttosto androgina ma con un trucco leggero,
dopo già cinque anni impazzava la donna in stile
Jean Harlow (v. infra, cap. II, § 4), con chioma
platinata e labbra rosse in primo piano, sfolgorante
di opulento ed erotico glamour.
Le riviste di moda esortano le donne ad
abbandonare vecchie abitudini riguardanti trucco e
atteggiamenti ritenuti per l’appunto obsoleti e
volgari. Propongono invece di abbracciare il
ritrovato glamour sobrio ed elegante ispirato alle
stelle di Hollywood, con gli stessi trucchi ed
accorgimenti di bellezza da loro utilizzati (fig.18).
Per la prima volta si guarda al trucco come un
artificio per esaltare e migliorare il viso, non
solamente per decorarlo o dipingerlo. Si scopre
dunque l’amore per un certo tipo di armonie e
bilanciamenti cromatici e si scrivono i primi
“trattati” in cui si illustravano i metodi di
correzione del volto19 con l’uso del trucco. Era la
19
Florence Courtenay scrisse il trattato Physical Beauty:
How to Develop and Preserve it, Social Mentor Publications,
New York, 1922. Che raccoglieva una serie di consigli e
segreti di bellezza delle star hollywoodiane, dove si
37
prima volta che si approcciava il trucco in un
modo così “moderno”, poiché si era compreso che
ogni volto ha le proprie regole e che una donna
non doveva ambire ad avere lineamenti diversi dai
propri per assomigliare a qualcun’altra, ma esaltare
e migliorare le proprie caratteristiche, mettendo in
luce i punti di forza e distogliendo l’attenzione da
eventuali difetti. Questa nuova concezione fu la
chiave del nuovo maquillage, sia esso di star
famose o di persone comuni. Donne come l’attrice
Greta Garbo (1905-1990) (fig.19), furono pioniere
di questo nuovo approccio, che ben presto fu
imitato ed apprezzato fino a spazzar via tutte le
mode precedenti. Essere belli, ma in modo
personalizzato, diventa quasi un dovere e case
cosmetiche nate proprio in quel periodo come la
Max Factor (v. infra, cap. III, § 1), strettamente
connesse con il mondo del cinema, diventano
promulgatrici di mode e dispensatrici di preziosi
consigli.
Nel 1938 escono sul mercato nuovi cosmetici
(fig.20), come il fondotinta Pan Cake (idem) e il
mascara waterproof: essi nacquero per soddisfare
le esigenze degli attori e superare certi
inconvenienti, come ad esempio lo stesso mascara
waterproof che fu brevettato dall’attrice viennese
Helene Viethaler Winterstein (1900-1966): serviva
illustravano alcune diete per perdere peso e come si poteva
mantenere la forma fisica raggiunta. Un vero e proprio
manuale di bellezza.
38
un prodotto che non si sciogliesse con le luci del
set come invece facevano i mascara di allora. In
seguito, questi cosmetici furono commercializzati
anche per le persone comuni, tale era diventata
l’esigenza di essere belli ed in perfetta forma
fisica, tant’è che di pari passo alla cosmesi si diede
nuovo risalto ed importanza alla cura del corpo
attraverso una vita sana e una corretta attività
fisica. L’inglese Mary Bagot Stack (1885-1935)
nel 1930 fondò la Women’s League of Health and
Beauty, un’organizzazione che attraverso delle
apposite scuole educava le donne all’esercizio
fisico (alla ginnastica come all’attività sportiva) al
benessere psico-fisico derivante e, come meta
finale, alla bellezza.
Questa nuova attenzione all’esercizio ebbe
ripercussioni a catena sullo stile: in primis sulla
moda e sul trucco stesso. Si adottò infatti uno stile
d’abbigliamento comodo, che consentisse di
compiere movimenti in totale libertà e sicurezza;
stiliste come Coco Chanel seppero comprendere ed
interpretare al meglio questa nuova esigenza.
Inoltre, il fare attività fisica all’aria aperta
esponeva inevitabilmente la pelle ai raggi solari.
Dunque, in opposizione ai canoni di bellezza
precedenti, che esigevano una pelle candida, dalla
metà del decennio vennero in voga le carnagioni
più scure, baciate dal sole, sinonimo di salute e
bellezza e richiamo alle veneri esotiche degli
Imperi Coloniali.
39
La nuova sensualità non era più morbosa come
quella degli anni venti (per cui bastava un
frammento di pelle scoperto ad infiammare gli
animi); adesso il corpo era maggiormente scoperto,
tonico ed abbronzato, pulsante di vita e salute.
Questa nuova “cultura del sole” ebbe come effetto
sull’industria cosmetica l’affermarsi, tra i vari
prodotti di skincare: creme solari e lozioni per
proteggersi dalle scottature e per mantenere
l’abbronzatura, scongiurando il rischio di
spellature.
La donna degli anni trenta era dunque una donna
piuttosto dinamica, sportiva, raffinata, efficiente di
giorno nei suoi abiti “razionali” ma fatale di sera
nei suoi sensuali vestiti di rayon, sulla falsariga
delle attrici d’oltreoceano.
Per ciò che concerne il makeup (fig.21), il punto
focale dei nuovi artifizi anni ’30 sono le palpebre,
ampie ed enfatizzate dalla caratteristica sfumatura
“a banana” (fig.22) che, rendendo otticamente più
profonda la piega palpebrale, evidenziava il
volume dell’occhio mettendolo in risalto. Il trucco
era costituito da ampie sfumature di colori più
naturali rispetto a quelli usati negli anni ’20.
Adesso le tonalità amate erano i rosa, beige e
marroni per il giorno e tonalità di blu, verde, viola
ed anche nero per la sera. Le ciglia sono
lunghissime ed enfatizzate sia dai posticci, già
inventati nel 1916, che dal mascara che adesso
troviamo anche in altri colori come il blu. Altro
40
simbolo degli anni ’30 sono le sopracciglia
sottilissime ed arcuate come quelle della diva
Marlene Dietrich (v. infra, cap. II, § 5). Se prima si
depilavano dall’alto, adesso si faceva tutto il
contrario: per ottenere una palpebra ampia, si
sfoltivano dal basso e si ridisegnavano molto alte
con l’ausilio di apposite matite. Questa
caratteristica forma dava un espressione sprezzante
al volto e, in contrasto con la palpebra sfumata,
creava un stacco molto raffinato che ispirò i
creatori di manichini, di bambole ed infine anche i
disegnatori della Walt Disney, i quali riproposero
le sopracciglia “alla Dietrich” sulla strega Grimilde
del cartone animato Biancaneve e i sette nani,
Walt Disney, Stati Uniti, 1937 (i cui lineamenti
erano ispirati a Greta Garbo).
L’incarnato del viso non è più innaturalmente
porcellanato: chiaro si, ma in modo naturale,
uniformato dalla cipria (fig.23) e perfezionato dal
fondotinta. Si comincia a far uso del contouring,
che consiste nell’uso di terre e pigmenti chiari e
scuri per ristabilire e enfatizzare i volumi del viso.
In particolare si amavano le guance piuttosto
incavate, ottenute con ombreggiature scure sotto lo
zigomo e un naso definito da ombreggiature scure
laterali. Le gote vengono truccate tenendo conto
delle esigenze e della forma del viso. I colori
favoriti, stesi a sfumare verso gli zigomi e le
tempie sono il terracotta, il beige e il prugna
chiaro.
41
Al bando i rossetti porpora e bluastri, si
sostituirono con rossi dalle sfumature rosate ed
aranciate, per un look più armonico. Le labbra dal
contorno arrotondato, erano definite dalla matita
rispettando il loro contorno naturale. Inoltre, come
ad imitare una puntura di vespa, il labbro superiore
viene “strizzato” tra pollice e medio poco prima di
effettuare il maquillage, in modo da avere un
effetto rimpolpante (seppur poco duraturo). Sulle
unghie lo smalto si accende di rosso, magari con
una rifinitura in argento. Lo smalto, più o meno
con la formulazione che conosciamo oggi, venne
creato dalla casa cosmetica (vedi infra cap.III, § 5).
La Charles Revson Company fu formata da
Charles Revson (1906-1975), da suo fratello
Joseph Revson e da un chimico, Charles Lachman.
Per la ditta lavorava un makeup artist francese
chiamato Michelle Menard, che si ispirò alle
vernici da carrozzeria usate per le auto e si
domandò se lo stesso principio non potesse essere
applicato alle unghia delle donne. La marcia in più
delle nuove formulazioni era il fatto che
contenessero nitrocellulosa disciolta in un
solvente; questo permetteva di conservare lo
smalto per lungo tempo, a patto che non si facesse
evaporare il solvente.
I primi smalti cominciarono ad essere
commercializzati nel 1932, dapprima presso i
saloni e i centri di bellezza; ma a partire dal 1937,
quando lo smalto si cominciò a produrre in coppia
42
con il rossetto della stessa tonalità, si poteva
acquistare anche presso le botteghe. Le attrici
cinematografiche erano entusiaste del nuovo
smalto per unghie, perché, con l’avvento del
Technicolor (introdotto già nel 1928), anche nei
film potevano sfoggiare questo “nuovo” ed
elegante cosmetico. Naturalmente, le donne
comuni corsero in breve tempo ad acquistarlo,
tanto più che era abbastanza a buon mercato. Ben
presto anche altre case vendettero cosmetici per
unghie.
4. La guerra e il glamour
Gli anni quaranta furono un periodo cruciale a
livello mondiale. Il secondo conflitto, scoppiato
nel 1939, perdurò fino al 1945 e falcidiò la
popolazione di ogni paese coinvolto. Soprattutto
sul finire della guerra le perdite furono
innumerevoli, visto che per la prima volta vennero
usati in modo intensivo i mezzi aerei per
bombardare le città colpendo anche i civili. Ogni
risorsa umana e materiale venne impegnata nello
sforzo bellico e i civili furono coinvolti come mai
accadde in precedenza. Con gli uomini impegnati a
combattere al fronte, alle donne era rimasto l’onere
e la responsabilità della casa, dell’allevamento dei
figli e non solo: le donne (che ebbero modo in
quell’occasione, di mostrare al mondo ed in primis
43
a se stesse la propria capacità e l’infinità di risorse
tipica del proprio sesso20) si diedero da fare su tutti
i fronti e, rimboccate le maniche, sostituirono gli
uomini in fabbrica (fig.24) per proseguire con la
produzione (che però era esclusivamente dedicata
alla guerra). Si arruolarono perfino, come attiviste,
crocerossine, o aiutando la resistenza in vario
modo: recapitando messaggi, viveri, armi e
medicine, percorrendo in bicicletta anche zone
pericolose e lunghe distanze.
Furono anni molto duri per tutti i paesi coinvolti:
il clima di austerità e rinuncia (che era già
cominciato da prima dello scoppio “ufficiale” della
guerra), la paura, il dolore per le perdite dei cari ed
il
terrore
dei
bombardamenti,
incisero
profondamente sugli animi delle persone; anche i
postumi furono drammatici, ad esempio per paesi
come per il Giappone che fu colpito dalla
devastante bomba atomica. Tuttavia, come la
Storia ci insegna, sono proprio i momenti di crisi
più profonda che danno i migliori “frutti”. Infatti,
il decennio dei Quaranta fu anche un momento di
riscoperta, di crescita e di creatività, in generale
per tutto il mondo occidentale, ma in particolare
per gli Stati Uniti d’America. Si gettarono le basi
20
La nuova consapevolezza acquisita dalle donne si rifletté
molto sugli usi e costumi della società, ma in particolare fu
emblematico il diritto al voto acquisito nel 1945 (in Italia),
diritto che equiparò i sessi, almeno dal punto di vista
politico.
44
per il boom economico e sociale del decennio
successivo, un momento storico di grandissima
importanza.
In Italia, con il regime fascista, sia prima che
durante la guerra, ed anche a causa
dell’autarchia21, vi è un ritorno alle tradizioni e
21
In Italia, nei primi anni di guerra, ancora pervasi di un
ingenuo ottimismo, le riviste femminili propagandavano una
moda “patriottica” della linea “ad anfora”, morbida ed
abbondante. Con l’avanzare del conflitto, tuttavia, s’impose
la necessità di razionare i generi di prima necessità le materie
prime scarseggiavano la manodopera era quasi totalmente
impegnata nel settore bellico, le scorte si stavano esaurendo.
Per il cibo, i tessuti, i capi e gli accessori d’abbigliamento,
cominciò la pratica del razionamento. In Italia, la tessera per
l’abbigliamento (per tessuti, biancheria e scarpe) entrò in
vigore il 1 novembre 1941, ogni adulto disponeva di 120
punti all’anno e un paio di scarpe ne valeva ben 65. E’
dunque chiaro il motivo per cui si cercava il più possibile di
recuperare (magari riarrangiandola) la roba vecchia, di non
sprecare nulla e di trovare soluzioni nuove anche dal punto di
vista dei materiali. In Italia all’Ente Nazionale della Moda
viene affidato il compito burocratico e coercitivo di
convincere le signore a vestirsi "italianamente"
pubblicizzando un gusto e uno stile italiani. Il primo articolo
costitutivo dell’Ente obbligava chiunque preparasse
collezioni o campionari di modelli di vestiario, accessori
compresi, a registrare tale sua attività all'Ente stesso per
impedire ai sarti di ispirarsi aad esempio all'odiata moda
francese. La necessità di fare da se, con quel che si aveva,
“venne chiamata” autarchia e fu la riscoperta del genio
italico. L'arte secolare d’arrangiarsi, riveduta e corretta, tornò
prepotentemente d'attualità. Non esportando formaggi, dal
latte in esubero e quindi dalla caseina si ricavò il lanital (un
45
all’austerità (fig.25). Lo stesso razionamento dei
beni imponeva una riorganizzazione delle priorità
e certamente al primo posto non potevano esserci
frivolezze come la moda o la cura del proprio
corpo. In linea quindi con una politica di sobrietà e
semplicità, la moda del tempo scoraggiò il trucco:
lo si riteneva una manifestazione di vanità e
frivolezza, non in linea con i canoni pragmatici del
fascismo. Anche in Germania e in Inghilterra c’era
un situazione analoga: il programma di Utility
lanciato dal governo inglese nel 1941
regolamentava in modo puntuale e rigido la
quantità e la gestione di ogni singolo prodotto. Ad
esempio, per quanto riguarda la sartoria, vigeva
una norma per ogni cosa: dalla quantità disponibile
di stoffa cui si aveva diritto al numero di pieghe e
bottoni consentiti 22. Naturalmente il programma
Utility colpì anche la cosmesi, ma in modo più
lieve: la produzione dei cosmetici infatti continuò
tipo di lana). Dalla ginestra e dai fiocchi di canapa si ottenne
un omonimo del cotone, il cafioc. Dalla Canapa si otteneva
già abbondantemente fibra per sacchi e lenzuola (a dir la
verità un poco ruvidi). E fu così che si trovò un surrogato per
ogni cosa.
22
Le riviste dell’epoca esortavano le lettrici ad abbracciare
l’ordine d’idee del “make-do-and-mend”, ovvero arrangiarsi
e rammendare; ma le donne, per chiari motivi di necessità e
dando sfogo alla propria estrosità, non si limitarono al
rammendo: riciclarono vecchi maglioni, filarono la lana dei
materassi e confezionarono abiti da tende, lenzuola, copriletti
e qualunque altra cosa si potesse convertire.
46
anche durante la guerra seppur con delle
limitazioni (per fare un esempio, nelle confezioni
di cipria mancava il piumino; dunque si tendeva a
risparmiare sul packaging e sugli accessori che lo
corredavano, piuttosto che far mancare totalmente
il prodotto in se), anche perché, quando nel 1942
in America sospesero la produzione di cosmetici,
si creò un tale malcontento da far considerare il
trucco alla stregua di un bene di prima necessità e
tempestivamente se ne riprese la produzione
(fig.26).
In Europa, ciò che scarseggiava o mancava del
tutto si sostituiva prontamente e con una grande
dose di ingegno e creatività: latte detergente e
creme da giorno vengono sostituite con burro, latte
e margarina. Al posto del cotone va bene anche la
carta assorbente. Il grasso per gli stivali fa le veci
del mascara, mentre il carbone sostituisce
l'ombretto. Con la cera da scarpe ci si tinge le
sopracciglia ed i petali di rosa, imbevuti di alcool,
producono un fard liquido di tutto rispetto. La seta,
così come il nylon, erano ormai destinati alla
produzione di paracadute militari e le tanto amate
calze non circolavano più: ma le donne, ovviarono
anche a questo problema, dipingendosi le gambe23
23
L’uso di dipingersi sulle gambe le calze finte, divenne
talmente diffuso che le case cosmetiche dell’epoca non
poterono stare a guardare e misero sul mercato prodotti
appositi. Addirittura le donne più “ricche” (se in tempo di
guerra si può parlare di ricchezza) potevano approfittare
47
(fig.27-28) con fard dal colore ocra oppure, in
alternativa (ancora più casereccia), usando succo
di cicoria, té o mallo di noce; ed ingannavano lo
sguardo tracciando abilmente anche la riga
posteriore della cucitura, avvalendosi della matita
nera per occhi.
In un clima così dimesso e di restrizioni, i capelli
assunsero un ruolo di centrale importanza nell’arte
della seduzione: le acconciature erano sempre
piuttosto curate (fig.29), con onde morbide,
riccioletti raccolti e soffici boccoli (come non
citare la pettinatura “a schiaffo” della
sensualissima diva Veronica Lake –fig.30– ). Ad
ulteriore decorazione del capo, inoltre, si usavano
fantasiosi cappellini che venivano realizzati con
materiali riciclati, scampoli di stoffa altrimenti
inutilizzabili e qualunque altro oggetto potesse
avere del potenziale estetico.
Farsi belle diventò parte integrante dello sforzo
bellico (fig.31). In questo periodo si riscoprì il
potere psicologico della cosmesi così come degli
accessori moda: tutto ciò che poteva sfuggire
all’ingrigimento e al razionamento, era colorato,
chiassoso, creativo e pregno di voglia di vivere e
passare oltre l’orrore della guerra. I gioielli del
decennio sono piccoli capolavori di originalità:
patriottici e realizzati in materiali come rafia,
dell’estetiste della Max Factor, che dipingevano calze finte a
domicilio.
48
legno, resine e, per la produzione più raffinata,
sterling, ovvero argento 925.
Negli USA fu il periodo delle Pin-up24 (fig.32),
graziose donnine seducenti e prosperose, che
ammiccavano sorridenti ai militari in guerra, dalle
pareti sulle quali erano appese (sotto forma di
poster) o dalle fusoliere degli aerei sulle quali
erano dipinte. Il decennio rappresentò anche un
altro periodo d’oro per Hollywood e le dive dello
Star System, che dettarono legge per ciò che
concerneva canoni di bellezza femminile e trucco,
e reinterpretarono il ruolo della femme fatale
smorzandone caratteristiche spigolose e severe
come le sopracciglia e il colore delle labbra.
Come le Pin up, anche le donne comuni sentivano
l’esigenza di offrire a loro stesse (fig.33) e a gli
altri un aspetto curato ed elegante ed è
maggiormente attraverso il trucco che questo
bisogno si manifestò. Inoltre, il trucco e gli
24
Con il termine di Pin Up (tradotto dall’inglese: “da
appendere”) si indicavano generalmente le ragazze procaci,
ammiccanti e sorridenti ritratte in costume da bagno, le cui
fotografie ed immagini furono pubblicate su molte riviste
settimanali degli Stati Uniti. Questo fenomeno attirò in
maniera sempre maggiore l'attenzione dei lettori uomini, e in
particolare registrò un incredibile successo fra i soldati
impegnati al fronte, che usavano appendere le fotografie di
queste ragazze nei loro armadietti o nelle loro tende di
accampamento. Inoltre quando le fotografie erano assenti, ci
pensavano i meravigliosi disegni di Alberto Vargas (18961982) a risollevare il morale ai soldati.
49
accessori erano l’unico spunto colorato e di
personalizzazione
di
un
abbigliamento
pesantemente penalizzato dal razionamento dei
beni. Lo stile di make up dell’epoca prevedeva un
ritorno a ad una sensualità intrisa di naturalezza. Il
cinema abbandona l’immagine della donna
“mangiatrice di uomini” in favore di una figura
femminile sensuale ma virtuosa, più sobria ma con
una forte personalità. Grazie anche all’esigenze di
Hollywood, comparirono nuovi prodotti (fig.34)
come l’eyeliner, i fondotinta in stick e gli ombretti,
contemplando sempre più tonalità, anche se le
favorite del periodo erano tonalità neutre come i
grigi e i marroni.
Il trucco degli occhi consisteva in leggere
sfumature correttive della palpebra mobile, mentre
l’attenzione si concentrava sulla rima ciliare
enfatizzata da un sottile accenno di eyeliner
(talvolta sfumato) e dalle ciglia, che di giorno
venivano appena scurite con il mascara, mentre di
sera si allungavano ed infoltivano a dismisura
anche tramite l’uso di ciglia finte. L’incarnato è
più caldo rispetto al decennio precedente. Per
ottenere l’effetto pelle sana e arrossata (come dopo
una piccola corsetta) si usava stendere un
fondotinta un po’ più scuro del proprio incarnato e
poi fissare il tutto con una cipria lievemente
schiarente. Anche il fatto di utilizzare i prodotti a
strati e sovrapposizioni mirate, come fossero
velature d’acquerello, concorreva ad aumentare la
50
naturalezza dell’insieme. Le sopracciglia si
stagliano naturalmente piene e ben definite in una
fronte spaziosa e in certi casi depilata (come
voleva la moda del tempo): il loro arco era preciso
ma folto, dando quel tocco deciso in più agli occhi.
Le unghia sono tinte dello stesso colore dei vestiti.
Erano disponibili vari colori, dal giallo senape al
marrone, ma rossi e rosa furono sempre i favoriti.
La stesura dello smalto sull’unghia coinvolgeva
solo la sua parte centrale: superiormente si lasciava
libera una sottile striscia, mentre alla base la
mezzaluna veniva tenuta al naturale.
Le labbra senza dubbio furono protagoniste del
make up anni ’40: si ingrandirono esagerandone i
contorni esterni con la matita, addirittura il labbro
superiore veniva disegnato tracciando quasi due
semicerchi che si congiungevano nell’arco di
cupido. Il colore di rossetto del momento è
decisamente il rosso, anche se esistono rossetti
borgogna cupo scuro, color uva nera, mattone …
Il rossetto fu senza dubbio il cosmetico più
venduto (fig.35), anche perché era il modo più
facile per copiare lo stile delle Pin Up e delle
attrici. Secondo il «New York Times», solo nel
1941 se ne acquistarono negli Stati Uniti una
quantità pari a 20 milioni di dollari. Le labbra
rosso vivo (ma di tonalità di rosso ce n’erano
molteplici) diventarono un simbolo di fascinosa
sensualità, ma anche un augurio di vittoria e di
ripresa: i nomi degli stessi rossetti avevano adesso
51
un’intonazione patriottica. Alcuni esempi sono:
“rosso patriota”, “rosso lotta” e “rosso granatiere”.
Dunque il cinema, le Pin Up, il trucco, erano tutti
aspetti frivoli della vita quotidiana del tempo, che
in contrapposizione con il clima triste e sommesso
della guerra, aiutavano la gente ad evadere dalla
dura realtà e ad avere speranza. Tuttavia, in Europa
tutto questo era notevolmente ridimensionato; non
c’era la stessa “ricchezza” e probabilmente anche
le condizioni e la sofferenza dei civili erano
peggiori. In Italia, ad esempio, anche dopo il
fascismo continua ad affermarsi un’ideale di
bellezza femminile più duro e drammatico,
mancante di quella leggerezza tipicamente Yankee.
La donna ideale del tempo in Italia era incarnata
dalle attrici del cinema di Luchino Visconti e
Vittorio De Sica, attrici come Anna Magnani
(1908-1973) e Silvana Mangano (1930-1989). In
Europa le bellezze erano carnali, mediterranee, con
sopracciglia folte e abiti strizzati, espressioni del
neorealismo cinematografico25 che nel 1947 verrà
25
Il movimento cinematografico neorealista sorse in Italia
negli anni Quaranta con la volontà di contrapporsi al cinema
dei “telefoni bianchi” che non riusciva più a rappresentare la
realtà, in quanto questa adesso era pregna di drammaticità e
di una nuova consapevolezza delle cose. Alcune
caratteristiche del nuovo linguaggio furono: l'abbandono
della struttura narrativa romanzesca, personaggi che avevano
azioni definite, le riprese in esterni, la presenza di attori non
necessariamente professionisti, la narrazione nei film della
52
però scalzato dal New Look26 di Christian Dior
(1905-1957). La fine della guerra si rifletté in un
periodo di gioia e ricostruzione che vide
ricomparire gonne voluminose e glamour. La
moda Americana dilagò con balli come il Boogie
Woogie e novità in ogni campo, e le abitudini di
vita si apprestarono ad essere mutate per sempre.
5. Il Boom economico
Per l’Europa, uscente dal secondo conflitto
mondiale, l’ascesa degli Stati Uniti a superpotenza
mondiale fu un fatto evidente, confermato inoltre
dalla presenza diretta delle forze di occupazione
nei paesi sconfitti. Da abitanti di una nazione
lontana, gli americani erano diventati portatori
concreti della liberazione militare e, insieme, di un
nuovo stile di vita (per certi versi giudicato
scostumato), fatto di tante cose mai viste: dalla
gomma da masticare alla cioccolata (di cui durante
la guerra si era dimenticato perfino il colore), dalle
realtà politica e sociale del paese in un momento di grandi
cambiamenti.
26
Il lancio del New Look creato da Christian Dior irruppe nel
1947 come reazione all’austerità post guerra. Questo nuovo
stile disegnava la silhouette con una vita di vespa ed un
corpetto attillato che valorizzava il petto e i fianchi, mentre
l’orlo della gonna si ampliava e abbassava, tutto questo con
l’ausilio di tagli ingegnosi del tessuto, imbottiture e
steccature.
53
sigarette ai dischi di musica. L’espressione
"americanizzazione" dell’Europa sta, in effetti, a
testimoniare l’impronta profonda impressa dagli
Stati Uniti sul vecchio continente, riguardo due
aspetti in particolare: la diffusione delle idee di
libertà e di modernità, e l’introduzione in Europa
di un modello di crescita fondato sull’espansione
dei consumi privati, individuali e familiari (il
famigerato ed in seguito temuto consumismo),
basato sulla diffusione crescente di merci (utili, ma
anche superflue) come radio, televisioni,
automobili, frigoriferi, aspirapolvere, lavatrici.
Hollywood, sbarcò nei vari paesi europei e
conseguì, più tardi, una netta vittoria sulla
produzione cinematografica europea, sia per la
ricchezza dei mezzi a disposizione, sia per il
numero degli spettatori che riusciva ad attirare. Fu
infatti maggiormente attraverso il cinema (ma
anche tramite i nuovi mass-media come la
televisione) che lo stile di vita americano fece
presa sulla gente. In Italia, fu l’attore Alberto
Sordi, nel film Un americano a Roma27 a prendere
in giro gli aspetti più estremi di questa
identificazione.
In questo clima di ritrovata abbondanza e
benessere, con i mariti nuovamente a casa (e fu
così che parallelamente al miracolo economico, gli
anni ’50 furono il decennio del baby boom) le
27
Un americano a Roma, di Stefano Vanzina, Italia, 1954,
85 min.
54
donne ridimensionarono il loro ruolo e la loro
responsabilità sociale, forte durante la guerra,
ritornando in certa misura (e prevalentemente negli
USA) alle funzioni tradizionali che le toccavano in
quanto madre e angelo del focolare. Per inferenza,
dopo l’abbigliamento povero e dimesso degli anni
della guerra, le donne finiscono per sognare linee
morbide e spreco generoso di stoffa, anche se il
buonsenso lo sconsigliava. Il New Look di
Christian Dior si affermò proprio perché sembrava
esprimere in forma sartoriale la voglia e la
speranza di un futuro migliore. L’imitazione di
questo stile (ovviamente i capi originali erano
appannaggio di pochi, in quanto beni costosi)
divenne così il motore di sviluppo di una classe
sociale in ascesa: la classe media. La forma a
clessidra tipica del New Look si ritrovava
dappertutto, dall’architettura all’arredamento di
interni, fino al più insignificante oggetto d’uso
quotidiano. Tavolini a forma di fagiolo, poltrone
sferiche, bicchieri a forma di tulipano, lampade a
cono, vasi sagomati e posacenere di vetro
modellato: tutto rifletteva le linee scultoree della
moda di Dior.
Gli anni ’50 non conobbero la ribellione. I grandi
magazzini, la larga diffusione dei cosmetici, le
fibre plastiche e la confezione, permettevano ad
ampi strati della popolazione di copiare lo stile dei
ricchi. Le idee dell’alta moda arrivarono così fino
alla strada e non solo: l’intero stile di vita delle
55
classi privilegiate sembrava essere diventato alla
portata di tutti: frigoriferi, automobili, viaggi per le
vacanze, feste, pure le famiglie non proprio ricche
potevano comunque permettersi una copia, benché
imperfetta, del gran mondo. Tuttavia il miracolo
economico fu pagato con il sudore della fronte e
portò con se, contemporaneamente al benessere,
nuovi doveri per i quali molti non si sentivano
all’altezza: una volta saltati sulla giostra del
consumo si doveva girare ad un ritmo sempre più
vertiginoso, bisognava sapere cosa andava bene,
quando e dove, e non tutti reggevano questa
inedita pressione.
Negli anni ’50 la donna voleva essere soltanto
donna (fig.36) e per questo abbandonò, ignara,
conquiste già fatte nell’anteguerra, preferendo
ritrarsi nel focolare domestico. Una donna
ammodo (soprattutto negli ambienti provinciali e
ultra cattolici) doveva seguire le regole prescritte
dalla buona condotta femminile: non si usciva mai
senza cappello e guanti, borse e scarpe dovevano
essere sempre abbinate, gli accessori e il trucco
dovevano essere dello stesso colore, si mostrava il
décolleté solo la sera e le stoffe si sceglievano a
seconda del momento della giornata. Inoltre, una
donna di mondo non comprava mai da sola fiori o
profumi, ma li aspettava in regalo dall’uomo,
presumibilmente come ricompensa per lo sforzo di
farsi incessantemente bella per lui. Una donna che
avesse degli obblighi sociali, doveva cambiarsi
56
dalle 5/6 volte al giorno, cambiando di
conseguenza trucco, accessori e pettinatura. Solo
persone estremamente ricche, che non dovevano
occuparsi al tempo stesso della famiglia e della
gestione della casa potevano, senza stress, gestire
uno stile di vita così elaborato. Tipica degli anni
’50 è l’esplosione di colori che costituì la reazione
alla tristezza degli anni della guerra. I fabbricanti
di stoffe riprendevano i colori e si ispiravano alla
pittura contemporanea28. Il cambio della moda
rende necessari nuovi modelli di bijoux, che ora
non solo sono socialmente accettati ma diventano
un accessorio chic, tanto da essere scelti da Mamie
Eisenhower che, nel 1953 per il ballo di
inaugurazione della presidenza del marito,
commissionò a Trifari29 la creazione di una parure
28
Stella cometa ed eroe dell’ambiente dell’arte (soprattutto
dell’action painting) divenne il pittore Jackson Pollock
(“Jack the Dripper”, 1912-1956), che con grande sforzo
fisico e fantasia distribuiva i colori in maniera
apparentemente casuale su grandi tele stese sul pavimento.
La sua vita veloce e selvaggia, che ebbe fine nel 1959, fece
di Pollock una figura di culto.
29
La gioielleria Trifari fu fondata con il nome di "Trifari &
Trifari", dal napoletano Gustavo Trifari e suo zio nel 1910,
una volta trasferiti ad Ellis Island negli Stati Uniti. Quando lo
zio un paio di anni dopo, abbandonò la società, rimase solo
un nome. In seguito Leo Krussman entrato nell'azienda
Trifari nel 1917, e Carl Fishel ribattezzarono l'azienda
Trifari, Krussman e Fishel e il loro segno distintivo divenne
KTF. La società rimase stagnante per mancanza di bravi
designer e a causa del crollo del mercato azionario nel 1929.
57
da abbinare al suo vestito. Grazie alle migliorate
condizioni economiche diventa possibile invitare
amici e conoscenti a cena o per il cocktail,
cogliendo così l’occasione per indossare su
semplici vestiti neri, appariscenti gioielli,
soprattutto anelli, detti appunto anelli cocktail,
tipici della moda anni ‘50. Le parole chiave per
descrivere la donna del decennio sono: efficiente,
raffinata ed impeccabile. Regina dei fornelli e abile
nelle faccende domestiche, si destreggiava tra
lavatrice e aspirapolvere, simboli di un tempo che
andava cambiando a ritmo sempre più serrato.
Indossava la guepiere, che la aiutava ad ottenere lo
strettissimo vitino da vespa tanto di moda. E
attendeva paziente e impeccabile l’arrivo del
marito a casa.
Sotto un’apparenza inizialmente giocosa e votata
alla seduzione, il trucco divenne lentamente una
pratica codificata e dotata di prodotti, strumenti
Fu a partire dal 1930 che l'azienda ebbe una svolta, grazie al
designer d'eccezione Alfred Philippe (in precedenza aveva
lavorato per marchi prestigiosi come Van Cleef & Arpels e
Cartier); che realizzò per tutti gli anni Trenta e Quaranta dei
capolavori in stile Decò che conquistarono il pubblico
femminile. Le attraenti e fantasiose creazioni Trifari,
realizzate in materiali poveri come leghe di metalli, finte
gemme di colore, cristalli e perline, brillavano al collo o sugli
abiti delle attrici ma anche delle centraliniste e delle
segretarie. Il marchio divenne noto anche per uno stile di
bigiotteria noto come "fruit salad", che prevedeva oltre a
colori squillanti e forme lucide e bombate, materiali poco
costosi ma di grande effetto scenico.
58
(fig.37) e tecniche proprie. Sempre più prodotti
spuntavano sul mercato, e quelli che invece vi
erano già da tempo si andavano raffinando e
migliorando sempre più. Con il trucco anni ’50
(fig.38-39), si voleva tornare ad una tipologia di
trucco meno sofisticata di quella del decennio
precedente tutta ombreggiature e chiaroscuri, ma
che comunque esaltasse la bellezza e l’espressività
degli occhi e delle labbra, punti che continuavano
ad essere focali. Il trucco si stendeva nuovamente
su una pelle uniforme e dall’incarnato chiaro ma
che stavolta non nascondeva particolarità come le
lentiggini, che invece venivano lasciate a vista ed
apprezzate30. Il nuovo modo di truccare gli occhi,
derivato dalla moda Parigina dello “sguardo da
cerbiatta” consisteva in una riga di eyeliner nero
che evidenziava la rima ciliare superiore e che
all’angolo esterno si evolveva in un flick o
virgoletta dando l’impressione di un occhio più
allungato, quando presente l’ombretto era in
quantità minima e in tonalità neutre, mentre invece
si abbondava con il mascara e in certi casi si
usavano perfino le ciglia finte; le sopracciglia
sottili della Dietrich e la bocca ingigantita di Joan
Crawford (1905-1977) (fig.40) erano ormai
30
Paradossalmente però anche se “difetti” come nei e
lentiggini non venivano più nascosti, sul mercato furono
lanciati prodotti quali, correttori, copri occhiaie, fondotinta
dalle nuove formulazioni e ciprie in tutte le forme e
confezioni.
59
esagerazioni appartenenti al passato; se una volta
le donne comuni volevano essere perfette come le
dive, adesso le dive devono assumere le sembianze
di perfette donne comuni. Il glamour quindi non
veniva ostentato, anche il trucco delle labbra non
era più chiassoso come in precedenza, le labbra
mantenevano la colorazione rosso vivo e tutte le
altre infinite tonalità di rosso (ognuna
precisamente mirata ad un certo tipo di carnagione
e colore di capelli, come insegnava Helena
Rubinstein – V. infra, cap.II, § 2 –), ma erano delle
dimensioni naturali e la matita contorno labbra non
sbordava in eccessi di turgore e volume. Il fard era
dosato in maniera discreta (fig.41). E la cipria31 era
ancora fedele compagna di toeletta; dopo il 1957
comparvero i primi mascara nel loro packaging per
eccellenza (il medesimo di adesso) ovvero un
tubetto dal tappo a vite dal quale fuoriusciva un
applicatore a scovolino, fino a quel momento erano
stati venduti in una spartana confezione di
cartoncino dove il mascara vero e proprio era
sottoforma di panetto semi solido da raschiare con
una piccola spazzolina.
31
La rivista «Vogue», sul finire del decennio lanciò la moda
delle ciprie colorate, blu per le bionde e verde per le more.
Tuttavia questa moda si esaurì presto, ma vale la pena di
annoverarla tra le poche (se non l’unica) frivolezze del make
up di questo periodo.
60
6. La Ribellione
Gli “swinging sixties” furono uno dei decenni più
significativi del XX secolo e lo dimostra il fatto
che le opinioni su questo periodo sono ancora
discordi. Alcuni la considerano l’epoca d’oro di
nuove libertà, altri il decennio tenebroso che ha
portato, essenzialmente, alla dissoluzione di
morale, autorità e disciplina. Certo è che molti
aspetti della vita sociale, della politica e della
cultura odierna sono una conseguenza di quanto si
mise in moto allora.
La spinta innovativa venne dai giovani che grazie
al boom demografico del dopoguerra, costituivano
un’altissima percentuale della società e la loro
influenza era forte come non lo era mai stata
prima. I giovani si ribellavano alle istituzioni e
regole che fossero dettate “dall’alto”: all’autorità
dei genitori, alla chiesa e allo stato, cominciando a
cercare valori nuovi e smascherando pian piano
l’ambigua morale dell’epoca, in nome della quale
si faceva esattamente il contrario di quanto si
predicava in pubblico, e mettendo così in crisi il
sistema.
Si creò così una controcultura forte ed invadente,
che non si limitava a borbottare in segreto, ma era
onnipresente e quando si ribellava, lo faceva in
modo forte, palese, inequivocabile. Alcuni giovani
avevano un orientamento più politicizzato, altri
61
erano attivi nell’ambito della cultura Pop32, mentre
altri ancora più semplicemente, sognavano una vita
pacifica e all’insegna del piacere. Ma tutti, più o
meno indistintamente erano accomunati da
un’unica causa: ovvero rifiutare la limitatezza
asfissiante della società borghese, e valori vuoti e
ipocriti come il decoro e l’etichetta.
