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SOMMARIO
Le misure di sicurezza
1. Le misure di sicurezza: definizione e presupposti. – 2. Le misure di
sicurezza nei confronti dei minori non imputabili. – 3. La libertà vigilata. –
4. Il riformatorio giudiziario. – 5. Il procedimento di applicazione. – 6.
L’esecuzione delle misure di sicurezza.
1. Le misure di sicurezza: definizione e presupposti
Un altro punto del processo penale minorile da esaminare è quello relativo alle misure di sicurezza, intese quali provvedimenti diretti
al futuro e proporzionati alla pericolosità del reo. L’esame non può
essere svolto esaustivamente se non si tiene conto degli interventi
normativi che hanno conferito un volto nuovo all’istituto in questione.
In particolare, si osserva che l’art. 204 c.p. nella sua formulazione
originaria sanciva la cosiddetta pericolosità presunta, ossia prevedeva
che nei casi espressamente determinati la qualità di persona socialmente pericolosa fosse presunta dalla legge. La pericolosità presunta
riguardava anche i minori non imputabili, nelle ipotesi di delitto non
colposo punibile con l’ergastolo o la reclusione superiore nel massimo edittale a due anni, e i minori imputabili condannati per delitto
commesso durante l’esecuzione di una misura di sicurezza cui erano
stati sottoposti perché non imputabili.
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Il minore e il suo processo. D.P.R. n. 448/1988
All’esito di un lungo dibattito circa l’incostituzionalità della di1
sposizione normativa ed alle sentenze della Corte Costituzionale interveniva l’art. 31, legge n. 663/1986 che abrogando l’art. 204 c.p.
sanciva il sistema della pericolosità in concreto, e stabiliva che tutte
le misure di sicurezza personali fossero ordinate previo accertamento, ad opera del giudice, che colui il quale ha commesso il fatto è persona socialmente pericolosa. Laddove già l’art. 69, legge n. 354/1975
(ordinamento penitenziario) eliminava il termine minimo della misura ed attribuiva al magistrato di sorveglianza la facoltà di revocare
anticipatamente ogni misura di sicurezza, anche prima dello scadere
del termine, previo riesame della pericolosità.
Oggi la pericolosità sociale è ancora il cardine dell’applicazione
delle misure di sicurezza, poiché consente di individuare i soggetti
cui occorre applicarle, sempre previa valutazione in concreto del
giudice, che deve preliminarmente verificare se il soggetto sia pericoloso. In altri termini sia probabile che avendo commesso un reato o
2
un quasi-reato , ne commetta un altro. In tal caso il giudice applica
la misura di sicurezza che permane fino a che la pericolosità non sia
venuta meno.
L’accertamento della pericolosità verrà effettuato sulla base degli
elementi indizianti dai quali dedurre la probabile commissione di
nuovi reati e la prognosi sul futuro comportamento eseguita sulla base di questi elementi. A tal fine appaiono rilevanti gli indici previsti
dall’art. 133 c.p. (cui la stessa norma rinvia) ossia la gravità, oggettiva
e soggettiva, del reato commesso e gli elementi dai quali si desume
anche la capacità a delinquere.
Quanto ai presupposti per l’applicabilità delle misure di sicurezza
ai minorenni l’art. 37, 2° comma, D.P.R. n. 448/1988, stabilisce che
la misura di sicurezza è applicabile se ricorrono le condizioni previste dall’art. 224 c.p. e quando, per le specifiche modalità e circostanze del fatto e la personalità dell’imputato, sussiste il concreto pericolo che questi commetta delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro la sicurezza collettiva o l’ordine costituzionale ovvero gravi delitti di criminalità organizzata. Dalla norma si evince che non basta la semplice pericolosità della commissione di un reato di qualsiasi tipo, bensì occorre che vi sia la probabilità
1
Corte Costituzionale, sentenze nn. 139/1982, 249/1983.
Espressione comprendente le ipotesi del reato impossibile e dell’istigazione a commettere un delitto.
2
Le misure di sicurezza
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che venga commesso un reato particolarmente efferato. Il giudizio di
pericolosità sociale deve essere effettuato soprattutto dal magistrato
di sorveglianza quando esegue la misura disposta con sentenza, poiché nelle more questa potrebbe essere venuta meno.