Questa presa di posizione, si manifestò anche
attraverso la precisa volontà di liberarsi da tutte le
costrizioni: nel 1961, venne lanciata sul mercato la
pillola anticoncezionale, che contribuì molto, per
non dire scatenò, la cosiddetta rivoluzione
sessuale. Gli uomini si sentivano liberi da ogni
responsabilità mentre le donne, si sentivano
obbligate a dimostrarsi disponibili. Uno degli
effetti inaspettati della pillola e della rivoluzione
sessuale fu che, alla fine degli anni ’60, molte
donne andarono sulle barricate femministe a
combattere tutte le teorie, pregiudizi e visioni poi
ribattezzate maschiliste, che si avevano avute fino
a quel momento nei confronti della donna e del suo
ruolo nella società.
La giostra del consumismo, era ancora
inarrestabile ed i giovani, nonostante le lotte e il
32
Per cultura Pop, si intende il raggruppamento di tutte le
idee, prospettive, atteggiamenti ed altri fenomeni artistici,
musicali etc. che confluirono nel momento storico
sopracitato. Fortemente influenzata dai mass media, come la
televisione, la radio e le riviste, questa raccolta di idee e
“canoni estetici” permeava ogni aspetto della vita quotidiana
della società degli anni ’60.
62
rifiuto delle imposizioni dettate dalle istituzioni,
non erano contrari al consumo; forse non si aveva
ancora una reale consapevolezza del meccanismo
che si era innescato nel decennio precedente, fatto
sta che le regole di mercato non venivano
contrastate, e nonostante si detestasse il mondo
materiale degli adulti i giovani spendevano allo
stesso modo e con le stesse motivazioni, ma in
cose differenti: moda giovane, viaggi, droghe e
rock ‘n‘ roll. Dopo il concerto di Woodstock nel
1969, il Flower Power33 perse la sua magia: i
concerti seguenti finirono in fiumi di alcool, droga
e violenza. Il sogno Love & Peace esplose come
una bolla di sapone, ma niente però sarebbe più
tornato come prima. Nemmeno la moda. Gli
incredibili cambiamenti che la cultura giovanile
apportò alla società, si rifletterono anche
sull’estetica e sul modo di abbigliarsi. L’avvento
della minigonna34 (che fu uno dei momenti
33
Flower power è un'espressione tipica del movimento
hippy, che significa letteralmente "potere dei fiori", usata
durante la fine degli anni sessanta e i primi anni settanta
come simbolo di una ideologia non violenta. Il movimento
nacque per opporsi attivamente alla guerra del Vietnam;
alcune loro prese di posizione, come bruciare le lettere di
chiamata obbligatoria alle armi, furono clamorose,
suscitarono sdegno e critiche negli ambienti conservatori e
tradizionalisti, ma riuscirono, egualmente, a gettare i semi di
una "cultura hippy".
34
La minigonna, indumento rivoluzionario, fu lanciata nel
1964 circa da Mary Quant (1934) , una stilista londinese che
aprì la sua boutique Bazaar in King’s Road a Londra. Questo
63
fondamentali nella storia del costume del XX
secolo), e la sua “promozione” diede vita a nuove
icone, nuove figure di riferimento come
testimonials e top model35 (ad esempio Twiggy
Lawson – v. infra cap. II, § 11 – , ma anche Jean
Shrimpton (1942) e Veruschka – fig.42 – ) e ad
una nuova concezione dell’estetica, della
sensualità e della bellezza. Jean Shrimpton aveva
una linea da adolescente, indossava la minigonna e
si presentava con capelli lunghi, arredati di frangia,
e occhi dal trucco assai marcato. Twiggy,
campeggiava sulle copertine delle più importanti
riviste (fig.43) con il suo taglio da monella, gli
occhi incorniciati con la sfumatura “a banana” e le
ciglia inferiori disegnate con l'eye-liner, lo stesso
che caratterizzò gli anni '50 ma che adesso viene
adoperato in maniera totalmente nuova e creativa.
Tutto era teso a sottolineare uno stile fresco,
scevro da schemi troppo rigidi, ironico e
accessibile nel prezzo (dato che ormai il target di
capo sconvolgente in realtà traeva la sua ispirazione dagli
abiti infantili, e la carica erotica fu solo conseguente, poiché
l’intento iniziale era quello di riassumere in un capo
d’abbigliamento il rifiuto delle giovani donne dei modelli
materni di stampo borghese.
35
Con il boom del Prêt-à-porter, e conseguentemente delle
riviste femminili di moda, non è più la star cinematografica a
dettare il look del momento, ma bensì la modella
indossatrice. Anche il trucco beneficiò di questo boom,
infiltrandosi in ogni casa, diventando via via sempre più
commerciale ed entrando infine a far parte dei fenomeni Pop.
64
riferimento era principalmente la gioventù).
Abolendo il trucco raffinato delle pin up, l’intento
era esaltare la propria giovinezza e conservarla più
a lungo possibile. Del resto, era probabilmente
questa la tendenza che più si affermava su tutte:
ostentare l’apparenza ingenua e innocentemente
sensuale dell’adolescenza. L’ideale di bellezza
femminile, venne totalmente sovvertito: se giusto
un decennio prima, la donna favorita era florida,
con seno forte e appuntito, vitino da vespa e gambe
tornite, dall’aspetto sempre impeccabile e dalla
rigida morale; adesso i nuovi canoni prevedevano
un corpo snello, con forme appena accennate,
quasi androgine, occhi grandi e gambe affusolate
da mostrare senza troppo pudore. E anche nel
trucco vi è una sorta di inversione di marcia: se in
precedenza il peso era maggiormente spostato sulle
labbra (rosse, precisamente delineate ed erotiche)
adesso erano gli occhi, grandi e da cerbiatta a
catalizzare l’attenzione. In questo decennio per ciò
che concerne il trucco possiamo distinguere due
momenti: il primo va dal 1959 al 1963, il secondo
dal 1964 al 1970 (fig.44).
Nel primo periodo, il trucco era composto da un
incarnato luminoso e rosato, che non sempre
prevedeva il fard sulle gote (quando presente, era
sui toni del rosa). Le sopracciglia erano di spessore
medio, spesso depilate alle estremità e ridisegnate
dritte verso l’alto; esse, incorniciavano occhi
sottolineati da un’unica linea di eyeliner
65
terminante con un caratteristico flick all’insù che
incentivava i colori pastello (azzurro, turchese,
verde ma in seguito anche oro e bronzo)
dell’ombretto in stick (fig.45). Le ciglia erano
sempre accentuate con il mascara che adesso oltre
al classico nero, si trovava anche grigio fumo e
blu. Infine le labbra erano appena velate di rosa o
arancione chiaro. Il secondo periodo invece, vide
uno scurimento del fondotinta e uno schiarimento
delle labbra – preferibilmente carnose e tumide
come quelle di Brigitte Bardot (fig.46) – che
talvolta venivano addirittura coperte ed “annullate”
dallo stesso fondotinta oppure tinte di beige e rosa
perlati e chiarissimi. Gli occhi rimasero il fulcro
del look ed erano contornati da una spessa
bordatura di eyeliner nero (sia solo sulla palpebra
superiore che lungo tutto il contorno) stavolta con
un flick leggermente discendente verso il basso per
dare una sensazione di occhio languido; sotto la
rima ciliare inferiore spesso venivano disegnati
piccoli punti e trattini ad imitazione delle ciglia
(effetto bambola) mentre la palpebra veniva
campita di bianco o con altre tonalità chiare ed
opache. Altre caratteristiche principali del periodo
sono la sfumatura a banana nella piega della
palpebra (quasi sempre nei colori della terra come
il biscotto e il caffelatte) e le ciglia finte che ormai
sono di facile reperibilità e molto apprezzate ed
usate (si usava anche tagliare in più porzioni una
66
ciglia a nastro, attaccando i piccoli ciuffetti così
ottenuti, anche lungo la rima inferiore dell’occhio).
Colei che si spingerà ancora più lontano nello
studio del make up è Veruschka Von LehndorffSteinort (1939). Indossatrice tedesca dalle nobili
origini, arriverà a comporre sul suo corpo vere e
proprie opere d'arte adoperando le tecniche del
camouflage36 e della body painting37. Ali di
farfalle, di mosche, petali di fiori... tutto ciò che la
36
Il camouflage è una tecnica di trucco correttivo, utilizzata
per nascondere difetti del viso di una certa gravità ad
esempio forti arrossamenti della pelle, vitiligine, ustioni,
cicatrici dovute ad interventi chirurgici o incidenti, segni
lasciati dall'acne, macchie brune e macchie. In questo caso, si
intende per camouflage un contouring particolarmente
coprente e accentuato che possa trasformare e storpiare
otticamente i volumi del volto e del corpo.
37
L’arte della body painting affonda le sue origini negli
albori della civiltà. Era uso e costume di popoli tribali
Africani, Indiani e centro Americani che attribuivano a
quest’arte significati di tipo: religioso, cerimoniale,
intimidatorio e sessuale. L'origine della body painting
moderna invece, pare venga fatta risalire al 1933 quando
Max Factor, dopo aver truccato interamente la sua modella
con un nuovo make up, la espose alla Fiera Mondiale di
Chicago (furono arrestati entrambi per disturbo alla quiete
pubblica). Piano piano tornò di moda una delle forme d'arte
tra le più antiche, stavolta però caricata di un diverso
significato (oltre che realizzata con tecniche più evolute). In
particolare, dagli anni novanta ad oggi la body painting ha
subito un vero boom e a riguardo si svolgono durante l’anno
numerosi eventi e festival.
67
natura metteva a disposizione, poteva diventare
spunto per decorare il corpo (fig.47).
Hippies e figli dei fiori adottarono colori vivaci e
caratterizzarono il loro make up (quando presente,
dato che la moda verteva intorno ad un
fantomatico ritorno alla natura) con giochi
psichedelici: si disegnavano fiori intorno agli occhi
e altri disegni come ad esempio il simbolo della
pace, adoperando matite colorate: rosa acceso,
beige dorato, verde, viola, arancione... erano
queste le nuance che andavano per la maggiore.
Addirittura Mary Quant (1934), inserì un kit (dal
packaging palesemente sixties) di pastelli colorati
da viso (fig.48) nella sua linea di cosmetici, al suo
interno oltre ai pastelli, c’erano anche degli
esempi di disegni da copiare o dai quali trarre
ispirazione.
7.Il ritorno alla natura
Il decennio dei ’70 fu storicamente molto delicato
e tumultuoso; colmo di contraddizioni, eventi,
fermenti e spinte innovative. Fu l’esasperazione
delle basi gettate in precedenza: la libertà si
trasformò in dissolutezza e la gran parte dei
giovani di quegli anni tendeva così ad uno stile di
vita sbandato ed individualista. All’interno
dell’intera e sfaccettata società dominava
l’incertezza, incombeva lo spettro della crisi
68
economica; la disoccupazione, come la corruzione
ed il malcontento, crescevano sempre più e tutto
ciò si tradusse ben presto a livello globale, in
proteste di massa e attivismo politico38 (in certi
casi più che di attivismo si trattava di estremismo).
Gli Stati Uniti, ad esempio, subirono profondi
cambiamenti. La guerra in Vietnam continuò a
dividere il paese anche successivamente l’accordo
di pace di Parigi (stipulato nel gennaio 1973), che
mise fine alla partecipazione americana nel
conflitto. Fu legalizzato l’aborto. Aumentarono
criminalità ed immigrazione (che fu incentivata
dalla promulgazione dell’atto di immigrazione del
1965); la gente dal terzo mondo, migrava verso gli
Stati Uniti in cerca di fortuna economica e per
scappare dalle repressioni politiche. Le donne e le
minoranze fra le quali gli omosessuali, chiedevano
a gran voce stessi doveri e facoltà rispetto alla
restante parte della società. Le minoranze etniche,
come la comunità afroamericana e quella degli
indiani d’America, cominciarono una dopo l’altra
a reclamare i propri diritti in modo sempre più
pressante, ed in effetti piano piano alcune città
come Los Angeles, Detroit ed Atlanta videro eletti
38
Lo stesso "Maggio francese" fu ben più che un episodio
del movimento studentesco: la rivolta giovanile innescò in
Francia uno sciopero generale di proporzioni notevoli.
Accanto a dieci milioni di operai scesero in piazza anche gli
impiegati, il ceto medio nonché i tecnici ed i professionisti.
La coscienza sociale stava cambiando.
69
a sindaco degli afro-americani. Uguaglianza ed
equità erano le parole d’ordine.
Parallelamente a conquiste da parte del mondo
femminile, che ormai si era fatto strada nella
politica come nelle istituzioni scolastiche, si
ravvisò un gran numero di donne che dalla legge
sul divorzio invece fu penalizzato, in certi casi
ritrovandosi in solitudine a svolgere forzatamente
il ruolo di capofamiglia e in altri casi per colpa
della povertà incalzante.
Nell’inverno del 1972-73 scoppiò la crisi
petrolifera che ebbe come conseguenza la
svalutazione del dollaro (che ovviamente si
ripercosse in tutta Europa sottoforma di una
politica di austerity39). Dell’euforia economica dei
’50 non vi era rimasta alcuna traccia: la gioventù
da ottimista diventò cinica e mostrò la propria
parte peggiore, fatta di disimpegno, tendenza
all’evasione mentale e di un generale
smarrimento40.
39
In economia, l'austerità è una politica di taglio del deficit,
di riduzione delle spese, e di prestazioni e di servizi pubblici
forniti.
40
Emblematico è il film Saturday Night Fever, di John
Badham, Stati Uniti, 1977, dove viene raccontata la vita
inquieta di un giovane di Brooklyn (interpretato dal sex
symbol John Travolta) che vedeva nella discoteca e nella
cultura disco una via di fuga dalla triste realtà. Questo film
già a quei tempi ebbe un’incredibile successo e contribuì alla
diffusione e promozione della cultura disco (e della disco
music). Adesso invece offre un esauriente spaccato della
70
Se in Vietnam la Guerra terminava, scoppiavano
ora rivolte e guerriglie in altre aree quali la
Cambogia, il Libano, il Medio Oriente e il
Sudafrica. Anche l’Europa viveva un momento di
delicata transizione con un rallentamento
produttivo generale ed un inasprimento delle
tensioni sociali. Inoltre, paesi come la Spagna il
Portogallo e la Grecia, videro cadere i propri
regimi dittatoriali e l’insediamento di nuovi
governi. La Germania deteneva il primato
economico, mentre in Gran Bretagna la politica di
contenimento dell’inflazione di Margareth
Thatcher provocò un aumento preoccupante della
disoccupazione.
L’Italia attraversò, a partire dal 1972, un periodo
di paura e tensione: i cosiddetti “anni di piombo”.
Durante l’intero decennio si susseguirono
molteplici attentati terroristici da parte di gruppi
estremisti sia di destra che di sinistra, che
seminarono paura ed instabilità nella popolazione e
nella classe politica. La crisi in Italia fu inoltre
particolarmente dura, perché agli effetti della crisi
internazionale e al clima di terrore, si sommarono
le fragilità strutturali dell’economia; il ritardo
tecnologico, l’inefficienza del sistema fiscale, la
debolezza della lira, le inefficienze della pubblica
amministrazione, etc.
realtà giovanile di quegli anni e ci suggerisce come si sia in
seguito arrivati alla smania di potere, di benessere, di sport e
vita notturna che culminò negli anni ’80.
71
Nonostante da un punto di vista storico, gli anni
’70 non furono esattamente un periodo “roseo”; si
trattò comunque di un momento di trasgressione e
libertà, pregno di una sempre crescente cultura e di
creatività, di innovazioni tecnologiche come il
Compact Disc (nella sua forma attuale), il
Walkman della Sony, i primi videoregistratori e il
telecomando per la televisione (in Italia a colori a
partire dal 1977). Fu un decennio di “scambi” con
lo spazio, con le missioni lunari del 1971, ’72 e
’73 e con il boom di avvistamenti di U.F.O. del
1978. Le radio libere ebbero una vera e propria
impennata di ascolti e consensi e fu proprio la
musica, grande protagonista del decennio, ancora
una volta, ad influenzare la moda ed il costume
giovanile proponendo nuovi stili di vita (promossi
da nuove icone) e canoni estetici (ne sono la prova
la Disco music, il Punk41 e la musica Dance di fine
41
Il Punk, nacque a Londra nella seconda metà degli anni ‘70
e si propose come un movimento aggressivo ed anarchico il
cui motto era: “No future”. Circa 200 giovani si definirono
parte di una cultura urbana, giovane e che si opponeva alla
moda hippie, sviluppando un vero e proprio odio verso la
generazione precedente e le smancerie del Flower Power,
sostituendo il diktat “Peace & Love” con “Sex & Violence”.
Questa controcultura era anche strettamente collegata alla
musica di gruppi come i Sex Pistols, che insieme al manager
Malcolm McLaren e alla stilista Vivienne Westwood
divennero icone indiscusse e punti di riferimento per coloro
volessero sposare questo stile. Il look Punk, contemplava
tutto ciò che era esteticamente brutto o scandaloso: i loro
abiti strappati ad arte, sgualciti e sporchi provenivano da
72
decennio). Auto-espressione ed eccesso furono i
tratti distintivi del tempo: tutto quanto era portato
ad esagerazione: la lunghezza dei capelli, l’altezza
delle scarpe, i glitter, l’ascolto della musica, l’uso
di droghe ed alcool insieme all’entusiasmo per la
tecnologia e l’eccesso psichedelico.
Dal punto di vista stilistico sarebbe troppo
semplicistico liquidare gli anni ‘70 come “il
decennio del kitsch”, nonostante, in effetti, molti
prodotti di questi anni abbiano un che di pacchiano
– si pensi ai copri water in tessuto colorato, ai vari
accessori per decorare l’abitacolo dell’automobile,
ai body di lycra e alle camice in poliestere dagli
improbabili colori – infatti, furono apportati
considerevoli contributi in architettura, design,
moda ed estetica in generale. Spunti dai quali
inconsapevolmente attingiamo ancora oggi e che
hanno gettato le basi per le idee più moderne come
ad esempio, in campo architettonico, una nuova
concezione di casa, come fosse un organismo che
interagisce con l’ambiente circostante e
perfettamente calzante alle reali esigenze della
famiglia che la abita; o l’uso di tecnologie a basso
negozi dell’usato e centri di carità ed erano sempre
customizzati dal proprietario, che li decostruiva e
riassemblava sotto nuove forme. Alcuni accessori
emblematici, a completamento del look punk erano spille da
balia, catene di varie dimensioni (spesso chiuse da lucchetti e
portate come collane), collari borchiati per cani e anfibi Dr
Martens.
73
consumo energetico che è un tema, in questo
momento storico, più attuale che mai.
Questi anni furono anche un melting-pot di
elementi contrapposti: all’austerità dettata dalla
crisi economica si opponeva la decadenza dei
costumi (destare scandalo era una priorità), alle
tonalità della terra ritornate in voga si alternavano
vere e proprie esplosioni di colori leziosi,
all’amore per la natura si affiancava una smania di
futurismo high-tech e la cultura della discoteca con
la sua estetica artificiale.
L’influenza dello stile hippie si rifletté oltre che
attraverso
l’attenzione
alla
natura
(ora
ulteriormente incrementata dalla crisi petrolifera
del 197342) anche sull’abbigliamento, con l’uso di
mixare vari stili differenti, con la predilezione per
tessuti come cotone, lino e fibre naturali e per i
colori cosiddetti della terra, con gli accessori di
derivazione etnica e folk (ad esempio caftani,
pantaloni alla turca e turbanti: influenze estere
derivate anche da una maggiore facilità di
compiere viaggi). Ma l’abbigliamento, così come
la vita non aveva più delle regole fisse ed ognuno
doveva decidere da sé quello che gli stava bene e
42
Si pensi che ad esempio in Italia, la domenica, non si
poteva circolare in automobile e che alcuni giorni la
settimana, per circolare in auto si adottava il criterio delle
targhe alterne.
74
la scelta ricadeva spesso sui Blue Jeans43
(accompagnati da una semplice camicia sia per lui
che per lei) ma anche sulle zeppe e scarpe con il
tacco ed il plateau (anche per lui, ebbene sì).
Parallelamente al denim e allo stile hippie, verso la
fine del decennio prese piede il look Disco che
contemplava l’uso di completi giacca e pantalone
(talvolta anche con il gilet coordinato) attillati per
gli uomini, sulla falsariga dell’abbigliamento di
Tony Manero, e tutine ed abiti in lurex o paiettati
per le donne accompagnati in entrambe i casi da
folte chiome, cotonate e vaporose44.
Tra gli stili più estremi del momento troviamo
anche il Glam-rock, i cui elementi chiave erano il
travestimento e l’ambiguità sessuale. Tra i
portavoce di questa moda emerge decisamente su
tutti David Bowie (fig.49), uno dei più grandi
artisti e showman di sempre: egli attraverso la
43
I jeans furono già “divisa” di giovani ribelli a partire dagli
anni ’50, quando l’attore e sex symbol Marlon Brando li rese
popolari; il modello ora in voga, prevedeva la vita bassa e il
fondo svasato a zampa d’elefante, anche se con il tessuto
denim venivano confezionati oltre i già citati “cinquestasche”
anche pantaloni dal taglio più classico.
44
I capelli divennero il simbolo della libertà appena
conquistata,
rappresentavano
infatti
l'archetipo
dell'abbattimento di ogni tabù. Le chiome venivano ora
reinterpretate con l’uso di tecniche del tutto originali (una era
il brushing per lisciare) e si affermarono nuovi talenti
dell'hairstyling come Jean Louis David, Maniatis, Harlow.
Criniere vaporose facevano a gara con teste geometriche in
un'alternarsi di trovate geniali ed estrose.
75
dimostrazione che fosse tutto spettacolo,
travestimento e atteggiamento, mise fine
all’illusione che la musica rock fosse sinonimo di
sincerità e specchio della personalità del cantante:
in realtà, secondo l’artista ed i seguaci del Glamrock, il cantante si “prostituiva” allo show business
sempre e comunque. La moda Glam era ironica,
esagerata, scandalosa, combinava componenti
androgini con elementi spiccatamente femminili
(come il trucco estremamente vistoso e
provocante) e sensuale mascolinità.
Anche per ciò che concerne in generale il make up
del periodo (fig.50), l’esagerazione si declinava
variegatamente, ora con le sopracciglia
completamente depilate di Mina (v. infra, cap.II, §
9), ora con veri e propri disegni ed arabeschi
(dunque il viso veniva trattato alla stregua di una
tela bianca e dipinto come fosse un quadro – fig.51
–). Comunque, il trucco più usato in linea di
massima, rispettava le stesse regole valide per
l’abbigliamento: di giorno il look era leggermente
più naturale (fig.52), con tinte bruciate, biscottate e
tocchi di rosa e celeste (fig.53-54) per gli occhi
sempre sottolineati dall’eyeliner, dal mascara e
spesso anche dalle ciglia finte (continua ad essere
amato lo stile bambola adottato da Twiggy); le
sopracciglia furono soggette a nuove attenzioni,
come la rasatura completa (a fine decennio era
ormai una pratica abituale di moltissime modelle e
non destava più alcuno stupore come invece fu
76
all’inizio), ma alcune donne si limitavano a
pettinarle all’insù fissandole con la lacca, con il
sapone, chi addirittura anche con la colla. Le
labbra venivano dipinte con rossetti rosati o con il
solo lucidalabbra, che le idratava e lucidava
rendendole tumide ed attraenti45; la pelle, tonica e
spesso anche dall’abbronzatura dorata veniva
illuminata con polveri iridescenti e riflettenti che le
donavano un aspetto satinato.
In totale rotta di collisione si trovava il trucco
Punk, che univa un make up scomposto e sbavato
(fatto essenzialmente da pigmenti neri) al pallore
inquietante e labbra simili a ferite, ripescati dalle
dive del muto, caricati stavolta di un diverso
significato e di… piercing46 al labbro, al naso e ad
altre parti del viso (e del corpo).
45
Ovviamente le femministe non adottavano nessun tipo di
cosmetico, tantomeno il rossetto rosso o rosato che fosse. Il
loro perentorio rifiuto del trucco, fa capire quanto questa
pratica porti con sé anni, se non addirittura millenni di
significati e valenze culturali. In questo caso la donna
attivista degli anni ’70 rifiutava l’idea di doversi “adeguare”
ad uno standard di bellezza impostole da altri ed anche il
principio che faceva del make up un’arma di seduzione per
attirare l’uomo.
46
Piercing o body piercing (dall'inglese to pierce,
"perforare") indica la pratica di forare alcune parti
superficiali del corpo allo scopo di introdurre oggetti in
metallo (talvolta ornati con pietre preziose), osso, pietra o
altro materiale, quale ornamento o pratica rituale. Il piercing
ha origini antiche o preistoriche. Lo scopo principale era
quello di distinguere i ruoli assunti da ogni membro
77
Per la sera e la discoteca le tinte si facevano più
forti, gli occhi ancora più magnetici e l’ombretto
saliva sfumando verso le tempie, così come il fard
si sfumava verso gli zigomi; verso la fine del
decennio tornarono di moda i rossetti rosso acceso
e troviamo i pigmenti contenenti mica e perciò dai
riflessi leggermente metallescenti sia per le labbra
che per gli occhi. In realtà, una delle maggiori
conquiste nel campo della cosmesi, fu
l'introduzione di una regolamentazione per i
cosmetici e i prodotti da toilette. Questa, aveva lo
scopo di garantirne la sicurezza per l'uomo. In
questi anni, ad un prodotto cosmetico veniva
richiesto di essere tecnicamente ben fatto e di non
contenere ingredienti pericolosi per la salute e ciò
era una importante presa di posizione rispetto
all’atteggiamento superficiale degli anni passati,
per cui pur di apparire belle, si soprassedeva sulle
eventuali ripercussioni dannose che determinati
ingredienti potevano avere sulla salute della
consumatrice.
all'interno della tribù, al fine di regolare i rapporti tra i vari
individui sia nel quotidiano che durante le cerimonie,
rendendo immediatamente palese tutta una serie di
informazioni sull'individuo e al suo rapporto con il gruppo di
appartenenza. I motivi che oggigiorno spingono a tale pratica
possono essere i più vari e possono includere: religione,
spiritualità, tradizione, moda, erotismo, conformismo o
identificazione con una sottocultura.
78
8.Gli aggressivi ‘80
Gli anni ’80 iniziarono in grave crisi economica
ma a partire dal 1984 iniziò una ripresa piuttosto
intensa (dovuta principalmente al ribasso del
prezzo del petrolio e a una nuova disponibilità
interna degli imprenditori), al punto da far pensare
ad un nuovo boom economico.
Fu un epoca caratterizzata dalla presenza di grandi
personalità, sia politiche come il presidente degli
USA Ronald Reagan (1911-2004), il Premier
sovietico Mikhail Gorbaciov (1931), Papa
Giovanni Paolo II (1920-2005) sia appartenenti ad
altre sfere come la musica e l’arte. Eventi di
rilevanza mondiale si susseguirono per tutto il
periodo. Come non ricordare l’attentato al Papa del
1981 o quello ad Indira Gandhi (1917-1984),
eventi disastrosi come il terremoto in Irpinia del
1980 e il disastro nucleare di Chernobyl (1986), la
fine della Guerra Fredda tra USA e URSS e lo
sgretolamento delle ideologie e dell’impero
comunista, infine la caduta del muro di Berlino nel
1989 e la diffusione di una nuova malattia:
l’AIDS, una delle più temibili pandemie. Tuttavia,
nonostante il gran numero di eventi nefasti, furono
anche anni di spensieratezza e superficialità, di
pura apparenza ed edonismo, di grandi innovazioni
tecnologiche, che hanno cambiato completamente
la vita quotidiana di tutti noi. Alcune di queste
innovazioni sono diventati oggetti “indispensabili”
79
per la quotidianità: il Personal Computer
introdotto dall’ International Business Machine
(IBM) nel 1981 e il telefono cellulare (il primo
modello, della marca Motorola costava ben 4000$
). Anche la nascita del network televisivo MTV e il
conseguente successo dei videoclip, in qualche
modo influenzarono la società, per non parlare
della fruizione e diffusione della musica47.
Durante gli anni Ottanta il panorama politico
italiano era dominato da: corruzione, uso della
politica a scopo di business, arte dello
schieramento (con relativa perdita delle categorie
del libero pensiero), ma anche dal clientelismo,
dall'arroganza, dalla furbizia, dal ricatto, sperpero
del denaro pubblico, esosità e ingiustizia fiscale,
paralisi della magistratura, silenzio e collusione
degli organi di informazione. Inoltre la mafia
esercitava un vero e proprio controllo sul territorio
e ne sarà ulteriore prova l’assassinio del generale
Carlo Alberto Dalla Chiesa, avvenuto a Palermo
nel 1982.
Ma prescindendo dalla torbida situazione politica,
anche l'Italia godeva, in quegli anni, di un periodo
47
MTV si proponeva come un canale riservato solo
all'industria della musica e questo concetto era una novità. La
musica, era adesso accompagnata da immagini e dunque
molto più incisiva nel veicolare messaggi ed entrava nelle
case in modo più penetrante. Con la diffusione del videoclip
era molto più facile adesso emulare il proprio artista o
gruppo preferito, e ciò ovviamente, si rifletté ampiamente
sulla moda e sulla diffusione dei vari trend.
80
di relativo benessere, anche se erano pochi coloro
che avvertivano le sue deboli fondamenta: il tenore
di vita degli italiani era infatti superiore alle reali
disponibilità economiche del Paese e questo
meccanismo in breve comportò non pochi
problemi. Alla popolazione, il cattivo esempio,
veniva offerto dallo stato, con la sua
predisposizione al consumismo; e tutto ciò ebbe
come conseguenza il credere ad una serie di
illusioni (potenza, libertà, autodeterminazione), e
creò la convinzione nella superiorità dell'apparire
sull'essere, esaltando le futilità e le doti negative
del cinismo e dell'opportunismo. Fu dunque così,
in Italia come nel resto del mondo (specialmente
negli Stati Uniti d’America),che gli anni ’80 si
vendicarono degli hippy, delle loro culture
pacifiste e di chi aveva rifiutato la ricchezza ed il
potere in favore di valori e beni immateriali.
Guadagnare era considerato Hip48 e l’ostentazione
era d’obbligo, come vestirsi bene e non interessarsi
di questioni politiche.
Nonostante in Italia in quegli anni si svilupparono
le prime società fornitrici di servizi (il cosiddetto
sistema terziario) era evidente la povertà del
sistema industriale e l’inadeguatezza dell’intero
paese
rispetto
agli
standard
europei.
Fortunatamente però la fantasia, la cultura e il
gusto degli imprenditori Italiani, riuscivano ad
imporre in tutto il mondo la moda e il design
48
Hip è un termine gergale inglese e significa “alla moda”.
81
italiani, e dunque settori, come quelli tessile e
dell'abbigliamento, nonostante la concorrenza dei
paesi con manodopera a basso costo, misero a
segno egregi risultati degni di nota. Si vedano
maison come Versace, Dolce & Gabbana e
Valentino che fecero fortuna proprio in questo
decennio.
Nel mondo della moda tutto iniziò molto
blandamente, i tempi selvaggi del punk si erano
normalizzati; i tagli a spazzola (fig. 55) e le creste
da Mohicano (fig.56) furono assorbiti nel
repertorio generale della moda ed il punk di lusso
nelle passerelle era “in”. In Inghilterra però sulle
note della musica di band come i Duran Duran,
Spandau Ballet, e del cantante Boy George si
diffuse lo stile New romantic, che opponendosi al
Punk, rispolverava in parte elementi del Glamrock, fondendoli con nuove sonorità ed uno stile
romantico ed eclettico, fatto di spunti attinti dal
Medioevo, dal Settecento e dallo stile piratesco
(nonché un make up spiccatamente appariscente
con tanto di eyeliner e rossetto). In poco tempo
però, la vena romantica si esaurì e il decennio
mostrò la sua vera faccia: i figli dei prolifici anni
’60, erano ormai adulti e volevano una cosa sola:
guadagnare bene ed in modo rapido, senza farsi
troppi scrupoli. Nessuno aveva più interesse per i
sindacati o per le associazioni di solidarietà.
Imperavano un forte pragmatismo e una violenta
pulsione verso il successo. Il simbolo degli anni
82
’80 era lo Yuppie ( parola coniata unendo le iniziali
delle parole: Young, Urban, Professional49),
identificabile per il tipico power-look. Questi
giovani ricchi, ebbero un tenore di vita molto
costoso e privo di alcun senso di responsabilità (il
fenomeno degli Yuppies, si esaurì con il crollo
della Borsa del 1987).
L’uomo Yuppie (perfettamente incarnato da
Christian Bale nel film American Psycho50,
prediligeva completi di Armani, Hugo Boss e
Ralph Lauren, a doppio petto e con le spalle
imbottite, questo insieme donava una silhouette
più virile ed autoritaria. Questo look divenne il
simbolo dell’ambizione: in una società in cui
bisognava farsi largo a gomitate e l’esteriorità
diventava espressione di una condotta interiore. La
versione femminile dello Yuppie, durante il giorno
indossava un tailleur con la vita stretta e le spalle
imbottite, la gonna corta e una camicetta elegante
o anche un tailleur pantalone. Le spalle imbottite
prese in prestito dall’altro sesso avevano il
compito di trasmettere autorità e potere e di
realizzare le aspirazioni dell’emancipazione.
Questo look aggressivo e mascolino era però
compensato da lingerie molto costosa e femminile
e da un make up marcato e appariscente (fig.5758).
49
Trad. lett. dall’inglese: giovane professionista, di città.
American Psycho, di Mary Harron, Stati Uniti, 2000, 102
min.
50
83
In questo decennio si diffuse anche la cultura dei
giovani di colore soprattutto attraverso la musica
di gruppi Hip-hop, Rap e House. Nelle discoteche
di New York e Los Angeles si svilupparono la
street-fashion e gli streetsounds. I giovani dei
ghetti, si esercitavano in mezzo la strada con
spettacolari esibizioni di danza acrobatica, la
Breakdance, i cui movimenti a scatti accompagnati
da un sound spigoloso, rispecchiavano il modo di
vivere aggressivo e duro della strada. Altri
fenomeni di costume che si svilupparono
maggiormente in questo periodo (pur magari
essendo nati nel decennio precedente), furono il
dark (fig.59) o neogothic51, lo stile metallaro52, lo
51
Il movimento neogotico o goth (in Italia dark) è una
sottocultura giovanile sviluppatasi nel Regno Unito verso la
fine degli anni ’70 e che prosegue ancora adesso arricchita di
sempre nuovi spunti e sottocategorie stilistiche. La tipica
moda neogotica include dettagli come lo smalto nero, i
vestiti da colori scuri ed ispirati al Medioevo, al
Rinascimento e alla moda Vittoriana, borchie, croci, trucco e
capelli neri, piercing e catene. Il neogotico comunque
comprende vari tipi di stili estetici, derivanti a loro volta
dalle diverse categorie di generi musicali e attitudini.
52
Lo stile che in Italia è definito metallaro, deriva dal genere
musicale Heavy metal, sviluppatosi alla fine degli anni ’60
nel Regno Unito. Questo stile, non esige un trucco o un
codice d’abbigliamento preciso: in linea di massima, coloro
che ascoltano questo genere di musica, usano portare capelli
molto lunghi, jeans attillati e t-shirt raffiguranti le proprie
band favorite. Per ciò che concerne il make up: occhi
sottolineati con ombreggiature e campiture scure (e la scelta
può ricadere su varie tipologie d’ombretto come su matita o
84
stile rasta53 ma anche i temuti skinheads54. Ogni
stile aveva una propria “divisa” o per meglio dire
un proprio look55. Ed è proprio tramite
l’introduzione del look, che avviene un vero e
kajal) o anche solamente una bordatura spessa e netta ed
infine accessori di pelle con borchie e fibbie per completare
l’insieme.
53
La cultura rasta prende il nome da Ras Tafari (1892-1975),
ex imperatore dell’Etiopia. La sua notorietà e diffusione, è
dovuta soprattutto a Bob Marley (1945-1981), noto ed
amatissimo musicista reggae devoto a questa filosofia di vita.
Segni connotativi della cultura Rasta sono l’acconciatura a
dreadlocks, (che sono una sorta di treccine, particolarmente
intricate e compatte, realizzate mediante l’uso di uncinetti
appositi e colle specifiche) e abiti o accessori (ad esempio
berretti e monili) nei tre colori della bandiera etiope, verde,
oro e rosso.
54
Gli Skinheads erano una tribù urbana particolarmente
estrema e violenta. Esteticamente riconoscibili per: la testa
rasata, t-shirt bianca, pantaloni da lavoro o jeans attillati
corredati di bretelle, pesanti anfibi e giubbotto bomber,
nascono tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80, in un
clima lavorativo e sociale deprimente ed abbrutente. La loro
ideologia destrorsa si estremizzò sempre più fino a sfociare
in violenza ed intolleranza verso immigrati, minoranze
etniche ed omosessuali.
55
“L’immagine, o aspetto esteriore, o apparenza, negli anni
’80 acquista un nome peculiare: look. In inglese, la parola ha
un significato complesso, “sguardo”, ma anche “apparenza”
e “maschera”. Richiama un’idea di superficialità, ma anche
di maschera sociale, travestimento: quello che decidiamo di
presentare agli occhi del mondo, effimero e intercambiabile.”
Cocciolo Laura, Sala Davide, Storia illustrata della moda e
del costume, Demetra ed., Verona 2001, p.289.
85
proprio cambiamento nel modo di approcciare la
moda e al suo modo di veicolare messaggi. Il look
era veloce ed immediato, legato non tanto alla
qualità estetica quanto al riconoscibilità; esso
diventò una strategia per ingannare, per non
svelare la propria identità, ma viceversa
rappresentò anche un nuovo mezzo comunicativo e
un modo per sentirsi appartenenti ad un gruppo.
Il Make up degli anni '80 può essere riassunto con
l'acronimo B.B.B. ovvero Big, Bold e Bright (trad.
esteso, audace e squillante). Riprendeva lo stile
punk-rock con intensi smokyeyes (fig.60), eyeliner
steso anche sulla palpebra inferiore, colori accesi,
iridescenti ed insoliti tanto sulle palpebre quanto
sulle labbra, e ciuffi di capelli cotonati e
volutamente “selvaggi” (fig.61). In effetti, con
delle spalle così enfatizzate (come prescriveva la
moda del tempo) ed un acconciatura voluminosa, il
trucco non poteva che essere adeguatamente
vistoso, tra i colori di ombretto favoriti vi erano:
blu, verde, malva, fucsia, lilla giallo e arancione e
ovviamente le tonalità fluo. Spesso completamento
del trucco fluo era il mascara colorato.
Rivedendo i look di quegli anni, adesso potremmo
pensare che fossero troppo vistosi e che avessero
un che di "strano", ma allora l'accostamento di
ombretti dai colori accesi a labbra ben definite e
magari anche tinte di rosso, di marrone cioccolato
o con altre tonalità (più naturali, come il rosa, ma
dall'effetto fortemente perlato) era considerato chic
86
e portato con orgoglio. Nulla sembrava eccessivo o
ridondante: le sopracciglia erano rigorosamente
molto scure, spesse, folte e ben definite, in
contrasto con una chioma bionda o castano chiaro,
mentre per mettere in risalto le guance si usava un
fard rosa mattone, che donava un effetto bonne
mine.
Di giorno, le donne consideravano il trucco un
contributo importante per completare il powerlook: le labbra fortemente delineate dalla matita e
campite con il rossetto aggiungevano un tocco di
autorità e prestigio. La sera invece truccarsi, era
principalmente uno strumento di divertimento e
seduzione così come indossare abiti e gli accessori
colorati e dall’aspetto spiccatamente "fake".
In ogni caso, il ruolo femminile era cambiato. La
donna non era più una "graziosa signora" da
relegare ai fornelli, ma un essere attivo, dinamico,
agguerrito e competitivo in campo professionale e
perfino sentimentale, la bellezza diviene strumento
per accedere ad una professione e ad una posizione
importante nella società. e si declinò in un nuovo
ideale di donna: un amazzone combattiva,
impeccabile ed efficiente. Verso la fine del
decennio, il makeup cominciò a virare verso
tonalità di colore più naturali e l'aspetto in generale
si fece meno costruito e aggressivo. Questo
avvenne anche perché un trucco più naturale
rendeva l'aspetto della pelle complessivamente più
sano, e si può comprendere quanto questo fosse
87
importante in un periodo in cui per il benessere
fisico si avesse quasi un ossessione56.Le donne
ritornarono così ai colori della terra e all'uso del
bronzer e delle terre con labbra sempre delineate
dalla matita ma campite da rossetti dalle tonalità
nude o dal gloss trasparente che incrementava la
naturale bellezza delle labbra piene e turgide.
Anche le acconciature si fecero più naturali, capelli
a caschetto e lisci di media lunghezza divennero le
preferite, spesso accompagnate dal cerchietto o da
una fascia per capelli che lasciasse scoperto l'ovale
del volto mettendolo in risalto.
9.Contemporaneamente…
Con la fine della Guerra Fredda, il quadro
geopolitico mondiale si spostò di conseguenza su
conflitti etnici e crisi territoriali più o meno gravi
(l’ancestrale scontro tra est ed ovest del mondo
non si era esaurito ma bensì, rimpicciolito e
56
Jane Fonda, diede il via al trend dell'aerobica, l'intero
decennio fu un momento di grande attenzione all'attività
fisica, si faceva jogging, ginnastica, gli uomini praticavano il
body building e tutti indistintamente aspiravano a mantenere
in forma il fisico anche attraverso diete e integratori
alimentari; invece là dove non potevano tenacia e rinunce a
premiare i sacrifici intervenivano bisturi, liposuzioni e
iniezioni al collagene, capaci di donare ventre piatto, cosce
marmoree, pelle levigata e seni sodi... proprio come
richiedeva la moda.
88
frammentato). Fu così che l’ultimo decennio del
XX secolo si aprì con la Guerra del Golfo (19901991) tra Usa ed Iraq e con il conflitto in
Jugoslavia, che viene ricordato come uno dei più
efferati e che perdurò per ben quattro anni: ovvero
fino al 1995 (anche se in effetti i rancori che lo
scatenarono non si sopirono mai del tutto). Nel
1997, fu poi la volta della guerra civile Albanese,
ma in generale l’intero decennio fu costellato da
lotte etniche e rivolte intestine in varie parti del
globo.
Dal punto di vista economico, gli Stati Uniti
subirono una forte recessione, dovuta anche
all’ingente finanziamento bellico degli anni
precedenti e ciò, naturalmente si ripercosse in tutto
il mondo occidentale. In Italia, sebbene una ripresa
economica si notò a partire dal 1996, furono anni
tumultuosi dal punto di vista sociopolitico: anni di
scandali come “Mani Pulite”, attentati di stampo
mafioso ai magistrati Giovanni Falcone e Paolo
Borsellino (avvenuti nel 1992), anni che videro il
consolidamento di nuove forze politiche e l’ascesa
del governo Berlusconi.
In Europa, con il trattato di Maastricht del 1993,
la comunità europea divenne Unione Europea:
un’unione basata su un sistema monetario unico
(l’Euro entrò in circolazione nel 1999) e coesa
anche dal punto di vista geografico, attraverso
l’abbattimento delle frontiere dei paesi membri
dell’accordo. Ma ciò che più di ogni altra cosa
89
abbatté ogni frontiera, fu Internet, che in questo
decennio si diffuse a macchia d’olio. In questi anni
la Microsoft mise sul mercato il primo sistema
operativo Windows 95 e si iniziò a parlare del
World Wide Web57 come possibile sistema di
comunicazione del futuro. Dati ed informazioni di
ogni tipo viaggiavano con inedita immediatezza e
ogni aspetto della vita quotidiana, anche
lavorativa, era ormai estremamente semplificato, si
pensi ad esempio agli studenti, che se un tempo,
per documentarsi adeguatamente dovevano recarsi
fisicamente presso biblioteche e compiere piccoli
viaggi, avevano adesso tutto lo scibile del mondo a
portata di “click”. Partendo da questa premessa,
diventa estremamente facile immaginare come il
fenomeno
della
“globalizzazione”,
prese
rapidamente piede influenzando e modificando la
società in ogni suo aspetto: dando luogo a
contaminazioni di vario genere e caratterizzando
57
La nascita del Web risale al 6 agosto 1991, giorno in cui
Berners-Lee, un informatico britannico, mise on-line su
Internet il primo sito Web. Inizialmente utilizzato solo dalla
comunità scientifica, nel 1993 il CERN (Organizzazione
Europea per la Ricerca Nucleare) decise di rendere pubblica
questa nuova tecnologia e a tale decisione fece seguito un
immediato e ampio successo del Web in virtù della
possibilità offerta a chiunque di diventare editore, della sua
efficienza e, non ultima, della sua semplicità. Con il successo
del Web ebbe inizio la crescita esponenziale e inarrestabile di
Internet nonché la cosiddetta "Web Era"
90
con l’ecletticità il decennio dei ’90 e il successivo
millennio.
Lo stesso stile di vita era irrimediabilmente
cambiato: rispetto al decennio prima si cominciò in
modo più o meno consapevole a vivere le giornate
in maniera più frenetica. I Media acquistarono in
questi anni un potere tale da influenzare a
dismisura la vita quotidiana di ogni individuo:
specialmente testate giornalistiche e televisione,
entrarono nelle case come mai prima d'ora e
proiettandoci in tempo reale dentro le notizie o gli
avvenimenti più importanti, con immagini dal vivo
anche degli eventi più crudi, stavano piano piano
dando vita al fenomeno che oggigiorno chiamiamo
spettacolarizzazione58 e che purtroppo, adesso,
molto
spesso
caratterizza,
insieme
al
sensazionalismo, la professione del giornalismo e
non solo. Quello dei ’90 fu dunque un decennio di
paradossi: se da una parte una nuova presa di
58
La spettacolarizzazione di vari aspetti della vita umana
(dalle guerre, ai fatti di cronaca, ai momenti intimi di gente
comune e mi riferisco ad esempio a format televisivi come il
Grande Fratello), vista in un ottica più ampia, è quella che a
partire dagli anni ’90 ci ha progressivamente portato, insieme
ad altri fattori, ad un allontanamento dalla naturalità e
normalità nel vivere gli aspetti più umani ed intimi del
quotidiano. Sostengo che ci abbia parzialmente staccato dai
valori tradizionali, ora sostituiti con falsi principi etici
assolutamente sbagliati e che adesso, in questo nuovo
millennio, si viva a causa di ciò, un’esistenza fatta quasi
unicamente di esteriorità e solitudine.
91
coscienza, scatenata da eventi come Chernobyl,
dalle carestie nei paesi africani, dalla sempre
maggiore diffusione dell’AIDS e da una voglia di
opporsi all’artificiosità degli anni ’80, portava ad
un riavvicinamento a tutto ciò che fosse naturale,
sobrio ed armonico (e non parlo solo dal punto di
vista estetico); dall’altra parte, i media morbosi, la
tecnologia ed anche alcune scoperte scientifiche
hanno sempre maggiormente prodotto un
allontanamento dalla vera essenza dell’essere
umano, permeando il decennio successivo di
alienazione e destabilizzazione.
Tutti questi elementi spesso contrastanti, li
troviamo anche nella moda e nel gusto estetico del
momento: lo stile degli anni ’90 infatti, seppur
ormai indissolubilmente legato a pubblicità, trends
e design, era poliedrico, multietnico, eclettico: un
autentico frutto della globalizzazione. Gli stili nati
precedentemente, si fondevano insieme a spunti
etnici, tribali e di derivazione street creando
innumerevoli se non infinite varianti. Al centro di
tutto il sistema c’era l’individuo, che operando una
scelta di carattere e mixando tutte le innumerevoli
opzioni a sua disposizione, creava qualcosa di
nuovo, uno stile individuale, destrutturato e
ricomposto, che si contraddistingueva per la sua
capacità di rispecchiare il carattere di chi l’aveva
ideato. Dunque numerose erano le tendenze
estetiche di quel periodo: il trend ecologista che
riscopriva tessuti come il lino e la canapa, quello
92
minimalista, asciutto e dai colori basic come blu
bianco e nero , il grunge59 e i ravers60, per ciò che
concerne la matrice musicale ed infine, una
tendenza su tutte: il revival di ogni stile dei
decenni anteriori che poi sfociò nella mania del
vintage61; ma sempre rigorosamente declinata
59
La tenuta del grunge sembra quasi una reazione
all’immagine di perfezione proiettata dalle top model: gli
adepti a questo stile indossavano qualsiasi indumento,
l’importante è che fosse stratificato e soprattutto trasandato.
Un’icona grunge fu Kurt Cobain (1967-1994), frontman
della band Nirvana. I Nirvana, furono uno dei massimi
esponenti di questo genere musicale nato a Seattle, negli Stati
Uniti, che fondeva sonorità punk, rock ed heavy metal.
60
I ravers, nome derivante da rave party, sono i cultori del
rave, una tipologia di festino illegale che ruota attorno alla
socializzazione a suon di musica elettronica martellante ed
ipnotica. Spesso questi festini conditi con abbondante alcool
e droga, si svolgono in luoghi sperduti nelle campagne
limitrofe alla città e lo stile dei giovani che vi partecipano
varia dal cyberpunk a travestimenti veri e propri, a tenute
sado-maso, composte da indumenti di pelle, latex, catene e
borchie
61
Il termine fu coniato inizialmente per i vini vendemmiati e
prodotti nelle annate migliori, in seguito è diventato
sinonimo dell'espressione “d'annata”. Ad oggi è
comunemente usato per definire le qualità ed il valore di un
oggetto prodotto almeno vent'anni prima del momento
attuale e che può altresì essere riferito a secoli passati senza
necessariamente essere circoscritto al Ventesimo secolo. Gli
oggetti definiti Vintage sono considerati oggetti di culto per
differenti ragioni: tra queste la qualità di produzione
superiore, se confrontata ad altre produzioni precedenti o
93
secondo il carattere di chi lo interpretava. Ed a
proposito di interpretazione, grandi rappresentanti
della moda di questo decennio furono le top model
(fig.62). Le ragazze mannequin di un tempo, tutte
uguali e abbastanza “comuni” erano ormai un
ricordo sbiadito, adesso l’immagine vincente, per
promuovere un prodotto, era quella di una donna
di carattere, capricciosa e diva, dal volto e dal
piglio inconfondibile, che dava la propria
personale interpretazione alle creazioni dello
stilista. Naomi Campbell, Cindy Crawford, Kate
Moss (v. infra, cap. II §16), Linda Evangelista
(fig.63) e Claudia Schiffer furono alcune delle
super model che spiccarono durante questo
decennio e che in certi casi dettarono anche legge
in fatto di trucco, stile ed abbigliamento.
Per ciò che concerne il make up, la tendenza
generale fu quella di preferire una bellezza
naturale e bilanciata e ciò privilegiò la cosmetica
alla commotica62, in altre parole si diede maggiore
attenzione a pratiche igieniche e di cura del corpo
(anche attraverso una vita sana e all’esercizio
fisico) piuttosto che al suo mero abbellimento con
successive dello stesso manufatto, e per ragioni legate a
motivi di cultura o costume.
62
Dal greco commos, belletto e commoo, colorire,
imbellettare. E’ l’arte che insegna a preparare ed adoperare i
belletti, con il solo scopo di piacere ed adescare. Si
differenzia dalla cosmetica, poiché quest’ultima ha anche lo
scopo di “guarire” determinate problematiche che hanno
come controindicazione anche un brutto aspetto.
94
l’uso di pigmenti etc... Le case cosmetiche si
dovettero adeguare alla nuova esigenza, data anche
la flessione nella vendita di ombretti e smalti e
supportate dalla ricerca, idearono fondotinta che
nutrivano la pelle come fossero creme, mascara
con sieri per rinfoltire le ciglia e blush dai colori
neutri per donare luminosità più che "scolpire" il
viso. Nel trucco anni ’90 (fig.64-65), la pelle
chiara era prediletta, l’incarnato doveva essere
assolutamente uniforme, luminoso e privo
d’imperfezioni. Il fondotinta, disponibile in nuove
formulazioni, aveva perso di consistenza e
spessore, dunque la stesura era molto più semplice
ed il finish naturale. Per completare la base si
usava appena un velo di cipria traslucida e il blush,
quando presente, era delicatamente sfumato e dai
toni rosati ma comunque sempre in accordo con
l'incarnato. Gli occhi dovevano essere magnetici
ma in modo discreto, truccati con colori chiari
come beige, albicocca, pesca/rosa, marrone chiaro
(fig.66), incorniciati giusto da un’impercettibile
riga di eyeliner nera o marrone ben sfumata o con
il kohl per dare profondità. Il mascara era steso in
modo accurato, senza accumulare troppo prodotto
sulle ciglia, in modo che risultassero quasi prive di
trucco, semplicemente scurite. Le sopracciglia non
erano più selvagge come nel decennio prima, ma
definite, ben campite ed abbastanza sottili. Infine
le labbra rappresentavano l'unico accenno di colore
nel look, ma sempre senza esagerazioni: le varianti
95
colore erano innumerevoli, dalle più neutre a
quelle più accese come il rosso fuoco, l'unico must
era la definizione impeccabile del contorno labbra.
In sostanza, era nato il Nude-look: il trucco che
c’era, ma non si vedeva (o quasi). Due icone di
riferimento per quest’aspetto fresco e naturale
erano Nicole Kidman e Julia Roberts (entrambe
del 1967), due attrici che seppur diverse fra loro
sia per colori sia per lineamenti, incarnavano
perfettamente la tendenza trucco e l’ideale di
bellezza sano e fresco di quel periodo.
Come accennato in precedenza, fu l’epoca della
globalizzazione perciò, parallelamente al nudelook, diverse tendenze trucco si diffusero di pari
passo ai trend moda. Magrezza, pallore e stile
androgino erano le chiavi della moda grunge che
prevedeva anche un trucco nero e scomposto, dagli
accenni “darkeggianti” e accompagnato da un
aspetto generalmente emaciato e da capelli
spettinati. Allo stile New Age63 si riconducevano
invece gli spunti di provenienza indiana dei
63
"New Age" (letteralmente: Nuova Era) è un'espressione
generale per indicare un vasto movimento transculturale che
comprende numerose correnti alternative psicologiche,
sociali e spirituali, come meditazione, la reincarnazione, la
cristalloterapia, la medicina olistica, l'ambientalismo e
numerosi "misteri" come gli UFO, i cerchi nel grano ed i
bambini indaco. Le diverse correnti riconducibili a questa
denominazione sono accomunate dal credere nell'avvento
della "nuova era dell’acquario".
96
tatuaggi all’Henné64 su mani e piedi e del Bindi
sulla fronte (mode lanciate dalla cantante Madonna
v. infra, cap II §14). Infine il diktat dell’essere
originali e particolari dava luogo ad innumerevoli
combinazioni
e
personalizzazioni
nell’abbigliamento tanto quanto nel trucco, ed ogni
donna (ma anche sempre più uomini) poteva e
doveva scegliere da sé cosa le donasse di più e
cosa rispecchiasse al meglio il proprio carattere ed
il proprio umore.
C’era un nuova attenzione all’aspetto psicologico
legato all’estetica: si frequentarono sempre più
assiduamente le Spa e, su modello di Madonna, si
praticava il pilates, l'aerobica cedette il passo allo
yoga, mentre a sostituire lo jogging ci pensarono la
riflessologia e il massaggio shiatzu. Prese piede le
pratiche legate alla talassoterapia65, insieme ad
64
La Lawsonia inermis, nota col nome francese henné, è un
arbusto spinoso. Dalle foglie e dai rami essiccati e macinati
si ricava una polvere giallo-verdastra utilizzata come
colorante su tessuti e pelle animale, ma anche per tingere i
capelli e realizzare tatuaggi temporanei (durano circa un
mese). La tonalità rosso bruna varia in funzione della
composizione in rami (rosso) e foglie (marrone). Spesso è
mescolata con l'indaco per disporre di una maggior gamma di
colori. La conoscenza delle proprietà coloranti e antisettiche
risale a tempi antichissimi; se ne trovano tracce fin nelle
mummie egiziane.
65
La talassoterapia (dal greco: thalassa = mare e thérapeia =
trattamento) è basata sull'azione curativa del clima marino.
La talassoterapia è stata inventata nella Bretagna nel corso
del XIX secolo, seppur la sua efficacia non è stata
97
altri metodi naturali spesso di origine orientale,
nella ricerca sempre più intensa di un benessere
che ripristinasse l’assetto totale dell’individuo,
armonizzando e riequilibrando il sistema mentecorpo. Ancora una volta, a fine millennio come
all’inizio e seppur con metodi differenti, la meta
finale era sempre la medesima: il raggiungimento
dell’eterna
giovinezza,
l’utopia
che
inconsciamente o no, è stata e sarà sempre alla
base della makeup routine di ogni donna.
scientificamente provata, è considerata efficace nella
riabilitazione post-traumatica e nel trattamento di malattie
come la dermatite, la tubercolosi e dolori ossei. Della
talassoterapia fanno parte anche quei trattamenti cosmetici a
base di alghe marine (ricche di oligoelementi) fresche o
essiccate.
98
99
100
Capitolo II. Icone di bellezza
1.Mata Hari
Il vero nome di Mata Hari è Margaretha Geertruida
Zelle; nata in Olanda nel 1876 e giustiziata, con
l’accusa di spionaggio, in Francia nel 1917 all’età
di 41 anni. La figura di Mata Hari (fig.1), con la
sua mirabolante vita, è talmente ricca di fascino e
mistero che è impossibile non annoverarla tra le
donne/icone del ‘900.
Dopo aver sposato il capitano Rudolph McLeod
visse per cinque anni in Malesia, dove venne in
contatto con l’esotismo di cui si fece portabandiera
durante la Belle Epoque. Lo stesso suo
pseudonimo, Mata Hari, significa in Malese
“Occhio dell’Alba”. Con il divorzio alle spalle nel
1905, avvenne il suo debutto come danzatrice
orientale presso il salotto aristocratico della
cantante Madame Kiréevsky. Da li si esibì
dapprima in ogni salotto parigino e, in seguito, in
teatri e locali celeberrimi quali il Moulin Rouge. Il
suo successo fu incredibile e internazionale e lei,
certamente dotata di talento nella danza e di
sufficiente sfrontatezza, fu anche abile nel
costruire intorno a sé delle fascinose e maliarde
menzogne circa le sue origini e la sua stessa vita,
che senza dubbio contribuirono ad accrescerne il
successo. Il punto focale attorno cui ruota l’ascesa
101
e il declino di Mata Hari è l’erotismo (fig.2), di cui
erano pregne le sue esibizioni quanto la sua stessa
vita privata. Fu il sogno proibito ma talvolta anche
la “realtà” di innumerevoli aristocratici europei,
inclusi ufficiali e alte cariche dell’esercito, le
stesse che in seguito la mandarono a morte,
probabilmente ingiustamente.
Agghindata e ingioiellata come e più di una dea
indiana (fig.3), sfilava ad uno ad uno i veli del suo
costume di scena, infervorando e affascinando il
pubblico. La bellezza di Mata Hari (tutt’altro che
nordica, giacché era scura di carnagione, d’occhi e
di capelli) e il suo stile esotico (fig.4) erano in
totale contrapposizione con i canoni e il costume
del tempo, che prevedevano una donna casta,
struccata e imbrigliata nel corsetto. Per questo
motivo, credo si possa e si debba considerare
Margaretha Geertruida Zelle come una sensuale e
sfrontata innovatrice e poco importa, in fondo, se
parte delle notizie sul suo conto sono leggende; la
figura di Mata Hari, così autenticamente “donna” e
dalla vita sfrenata (quanto, a mio parere, triste), ha
tutte le carte in regola per far parte di quella
cerchia di icone che il XX secolo ci ha donato.
2. Josephine Baker
Josephine Baker, il cui nome completo fu Freda
Josephine Mc Donald (fig.5), nacque negli Stati
102
Uniti nel 1906 e morì a Parigi nel 1975 per
un’emorragia cerebrale. Debuttò a sedici anni
come ballerina di rivista ed il suo successo crebbe
esponenzialmente fino a fare di Josephine la prima
star di colore, nonché una delle più acclamate
vedette del Moulin Rouge e del Folies Bergère. Il
leit motif della vita di Josephine fu la sua origine
"africana".
Nel 1925 debuttò in Europa con il suo spettacolo
più celebre: la Revue Negre (ovvero “Rivista
Negra”) (fig.6-7), un tipo di cabaret intriso di Jazz
ed esotico erotismo, originario americano, che era
ancora sconosciuto nel vecchio continente.
Josephine si esibiva con addosso solo un
gonnellino di banane artificiali (fig.8) e,
dimenandosi in danze ad alto contenuto erotico,
incarnava alla perfezione la “piccola scandalosa
selvaggia” (che insieme a Perla nera e Venere
Creola fu uno dei suoi soprannomi), secondo la
visione colonialistica tipica di quell’epoca. E’ a
questo periodo che risale l’incontro con Georges
Simenon: egli seguendo l’artista sempre dalla
prima fila figurava tra i fan più accaniti e con il
tempo, la sua ammirazione finì per trasformarsi in
amore. La loro appassionata e clandestina (poiché
il giovane giornalista era già sposato con Régine
Rechon detta “Tigy”) relazione, durò fino al 1927,
quando Simenon si vide costretto a troncare la
storia con Josephine, per paura o forse per
autodifesa: lui era uno scrittore alle prime armi ma
103
molto ambizioso, e il suo obiettivo era quello di
divenire un celebre romanziere. Un matrimonio
con una stella così famosa e popolare, l'avrebbe
tenuto sempre in secondo piano e sempre in una
penombra che non si confaceva alle sue
aspirazioni, che avrebbe rischiato di confinarlo nel
ruolo di “Monsieur Baker” e magari di farlo
percepire dagli altri come una specie di segretario
di Josephine. Dunque l’idillio amoroso, si spense
nel giro di due anni, lasciando tracce indelebili
(verosimilmente rimpianti) nella vita dello
scrittore. Negli spettacoli successivi Josephine
portò con sé sul palco un leopardo di nome
Chiquita che eccitava ed incuriosiva il pubblico
quasi quanto il suo corpo nudo e fremente. Oltre la
danza, Josephine si dedicò anche al canto
(famosissime le sue canzoni J’ai Deux Amours e
Nuit D’Alger) e nei primi anni trenta recitò in due
film: Zouzou1 e Principessa Tam Tam2 che tuttavia
non ottennero il successo sperato. Durante la
Seconda Guerra mondiale ebbe un ruolo
importante (per cui fu pluridecorata) nel
controspionaggio francese, celando messaggi
segreti nei suoi spartiti (utilizzando un inchiostro
particolare). In seguito, negli anni ’50 e ’60, fu
attivissima negli Stati Uniti nella lotta contro il
razzismo, di cui lei stessa incarnava l’esempio con
1
ZouZou,di Marc Allégret, Francia, 1934, 85 min.
Princesse Tam Tam, di Edmond T. Gréville, Francia, 1935,
77 min.
2
104
la sua “ Tribù Arcobaleno”: dodici figli adottivi
provenienti da varie parti del mondo.
Josephine Baker è un grande esempio di forza ed
ironia ed il suo personaggio dal look esotico e
selvaggio è ancora oggi di forte ispirazione. È
entrata a far parte della storia anche come una
delle Flapper Girl3 più famose, di cui certamente
impersonava l’ironia, la spregiudicatezza, ma
anche il coraggio e il look nella sua accezione
esotica (fig.9-10). Per lei, tanto era popolare ed
influente, fu addirittura creato un prodotto per
capelli: il Bakerfix (fig.11), Si trattava di una
pomata lisciante e dal forte potere fissante studiata
per gli indomabili capelli afro. A quel tempo in
Europa non esistevano prodotti che potessero fare
al caso suo, dunque ne crearono uno appositamente
per lei: ovviamente fu acquistato compulsivamente
anche dalle donne che non ne avevano un reale
bisogno, adesso una confezione originale di
Bakerfix vale intorno ai mille dollari.
3. Louise Brooks
3
La ragazza Flapper era una giovane donna, vissuta
specialmente negli anni ’20 del novecento, che manifestava
apertamente il proprio rifiuto per le convenzioni, i canoni
imposti e l’etichetta. La tipica flapper ostentava la sua
giovinezza e si dissociava da ogni convenzionalismo,
adottando atteggiamenti provocatori come ad esempio
fumare, guidare, bere alcool e ballare in modo sfrenato,
divertendosi del proprio essere “scandalosa”.
105
Mary Louise Brooks nacque in Kansas nel 1906 e
morì nel 1985 a Rochester (New York) per delle
complicazioni dovute ad un enfisema polmonare.
Fu una delle più celebri e talentuose attrici del
cinema muto degli anni ’20 (fig.12).
«È l’intelligenza della recitazione cinematografica, è
la più perfetta incarnazione della fotogenia, riassume
da sola tutto ciò che il cinema muto degli ultimi tempi
cercava: l’estrema naturalezza e l’estrema semplicità.
La sua arte è così pura da diventare invisibile.»4
Henri Langlois
Ed indubbiamente era basilare possedere un gran
talento per risultare naturali nei film muti, dove la
tecnica di recitazione necessitava di enfasi mimica
e di una espressività facciale e corporea esagerata
(fig.13). Tuttavia dopo aver toccato l’apice del
successo nel 1929 con i film Il Vaso di Pandora5 e
Il Diario di una donna perduta6, iniziò il suo lento
ma inesorabile declino. Louise Brooks incarnava
non solo la perfetta “Donna Fatale”, grazie
all’eccelsa interpretazione dei suoi film (nei
sopracitati film recitava il ruolo di una ninfomane
4
In,. 60 Ans De Cinèma, programma della Cinemateque
Française, 1955.
5
Die Büchse der Pandora, di Georg Wilhelm Pabst,
Germania, 1929, 133 min.
6
Tagebuch einer Verlorenen, di Georg Wilhelm Pabst,
Germania, 1929, 107 min.
106
e di una prostituta), ma impersonava anche il
modello di Flapper Girl (fig.14) del tempo: per il
suo carattere, quanto per l’aspetto estetico, lei era
la Flapper per eccellenza. Fu proprio Louise a
portare in auge il taglio di capelli alla Garçonne7;
il suo Bob così geometrico ed al contempo così
sensualmente femminile, ispirò anche Guido
Crepax, che disegnò ad immagine e somiglianza
della Brooks il suo fumetto più conosciuto:
Valentina (fig.15).
Tuttavia il suo carattere così particolare, per certi
versi ribelle e senza dubbio anticonformista, la
portò spesso ad essere fraintesa o a risultare snob
ed insolente (fig.16). Soprattutto quando,
rifiutando numerosi ruoli, si attirò l’astio di
Hollywood, non capendo che in tal modo, stava
per diventare l’artefice della sua stessa fine. Nel
1940 aprì una scuola di danza che, ahimè, chiuse
dopo tre anni di attività. Successivamente, si
dovette adattare per pura sopravvivenza a fare
lavori diversi, fra cui la commessa presso i grandi
magazzini Saks.
7
Il taglio di capelli alla “Garçonne” è, in generale, un taglio
di impianto maschile, quindi corto e minimal, ma
femminilizzato ed ingentilito attraverso un’esecuzione più
armonica e “dolce” delle forme. In particolare, il taglio della
Brooks era un caschetto corto e bombato sulla sommità della
testa, che terminava all’altezza delle orecchie in due “punte”
leggermente curvate verso il viso ed arricchito da una
compatta frangetta.
107
«L’amarezza e la disperazione avevano distrutto la
sua bellezza e la mancata consolazione della bottiglia
avevano rovinato la sua persona […].»8
James Card
A partire dalla metà degli anni ’50 Louise si dedica
alla scrittura, stilando saggi e articoli sul cinema e
sui film muti9. Ma nulla poté riscattare la tristezza
dei suoi ultimi anni, che la videro morire sola e
dimenticata, malgrado fosse stato promosso (in
particolare Henry Langlois se ne fece portavoce,
organizzando addirittura un evento dedicato
all’attrice10) un atteggiamento di rivalutazione del
suo talento come attrice del più ricercato stile
cinematografico: il film muto (fig.17).
4. Jean Harlow
Jean Harlow, all’anagrafe Harlean Carpenter, è
nata in Kansas City nel 1911 ed è stata la sexy
8
V. Akkuaria.com/louise/chie.htm
cfr. BROOKS LOUISE, Lulu in Hollywood, Hamish Hamilton
ed., Londra 1982.
BROOKS LOUISE, The Fundamentals of good ballroom
dancing, Wichita, pubblicato privatamente,1940.
BROOKS LOUISE, The Movie face of the ‘20s. Louise Brooks
writes about Humphrey Bogart, Vogue, maggio 1982.
10
Hommage à Louise Brooks, happening svoltosi a Parigi nel
1958, nel quale furono proiettati alcuni suoi film e al termine
del quale fu organizzato anche un ricevimento.
9
108
Bombshell11 per eccellenza del cinema americano
degli anni ’30 (fig.18). Fu spinta a diventare attrice
dalla madre, da cui prese il nome con cui in
seguito diventò celebre al grande pubblico.
Nonostante il suo desiderio di crearsi una famiglia
e vivere tranquillamente, da persona “comune”, la
Harlow venne ben presto talvolta dal successo: si
pensi che in un carriera (per certi versi breve) di
dieci anni, recitò in circa trenta film.
Sebbene tutte le testimonianze parlano di Jean
come di una ragazza generosa, tenera, fragile e
genuina; le peculiarità del suo personaggio e le
doti che fecero colpo sul pubblico, sui registi e sui
produttori furono ben altre. Furono la sua
provocante sensualità e quella sua inconsapevole
ma spiccata carica erotica, a farla entrare nella
storia del cinema come una delle prime, se non
addirittura la prima, icona sexy (fig.19).
La “donna di platino” (fig.20), come venne
soprannominata (traendo l’epiteto da un suo
celebre film12) dal 1931 in poi fu considerata
l’antesignana di Marilyn Monroe, e come lei, posò
nuda per degli scatti fotografici. Un altro suo
soprannome era “the baby”, datole dalla sua
famiglia ma poi usato largamente da tutti i suoi
conoscenti: il nomignolo era riconducibile al suo
aspetto estetico. Jean indossava poco trucco nella
11
In italiano, bomba sexy.
Platinum Blonde, di Frank Capra, Stati Uniti, 1931, 90
min.
12
109
vita quotidiana e con la sua pelle d'avorio rosato,
sopracciglia assenti e il viso tondo da cherubino,
rimandava immediatamente all’infanzia. E lei
giocava a fare la femme fatale con la stessa
infantilità con cui una bambina gioca “a fare
l’adulta”, con i trucchi della mamma e con uno
spiccato senso dell'umorismo. Tutto ciò la distinse
dalle
sue
contemporanee
e
accrebbe
esponenzialmente il suo sex-appeal.
Jean Harlow fu negli anni ’30 grande fonte di
ispirazione ed il pubblico imitò “lo stile Harlow”
ancora per molto tempo: le donne americane
spendevano i propri risparmi per ossigenarsi la
chioma (Jean era bionda naturale, ma ricorreva
all’aiuto della parrucchiera Pearl Porterfield per
ottenere la tonalità platino, tramite un malsano
metodo che prevedeva l’uso di acqua ossigenata,
detersivo e candeggina13). Acquistavano scarpe dai
tacchi alti e pellicce, imitando lo stile elegante e
sensuale dell’attrice (fig.21), che si faceva
confezionare gli abiti su misura (spesso in
materiali come il lamè) dalle costumiste di
Hollywood: privilegio di poche. Probabilmente, le
donne di quegli anni, spinte dalla volontà di
assomigliarle anche solo un po’, acquistavano
anche il profumo preferito dalla diva: Mitsouko di
Guerlain (creato nel 1919, tutt’ora in commercio);
profumo legato anche ad un aspetto poco felice
13
Per l’esattezza, Pearl usava una miscela composta da acqua
ossigenata, candeggina Clairol e detersivo Lux in fiocchi.
110
della vita di Jean. Si dice infatti, che il suo secondo
marito Paul Bern (produttore della Metro Goldwyn
Mayer) si sia cosparso proprio con questo profumo
immediatamente prima di suicidarsi.
A suo modo, questa grande diva fu un icona pulp:
trucco marcato, chioma platinata, sopracciglia
disegnate sottilissime ed arcuate; sospesa come un
angelo tra l’arte pura e la peggiore volgarità,
considerata da molti l’incarnazione stessa del
sesso.
Fu uno dei primi esempi di star adepte alla
attualissima “dieta Yo-yo”: si diceva infatti che
Jean fosse solita mangiare tutto quello che voleva,
ingrassando di qualche chilo nei periodi in cui non
girava, per poi rimettersi a dieta ferrea (insalate,
verdure ed esercizio fisico) in prossimità delle
riprese del film successivo. Jean, nuova icona del
momento, impudentemente bionda e giocosamente
sensuale (fig. 22), si collocava in totale
contrapposizione con le dive precedenti, ed in
quanto tale ebbe l’assoluto diritto (se non il
dovere) di tagliare il nastro inaugurale della stanza
“Blondes Only” quando Max Factor (v. infra, cap.
III, § 1) aprì il suo salone di bellezza ad
Hollywood nel 1935. Lo stesso Factor fu suo
visagista di fiducia e pubblicizzava i propri
cosmetici (in particolare quelli che usava per
truccare Jean) dicendo che essi erano gli unici da
utilizzare per ottenere lo stesso look di Jean
Harlow (a nostro avviso una strategia di marketing
111
a dir poco moderna). Jean si spense
prematuramente a soli ventisei anni a causa di una
nefrite14. Al suo funerale i fan si accalcarono per
aggiudicarsi i fiori come ricordo. Sulla sua lapide
non vi è alcuna data, né nome, né epitaffio:
campeggia solo la scritta “Our Baby”.
5. Marlene Dietrich
Maria Magdalene Dietrich, nata a Berlino nel
1901, fu una attrice e cantante tedesca. Fra le più
note icone del mondo cinematografico della prima
metà del ‘900, la Dietrich fu un vero e proprio
mito ed una diva, lasciando un’impronta duratura
attraverso la sua recitazione, il suo look, ultra
copiato nei decenni successivi, le sue
interpretazioni emozionate di canzoni quali Lili
Marleen (canzone che in seguito diventò il suo
“inno”). Tutto ciò, insieme al suo carattere
carismatico e agli avvenimenti della sua vita, ne
fecero una leggenda e un modello irripetibile di
Femme Fatale (fig.23).
Fin da piccola, studiò inglese e francese,
parallelamente allo studio della musica, fino ad
14
In realtà si trattò di un avvelenamento del sangue causato
da una nefrite acuta, avvelenamento che la colse mentre stava
girando il film Saratoga (Saratoga, di Jack Conway, Stati
Uniti, 1937, 92 min.), che fu poi ultimato da una controfigura
ripresa di spalle.
112
acquisire il diploma di cantante all’Accademia di
Berlino. Nel 1929 recitò nel primo film sonoro del
cinema tedesco: L’Angelo Azzurro15 che le procurò
immediatamente la nomea di star e un gran
successo. I costumi li disegnò lei stessa, mentre la
sua immagine veniva curata dal regista e mentore
Josef Von Sternberg. Ed è proprio dal sodalizio
con Sternberg, durato fino al 1935, che discende la
Dietrich che tutti conosciamo: la sua immagine di
donna fatale, trasgressiva, dominatrice altera e
fiera; ma il tratto più originale, e per quei tempi
scandaloso, era la sua dichiarata e disinibita
bisessualità (fig. 24).
Dopo il 1930, la Dietrich si stabilì ad Hollywood:
il suo primo film americano fu Marocco16, con una
delle scene più celebri del cinema: il primo bacio
saffico della sua storia.
E’ ad Hollywood che avviene il contatto con Max
Factor, il truccatore delle star. Si dice che Marlene
gli avesse chiesto di cospargere le sue parrucche e
i capelli con vera polvere d’oro, in modo da
risplendere, sulla pellicola, di una luce particolare.
Altre curiosità riguardanti il trucco e lo stile
personale di Marlene (fig. 25), sono legate ad
alcuni fattori come:
15
Der Blaue Engel, di Josef Von Sternberg, Germania, 1930,
99 min.
16
Morocco, di Josef Von Sternberg, Stati Uniti, 1930, 91
min.
113
non indossare mascara sulle ciglia inferiori, poiché
si sarebbe creata un’ombra antiestetica sulla
palpebra inferiore;
la sua preferenza per smalti nei toni chiari del
rosso, poiché riteneva i colori scuri “volgari”,
come avrebbe scritto successivamente, nel suo
libro Marlene ABC17;
si dice inoltre che il profumo Angelique Encens di
Creed, fosse stato creato apposta per lei, mentre
altre fragranze da lei predilette furono: Tabac, Vol
de Nuit di Guerlain e Fracas di Piguet.
I tratti salienti della bellezza della Dietrich furono
senza dubbio gli occhi espressivi (fig. 26), gli
zigomi alti e prominenti e il fascino ambiguo che
ammaliava uomini e donne indistintamente.
Eppure, nessuno sospetterebbe che una donna di
tale fascino potesse avere delle “incertezze”
riguardo il suo aspetto (fig. 27). Marlene
considerava i piedi la parte più brutta del suo
corpo, e per questo motivo cercava sempre di
tenerli coperti o comunque nascosti alla vista.
Probabilmente, la smania di perfezione che le
faceva celare i piedi allo sguardo altrui, era la
stessa che le faceva richiedere sul set un grande
specchio dal quale controllare, durante le riprese,
che il suo look e makeup fossero costantemente
perfetti (fig. 28).