2. Le misure di sicurezza nei confronti dei minori non imputabili
Il minore, che al momento del fatto non aveva compiuto ancora
quattordici anni o pur avendoli compiuti, è stato riconosciuto incapace di intendere e di volere, non è imputabile e dunque non viene
assoggettato a pena.
Nonostante ciò il legislatore ha previsto la possibilità di sottoporre ugualmente a misure di sicurezza il minore non imputabile prosciolto se considerato pericoloso, proprio perché la non imputabilità
del soggetto autore di reato non è elemento sufficiente ad escluderne
la pericolosità. Lo stesso art. 203 c.p., prevede che è socialmente pericolosa la persona, anche se non imputabile, o non punibile, la quale
ha commesso taluno dei fatti previsti dalla legge come reati, quando
è probabile che ne commetta dei nuovi.
La qualità di persona socialmente pericolosa si desume dalle circostanze indicate nell’art. 133 c.p. ossia la gravità del reato, l’intensità del dolo e la capacità a delinquere del reo desunta dai motivi a delinquere, dal carattere del colpevole, dai precedenti penali e giudiziari, dalla condotta antecedente, contemporanea o susseguente al reato
e dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.
In relazione alla tipologia delle misure di sicurezza applicabili al
minore infraquattordicenne o di età superiore a quattordici anni e
inferiore a diciotto, se riconosciuto non imputabile, che abbia commesso un fatto previsto dalla legge come delitto e sia stato ritenuto
pericoloso, l’art. 224, 1° comma, c.p. indica il ricovero in riformatorio e la libertà vigilata.
La medesima norma prevedeva al 2° comma che il ricovero in riformatorio fosse automatico e obbligatorio per almeno tre anni se il
minore non imputabile avesse commesso un delitto, non colposo, punibile con l’ergastolo o la reclusione non inferiore a tre anni. Tuttavia, la sentenza n. 1/1971 della Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittima la norma nella parte in cui rendeva il ricovero obbligatorio ed automatico.
Relativamente ai minori infraquattordicenni o maggiori di quat-
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Il minore e il suo processo. D.P.R. n. 448/1988
tordici, che abbiano commesso il reato in condizioni di infermità psichica o di intossicazione cronica da alcool o da sostanze stupefacenti
o di sordomutismo e pertanto incapaci di intendere e di volere per
motivi diversi dall’età il codice prevedeva ai sensi dell’art. 222, 4°
comma, c.p. il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario. La Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo questo
comma per violazione degli artt. 2, 3, 27 e 31 Cost., in forza dei quali
il trattamento penale dei minori deve essere improntato, sia per quanto riguarda le misure adottabili, sia per quanto riguarda la fase esecutiva, alle specifiche esigenze proprie dell’età minorile.
Sul punto la Corte ha osservato che:
Giurisprudenza
«La misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, a differenza di quella del riformatorio giudiziario, che è misura di sicurezza speciale per i
minori (artt. da 223 a 226 c.p.), è prevista dalla legge in modo indifferenziato per
adulti e minori, sul presupposto della presenza dell’infermità psichica (o delle situazioni ad essa assimilate), in relazione alla quale la misura dovrebbe assumere
la duplice funzione di cura del soggetto e di tutela della società rispetto alla pericolosità dello stesso (cfr. sentenza n. 139/1982). La presenza del vizio totale di mente comporta anzi che anche ai minori non imputabili per ragioni di età, perché non
hanno compiuto i quattordici anni, ovvero li hanno compiuti ma sono riconosciuti
incapaci di intendere e di volere, a norma dell’art. 98 c.p., si applichino, in caso di
pericolosità sociale, non già le misure di sicurezza previste per i minori imputabili e
per quelli non imputabili ma non infermi di mente, bensì l’unica misura del ricovero
in ospedale psichiatrico giudiziario (art. 222, 4° comma, c.p.). Quest’ultima è una
misura di sicurezza detentiva (art. 215 c.p.), e per la sua esecuzione nei confronti
di minori – a differenza di quanto avviene ad esempio per la libertà vigilata, misura
anch’essa applicabile ad adulti e minori, ma eseguita nei confronti dei minori in
forme speciali (art. 36, 1° comma, D.P.R. n. 448/1988) – non è prevista alcuna modalità che tenga conto delle specifiche esigenze dei minori medesimi. In sostanza
il legislatore del codice penale del 1930 ha ritenuto che, in presenza di uno stato di
infermità psichica tale da comportare il vizio totale di mente, la condizione di minore divenga priva di specifico rilievo e venga per così dire assorbita dalla condizione
di infermo di mente: tanto che, come si è ricordato, persino se si tratta di minore
riconosciuto non imputabile per ragioni di età, il regime di applicazione delle misure di sicurezza è quello previsto per l’infermo di mente adulto, e non quello riservato ai minori.