17
DIETRICH MARLENE, Marlene Dietrich’s ABC, Doubleday
& Company ed., New York 1962.
114
Nonostante fosse tedesca, il suo rapporto con la
Germania fu quasi sempre negativo. A causa del
rifiuto delle avances di Hitler e Goebbels, fu
sempre additata dai suoi connazionali come
traditrice della patria, ragione per cui la accolsero
spesso e volentieri con malcelato astio (fig. 29).
Solo da poco tempo la Dietrich è stata rivalutata
dai suoi connazionali: a Berlino nel 2002 le hanno
dedicato una piazza e datale la cittadinanza
onoraria a dieci anni dalla sua morte, avvenuta per
infarto nel sonno mentre si trovava a Parigi nel
1992.
6. Lauren Bacall
Il vero nome di Lauren Bacall (fig. 30) è Betty
Joan Perske. Nacque a New York nel 1924 presso
una famiglia immigrata di classe media e di origini
europee. Lauren adorava e stimava molto sua
madre, tant’è che il suo cognome d’arte è in realtà
il cognome da nubile della madre, con una “L” in
più, accostato a Lauren, primo nome di fantasia,
che le piacque sempre tanto e che adottò.
La prima aspirazione di Lauren era diventare una
ballerina; solo quando si trasferì in California con
la madre capì che le sue inclinazioni stavano
cambiando verso la recitazione, ed in particolare
verso i ruoli drammatici. Quindi, dopo il liceo,
frequentò l’American Academy of Dramatic Arts.
115
Comunque, aveva già intrapreso la carriera da
modella (fig. 31) quando fu scoperta da Howard
Hawks (sua moglie gli fece notare una copertina di
Harper’s Bazaar a lei dedicata) che la portò al
successo nel 1944 con il film Acque del Sud18. Sul
set, oltre alla fama, incontrò l’amore di Humphrey
Bogart, con cui un anno dopo si sposò e con cui
ebbe un matrimonio felice fino alla di lui morte,
avvenuta nel 1957.
Dal 1944 – prima in compagnia del marito, poi
dopo la sua morte, in modo autonomo – Lauren
recitò in vari film di successo, dapprima in veste di
conturbante femme fatale (figg. 32-33), in seguito
in ruoli dove poteva esibire anche una certa
intelligenza ed arguzia. Lauren Bacall fu il volto
per antonomasia del glamour degli anni ’40,
esempio di stile, eleganza e raffinatezza (fig. 34);
nonostante la sua lunga carriera le sia stata
riconosciuta con soltanto due premi, ricevuti per
giunta in veneranda età (nel 1997 e nel 2002),
verrà sempre ricordata per la sua carismatica e
sempre iper femminile bellezza. La chiamavano
infatti The Look: in virtù di quello sguardo
penetrante (fig. 35) ed incandescente che, da sotto
le sopracciglia più intriganti di Hollywood,
infiammava gli spiriti. Il viso superbamente
irregolare, la bocca ampia dalle labbra tumide, le
lunghe gambe da indossatrice, lo sguardo come
18
To Have and have not, di Howard Hawks, Stati Uniti,
1944, 100 min.
116
anche la voce roca e sensuale furono le sue
peculiarità (fig. 36).
I visagisti avrebbero voluto “ri-stilizzare” la
Bacall, tentando di strapparle le sopracciglia
(corpose e un po’ selvagge), raderle l’attaccatura
dei capelli e raddrizzarle i denti. Ma lei ostacolò
sempre i loro sforzi dicendo:
«Howard mi ha scelto per le sopracciglia spesse e i
denti storti, e questo è il modo in cui rimarranno!19»
Ha inoltre insistito per farsi spesso, se non sempre,
i capelli da sola, nello stile che sarebbe diventato il
suo “marchio di fabbrica”:
«L’onda … sul lato destro, partendo proprio dalla
curva con il mio sopracciglio e finendo inclinata verso
il basso, al mio zigomo.»20
7. Marilyn Monroe
Non poteva mancare nel firmamento di stelle qui
scelto la divina Marilyn, che con la sua triste,
favolosa e chiacchierata vita ha conquistato il
cuore di tantissimi fan ed estimatori. Nata a Los
19
Tratta da un intervista del 2011 di Matt Tyrnauer, «Vanity
Fair
America»
(marzo
2011).
www.vanityfair.com/hollywood/features/2011/03/laurenbacall-201103.
20
ibidem.
117
Angeles nel 1926, Norma Jean Baker (questo è il
vero nome di Marilyn) fu modella, attrice cantante
e produttrice cinematografica (fig. 37).
Trascorse un’infanzia assai travagliata: la madre,
che soffriva di schizofrenia paranoide, non aveva
la possibilità di prendersi cura della figlia, che
quindi fu costretta a subire continui affidamenti a
famiglie sconosciute che la riportavano indietro
all’orfanotrofio dopo poco tempo. Probabilmente a
causa di questo isolamento affettivo, Norma Jean
cercò conforto in un matrimonio precoce a soli
sedici anni. Proprio durante quel primo
matrimonio ed in modo assolutamente inaspettato,
iniziò la sua carriera da modella; mentre lavorava
presso un’industria aeronautica produttrice di
paracadute21, il fotografo David Conover,
impegnato a documentare il lavoro femminile nel
periodo bellico, la notò e la convinse ad
intraprendere quella carriera (fig. 38), spingendola
ad iscriversi presso una scuola specializzata.
A vent’anni, nel 1946, dopo aver conquistato le
copertine di molte riviste, Norma Jean divorziò, si
schiarì i capelli e cambiò il suo nome in Marilyn
Monroe (Monroe era il cognome da nubile della
madre). La sua scalata al successo fu
assolutamente ordinaria, poiché cominciò come
comparsa, via via acquisendo sempre più visibilità,
fino ad ottenere parti da protagonista in una serie
21
L’azienda, nata negli anni ’30, si chiamava Radioplane
Company.
118
di pellicole (dal 1952 al 1962) che la affermarono
come attrice e sex-symbol a livello mondiale (fig.
39).
Tuttavia, nemmeno il successo placò i suoi
tormenti interiori; tormenti che si incrementavano
ogni qual volta si presentava un momento difficile,
come fu ad esempio il divorzio con Joe Di
Maggio22 nel 1954. Il fallimento di questa ulteriore
relazione le lasciò dentro una ferita profonda e
incancellabile, la prima di una serie che sarà
destinata ad allargare sempre di più la sua
sensazione di sconforto e di sostanziale solitudine.
L’instabilità emotiva di Marilyn si aggravò sempre
di più, portandola all’abuso di alcool e barbiturici,
cosa che le causerà non pochi problemi dal punto
di vista lavorativo. Infine la morte, un sospetto
suicidio causato da un overdose di sonniferi e
calmanti, avvenne nel 1962. Il mistero che aleggia
sulla morte di Marilyn, ovvero se si sia trattato
effettivamente di suicidio, non è mai stato
completamente svelato, ma ha sicuramente
contribuito a far entrare Marilyn nel mito.
22
Nonostante il brevissimo matrimonio (durò meno di un
anno), il giocatore di baseball fu, a detta di molti, l’unico
uomo che amò realmente e profondamente Marilyn. I due
rimasero buoni amici anche dopo il divorzio, e al funerale di
Marilyn, prima che la bara venisse chiusa, Di Maggio baciò
la salma dicendole per tre volte: «Ti amo». Per vent anni le
fece inoltre recapitare regolarmente un mazzo di rose rosse
da porre sulla tomba in occasione del suo compleanno.
119
Naturale erede di Jean Harlow in quanto a
sensualità e carica erotica, Marilyn ebbe sempre un
rapporto di odio e amore con la sua immagine da
diva sexy (fig. 40); lei avrebbe voluto essere molto
di più della dea sensuale ed incarnazione del
desiderio che Hollywood aveva plasmato sulla sua
persona. Ed è forse questo melting-pot di sesso,
bellezza, tormento ed instabilità psicologica che ha
reso Marilyn un’icona (fig. 41) indiscussa, ancora
oggi musa ispiratrice di numerosi artisti, cantanti e
personaggi dello spettacolo23.
Della sua vita si è parlato in ogni aspetto, si è
detto tutto ed il contrario di tutto, sfociando anche
negli aspetti più privati della sua vita quotidiana,
come ad esempio la sua beauty routine (fig. 42).
Per mostrare in che percentuale un trucco adeguato
(e non solo il trucco) possa influire sull’immagine
(a 360 gradi) di una donna, ho raccolto ed elencato
di seguito alcuni dei segreti di bellezza di Marilyn.
Segreti che probabilmente già allora correvano di
bocca in bocca tra le donne di tutto il mondo, le
quali, credendo di acquisire anche solo un pizzico
del fascino della diva, ne alimentavano il mito e
23
Tra i più celebri ricordiamo Andy Warhol, con le sue
serigrafie su tela, e Mimmo Rotella; Ad un diverso livello
mediatico e più di recente, anche Riccardo Cocciante, che nel
1985 le dedicò una canzone chiamata per l’appunto Marilyn
e, infine, Leonardo Pieraccioni che le ha reso omaggio con la
sua commedia Io & Marilyn (2009).
120
contribuivano inconsapevolmente all’evoluzione
dell’estetica e della cosmesi.
Il suo primo marito rivelò, ad esempio, che
Marilyn aveva l’abitudine di sciacquarsi il viso con
acqua fredda per almeno quindici volte, per
scongiurare le macchie della pelle (così lei
credeva) e chiuderne i pori dilatati. Talvolta
spalmava sul viso vaselina, oppure la famosa Cold
Cream (un'emulsione di acqua e grassi,
principalmente cera d'api, che donava una pulizia
profonda, senza seccare la pelle), oppure, ancora,
una crema con ormoni contro l’invecchiamento
cutaneo; comunque è certo che non si privasse mai
di agenti protettivi per la pelle del viso. Altri due,
molto usati dalla diva, erano l’olio d’oliva e
l’adorata crema Nivea, come lei stessa disse di
usare sempre, al fotografo Bert Stern nel 1962. E’
possibile che Marilyn, per ottenere un incarnato
liscio e uniforme, usasse alternare strati di vaselina
e cipria fissante, ma è questa una notizia non
confermata. Un altro segreto riguardo la cura della
pelle – rivelato dopo la sua morte grazie al
ritrovamento di flaconi nel suo appartamento – è
l'uso di una particolare linea di creme (fig. 43) di
Erno Laszlo, dermatologo ungherese che,
trasferitosi a New York nel 1939, fondò l'”Istituto
Erno Laszlo”, specializzato in trattamenti di
bellezza e cosmetici di cui Marilyn era grande fan.
Due dei suoi prodotti preferiti erano la crema attiva
Phelityl – una crema da notte ricca, per pelli
121
secche o leggermente asciutte, estremamente
emolliente e perfetta nei mesi invernali – e il fard
Phelitone. Sebbene sia ancora possibile acquistare
alcuni dei prodotti che lei usava, il fard è fuori
commercio già da parecchio tempo.
Per mantenere la pelle del corpo tonica, talvolta
faceva bagni di ghiaccio preparati dal suo
massaggiatore Ralph Roberts, in cui poi lei
avrebbe aggiunto il suo profumo preferito. Fu
precorritrice dei tempi riguardo la buona abitudine
di fare jogging per mantenersi in forma: lo faceva
ogni mattina prima della colazione.
Marilyn Monroe era considerata una vera maestra
quando si trattava di applicare il trucco (figg. 4445). Non molti sanno che la transizione estetica dal
viso fresco di Norma Jean alla sensualità
prosperosa di Marilyn era in gran parte dovuta al
makeup artist Allan "Whitey" Snyder (il genio
dietro l'immagine di Marilyn). Marilyn imparò
molto da lui, suo truccatore di fiducia (a cui fece
promettere di farle da “tanatoprattore” se fosse
morta prima di lui); egli utilizzò diverse tecniche
per mascherarle alcuni difetti, tecniche che tuttavia
non le rivelò, per non intaccare la sua autostima
(fig. 46). Metodi che includono il modo in cui le
ombreggiava il naso, come utilizzava l'illuminante,
e la tecnica con cui, usando un po' di matita
contorno labbra rossa nel dotto lacrimale, faceva
apparire più bianca la cornea, donando allo
sguardo un aspetto fresco.
122
Marilyn aveva le sopracciglia sagomate in modo
che dessero alla fronte un aspetto più ampio.
Indossava sempre le ciglia finte, ma solo metà
ciglia e solo nella metà esterna, poiché una ciglia a
nastro intera sarebbe stata molto più evidente e dal
look artificiale. Whitey le consigliò inoltre di usare
sempre del kohl bianco nella rima interna inferiore
dell'occhio, per farlo apparire più grande.
Marilyn utilizzava spesso l'ombretto in stick
White Lustre di Elizabeth Arden, poi applicava un
colore fumè nella parte esterna della piega della
palpebra. I colori che spesso usava erano marroni
delicati, blu perlati, a volte anche il verde chiaro.
Era una appassionata degli ombretti Arden,
specifici colori che facevano risaltare i suoi occhi
azzurri.
Per concludere, non si può non parlare della firma
di Marilyn: le sue labbra rosse! Leggenda vuole
che applicasse un particolare tipo di cera sulle
labbra per ammorbidirle e lucidarle, ma nessuno è
stato in grado di dire con certezza che sostanza
fosse. In realtà si è poi scoperto che il lip-gloss di
Marilyn, quando non si trattava di semplice
vaselina, era composto da cera d'api, cera vegetale
e uno strato di rossetto. Invece, per quanto riguarda
il colore, Marilyn usava ben cinque tinte diverse di
rossetto da Elizabeth Arden, Guerlain, e Max
Factor, insieme alla matita contorno labbra rossa e
al suo lip-gloss segreto. Secondo le regole del
123
contouring24, modellava illusionisticamente le sue
labbra facendo abile uso di illuminante e terra.
Uno dei suoi rossi favoriti era il Guerlain Rouge
Diabolique (che sfortunatamente, per chi volesse
copiarle il look, non è più disponibile sul mercato)
ma comunque sceglieva sempre rossi dal sottotono
freddo, poiché la cinepresa in technicolor tendeva
a rendere i colori più “aranciati”. Infine, per
completare la toeletta da star, qualche goccia di
Chanel n.5: il profumo di Marilyn per eccellenza.
8. Elizabeth Taylor
Elizabeth Taylor nacque ad Hampstead, Londra, il
27 Febbraio del 1932 ed è morta a Los Angeles nel
2011. E’stata attrice, imprenditrice e stilista: ma
forse, più d’ogni altra cosa, è stata l’ultima grande
diva dell’età d’oro di Hollywood (fig. 47).
24
Contouring in inglese significa rimodellamento. E’ una
tecnica che si usa per armonizzare maggiormente le
proporzioni del volto tramite l’utilizzo di un prodotto in
polvere opaco di colore chiaro: l’illuminante e un prodotto in
polvere (sempre rigorosamente opaco) di qualche tono più
scuro dell’incarnato ovvero la terra. L’effetto ottico di
rimodellamento dei volumi è dovuto al fatto che il colore
chiaro ha la capacità di ingrandire, aumentare la superficie,
evidenziare, portare in primo piano e far sporgere. Mentre il
colore scuro può accorciare, rimpicciolire, incavare, portare
in secondo piano e diminuire la superficie.
124
Con la sua singolare bellezza, una vita
sentimentale “movimentata”, hobby lussuosi come
il collezionismo di preziosissimi gioielli25, le sue
caratteristiche fisiche (celeberrimi i suoi occhi
viola, fig. 48), ha incarnato la diva hollywoodiana
nella accezione più sontuosa e sfavillante.
Cominciò a studiare danza alla tenera età di tre
anni, mentre a nove si trasferì con la famiglia a
Los Angeles a causa del conflitto mondiale. Il suo
primo ingaggio importante arrivò nel 1942 con il
film There’s One Born Every Minute26; ma è la
pellicola Torna a casa Lassie27, del 1943, che le fa
guadagnare il successo e lo status di “bambinaprodigio”.
Nel 1963 diventò la star cinematografica più
pagata quando le venne offerto un contratto da
1.000.000 di dollari per interpretare, come
protagonista, il kolossal Cleopatra28 (fig. 49). Sul
suo set la Taylor conobbe il suo futuro marito
25
La diva è stata in possesso della collezione di gioielleria
più bella ed incredibile mai posseduta da un’attrice. Tra i
pezzi più famosi e preziosi si annoverano il diamante TaylorBurton di 69,42 carati, il diamante Krupp da 33,19 carati, la
collana “Peregrina” risalente al XVI secolo e numerose
creazioni di Cartier e della maison francese Van Cleef &
Arpels.
26
There’s one born every minute, di Harold Young, Stati
Uniti, 1942, 60 min.
27
Lassie come home, di Fred McLeod Wilcox, Stati Uniti,
1943, 88 min.
28
Cleopatra, di Joseph L. Mankiewicz, Stati Uniti, 1963, 244
min.
125
Richard Burton: in quell’istante si aprì la stagione
degli amori e degli scandali, che vedrà Elizabeth
sposarsi e divorziare (tranne per un matrimonio di
cui rimase vedova) da diversi mariti per ben sette
volte29.
Fu in particolare l’episodio con Burton a
consolidare la sua reputazione di femme fatale (fig.
50) (per i maligni più “rovina famiglie” che femme
fatale). Tuttavia, proprio in coppia con Burton la
Taylor raggiunse l’apice del successo, a cavallo tra
gli anni ’60 e ’70, con una serie di pellicole
mirabilmente interpretate. Gli anni ’70, invece,
furono costellati da partecipazioni a film deludenti;
la storia d’amore con Burton si era ormai esaurita,
e Liz sposò nel 1976 il senatore della Virginia
John Warner, passando dai party hollywoodiani
alle cene con i capi di stato. Nonostante ciò,
Elizabeth non abbandonò mai le scene (vi fu
costretta successivamente a causa della malattia
che poi la portò alla morte) e si dedicò al teatro e
ad altri interessi come la moda e l’imprenditoria,
lanciando sul mercato cosmetici e profumi che
ebbero un gran successo. Il suo primo profumo,
lanciato nel 1991, fu ispirato anche dalla sua
29
Questi i suoi matrimoni: Conrad “Nichy” Hilton Jr., attore
(1952-1957) divorziata. Mike Todd, produttore (157-1958)
vedova. Eddie Fisher, cantante (1959-1964) divorziata.
Richard Burton, attore (1964-1974) divorziata. Richard
Burton, secondo matrimonio (1975-1976) divorziata. John
Warner, senatore (1976-1982) divorziata. Larry Fortensky,
operaio edile (1991-1996) divorziata.
126
passione per i gioielli e si chiamò White
Diamonds.
Gli ultimi anni della sua vita la videro impegnata
nella campagna di sensibilizzazione e lotta contro
l’AIDS, raccogliendo fondi per finanziare la
ricerca sfruttando la sua fama e il suo carisma, che
nel corso della carriera l’avevano avvicinata al
cuore della gente.
La naturale ed incontenibile bellezza (fig. 51) di
Liz Taylor fu, fin da ragazzina, catalizzatrice di
attenzione ed interesse e ciò aiutò molto la sua
ascesa al successo. Il punto focale del suo volto
erano senza dubbio gli enigmatici e sensuali occhi
dalla caratteristica sfumatura blu-viola (che
diventò una sorta di marchio di fabbrica di
Elizabeth) e dalle lunghe e folte ciglia. In realtà,
l’attrice aveva quello che solitamente viene
definito un “difetto”: una doppia fila di ciglia,
dovuta ad una mutazione genetica detta
“distichiasi”. I suoi occhi erano incorniciati ed
enfatizzati da sopracciglia (fig. 52) forti, un po’
arcuate e ben definite, la cui forma è diventata un
“modello” chiamato per l’appunto “Liz”,
annoverato tra i possibili stili di sopracciglia anche
negli odierni manuali di trucco. La pelle,
perfettamente opaca e chiara, creava con i capelli
color ebano un meraviglioso contrasto di chiaroscuro (fig. 53). Le labbra carnose, dalla forma
leggermente a cuore, erano tinte (fig. 54) di rosso
rosato, tonalità perfetta per rappresentare al meglio
127
lo stile di Elizabeth: una combinazione di
sensualità lussureggiante e delicata innocenza.
9. Mina
Mina, nome d'arte di Mina Anna Mazzini, è una
cantante (fig. 55), conduttrice televisiva e attrice
italiana; nata a Busto Arsizio il 25 marzo 1940 nel
1989, ha ottenuto anche la cittadinanza Svizzera30.
Mina è una leggenda della musica italiana, nota
per le qualità della sua voce, dal timbro caldo e
subito riconoscibile. È amata ed apprezzata in tutto
il mondo, dall’Argentina alla Spagna, dal
Venezuela al Giappone, oltre che ovviamente in
Italia. La sua carriera, lunga più di mezzo secolo, è
iniziata alla fine degli anni cinquanta e le ha visto
interpretare, sempre in modo originale e personale,
molteplici generi musicali, anche molto differenti
tra loro. Ecletticità, doti interpretative, una voce
incredibile ed un look perfettamente studiato (fig.
56) e calzante con la sua personalità (di periodo in
periodo), sono le peculiarità di questa artista.
La prima apparizione risale al 1958 come
cantante degli Happy Boys, ma il debutto vero e
proprio avvenne l’anno successivo quando,
cantando con “i Solitari”, fu notata da Davide
Matalon, titolare della Italdisc, che riuscì a portarla
all’attenzione del pubblico facendola esibire
30
Si trasferì a Lugano nel 1966, dove vive tutt’ora.
128
durante una puntata di “Lascia e Raddoppia” di
Mike Bongiorno. Nel primo periodo Mina era
ancora alla ricerca di una “propria identità
estetica” (fig. 57): iniziò assottigliando le
sopracciglia sempre più, intuendo probabilmente
già da allora che la loro forma naturale strideva
con l’architettura del viso.
Tintarella di luna, del 1959, è stata la prima
canzone della cantante in hit-parade. Da allora
sono accaduti mille eventi e Mina ha conosciuto
anche i lati negativi del successo, primo su tutti
l'interesse morboso della stampa che inventava
continuamente sue relazioni sentimentali e
scandali, e che, mettendole alle calcagna i temuti
“paparazzi”, non le davano più tregua. In quel
periodo Natalia Aspesi coniava per lei il
soprannome “Tigre di Cremona”, con cui ancora
oggi è nota anche fuori dai confini nazionali.
Nel 1961 ebbe la prima vera esperienza negativa,
legata al Festival di Sanremo. Il mancato successo
in questa importante gara canora, le fece prendere
la decisione di non parteciparvi mai più. Malgrado
l'esperienza sanremese, la sua popolarità non
venne minimamente intaccata e Le mille bolle blu
riscosse uno straordinario successo di vendite e di
ascolti. Altra “doccia fredda” fu il comportamento
bigotto dei media italiani degli anni ’60, che
misero la cantante in “quarantena” a causa della
sua prima gravidanza nel 1963, proprio nel periodo
di maggiore successo (poteva vantare richieste di
129
collaborazione da parte di grandi maestri come
Federico Fellini31 e Frank Sinatra). Dopo la pausa
della gravidanza, nel 1964 Mina abbandona il look
tipicamente anni ’50 per ricomparire sulle scene
con un look totalmente trasformato. Capelli lunghi,
in un primo tempo castani (fig. 58), poi nero
corvino, occhi in risalto con un intenso contorno
scuro e folte ciglia finte; le sopracciglia,
fortemente depilate, erano lievemente riempite con
tratteggi di matita.
A partire dal 1965 Mina creò uno stile ottimale
per enfatizzare e mettere in rilievo le
caratteristiche del suo volto, stile che venne in
seguito imitato diventando una vera e propria
moda. Quell’anno Enrico Farina volle studiare per
lo show “Studio 1” qualcosa di nuovo: i capelli,
adesso biondo scuro, si accorciarono in un
acconciatura morbida e vaporosa, con basettoni. Il
trucco era esagerato, allungatissimo verso l’esterno
dell’occhio e con un’intensa sfumatura a metà
31
Federico Fellini, chiese a Mina di partecipare ai film
Satyricon e Il Viaggio di G. Mastorna; quest’ultimo non fu
mai realizzato per il rifiuto della cantante. Frank Sinatra le
propose di partecipare ad una serie di spettacoli live, che ne
avrebbero sancito il lancio nello show-business statunitense,
ma la cantante rifiutò anche questa proposta senza chiarirne
il motivo. Furono avanzate varie ipotesi, tra cui la paura di
volare, quella di addentrarsi in uno star-system più
complicato rispetto a quello italiano e il non volersi separare
dai propri cari.
130
palpebra. Le sopracciglia, adesso depilate, sono
ora sostituite da una piccola ombreggiatura.
Dal 1969 entriamo nell’era delle grandi
“mezzelune” e delle minigonne vertiginose.
L’occhio tutto nero ed allungato di Mina lascia il
posto ad un trucco più attuale, con un ombretto
chiaro in linea con il tempo, ma enfatizzato da
elementi imprescindibili come l’eyeliner e le ciglia
finte, stavolta anche sulla rima ciliare inferiore. Il
posto di Enrico Farina, truccatore di fiducia di
Mina, fu preso da Enzo Amato, l’artefice di
truccature di fantasia molto all’avanguardia per
quegli anni. Anche lui focalizzò l’attenzione sui
grandi occhi dell’artista usando generosamente
eyeliner, ciglia finte e materiali di vario genere
come cristalli etc.
Mina stessa creò look che in seguito furono
copiati. Uno di questi è lo stile “a bambolotto”, che
prevedeva l’uso di tre ciuffetti di ciglia lunghe
nella rima ciliare inferiore i quali, uniti ad una
palpebra “drammatica”, creavano un effetto,
appunto, da bambola.
A partire dal 1974, anno in cui partecipò a
“Milleluci” insieme a Raffaella Carrà, Mina diede
l’addio alla televisione in grande stile; il trucco
divenne più sfumato e nell’insieme “discreto”:
anche la bocca stavolta viene contemplata e, non
essendovi più un contrasto netto tra occhi
drammatici e labbra nude, l’insieme ne risultò
notevolmente alleggerito.
131
Quattro anni dopo, la cantante rilasciò la sua
ultima intervista e decise di abbandonare le scene
ritirandosi a vita privata. Nonostante ciò, molte
delle sue canzoni diventeranno grandi successi,
come Questione di feeling (in collaborazione con
Riccardo Cocciante) o il disco Mina Celentano,
fino alle più recenti, come la canzone Oggi sono io
del 2001.
Della sua immagine, a partire dal 1978, si occupa
Stefano Anselmo, che studia per lei look molto
particolari e caratterizzanti. Truccature che tali
potevano essere anche perché destinate a
photoshoot di copertine di album (figg. 59-60) e
non ad eventi mondani o televisivi. Una
caratteristica dell’operato di Anselmo fu il
mantenere una linea piuttosto orizzontale per la
sfumatura degli occhi, giocando con il
sollevamento della sfumatura alla radice del naso,
accorgimento che può, da solo, mutare molto la
percezione d’insieme del volto. Ancora una volta
le sopracciglia sono assenti e sostituite da
un’ampia arcata di polvere color biscotto. La bocca
viene posta in risalto con l’uso di colori scuri come
il mattone, modellata attraverso chiaroscuri
strategici. L’appuntamento per la foto di copertina
dell’album era molto spesso un’occasione quasi
ludica: un concentrato di piccole follie, invenzioni
e trovate. Il volto di Mina, è:
132
«Un volto inconfondibile che ha indossato con
disinvoltura unica, miliardi di maquillage diversi
senza mai diventare un’altra persona».
Stefano Anselmo
Mina si dedica tutt’ora alla conduzione di
programmi radiofonici, collabora con alcune riviste
e quotidiani in qualità di opinionista e presta la sua
voce in alcuni spot pubblicitari. Nel 2001 è stata
insignita dell'onorificenza di Grande Ufficiale al
Merito della Repubblica dal presidente Carlo
Azeglio Ciampi.
Nel 2006, si è sposata con il cardiochirurgo
Eugenio Quaini, una frequentazione che inizia sul
finire degli anni Settanta. Ancora adesso qualsiasi
evento a lei legato è un successo mediatico; vanta
migliaia di fan in tutto il mondo e la sua voce,
accompagnata dai suoi grandi e caratteristici
“occhioni dipinti” (fig. 61) fanno parte della
memoria storica e dei ricordi personali di
tantissime persone.
10. Audrey Hepburn
Audrey Hepburn (fig. 62), all’anagrafe Audrey
Kathleen Ruston, è nata ad Ixelles, in Belgio nel
1929 ed è morta a Tolochenaz in Svizzera, nel
1993 a causa di un cancro al colon. Il padre era un
banchiere inglese, mentre alla madre si deve il
133
sangue blu di Audrey, Ella Van Heemstra infatti,
era una baronessa olandese. L’infanzia dell’attrice
fu costellata da frequenti spostamenti tra Belgio,
Paesi Bassi e Regno Unito a causa del lavoro del
padre; ma quattro anni dopo il divorzio dei
genitori, avvenuto quando Audrey aveva solo 6
anni, la famiglia, ora composta da madre e figli, si
trasferì ad Arnhem, dove visse fino al 1948
(quando si trasferì a Londra). Qui Audrey studiò
danza classica al Conservatorio, con notevoli
risultati. Verso il 1944 era divenuta una ballerina a
tutti gli effetti e partecipava a spettacoli
organizzati in segreto per la raccolta fondi a favore
del movimento di opposizione al nazismo.
Durante la carestia di quell’inverno, in seguito
allo sbarco degli alleati in Normandia, i nazisti
confiscarono le limitate riserve di cibo e
carburante della popolazione olandese. Senza
riscaldamento nelle case o cibo, essa moriva di
fame o di freddo nelle strade. Furono momenti
particolarmente difficili per Audrey quasi
adolescente, che a causa della malnutrizione
sviluppò diversi problemi di salute. Inoltre su di un
piano psicologico, questo periodo, insieme al
precedente il cui clima era intriso di paura e
instabilità (aveva addirittura cambiato il suo nome
dal suono inglese per non attirare l’attenzione),
condizionò profondamente i suoi valori e la sua
visione delle cose per il resto della vita. Anni
134
dopo, parlando della liberazione di Arnhem
(l’Olanda fu liberata nel 1945), la Hepburn disse:
«L'incredibile sensazione di conforto nel ritrovarsi
liberi, è una cosa difficile da esprimere a parole. La
libertà è qualcosa che si sente nell'aria. Per me, è stato
il sentire i soldati parlare inglese, invece che tedesco e
l'odore di vero tabacco che veniva dalle loro
sigarette».32
Negli anni che trascorse in Inghilterra, Audrey
continuò gli studi di danza classica con
l’insegnante Marie Rambert. Questa però,
nonostante la bravura della ragazza, la fece
desistere dal diventare una ballerina dicendole che
le sue chance di riuscita erano minime (a causa
della sua altezza 1,70 m, e dei problemi legati alla
malnutrizione del periodo bellico). Forse anche in
seguito a quest’affermazione, la Hepburn decise di
tentare la carriera di attrice. Anni dopo, la
Rambert, intervistata dalla rivista «Time»,
dichiarò: «era un'allieva meravigliosa. Se avesse
perseverato, sarebbe diventata un'incredibile
ballerina».33
Fondamentale fu l’incontro con la celeberrima
scrittrice Colette, avvenuto a Montecarlo nel 1951,
che la scelse per interpretare la parte della
32
V. http://www.audrey1.org/biography/16/audrey-hepburntimeline-1929-1949.
33
Rambert Marie, «TIME», 7 settembre 1953, pag. 47
135
protagonista nella commedia Gigi per Broadway,
tratta dal suo ultimo romanzo34.
Del 1952 è il suo primo ruolo significativo nel
cinema: con il film The Secret People35, nel quale
interpreta una talentuosa ballerina, ebbe la
possibilità di mettere a frutto l'esperienza
accumulata con lo studio della danza, tentando
simultaneamente la strada dell’attrice. Del 1953 è
il famoso film Vacanze Romane36 che, oltre un
gran successo, le fruttò un contratto con la
Paramount Pictures per la scrittura di ben sette film
lasciandole, con opportune pause, il tempo e la
facoltà di lavorare in teatro. Sabrina37, la pellicola
che
la
lanciò
nell'Olimpo
delle
star
Hollywoodiane, risale al 1954 e sancì anche
l’amicizia e il sodalizio professionale tra l’attrice e
Hubert De Givenchy, stilista che si occupò dei
costumi per il film (ricevendone anche un premio
Oscar) e in seguito anche del guardaroba
dell’attrice. L’incontro fu emblematico e
Givenchy, alla richiesta di abiti nuovi per il
guardaroba, rispose così:
34
COLETTE, Gigi et autres nouvelles, La Guilde du Livre ed.,
Losanna 1944.
35
The Secret People, di Thorold Dickinson, Gran Bretagna,
1952, 96 min.
36
Roman Holiday, di William Wyler, Stati Uniti, 1953, 118
min.
37
Sabrina, di Billy Wilder, Stati Uniti, 1954, 113 min.
136
«Le dissi: "Mademoiselle, mi piacerebbe aiutarla, ma
ho poche cucitrici e sto lavorando ad una collezione,
non posso farle dei vestiti." Allora lei disse, "Mi
mostri quel che ha creato per la collezione." Si provò i
vestiti. "È esattamente ciò di cui ho bisogno!",
esclamò, e le stavano davvero bene. Sapeva
perfettamente ciò che voleva.»38
Il personaggio di Holly Golightly (fig. 63), da lei
impersonato nel film Colazione da Tiffany39, tratto
dal romanzo di Truman Capote, venne considerato
come una delle figure più incisive e
rappresentative del cinema statunitense del XX
secolo.
In un mondo di bionde esplosive e ammiccanti,
verso la seconda metà degli anni Cinquanta
Audrey Hepburn era diventata una delle più grandi
attrici di Hollywood e un'icona di stile (figg. 6466): con il suo profilo sbarazzino, ingenuo e
strepitosamente sofisticato, era riuscita, andando
contro corrente, a spazzar via la volgarità di
Hollywood, imponendosi come nuova figura di
riferimento anche grazie alla sua innata eleganza e
al suo buon gusto in fatto di moda (fig. 67, fu musa
ispiratrice sia di Givenchy che di Valentino).
«Se non mi riconoscerai, ricordati che sarò la ragazza
più sofisticata di tutta la stazione.»
38
V. http://www.nannimagazine.it/articolo/7973/audreyhepburn-le-tre-anime-di-una-diva-senza-tempo.
39
Breakfast at Tiffany's, di Blake Edwards, Stati Uniti, 1961,
115 min.
137
Questa battuta, tratta dal film Sabrina, calza alla
perfezione nella descrizione della Hepburn. La sua
eleganza ha travalicato il tempo, influenzando
tutt’oggi intere collezioni moda e trend di stagione.
Basti pensare all’intramontabile Little Black Dress
“che tutte le donne devono possedere nel proprio
guardaroba” e che fu proprio lei a portare in auge,
o alle scarpe “a ballerina”. E’ stata la regina
indiscussa del Bon Ton (fig. 68), uno stile fresco
ed intramontabile che caratterizzò non solo il suo
modo di vestire ma il suo look per intero, make up
compreso (figg. 69-71). Il suo trucco era naturale e
leggero, con zigomi e sopracciglia in risalto (di cui
era naturalmente dotata) che si stagliavano su un
incarnato uniformato dal fondotinta, ma sempre in
modo impalpabile. Gli occhi “a cerbiatta” erano
appena velati da una tonalità neutra e un tocco di
luce (ombretto chiaro perlato) giusto al centro
della palpebra per dare all’occhio luminosità e
profondità. Le ciglia (non usò mai ciglia finte)
erano perfettamente pettinate e scurite dal mascara,
in un effetto folto ma mai artificiale. Una
sottilissima linea di eyeliner nero (figg. 72-73)
incorniciava l’occhio ma non portava con sé la
valenza sexy delle contemporanee pin up,
tutt’altro: era semplice, minimale, appunto Bon
Ton. Le chiavi del suo look erano luminosità e
freschezza e le labbra, coerentemente con il resto
del viso, un delicato rosa caramellato o beige, con
138
un effetto leggermente lucido per dare loro
maggior volume (ciò non la privò tuttavia di
portare anche colori più decisi, ricordiamoci
dopotutto, che era anche l’era dei rossi!). Si dice
che per prendersi cura della pelle del proprio viso,
usasse i prodotti di Erno Laszlo (come faceva la
divina Marilyn) e si lavasse il viso con il sapone
nero, che al tempo costava 25 dollari al panetto.
In quanto amica e musa di Givenchy, fu di
ispirazione per il profumo L’Interdit, il cui mix
floreale di rosa e gelsomino fu creato
esclusivamente per il suo uso personale e che solo
svariati anni dopo fu commercializzato. Tutt’ora
sul mercato, questo profumo conserva invariati sia
la fragranza che la confezione (anche il fascino
retrò, aggiungerei).
Ma oltre le caratteristiche estetiche, la Hepburn
era dotata di una grande generosità ed empatia
(probabilmente sempre frutto del triste periodo
bellico) che la portarono ad essere nominata
ambasciatrice speciale dell'UNICEF. Da quel
momento fino alla sua morte, la Hepburn si dedicò
all'aiuto dei bambini nati nei paesi poveri del
mondo. I suoi numerosi viaggi furono facilitati
anche dalla sua conoscenza delle lingue (oltre
all'inglese, parlava fluentemente il francese,
l'italiano, l'olandese e lo spagnolo). Nel 1992
l’allora presidente degli Stati Uniti George H.W.
Bush la premiò con uno dei più importanti
riconoscimenti
attribuibili
ad
un
civile
139
statunitense: la Medaglia Presidenziale della
Libertà, come riconoscimento per il suo impegno
con l'UNICEF e, poco dopo la sua morte,
l'Academy of Motion Picture Arts and Sciences la
premiò con il Premio umanitario Jean Hersholt
(Jean Hersholt Humanitarian Award) per il suo
contributo all'umanità, premio ritirato dal figlio
Sean Hepburn Ferrer (il più grande dei due figli,
avuto con il suo primo marito: l’attore Melchior
Gaston Ferrer).
La vita di Audrey Hepburn non fu caratterizzata
né da svariati matrimoni né da scandali; fu invece
costellata di onorificenze e premi, principalmente
legati alla sua formidabile bravura, e da una
costante “discrezione”. Lei era introversa e posata
e queste sue peculiarità sono divenute il tratto
distintivo della sua intera, profonda e mai frivola
esistenza (fig. 74).
11. Twiggy
Il vero nome di Twiggy è Lesley Hornby (fig. 75).
Nata a Londra nel 1949 è stata la prima
supermodel di fama mondiale. Divenne famosa
all'età di sedici anni, quando Mary Quant decise di
affidare alla sua immagine il lancio della
scandalosa minigonna (fig. 76). Da lì in poi la sua
fama crebbe esponenzialmente e Twiggy fece
anche da testimonial a numerosi prodotti, fra i
140
quali cito, in ambito cosmetico, le ciglia finte del
marchio Yardley (fig. 77) e i pastelli da viso della
stessa Mary Quant. Nel 1966 fu nominata “Volto
del '66” dalla testata giornalistica «Daily Express».
Divenne rapidamente un vero e proprio simbolo,
e lungo Carnaby Street le ragazze passeggiavano
esibendo orgogliose il suo stesso stile, applicato sia
al modo di vestire quanto al trucco. Twiggy, il cui
soprannome in italiano viene accostato al termine
“grissino” (per le sue caratteristiche fisiche), con il
suo look androgino, il fisico minuto, snello, e privo
di forme femminili, non è diventata solo l’idolo
delle ragazzine degli anni ’60, ma ha anche
adoprato una vera e propria rivoluzione in ambito
estetico e di costume, incarnando un nuovo ideale
di bellezza (fig. 78) che univa il concetto di
giovinezza alla ritrovata libertà di azione e
pensiero tipica di quegli anni.
Tramite ciò che è rimasto dei suoi photoshoot, ha
rappresentato e rappresenta tutt’ora nel nostro
immaginario, non solo la quintessenza della
Swinging London40 degli anni ’60, ma anche lo
stacco netto e radicale con quello che prima di lei
40
Swinging London è un termine che riassume l'insieme di
tendenze e dinamiche culturali che si svilupparono in Gran
Bretagna negli anni sessanta. Questo fenomeno vide la
gioventù orientarsi verso il nuovo e il moderno, in un periodo
di ottimismo e di edonismo. L'etimologia deriva dall'inglese
to swing che significa "oscillare", facendo riferimento
all'andamento delle mode che vanno, vengono e cambiano
sempre.
141
era stato considerato bello, sexy e di tendenza.
Dopo aver posato per alcuni grandi fotografi (tra
cui Barry Lategan, Melvin Sokolsky41, Richard
Avendon e Bert Stern42); aver lanciato una sua
linea di moda (la Twiggy Dresses); esser comparsa
sulla copertina delle maggiori e influenti riviste di
moda («Vogue» [fig. 79], «Newsweek», «Harper’s
Bazaar»); e vedersi dedicata una Barbie Mattel a
propria immagine e somiglianza (lanciata sul
mercato nel 1967), Twiggy decise nel 1970 di
ritirarsi dalla carriera di modella per dedicarsi alla
recitazione. Così, tra gli anni ’70 e ‘80 divenne
un'attrice di successo di cinema, teatro e
televisione, iniziando la sua carriera come
protagonista nel film di Ken Russell The
Boyfriend43, per il quale vinse due Golden Globe
(esordiente più promettente e miglior attrice in un
musical). Ha inoltre inciso molti album
sperimentando una varietà di stili tra cui pop, rock,
disco e country, ottenendo riconoscimenti come
due dischi d'argento, due album chart e vari singoli
in hit parade.
41
Twiggy gira uno spot per Diet Rite Cola diretto da Melvin
Sokolsky. Lo spot la vede cantare e ballare.
42
Bert Stern diresse tre documentari riguardanti il viaggio
negli Stati Uniti di Twiggy del 1967. Erano: Twiggy a New
York: la sua visita, Twiggy a Hollywood e Twiggy, Perché?,
per la storica rete televisiva americana ABC.
43
The Boy Friend, di Ken Russell, Stati Uniti e Regno Unito,
1971, 137 min.
142
Dal 2005 Twiggy è il “volto” delle campagne
pubblicitarie per la catena di negozi Marks and
Spencer, membro di giuria nel programma
televisivo di Tyra Banks America's Next Top
Model (incentrato sulla moda), nonché ardente
sostenitrice della causa animalista, battendosi in
prima persona contro l’uso della pelliccia. E’
risaputo anche il suo sostegno a gruppi di ricerca
sul cancro al seno e può essere considerata uno dei
più incisivi esempi odierni di bellezza naturale
(senza ritocchi chirurgici), nonostante la tendenza
generale sia di fare largo uso del trucco (più o
meno permanente) come della chirurgia estetica.
Nel 2008 Twiggy ha pubblicato un libro44 ove
svela i suoi segreti di bellezza (figg. 80-81) e dà
utili consigli in campo estetico. Di seguito, è la sua
opinione in merito alla moda dilagante di ritoccarsi
tramite la chirurgia:
«Ogni ruga racconta una storia. Le rughe
d’espressione sono meravigliose e donano
carattere e profondità al viso di una donna. Non
c’è nulla di peggio di un viso piatto e
completamente riempito di Botox. Alcune donne
mature sono assolutamente meravigliose rispetto a
giovani che hanno invece un aspetto orribile. E’
come ci si sente rispetto al proprio look, ad essere
la chiave per avere una sana autostima. Ricorda, la
bellezza perfetta delle pubblicità può essere
un’aspirazione ma non significa che sia la realtà.»
44
TWIGGY LAWSON, A Guide to Looking and Feeling
Fabulous Over 40, Michael Joseph ed., Londra 2008.
143
Il libro, si propone come guida al trucco e al giusto
approccio con la moda, per le donne che hanno
superato i quarant’anni, ma esplica anche, passo
per passo, come si truccava Twiggy nella sua età
d’oro. Se ne traduce qui un piccolo estratto45
riguardante il suo makeup d’epoca “Mod”46, che è
poi rimasto nella storia come il suo tratto
distintivo:
«Ho realizzato da sola il mio trucco degli occhi
da quando avevo 14 anni e durante la mia fase
Mod. Era un look ben preciso: con gli occhi
pesantemente cerchiati di nero. Pasticciai con
l'eyeblack: un eyeliner solido e nero [fig. 82]
mescolandolo con un po' di saliva sulla punta
di un pennello sottile. Volevo gli occhi smokey
come le dee dello schermo degli anni Trenta.
Allora usavo stratificare tre paia di ciglia finte
oltre le mie e disegnavo inoltre a piccoli trattini
delle false ciglia nella palpebra inferiore. Il
tocco finale era annullare il colore delle mie
45
Da http://www.dailymail.co.uk/home/you/article1056252/Twiggys-beauty-secrets-eyes-lips.html.
46
Il termine Mod, abbreviativo di modernism (termine
coniato inizialmente per definire i fan del "modern jazz"), fa
riferimento alla subcultura giovanile che si sviluppò a Londra
e che raggiunse il picco di popolarità negli anni '60. Gli
elementi significativi della subcultura mod sono: il look
curato e la moda, la musica pop, gli scooter italiani (Vespe e
Lambrette), spesso adornati con molte luci e specchietti
supplementari per richiamare l'attenzione, l'uso di droghe
come le anfetamine e le notti intere a ballare nei club
notturni.
144
labbra tamponandole con il pancake. Quando
ho cominciato a posare, dovevo impostare la
sveglia 90 minuti prima rispetto all’orario
dell'appuntamento, perché dovevo prendermi il
mio tempo per applicare il make-up. E' stato
terapeutico e abbastanza divertente.»
E’interessante notare, oltre alle tecniche di trucco,
come certe icone che sembrano così lontane ed
irraggiungibili, si rivelino invece molto più
“umane” di quel che crediamo… Ad esempio, il
diluire l’eyeliner con la saliva della Twiggy
sedicenne, suscita molta “tenerezza” e le fa
assumere un tono più familiare, nonostante incarni
il modello della adolescente inglese degli anni ’60
(fig. 83) e dello stile di quel tempo in generale.
12. Patty Pravo
Patty Pravo, nome d'arte di Nicoletta Strambelli
(fig. 84), è una cantante italiana nata a Venezia nel
1948. Fin da piccolissima studiò danza e
pianoforte, seguendo anche un corso di direzione
d'orchestra e crescendo in un ambiente familiare
colto, sfruttando la preziosa possibilità di maturare
a contatto con personaggi del calibro di Peggy
Guggenheim, Ezra Pound e l'allora cardinale
Roncalli, futuro Papa Giovanni XXIII.
Successivamente, dopo aver studiato per otto anni
presso il Conservatorio di musica di Venezia, si
145
recò a Londra per perfezionare l'inglese, ma la
parentesi anglosassone fu brevissima poiché dopo
appena due giorni tornò in Italia incuriosita dal
tanto chiacchierato locale Piper.
Si trasferì quindi a Roma, dove cominciò a farsi
notare col nome d’arte Guy Magenta, esibendosi in
danze scatenate e trascinanti, fin quando fu notata
dal manager Alberigo Crocetta (socio proprietario
del locale) che, insieme a Renzo Arbore e Gianni
Boncompagni, diedero inizio alla sua carriera (fig.
85). La scelta del nome Patty Pravo derivò dal
fatto che Nicoletta studiava Dantismo ed era stata
colpita da una canto dell'Inferno dantesco, in
particolare dalla frase: “Guai a voi anime prave!”,
pronunciata da Caronte nella Divina Commedia.
“Pravo” quindi come “perverso”, “dannato”,
accostato al nome Patty molto in voga a quel
tempo e che foneticamente vi si accordava bene.
Il suo primo singolo, inciso nel 1966 è stato
Ragazzo triste: fu la prima canzone pop ad essere
trasmessa da Radio Vaticana, ma ci pensò la Rai a
trasformare il verso (ritenendolo probabilmente
troppo sfacciato): «scoprire insieme il mondo che
ci apparterrà» in: «scoprire insieme il mondo che
ci ospiterà». Questa sorta di censura fu la prima di
una lunga serie, poiché Patty Pravo fin da subito
mostrò di essere profondamente anticonformista e
sfacciata nel suo atteggiamento ribelle, ma sempre
in modo profondamente autentico.
146
Bionda, esile, dai lineamenti angelici, ma con una
voce torbida, rauca, vibrante e un carattere forte e
deciso, disinibita e “mentalmente aperta”, in totale
opposizione con “l’Italiuccia” benpensante del
tempo, Patty ebbe fin dagli inizi una personalità
magnetica ed energica che riversava nella sua vita
privata come nelle sue performance, e che ha
sempre fatto breccia nel cuore dei fan. Il suo
personaggio “bivalente”, così diafano nell’aspetto
e nei colori ma al contempo schiettamente “rock” e
avanguardista, può essere considerato come un
esempio di emancipazione femminile. Nel 1968
pubblicò La bambola, 45 giri che ottenne un
successo planetario, diventando immediatamente il
suo “marchio di fabbrica” e con il quale partecipò
a Canzonissima47, condotto da Mina, Walter Chiari
e Paolo Panelli. In Italia, La bambola è stato il
secondo 45 giri più venduto del 1968. Ed è proprio
a partire da quell'anno che ha inizio ufficialmente
il grande successo di Patty Pravo.
Innumerevoli furono le partecipazioni a
trasmissioni TV, caroselli e pubblicità per il
famoso marchio di gelati Algida, per cui realizzò
anche degli spot dove ballava e cantava. Nel 1970
47
Canzonissima era una popolare trasmissione televisiva di
varietà, mandata in onda dalla RAI dal 1956 al 1975. Oltre al
consueto spettacolo di comici, soubrette, sketch e balletti,
l'elemento fondamentale del varietà era la gara canora
abbinata alla "Lotteria di Capodanno", che successivamente
verrà ribattezzata Lotteria Italia.
147
avvenne la prima metamorfosi (fig. 86): Patty,
passò dal beat al melodico, interpretando brani da
donna matura pur essendo una ventenne e
riuscendovi comunque in modo assolutamente
convincente e partecipato.
Negli anni Ottanta, dopo i trionfi di brani come
Pazza idea e Pensiero stupendo, e di rock molto
avanzato (forse troppo) per l’Italia, Patty Pravo si
allontanò dalla cultura musicale nazionale,
secondo il suo parere troppo incentrata sul
guadagno e poco rispettosa della musica in quanto
forma d’arte (di conseguenza del cantante in
quanto artista) e si trasferì negli Stati Uniti,
ritenendo che fosse meglio viaggiare, provare la
libertà, viaggiando così anche dentro se stessa. Nel
1997, l’anno successivo al suo ritorno in Italia,
Patty riscosse nuovamente un gran successo con il
brano E dimmi che non vuoi morire, presentato a
Sanremo. Più di recente, nel 2009, Patty Pravo ha
ritirato
in
Campidoglio
un
importante
riconoscimento: il premio Personalità Europea
2009. Ad oggi, superata la soglia dei 60 anni, Patty
Pravo continua a perpetuare la parte della donna
eternamente giovane, libera, trasgressiva (anche
con l’aiuto della chirurgia estetica).
Ragazza del Piper, chanteuse romantica, rocker
avanguardista, dama orientale. Sono solo alcune
delle facce di una personalità misteriosa e
inafferrabile. La sua evoluzione canora ed estetica
costante è stata capace di sedurre un popolo
148
particolarmente tradizionalista e religiosamente
influenzato, rappresentando al meglio una stagione
indimenticabile in cui le speranze di milioni di
giovani si riversavano per le strade e i tabù
venivano infranti, le libertà conquistate a dura
forza e i dogmi rimessi in discussione; ma
mostrando anche la capacità di cambiare e
reinventarsi
trasformandosi
in
sofisticata,
eccentrica, elegante signora della musica italiana,
sempre con un che di trasgressivo (basti pensare
all’ultimo festival di Sanremo [fig. 87] in cui si è
esibita con una camicia trasparente che le lasciava
il seno a vista, alla veneranda età di 63 anni).
Ripercorrendo la carriera di questa grande artista,
aiutati dalle numerose immagini di repertorio, è
interessante notare come, pur interpretando varie
sfaccettature musicali in momenti storici diversi,
lei abbia sempre mantenuto costanti tre essenziali
caratteristiche: i capelli biondissimi, le sopracciglia
sottili e gli occhi maggiormente in risalto rispetto
al resto del viso (fig. 88). Pur avendo adottato di
volta in volta lo stile “cosmetico” del decennio,
Patty Pravo è un esempio della sua
personalizzazione poiché, nonostante tutte le sue
trasformazioni, è riuscita a mantenere una sua
precisa estetica, facilmente riconoscibile e
imitabile. Estetica che negli anni, pur rimanendo
pressoché immutata, non è mai sfociata nella
monotonia, né ha stancato il pubblico. La sua
raffinata creatività le ha inoltre consentito di
149
giocare con i look (fig. 89) principalmente
attraverso le acconciature e gli abiti, spesso
provocanti ed avant-garde, talvolta anche motivo
di polemica. Ma Patty, con algida bellezza e innata
eleganza, non ha mai deluso i propri estimatori ma
ne ha sempre conquistati di nuovi, attingendo da
tutte le fasce d’età.
13. Cher
Cherylin Sarkisian LaPierre non è che il nome per
intero della celeberrima cantante, attrice e
personaggio televisivo Cher (fig. 90). Nata in
California nel 1946, non ebbe un’infanzia per così
dire tranquilla. La madre dopo il divorzio si
risposò per ben otto volte. Ai matrimoni si
alternarono inoltre periodi di seria difficoltà
economica. Tutto ciò, come si può immaginare,
non era proprio il clima di stabilità di cui aveva
bisogno una creatura in crescita. A sedici anni la
vita di Cher cambiò, grazie all’incontro con Sonny
Bono (fig. 91), che nel corso del tempo passò
dall’essere un caro amico, a convivente, per
diventare ufficialmente suo marito nel 1963.
L’incontro con Sonny non fu determinante solo dal
punto di vista sentimentale, ma anche sul piano
lavorativo: è proprio duettando con Sonny che
Cher mosse i primi passi come cantante e assaporò
il gusto del successo. Con il suo inconfondibile
150
stile – caratterizzato dai coloratissimi pantaloni a
zampa d’elefante (portati in auge dalla coppia) e
accessori tipicamente Hippie come giacche e
complementi in pelliccia o suede, con i lunghi
capelli neri sua cifra, il trucco pesante che
ricalcava lo stile del tempo (fig. 92-93), e
l’ombelico scoperto che già allora faceva presagire
la disinvoltura con cui la cantante mostrava il
proprio corpo – Cher diventò ben presto un’icona
per la sua generazione e per la cultura americana di
quegli anni. Sonny & Cher, infatti, negli anni ’60
ebbero un enorme successo tra i giovani loro
coetanei, ed erano addirittura riusciti a scavalcare,
nelle classifiche inglesi, band come i Beatles e i
Rolling Stones. Tuttavia, sul finire del decennio il
successo calò: la coppia non riuscì a stare al passo
con i tempi perché il panorama musicale stava
cambiando così come la gioventù, che adesso
inneggiava alle droghe e al sesso libero e per la
quale i testi romantici di Sonny & Cher erano
ormai obsoleti.
Durante gli anni ’70 Cher si dedicò agli show
televisivi48, per poi continuare il suo percorso da
cantante solista dopo il divorzio da Sonny nel
1974, ma senza riscuotere il successo sperato.
Ebbe comunque un ruolo importante come sexsymbol, tanto da ispirare il suo stilista Bob Mackie
48
The Cher Show debuttò come speciale televisivo il 16
febbraio 1975.
151
a disegnare abiti cut-out49, con “finestre” di tulle
(fig. 94) o tessuto trasparente che lasciassero
scoperte porzioni di corpo. Bob Mackie, tra l’altro,
fu uno tra gli stilisti prediletti da Cher; il suo
talento nel disegnare abiti vistosi ed estremamente
sensuali, decorati e luccicanti, incontrava
perfettamente il gusto eccentrico della cantante.
Durante gli anni ’80 Cher non si era ancora
pienamente affermata in ambito musicale e, reduce
da una serie di flop commerciali, decise di
cimentarsi nella carriera da attrice. Impresa di
certo non facile, dato che veniva considerata dagli
“addetti ai lavori” troppo poco seria per gli
standard cinematografici e troppo cantante per
impersonare qualche ruolo importante sullo
schermo. Malgrado ciò, questa nuova strada le
riservò alcune soddisfazioni grazie a film quali
Silkwood50 e Stregata dalla Luna51, con cui vinse
un Golden Globe52 e un premio Oscar.
49
Per abito cut out si intende in generale un abito semplice,
impreziosito e reso più sensuale da strategici ritagli di stoffa,
veri e propri fori di varie forme che lasciano la pelle nuda e
scoperta.
50
Silkwood, di Mike Nichols, Stati Uniti, 1983, 131 min.
51
Moonstruck, di Norman Jewison, Stati Uniti, 1987, 102
min.
52
Durante la sua carriera Cher ha vinto anche un Grammy,
un Emmy, altri due Golden Globe e un People's Choice
Award per i suoi contributi nel cinema, nella musica e nella
televisione.
152
Ricaricata
dalle
positive
esperienze
cinematografiche, nel 1987 incise il primo di una
serie di incredibili successi: l’album Cher. A
partire dalla fine degli anni ’80 e per l’intero
decennio successivo (e oltre) Cher si realizzò una
volta per tutte, sia come cantante che come
carismatica sex symbol (fig. 95-96): una donna
forte, che dalle sue esperienze negative è sempre
rinata come fosse una araba fenice. Cher è una
vera e propria leggenda vivente: sono entrati nella
storia film come Le streghe di Eastwick53 o
successi musicali come Believe del 1998, che oltre
ad essere arrivato al vertice delle hit parade in
ventitré paesi diversi, è diventata la canzone più
venduta da una cantante nella storia della musica
inglese. Ma questo non è che uno dei primati di
Cher. Essa vanta anche: l’aver incentivato la moda
dell’ombelico scoperto e dei completi composti da
bolerino corto e pantaloni a zampa d’elefante
(indossati in Italia anche da Raffaella Carrà);
l’aver seguito e promosso (certuni dicono
addirittura inventato) la moda, a metà degli anni
’70, di portare le unghia lunghe e dalla forma
squadrata (fino all’anno scorso molto in voga);
l’amore per i tatuaggi che l’ha portata ad esserne
una delle prime estimatrici in epoca moderna
53
The Witches of Eastwick, di George Miller, Stati Uniti,
1987, 118 min.
153
(tanto da averne avuti ben sei54, che secondo la
stampa si è in seguito fatta eliminare grazie al
laser). Un suo video musicale, If I Could Turn
Back Time, fu uno dei primi ad essere censurati da
Mtv, a causa della mise non proprio pudica della
cantante e del contesto piuttosto sensuale.
Dal 2002 al 2005 ha avuto luogo il tour mondiale
Living Proof: the Farewell Tour, che doveva
essere l’addio ai suoi fan. Il successo fu enorme e
l’evento seguito da innumerevoli estimatori. Ciò
spinse la cantante a ripresentarsi a sorpresa nel
2008 con un nuovo show a Las Vegas: Cher at the
Colosseum, conclusosi nel 2011.
Nel 2010, inoltre l’abbiamo vista e sentita nel
musical Burlesque55 in coppia con la cantante
Christina Aguilera. Cher, bella come non mai
all’età di 64 anni, sfoggia ancora mise succinte e
trucchi vistosi come se fosse una ventenne, e con
lo stesso gradevole impatto visivo! Evidentemente
l’esser più e più volte ricorsa alla chirurgia
54
I tatuaggi erano: una grande farfalla con un disegno
floreale sulle natiche, una collana sul suo braccio sinistro con
tre ciondoli appesi: un ankh egiziano, una croce ed un cuore
con una spada, un kanji che significa "forza" sulla sua spalla
destra, un piccolo gruppo di cristalli di Art Déco sulla parte
interna del suo braccio destro, il disegno di una orchidea
nera sopra la piega della coscia destra ed un crisantemo sulla
caviglia sinistra.
55
Burlesque, di Steve Antin, Australia, 2010, 116 min.
154
estetica56 (abbinata a una dura routine giornaliera
di esercizio fisico e cibo sano), ha dato i suoi frutti,
anche se personalmente credo che più d’ogni altra
cosa, a rendere Cher così evergreen anche dal
punto di vista estetico, sia il suo incredibile
carisma e la passione che mette nel suo lavoro.
Ancora una volta Cher con Burlesque si è
riconfermata artista poliedrica, subito pronta a
sperimentare e promuovere nuove mode.
Nell’ultimo anno lo stile burlesque57 ha infatti
impazzato e raccolto consensi praticamente
ovunque. Questo stile, opportunamente dosato e
declinato a seconda della situazione, è stato
56
Già negli anni ‘80 Cher, stanca del suo naso e dei denti
storti, si sottopone ad alcuni interventi, presentandosi in una
nuova veste. Durante gli anni ‘90 i pettegolezzi sulle sue
presunte operazioni diventano sempre più insistenti: i
maligni vociferano che Cher si sia rifatta, oltre al seno e il
naso, anche l'addome, i glutei, le guance e si sia fatta
asportare due costole per rendere sottile il suo girovita.
Sempre fedele a se stessa, ma soprattutto sempre sincera e
onesta quando si tratta di parlare delle sue scelte, Cher non
ha mai negato di essere stata sotto i ferri, ma ha sempre
smentito le esagerazioni sul suo conto.
57
Lo stile estetico del Burlesque, riassume in un unico
codice visivo una miriade di elementi desunti da altri show e
altri campi. Si può provare a immaginarlo come una
commistione di stile circense, abbigliamento e trucco vintage
reinventato, con abbondante uso di glitter, cristalli, ciglia
finte e tinte forti, insieme ad elementi tipici dell’ambito
erotico-sensuale: lingerie provocante, accessori come frustini
mascherine e corsetti e ancora scarpe fetish e costumi di
scena di vario genere, ma sempre declinati in chiave erotica.
155
proposto da numerose riviste di moda come trend
del momento. Lo stesso film ha rappresentato per
alcune case cosmetiche come la Make Up For Ever
e la Smashbox, una ghiotta occasione per realizzare
e vendere prodotti cosmetici a tema, potendo
godere di testimonial d’eccezione come la coppia
di cantanti.
Cher, insieme a Madonna, è l’immagine della
personalità artistica spiccata, della resistenza
rispetto al tempo che scorre impietoso, della
determinazione nel perseguire i propri sogni. Con
il suo look chiassoso e stravagante è diventata un
icona camp58, portabandiera di uno stile frivolo,
giocoso e sorprendente imitato ad esempio da
tantissime Drag Queen che la prendono come
modello di riferimento per i loro outfit e trucchi di
scena. Basti pensare alle miriadi di abiti luccicanti
che le abbiamo visto indossare ai concerti e agli
eventi importanti, ai cambi di acconciatura e colore
di capelli (figg. 97-99) (prima nera indefessa, poi
rossa, castana e addirittura bionda nel 2000), al
cambio di colore degli occhi tramite l’uso di lenti a
contatto colorate (considerando il colore degli
occhi come fosse un accessorio da cambiare a
piacimento). Il suo trucco, assolutamente
incostante, è sempre stato soggetto al cambio di
look del momento: negli anni ’60 gli occhi erano
58
Il termine camp si riferisce all'uso deliberato, consapevole
e sofisticato del kitsch nell'arte, nell'abbigliamento, negli
atteggiamenti.
156
contornati da un intenso eyeliner nero e le ciglia
ben separate e sottolineate dal mascara; negli anni
’70 e ’80 l’eyeliner non la fa più da padrone,
lasciando il posto a polveri e colori a volte tenui a
volte un po’ più drammatici, ma nell’insieme il
volto è armonioso. E’ negli anni ’90 e 2000 (fig.
100) che la vediamo sbizzarrirsi maggiormente,
spaziando da look grafici al burlesque a trucchi
dall’effetto naturale con incarnato impeccabile e
un perfetto e studiato contouring (fig. 101), a
trucchi smokey e sexy incentrati sullo sguardo.
Infine Cher è anche una delle più attive icone
gay. Anche grazie alla vicenda legata a sua figlia
Chastity Bono, ora Chaz Bono dopo il cambio di
sesso del 2010, è amata e adorata dal mondo
omosessuale, per cui si batte nella lotta contro
l’omofobia e per il riconoscimento dei diritti dei
gay. Il deejay resident Virus, curatore di un
omaggio a Cher al Togay del 2006, spiega che la
splendida sessantenne Cher è diventata un’icona
gay anche perché, come Mina e Dalida, ha
esasperato la sua femminilità, accentuandola fino
quasi a sfiorare il ridicolo.
14. Madonna
Madonna Louise Veronica Ciccone è il nome per
esteso della celeberrima popstar americana ed
icona di moda e stile Madonna (fig. 102). Nata a
157
Bay City nel 1958, vanta un incredibile carriera
più che ventennale, ricca di successi e scandali,
trasformismi e reinvenzioni degni di una celebrità
mondiale. Talento e determinazione le hanno
fruttato milioni e milioni di fan in tutto il globo che
l’adorano, emulano e seguono ad ogni concerto.
Concerto che in questo modo finisce per diventare
un evento mediatico a livello mondiale, spesso
condito da polemiche legate a contenuti
sessualmente troppo espliciti o a “trovate” che
sfiorano la blasfemia, come fu nel 2006 durante il
Confession Tour. In quell’occasione infatti, la
cantante aprì il concerto eseguendo la prima
canzone “appesa” a una enorme croce di
specchietti (in stile palla da discoteca anni ’70) e
con tanto di corona di spine in testa.
Madonna cominciò a studiare danza e canto fin
da piccola, ma fu interrompendo il college e
trasferendosi a New York che poté dar inizio alla
sua carriera. Dopo un iniziale momento di
difficoltà economiche in cui si adatta a fare diversi
lavori, è nel 1982 che firma il suo primo contratto
discografico con la Sire Records che produce il suo
primo vero successo: il brano Holiday. Ma fu il
suo secondo album Like A Virgin ad essere
fondamentale: poiché è da questo momento che la
cantante riscuote un successo planetario e
apprende che la chiave per rimanere sulla cresta
dell’onda è la ricerca e rinnovamento di sound ed
immagine. Infatti, vedremo come già nella prima
158
parte di carriera (dal 1983 – figg. 103-104 – al
1988 – fig. 105 –) Madonna sperimenta vari look,
passando dallo stile pseudo punk (fig. 106) a una
caricaturata “nuova Marilyn”, a una madonna un
po’ androgina e aggressiva man mano sempre più
sofisticata. Fino ad arrivare nel 1989 a un look
dall’aspetto meno costruito, con capelli castani e
make up leggero nell’album Like a Prayer. Album
che fu giudicato molto positivamente dalla critica
ma che, a causa del videoclip che lo
accompagnava, fu bollato come sacrilego dai
Vaticano e dai cattolici59.
Negli anni 1992 e 1993 assistiamo alla fase più
controversa di Madonna, il cui preludio fu il Blond
Ambition Tour (di cui è famosissimo il sensuale
outfit [fig. 107] creato da Jean Paul Gaultier) (fig.
108). Ma è alla fase per così dire più “acuta” che
appartengono il libro fotografico Sex60 e l’album
59
Il background italiano e cattolico di Madonna, ereditato
dai suoi parenti, si riflette spesso nella carriera della cantante:
nel video di Like a Prayer ad esempio, i riferimenti al
cattolicesimo sono numerosi (ad esempio il fenomeno delle
stigmate); ancora, nel Virgin Tour indossò un rosario, poi
ripreso mentre pregava nel video de La Isla Bonita.
60
Le foto di Sex, opera di Steven Meisel, (MADONNA,
STEVEN MEISEL, Sex, Warner Books, Londra 1992.)
intendono rappresentare le fantasie sessuali della cantante,
molte delle quali di natura sadomaso e omosessuale. Tra le
comparse figurano Naomi Campbell, Isabella Rossellini e il
rapper Vanilla Ice. Il libro contiene anche testi nello stesso
spirito delle immagini e un CD con il brano Erotic, una
versione speciale del singolo Erotica. Il libro ha un'enorme
159
Erotica, che suscitarono grande scalpore e fecero
scandalo per i contenuti così espliciti da essere al
limite con la pornografia e per la totale serenità
della cantante nel mostrarsi in questa veste intima,
impudica e trasgressiva al contempo. Sull’onda
della notorietà, fonda anche la sua etichetta
discografica, la Maverick Records, con cui
produrrà artisti quali Alanis Morissette, i Prodigy e
i Muse.
Dopo il 1996, con la nascita della sua
primogenita Lourdes Maria, si avverte il primo
stacco netto sia dal punto di vista estetico che
musicale. Si avverte una diversa influenza nei suoi
lavori e nel complesso Madonna appare più matura
e meno artefatta. Ne sono testimonianza la
partecipazione al film Evita61 (fig. 109), che le farà
vincere un Golden Globe come migliore attrice
protagonista e l’album Ray Of Light del 1998 (fig.
110). In questo periodo il suo look è più naturale:
caratterizzato da lunghi capelli ondulati biondo
caldo e da un incarnato più dorato. Le sopracciglia
sono molto sfoltite e il trucco è giocato su toni
caldi, sfumati e delicatamente femminili. Il suo
eco a livello internazionale ed è presto esaurito. Oggi fuori
stampa, è diventato un oggetto da collezionisti.
61
E' con questo film che Madonna ottiene la sua
consacrazione anche come attrice, in Evita interpretò il ruolo
di Eva Perón per la regia di Alan Parker. Madonna ricevette
critiche unanimemente molto positive, le migliori dai tempi
del film Cercasi Susan disperatamente, altra pellicola di
successo, recitata della cantante, uscita nel 1985.
160
settimo album è influenzato da sonorità New Age e
maggiormente intimiste; l’ispirazione è tratta dalla
spiritualità orientale e da una visione più
introspettiva e personale della cantante. Uno dei
look più famosi, caratteristici e accattivanti è senza
dubbio quello del videoclip della canzone Frozen,
nel quale Madonna appare come una sorta di entità
mistica un po’ tetra, un po’ magica, ma sempre con
quel tocco di impeccabile glamour da star. Da quel
momento, non fu più una novità portare sulle mani
i classici tatuaggi all’hennè delle spose indiane, ma
una delle mode lanciate da lady Ciccone. Altro
look degno di nota, sempre estrapolato da
quest’album, è quello in cui veste i panni di una
pseudo-geisha
moderna
(figg.
111-112),
indossando kimono a tinta unita reinventati con
dettagli in latex: i colori predominanti, nero rosso e
bianco, sono sempre ispirati al repertorio orientale
ma reinventati anche nel trucco in modo
avanguardista e ricercato.
Nel 2000 nasce il suo secondogenito Rocco, dalla
relazione con il regista Guy Ritchie (il loro
matrimonio durerà fino al 2008), e si apre una
nuova fase nella carriera di Madonna. Dello stesso
anno è l’album Music, dove abbandonata la veste
spirituale di Ray Of Light, la cantante si propone in
una versione dance-pop-country. Ed è proprio sulla
scia delle sonorità dance che si snodano gli ultimi
lavori di Madonna, in particolare in Confession on
a Dance Floor del 2005 ed Hard Candy del 2008
161
(figg. 113-114). Al ritorno all’elettronica dal punto
di vista sonoro, a livello estetico è ovviamente
corrisposta una nuova e calzante immagine; lo stile
di Confession on a dance floor, come suggerisce il
titolo stesso, è un mix di disco anni ’70 (che
richiama atmosfere alla Saturday night fever62) e
stile urbano newyorkese, il tutto sempre
accompagnato dalla sensualità patinata di cui è
pregna la carriera e il personaggio di Madonna.
Ripercorrendo seppur in modo rapido la vita e la
carriera di lady Ciccone, si evince come si tratti di
una persona in un certo senso speciale. E’ la regina
incontrastata del pop, ma anche attrice, ballerina,
scrittrice63, regista, stilista, produttrice discografica
e cinematografica: e tutto ciò per 28 anni
consecutivi! E’ sempre riuscita a non seguire le
mode come fanno tutti, ma a lanciare lei dei nuovi
trend64 (sempre ben accolti) diventando lei stessa
62
Saturday Night Fever, di John Badham, Stati Uniti, 1977,
114 min. Celeberrimo film cult interpretato da John Travolta
e con una colonna sonora d’eccezione, interamente realizzata
dai Bee Gees.
63
Nel 2003, e in seguito anche nel 2007, ha scritto vari libri
per bambini: in essi Madonna affronta temi come la gelosia,
l’invidia, il superamento degli ostacoli, l’imparare a non
giudicare gli altri e la forza delle parole. Il più famoso è Le
Rose Inglesi, edito in Italia dalla DeAgostini, che è stato
tradotto in ben 40 lingue.
64
Nel videoclip (in bianco e nero) della canzone Vogue del
1990, Madonna si esibisce nel vogueing, un ballo allora
molto diffuso nei locali gay degli Stati Uniti, che imita le
pose plastiche delle modelle e dei modelli che apparivano sul
162
“la moda” del momento. Basti pensare alle
sopracciglia incolte degli anni ’80 e al suo trucco
un po’ selvaggio subito imitato e ancora oggi
ripreso e rivisitato, agli scaldamuscoli colorati nel
2005, alle ciglia finte in pelliccia di visone e
diamanti create apposta per lei da Shu Uemura (v.
infra, cap III, § 6, di cui adesso troviamo la
versione cheap in ogni profumeria), o ancora alla
moda dello Yoga, della Kabbalah, l’avvicinarsi
alle discipline orientali e il mostrare con orgoglio
che i suoi 50 anni tornano ad essere 30.
Madonna è indiscutibilmente la regina della
reinvenzione, una maestra quando si tratta di
fiutare gli affari; del resto sono ben note la sua
ambizione e determinazione. Madonna ci ha
inoltre insegnato che la bellezza dello stile è il
fatto che esso possa essere cambiato di continuo e
all’infinito. Un paio di scarpe, un nuovo taglio di
capelli, un certo tipo di make up, anche se
all’apparenza
possono
sembrare
cose
insignificanti, regalano attimi di protagonismo
impagabile, vestendoci di una nuova personalità.
Ma Madonna, grazie anche alla fama ed alla
risonanza mediatica di cui solo un mito può
godere, ha avuto l’onore e la possibilità di
circondarsi di persone estremamente dotate e
noto magazine americano. Madonna porta in auge questo
ballo che diventa un vero e proprio fenomeno di costume, ciò
contribuì alla progressiva affermazione di Madonna come
icona gay.
163
capaci nel loro campo: stilisti di fama mondiale
(Jean Paul Gaultier ma anche Dolce & Gabbana
per citarne un paio), i migliori ballerini e
coreografi sulla scena, e anche makeup artists e
consulenti d’immagine, che l’hanno aiutarla e
coadiuvarla nel fare di ogni lavoro, sia esso album,
tour o photoshoot un gran successo planetario.
Gina Brooke (fig. 115) è la personal image maker
che ha curato il look di Madonna a partire dal
2003. La loro collaborazione ha compreso la
direzione artistica dell’immagine beauty degli
ultimi quattro tour mondiali della cantante e
numerosi videoclip, ma Gina è anche il direttore
artistico di un’importantissima casa cosmetica, la
Shu Uemura. In qualunque intervista rilasci, le si
chiede come sia lavorare con e per Madonna e, un
po’ malignamente, in rapporto all’età anagrafica
della cantante, se ci sia sempre un gran lavoro di
“ristrutturazione” da fare, per farla apparire così
splendida e fresca… Ebbene, non è così. Secondo
Gina, Madonna è molto bella anche struccata. A
provarlo è la quantità minima di trucco che usa
applicarle (anche perché con una dose eccessiva si
rischia di ottenere un effetto invecchiante). Il
trucco di Madonna, se non altro da quando è la
Brooke ad occuparsene, è incentrato su alcuni
punti fondamentali: incarnato perfetto, labbra con
colori neutri, sopracciglia molto evidenziate ed
occhi definiti. Il trucco è sempre molto classico e
leggero, anche sul red carpet, dove l’unico tocco
164
in più sono le labbra rosso rubino (secondo Gina
Brooke il rossetto rosso è il “re” dei cosmetici).
Tuttavia, uno dei trattamenti chiave che rendono la
pelle di Madonna così incredibilmente giovane,
oltre ad una magistrale applicazione del trucco e ad
una dieta mirata e sana, è l’Intraceuticals Oxygen
Infusion, una sorta di “bombardamento” della pelle
con ossigeno iperbarico naturale che rinnova le
cellule della pelle ringiovanendole. Per concludere
questo excursus sul mito del trasformismo, citiamo
il critico rock Piero Scaruffi, che ha sintetizzato in
maniera assolutamente puntuale il fenomeno
Madonna:
«E' una delle ultime grandi performer in cui arte e vita
si fondono e confondono. Il piglio sarcastico e
nichilista del suo rhythm and blues, benché sposato ad
arrangiamenti tecnologici e produzioni miliardarie,
riflette l'atteggiamento casual e amorale di tanta
gioventù bruciata dei ghetti intellettuali, facile tanto
alla vita di strada quanto al glamour del successo. La
sua è una personalità drammatica, che è cinica e
distaccata secondo i nuovi costumi giovanili, forte di
un retroterra di promiscuità sessuale e di precoce
indipendenza. Nato all'incrocio fra civiltà punk e
civiltà disco, e testimone della rivoluzione del
costume degli adolescenti, il mito di Madonna non è
che un aggiornamento della figura dell'eroina
romantica e fatalista».