Siffatta scelta non è compatibile con i principi derivanti dagli artt. 2, 3, 27 e 31
Cost., in forza dei quali il trattamento penale dei minori deve essere improntato, sia
per quanto riguarda le misure adottabili, sia per quanto riguarda la fase esecutiva,
alle specifiche esigenze proprie dell’età minorile (cfr., fra le tante, sentenze nn. 403
e 109/1997, n. 168/1994, n. 125/1992).
Le stesse esigenze sono espresse dalle norme internazionali relative alla tutela dei
minori: in particolare, l’art. 40 della convenzione sui diritti del fanciullo (New York, 20
novembre 1989), resa esecutiva in Italia dalla legge 27 maggio 1991, n. 176, afferma il diritto del fanciullo accusato di reato “ad un trattamento tale da favorire il
Le misure di sicurezza
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suo senso della dignità e del valore personale, e che tenga conto della sua età
nonché della necessità di facilitare il suo reinserimento nella società e di fargli
svolgere un ruolo costruttivo in seno a quest’ultima” (1° comma); e chiama gli Stati
a “promuovere l’adozione di leggi, di procedure, la costituzione di autorità e di istituzioni destinate specificamente ai fanciulli sospettati, accusati o riconosciuti colpevoli di aver commesso reato” (3° comma), nonché a prevedere, fra l’altro, soluzioni alternative all’assistenza in istituti “in vista di assicurare ai fanciulli un trattamento conforme al loro benessere e proporzionato sia alla loro situazione che al
reato” (4° comma). Una misura detentiva e segregante come il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, prevista e disciplinata in modo uniforme per adulti e minori, non può certo ritenersi conforme a tali principi e criteri: tanto più dopo che il
legislatore, recependo le acquisizioni più recenti della scienza e della coscienza
sociale, ha riconosciuto come la cura della malattia mentale non debba attuarsi se
non eccezionalmente in condizioni di degenza ospedaliera, bensì di norma attraverso servizi e presidi psichiatrici extra-ospedalieri, e comunque non attraverso la
segregazione dei malati in strutture chiuse come le preesistenti istituzioni manicomiali (artt. 2, 6 e 8, legge 13 maggio 1978, n. 180). Né, più in generale, è senza
significato che il legislatore del nuovo codice di procedura penale, allorquando ha
inteso disciplinare l’adozione di provvedimenti cautelari restrittivi nei confronti di
persone inferme di mente, abbia previsto il ricovero provvisorio non già in ospedale psichiatrico giudiziario, ma in “idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero” (art. 286, 1° comma; e cfr. anche art. 73). L’assenza, negli ospedali psichiatrici giudiziari, di strutture ad hoc per i minori, correlata anche alla mancanza di
casi di ricoveri di minori in tali istituti, per un verso conferma la diffusa consapevolezza presso gli operatori e gli stessi giudici minorili della incompatibilità di siffatta
misura con la condizione di minore, consapevolezza di cui è ulteriore indice indiretto il silenzio serbato dal legislatore delegato, in sede di riforma del processo penale minorile, sui problemi collegati alla misura di sicurezza in esame, pur nell’ambito
di una disciplina che si è sforzata di risultare esaustiva in ordine agli aspetti esecutivi delle misure di sicurezza; per altro verso rende ancor più palese detta incompatibilità. In definitiva, le esigenze di tutela della personalità del minore coinvolto
nel circuito penale non consentono in alcun caso, nemmeno dunque in quello di
infermità psichica, di trascurare la condizione di minore del soggetto. Il minore affetto da infermità psichica è prima di tutto un minore, e come tale va trattato, tutelato nei suoi diritti in quanto persona in formazione, ed assistito, anche nell’ambito
del sistema giudiziario penale. Deve dunque dichiararsi la illegittimità costituzionale delle norme denunciate, che prevedono l’applicabilità ai minori della misura di
sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario. La dichiarazione di illegittimità costituzionale deve colpire il denunciato 4° comma dell’art. 222 c.p., che
ha riguardo all’applicazione della misura ai minori “prosciolti per ragione di età”;
ma deve investire altresì in parte qua, secondo quanto si è premesso, i primi due
commi dello stesso art. 222, ove si prevede in generale, e dunque implicitamente
anche nei confronti di minori (come conferma il 4° comma), l’applicazione della
misura nel caso di proscioglimento per infermità psichica o condizioni assimilate, ai
sensi degli artt. 88, 95 e 96 dello stesso codice. Deve poi colpire il denunciato art.
206 c.p., che disciplina l’applicazione provvisoria della misura, nella parte in cui si
applica ai minori infermi di mente».
Corte Costituzionale, sentenza n. 324/1998.
Inoltre la Corte ha specificato che:
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Il minore e il suo processo. D.P.R. n. 448/1988
Giurisprudenza
«Spetterà al legislatore colmare con previsioni adeguate, anche in ordine all’apprestamento delle conseguenti misure organizzative e strutturali, il vuoto normativo
che si viene a creare con l’eliminazione, relativamente ai minori, della misura di
sicurezza oggi specificamente diretta a far fronte alla situazione di persone, giudicate pericolose, che abbiano commesso fatti di reato ma siano affette da infermità
psichica che le renda non imputabili».
Nonostante ciò il legislatore non ha ancora provveduto a colmare
il vuoto normativo, e pertanto ci si domanda che tipo di misure di
sicurezza siano applicabili nei confronti dei minorenni non imputabili per infermità psichica o per condizioni assimilate e socialmente
pericolosi. Secondo la giurisprudenza devono essere applicate esclusivamente le misure di sicurezza del riformatorio (da eseguirsi nelle
forme del collocamento in comunità) e della libertà vigilata; mentre
la dottrina ritiene che il legislatore debba istituire una misura di sicurezza nuova, diversa da quelle vigenti anche alla luce della pronuncia
della Corte.
Giurisprudenza
«A seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 324/1998, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 222 c.p. nella parte in cui prevedeva
l’applicazione anche ai minori della misura di sicurezza del ricovero in ospedale
psichiatrico giudiziario, deve ritenersi conforme al principio di legalità applicare nei
confronti del minore non imputabile per vizio totale di mente e socialmente pericoloso, la misura del riformatorio giudiziario, da eseguire nelle forme del collocamento in comunità a norma dell’art. 36, 2° comma, D.P.R. n. 448/1988, trattandosi di
situazione analoga a quella disciplinata dall’art. 98 c.p., cui fa rinvio l’art. 224, 3°
comma, c.p. In tal caso, la durata minima della misura non potrà essere quella
prevista dall’art. 222, 2° comma, c.p., essendo divenuta tale norma inapplicabile ai
minori a seguito della richiamata sentenza della Corte Costituzionale, ma sarà
quella prevista dall’art. 224, 2° comma, per il riformatorio giudiziario».
Cass. Pen., sez. I, n. 3710/1999.
«Qualora nei confronti di minore infraquattordicenne, e perciò non imputabile, sia
stata disposta l’applicazione provvisoria della misura di sicurezza del riformatorio
giudiziario, da eseguirsi, ai sensi dell’art. 36, 2° comma, D.P.R. 22 settembre
1988, n. 448, nelle forme di cui all’art. 22, D.P.R. n. 448 del 1988 stesso (collocamento in comunità), non è possibile – diversamente da quanto si verifica nel caso
di minore che abbia compiuto il quattordicesimo anno – disporre, in caso di gravi e
ripetute violazioni delle prescrizioni imposte, ai sensi del 4° comma del citato art.
22, D.P.R. n. 448/1988, la sostituzione del collocamento in comunità con la custodia cautelare».
Cass. Pen., sez. I, n. 4847/1997.
Le misure di sicurezza
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3. La libertà vigilata
L’art. 224 c.p. stabilisce che il giudice, tenuto conto della gravità
del fatto e delle condizioni morali della famiglia in cui il minore è
vissuto, ordina che sia ricoverato nel riformatorio giudiziario o posto
in libertà vigilata. In relazione ai criteri utilizzati dal giudice per scegliere la misura più idonea si osserva che, da un lato dovrà tenere presente il principio delle esigenze educative, che informa tutto il D.P.R.
n. 448/1988, e quindi l’adeguamento delle misure alla personalità del
minore e dall’altro dovrà considerare il parametro previsto dall’art.