165
15.Anna Oxa
Anna Oxa (fig. 116) è il nome d’arte di Lliriana
Hoxha; una delle più famose cantanti del
panorama musicale italiano. Nata a Bari nel 1961
ma di origini albanesi, debuttò nel 1978 (figg. 117118) con l’album Oxanna e con un look pseudopunk65, svelando immediatamente la sua estrosità
sia dal punto di vista estetico che canoro. Ad oggi
vanta una carriera musicale lunga e piena di
successi, nonché ben 14 Festival di Sanremo, dei
quali due vinti. Nel corso di questi anni si è anche
reinventata proponendosi come conduttrice
televisiva in quattro programmi della rete
nazionale, e ha perfino presentato un Festival di
Sanremo. E’ stata ed è tuttora una grande artista e
una donna profonda, complessa, eclettica e colta.
Con le sue particolarità e la sua poesia ha fatto
storia e rappresenta insieme a tanti altri artisti un
motivo di orgoglio da parte degli italiani. Alcuni
65
Al Festival di San Remo di quell’anno, Anna si presenta in
una tenuta pseudo-punk (forse più per l’atteggiamento che
per lo stile): abbigliamento maschile con tanto di cravatta,
labbra color viola scuro, ombretto steso in modo quasi
teatrale fino all’attaccatura dei capelli, taglio di capelli
maschile, atteggiamento aggressivo e una valigetta
misteriosa. In realtà quel personaggio presente sul palco ha
poco a che fare con la vera Anna Oxa, ma era necessario un
espediente per colpire al primo impatto, e l'amico Ivan
Cattaneo, cantautore, artista e creatore d’immagine, le
consigliò di porgersi in quel modo.
166
dei look più famosi e riusciti di questa
camaleontica artista sono stati ideati da Stefano
Anselmo fino al 2001, quando il testimone è
passato alla makeup artist Elisa Calcinari66 (fig.
119).
Stefano Anselmo, sul finire degli anni ‘80 rivisitò
per la cantante il tipico look anni Settanta: con
palpebra chiara, ampia mezzaluna marrone e
sopracciglia rasate. Nel 1990 avvenne un cambio
di look radicale che vede protagonisti in modo
primario capelli e sopracciglia, che tornano molto
scuri ed in primo piano. Dopo una breve
escursione stilistica nello stile anni Quaranta (fig.
120), Anna Oxa è tornata, ma in modo più
naturale, al capello biondo delle origini. Per tutti
66
La sua formazione ha inizio presso la scuola europea di
estetica BCM di Milano nel 1984, come allieva di Stefano
Anselmo; in seguito si trasferì a Roma per intraprendere la
carriera di effettista speciale per il cinema presso Rino
Carboni (effettista speciale a sua volta e già uno dei
truccatore dello staff di Fellini). Tornata a Milano, fondò il
laboratorio Studio Artefare. Ed in seguito ha vinto la gara
d’appalto per la gestione del reparto trucco & parruccheria
del Teatro Filarmonico e Arena di Verona, mantenuto fino al
2002.
Ha lavorato con registi del calibro di Wim Wenders, Franco
Zeffirelli, Luca Ronconi, Dario Argento, Bob Willson e con
artisti come Gianna Nannini, Placido Domingo, Renato Zero,
Sabina Guzzanti, Angela Finocchiaro ecc. Dopo aver
insegnato e curato la direzione didattica delle più grandi
scuole di trucco in Italia ha fondato la Art on Stage dove
insegna in prima persona.
167
gli anni Novanta ci ha continuamente stupito con i
suoi cambi d’immagine: una volta in veste punk,
poi donna raffinata, rock (figg. 121-122), etnica,
ma sempre dallo spunto originale e magnetico,
mantenendo comunque alcuni denominatori
comuni: incarnato latteo, ombreggiature marcate
sul naso e sulle palpebre fisse, correzione degli
occhi per natura troppo distanti tramite un
opportuno contouring, zigomi scavati.
Da bionda a mora, con i capelli lunghi o a
spazzola (fig. 123), con le extension bicolore e una
pelle lucida effetto extraterrestre, la Oxa rimane al
primo posto della classifica delle artiste Italiane
più innovative di questo secolo: una donna che ci
svela, all'interno di un excursus non solo musicale,
la sua evoluzione artistica e personale. Nella sua
più recente apparizione al Festival di Sanremo il
suo stile era completamente mutato per l’ennesima
volta (figg. 124-127): capelli corvini lunghi e
scompigliati come da una folata di vento,
sopracciglia sottilissime e scure (una sorta di
rilettura moderna dell’arcata di Marlene Dietrich),
trucco degli occhi grafico sui toni del bianco e del
nero, oppure interamente giocato sulle sfumature
del blu, suo colore di tendenza dell’anno, ed infine
le labbra, totalmente nude da sembrare assenti.
Riportiamo di seguito ciò che ha scritto sul beauty
blog artonstage.it la stessa Elisa Calcinari a
proposito della sua ultima creazione sanremese:
168
«Il make-up ideato appositamente per Sanremo è stato
eseguito ad aerografo con prodotti al silicone. Il
fondotinta di base steso a spruzzo risulta molto più
uniforme di qualsiasi altro metodo applicativo (spugna
o pennello). Sempre con l’aerografo ho sbiancato tutta
la palpebra superiore e quella inferiore per evidenziare e
“pulire” tutta la zona orbicolare in modo da far risaltare
i colori del make-up. La mia idea è stata quella di uscire
dagli schemi classici che vedono il trucco posizionato
perlopiù sulla palpebra superiore e spostarlo totalmente
su quella inferiore, perché in questo mondo […], vi è un
forte bisogno di cambiamento e di sapersi distinguere
attraverso il proprio aspetto ma anche attraverso il
proprio
pensiero
per
non
essere
preda
dell’omologazione. Quindi ho bordato l’occhio con una
matita viola scuro sia sulla palpebra superiore che
inferiore e, su quest’ultima, ho creato una sfumatura
blu/turchese molto ampia
fino quasi a superare
l’occhiaia. Questo tipo di trucco ha provocato un effetto
a specchio come se lo sguardo dell’occhio avesse il
potere di generare un
riflesso verso il basso.
Sopracciglia sottili truccate di viola scuro con
sfumatura turchese alla base inferiore. Palpebra
superiore bianca senza ombreggiature. Ciglia finte blu
con sfumature nere. Bocca naturale per non distogliere
il punto di focus dagli occhi della cantante che sono il
punto di forza e l’elemento maggiormente comunicativo
di Anna.»
Siamo dunque di fronte ad un’estetica da
trasformista, al pari di icone internazionali quali
Madonna67. Anna Oxa è stata molte donne e
67
Se Madonna, come abbiamo visto, ha lanciato numerose
mode e trend, Anna Oxa non è stata da meno. Si pensi, nel
1999, allo scandaloso outfit con cui si è presentata a Sanremo
169
“molte sopracciglia”. Per ognuna ha definito nuove
sfumature, nuovi occhi, nuovi primi piani
fotografici, nuove interpretazioni (fig. 128-129).
In un intervista, a proposito del suo essere così
camaleontica e imprevedibile disse:
« Sono sempre in cammino, cerco uno spazio
creativo in un mondo in cui tutto è fermo[...]»68
Quale modo migliore può descrivere ed
esemplificare l’essenza di questa artista?
Quell’essenza che l’ha resa riconoscibile e speciale
fra tante altre cantanti con il suo stesso talento
(edizione vinta per altro, con il brano Senza pietà) con il
tanga che fuoriusciva dai pantaloni a vita bassa, moda poi
imitata da tantissime teen-ager (e anche meno giovani) e
riproposta in seguito anche dalla stessa Madonna in un
famoso video. In quell’occasione, a proposito di look, trucco
e mode, sono state mosse alla cantante critiche anche
piuttosto pesanti secondo cui la vittoria era dipesa più
dall’impatto visivo (un look aggressivo e quasi tribale,
completato da un’acconciatura di extension striate, bionde e
nere e la pelle del corpo e del viso lucida, come se fosse
cosparsa d’olio) che dal brano in sé. Addirittura, Ornella
Vanoni le criticò il look dicendo che a suo modo di vedere
era forzato, poco credibile e aggressivo, Anna Oxa per tutta
risposta dichiarò: «Non sono una diva capricciosa, sono una
professionista che va in cerca della qualità […]. Perché
Madonna può cambiare immagine una volta al mese e io
no?». V. «Corriere della Sera», lunedì 1 marzo, 1999.
68
http://www.sorrisi.com/2010/09/28/lorella-cuccariniintervista-anna-oxa-per-sorrisi/
170
vocale, e che le ha riservato un posto in questa
personale rassegna di icone di stile e di bellezza
del secolo scorso.
16.Kate Moss
Katherine Ann Moss, detta Kate, nata a Londra il
16 gennaio 1974, è una supermodella, stilista, ed
icona di moda (è stata addirittura inserita dal
Consiglio degli stilisti d'America nella lista delle
donne meglio vestite al mondo – fig. 130 –). Kate
aveva sviluppato fin da bambina una smodata
passione per gli abiti, ma attenzione: abiti, non
moda, perché lei non ha mai voluto seguire i diktat
degli stilisti, e se è diventata un’icona indiscussa è
proprio per la sua raffinata creatività che ha dato
luogo ad una nuova formula: lo "stile Kate" (fig.
131) appunto. Si pensi che già appena adolescente,
aveva le idee ben chiare in fatto di look: abiti da
uomo, maxi pull, jeans skinny e le sue inseparabili
sneakers Adidas.
La sua carriera da top model è cominciata nel
1990 quasi per caso, quando fu scoperta da Sarah
Doukas, fondatrice dell'agenzia di moda Storm,
presso l’aeroporto JFK di New York. Ma il suo
debutto come modella non è stato esaltante.
Piccola di statura (172 cm) e mingherlina rispetto
alle top model procaci dell'epoca, capisce che per
essere notata come vorrebbe deve essere autentica:
171
mascolina, timida e arruffata. Evidentemente ebbe
ragione: lo stilista John Galliano la scelse per le
sue sfilate insieme a Naomi Campbell, Linda
Evangelista e Christy Turlington69. Da allora è
apparsa in moltissime campagne fino a diventare la
musa e il simbolo di Calvin Klein ed il suo viso è
rimasto legato, nell’immaginario collettivo, ai
profumi Obsession (fig. 132) e One.
Con il suo aspetto un po’ pallido ed emaciato,
incarnava alla perfezione lo stile Heroin Chic70
che, in totale contrapposizione all’aspetto sano e
salutare delle top model di quel momento,
rappresentava un nuovo trend approvato anche dal
69
Gli anni ‘90 sono stati l'era delle supermodelle e il mondo
dei media era dominato da questa ristretta cerchia di donne
perfette. The Big Six era il modo per definire il gruppo delle
sei supermodelle, che spiccavano in bellezza e carattere più
delle altre, ed erano anche e di conseguenza, maggiormente
richieste. Esse: Claudia Schiffer, Cindy Crawford, Kate
Moss, Linda Evangelista, Naomi Campbell e Christy
Turlington.
70
Nell’ultimo decennio del XX secolo il “look del
dipendente da eroina” in inglese, il trend Heroin Chic – le
cui peculiarità sono espressione assente, colorito pallido,
profonde occhiaie, guance incavate, magrezza eccessiva, e
capelli scomposti – è stato promosso nelle riviste famose e
nei circoli della moda come fenomeno di tendenza. Alcuni
stilisti di moda, fotografi e personaggi degli anni ’90, hanno
influenzato un’intera generazione di giovani descrivendo
l’uso di eroina nei giornali, nei film (si pensi alla pellicola
Trainspotting del 1996, diretta da Danny Boyle) e nei video
di musica come una cosa alla moda e addirittura desiderabile.
172
contesto sociale che vede spopolare lo stile
musicale Grunge ed alternativo.
Nella sua carriera la Moss ha sfilato praticamente
con tutti i più grandi marchi della moda ed è stata
immortalata da molti fotografi famosi, fra cui
Steven Meisel (lo stesso della raccolta Sex di
Madonna) e Richard Avedon71 per Versace. Non si
contano inoltre le copertine di celebri testate
giornalistiche di moda in cui compare: «W»,
«Harper's Bazaar», «Vogue» (fig. 133), «Allure»,
«Elle», «Vanity Fair». Nel 1995 il suo circolo di
amicizie va dalla stilista Stella McCartney al
cantante Noel Gallagher, Jade Jagger, Marianne
Faithfull, fino all'artista Lucien Freud. La Moss
diviene il simbolo della nuova Swinging London,
una sorta di seconda Twiggy ma in chiave
moderna e un po’ dissoluta.
Nel 2000 decide di lasciare il mondo delle
passerelle: ma il suo volto e la sua immagine
continuano a essere sempre presenti, essendo
anche testimonial della famosissima casa
cosmetica Rimmel. Dopo cinque anni, dalle
passerelle passa a calcare i palchi dei concerti rock
a Glastonbury, e Kate presto detta tendenza anche
71
Richard Avedon (nato a New York il 15 maggio del 1923
– morto a San Antonio l’1 ottobre del 2004) è stato un
celeberrimo fotografo e ritrattista statunitense. Ha lavorato in
vari campi, dal reportage alla moda, ma rimarrà noto per i
suoi innumerevoli ritratti in bianco e nero, fra cui ricordiamo
quelli di Marilyn Monroe, Brigitte Bardot e Sophia Loren.
173
lì. I micro shorts, le cinture borchiate e gli
immancabili stivali Hunter sono la sua mise cult.
E' in questo ambiente alternativo e decadente che
entra in contatto con il cantante Pete Doherty, che
con la sua cattiva influenza da elemento dannato e
“tossico”, presto ha trascinato Kate in un vortice di
infelicità. Infatti, i guai ben presto bussano alla
porta della super model, che si vedrà coinvolta in
un grosso scandalo riguardante l’uso (ed abuso) di
droghe e una condotta sregolata fatta di eccessi di
ogni tipo. Fu una gran caduta di stile per un’icona
come lei e ciò le causò non pochi danni, anche
economici, visto che molti partner commerciali
decisero di interrompere le collaborazioni con lei.
Il periodo buio purtroppo non finirà presto,
l'influenza di Pete continuerà a farsi sentire fino al
2007 quando finalmente Kate decide di lasciarlo.
Sfrenata, irrequieta e tragica Kate. Ma anche
dolce, romantica e giocosamente irriverente. Una e
mille donne, capace di rinascere dalle sue ceneri e
uscirne più forte e stylish che mai.
L’allontanamento da Pete le frutta, in quello stesso
anno, il contratto in esclusiva con il marchio
d’abbigliamento Top Shop72 per disegnare la sua
personale linea d’abbigliamento. Un’occasione
72
Topshop è un rivenditore britannico di abbigliamento con
negozi in oltre 20 paesi. La catena è stata fondata nel 1964
come Peter Robinson’s Top Shop, un marchio di moda
giovanile, ma il primo negozio indipendente è stato aperto
nel 1974.
174
d’oro per una fashion victim come lei. Dopo
essersi lasciata alle spalle la disintossicazione e la
travagliata storia con Doherty, inizia quindi una
nuova storia d'amore con Jamie Hince, chitarrista
del gruppo The Kills, con il quale si è sposata nel
luglio 2011 (indossando una creazione di
Galliano). Ed è proprio uno scatto del giorno del
suo matrimonio che rappresenta ora al meglio la
Kate adulta: sorridente e spensierata, in un
raffinato abito di foggia retrò, finalmente felice.
Gli occhi sensuali, fumosi e bistrati di nero (fig.
134), tipici del periodo d’oro (come si è visto, più
o meno aureo in verità) di Kate sono parte del suo
look maggiormente rappresentativo. Ha rivelato in
un’intervista che è stata la madre del suo primo
fidanzato a dirle come ottenere il look smokey:
«Ero solita guardarla: tendeva la palpebra,
applicava l'eyeliner e poi lo strofinava, applicava e
strofinava! Dopo, sistemava la piega dell'occhio».
Una matita nera o l'eyeliner e un ombretto nero in
crema, sono i prodotti principali per ottenere
questo look da sexy rockettara. Le ciglia, dopo
essere state curvate con il piegaciglia (lei in
particolare adora quello di Shu Uemura, che si
adatta bene alla sua particolare forma d’occhi),
devono essere lunghe e ben separate, per dare il
femminile e civettuolo effetto di "occhio
ammiccante" ad ogni battito di ciglia. Gli occhi,
così scuri e drammatici, si devono inoltre stagliare
su un incarnato chiaro e privo di imperfezioni. Le
175
labbra sono appena macchiate di rossetto (ad
imitare l’effetto tintorio, del succo delle ciliegie) o
rosso fuoco, corpose e compatte. Kate Moss è uno
di quei volti che non ci si stanca mai di vedere; che
stia posando imbronciata o in modo ammiccante, il
suo sguardo è sempre profondamente intrigante.
Riassumere un aspetto "tipico" di Kate, smokey
eyes a parte, è impossibile (figg. 135-137): i suoi
capelli, lo stesso trucco e i vestiti soprattutto, sono
in continuo mutamento ed è per questo che non si
può non desiderare di prendere spunto dal suo stile
personale, ricco di pezzi vintage e raffinati tuffi
modaioli nel passato (altro “amore” di Kate è il
trucco delle stelline anni ’40 – fig. 138). Ma
l’ultima Kate Moss, sposina e riabilitata, appare,
quantomeno nell’aspetto complessivo, illuminata
da un’aria romantica, con una capigliatura sempre
bionda ma più rassicurante, con morbide onde
definite e con un trucco naturale e delicato. Non
c’è alcun dubbio: in qualunque versione la si veda,
Kate Moss sarà per sempre un'autentica icona di
bellezza ed in quanto tale è giusto che anche il
mondo dell’arte le renda omaggio: Marc Quinn,
importante artista del panorama contemporaneo ed
esponente del gruppo artistico Britartists, nel 2008
ha realizzato una statua a sua immagine e
somiglianza, a grandezza naturale e in oro
massiccio. L’opera si chiama Siren73 (fig. 139) ed
73
La statua, ritrae Kate in una posa yoga. Per la sua
particolarità, Siren Microcosmo (questo il titolo della
176
è stata presentata ad una mostra del British
Museum.
17.Lady Gaga
Lady Gaga (fig. 140), nome d'arte di Stefani
Joanne Angelina Germanotta, è una cantautrice
statunitense di origine italiana (il padre è
palermitano, la madre di Venezia). Nata a New
York nel 1986, già in tenera età mostrò di
possedere uno spiccato senso artistico. Iniziò a
studiare pianoforte all'età di quattro anni e
compose la sua prima ballata per pianoforte a
tredici. A diciassette anni è stata una delle venti
persone al mondo a ottenere l'ammissione
anticipata alla Tisch School of the Arts presso la
New York University, dove studiò musica. Un vero
prodigio. Per affinare la sua capacità di scrittura,
cominciò a scrivere dei saggi a tema religioso e
questo, come si evince vedendo alcuni dei suoi
videoclip74, ha certamente avuto il suo peso,
scultura) è stata esposta finora al British Museum della
capitale inglese prima di essere messa in vendita dalla nota
casa d’asta Sotheby’s. Il soggetto già di per sé è in grado di
far girare la testa, ma si tratta anche dell’effige in oro più
grande realizzata fin dai tempi dei faraoni, con i suoi dieci
chili di peso totali. Siren Microcosmo rappresenta infatti, per
l’artista, la bellezza ideale del momento.
74
Il videoclip della canzone Alejandro, tratta dal suo secondo
album, ha fatto scalpore in diversi Paesi per l'abuso di
177
insieme all’educazione d’impronta cattolica, sulla
formazione della cantautrice.
Lasciata la casa dei genitori alla ricerca della
propria indipendenza, iniziò ad esibirsi nei club
con gruppi musicali e alle serate open mic (che sta
per “open microphone”, ovvero serate in cui
giovani e meno giovani artisti sconosciuti si
esibiscono cantando o suonando a titolo gratuito,
in locali preposti, per cominciare a esibirsi di
fronte un “vero” pubblico), ma per mantenersi ha
lavorato anche come cameriera e spogliarellista. Il
padre rimase sconvolto quando scoprì che la figlia
era comparsa seminuda in un locale burlesque,
esibendosi al fianco di drag queen e spogliarellisti.
Il suo stile musicale è influenzato dalla musica
pop degli anni ottanta di artisti quali Madonna e
Michael Jackson, e da sonorità (ed estetica) glam
rock di artisti come David Bowie, Grace Jones e i
Queen (dei quali è una grande fan, soprattutto del
frontman Freddie Mercury). Il suo stesso nome è
ispirato ad una celeberrima canzone di
quest'ultimi: Lady Gaga appunto, come Radio Ga
Ga.
riferimenti religiosi e per i suoi contenuti definiti
“sacrileghi”. In particolare, alcune scene ritraggono la
cantante vestita da suora (ma la tonaca è in latex rosso),
nell'atto di ingoiare la collana del rosario o mentre, travestita
da vescovo, fustiga tre docili ballerini con acconciatura
monacale.
178
Nel 2008, dopo aver firmato un contratto con la
Interscope Records, ha debuttato con l'album The
Fame, anticipato dal singolo Just Dance (fig. 141),
che riscosse subito un gran successo.
Contemporaneamente, l’artista sente l’esigenza di
formare un team di collaboratori denominato la
Haus of Gaga75, che produca abiti, accessori e idee
da accompagnare alle incredibili e selvagge
performance della cantante, che tuttavia andando
avanti nel tempo, di album in album, mostra di
avere sempre maggiore ricercatezza nel sound, nei
costumi e nei look. Del 2009 è The Fame Monster:
la ristampa dell’album di debutto con l’aggiunta
otto brani inediti. Mentre nel 2011 esce il terzo
album Born This Way. Con quest’ultimo Lady
Gaga vive un’altra annata d’oro: si pensi che,
complessivamente, nella sua intera carriera ha
75
Il collettivo Haus of Gaga sarà ideatore di performance
multimediali, concentrandosi oltre che sulla musica, sulla
moda e la tecnologia, progettando abiti ma anche scenografie
e oggetti di scena sull’impronta di una mostra/museo
itinerante. Il nome stesso del team, si riferisce più o meno
velatamente al collettivo artistico tedesco della Bauhaus e
all’uso di denominare house quindi case, le grandi maison di
moda. Dunque già nel nome, vi è una commistione tra
musica, arte e moda che sono poi gli aggettivi più consoni a
descrivere l’essenza dello stile della cantautrice. Creativi e
fashion editor facenti parte della Haus sono Nicola
Formichetti e Brandon Maxwell, rispettivamente direttore
artistico/stilista ed assistente; Tara Savelo, Makeup artist;
Frederic Aspiras, Hair stylist; Josh Thomas, creativo; Perry
Meek, designer.
179
vinto 123 premi76 ed ha avuto più di 255
nomination.
Insieme all’ormai assodato talento come
cantautrice (ha scritto anche per altri artisti quali
Britney Spears o Beyonce), un altro elemento
caratterizzante di Lady Gaga è il suo grande amore
per la moda77. Nei suoi videoclip come nella vita
quotidiana, la cantante ha spesso sfoggiato
creazioni d’alta moda di stilisti quali Alexander
McQueen (come non ricordare le sue incredibili
“Armadillo Shoes”) o di Jean-Charles de
Castelbajac che ha creato, per esempio, la pelliccia
di “Kermit la rana” indossata dalla cantante
durante un’intervista per un’emittente tedesca, e
anche due mise (di cui una fatta apposta per Lady
Gaga) per il videoclip Telephone.
Nicola Formichetti, membro della Haus of Gaga
e direttore artistico della maison Thierry Mugler, è
la mente creatrice della maggior parte delle mise
stravaganti della cantante. Uno fra tanti, l’abito
interamente realizzato con fette di vera carne
bovina, outfit (fig. 142) che ha destato non poco
scalpore per la sua spiccata provocatorietà.
Ovviamente, a questo genere di abiti sfrontati non
si possono che accostare ancor più sfrontati make
76
I premi più importanti che ha ricevuto sono: 5 Grammy
Award, 13 MTV Video Music Awards ed 8 MTV Europe
Music Awards.
77
Nel 2011, Lady Gaga è stata premiata dal Council of
Fashion Designers of America col premio Fashion Icon.
180
up. La cantante, infatti, vanta numerose
collaborazioni con importanti make up artist come
Billy B. (che ha ideato anche il look del video Bad
Romance), Linda Cantello (che ha curato la sua
immagine per un servizio fotografico di Mario
Testino, in cui la cantante appare senza veli), Tara
Savelo, Val Garland. Questi, grazie all’apertura
mentale e alla sua predisposizione alle stranezze,
hanno potuto sfoggiare la loro creatività dando vita
a look davvero avanguardisti ed affascinanti
(inevitabilmente soggetti ad incomprensioni). La
loro costante sperimentazione ha prodotto veri e
propri capolavori dell’arte cosmetica, come ad
esempio alcuni look dei videoclip dell’ultimo
album della cantante, o look con i quali è apparsa a
vari eventi78. Particolarmente interessanti sono i
make up dei video Born this way, realizzati da Val
78
Uno fra questi è il look “perlaceo” ideato per lei da
Terence Koh, artista contemporaneo cinese, in occasione
della una performance che hanno recitato insieme (il cui
titolo è 88 pearls) ed in seguito riproposto durante la serata
dell’amfAR a New York per il galà di raccolta fondi per
l’AIDS. Il look prevedeva l’intera superficie corporea,
candida come la neve e abbondantemente cosparsa di cipria
per sembrare quasi “polverosa”. Il trucco occhi è scuro,
grafico e giocato soprattutto sulle ciglia definite e
voluminose. Le labbra sono fucsia acceso, il rossetto usato è
Viva Glam Gaga della MAC, linea di rossetti di cui la
cantante è testimonial insieme alla cantante Cindy Lauper.
Ma il tocco in più è decisamente dato dall’applicazione di
molteplici piccole perle in alcune zone del corpo e del viso.
Come fossero delle barocche incrostazioni madreperlacee.
181
Garland. Ivi la cantante non si accontenta del
trucco “canonico” fatto di polveri e creme,
mascara e rossetti, ma va oltre, si spinge fino alla
trasformazione del corpo attraverso protesi in
lattice (fig. 143) ed effetti “speciali” il cui scopo è
la accentuazione innaturale delle ossa del volto
(zigomi e tempie) e delle spalle (che terminano
grottescamente a punta). Trovo assolutamente
innovativa e degna di nota questa diversa
applicazione di tecniche cosmetiche già in uso da
tempo (in ambito cinematografico e teatrale fino
ad ora) ma con uno scopo differente.
Già con Bad Romance nel 2009 si era percepita
questa volontà di modifica del proprio corpo,
oltrepassando le barriere del trucco. In quel caso le
parti interessate erano gli occhi, innaturalmente
enormi (in quel caso il trucco è stato potenziato da
un successivo ritocco digitale) e le ossa della
colonna vertebrale esageratamente pronunciate
grazie a protesi in lattice.
Un altro esempio è il trucco del video You and I,
dove Gaga compare nel suo alter ego maschile
(ribattezzato Joe Calderone), nei panni di sirena
(con tanto di branchie su viso collo e spalle), in
versione sposa e in un’inedita variante acqua e
sapone.
L’innovazione di Lady Gaga, e forse la sua arma
vincente, sta nella precisa volontà di fondere
insieme diversi campi artistici, facendo si che
questi si contaminino vicendevolmente dando vita
182
a qualcosa di innovativo. Una performance che
non è solo moda o solo trucco o soltanto musica,
ma tutto questo ed anche più: arte, design,
sperimentazione, cultura a 360 gradi.
Tuttavia, Lady Gaga ha anche numerosi detrattori
che la tacciano di essere priva di talento e di
inventiva e di aver soltanto copiato look, stili di
coreografie, tipologie di provocazione e anche
melodie da altre cantanti, una su tutte: Madonna.
Addirittura c’è chi ha realizzato dei video79, poi
pubblicati in rete, montando spezzoni di video e
performance dell’una e dell’altra artista e
comparandole. Effettivamente, pur non trattandosi
di una prova, la cosa fa storcere il naso.
Personalmente non credo che ad oggi si possa
pensare di realizzare qualcosa di assolutamente e
nettamente innovativo. Qualcosa che non sia mai e
dico mai già stato fatto in precedenza seppur in
forma embrionale.
Credo che, anche a causa della globalizzazione, il
rischio di essere giudicati come un ruba-idee sia
perennemente in agguato, e che, anziché
soffermarsi all’apparenza, bisognerebbe studiare i
casi in maniera più approfondita ed obiettiva. Lady
Gaga, è un personaggio multi sfaccettato (fig. 144147). Al suo “interno” albergano molteplici figure,
forse anche antitetiche tra loro, ed è chiaro che con
una tale varietà possa esserci la possibilità di
79
www.youtube.com/watch?v=VNlx2MCijMM&NR=1&feature=fv
wp.
183
trovare delle citazioni di altrui lavori: lei è a suo
modo innovativa perché ha condensato tutto questo
convogliandolo in una unica direzione e sempre
con una sua personale rilettura.
«Live your eyeliner, breathe your lipstick, and kill for
each other.»80
Con questo non si vuol fare un’arringa in sua
difesa, ma dissociarsi dalla convinzione secondo
cui, ancora nel XXI secolo, possa valere un arcaico
e obsoleto concetto di innovazione od originalità.
Lady Gaga a mio avviso (e non solo) è una brava
cantautrice, performer e grande intenditrice di
moda; si diverte a suscitare polemiche come
Madonna si, ma anche come fecero tanti altri
personaggi ancor prima di Madonna stessa. E
comunque, se non altro, è indubbiamente una delle
artiste più creative in fatto di make up, ed è per tal
motivo che chiude la mia personale rassegna di
icone del ‘900. Del resto, non si vede tutti i giorni
una donna con gli occhi in stile fumetto manga, o
con l’intimo indossato sopra i vestiti o interamente
ricoperta di pizzo rosso (viso compreso).
80
Scritto dalla cantante sul proprio account Twitter.
Tradotto: «Vivi il tuo eyeliner, respira il tuo rossetto ed
uccidi per entrambi.»
184
185
186
Capitolo III. Case cosmetiche e make up
artists: una rassegna
1. Max Factor
Maksymilian Faktorowicz (1872-1938), meglio
conosciuto come Max Factor (fig. 1), fu uno dei
più grandi truccatori e parrucchieri del XX secolo.
Entrò in contatto con il mondo beauty fin
dall’adolescenza: dapprima lavorò in un
laboratorio di parrucche e successivamente presso
l’Opera Imperiale russa, dove si rivelò il suo
talento nell’eseguire magistrali truccature (in quel
caso teatrali). Per un periodo fu perfino il
parrucchiere e truccatore personale dello zar
Nicola II; tuttavia dopo dieci anni a corte, anelò la
libertà da quello che si era rivelato un privilegio
eccessivamente oneroso, e così nel 1904 con un
escamotage fuggì negli Stati Uniti d’America dove
aprì una bottega di profumi, belletti e parrucche.
Dopo solo cinque anni però, incuriosito dalla
novità del cinematografo, si trasferì a Hollywood e
nel 1909 fondò la Max Factor&co. Da allora il
make up e le sue regole mutarono
irreversibilmente: l’esperienza e le abilità
professionali di Factor lo portarono ad avere una
geniale intuizione: concepire dei cosmetici studiati
appositamente per le esigenze cinematografiche e
187
affinarli per raggiungere standard qualitativi
sempre più alti.
Il primo ad essere oggetto di rivoluzione fu il
cerone teatrale. Questo non si prestava per il
cinematografo e dunque la sua formulazione e
composizione fui revisionata dando luce ad un
nuovo cerone in crema (usato con successo per la
prima volta nel 1914); in seguito, alla linea
Panchromatic (sviluppata nel 1928) che permise
per la prima volta di sfruttare appieno i vantaggi
cromatici della nuova pellicola, maggiormente
sensibile rispetto alla tipologia precedente.
Apportò novità anche per ciò che concerne
l’acconciatura dei capelli; fu lui, infatti, ad
insistere per sostituire le vecchie parrucche di lana
e fibre vegetali con delle nuove finemente
realizzate in capelli umani, mettendo a punto
inoltre, un sistema di noleggio per ammortizzarne i
costi elevati. Parallelamente allo studio e al
perfezionamento di prodotti professionali specifici
per il mondo dello spettacolo, il maestro del make
up, realizzava anche dei kit di cosmetici destinati
alla grande distribuzione. Uno fra questi si
chiamava “Society Make Up” ed era un set
composto da rossetto, cipria e blush, venduti
secondo la tipologia cromatica della cliente (figg.
2-3). L’idea del trucco personalizzato fu vincente,
e nel 1932 lo portò a creare il “calibro della
bellezza” (fig. 4), una sorta di casco metallico
composto da meridiani e paralleli che avrebbe
188
misurato la volumetria del volto, valutandone
l’armonia in base alle proporzioni del “viso
perfetto”, rendendo così più efficace e rapida
l’eventuale successiva correzione attraverso il
trucco.
Il 1935 fu un anno fondamentale per la storia
della cosmetica. L’introduzione del colore nel
cinema creò non pochi problemi ai truccatori,
poiché il volto degli attori, truccato con i cosmetici
del tempo, virava al verde o al rosso (con risultati
ovviamente pessimi). Dopo mesi di ricerche,
Factor trovò la soluzione nel Pan-Cake (fig. 5): un
cosmetico solido in cialda rotonda, da applicare
con una spugnetta inumidita: sulla pelle aveva un
finish naturale pur assicurando un ottima coprenza.
Questo cosmetico innovativo fu in breve tempo
commercializzato e divenne il prodotto di punta
dell’azienda; addirittura, vennero formulate
appositamente
delle
tonalità
adatte
per
mimetizzare i volti dei soldati durante le escursioni
notturne o nella giungla. Ma il prezioso intervento
di Max Factor non si limitò alla formulazione dei
cosmetici: egli ebbe degli autentici lampi di genio
che fecero non solo la fama delle star di
Hollywood1, ma che mutarono per sempre la
1
Erano i cosmetici che creavano l’immagine attraente e
“perfetta” delle star. La gente comune (ignara dello studio
che stava dietro la truccatura di ogni volto) credeva che il
segreto della bellezza stesse unicamente nel prodotto
cosmetico, e dunque correva ad acquistarlo cedendo alla
189
concezione del make up2 e che scrissero la storia
della cosmetica del Novecento.
Nacque infatti da un’idea di Factor lo stile di
labbra che impazzava nel primo quarto di secolo:
lo stile a “puntura di vespa”. Questo look ebbe
origine dall’esigenza di risolvere un problema di
tenuta del rossetto. La pomata per labbra che si
usava ai tempi, con il calore delle luci dello studio
colava agli angoli della bocca macchiando il
cerone. Il visagista ebbe l’idea di concentrare la
macchia di colore solo al centro delle labbra,
creando così uno stile in primis funzionale e molto
apprezzato per la sua sensualità e pertinenza con lo
spirito audace dell’epoca. Sempre in tema di
rossetto, Factor fu anche la mente che concepì le
famose labbra di Joan Crawford: egli infatti ne
tracciò il contorno (ad arco di cacciatore)
sbordando oltre i suoi limiti naturali. Un altro
“marchio di fabbrica” che porta la sua firma è la
famosa chioma biondo platino di Jean Harlow,
ossigenata su suo consiglio. In ultimo, quasi a
rappresentare un trait d’union tra il maquillage e
l’arte delle parrucche, creò le ciglia finte;
realizzate per rendere fatale il dolce sguardo
dell’attrice Phillys Haver e, in seguito, apprezzate
e richieste da tutte le altre stelle del cinema.
vanità e al desiderio di somigliare anche in minima parte alle
stelle del cinema.
2
La stessa introduzione della parola make up come
sostantivo fu un’idea del truccatore!
190
Quando nel 1935, aprì il Make up Salon a Los
Angeles, la bellezza hollywoodiana divenne alla
portata di quasi tutte le donne, e Max Factor era
già diventato una leggenda.
2. Helena Rubinstein
Chaja Rubinstein (Cracovia 1870 - New York
1965), meglio nota come Helena Rubinstein (fig.
6) fu una magnate dell’industria cosmetica. All’età
di ventisei anni si trasferì in Australia presso una
zia, portando con sé una riserva di barattoli della
Krakow cream la crema usata da sua madre per
proteggersi dal sole, la cui ricetta era ed è ancora
segreta. Tuttavia, una volta trasferitasi, iniziò a
vendere questo suo preparato cosmetico
riscuotendo un certo successo, poiché esso era
pensato per evitare l’inaridimento della pelle
durante l’esposizione al sole: un problema
evidentemente presente nell’assolata Melbourne.
Invogliata da questo riscontro, seguì con interesse
e buoni risultati un corso per la cura della pelle e in
seguito, quando fu raggiunta da una delle sette
sorelle, Helena studiò presso i migliori
dermatologi europei ed inaugurò nel 1903 il suo
primo salone di bellezza (fig. 7). A quel tempo
(1906) ebbe già delle acute intuizioni, come ad
esempio pubblicizzare i propri prodotti
dichiarando che al loro interno non vi erano
191
ingredienti potenzialmente pericolosi per la salute
come il gesso, il piombo ed il bismuto, per ciò che
concerne le ciprie.
Allo scoppiare della Prima Guerra Mondiale si
spostò con il primo marito Edward Titus a New
York, dove nel 1915 aprì un altro salone di
bellezza3, che fu il precursore di una catena di
negozi sparsi in tutti gli Stati Uniti (altri punti
vendita erano in Nuova Zelanda, Londra, Parigi,
Sydney ed ovviamente il primo a Melbourne).
Questo fu anche l'inizio della serrata rivalità con
un’altra signora della cosmetica: Elizabeth Arden
(v. infra, cap. III, § 3) anche lei proprietaria di un
salone di bellezza nella Fifth Avenue.
Entrambe furono scalatrici sociali e milionarie
self-made, in un periodo storico in cui le donne
non avevano neanche il diritto di voto: le loro
storie incarnavano il tipico sogno americano e
furono entrambe pioniere del branding4.
3
E' interessante notare come i suoi esclusivi saloni di
bellezza, dall’assetto stilistico tipico modernista, riuscissero a
ricreare un’atmosfera confortevole, unendo i concetti di
atelier di moda, galleria d’arte ed ambiente quasi domestico,
abbattendo ogni confine concettuale del tempo e
proponendosi in modo assolutamente avanguardista.