37, ossia le specifiche circostanze del fatto.
Le misure sono tra loro alternative, anche se l’art. 36, D.P.R. n.
448/1988 specifica che il riformatorio giudiziario è applicato solo in
relazione ai delitti previsti dall’art. 23, D.P.R. n. 448/1988.
La libertà vigilata è una misura di sicurezza non detentiva e consiste nell’affidamento del minore ai genitori o ad istituti di assistenza
sociale che dovranno attenersi alle linee direttive di assistenza e vigilanza stabilite dal giudice. Difatti, a norma dell’art. 36 la misura di
sicurezza della libertà vigilata è eseguita nelle forme previste dagli
artt. 20 e 21, D.P.R. n. 448/1988 ossia delle prescrizioni e dell’obbligo di permanenza in casa.
3
Come analizzato in precedenza l’art. 20 prevede che il giudice
impartisca al minorenne delle specifiche prescrizioni inerenti all’attività di studio o di lavoro oppure ad altre attività utili per la sua educazione, mentre l’art. 21 disciplina l’obbligo della permanenza in casa, che può essere accompagnato da limiti o divieti alla facoltà del
minorenne di comunicare con persone diverse da quelle che con lui
coabitano o che lo assistono, o viceversa dall’autorizzazione a svolgere attività di studio o lavoro. L’art. 231 c.p. prevede che, quando la
persona sottoposta a libertà vigilata trasgredisce gli obblighi imposti,
il giudice può trasformare la misura della libertà vigilata in quella del
riformatorio. Pertanto se il minore viola gli obblighi impartiti, la libertà vigilata viene sostituita con la misura del riformatorio giudiziario (che come si vedrà nel paragrafo successivo viene scontato in comunità). La sostituzione può aversi solo in seguito a ripetute e gravi
violazioni degli obblighi connessi alla libertà vigilata. Anche se non
basta la ripetuta violazione delle prescrizioni, ma occorre che siano
connotate dal requisito della gravità, mentre una sola grave violazio3
Cfr. cap. 6.
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Il minore e il suo processo. D.P.R. n. 448/1988
ne non può essere considerata presupposto sufficiente per sostituire
la misura con altra più afflittiva.
4. Il riformatorio giudiziario
Con l’entrata in vigore dell’art. 31, legge n. 163/1986 che ha eliminato la categoria della pericolosità presunta e sancito che tutte le
misure di sicurezza personale sono ordinate previo accertamento che
chi ha commesso il fatto è persona socialmente pericolosa, il riformatorio giudiziario (misura di sicurezza detentiva) non viene più automaticamente inflitto in base alla gravità del reato, ma è applicabile
soltanto in seguito all’esame della pericolosità sociale dell’autore del
fatto delittuoso.
La sussistenza in concreto della pericolosità deve pertanto essere
positivamente accertata, sia nel momento della sua applicazione, sia
durante l’intera esecuzione della misura. In ogni caso la gravità del
fatto rimane un criterio fondamentale per l’applicazione del riformatorio, posto che l’art. 36, D.P.R. n. 448/1988 stabilisce che tale misura di sicurezza è applicata soltanto in relazione ai delitti previsti dall’art. 23, D.P.R. n. 448/1988 ossia i reati per i quali è applicabile la
custodia cautelare in carcere.
La misura del riformatorio viene applicata sia ai minori socialmente pericolosi non imputabili e in tal caso si sostituisce alla pena,
sia a quelli imputabili aggiungendosi alla pena e venendo eseguita
dopo l’espiazione di questa. Inoltre a norma dell’art. 223 c.p. la misura del riformatorio giudiziario non può avere durata inferiore ad
un anno.
Quanto all’esecuzione della misura lo stesso art. 36, D.P.R. n.
448/1988 precisa che il riformatorio viene eseguito nelle forme dell’art. 22, D.P.R. n. 448/1988 ossia in una comunità aperta, pubblica
o autorizzata, con eventuale affiancamento di specifiche prescrizioni
inerenti alle attività di studio o di lavoro ovvero ad altre attività utili
all’educazione del minore. Prima dell’entrata in vigore del D.P.R. n.
448/1988, la misura del riformatorio giudiziario era eseguita in istituti facenti parte dei Centri di rieducazione per minorenni. Si trattava
di luoghi simili agli stabilimenti penitenziari (c.d. prigioni scuola)
con all’interno scuole, laboratori, attività sportive, con la differenza
che la durata del riformatorio non era predeterminata essendo connessa alla pericolosità del soggetto.
Le misure di sicurezza
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Per quanto concerne l’età massima per l’applicazione del riformatorio giudiziario il 2° comma dell’art. 223 c.p. stabilisce che se la misura debba essere, in tutto o in parte, applicata o eseguita dopo che il
minore abbia compiuto gli anni diciotto, ad essa è sostituita la libertà
vigilata, salvo che il giudice non ritenga di ordinare l’assegnazione a
una colonia agricola o a una casa di lavoro.
Giurisprudenza
«In materia di misure di sicurezza, il D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 – senza
incidere sulla disciplina sostanziale – ha modificato le forme e i modi di esecuzione
delle misure riguardanti i minori, prescrivendo all’art. 36, 2° comma, che la misura
del riformatorio giudiziario è eseguita nelle forme dell’art. 22 dello stesso decreto
(disciplinante le forme e le modalità della misura cautelare del “collocamento in
comunità”), al fine di adeguare la misura di sicurezza alle particolari esigenze psicologiche del minore e alle specifiche finalità rieducative».
Cass. Pen., sez. I, n. 4035/1991.
«In materia di misure di sicurezza riguardanti minori, la nuova disciplina introdotta
dall’art. 36, 2° comma, D.P.R. 22 settembre 1988, n. 488 sulla revisione delle modalità esecutive della misura di sicurezza del riformatorio giudiziario, in coerenza
con le finalità rieducative e con le esigenze psicologiche dei minori, implica che
non è più applicabile – in presenza della specifica sanzione prevista dall’art. 22, 4°
comma o, dello stesso decreto per il minore che si sottragga o contravvenga alla
misura di sicurezza e alla sua disciplina – la disposizione dell’art. 214 c.p., per
un’evidente incompatibilità sia con la disciplina di attuazione generale della misura
sia con la specifica previsione normativa».
Cass. Pen., sez. I, n. 4035/1991.
5. Il procedimento di applicazione
Per quanto attiene alla procedura di applicazione delle misure di
sicurezza, il D.P.R. n. 448/1988 distingue tra applicazione provvisoria e applicazione definitiva, anche se il presupposto necessario ad
entrambe consiste sempre nel giudizio di pericolosità del minore.
L’applicazione provvisoria è disciplinata dall’art. 37, 2° comma,
D.P.R. n. 448/1988 secondo cui il giudice, su richiesta del pubblico
ministero, con la sentenza di non luogo a procedere a norma degli
artt. 97 e 98 c.p. cioè quando il minore non è imputabile o perché
infraquattordicenne o perché ritenuto incapace di intendere e di volere, può applicare in via provvisoria una misura di sicurezza.
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Il minore e il suo processo. D.P.R. n. 448/1988
Le misure di sicurezza provvisorie sono pertanto applicabili nell’udienza preliminare. Per applicare la misura il giudice dovrà verificare sia che sussistano le condizioni previste dall’art. 224 c.p. (pericolosità del soggetto), sia che sussista il concreto pericolo che il minore commetta delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza
personale, diretti contro la sicurezza collettiva o l’ordine costituzionale ovvero gravi delitti di criminalità organizzata. Ciò verrà valutato
in base alle specifiche modalità e circostanze del fatto ed alla personalità dell’imputato.
Quando applica in via provvisoria una misura di sicurezza, il giudice dispone la trasmissione degli atti al Tribunale per i minorenni e
provvede analogamente nel caso di rigetto della richiesta del pubblico ministero. Se decorrono trenta giorni dalla pronuncia del giudice
senza che inizi il procedimento avanti al Tribunale per i minorenni la
misura di sicurezza provvisoriamente applicata cessa di avere effetto.
L’ultimo comma dell’art. 37 estende l’applicazione della misura di
sicurezza in via provvisoria al giudizio abbreviato, con la differenza
che la misura può essere provvisoriamente applicata anche d’ufficio.
Inoltre l’applicazione provvisoria di una misura di sicurezza può
essere disposta ex art. 312 c.p.p. dal giudice d’appello, su richiesta
del pubblico ministero, se vi sono gravi indizi di commissione del
fatto, o in primo grado vi sia stata condanna o proscioglimento con
formula indulgenziale che accerti la commissione del fatto.