4
Helena Rubinstein ed Elizabeth Arden erano consapevoli di
quanto fosse fondamentale l’attenta ideazione di una valida
strategia di marketing: questa comprendeva alcuni concetti
incredibilmente attuali come la raffinatezza del packaging,
l'aspetto impeccabile delle estetiste dei saloni con uniformi
sempre linde, l’influenza di importanti testimonial e, infine,
la tanto decantata ricerca di laboratorio che si presentava
192
Verso la fine del 1931 Helena Rubinstein annunciò
di essere appena rientrata da Parigi5 per presentare
personalmente i nuovi preparati a base di ormoni
(fig. 8) per il ringiovanimento della pelle,
invitando la clientela a recarsi presso il salone per
provare ed avere maggiori delucidazioni sull'uso di
questi prodotti innovativi. In particolare la crema
Hormone Twin Youthifiers che consisteva in una
coppia di unguenti: Twin 1 per il giorno,Twin 2 per
la notte.
«Due creme biologiche uniche. Le Hormone Twins
Youthifiers forniscono in forma assimilabile gli
ormoni della giovinezza: stimolatori della crescita di
nuove e giovani cellule epiteliali. Con queste due
creme sono stati raggiunti i risultati più sorprendenti
nel campo della “bellezza ricreata”. Per le linee
d'espressione, le rughe, lo stress degli agenti
atmosferici e l'invecchiamento cutaneo le creme
Hormone Twins danno i risultati più gratificanti,
ricostruendo i tessuti disidratati e denutriti,
correggendo rughe, zampe di gallina, colorito
giallastro e rivitalizzando la pelle. Per la pelle più
come una pseudo-scienza della cura della pelle. Dunque, in
quanto “scienza”, faceva scattare un meccanismo di fiducia
nel prodotto, sottointendendo efficacia provata, sicurezza e
garantendone la qualità (se non altro, nella mente delle
consumatrici).
5
Durante la sua permanenza a Parigi entrò in contatto con
vari artisti e divenne amica e mecenate di Henri Matisse,
Salvador Dalì, Raoul Dufy e Jean Cocteau. Addirittura,
commissionò a Salvador Dalì la progettazione di una cipria,
sul cui packaging campeggiava un ritratto della magnate.
193
giovane usurata precocemente, stanca e che soffre la
tensione nervosa la crema Hormon Twins Youthifiers,
è un rapido corroborante, che permette di risolvere i
difetti minori mantenendo la pelle vibrante di
giovinezza, squisitamente chiara e sempre al culmine
della sua giovanile perfezione! Ogni crema deve
essere usata singolarmente, la crema da giorno è un
rapido trattamento ringiovanente mentre la crema da
notte, particolarmente nutriente, stimola il processo di
rinnovamento cellulare. Insieme le creme, lavorano
indipendentemente ma in armonia, per far rivivere la
bellezza della vostra pelle, correggere ogni difetto, e
sviluppare una bellezza nuova e duratura.»6
Nel 1937 divorziò dal primo marito, con cui ebbe
un matrimonio decennale piuttosto agitato, e l'anno
successivo sposò il principe georgiano Artchil
Gourielli-Tchkonia, da cui “prese” il nome per la
sua prima linea di cosmetici maschili (lanciata nel
1943) e per il primo salone di bellezza dedicato
agli uomini, aperto nel 1948.
Nel 1957 lanciò il Mascara-matic, primo mascara
in tubetto con l'odierno applicatore a scovolino;
mentre due anni dopo, nel 1961, introdusse il
“Giorno della Bellezza”7, una trovata pubblicitaria
6
Dalla brochure Helena Rubinstein della crema Hormone
Twins youthifiers, del 1932.
7
Si trattava si di un evento pubblicitario, ma anche di una
giornata incentrata sulla cura della persona. All'interno dei
saloni aziendali, personale sempre impeccabile ed addestrato
insegnava alle clienti l'arte della cura della pelle, mettendo
anche a punto delle skincare routine su misura per ogni
cliente.
194
che ebbe grande successo. Nel 1959 partì alla volta
di Mosca, dove rappresentò ufficialmente
l'industria cosmetica degli Stati Uniti presso la
American National Exhibition, nella cui
organizzazione fu sempre coinvolta, anche quando
il suo stato di salute non era dei migliori.
La sua filantropia, il supporto materiale per
Israele8 e la sua continua ricerca volta alla
valorizzazione dell'aspetto (figg. 9-10) e della
bellezza, verranno ricordati a lungo, così come una
delle sue più famose citazioni (forse anche la più
“rincuorante”):
« There are no ugly women, only lazy ones.»9.
8
Helena fu sempre molto preoccupata ed interessata al
benessere di Israele. Molto generosa con i contributi
monetari, fondò l’Helena Rubinstein Pavilion of
Contemporary Art a Tel Aviv, dove è esposta la sua
collezione di stanze in miniatura. Una passione nata durante
l’infanzia che perdurò per tutta la vita, portandola a
collezionare svariate stanze in miniatura in cui gli arredi e le
suppellettili, di rara bellezza, erano finemente realizzati in
avorio, argento, cristallo, mogano, peltro etc. Inoltre, la
fondazione Helena Rubinstein (creata nel 1953) si occupò di
sostenere la American Israel Cultural Foundation e di
assegnare borse di studio per i giovani israeliani, oltre che
del monitoraggio dei fondi destinati ad organizzazioni che si
occupavano di salute, di ricerca medica e riabilitazione.
9
GREEN PENELOPE. The Rivals, «New York Times», 15
Febbraio 2004. Traduzione: “Non esistono donne brutte, solo
donne pigre”.
195
3.Elizabeth Arden
La donna dietro una delle più importanti case di
cosmetica del secolo si chiamava in realtà Florence
Nightingale Graham (fig. 11), e nacque nel 1884 in
una famiglia canadese grande ma povera. Il suo
amore per la cura del corpo e per la bellezza si
manifestò quando era ancora giovane e la portò,
all’età di 26 anni, a trasferirsi a New York. Lì
Florence si sentì ben presto sufficientemente sicura
per entrare da sola nel mondo degli affari, ma
senza fondi bastevoli a finanziare il suo progetto.
Dunque stipulò nel 1909 una partnership con
Elizabeth Hubbard e le due donne aprirono un
salone di bellezza sulla Fifth Avenue. Quando la
partnership si ruppe, Florence decise di continuare
da sola e coniò il nome d'arte Elizabeth Arden
(“Elizabeth” nome lo prese “in prestito” dalla sua
ex socia mentre “Arden” derivava dal poema
Enoch Arden di Alfred Tennyson).
Le creme da viso che realizzava a quel tempo
erano però grezze, untuose e pesanti. Così nel 1914
Elizabeth assunse un chimico, A. Fabian Swanson,
per formulare una crema soffice e leggera ed una
lozione astringente: rispettivamente la Venetian
Cream Amoretta e la Arden Skin Tonic, che ebbero
subito un gran riscontro. Sempre in quell'anno
Elizabeth si recò a Parigi, dove apprese le più
sofisticate tecniche locali riguardanti trucco e
196
bellezza, e le portò con sé negli USA insieme ad
uno stock di prodotti cosmetici da far provare alle
proprie clienti. Nonostante le donne del tempo
fossero ancora piuttosto restie a far uso di trucco,
considerato volgare, gradualmente, con passione e
tenacia, Elizabeth Arden riuscì a convertirle ed il
suo Arden's eye makeup (fig. 12) fu il primo
belletto per occhi ad essere usato negli Stati Uniti
(l'uso dei cosmetici e il portare i capelli corti erano
forti segnali di emancipazione). Dal laboratorio del
suo salone (con la caratteristica porta rossa10) si
mise a concorrere con i farmacisti locali (originari
detentori dei segreti di bellezza), e pian piano
coltivò con cura un’affezionata clientela d'élite. Fu
inoltre la prima a padroneggiare l'arte del
packaging (fig. 13) intuendo il suo potenziale
come mezzo per trasmettere qualità e lusso.
Quando negli anni '20 la ditta aumentò
drasticamente la produzione e la distribuzione,
Arden si rivelò un autentica pioniera della
pubblicità e del marketing11. Fu lei a sviluppare
per prima il concetto di “total beauty” – che
10
La stessa porta rossa che contraddistinse il salone rispetto
al grigiore della città, che campeggia sottoforma di logo sui
prodotti dell’azienda e che ha anche ispirato il nome e la
boccetta del celeberrimo profumo “Red door” uscito
successivamente alla morte della fondatrice.
11
Elizabeth Arden fu anche il primo brand ad essere
pubblicizzato nell'industria cinematografica, e durante la
seconda guerra mondiale sviluppò un rossetto coordinato
cromaticamente alle uniformi delle donne nelle forze armate.
197
prevedeva la collaborazione, all'interno del suo
salone, con un prestigioso parrucchiere ed una
modista (in seguito vi fu aggiunto anche un reparto
che vendeva abbigliamento) – e l’idea del “total
look” (fig. 14), ossia labbra, guance ed unghie
coordinate nello stesso colore. Successivamente,
saloni di bellezza e anche Spa (la prima fu aperta
nel 1934 nel Maine e si chiamava Maine Chance)
Elizabeth Arden aprirono in ogni parte del mondo,
vendendo centinaia di prodotti oltre a cosmetici e
trattamenti di bellezza, tra cui saponi, sali da bagno
e perfino dentifrici e profumi per ogni momento
della giornata. Fin dagli albori della carriera, e per
tutto il '900, i prodotti di Elizabeth Arden furono
sempre all'avanguardia rispetto ai tempi. Tra le
varie innovazioni apportate alla cosmesi del '900
ricordiamo la tecnologia delle ceramidi12 ed il loro
confezionamento in capsule, l’ Illuminating Skin
Complex13, il peeling fai da te14 e la crema “Eight
hour”15.
12
Le ceramidi fanno parte dei lipidi intercellulari naturali
della nostra pelle ed aiutano a prevenire la perdita di umidità
(la secchezza è la prima causa d’invecchiamento cutaneo),
impedendo anche le aggressioni di fattori esterni come smog,
sbalzi di temperatura e altri tipi di shock. Arden aprì la strada
alla scoperta delle ceramidi e divenne la prima azienda
cosmetica a sperimentare questa nuova bio-tecnologia.
13
Nei primi anni '90 si parlava sovente di prodotti anti-età,
idratanti, e rassodanti. Ma nessuno aveva ancora introdotto il
concetto di pelle radiosa e visibilmente sana. Arden fece
un'indagine di mercato, chiedendo alle consumatrici che
198
Come riconoscimento per i suoi contributi
nell'industria dei cosmetici (fig. 15), nel 1962
Elizabeth Arden fu insignita della Légion
d'honneur dal governo francese e continuò ad
genere di risultati avrebbero voluto dalla loro pelle. La
maggior parte rispose che desiderava una pelle radiosa e sana
anche senza l'uso del trucco. Con questo obiettivo in mente
l'azienda scoprì una tipologia di vitamina A, il Retinyl
Linoleate, che regalava l'aspetto sano tanto desiderato, e la
inserì tra i suoi prodotti lanciando sul mercato la linea Skin
Illuminating Complex. Inutile sottolineare come ancora una
volta la filosofia dell'azienda si rivelò avanzata e moderna e
come il prodotto ebbe un successo planetario.
14
Durante gli anni '80 impazzò la mania per i trattamenti
esfolianti. In principio erano eseguiti da medici e personale
qualificato, per l'alto contenuto di acidi alfa-idrossilici.
Arden introdusse “Peel and Reveal”, un trattamento peeling
da fare a casa propria che esfoliava la pelle senza irritarla.
Ciò era possibile grazie alla presenza dell'acido glicolico e di
una formulazione simile alle zollette di zucchero che,
sciogliendosi a contatto con la pelle, rilasciava le particelle
esfolianti in modo graduale e delicato.
15
Non è un caso che tutt'ora sia un cult ed una delle creme
favorite tra makup artist e celebrità. Questa crema, lanciata
nel 1935, fu il primo prodotto di bellezza a contenere acido
salicilico (ingrediente delicatamente esfoliante) e la prima ad
essere una sorta di all-over. Ciò vuol dire che poteva essere
utilizzata indistintamente come crema viso, come balsamo
per labbra, per lenire arrossamenti cutanei e scottature solari,
come idratante per mani e piedi e, infine, anche per pettinare
e fissare le sopracciglia. Il nome “Otto ore” derivò da un
consumatore che applicò la crema sulla pelle screpolata del
figlio, dichiarando poi la sua completa “guarigione” in otto
ore. Ancora oggi non c'è sul mercato una crema così richiesta
e affermata come la “8 Hour Cream”.
199
essere una magnate dell'industria cosmetica fino
alla sua morte, avvenuta all'età di 82 anni.
Elizabeth Arden ebbe senza dubbio una vita
affascinante e, da donna all'avanguardia e di
grande raffinatezza qual'era, è riuscita ad apportare
un enorme contributo all'evoluzione della ricerca
cosmetica, nonché all'approccio da parte delle
donne al trucco, in un epoca di riluttanza e
transizione.
4. Maybelline
Nel 1915 Thomas Lyle Williams (1896-1976)
(fig.16) notò la sorella Mabel correggere le sue
sopracciglia bruciacchiate (a causa di un incidente
domestico) con una miscela di vaselina, cenere e
polvere di carbone (un trucco che a quanto pare
aveva letto sulla rivista «Photoplay») e pensò
immediatamente di poterne desumere un prodotto
da commercializzare. Utilizzando un set da
chimico, provò a miscelare insieme vaselina,
nerofumo, olio di semi di cotone e olio di cartamo,
ma sfortunatamente quando lo fece provare alla
sorella, la miscela si rivelò altamente irritante e le
provocò un fortissimo bruciore agli occhi.
Imperterrito, Tom Lyle chiese un parere
professionale
al
droghiere
Park-Davis,
commissionandogli un prodotto per ciglia adatto
alla vendita. Il risultato fu una crema profumata
costituita da vaselina bianca raffinata, allungata
200
con diversi oli per apportare ad essa ulteriore
lucentezza. In sostanza il prodotto non era
colorante, ma applicato sulle ciglia sembrava
"illuminare gli occhi"16. Chiamò questo prodotto
Lash-Brow-Ine (fig. 17) e, confezionandolo in
piccoli contenitori di alluminio (un formato grande
e uno un po’ più piccolo che costava 50 centesimi
di dollaro), cominciò a venderlo per
corrispondenza. Con l'aiuto economico del fratello
Noel, Tom Lyle nel 1916 mise un annuncio
pubblicitario del Lash-Brow-Ine su «Photoplay»,
ed in seguito in altre riviste come «Pictorial
Review», «Deliniator», ed il «Saturday Evening
Post» dando sempre maggiore visibilità al
prodotto17.
«Prendete un po’ di LASH-BROW-INE sulla punta
del dito e strofinatelo delicatamente su ciglia e
sopracciglia, sfregandolo nella direzione di crescita
del pelo. Assicuratevi di strofinare bene le radici,
quindi prendete un panno morbido e pulite intorno le
sopracciglia e ciglia, lasciando il "LASH-BROWINE" solo se si desidera incentivare la crescita dei
peli. Per ottenere i migliori risultati, si consiglia di
tagliare le punte delle ciglia ogni due mesi. Il taglio
deve essere effettuato da un'altra persona ed usando le
forbici da manicure piccole, in modo che si tagli solo
16
WILLIAMS SHARRIE, YOUNGS BETTIE, ALAN RAGLAND,
The Maybelline story and the spirited family dynasty behind
it, Bettie Youngs Books Publishing, Florida, 2010, p.22.
17
EADEM, p.25
201
ed esclusivamente l'estremità del pelo. Le sopracciglia
invece non devono essere mai tagliate.»18
Dopo il successo del Lash-Brow-Ine, Tom Lyle
commissionò a Park-Davis la produzione di altri
prodotti: ad esempio la Odor-Ine Toilet Lotion (un
deodorante), la Coloring Maybell (una tinta per
sopracciglia e ciglia), la cipria Lily of the Valley e
la crema di bellezza Maybell, ma anche rouge e
rossetti. Tuttavia, nessuno di questi prodotti fruttò
grandi guadagni alla azienda e furono presto
eliminati dalla gamma. Nel 1917 avvenne la
svolta: i laboratori Maybell cominciarono a
fabbricare un prodotto per le ciglia in cialda, che si
“attivava” bagnando con dell'acqua l'apposita
spazzolina e frizionandola leggermente sulla
superficie della cialda stessa. Questo prodotto fu
noto come "Mascaro" ed in seguito fu chiamato
solamente Maybelline (nome coniato dall'unione
del nome della sorella "mabel", con la parola
"vaseline"). Era disponibile in due tonalità, nero
(contenente nerofumo) e marrone (contenente
ossidi di ferro) e fu commercializzato in una
piccola scatola di cartone (fig. 18) che
comprendeva un blocco rettangolare di prodotto
stampigliato con il nome Maybelline (è sotto
questo nome che l’azienda ha raggiunto il suo
status ormai leggendario nel campo della cosmesi),
18
Da un Lash-Brow-Ine pamphlet dell’epoca. Traduzione
dell’autrice.
202
uno spazzolino e perfino un piccolo specchio
attaccato all'interno del coperchio.
Maybelline è stato il primo vero mascara negli
Stati Uniti d’America. Il segreto del suo successo è
stato di vendere il prodotto ad un prezzo
accessibile a tutti. La pubblicità continuò a
svolgere un ruolo chiave nella diffusione
dell'azienda; si pensi che Tom Lyle spese oltre un
milione di dollari19 in pubblicità (fig. 19) tra il
1915 e il 1929.
«A woman's most powerful possession is a man's
imagination.»20
Tom Lyle Williams
Nel 1929 la gamma di prodotti si espanse
ulteriormente e furono lanciate le matite per
sopracciglia (in due tonalità, nero e marrone) e
ombretti di varie colorazioni: blu, nero, marrone e
verde, mentre il viola fu aggiunto l’anno seguente.
Gli inizi degli anni ’30 furono un periodo difficile
per l’azienda, ma il suo fondatore, con coraggio,
determinazione e spirito di sacrificio riuscì a venir
fuori dalle avversità. I problemi principali erano
legati alle difficoltà economiche generali causate
dalla Grande Depressione; inoltre, il campo della
cosmesi era stato “attaccato” dai media, e dunque
19
WILLIAMS 2010, op. cit., p.99.
Cfr. http://suite101.com/article/the-maybelline-familydynasty-and-the-beginning-of-mascara-a305143.
20
203
penalizzato, a causa della sua associazione con le
flapper e con atteggiamenti e stili di vita ritenuti
immorali e scandalosi dall’opinione comune. Ciò
nonostante, il 1930 fu anche un anno di espansione
per l’azienda, che si ampliò includendo nel suo
circuito di vendita il Canada e l’Europa e, dopo la
Seconda Guerra Mondiale, perfino il Sud America,
diventando così un marchio rinomato a livello
globale.
L'utilizzo di star del cinema per pubblicizzare i
propri prodotti, fu sempre una strategia
pubblicitaria vincente, ma Maybelline, con astuzia
e intelligenza introdusse nelle sue promozioni il
cosiddetto Before and After (figg. 20-21), ovvero
gli scatti delle modelle prima e dopo la sessione di
trucco. Si trattava di un approccio decisamente
convincente!
Nel 1958, dopo l'introduzione da parte di Helena
Rubinstein del Mascara-matic, Maybelline,
immise sul mercato il Mascara Magic, con un
innovativo scovolino a spirale che consentiva una
migliore applicazione del prodotto. Venne
introdotto anche un eyeliner, delle matite per
sopracciglia e degli ombretti in stick che si autotemperavano (fig. 22). Nel 1963 fu poi la volta del
mascara Ultra-Lash, seguito da una linea di
prodotti corredata: Ultra-Brow, Ultra-Line ed
Ultra-Shadow (fig. 23). Nella seconda metà degli
anni '70, Maybelline ebbe un picco nelle vendite
grazie alla testimonial d'eccezione Lynda Carter,
204
che con la fama derivata dalla fortunata serie
Wonder Woman, fece impennare le vendite della
casa cosmetica (fig. 24).
Tom Lyle Williams si è affermato nel corso del
'900 come re indiscusso del mascara: ha superato
momenti di forte crisi e cali delle vendite, ma ha
sempre saputo come risollevarsi. Il suo enorme
merito è quello di aver creato un cosmetico che,
come tutte le donne sanno, è basilare nella
trasformazione dello sguardo e indispensabile per
il completamento del look (è talmente importante
ed incisivo, che anche da solo può fare la
differenza!) ed è per questo che ancora oggi il
marchio Maybelline è sinonimo di qualità e
convenienza.
«Maybe She's Born With It. Maybe It's Maybelline»21
5. Revlon
Quando Elka, la società cosmetica in cui prestava
servizio, non lo promosse alla posizione di
distributore nazionale, Charles Revson (19061975) decise coraggiosamente di avviare un'attività
tutta sua nel bel mezzo della Grande Depressione.
21
Slogan pubblicitario adottato dal marchio nel 1991.
Tradotto: «Forse lei è nata così. Forse è Maybelline.»
205
Con grande “dispiacere” delle due regine della
cosmetica (Arden e Rubinstein), l'azienda Revlon
fu fondata nel 1932 da Charles Revson (fig. 25),
dal fratello Joseph e dal chimico Charles Lachman,
per cui fu inserita la lettera “L”, cambiando
“revson” in “revlon”. A partire dal 1932, l'azienda
si specializzò nella produzione di smalti per
unghie, sviluppando un nuovo processo produttivo
che prevedeva l'uso di pigmenti al posto delle
vernici come base per i colori; fu quindi in grado
di offrire una gamma di tonalità mai viste prima (si
pensi che a quei tempi l'unico smalto disponibile
era in tre gradazioni: chiara, media e scura, ed
aveva più che altro una funzione lucidante
piuttosto che tingente). Revson intuì che le donne
avrebbero accolto favorevolmente una così ampia
scelta cromatica che comprendeva rosa, coralli e,
naturalmente, i fiammeggianti rossi (fig. 26), e che
avrebbero reso l'azienda famosa in tutto il mondo.
In poco tempo il suo brand spopolò sia tra le star
che tra le donne comuni (soprattutto quando i
prodotti del marchio furono commercializzati
anche nei grandi magazzini, oltre che nei saloni di
bellezza), e Revson fu da subito riconosciuto come
un trendsetter nel mondo della cosmesi e
dell'igiene personale. Suo il merito di assimilare
moda e cosmetica, immettendo periodicamente sul
mercato nuove collezioni di make up dai nomi e
colori sempre diversi, contemporaneamente dando
luogo a nuovi trend.
206
Noto per il carattere duro e severo, per lo spiccato
senso estetico, ereditato dal background familiare,
e per essere estremamente perfezionista, Charles
Revson fu un autentico genio nel capire “cosa
desideravano le donne” e si preoccupò fin dagli
albori di sviluppare in tal senso una consolidata
reputazione.
Questa
combinazione
di
caratteristiche rese la Revlon una delle più
rinomate case cosmetiche, dal fatturato di miliardi
di dollari ed in grado di riscuotere tuttora, un
enorme successo su scala globale. La missione
dell’azienda era di fornire positività e glamour,
efficacia ed innovazione, attraverso prodotti di
qualità ma sempre a prezzi accessibili, e questa si
rivelò indubbiamente una scelta azzeccata.
« In the factory we make cosmetics. In the store, we
sell hope.»22
Charles Revson
Il fondatore della Revlon, divenne famoso anche
per l'introduzione di una particolare tendenza
beauty (abitudine che forse oggi riteniamo
“scontata”), ovvero il raffinato abbinamento del
rossetto con lo smalto: leggenda vuole che l'idea di
abbinare rossetto e smalto sia nata nel 1939 al
22
WARREN PLUNKETT, ATTNER RAYMOND, ALLEN GEMMY,
Management meeting and exceeding customer expectations,
South Western publications, Ohio, 2011, p. 89. Traduzione:
«Nella fabbrica produciamo cosmetici. Nel negozio,
vendiamo la speranza.»
207
tavolo di un ristorante di New York quando,
osservando una donna portare elegantemente alle
labbra un tovagliolo, C. Rewson notò la distonia
fra il colore delle labbra e delle unghie e pensò che
le donne più sofisticate, se ne avessero avuto la
possibilità, avrebbero scelto colori coordinati di
rossetto e smalto. Fu così che coniò lo slogan
«Matching Lips and fingertips!», un concetto che
cambiò anche il modo di vestire delle donne
americane (seguite a ruota dal resto delle donne nel
mondo).
D’allora
in
poi
esse
fecero
dell'accoppiamento rossetto/smalto un accessorio
di moda più che un cosmetico. Nel corso degli anni
furono lanciati sul mercato una serie di set
composti da rossetto e smalto coordinati (fig. 27),
corredati da un packaging in pendant con i colori,
il mood ed il nome del prodotto. Ciò ben presto
diventò uno dei best seller dell’azienda. Revson fu
anche molto abile nella pubblicità dei suoi
cosmetici: perpetrata con il coinvolgimento di
famose star e attraverso l’uso di slogan d’impatto e
grafiche accattivanti (per quanto riguarda la
pubblicità delle riviste patinate), si pensi ad
esempio al rossetto cult del marchio, il lipstick
effetto lucido “Cherries in the Snow” (fig. 28),
lanciato nel 1953, con Dorian Leigh come
testimonial, che è ancora oggi tra i primi dieci best
seller dell'azienda.
Ma non furono solamente smalti e rossetti ad
essere amati dalla popolazione femminile. Tra i
208
prodotti della casa cosmetica vi erano anche creme
idratanti, lacche per capelli (fig. 29), fondotinta
liquidi uniformanti ed illuminanti, detergenti per il
viso (ad esempio il Clean & Clear – fig. 30),
ombretti e cosmetici per gli occhi in colori
coordinati, tinte per capelli23, Cheek-stick (ossia
fard in stick), talchi in varie profumazioni24 e varie
eau de parfum, come ad esempio la rinomata
fragranza Charlie, simbolo della libertà femminile
e del fermento giovanile degli anni ’50 e ’60.
Revson, a dispetto del suo carattere rude, fu
anche un filantropo: nel 1956, istituì la Charles H.
Revson Foundation, un’associazione che si
occupava di finanziare la costruzione di scuole,
ospedali, ed altre organizzazioni che erogavano
servizi per la comunità ebraica.
6. Shu Uemura
23
Esisteva una tintura semipermanente chiamata Color up
cream tinting rinse (fig. 31). Essa si presentava in un pratico
contenitore a tubetto e prometteva di coprire in dieci minuti
di posa i capelli bianchi, donando riflessi dall’aspetto
naturale. Non conteneva creme ossigenanti e sarebbe andata
via del tutto nel giro di qualche shampoo, come le tinte
semipermanenti attuali.
24
Uno di questi è ad esempio il talco Intimate: si trattava di
un talco arricchito con lanolina e con la stessa profumazione
dell’eau de parfum “Intimate”. Fu introdotto sul mercato nel
1955 e per molto tempo fu un best seller.
209
Shu Uemura (1928-2007) è stato un eccelso
truccatore giapponese, fondatore dell'omonima
linea di cosmetici professionali, nonché uno dei
primi make up artist asiatici divenuto famoso
nell'area occidentale grazie ad un approccio
totalmente inedito.
Nativo di Tokyo, Shu Uemura (fig. 32) si
appassionò da adolescente al mondo del trucco e
dell'hairstyling, quando per un lungo periodo di
tempo fu costretto a letto da una grave malattia.
Una volta guarito si iscrisse alla Tokyo Beauty
Academy, figurando come unico studente di sesso
maschile in una classe di ben 130 allieve.
Ebbe la sua prima esperienza nell’ambito del
trucco cinematografico, partecipando al film Joe
Butterfly25 nel 1957, e poco tempo dopo decise di
lasciare il Giappone per sfondare nel business del
trucco televisivo e cinematografico. La sua fama
cominciò per caso nel 1962, quando trasformò
Shirley MacLaine (1934) in una geisha per
l’interpretazione del film My Geisha26. In
quell’occasione Shu Uemura fu chiamato per
sostituire il make up artist ufficiale, che si era
ammalato. La trasformazione27 dell’attrice
25
Joe Butterfly, di Jesse Hibbs, Stati Uniti, 1957, 90 min.
My Geisha, di Jack Cardiff, Stati Uniti, 1962, 119 min.
27
In un intervista Shirley MacLaine affermò che ai fini di
una più veritiera interpretazione, le era stato permesso di
vivere per due settimane a contatto con geishe autentiche,
imparando così l'intricata cerimonia del tè, la danza
giapponese, e a suonare gli strumenti a corda. Disse inoltre
26
210
caucasica, in una donna dai tratti orientali, fu
talmente credibile e ben fatta che egli ricevette
elogi da parte del cast e dello stesso regista. Così
Uemura diventò uno dei make up artist preferiti ad
Hollywood, dove lavorò (seppur inizialmente solo
come apprendista) anche con star del calibro di
Frank Sinatra, Edward G. Robinson e Lucille Ball.
Nel 1964 tornò in Giappone ed aprì il primo
istituto di make up a Tokyo, dove insegnò le
tecniche di make up cinematografico e televisivo
apprese nell'esperienza Hollywoodiana. Tre anni
dopo fondò la Japan Make up inc., che
inizialmente
importava
prodotti
cosmetici
americani immettendoli sul mercato giapponese,
ma che in seguito (nel 1971) si dotò di laboratori in
modo che la produzione fosse monitorata dal
fondatore, garantendole così alti standard
qualitativi.
che, di volta in volta, la seduta di make up le causava non
pochi problemi; i suoi occhi, venivano allungati ed inclinati
con l'applicazione di una garza attaccata con adesivo liquido
vicino le tempie. Delle stringhe fissate alle garze venivano
poi annodate dietro la testa (queste esercitavano una delicata
trazione, in grado di modificare in modo provvisorio i
lineamenti) e nascoste nella parrucca o all’interno
dell’acconciatura. Shirley affermò che al termine delle
riprese del film, le sue tempie si erano scorticate per la
continua applicazione dei tiranti. Ebbe problemi anche con le
lenti a contatto, soprattutto quando, durante una scena in cui
il fumo era usato per creare un effetto nebbia, esso le andò
sotto le lenti irritandole gli occhi.
211
Shu Uemura fu il primo ad introdurre sul mercato
giapponese un detergente struccante a base oleosa
(fig. 33): l'Unmask cleansing oil28, che è tuttora un
prodotto cult. Alla fine degli anni ’60, ideò il look
Flaggy (fig. 34), che consisteva nel disegnare una
texture a scacchi “tipo bandiera” sulla palpebra
della modella, adattandola alla volumetria del
volto e creando così uno stile che rompeva gli
schemi. Nel 1983 aprì la prima boutique
nell'esclusivo distretto di Omotesando a Tokyo e
cambiò il nome dell'azienda con l'attuale Shu
Uemura Cosmetics. Dal 1986 si espanse con punti
vendita a New York, Los Angeles, Taiwan, Milano
e Londra. Oggi la distribuzione copre ben 18 paesi
nel mondo con più di 320 punti vendita. Durante
gli anni '80, l'azienda Uemura è stata abile
nell'approfittare della sempre crescente mania per i
beni e per il gusto occidentali del fiorente mercato
giapponese. Nel corso del tempo la sua gamma di
cosmetici si è ampliata con profumi ed attrezzi
professionali da truccatore, come gli eccellenti
pennelli fatti a mano (e con materiali di pregio) e il
28
Durante la sua permanenza ad Hollywood, Shu Uemura
capì il potenziale del detergente a base oleosa ed ebbe
l'intuizione di commercializzarlo. Questo detergente non solo
era delicato sulla pelle estremamente sensibilizzata degli
attori/attrici, ma era anche rapido nella rimozione di ogni
singola particella di trucco e sporco. Realizzato con una
miscela di oli nutrienti, d’avocado, di jojoba ecc…, e fitoestratti naturali, manteneva la giusta idratazione
dell’epidermide.
212
celeberrimo piegaciglia che, dopo esser stato
menzionato nel film Il Diavolo veste Prada29, è
diventato parte integrante di un fenomeno di
costume di massa, ed è adesso una sorta di
"oggetto sacro" per le make up addicted più
abbienti.
Ispirato da un'autentica vena artistica, l’approccio
professionale di Uemura si basò anche sulla
filosofia olistica, per cui un buon make up partiva
inevitabilmente da una pelle sana.
«Beautiful make-up starts with beautiful skin.»
Sempre in quest'ottica, egli si fece promotore della
bellezza naturale piuttosto che costruita
unicamente attraverso il trucco, ma anche di un
approccio stravagante all'uso delle cromie e delle
forme, quando si trattava di esprimersi
artisticamente (fig. 35). I prodotti del marchio
rappresentavano, e lo fanno tuttora, il connubio
perfetto tra formulazioni innovative (e in continuo
rinnovamento) e antica tradizione giapponese.
Ciascuno, siano essi di trucco o di skincare,
abbraccia elementi di arte, natura e scienza,
declinati attraverso packaging originale30, texture
29
The Devil Wears Prada, di David Frankel, Stati Uniti,
2006, 102 min.
30
Per la realizzazione del packaging e per le immagini
pubblicitarie ad esempio, la Shu Uemura collabora
costantemente con artisti di fama internazionale che
realizzano piccoli preziosi pezzi artistici in edizione limitata.
213
sofisticate, ingredienti di qualità (come ad esempio
la Depsea Water31: acqua di mare depurata, ricca
di minerali e i fito-estratti asiatici conosciuti per
migliorare il metabolismo della pelle) e
formulazioni innovative. Nel 2005 Shu Uemura ha
avviato la Tokyo lash bar, ovvero un'inedita
collezione con cadenza annuale di stravaganti
ciglia finte (fig. 36), raccolte in eleganti espositori
e vendute presso le boutique del marchio. Nel
2006 ha concepito una rivoluzionaria collezione
chiamata Rouge Unlimited, composta da rossetti
con pigmenti ibridi al proprio interno, che
permettono una fedeltà di colore mai vista prima32;
mentre nel 2007 fu la volta della Phyto-black Lift,
la prima linea di prodotti anti-età il cui principio
attivo era basato su fito-estratti asiatici. Quello
stesso anno, è stata lanciata anche Art of Hair,
prima linea dedicata alla cura dei capelli.
L’azienda ha lavorato con il Litografo Ai Yamaguchi, il
fumettista Aya Takano, il fotografo Mika Ninagawa; per la
sua collezione 2012 ha scelto di collaborare con Mamechiyo
(fig. 37), una famosa designer di kimono.
31
La linea, lanciata 1998 fu la prima in assoluto ad avere al
suo interno l'acqua di mare depurata e questa trovata fruttò a
Uemura numerosi premi tra i quali il Nikkei Excellent
Product per la sua qualità.
32
Un esempio è la Rouge Unlimited Sakura del 2011:
collezione composta da sei varianti colore, tutte ispirate alle
diverse tonalità che assumono i fiori di ciliegio nell'arco della
giornata. La formula, arricchita con sakura hybrid pigment,
donava alle labbra i colori puri e romantici caratteristici del
delicatissimo fiore di ciliegio.
214
Shu Uemura ha dato un grande contributo
all'evoluzione del concetto di make up artist,
fondendo il trucco con l'arte (fig. 38) sia attraverso
le sue collezioni bi annuali di make up, sia con con
performance teatrali33 che ne accompagnavano
l’uscita, ha scritto nel corso del tempo una pagina
di storia nell'evoluzione della cosmesi.
7. Toskan e Angelo (M.A.C.)
M.A.C. è l'acronimo di Makeup Art Cosmetics ed è
un'azienda canadese nata nel 1984 dalla
collaborazione tra Frank Toskan e Frank Angelo
(1948-1997) (fig. 39). Proprietario di una catena
nazionale di parrucchieri, il senso degli affari di
Toskan si rivelò complementare all’esperienza di
Frank Angelo, acclamato acconciatore e
truccatore. Prima di entrare in partnership con
Angelo, Toskan trascorse un lungo periodo a
studiare libri di chimica e a sperimentare differenti
33
A tali performances (che hanno accresciuto
incredibilmente la sua notorietà e che si svolgevano in città
come Tokyo, Londra e New York) partecipavano in migliaia
tra professionisti del settore, aziende ed appassionati. Ivi il
maestro mostrava le proprie tecniche dei make up,
presentando contemporaneamente la sua ultima collezione ed
i relativi trend.
215
formulazioni per i suoi cosmetici con l'aiuto del
cognato Victor Casale; questo perché la M.A.C.
affonda le sue radici nella necessità di trovare dei
cosmetici formulati in modo da dare una resa
qualitativamente migliore e maggiormente
professionale (dunque con una durata maggiore, e
con una rosa di prodotti più versatili e creativi) nei
photoshooting di moda e beauty. La prima
incursione del marchio negli Stati Uniti avvenne
attraverso il grande magazzino Henri Bendel, dove
i prodotti avevano un enorme richiesta. Gli addetti
alle vendite, vestiti di nero, erano professionali e
competenti in quanto truccatori in possesso di
diploma, e la clientela poteva così usufruire di un
servizio a 360 gradi che comprendeva la
consulenza professionale e l’orientamento verso il
prodotto più idoneo. In seguito, nel 1991, fu aperto
il primo punto vendita monomarca a New York e
fu un vero trionfo: la domanda era talmente alta,
che si sviluppò addirittura una forma di mercato
nero che distribuiva i prodotti all’estero.
Nonostante
l'azienda
si
rivolgesse
specificatamente a professionisti del settore, quali
truccatori, stilisti e celebrità (dai quali ha ricavato
grande visibilità) nel corso del tempo essa si è
guadagnata l'attenzione e la fiducia anche di quelle
persone comuni che cercano prodotti di qualità e
dalle prestazioni professionali. Tuttavia, con la
linea M.A.C. Pro (che sta per Professional) ha
comunque mantenuto un carattere di esclusività
216
per ciò che concerne alcuni prodotti, con sconti e
agevolazioni per i makeup artist e altre
professionalità inerenti il trucco e la moda.
Il marchio divenne famoso nel giro di pochissimo
tempo, grazie esclusivamente al passaparola (si
trattò di una scelta di marketing consapevole).
Divenne ben presto la marca favorita di celebrità
degli anni '80 come Pamela Anderson, Boy George
e Debbie Harry.
Ma il brend è famoso anche per la filantropia dei
suoi fondatori ed il costante impegno nella lotta
all’AIDS. La malattia, che proprio in quegli anni si
diffuse a macchia d’olio, era un tema che toccava
molto da vicino Frank ed Angelo. Entrambi per
colpa dell’AIDS avevano perso molte persone
care. Fu questa la motivazione principale che li
spinse a fondare nel 1994 la M.A.C. AIDS Fund,
un'organizzazione operativa in ben 66 paesi,
impegnata in attività di supporto concreto a
persone affette da questo male. Una delle iniziative
più importanti è la vendita dei prodotti M.A.C.
Viva Glam (fig. 40), il cui ricavato è interamente
destinato alla fondazione. M.A.C., diventata così la
più grande azienda non-farmaceutica contribuente
ai progetti inerenti la lotta all'HIV.