L’applicazione definitiva delle misure di sicurezza è invece realizzata dal Tribunale per i minorenni in dibattimento, a seguito della
sentenza emessa a norma degli artt. 97 e 98 c.p. o con la sentenza di
condanna. Le condizioni legittimanti sono quelle indicate dall’art.
37, 2° comma.
In relazione al procedimento di applicazione delle misure di sicurezza l’art. 38, D.P.R. n. 448/1988 dispone che il Tribunale per i minorenni procede al giudizio sulla pericolosità dopo aver sentito il
minorenne, l’esercente la potestà dei genitori, l’eventuale affidatario
e i servizi e decide con sentenza. Il giudizio sulla pericolosità viene
svolto nelle forme previste dall’art. 678 c.p.p. ossia acquisendo la relativa documentazione relativa al soggetto e avvalendosi se occorre di
consulenti tecnici.
Con la sentenza il Tribunale, se ricorrono le condizioni, applica la
misura di sicurezza, che nel corso del procedimento potrà essere modificata o revocata.
Le misure di sicurezza
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Giurisprudenza
«In materia di misure di sicurezza, il rinvio operato dall’art. 36, D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, per le modalità di esecuzione della misura di sicurezza riguardante i minori, all’art. 22 dello stesso decreto implica l’applicabilità della complessiva disciplina prevista in tale articolo, anche per quanto riguarda la sanzione contemplata nel comma quarto, ma non trasforma la misura di sicurezza in una misura
cautelare, perché è stata attuata una trasposizione di forme e di modalità esecutive e non una sovrapposizione e identificazione degli istituti, che rimangono ben
differenziati per ciò che attiene ai loro presupposti, alle rispettive finalità e alla disciplina propria che non riguarda le modalità esecutive. Ne consegue che anche la
restrizione prevista dal 4° comma del citato art. 22 costituisce un inasprimento
sanzionatorio della misura di sicurezza prevista per reprimere gravi e ripetute inosservanze alla disciplina nel corso dell’esecuzione della misura o allontanamenti
ingiustificati.
Cass. Pen., sez. I, n. 4035/1991.
6. L’esecuzione delle misure di sicurezza
Competente ad eseguire le misure di sicurezza applicate nei confronti di minorenni è il magistrato di sorveglianza per i minorenni
del luogo dove la misura deve essere eseguita. Egli vigila costantemente sulla misura anche mediante frequenti contatti, senza alcuna
formalità con il minorenne, l’esercente la potestà dei genitori, l’eventuale affidatario e i servizi minorili ed impartisce e fissa le modalità
esecutive della misura. Il procedimento di esecuzione è iniziato dal
PM minorile che trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza competente, che, a sua volta, impartisce le necessarie disposizioni e affida
il minore al servizio sociale. L’art. 24, D.Lgs. n. 272/1989 dispone
che l’esecuzione rimane affidata al personale dei servizi minorili.
Nel caso in cui il magistrato di sorveglianza revochi la misura dovrà darne comunicazione al procuratore della Repubblica presso il
Tribunale per i minorenni per l’eventuale esercizio dei poteri di iniziativa in materia di provvedimenti civili.
Il rinvio dell’art. 36, D.P.R. n. 448/1988 che disciplina le modalità di esecuzione della libertà vigilata alle forme delle prescrizioni e
dell’obbligo di permanenza in casa rende applicabile l’art. 293, 2°
comma, c.p.p., secondo cui le ordinanze che dispongono misure diverse dalla custodia cautelare sono notificate all’imputato. Ne deriva
che il magistrato di sorveglianza o il pubblico ministero presso di lui
devono notificare al minore e all’esercente la potestà il provvedimen-
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Il minore e il suo processo. D.P.R. n. 448/1988
to di esecuzione e richiedere contestualmente l’intervento del servizio
sociale.
Contro i provvedimenti emessi dal magistrato di sorveglianza per
i minorenni in materia di misure di sicurezza possono proporre appello dinanzi al Tribunale per i minorenni in funzione di tribunale di
sorveglianza, l’interessato, l’esercente la potestà dei genitori, il difensore e il pubblico ministero.
Per quanto concerne l’iter processuale l’art. 41, D.P.R. n. 448/1988
precisa che si osservano le disposizioni generali sulle impugnazioni,
ma l’appello non ha effetto sospensivo, salvo che il Tribunale per i
minorenni disponga altrimenti.
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