La prima ambasciatrice globale della linea MAC
Viva Glam (che esce annualmente con nuovi
prodotti) è stata la Drag Queen Ru Paul (fig. 41).
Seguendo le sue orme, ogni anno nuovi testimonial
prestano la propria immagine e fama nel perpetrare
217
questa lodevole causa. Inoltre, alcuni – come ad
esempio Cindy Lauper e Lady Gaga (v. supra, cap
II, § 17) – hanno creato dei prodotti personalizzati
che portano il proprio nome.
Il packaging, da sempre sobrio e minimale, non è
né complicato né vistoso e viene inoltre riciclato
con la brillante iniziativa del “Back2Mac”, ossia:
raccogliendo sei confezioni vuote di prodotti
dell'azienda e riportandole in un qualunque punto
vendita, si ha diritto ad un prodotto in omaggio.
Punto di forza di questo marchio, oltre la qualità
dei cosmetici, è la variegata gamma cromatica
sempre in continuo aggiornamento. Spaziando dal
naturalismo, al futurismo a colori shock, l’azienda
ha sempre promosso il make up come espressione
completa di libertà (fig. 42), tanto che il motto del
marchio è: “All ages, all races, all sexes”. Altri
plus dell’azienda sono l’incredibile quantità di
collezioni (figg. 43-44) lanciate durante l'arco
dell'anno (si pensi che nel 2011 ne sono state
ideate 22 e nel 2010 addirittura 33) e l’attenzione
animalista: sia i prodotti finiti che gli ingredienti
utilizzati al loro interno non vengono testati sugli
animali né dall’azienda in sé ne da terzi.
Quest’aspetto è indice non solo di civiltà ma anche
di intelligenza manageriale, poiché l’animal testing
è un argomento sempre più dibattuto e sempre più
persone scelgono di boicottare le industrie
cosmetiche che adottano questo tipo di
sperimentazione.
218
L’anno successivo la morte di Frank Angelo,
avvenuta nel 1997, Frank Toskan vendette la
società al gruppo Estée Lauder, rassegnando le
proprie dimissioni. Nonostante il cambio al
vertice, il taglio dell’azienda è rimasto sempre lo
stesso: M.A.C. è rimasta una delle aziende più
amate e di successo (forse la prima al mondo in
campo professionale). Ancora oggi le sue
meravigliose collezioni make up vanno
regolarmente esaurite nel giro di pochissimo tempo
dall’uscita.
8. Pat Mc Grath
«Raramente l'arte del trucco è stata così innovativa e
così infinitamente ricca di possibilità come lo è stata
nelle mani di Pat McGrath. Negli ultimi dieci anni,
infatti, non ha solo re-inventato il make-up ma ha
addirittura ri-definito il senso stesso della bellezza del
viso contemporaneo, esplorando sempre nuove
frontiere.»34
Pat McGrath (1966) (fig. 45) è una truccatrice
inglese. E' cresciuta a Northampton con la madre
Jean McGrath, dalla quale fin da piccola ha
ereditato l'amore per la moda e per il trucco. Pat
stessa ha dichiarato in un intervista35 di essere
cresciuta “respirando moda” in una famiglia
34
35
http://www.maxfactor.it/it/backstage/pat_bio.htm.
http://lauravaluta.blogspot.it/2012/01/pat-mcgrath.html.
219
creativo-compulsiva. In effetti, dalle sue
rivelazioni capiamo che il background familiare è
stato fondamentale per la sua formazione. Quando
era adolescente, imparò dalla madre a creare da sé
le proprie creme di bellezza, a sperimentare con i
trucchi (usando rossetti al posto degli ombretti,
abbattendo così i confini d’uso dei prodotti), e a
coltivare un certo gusto per i tessuti e per la moda.
« My mum had no background in fashion but she'd
taught herself to sew and she was amazing, she used
to make all my clothes from designer patterns. We'd
be going to church in Calvin Klein military at the age
of 11. […] she'd take us every Friday to buy make-up,
looking for colours that would work on black skin. In
those days you'd be lucky if you could find one
eyeshadow with heavy pigment.»36
Dopo aver seguito un corso d'arte al Northampton
college, ma nessun corso riguardante il make up, la
svolta nella carriera arrivò lavorando nei primi
anni ’90 con Edward Enninful (in seguito fashion
editor della rivista «i-D») Il suo lavoro lanciò la
rivista «i-D» verso un importante posizione a
livello internazionale. Da allora Pat Mc Grath ha
collaborato con i più importanti nomi della
fotografia, come Steven Meisel, Paolo Roversi,
Helmut Newton, Peter Lindbergh, Richard
Burbridge e Craig McDean. I suoi lavori sono stati
pubblicati in tantissime riviste di moda, come
36
STEPHANIE MERRITT, «The Observer», 2 Novembre 2008.
220
«American», «English», «Vogue» (fig. 46), «W»,
e «Harper's Bazaar», influenzando ed ammaliando
celebrità (Oprah Winfrey, Madonna, Cameron
Diaz e Gwyneth Paltrow sono solo alcune tra
coloro che si sono affidate al suo raffinato tocco) e
gente comune37. Durante la sua scintillante carriera
ha lavorato con tutti i più grandi marchi di moda
(Prada, Valentino, Versace, Dolce & Gabbana,
YSL, Gucci, Giorgio Armani, Yohji Yamamoto,
Christian Dior, John Galliano, Louis Vuitton sono
solo alcuni) creando lavori di eccezionale bellezza
e rara originalità (fig. 47): capolavori grazie ai
quali è tutt'ora forse il massimo riferimento nel
campo del trucco. Nel 1999 ha curato la linea
cosmetica di Armani e nel 2004 è stata nominata
direttore creativo globale dell'azienda Procter and
Gamble, per la quale si occupa delle marche
cosmetiche Max Factor e Cover Girl.
Alcune delle sue creazioni hanno fatto la storia
del trucco dell’alta moda. Tra le più famose vi è
senza dubbio The Egypt show di Dior (Haute
Couture, Primavera/Estate 2004), che prevedeva
una serie di truccature con volti ricoperti di foglia
d'oro ed enormi gioielli scintillanti e colorati, sulla
falsariga
della
maschera
mortuaria
di
37
La stessa gente comune, che talvolta vedendola
passeggiare per le strade a Londra la ferma e le manifesta
con affetto ed entusiasmo quanto sia importante il suo
contributo, e lei da persona umile e concreta qual è ne è
sempre felice e lusingata.
221
Tutankhamon. Nei fashion show precedenti, altre
fonti d’ispirazione furono i ritratti di Elisabetta I,
le maschere kabuki e l'arte moderna. Questo
audace eclettismo è stato ed è ancora adesso una
delle sue caratteristiche più apprezzate. Altra sua
peculiarità è il desiderio di conoscenza: durante i
numerosissimi viaggi di lavoro usa raccogliere tra
le trenta e le cinquanta borse di materiali vari,
attrezzi e oggetti di riferimento.
Tra le curiosità legate al suo metodo lavoro vi è la
preferenza per l'uso delle dita al posto dei pennelli
da trucco, e l'abitudine di portare con sé durante i
fashion shows un'incredibile armamentario: circa
venti tra scatole e valigette di vario tipo contenenti
dai canonici trucchi, alle paillette ma anche libri
d'arte. In un'intervista rilasciata durante il London
Fashion Week nel 2008, Pat McGrath ha spiegato
il suo processo creativo, dicendo:
«Vengo molto influenzata dalle stoffe che vedo, dai
colori presenti nella collezione e dai lineamenti delle
modelle. E' sempre una sfida, ma è proprio questo il
punto, riuscire a fare qualcosa di diverso ogni
volta»38.
Nel mondo di Pat il viso diventa lo scenario
ideale per raffinati esperimenti e le sue innovazioni
hanno slegato il trucco dai limiti del volto (fig. 48),
definendo nuove volumetrie e dimensioni. Ma i
suoi virtuosismi si combinano anche al talento per
38
http://www.vogue.co.uk/beauty/2008/09/29/pat-mcgrath.
222
la bellezza convenzionale, tant’è che è stata la
pioniera della pelle fresca e vellutata della metà
degli anni '90, ma anche la mente dietro nuovi
trend come le sopracciglia piene e la carnagione
perfettamente opaca ma luminosa. Ciò si unisce
infine ad una reale passione per le persone, a modi
delicati e a una vibrante personalità. Nel campo
dell'industria della bellezza è Pat McGrath a
stabilire in che direzione va la moda del futuro; e
se oggi nella nostra make up routine compare
talvolta un trucco sui toni dell’arancio fluo o del
turchese acceso, è sicuramente per sua inferenza.
«I really love being a makeup artist. It never gets
mundane or predictable and every shoot and show is
different.»39
39
Tradotto: «Amo profondamente il fatto di essere una make
up artist. E' un lavoro che non diventa mai banale o
prevedibile e ogni servizio fotografico o sfilata, è sempre un
progetto differente.»
cfr. http://www.teenvogue.com/industry/artist/patmcgrath.
223
224
GLOSSARIO
All-over: unico prodotto utilizzabile per più zone/usi.
Bangle: nome generico di bracciali rigidi (variegati sia per
stile che per materiali).
Bindi: decorazione per la fronte, indossata dalle donne
Asiatiche Tradizionalmente è un punto di colore rosso
applicato al centro della fronte e vicino alle sopracciglia, ma
può essere anche un pendente o un gioiello.
Blush: fard
Bonnemine: vocabolo usato per la definizione di un aspetto
del viso complessivamente sano, naturale, privo di segni di
stanchezza o imperfezioni.
Bronzer: terra
Eyeshadow: ombretto.
Finish: effetto finale, talvolta usato come sinonimo di
texture.
Flick: piccola “codina” o trattino che si usa disegnare al
termine della riga di eyeliner nell’angolo esterno dell’occhio.
Può essere più o meno lunga, inclinata, spessa. Talvolta nei
trucchi più fantasiosi è biforcuta (come una lingua di
serpente) o variamente decorata.
Gloss o lip-gloss: lucidalabbra
Hairstyling: acconciatura, arte di acconciare i capelli.
Kohl: kajal. Cosmetico in stick o in lapis dalle origini
antichissime, usato per scurire e contornare gli occhi.
Inizialmente aveva anche proprietà mediche: il suo scopo era
quello di prevenire le infezioni.
Lash: ciglia.
Lipstick: rossetto.
Makeup routine: insieme di abitudini relative alla
preparazione del viso al trucco e trucco successivo.
Nude-look: stile di trucco estremamente naturale e leggero,
che contempla l’uso di colori come i rosa e i marroni
(comunque tutte gradazioni di colore vicine a quelle della
225
pelle) e l’uso di una quantità limitata di prodotto, onde
evitare un effetto artificiale.
Peeling: trattamento di bellezza, che prevede la delicata
esfoliazione della superficie cutanea con la conseguente
rimozione delle cellule epiteliali morte. Serve a preparare la
pelle ai successivi trattamenti come creme o tonici, ma anche
a rendere il colorito più luminoso.
Skincare: cura della pelle.
Skincare routine: Insieme di prodotti e di abitudini relative
alla cura della pelle.
Smoky-eyes: tipologia di trucco degli occhi piuttosto
marcato e scuro le cui caratteristiche sono l’essere
appariscente e un effetto sfumato di più colori (nero e grigio
per eccellenza), più o meno esteso.
Stick: a forma di piccolo candelotto o bastoncino.
Texture: in campo cosmetico si usa per riferirsi alla
consistenza dei prodotti. Es. questo rossetto ha una texture
cremosa.
Top-coat: strato di prodotto lucidante finale. Si usa ad
esempio per indicare lo smalto trasparente di finitura che si
applica sopra lo strato di smalto colorato per proteggerlo
dalle scheggiature, lucidarlo e in certi casi anche accelerarne
il processo di asciugatura.
226
RICETTARIO
COLD CREAM
Ingredienti per 100 gr. di crema:
13 gr. cera d'api
54 gr. olio di mandorle dolci
33 gr. acqua di rose
20 gocce olio essenza di legno di rosa
In un pentolino mettere la cera d'api insieme all'olio di
mandorle dolci. In un altro pentolino versare l'acqua di rose.
Accendere il fornello al minimo sotto il pentolino con la cera
e scaldare per far sciogliere la cera. Attenzione a non
surriscaldare i grassi, la cera fonde a circa 65°C, quindi
evitare di scaldarla troppo per evitare che bruci.
Quando la cera si sarà sciolta misurare la temperatura,
occorre che sia compresa tra i 65°C e i 70°C. Se fosse più
alta attendere che scenda un po' prima di proseguire.
Scaldare l'acqua di rose e portare la temperatura tra i 65°C e i
70°C (la stessa temperatura della cera) facendo attenzione,
dato che è in quantità minima ci metterà un attimo a
scaldarsi. Quando i grassi e l'acqua di rose avranno la stessa
temperatura si può procedere.
Dopo aver rimosso entrambi i pentolini dal fuoco versare
l'acqua di rose nel pentolino con i grassi. Con un piccolo
frullatore ad immersione iniziare a frullare. L'emulsione tra
la parte acquosa e la parte grassa in una crema con cera d'api
avviene per gelificazione della parte grassa, perciò è molto
importante continuare a frullare per parecchio tempo, fino a
raffreddamento avvenuto.
Quando la crema sarà diventata tiepida, avrà assunto un
aspetto omogeneo e sembrerà essere più consistente, si
potranno aggiungere gli oli essenziali e dopo aver ripreso a
frullare per qualche secondo si potrà eliminare il mixer
perché non servirà più. A questo punto se si lasciasse
227
raffreddare la crema senza girarla si otterrebbe una massa
solida e dura a causa della presenza della cera.
Per evitare che questo accada bisogna riprendere a girare con
un cucchiaino e ogni tanto tornare a dare un'energica girata al
composto fino a quando non si vede davvero l'aspetto di una
crema spumosa.
Dopo diverse ore (o anche la mattina dopo) quando la crema
sarà davvero fredda e consistente si potrà mettere in uno o 2
vasetti servendosi del cucchiaino.
BLU VEGETALE LE VENE
Gesso di Venezia
Blu di Prussia
Gomma arabica
453,5 gr.
49,5 gr.
28,3 gr.
Aggiungere alle polveri sufficiente acqua per formare un
composto solido, tanto da poter essere modellato in stick. Per
l'applicazione, alitare sullo stick e strofinarlo sulla parte
ruvida di un guanto di pelle ed in seguito, utilizzando il
guanto, evidenziare le vene del corpo. E' consigliabile per
ottenere un effetto più naturale, oltre che possedere una certa
manualità, spolverare il tutto con della polvere perlacea.
POLVERI DI RISO
N.1679
60% amido di riso.
20% amido di mais.
10% Talco.
5% Magnesio stearato.
228
5% ossido di zinco.
N.1680
50% Amido di riso
25% Magnesio carbonato.
10% Caolino.
10% Talco.
5% Magnesio stearato.
N.1681
50% amido di frumento.
20% amido di riso.
10% diatomite (farina fossile).
5% Radice di Iris in polvere.
5% Bismuto sottonitrato.
10% Talco.
ROUGE LIQUIDO
Carminio, N. 40
Ammoniaca
Alcool 60°
Gomma Arabica
Acqua di rose tripla
Olio essenziale di rosa
2 dracme*.
14,175 gr.
56,7 gr.
14,175 gr.
27,39 ml.
10 gocce
Pestare il carminio e la gomma arabica con l'ammoniaca in
un mortaio di porcellana, e aggiungervi in seguito anche una
229
porzione dell'acqua di rose. Sciolto il composto aggiungere
lentamente l'alcol e la restante acqua di rose. Unire l'olio
essenziale ed infine filtrare il tutto.
*la dracma è un unità di peso usata in farmacia ed equivale a
3,883 grammi.
SAPONE
1 kg. Di Olio d’oliva (si può usare anche da solo)
134 gr. Di Idrato di sodio (soda caustica in cristalli)
280 gr. D’acqua
Coloranti naturali come henné, curcuma, cannella, cacao,
zafferano q.b.
Oli essenziali per uso cosmetico q.b.
Caffè o polvere di pomice (per ottenere effetto peeling) q.b.
Versiamo l’olio dentro un contenitore, mentre in un altro
contenitore versare l’acqua. Con estrema attenzione nel
maneggiare la soda caustica, versarla nel contenitore con
l’acqua (mai il contrario). La temperatura dell’acqua inizierà
ad alzarsi fino a circa 80° C.
Rigirare la soluzione di acqua e soda con un cucchiaio di
legno, per evitare che la soda si depositi sul fondo del
contenitore.
Con cautela prendere il contenitore, e riporlo in un luogo
riparato affinché si raffreddi fino a 45 ° C. Dopo circa 15
minuti misurare la temperatura con un termometro da cucina.
In una grande pentola in acciaio (le dimensioni devono
essere almeno il doppio del volume occupato dall’olio o dai
grassi), fare riscaldare l’olio a fuoco lento fino a 45° C (i
grassi richiedono una maggiore temperatura per
sciogliersi).Una volta sciolti, togliere la pentola dal fuoco.
230
Quando la soluzione di acqua e soda caustica sarà alla
temperatura esatta di 45° C, versarla lentamente dentro la
pentola con l’olio e mescolare con un cucchiaio di legno.
Con il frullatore a immersione emulsionare il tutto,
eliminando i grumi e miscelando il composto in modo
uniforme.
Per circa 5-10 minuti immergere ad intermittenza il frullatore
(per evitare che si surriscaldi), e aspettare che la miscela sia
cremosa fino a raggiungere la “fase del nastro” ovvero se le
gocce che scendono dal frullatore spento, quando lo si
solleva dalla miscela, si fermano in superficie invece di
amalgamarsi, formando quasi dei segni e linee, ciò indicherà
che si è raggiunta la giusta consistenza.
Se si desidera aggiungere degli ingredienti che rendano
particolare il sapone, come ad esempio essenze, coloranti
naturali o sostanze per il peeling farlo subito dopo la cottura,
mentre il sapone è ancora caldo e morbido.
Versare cautamente la miscela ancora calda in appositi
stampi di silicone e avvolgere gli stampi tra delle vecchie
coperte in modo che si raffreddino in modo molto graduale.
Dopo 48 ore indossando i guanti di gomma estrarre il sapone
dagli stampi e tagliarlo in piccoli mattoncini. I guanti sono
necessari perché ancora la soda caustica è attiva. Infatti il
sapone, anche se è pronto, lo è in verità solo apparentemente.
Riporre quindi le saponette in un luogo fresco e farle
stagionare per circa due mesi e mezzo. Allo scadere di questo
tempo il sapone sarà pronto all’uso.
231
232
INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI
Capitolo I
Fig.1
Fig.2
Fig.3
Fig.4
Fig.5
Fig.6
Fig.7
Fig.8
Fig.9
Fig.10
Fig.11
Fig.12
Fig.13
Fig.14
Fig.15
Fig.16
Fig.17
Fig.18
Dott. M. Calosi & Figlio, Cipria“Rachel”
profumata alla ninfea inizio XX secolo
Manifesto pubblicitario Graf’s Hyglo con
Kitty Gordon Dicembre 1919
Bastone da passeggio con vano per il
balsamo labbra (balsamo labbra di Roger
& Gallet)
Manifesto pubblicitario della Crema
Pompeiana post 1901
Evoluzione della grafica del coperchio
della crema Nivea dalla nascita ad ora
Manifesto pubblicitario Crema Recamier
1895
Esempio di taglio alla Garçonne
Manifesto pubblicitario del deodorant
Odorono 1919
Manifesto mascara Winx anni ‘20
Donna degli anni ‘20
Donna con turbante anni ‘20
Manifesto pubblicitario del piegaciglia
Kurlash
Manifesto in stile deco del profumo
Vogue anni ‘20
Cipria sbiancante Wavine della Boyd
Manufacturing Co. Anni ‘20
Tre esempi di bellezza femminile
dell’epoca
Figurini di moda francese 1934
Copertina della rivista Silver Screen
magazine rappresentante Kay Francis
Agosto 1939
Manifesto
pubblicitario
cosmetici
Hollywood (esempio look del decennio)
233
pg.18
pg.19
pg.20
pg.21
pg.22
pg.23
pg.24
pg.27
pg.28
pg.28
pg.28
pg.29
pg.30
pg.31
pg.31
pg.35
pg.37
pg.37
Fig.19
Fig.20
Fig.21
Fig.22
Fig.23
Fig.24
Fig.25
Fig.26
Fig.27
Fig.28
Fig.29
Fig.30
Fig.31
Fig.32
Fig.33
Fig.34
Fig.35
Fig.36
anni ‘30
Greta garbo post 1930
Pubblicità rossetto permanente anni ‘30
Esempio look dell’epoca per donne brune
anni ‘30
Esempio di trucco anni ’30 reinventato su
Christina Aguilera 2010
Puff da cipria con manico in ceramica
anni ‘30
Donne che lavorano in una fabbrica di
oggetti in alluminio durante la II Guerra
Mondiale
Manifesto pubblicitario tessuti italiani
durante l’autarchia post 1938
Confezione metallica di mascara ante
1957
Manifesto pubblicitario del cosmetico per
gambe della Charles of the Ritz 1943
Donna che dipinge sulle gambe di una
modella delle finte calze II Guerra
Mondiale
Esempio look dell’epoca anni ‘40
Veronica Lake e la sua tipica
acconciatura “a schiaffo” anni ‘40
Manifesto Palmolive 1942
Illustrazione raffigurante una Pin up, di
Gil Elvgren aani ’40-‘50
Esempio look dell’epoca anni ‘40
Manifesto pubblicitario del Pancake Max
Factor rappresentante Judy Garland anni
‘40
Rossetto con contenitore metallico a
forma di cartuccia 1940
Manifesto pubblicitario Tru-Glo liquid
makeup Westmore of Hollywood con
Marilyn Monroe 1953
234
pg.38
pg.38
pg.40
pg.40
pg.41
pg.44
pg.46
pg.47
pg.48
pg.48
pg.48
pg.48
pg.48
pg.49
pg.49
pg.50
pg.51
pg.56
Fig.37
Fig.38
Fig.39
Fig.40
Fig.41
Fig.42
Fig.43
Fig.44
Fig.45
Fig.46
Fig.47
Fig.48
Fig.49
Fig.50
Fig.51
Fig.52
Fig.53
Fig.54
Fig.55
Attrezzo per applicare il rossetto secondo
la sagoma che andava in voga al tempo
fine’40 inizi’50
Trucco anni ’50 su Dita Von Teese anni
2000
Trucco anni ’50 reinventato in chiave
moderna su Katy Perry 2007
Joan Crawford negli anni ‘50
Manifesto
pubblicitario
Helena
Rubinstein makeup «Vogue» maggio
1947
Veruschka con un body painting floreale
anni ‘60
Pubblicità della linea cosmetic “Twiggy”
della Yardley post 1965
Esempio di trucco anni ’60 reinventato in
chiave moderna su Christina Aguilera
2008
Manifesto pubblicitario di Yardley 1967
Brigitte Bardot con tipico trucco “cateye” anni ‘60
Jane Shrimpton con trucco floreale anni
‘60
Kit di pastelli da viso di Mary Quant post
1966
David Bowie scatto per la copertina
dell’album “Aladdin Sane”1973
Trucco anni ‘70 reinventato in chiave
moderna
Trucco occhi floreale fine’60 inizi‘70
Farrah Fawcett
Make up look post 1965
Manifesto pubblicitario Aziza Eyeshadow
nella rivista «McCall» 1976
Ritratto fotografico di Cher del fotografo
Douglas Kierkland 1980
235
pg.59
pg.59
pg.59
pg.59
pg.60
pg.64
pg.64
pg.65
pg.66
pg.66
pg.68
pg.68
pg.75
pg.76
pg.76
pg.76
pg.76
pg.76
pg.82
Fig.56
Fig.57
Fig.58
Fig.59
Fig.60
Fig.61
Fig.62
Fig.63
Fig.64
Fig.65
Fig.66
Esempio di cresta punk in stile Mohicano
anni ‘70
Tracy Spencer 1986
Grace Jones 1985
Esempio del classico makeup gothic
Trucco anni ’80 reinterpretato in chiave
moderna post 2005
Esempio di trucco ed acconciatura anni
‘80’
Da sx Linda Evangelista, Cindy
Crawford, Naomi Campbell, Christy
Turlington, sfilata Versace A/I 1991
Linda Evangelista anni ‘90
Esempio look naturale, copertina «D»
dicembre 1997
Linda Evangelista look anni ‘90
Fotografia di Tyen per Dior make up
1995
pg.82
pg.83
pg.83
pg.84
pg.86
pg.86
pg.94
pg.94
pg.95
pg.95
pg.95
Capitolo II
Fig.1
Fig.2
Fig.3
Fig.4
Fig.5
Fig.6
Fig.7
Fig.8
Fig.9
Fig.10
Fig.11
Mata Hari inizi XX secolo
Mata Hari 1910
idem
idem
Esempio di trucco anni’20 su Josephine
Baker
Manifesto pubblicitario della Revue
Negre 1927
Idem
Josephine Baker con il celebre
gonnellino di banane 1927
Josephine Baker anni ‘20
Cartolina francese autografata da
Josephine Baker
Manifesto pubblicitario della brillantina
236
pg.101
pg.102
pg.102
pg.102
pg.102
pg.103
pg.103
pg.103
pg.105
pg.105
pg.105
Fig.12
Fig.13
Fig.14
Fig.15
Fig.16
Fig.17
Fig.18
Fig.19
Fig.20
Fig.21
Fig.22
Fig.23
Fig.24
Fig.25
Fig.26
Fig.27
Fig.28
Bakerfix, litografia a colori 1926 ca.
Ritratto fotografico di Louise Brooks
post 1928
Particolare di un ritratto di Louise
Brooks, Bain News Service publisher,
anni ‘20
Louise Brooks indossa un tipico abito
“flapper”
Louise Brooks nel 1924
Louise Brooks posa con un tutu da
ballerina
Ritratto di Louise Brooks di M.I. Boris
1925 ca.
Jean Harlow posa per una foto
promozionale del film Platinum Blonde
1931
Jean Harlow negli anni ‘30
Copertina di «Screen Romances» che
ritrae Jean Harlow Febbraio 1935
Ritratto di Jean Harlow di George
Hurrell 1933 ca.
Jean Harlow negli anni ‘30
Marlene Dietrich in uno scatto
promozionale della pellicola L’angelo
azzurro 1929
Marlene Dietrich in uno scatto
promozionale della pellicola La taverna
dei sette peccati 1940
Manifesto pubblicitario della Cold
Cream Woodbury raffigurante Marlene
Dietrich 1942
Marlene Dietrich
Marlene Dietrich in uno scatto
promozionale della pellicola No
Highway in the sky 1951
Primo piano dell’attrice Marlene
237
pg.106
pg.106
pg.107
pg.107
pg.107
pg.108
pg.109
pg.109
pg.109
pg.110
pg.111
pg.112
pg.113
pg.113
pg.114
pg.114
pg.114
Fig.29
Fig.30
Fig.31
Fig.32
Fig.33
Fig.34
Fig.35
Fig.36
Fig.37
Fig.38
Fig.39
Fig.40
Fig.41
Fig.42
Fig.43
Fig.44
Fig.45
Fig.46
Fig.47
Fig.48
Fig.49
Fig.50
Dietrich
Immagine di copertina del disco Lili
Marleen
Lauren Bacall
idem
Copertina della rivista «Detective
World» raffigurante Lauren Bacall ante
1955
Ritratto fotografico di Lauren Bacall
1947
Fotografia autografata da Lauren Bacall
post 1945
Lauren Bacall anni ‘40
Prove di acconciatura sul set di To have
and have not 1944Lauren Bacall
Marilyn Monroe anni ’40-‘50
Marilyn Monroe agli esordi ante 1946
Marilyn Monroe scatto promozionale
della pellicola All about Eve 1950
Fotografia di Marilyn Monroe di Bert
Stern, tratta dall’ultimo photoshoot
1962
Ritratto fotografico di Marilyn Monroe
Alfred Eisenstaedt, 1953
Marilyn Monroe si trucca allo specchio
Prodotti di Erno Laszlo
Marilyn Monroe si trucca allo specchio
idem
Ritratto fotografico di Marilyn Monroe
nel suo giardino ca.1962
Elizabeth Taylor
Primo piano degli occhi viola di
Elizabeth Taylor anni ‘50
Elizabeth Taylor sul set di Cleopatra
1963
Elizabeth Taylor
238
pg.115
pg.115
pg.116
pg.116
pg.116
pg.116
pg.116
pg.117
pg.118
pg.118
pg.119
pg.120
pg.120
pg.120
pg.121
pg.122
pg.122
pg.122
pg.124
pg.125
pg.125
pg.126
Fig.51
Fig.52
Fig.53
Fig.54
Fig.55
Fig.56
Fig.57
Fig.58
Fig.59
Fig.60
Fig.61
Fig.62
Fig.63
Fig.64
Fig.65
Fig.66
Fig.67
Fig.68
Fig.69
Fig.70
Fig.71
Fig.72
Fig.73
Fig.74
Fig.75
Fig.76
idem
Elizabeth Taylor 1950 ca.
Elizabeth Taylor post 1950
Elizabeth Taylor giovane, mentre si
applica il rossetto
Copertina disco di Mina en francais
anni ‘70
Mina in uno scatto-citazione post 19
Mina agli esordi 1960 (?)
Mina con i capelli castani post 1964
Mina 1984 ca
idem
Mina nel 1976
Uno dei più celebri ritratti di Audrey
Hepburn 1961 ca.
Audrey Hepburn impersona Holly
Golightly in Breakfast at Tiffany’s 1961
Audrey Hepburn anni’50
Audrey Hepburn in «Vogue» aprile
1963
Profilo biografico pubblicato in «Oggi»
di Audrey Hepburn 1953
Copertina di «Vogue» raffigurante
Audrey Hepburn novembre 1964
Articolo di una rivista italiana
riguardante Audrey Hepburn post 1962
Audrey Hepburn
Articolo di una rivista italiana
riguardante Audrey Hepburn post 1962
idem
Copertina di una rivista giapponese
dedicata ad Audrey Hepburn anni ‘60
Audrey Hepburn
Idem
Twiggy agli esordi
idem
239
pg.127
pg.127
pg.127
pg.127
pg.128
pg.128
pg.129
pg.130
pg.132
pg.132
pg.133
pg.133
pg.137
pg.137
pg.137
pg.137
pg.137
pg.138
pg.138
pg.138
pg.138
pg.138
pg.138
pg.140
pg.140
pg.140
Fig.77
Fig.78
Fig.79
Fig.80
Fig.81
Fig.82
Fig.83
Fig.84
Fig.85
Fig.86
Fig.87
Fig.88
Fig.89
Fig.90
Fig.91
Fig.92
Fig.93
Fig.94
Fig.95
Fig.96
Fig.97
Fig.98
Fig.99
Fig.100
Fig.101
Fig.102
Fig.103
Fig.104
Manifesto pubblicitario dei cosmetic
Yardley Twiggy novembre 1967
Twiggy post 1968
Copertina di «Vogue Paris» 1967
Passaggi salienti del trucco di Twiggy
1967
Particolare degli occhi di Twiggy, da
«Seventeen» 1967
Confezione dell’Eye Paint della linea
Twiggy by Yardley 1967
Ritratto fotografico di Twiggy
Patty Pravo post 1968
idem
Patty Pravo anni ‘70
Patty Pravo a Sanremo 2011
Particolare del trucco occhi di Patty
Pravo post 1968
Patty Pravo anni ‘80
Cher agli esordi post 1963
Sonny & Cher post 1963
Particolare del truck occhi di Cher
Ritratto fotografico di Cher anni ‘60
Cher in un abito cut-out di Bob Mackie
1972
Cher 1974
Cher post 1972
Cher con un acconciatura tipica anni ‘80
Cher versione bruna e bionda anni ‘90
Cher con parrucca rossa e parrucca
castana
Cher nel 1991
Cher impersona Elvis nel 2002
Madonna photoshooting per l’album
American Pie, 2000
Madonna nel 1984
Ritratto di Madonna di Bert Stern 1985
240
pg.141
pg.141
pg.142
pg.143
pg.143
pg.144
pg.145
pg.145
pg.146
pg.148
pg.149
pg.149
pg.150
pg.150
pg.150
pg.151
pg.151
pg.152
pg.153
pg.153
pg.156
pg.156
pg.156
pg.157
pg.157
pg.157
pg.159
pg.159
Fig.105
Fig.106
Fig.107
Fig.108
Fig.109
Fig.110
Fig.111
Fig.112
Fig.113
Fig.114
Fig.115
Fig.116
Fig.117
Fig.118
Fig.119
Fig.120
Fig.121
Fig.122
Fig.123
Fig.124
Fig.125
Fig.126
Fig.127
Fig.128
Fig.129
Fig.130
Fig.131
Ritratto di Madonna di Arthur Elgort
1988
Madonna anni ‘80
Madonna con il cone bra durante il
Blonde Ambition Tour 1990
Madonna e Gaultier nel 1990
Madonna alla premiere della pellicola
Evita 1996
Scatto fotografico di Mario Testino per
l’album Ray of Light 1998
Screen shot tratto dal video di Nothing
Really Matters 1998
idem
Scatto fotografico di Steven Klein per
l’album Hard Candy 2008
Madonna nel 2008
Gina Brooke make up artist di Madonna
Anna Oxa in uno scatto per la copertina
dell’album Anna non si lascia 1996
Anna Oxa al debutto nel 1978
idem
Elisa Calcinari make up artist di Anna
Oxa
Anna Oxa post 1990
Anna Oxa anni 2000
idem
Copertina album Oxa 1985
Anna Oxa al festival di Sanremo 2011
Anna Oxa 2011
idem
idem
Anna Oxa anni ‘90
idem
Kate Moss post 1997
Kate Moss scatto in «Vogue Japan»
post 1998
241
pg.159
pg.159
pg.159
pg.159
pg.160
pg.160
pg.161
pg.161
pg.162
pg.162
pg.164
pg.166
pg.166
pg.166
pg.167
pg.167
pg.168
pg.168
pg.168
pg.168
pg.168
pg.168
pg.168
pg.170
pg.170
pg.171
pg.171
Fig.132
Fig.133
Fig.134
Fig.135
Fig.136
Fig.137
Fig.138
Fig.139
Fig.140
Fig.141
Fig.142
Fig.143
Fig.144
Fig.145
Fig.146
Fig.147
Kate Moss per Obsession di Calvin
Klein 1997
Copertina di «British Vogue» maggio
2003
Servizio fotografico a cura di Mert &
Marcus in «Interview Magazine» 2008
Kate Moss in uno scatto di Mario
Testino per la mostra Kate Who? 2010
Kate Moss 2009
Kate Moss per Sephora
Fotografia di Kate Moss di Mario
Testino per «Vogue Uk» agosto 2011
Statua Siren Microcosmo di Marc
Quinn 2008
Lady Gaga 2009
Lady Gaga in un servizio fotografico di
Kane Skennar 2008 ca.
Lady Gaga con il vestito di carne bovina
2011
Servizio fotografico di Mariano
Vivanco su «i-D» Aprile 2011
Lady Gaga al Grammy Awards del
2010
Make up eccentrico di Lady Gaga
idem
Lady Gaga agli MTV Video Music Aid
Japan 2011
pg.172
pg.173
pg.175
pg.176
pg.176
pg.176
pg.176
pg.176
pg.177
pg.179
pg.180
pg.182
pg.183
pg.183
pg.183
pg.183
Capitolo III
Fig.1
Fig.2
Fig.3
Ritratto fotografico di Max Factor
Manifesto pubblicitario dei cosmetici
Max Factor 1935
Manifesto pubblicitario dei rossetti Max
Factor raffiguarante Rita Hayworth anni
’40
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Fig.20
Max Factor mentre sperimenta il “calibro
della bellezza” su una modella
Manifesto pubblicitario del fondotinta
Pancake anni ‘50
Helena Rubinstein nel suo laboratorio
post 1902
Manifesto pubblicitario della crema
Valaze primo quarto di secolo
Manifesto pubblicitario della Hormone
Cream 1932
Tabella colori Helena Rubinstein
«Sunday news» agosto 1945
Manifesto pubblicitario del Tulip
Lipstick 1964
Ritratto fotografico di Elizabeth Arden
Manifesto pubblicitario Elizabeth Arden
del 1966
Manifesto pubblicitario Call to
Perfection Elizabeth Arden «Country
Life» 1947
Manifesto pubblicitario Magenta Red
Lipstick Elizabeth Arden anni ‘50
Manifesto pubblicitario dello strumento
Electric Patter e della Perfection cream
1947
Ritratto fotografico Thomas Lyle
Williams nel 1934
Manifesto pubblicitario del Lash-BrowIne raffigurante Viola Dana febbraio
1920
Confezione di mascara Maybelline in
cialda post 1917
Manifesto pubblicitario Maybelline
“Before and After” anni ‘30
Manifesto pubblicitario Maybelline
“Before and After”«Seventeen» gennaio
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1948
Manifesto pubblicitario Maybelline
“Before and After” «Family Circle»
settembre 1963
Manifesto pubblicitario della linea di
matite auto-temperanti 1958
Manifesto pubblicitario ombretti
Maybelline anni ‘70
Manifesto pubblicitario raffigurante
Lynda Carter post 1975
Charles Revson nel 1974
Manifesto pubblicitario smalto Persian
Melon post 1950
Manifesto pubblicitario di un kit rossetto
e smalto Revlon metà XX secolo
Manifesto pubblicitario rossetto Cherries
in the Snow 1953
Manifesto pubblicitario Revlon lacca per
capelli Satin-Set 1956
Manifesto pubblicitario detergente Clean
& Clear 1961
Manifesto pubblicitario tinta per capelli
Revlon Colour Up 1961
Ritratto fotografico di Shu Uemura
Confezione vintage dell’Unmask
Cleansing Oil
Esempio di trucco occhi “ Flaggy”
Esempio di make up artistico ideato da
Shu Uemura
Collezione Shu Uemura
EthnocolorScope Tokyo Lash Bar 2011
Packaging e grafica della linea Shu
Uemura in collaborazione con
Mamechiyo 2012
Esempio di make up artistico ideato da
Shu Uemura
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Ritratti fotografici di Frank Toskan e
Frank Angelo
Shirley Manson, Elthon John e Mary J.
Blige testimonial Viva Glam IV estate
2002
Elaborazione grafica che vede
protagonista Ru Paul
Esempio di make up artistico firmato
M.A.C.
Scatto fotografico per l’anteprima della
collezione Sugarsweet primavera 2009
Fotografia promozionale della collezione
M.A.C. Colour Ready Aprile 2009
Ritratto fotografico della make up artist
Pat McGrath
Foto di Steven Meisel, copertina di
«beauty in Vogue» novembre 2004
Look ideato da Pat McGrath per John
Galliano anni 2000
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